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Torquato Tasso La storia, il verisimile, il meraviglioso (dai Discorsi dell’arte poetica) Nel primo dei Discorsi dell’arte poetica, risalenti presumibilmente agli anni della gestazione del poema, Tasso tratta dell’ inventio, vale a dire, secondo gli schemi e la terminologia della retorica classica, della scelta della materia da trattare. La materia, che argomento può ancora comodamente chiamarsi, o si finge 1 , ed allora par che il poeta abbia parte non solo nella scelta, ma nella invenzione ancora; o si toglie da l’istorie 2 . Ma molto meglio è, a mio giudicio, che da l’istoria si prenda: perché dovendo l’epico 3 cercare in ogni parte il verisimile (presupongo questo, come principio notissimo 4 ), non è verisimile ch’una azione illustre, quali sono quelle del poema eroico, non sia stata scritta, e passata a la memoria de’ posteri con l’aiuto d’alcuna istoria. I successi grandi 5 non possono esser incogniti 6 ; e ove non siano ricevuti in iscrittura 7 , da questo solo argomentano gli uomini la loro falsità; e falsi stimandoli, non consentono 8 così facilmente d’essere or mossi ad ira, or a terrore, or a pietà; d’esser or allegrati, or contristati, or sospesi, or rapiti; ed in somma, non attendono con quella espettazione e con quel diletto i successi delle cose 9 , come farebbono se que’ medesimi successi, o in tutto o in parte, veri stimassero. Per questo dovendo il poeta con la sembianza della verità ingannare i lettori, e non solo persuader loro che le cose da lui trattate sian vere, ma sottoporle in guisa 10 a i lor sensi, che credano non di leggerle, ma di esser presenti, e di vederle, e di udirle, è necessitato di guadagnarsi nell’animo loro questa opinion di verità; il che facilmente con l’autorità dell’istoria gli verrà fatto: parlo di quei poeti che imitano 11 le azioni illustri, quali sono e ’l tragico e l’epico; però che al comico, che d’azioni ignobili e popolaresche è imitatore, lecito è sempre che si finga a sua voglia 12 l’argomento [...]. Deve dunque l’argomento del poema epico esser tolto da l’istorie; ma l’istoria, o è di religione tenuta falsa 13 da noi, o di religione che vera crediamo, quale è oggi la cristiana, e vera fu già l’ebrea. Né giudico che l’azioni de’ gentili 14 ci porgano comodo soggetto, onde perfetto poema epico se ne formi; perché in que’ tali poemi, o vogliamo ricorrer talora a le deità che da’ gentili erano adorate, o non vogliamo ricorrervi: se non vi

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Torquato TassoLa storia, il verisimile, il meraviglioso (dai Discorsi dell’arte poetica)

Nel primo dei Discorsi dell’arte poetica, risalenti presumibilmente agli anni della gestazione del poema, Tasso tratta dell’inventio, vale a dire, secondo gli schemi e la terminologia della retorica classica, della scelta della materia da trattare.

