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LA POLITICA NEI MUNICIPI L'idea che il municipio viene eletto dal popolo, per am- ministrare il comune per il bene dell'intiera cittadinanza, è cosa da meclio evo, da codini, anzi è idea degna di essere pietrificata e rinchiusa in un museo di antichità. I municipi oggi non hanno altra missione che quella di fare i deputati, e viceversa esser fatti dai deputati; perciò devono nel loro indirizzo, a dritto o a torto, farci entrare la politica; la quale, basata più sui privati interessi e su un anticlericali- smo sistematico, che sul bene della nazione, è la rovina dei co- muni e dello stato. E guai a quei municipi cattolici, che vogliono sentir di politica, come il diavolo l'acqua santa! Presto il rimédio: un buon decreto di scioglimento, e tosto un galoppino elettorale . che si chiama regio commissario ... E così è salva la patria. Per esempio: perchè la maggioranza cattolica del consiglio di Torino, lo scorso anno, alla proposta di stanziare nel hilan- cio L. 500 per la commemorazìone della breccia di Porta Pi(gli)a, votò contro, ci fu il finimondo ... Dalla minoranza viene improv- visata una dimostrazione ostile, che manifesta la volontà del così detto pubblico, con il necessario coefficiente di pugni, sassate e bastonate ... intanto il decreto di scioglimento era pronto ... Che fu? il municipio di Torino viene sciolto per provocazioni. Nell'aprile ultimo, i consiglieri di Frascati, cattolici, pur dimostrando il loro dispiacere per l'orribile attentato di Accia- rito alla vita del re: non vollero votare un ordine del giorno, dove si facevano auguri per l'immutabile regno di Casa Savoia in Roma ... Ma no; tutti dobbiamo pensare non con la nostra, ma con la

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LA POLITICA NEI MUNICIPI

L'idea che i l municipio viene eletto dal popolo, per am- ministrare il comune per i l bene dell'intiera cittadinanza, è cosa da meclio evo, da codini, anzi è idea degna di essere pietrificata e rinchiusa in u n museo d i antichità.

I municipi oggi non hanno altra missione che quella di fare i deputati, e viceversa esser fatti dai deputati ; perciò devono nel loro indirizzo, a dritto o a torto, farci entrare la politica; la quale, basata più sui privati interessi e su un anticlericali- smo sistematico, che sul bene della nazione, è la rovina dei co- muni e dello stato.

E guai a quei municipi cattolici, che vogliono sentir d i politica, come i l diavolo l'acqua santa! Presto il rimédio: u n buon decreto di scioglimento, e tosto un galoppino elettorale . che si chiama regio commissario ... E così è salva la patria.

Per esempio: perchè la maggioranza cattolica del consiglio di Torino, lo scorso anno, alla proposta di stanziare nel hilan- cio L. 500 per la commemorazìone della breccia di Porta Pi(gli)a, votò contro, ci fu il finimondo ... Dalla minoranza viene improv- visata una dimostrazione ostile, che manifesta la volontà del così detto pubblico, con i l necessario coefficiente di pugni, sassate e bastonate ... intanto il decreto di scioglimento era pronto ... Che fu? il municipio di Torino viene sciolto per provocazioni.

Nell'aprile ultimo, i consiglieri di Frascati, cattolici, p u r dimostrando il loro dispiacere per l'orribile attentato di Accia- rito alla vita del re: non vollero votare un ordine del giorno, dove si facevano auguri per l'immutabile regno d i Casa Savoia in Roma ...

Ma no; tutt i dobbiamo pensare non con la nostra, ma con la

testa dei liberali; ed ecco subito lo scioglimento del coiisiglio comunale coi suoi annessi e connessi.

Giorni addietro a Vicenza, il municipio cattolico, nella com- memorazione dei caduti del 1848 nella battaglia di Berico, invece delle solite schiamazzate e commemorazioni con le necessarie invettive contro il potere temporale, la schiavitù degli italiani, eccetera, pensò far celebrare una Messa di requiem con l'inter- vento della giunta.