La materia, che argomento può ancora comodamente chiamarsi, o si finge1, ed allora par che il poeta abbia parte non solo nella scelta, ma nella invenzione ancora; o si toglie da l’istorie2. Ma molto meglio è, a mio giudicio, che da l’istoria si prenda: perché dovendo l’epico3 cercare in ogni parte il verisimile (presupongo questo, come principio notissimo4), non è verisimile ch’una azione illustre, quali sono quelle del poema eroico, non sia stata scritta, e passata a la memoria de’ posteri con l’aiuto d’alcuna istoria. I successi grandi5 non possono esser incogniti6; e ove non siano ricevuti in iscrittura7, da questo solo argomentano gli uomini la loro falsità; e falsi stimandoli, non consentono8 così facilmente d’essere or mossi ad ira, or a terrore, or a pietà; d’esser or allegrati, or contristati, or sospesi, or rapiti; ed in somma, non attendono con quella espettazione e con quel diletto i successi delle cose9, come farebbono se que’ medesimi successi, o in tutto o in parte, veri stimassero.Per questo dovendo il poeta con la sembianza della verità ingannare i lettori, e non solo persuader loro che le cose da lui trattate sian vere, ma sottoporle in guisa10 a i lor sensi, che credano non di leggerle, ma di esser presenti, e di vederle, e di udirle, è necessitato di guadagnarsi nell’animo loro questa opinion di verità; il che facilmente con l’autorità dell’istoria gli verrà fatto: parlo di quei poeti che imitano11 le azioni illustri, quali sono e ’l tragico e l’epico; però che al comico, che d’azioni ignobili e popolaresche è imitatore, lecito è sempre che si finga a sua voglia12 l’argomento [...].Deve dunque l’argomento del poema epico esser tolto da l’istorie; ma l’istoria, o è di religione tenuta falsa13 da noi, o di religione che vera crediamo, quale è oggi la cristiana, e vera fu già l’ebrea. Né giudico che l’azioni de’ gentili14 ci porgano comodo soggetto, onde perfetto poema epico se ne formi; perché in que’ tali poemi, o vogliamo ricorrer talora a le deità che da’ gentili erano adorate, o non vogliamo ricorrervi: se non vi ricorriamo mai, viene a mancarvi il meraviglioso15; se vi ricorriamo, resta privo il poema in quella parte del verisimile16. Poco dilettevole è veramente quel poema, che non ha seco quelle maraviglie, che tanto muovono non solo l’animo de gl’ignoranti, ma de’ giudiziosi ancora: parlo di quelli anelli, di quelli scudi incantati, di que’ corsieri volanti17, di quelle navi converse in ninfe18, di quelle larve che fra’ combattenti si tramettono19, e d’altre cose sì fatte; delle quali, quasi di sapori20, deve giudizioso scrittore condire il suo poema; perché con esse invita ed alletta il gusto degli uomini vulgari non solo senza fastidio, ma con sodisfazione ancora de’ più intendenti21. Ma non potendo questi miracoli esser operati da virtù naturale, è necessario ch’a la virtù sopranaturale ci rivolgiamo; e rivolgendoci a le deità de’ gentili, subito cessa il verisimile; perché non può esser verisimile a gli uomini nostri quello, ch’è da lor tenuto non solo falso, ma impossibile: ma impossibil’è che dal potere di quell’idoli vani e senza soggetto22, che non sono e non furon mai23, procedano cose che di tanto la natura e l’umanità trapassino24. E quanto quel meraviglioso (se pur merita tal nome) che portan seco i Giovi e gli Apolli e gli altri numi25 de’ Gentili, sia non solo lontano da ogni verisimile, ma freddo ed insipido, e di nissuna virtù26, ciascuno di mediocre giudicio se ne potrà facilmente avvedere, leggendo que’ poemi che sono fondati sovra la falsità dell’antica religione.Diversissime sono, signor Scipione27, queste due nature, il meraviglioso e ’l verisimile; ed in guisa diverse, che sono quasi contrarie fra loro: nondimeno l’una e l’altra nel poema è necessaria; ma fa mestieri28 che arte di eccellente poeta sia quella che insieme le accoppi: il che se ben’è stato sin’ora