Ma i liberali, amaramente ricordando il solenne responso delle urne, per il quale furono totalmente esclusi dal palazzo di città, vollero far chiasso e vennero perfino alle violenze.

Per via si opposero al corteo, che sfilava con tutta solen- nità, e provocarono gli applausi alla giunta e al sindaco dalla maggioranza del paese, frammisti ai loro fischi, e sassate e ha- stonate; tanto che dovette intervenire la truppa.

I provocatori, s'intende, furono i clericali che la pensarono da veri cristiani, deliberando di suffragare le anime dei soldati caduti sul campo di battaglia. Così al parlamento parlò l'on, Cavalli, il quale protestò vivamente contro i l contegno della giunta clericale-intransigente, che ha voluto trasformare una

solennità patriottica i n una manifestazione faziosa (relaz. came-

ra 10 giugno).

Si, perché per un parlamento antireligioso come il nostro,

patriota è tutto ciò che parla contro il papa, la religione, Gesù

Cristo; e faziosa è anche una messa funebre!

Quindi i l consiglio di Vicenza pagherà il fio di questo mi-

sfatto, e sarà sciolto.

Così, non pensando nè ai guai dell'amministrazione provvi-

soria d i un regio commissario, inesperto del paese e nuovo dei

bisogni locali di un comune ; e quel che è peggio, col mandato di

f a r passare la libera volontà dei cittadini facendo eleggere per

fa* e t nefas i liberali, i nostri comuni seguiteranno a tener quella via sdrucciolevole che li ha condotti e finir.à di condurli alla rovina.

i l zuavo

( L a Croce di Costantino, Cal~agirone~ 20 giugno 1897).

PROGRAMMI E NON PERSONE

È una frase che i cattolici ripetono da gran tempo, e che ci piace leggere nella circolare del prefetto Bedendo, diretta agli elettori della provincia di Catania, in occasione delle prossime elezioni amministrative.

I1 diritto popolare di elezione, sacro diritto di libertà, ha la sua grande ragion d'essere nel concorso disinteressato d i tutti i cittadini al miglioramento della cosa pubblica. Altro scopo non ha, né può avere. I1 farvi entrare, anche indirettamente, l'utile o l'interesse personale, quale esso sia, è u n distruggere il fonda- mento del diritto, e per necessità, u n invertire lo scopo del bene comune e del retto funzionamento di un ente, che risponde a i bisogni collettivi del popolo.

Non basta perciò che si presentino a candidati per rappre- sentare e curare questi interessi collettivi, uomini anche di spec- chiata onestà; ma fa d'uopo che si presentino in nome e sotto

la ragione di u n programma; perchè i mandanti possano aver

non solo la fiducia personale, bensì la fiducia che saranno con

criterio certo e con norme stabilite curati gl'interessi d i tutti.

E i l corpo elettorale, composto d i tutte le classi sociali, dal

professionista al proprietario, grande e piccolo, all'operaio, al-

l'agricoltore, misurerà il programma coi bisogni della propria

classe e con le esigenze collettive ; riconoscerà nei .candidati l a abilità e la volontà di attuare quel programma; e approvando i l

programma, affiderà loro il mandato.

Si dirà che tale criterio elettorale è una bella utopia, una

fictio juris, creata a dimostrare la ragionevolezza del diritto di voto accordato al popolo; ma che a l fatto non corrisponde.

Sia ; ma la colpa non è della ragione del diritto, che si vuole convertire in una finzione; è del corpo elettorale, non educato,

che baratta così nobile ufficio col vile e incosciente di appog-

giare i l favorito o i l prepotente; è del popolo, che si dimentica

la ragione del suo diritto, per asservire sè e la cosa pubblica alle

ambizioni, alle pretese, agl'interessi personali; e se di questo

passo in tutti i comuni d'Italia si andrà allo sfacelo, la colpa è degl'italiani, che arccora bisogna fare!

Del resto la coscienza pubblica' la prima a sentire le ano- malie, lo attesta che questa strada non spunta; e nei centri più colti sorgono i partiti a base di programmi. Consento che i pro- grammi tante volte sono stabiliti al lume di falsi criteri ammi- nistrativi e sociali; una ragione di più, perché il corpo eletto- rale si levi all'altezza del diritto che esercita.

Però è ben chiaro che quando popolo e candidati sono mos- si d a -- un -d ea!e da raggfangeie, e sentono !a potcnza di questo

ideale, deve di necessità scomparire tutta la fungaia elettorale e quella zavorra che porta la barca comunah a fondo. Coloro che aspirano a posti, impieghi, imprese; tutti i parassiti che vi- vono del partito per vivere del comune, e che fan costare caro il loro voto per puntellar le persone, non hanno più ragion d'es- sere; come non devono avere ragion d'essere i grossi galoppini dei partiti, i ricattatori dei voti, davanti ai quali l'amministra- zione è costretta a chiudere un occhio ; né avrà ragion d'essere il favoritismo nella nomina degl'impiegati, violando spesso i di- ritti del più meritevole per i torti del più accorto; nè la ven- detta contro un personale poco benevolo ai sopracciò del par- tito dominante; nè infine la corruzione del voto, che dalle classi alte si riversa nel popolino, che si contenta delle due o cinque lire e della sbornia alla taverna, in barba al candidato che paga. Mali questi che demoralizzano i paesi, e invece di fare progre- dire i popoli, l i fanno ritornare ai tempi dell'impero romano o della decadenza della repubblica, ricacciando così la civiltà venti secoli indietro; e che infine riflettono tutti i cancri delle nostre amministrazioni, dove prevale sempre l'interesse dei singoli.

Non così quando la vita elettorale di un popolo è lumeggiata da idee e da programmi; se gli interessi personali non verranno eliminati del tutto (cosa.de1 resto assai difficile), verranno soffocati da coloro che han promesso al popolo di seguire un dato pro- gramma e di sposarne la causa; da coloro che per un'educazione franca e superiore, sapranno resistere e vincere. Allora l'amhi- zione o l'interesse personale saran vinti dalla serietà del partito, che annunzia il suo programma, lo popolarizza sulla stampa e nei comizi, e si fa giudicare senza le preoccupazioni dell'urna,

che potrebbe a&e dare il stto responso negativo, e sbalzare dal seggio chi in fin dei conti non fa altro che rassegnare al popolo, senza rimorsi e senza recriminazioni, i l nobile mandato.

Alto ideale che non si può effettuare in un giorno, nè si può comprendere in tutta la sua ampiezza quando ire, interessi, am- bizioni politiche inquinano l'ambiente elettorale. Pure è neces- sario che gli uomini che davvero amano il paese e non in ap- parenza, fermino nella mente e mettano come meta ai loro sfor- zi questo ideale, cioè l'educazione elettorale di convinzioni e di principi. Non inchinarsi mai alle esigenze del momento, non cedere un punto alle amicizie e agl'interessi: sentire e vivere la vita sociale del benessere comune in tutta la sua forza e la sua potenza.

Abbiamo questi uomini? - Se non li abbiamo, cerchiamo di averli.

È perciò che la Croce di Costantino si permette presentare le linee generali di un programma, che buoni amministratori dovrebbero seguire :

1. Rimandare a miglior tempo le opere pubbliche straordi- narie che non siano di assoluta necessità.

2. Limitare in più stretti confini le altre spese straordinarie e le ordinarie facoltative.

3. Respingere ogni prestito nuovo che non sia devoluto ad opere rimunerative pel municipio o per la cittadinanza.

4. Semplificare i rami dell'amministrazione e togliere gli uf- fici superflui creati per ragioni elettorali.

5. Abolire il dazio sulle farine e sulle paste.

6. Aumentare in equa misura il dazio sui generi di lusso e sui manufatti, che fanno concorrenza al lavoro cittadino.

7. Regolare la distribuzione delle tasse in modo che ne ven- gano sgravati i meno abbienti, e si inizi la graduale abolizione del dazio di consumo.