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fatto da molti, nissuno è (ch’io mi sappia) il quale insegni come si faccia: anzi, alcuni uomini di somma dottrina, veggendo la ripugnanza29 di queste due nature, hanno giudicato, quella parte ch’è verisimile ne’ poemi, non essere meravigliosa; né quella ch’è meravigliosa, verisimile; ma che nondimeno, essendo ambedue necessarie, si debba or seguire il verisimile, ora il meraviglioso, di maniera che l’una e l’altra non ceda, ma l’una da l’altra sia temperata. Io, per me, questa opinione non approvo, che parte alcuna debba nel poema ritrovarsi, che verisimile non sia: e la ragione, che mi muove a così credere, è tale. La poesia non è in sua natura altro che imitazione30; e questo non si può richiamare in dubbio: e l’imitazione non può essere discompagnata31 dal verisimile, però che tanto significa imitare, quanto far simile; non può dunque parte alcuna di poesia esser separata dal verisimile: ed in somma, il verisimile non è una di quelle condizioni richieste nella poesia a maggior sua bellezza ed ornamento; ma è propria ed intrinseca dell’essenza sua, ed in ogni sua parte sovra ogn’altra cosa necessaria. Ma bench’io stringa32 il poeta epico ad un obligo perpetuo di servare33 il verisimile, non però escludo da lui l’altra parte, cioè il meraviglioso; anzi giudico, ch’un’azione medesima possa essere e meravigliosa e verisimile: e molti credo che siano i modi di congiungere insieme queste qualità così discordanti; e rimettendo gli altri a quella parte ove della testura della favola34 si trattarà, la quale è lor proprio luogo35, dell’uno qui ricerca l’occasione che si favelli36.Attribuisca il poeta alcune operazioni, che di gran lunga eccedono il poter degli uomini, a Dio, a gli Angioli suoi, a’ demoni, o a coloro a’ quali da Dio o da’ demoni è concessa questa podestà, quali sono i santi, i maghi e le fate. Queste opere, se per se stesse saranno considerate, meravigliose parranno; anzi miracoli sono chiamati nel commune uso di parlare. Queste medesime, se si avrà riguardo a la virtù ed a la potenza di chi l’ha operate, verisimili saranno giudicate, perché avendo gli uomini nostri bevuta nelle fasce insieme co ’l latte questa opinione, ed essendo poi in loro confermata da i maestri della nostra santa Fede; cioè che Dio, ed i suoi ministri, e i demoni, ed i maghi, permettendolo lui, possino far cose sovra le forze della natura meravigliose37; e leggendo e sentendo ogni dì ricordarne novi esempi; non parrà loro fuori del verisimile quello, che credono non solo esser possibile, ma stimano spesse fiate38 esser avvenuto, e poter di novo molte volte avvenire. Sì com’anco a quegli antichi39, che vivevano negli errori della lor vana religione, non deveano parer impossibili que’ miracoli, che de’ lor Dei favoleggiavano non solo i poeti, ma l’istorie talora: ché se pur gli uomini scienziati40, impossibili (com’erano) li giudicavano; basta al poeta in questo, com’in molte altre cose, la opinion della moltitudine; a la quale molte volte, lassando41 l’esatta verità delle cose, e suole e deve attenersi. Può esser dunque una medesima azione e meravigliosa e verisimile: meravigliosa, riguardandola in se stessa, e circonscritta dentro a i termini naturali42; verisimile, considerandola divisa da questi termini nella sua cagione, la quale è una virtù sopranaturale43, potente, ed avvezza ad operar simili meraviglie.Ma di questo modo di congiungere il verisimile co ’l meraviglioso, privi sono que’ poemi, ne’ quali le deità de’ gentili sono introdotte; sì come a l’incontra44 commodissimamente se ne possono valere45 que’ poeti, che fondano la lor poesia sovra la nostra religione. Questa sola ragione a mio giudicio conclude, che l’argumento dell’epico debba esser tratto da istoria non gentile46, ma cristiana od ebrea. [...] Deve dunque l’argomento del poeta epico esser tolto da istoria di religione tenuta vera da noi. Ma queste istorie o sono in guisa sacre e venerabili, ch’essendo sovr’esse fondato lo stabilimento47 della nostra Fede, sia empietà l’alterarle; o non sono di maniera sacrosante, ch’articolo di Fede sia ciò che in esse si contiene, sì che si conceda senza colpa d’audacia, o di poca religione, alcune cose aggiungervi, alcune levarne, e mutarne alcun’altre48. Nell’istorie della prima qualità49 non ardisca il nostro epico di stender la mano, ma le lassi a gli uomini pii nella lor pura e semplice verità, perché in esse il fingere non è lecito: e chi nessuna cosa fingesse, chi in somma s’obligasse a que’ particolari ch’ivi son contenuti50, poeta non sarebbe, ma istorico. Tolgasi51 dunque l’argomento dell’epopeia da istorie di vera religione, ma non di tanta autorità, che siano inalterabili.Ma le istorie o contengono avvenimenti de’ nostri tempi, o de’ tempi remotissimi, o cose non molto moderne né molto antiche. L’istoria di secolo lontanissimo porta al poeta gran commodità di