8. Far le nomine degl'impiegati comunali a concorso: lasciar liberi i dipendenti dal municipio nell'esercizio dei diritti civili e politici; né rimuoverli dal posto o impiego per ragioni elet- torali.

9. Promuovere scuole complementari e possibilmente d'arti e mestieri per i nostri operai. Agevolare la costituzione d i coo- perative di lavoro, di consumo e di credito.

10. Fare osservare rigorosamente il riposo festivo nei rap- porti diretti o indiretti coi propri dipendenti, e farlo osservare dai propri appa1tatori.e concessionari.

11. Stabilire ai propri dipendenti e a quelli che dipendono dagli appaltatori e concessionari municipali un minimo di sa- . lario conforme a giustizia e un massimo di ore di lavoro rispon- dente alle diverse condizioni della mano d'opera; e provvedere che sia concesso agli operai ed altri dipendenti, in ciascun gior- no, i l riposo meridiano di due ore.

12. Fare che nelle scuole elementari comunali venga impar- tito bene e da persone idonee l'insegnamento relig'ioso.

13. Non concedere il teatro "comunale ,per rappresentazioni immorali e irreligiose.

14. Continuar le pratiche per riaprire con istitutrici religiose 1'Educatorio Margherita; e studiare il modo di fondare un isti- tuto maschile. d i educazione.

Sono queste le linee generali che possono servire di base agli elettori per giudicare. E noi a i fatti

il crociato

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, i 8 giugno 1899).

NORD E SUD DECENTRAMENTO E FEDERALISMO

L'affare dell'abolizione del dazio sul grano ha dato l'occa- sione a ripetere tutti gli argomenti, veri e falsi, per cui si riac- cende così spesso il dibattito di gelosie. e di reclami a base di interessi economici, tra le diverse regioni d'Italia.

E mentre altrove una tale questione si sarebbe svolta come fatto semplicemente economico tra agricoltura ed industria, da

noi si è svolta anche come fatto politico tra regione e regione. Non vorrò io negare, anzi l'affermo, che l a politica finanzia-

ria ed amministrativa dell'Italia è stata, sin dalla formazione dell'unità di regime, senza equilibrio e senza giustizia distribu- tiva fra l e diverse regioni, tanto da determinare un vero dualismo con l'oppressione, s'intende, della parte più debole.

Quest'asserzione, luminosamente dimostrata a base di cifre, o con una statistica convincente, l'assumo come postulato, pur- troppo indiscusso.

Io tendo a l pratico: per questa volta il dazio sul grano è stato mantenuto, specialmente in riguardo ai nostri interessi agricoli. - Ma e per l'avvenire? - E il sistema?

Non vale l a pena far dei pronostici; l'ufficio della stampa non è quello di fa r da profeti, ma quello invece di agitar delle idee sane e pratiche e di tenere deste l e agitazioni legali d i popoli liberi, che mirano a l proprio miglioramento. .

È stato annunziato anche dal Sole e ripetuto dagli stessi pro- motori, che gli onorevoli deputati siciliani a l parlamento si so- no costituiti in comitato per gl'interessi della Sicilia.

Troppo tardi! han detto alcuni; - inutilmente o con poca utilità! - han ripetuto altri.

Io sono u n po' scettico in proposito, e credo poco a117unione all'energia ed a l buon volere dei deputati siciliani. Del resto, che abbiano costituito un comitato parlamentare per gl'interessi siciliani è un bene, e che vi lavorino sul serio è sempre tanto di guadagnato.

Ma nessuno di noi si deve illudere sull'efficacia dell'opera dei deputati siciliani, anche contro il buon volere degli stessi, per la maledetta politica di corridoio, per le combinazioni di gruppetti, per l e diverse tendenze dei partiti, per le esigenze del momento, cose tutte che predominano nel caos montecitoriale, e che più degli altri appassionano i nostri deputati meridionali.

E poi, ammesso che i deputati siciliani otterranno dei van- taggi per la nostra isola, non potranno di certo nè modificare il sistema di squilibrio finanziario che regna da quarant'anni; nè avviare la politica finanziaria ad una razionale proporziona-

l i t i fra le diverse regioni; tanti interessi, vincoli di bilancio, determinazioni finanziarie, diversità di combinazioni e riper- cussioni economiche (per non parlare delle serissime ed insor- montabili difficoltà politiche) esistono nel mare nagnum gover- nativo!

Infine, si crederà forse giusto che la Sicilia ed il meridione, danneggiati da tanti anni, rendano oggi la pariglia al nord e si procurino, per mezzo di comitati più o meno parlamentari, que- gli utili, quei ~ r iv i l eg i e quelle concessioni governative, che lederanno le altre regioni italiane?

Come non è stata politica equa la passata, non sarebbe nep- pure equa la futura.

Per esempio: se non era lecito che i consumatori del nord reclamassero la totale abolizione del dazio protettivo sul grano, con grave danno dell'agricoltura del sud; era forse naturale che il sud reclamasse la conservazione del dazio protettivo del gra- no, con danno dei consumatori del nord? - Lo stesso si dica delle industrie del nord protette a danno dei consumatori del sud.

Non si vuole l'egemonia, ora di Sparta ora di Atene, rispon- dono molti; solamente un'equa distribuzione d i pesi e di van- taggi fra tutte le regioni: ed è giusto. Ma sinceramente, si crede forse che le diversità fra le varie regioni, di condizioni, di edu- cazione, di tradizioni, di attivit,à, di ricchezze, di produzione, possano, per decreto del ministero o per legge del parlamento, ridursi ad una uniformità aritmetica, che divenga la base della distribuzione rateale della finanza dello stato?

Nitti nel suo celebre libro, fra gli altri, stabilisce il confron- to fra le provincie di Bari e di Alessandria, ambedue quasi uguali di popolazione e di superficie. Non riporto i risultati per non abusare della pazienza del lettore; del resto la statistica muta non può dare che cifre, le quali manifestano la spropor- zione enorme fra i due paesi, e non le vere cause della spropor- zione. Perché, a pigliar una sola cifra, per l'imposta erariale sui fabbricati, Bari nel quinquennio 1894-98 ha pagato L. 2.324.503 ed Alessandria 1.362.146, cioè Bari ha pagato circa u n milione di più.

La ragione è evidente: nella provincia di Bari le abitazioni

sono aggloinerate nelle più o meno popolose città; nella provin- cia di Alessandria sono disseminate nelle campagne; le seconde sfuggono all'imposta, le prime invece vengono colpite.

Si potrebbero moltiplicare gli esempi: l'unità d'imposta sui terreni, se si stabilisce in ragione dell'estensione territoriale, grava proporzionalmente di più sui latifondi meno fertili e me- no coltivati del meridione, che sui terreni a cultura intensiva del settentrione; se invece si stabilisce in ragione della produt- tività, i settentrionali, pii1 laboriosi, ne risentirebbero di più dei meridionali, che continuano disgraziatamente nei sistemi pri- mitivi di agricoltura.

Un dazio protezionista può riuscire favorevole per una re- gione, dannoso per un'altra. Se la distribuzione dei vantaggi da parte dello stato si fa in ragione di popolazione, ci ~ e r d o n o le regioni meno popolose, benchè più attive; se invece in ragione di territorio, ci perdono le regioni più agglomerate. L'uno e l'altro criterio fa perder di vista lo sviluppo delle industrie e dei commerci, le qualità morali degli ambienti, la quantità dei capitali applicati alla produzione, le attitudini speciali, la ne- cessità di sbocchi, di viabilità, di punti strategici ecc., per i quali da una parte non si può esigere quella eguaglianza che diver- rebbe sproporzione e ingiustizia o errore, dall'altra i l governo centrale è per necessità di cose inetto ed inadatto a valutare le vere condizioni economiche e morali di ogni singola regione.