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fingere; però che essendo quelle cose in guisa sepolte nel seno dell’antichità, ch’a pena alcuna debole ed oscura memoria ce ne rimane; può il poeta a sua voglia mutarle e rimutarle, e senza rispetto alcuno del vero, com’a lui piace, narrarle. Ma con questo commodo viene un incommodo52 per aventura53 non picciolo; però che insieme con l’antichità de’ tempi è necessario che s’introduca nel poema l’antichità de’ costumi: ma quella maniera di guerreggiare o d’armeggiare usata da gli antichi, e quasi tutte l’usanze loro, non potriano esser lette senza fastidio da la maggior parte degli uomini di questa età; e l’esperienza si prende da i libri d’Omero, i quali come che divinissimi siano, paiono nondimeno rincrescevoli54. E di ciò in buona parte è cagione questa antichità de’ costumi, che da coloro c’hanno avezzo il gusto e la gentilezza e al decoro de’ moderni secoli, è come cosa vieta e rancida schivata ed avuta a noia55: ma chi volesse poi con la vecchiezza de’ secoli56 introdurre la novità de’ costumi, potrebbe forse parer simile a poco giudicioso pittore, che l’imagine di Catone o di Cincinnato vestite secondo le foggie della gioventù milanese o napolitana ci rappresentasse57, o togliendo ad Ercole la clava e la pelle di leone, di cimiero e di sopraveste58 l’adornasse.Portano le istorie moderne gran commodità in questa parte, ch’a i costumi ed a l’usanze s’appartiene; ma togliono quasi in tutto la licenza di fingere59, la quale è necessariissima a i poeti, e particolarmente a gli epici: però che di troppo sfacciata audacia parrebbe quel poeta, che l’imprese di Carlo Quinto60 volesse descrivere altrimenti di quello che molti, ch’oggi vivono, l’hanno viste e maneggiate. Non possono soffrire61 gli uomini d’esser ingannati in quelle cose ch’o per se medesimi sanno, o per certa relazione de’ padri e degli avi ne sono informati. Ma l’istorie de’ tempi né molto moderni né molto remoti non recano seco la spiacevolezza de’ costumi, né della licenza di fingere ci privano. Tali sono i tempi di Carlo Magno e d’Artù, e quelli ch’o di poco successero o di poco precedettero; e quinci avviene62 che abbiano porto soggetto di poetare ad infiniti romanzatori63. La memoria di quelle età non è sì fresca, che dicendosi alcuna menzogna paia impudenza, ed i costumi non sono diversi da’ nostri; e se pur sono in qualche parte64, l’uso de’ nostri poeti ce gli ha fatti domestici e familiari molto. Prendasi dunque il soggetto del poema epico da istoria di religione vera, ma non sì sacra che sia immutabile, e di secolo non molto remoto, né molto prossimo a la memoria di noi ch’ora viviamo.

1. si finge: è il risultato di un’invenzione poetica.2. si toglie ... istorie: si ricava dalla storia.3. l’epico: il poeta epico.4. principio notissimo: era un principio basilare della Poetica di Aristotele, considerata dai letterati del tempo come autorità indiscutibile.5. successi grandi: grandi avvenimenti.6. incogniti: sconosciuti.7. ricevuti in iscrittura: tramandati attraverso testi scritti.8. non consentono: soggetto sottinteso gli uomini.9. successi ... cose: gli esiti delle azioni narrate.10. in guisa: in modo tale che.11. imitano: alla base vi è il concetto aristotelico dell’arte come imitazione della natura.12. si finga ... voglia: inventi a suo piacere.13. tenuta falsa: ritenuta falsa.14. gentili: pagani.15. mancarvi il meraviglioso: perché il meraviglioso scaturisce dalla presenza del sovrannaturale.16. resta ... verisimile: perché sappiamo che le divinità pagane sono false, e quindi non possiamo prestare fede ad esse.17. anelli ... volanti: elementi tipici del meraviglioso romanzesco.18. navi ... ninfe: allude all’episodio dell’Eneide (IX, vv. 114-122) in cui Cibele, per salvare le navi troiane dai Rutuli che vogliono incendiarle, le trasforma in ninfe.19. larve ... tramettono: le divinità che si mescolano tra le battaglie, come avviene di frequente nell’Iliade e nell’Eneide.20. quasi di sapori: come se fossero spezie, che arricchiscono il sapore.21. intendenti: delle persone colte.22. idoli ... soggetto: frase attinta da Petrarca, Canzone all’Italia, vv. 76 ss.: «non far idolo un nome / vano, senza soggetto».23. non sono ... mai: non esistono e non sono mai esistiti.24. procedano ... trapassino: scaturiscano effetti che superino di tanto ciò che si trova in natura e tra gli uomini.25. numi: dèi.26. di nissuna virtù: di nessuna efficacia.27. signor Scipione: Scipione Gonzaga (1542-1593), il letterato che fu protettore e amico del poeta. A lui sono dedicati questi Discorsi.28. fa mestieri: occorre.29. ripugnanza: inconciliabilità.30. La poesia ... imitazione: cfr. sopra, nota 11.31. discompagnata: disgiunta.