È evidente che se il gridare all'ingiustizia e alla spropor- zione vale solamente ad eccitare allo studio dei rimedi, l'aspet- tare clal governo centrale o dal parlamento una razionale pro- porzione di pesi e di vantaggi, pur continuando nell'attuale si- stema, è puerile e fantastico; come è pressochè irragionevole il confidare nella buona volontà dei deputati siciliani, perché la loro buona volontà (che io non voglio negare) s'infrangerà con- tro il sistema accentratore e uniforme.

Tra tutte le cause della questione del nord e sud Italia, pare adunc~iie che le principali siano l'accentramento di stato e l'uni- formità tributaria e finanziaria.

Se si vuole perciò arrivare alla radice del male si deve avere .

il coraggio di affrontare la questione, senza le solite titubanze, e volere quel rimedio ( lo chiamiamo eroico?) che gli uomini po- litici liberali hanno paura di proporre, per una di quelle false concezioni che fatalmente predominano nella storia.

I1 rimedio sarebbe ed è un sobrio decentramento regionale amministrativo e finanziario e una federalizzazione delle varie regioni, che lasci intatta l'unità di regime.

Non voglio essere frainteso, perchè la poca saldezza di fede nei principi liberali, sui quali si è voluta poggiata l'unità della patria, è In causa di rin timur p a n i ~ o e &oso che invade i nostri uomini, quando si parla di decentramento e di federalizzazione regionale, e che l i ha costretti a sancire quell'uniformità. che dovea servire a togliere l e cuciture ( è parola di Crispi) delle va- rie regioni, e dovea dare la spinta a quell'accentramento di stato, che è la rovina delle nazioni moderne.

La questione nostra non è politica ; è amministrativa e finan- ziaria. Che le regioni italiane abbiano finanza propria e propria amministrazione, secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle loro forze, senza che queste forze vengano esaurite o sfruttate a vantaggio di altre regioni e a danno proprio, è razionale e giusto, date le enormi differenze che intercedono tra l e une e l e altre. Come è razionale e giusto che si possano tra le regioni ripercuotere i vantaggi ed i beni delle une sulle altre, per quel santo principio di nazionalità, che invece di disconoscere, altamente proclamiamo.

L'unità di regime serve a collegare finanziariamente ed eco- nomicamente le regioni, e a dare unità legislativa: giudiziaria, coattiva e militare, e in tutto ciò che è appartenenza politica interna od estera.

È tempo oramai di comprendere come gli organismi infe- riori dello stato - regione, provincia, comune, - non sono sem- plici uffici burocratici o enti delegati, ma hanno e devono avere vita propria, che corrisponda ai bisogni dell'ambiente, che svi- luppi le iniziative popolari, dia impulso alla produzione ed al commercio locale.

Così solo si potranno togliere le sproporzioni, ed avviare l e regioni alla tutela ed a l miglioramento delle proprie industrie, alla razionale ripartizione dei pesi ed alla giusta partecipazione

a i vantaggi. E così solamente la questione del nord e sud pi- glierà la via pratica di soluzione, senza ingiustizie e senza odii é rancori.

I1 giornalismo italiano dovrebbe far sue queste tendenze, che qua e là si vanno manifestando, dando loro il coefficiente della popolarità, che è uno dei fattori d i un buon successo. .

I1 Sole, nato per la giusta tutela degl'interessi del sud, son sicuro che desta la pubblica opinione siciliana, fa la rivendica- zione delle autonomie regionali contro l'accentramento e l'uni-

. formità dello stato.

( I l Sole del mezzogiorno, Palermo, 31 marzo-lo aprile 1901).