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32. stringa: costringa.33. servare: osservare, mantenere.34. testura della favola: organizzazione dell’intreccio, la dispositio nella terminologia della retorica antica.35. lor ... luogo: il luogo più appropriato per trattarne.36. dell’uno ... favelli: è opportuno che qui si parli di un modo (di congiungere meraviglioso e verisimile).37. far cose ... meravigliose: far cose meravigliose, che superino le forze della natura.38. spesse fiate: più volte.39. antichi: i Greci e i Romani.40. scienziati: forniti di conoscenze.41. lassando: lasciando da parte.42. circonscritta ... naturali: prendendo come termine di riferimento solo il piano delle realtà naturali.43. virtù sopranaturale: la potenza di Dio, degli angeli, dei demoni ecc.44. a l’incontra: al contrario.45. commodissimamente ... valere: facilmente se ne possono valere (di questo modo di congiungere meraviglioso e verisimile, cioè traendo il meraviglioso dalla religione cristiana).46. non gentile: non pagana.47. fondato lo stabilimento: posto il fondamento.48. o non sono ... altre: o non sono così sacrosante, che ciò che in esse è contenuto sia articolo di fede, di modo che sia concesso aggiungervi alcune cose, toglierne altre, mutarne altre ancora, senza incorrere nella colpa di eccessiva audacia o di scarso rispetto della religione. 49. istorie ... qualità: gli argomenti più sacri e venerabili, che non possono essere alterati in alcun modo dalla finzione poetica. 50. s’obligasse ... contenuti: si attenesse strettamente ai particolari di quegli argomenti sacri. 51. Tolgasi: si tragga. 52. commodo ... incommodo: vantaggio, svantaggio. 53. per aventura: forse.54. rincrescevoli: spiacevoli. 55. è come ... noia: è come una cosa vecchia e rancida, di cui si prova schifo e fastidio. 56. vecchiezza de’ secoli: argomenti tratti dai secoli più antichi. 57. che ... rappresentasse: che rappresentasse personaggi antichi in abiti moderni. 58. cimiero ... sopraveste: l’abbigliamento dei guerrieri moderni.

59. licenza di fingere: facoltà, libertà di inventare.

60. Carlo Quinto: Carlo d’Asburgo, re di Spagna e imperatore del Sacro Romano Impero dal 1519 al 1556.

61. soffrire: sopportare.62. quinci avviene: di qui deriva.63. romanzatori: autori di poemi romanzeschi, che hanno per argomento il ciclo carolingio o arturiano.64. se pur sono ... parte: anche se sono diversi per qualche aspetto.

Analisi del testo

Il dilemma tra precetti aristotelici e modello “romanzesco”

In queste pagine Tasso stringe da vicino un nodo fondamentale della sua concezione della poesia, il rapporto tra verisimile e meraviglioso. La trattazione del problema si colloca pienamente nell’ambito delle discussioni del secondo Cinquecento sul poema epico. Tasso trova di fronte a sé da un lato la precettistica di ispirazione aristotelica, che lo obbliga a uniformarsi ai modelli classici (campione di questo indirizzo è Giangiorgio Trissino, che col suo L’Italia liberata dai Goti aveva voluto scrupolosamente riprodurre i poemi omerici, con una rigida fedeltà alla storia e alle unità aristoteliche), dall’altro lato il modello del “romanzo” cavalleresco proposto da Ariosto, che, nella molteplicità delle azioni e nell’invenzione meravigliosa, è lontanissimo dai precetti aristotelici e dai modelli antichi. Tasso, dinanzi a queste due opzioni, è intimamente diviso: in quanto letterato, oltremodo ossequioso verso le precettistiche contemporanee, è obbligato a schierarsi dalla parte dell’aristotelismo e dei modelli classici, dalla parte di Trissino, diciamo; tuttavia, in quanto creatore e lettore di poesia, non può fare a meno di riconoscere che Trissino, con tutto il suo rigore nel rispettare la storia e le regole, ha scritto un’opera arida e morta, che non ha avuto nessun successo ed è rimasta sepolta nelle biblioteche degli eruditi, mentre il poema di Ariosto è straordinariamente vivo, «è letto e riletto da tutte le età, da tutti i sessi», ha un giusto e meritato successo proprio grazie alla varietà della materia e al meraviglioso.

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Il bisogno di conciliare le due esigenze

Tasso (come giustamente ha osservato un critico francese, il Larivaille, attento studioso di questi problemi) sente il bisogno di conciliare le due esigenze, e tenta di restare fedele ai precetti aristotelici e ai modelli classici, ma al tempo stesso di tenere presenti i bisogni del pubblico cortigiano, che nella poesia ricerca il diletto. Deve trovare quindi, teoricamente, un punto intermedio di equilibrio tra l’arida fedeltà storica di Trissino e le inverosimiglianze del meraviglioso ariostesco; deve tracciare la fisionomia di un’opera viva, che possa incontrare i gusti del pubblico, e che al tempo stesso rispetti i canoni della poetica del tempo; come si esprime Larivaille, deve delineare un poema «che sia un ponte fra l’antichità, che resta per i letterati eruditi il metro di ogni cosa, e la cultura cortigiana cavalleresca dominante nel Cinquecento».

Necessità del verisimile

Il suo punto di partenza è che la poesia deve essere verisimile, secondo i precetti dell’aristotelismo; afferma quindi che il poeta deve trarre la sua materia dalla storia (come aveva fatto il Trissino nel suo poema), perché altrimenti non può dare al lettore l’impressione di verità, e i fatti rappresentati, se considerati falsi, non possono muovere l’ira, il terrore e la pietà.

Necessità del meraviglioso

Ma, dopo questo ossequio ai precetti aristotelici e al modello “trissiniano”, osserva che non può essere dilettevole il poema che non abbia in sé quel meraviglioso che smuove tanto l’animo non solo degli ignoranti, ma anche delle persone colte, anelli e scudi incantati, corsieri volanti, ecc. (che sono materiali chiaramente ariosteschi). Sembra un dilemma senza via d’uscita: verisimile e meraviglioso sono contrari tra loro, ma entrambi necessari nel poema.

Il meraviglioso verisimile: quello cristiano

La soluzione prospettata dal Tasso è che vi può essere un meraviglioso verisimile. È il meraviglioso cristiano: le operazioni sovrannaturali di Dio, degli angeli, dei santi, ma anche dei demoni e dei maghi, sono credute dal lettore, perché fanno parte delle verità di fede, e al tempo stesso soddisfano l’esigenza del meraviglioso. Ad esse deve quindi ricorrere il poeta, ricavando il suo argomento dalla storia cristiana o ebrea.

La storia

L’ossequio alla storia deve lasciare però un margine alla finzione, all’invenzione del poeta, altrimenti questi non potrebbe distinguersi dallo storico. Per questo sarebbe più adatta la storia remotissima che, in quanto meno conosciuta, lascerebbe al poeta più largo spazio per la finzione; ma tale scelta ha un inconveniente, la rappresentazione di costumi troppo diversi, che ripugnerebbero al gusto moderno. Viceversa la storia moderna, troppo nota al lettore, non consentirebbe margini di invenzione. Il soggetto del poema epico deve allora essere tratto da un passato né molto prossimo né molto remoto dal presente.

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La fisionomia della Gerusalemme

In queste teorie del giovane Tasso scorgiamo agevolmente delinearsi i tratti della Gerusalemme, che risponde proprio a questi canoni, una storia non troppo antica né troppo moderna, che lascia spazio alla finzione del poeta, e una storia di tempi cristiani, che consente il meraviglioso verisimile.