IL SENATORE SAREDO E LA MUNICIPALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI

Nel n. 167 del Sole leggo un telegramma da Napoli, che an- nunzia essersi il Saredo, dai risultati dell'inchiesta sull'andamen- to del municipio di Napoli, convinto della necessità ed urgenza d i una legge che obblighi i comuni, dentro certi limiti, a muni- cipalizzare i servizi pubblici: dicesi che in proposito sottoporrà a l governo un progetto completo.

La notizia è interessantissima; e quantunque son sicuro che si attenderà molto ad avere una legge che sanzioni l'obbligo del- la municipalizzazione dei servizi pubblici e ne regoli l e moda- lità (ricordo che nel 1899 fu redatto un progetto su questo ar- gomento con criteri sani, che però non ebbe neppure l'onore della presentazione), pure l'affermazione esplicita e recisa del senatore Saredo, proprio in conseguenza a i disastri finanziari e a i brogli amministrativi del municipio della città più popolata del171talia, non può non influire sulla diffusione di un'idea che si va facendo strada nella coscienza degli amministratori e de- gli elettori dei nostri comuni.

La scienza economica si è oramai impadronita di questo ar- gomento, e le sue deduzioni, per quanto potevano ieri sembrare o paradossali o troppo ideali, nessuno - che voglia serenamente

studiare l'argomento - oggi vi è che non le riconosca basate su accertati principi teorici e splendide attuazioni pratiche. E i l noto, trito, eterno ritornello, che tutto il giorno, a nostra ver- gogna, ci tocca sentire, anche a proposito della municipalizza- zione dei servizi pubblici: cioè, che « l'Italia non è 1'Inghilter- ra, non è i l Belgio, non è la Svizzera n, deve per una buona vol- ta cessare, almeno da parte d i coloro che hanno un po' d i amore di patria e di dignità d'italiani.

Comprendo bene che il movimento municipalista non può partire in tutta la sua forza intensiva ed espansiva dal vecchio partiio liberale; e ciò per due condizioni, una teorica e l'altra di fatto. Esso è in gran parte refrattario a qualsiasi concetto so- ciale; e anche quando dalla forza della corrente vi è attratto, porta sempre i l bagaglio del pregiudizio individualista.

Ma c'è altro: i l partito liberale è quello che, dominando nei comuni, ne ha sfruttato le finanze con appalti più o meno lo- schi, impiegandovi grossi capitali e costituendo camarille, cric- che e consorterie, e traendo i l suo vantaggio proprio dallo svan- taggio del pubblico e dei municipi.

E l'illustre senatore Saredo ha potuto costatare coi fatti, nel- l'esemplare amministrazione Summonte del municipio di Na- poli, quanto possa tentare u n partito egoistico negli appalti dei pubblici servizi.

Del resto, è una condanna di più a un partito che è destinato a morire, e contro il quale si è sollevata la coscienza pubblica italiana, in ciò abilmente sfruttata dai socialisti, che hanno as- sunto la facile posa d i moralizzatori.

Noi che della municipalizzazione dei pubblici servizi ne ab- biamo fatto un capo del nostro programma sociale, insieme agli onesti cultori delle scienze economiche e alle più progredite e coscienziose amministrazioni comunali dell'Italia e dell'estero, ci compiacciamo della proposta che farà il Saredo ; e se i l gior- nalismo ha una forza nella vita pubblica, la vorremo impiegare a questo fine.

I principali servizi pubblici, per cui si reclama d'urgenza la municipalizzazione, sono la distribuzione dell'acqua e della

luce, l'esercizio delle tramvie, dei carri mortuarii e della nettezza urbana, la riscossione dei dazi, e in generale quei servizi, i quali per la condizione di fatto escono dal campo della libera concor- renza, costituendo un vero e necessario monopolio ; e in rapporto alla popolazione di un comune, tendono alla soddisfazione di bi- sogni sociali.

I vantaggi che presenta la municipalizzazione dei pubblici servizi sopra l e concessioni ai privati, siano di indole sociale che economica finanziaria, non formano più un vero oggetto di discussione.

Si sa, ed è naturale, che I'appaltatore o concessionario ten- de al lucro come finalità; mentre il comune tende e deve ten- dere al soddisfacimento dei bisogni sociali. La diversità delle finaliti dell'uno e dell'altro, e nella maggior parte dei casi an- che l'opposizione, dà, come suo1 dirsi, il tono diverso all'espli- cazione delle imprese (passi la parola capitalista) e all'esercizio dei servizi

L'appaltatore ha l'interesse di pagar gli operai quanto meno è possibile e di farli lavorare quanto più gli conviene, abusan- do della concorrenza della mano d'opera ; e la mancanza di clau- sole sociali negli appalti o concessioni della gran maggioranza dei nostri municipi è una piaga assai profonda. È perciò con- statato dalla statistica che gli scioperi avvengono più di rado nelle amministrazioni dello stato o dei comuni, anzicchè nelle amministrazioni delle imprese private; ed è ovvio, perchè gli operai nelle imprese private sono più esposti allo sfruttamento.

È inoltre comune il caso che l'appaltatore, se cerca di ese- guire inappuntabilmente il servizio pubblico delle località abi- tate o frequentate dalle classi colte, e il servizio privato che gli è fonte di lucro, trascura però, per quanto gli è possibile, i l servizio dei rioni popolari, dove maggiore è il bisogno di acqua, di luce e (li pulizia.

Potrei riempire le colonne del giornale riportando delle ci- fre climostrative dei vantaggi economici e finanziari dei comuni e delle popolazioni, derivati dalla municipalizzazione dei ser- vizi pubblici, sia all'estero che anche in Italia (benchè noi siamo solo alle prime prove); e rimando il lettore al citato studio di G. A. Morelli.

Contro fatti e dati, è per lo meno esagerata l'obiezione che i municipi non possono essere mai dei buoni impresari d i azien- de capitalistiche (forma che oggi assumono le direzioni d i molti servizi pubblici); perchè anche qui fortunatamente i fatti smen- tiscono questa che devesi chiamare pseudo-teoria. Ed è da spe- rare che i municipi italiani, rompendola una buona volta con i pregiudizi inveterati e con le tradizioni misoneistiche, voglia- no studiare le pratiche questioni di indole locale, al lume di que- sti principi, e con forza e costanza spezzare la catena capitali- stica dell'affarismo, che l i tiene avvinti ai vecchi sistemi.

Mi preme perciò fermarmi su due idee fondamentali e neces- sarie affinchè la municipalizzazione dei servizi pubblici non perda il suo carattere proprio ed essenziale e si trasformi in u n nuovo sfruttamento, mutate le guise.

La prima idea fondamentale ed animatrice si è che in questo sistema deve predominare il carattere sociale.

Uno degli errori moderni è quello di sconoscere i l carattere vero e reale e la funzione naturale del comune. A poco a poco, pe r le potenti infiltrazioni della coalizione liberale della vita, nonchè pel carattere assorbente del panteismo di stato, precorsi dal predominio regio e dal docile servilismo dei nostri padri, il comune è stato concepito semplicemente come un organo ammi- nistrativo-burocratico. E pure l e gloriose nostre tradizioni sono tutte contrarie a questa concezione erronea e dannosa del comu- ne. Sin dalla costituzione dei demani comunali, che per un'alta funzione sociale (non sempre nè dapperttutto adempiuta) dove- vano servire a i bisogni della povera gente, attraverso tutto il me- dio evo, arrivando sino allo sviluppo corporativo, all'autonomia sociale dei comuni, retti con saggezza politica, il concetto socia- l e ha quasi sempre animata la funzione e la legislazione dei no- stri gloriosi comuni.

La municipalizzazione dei servizi pubblici, sistema di carat- tere del tutto moderno, riavvia il comune alla sua funzione na- turale e storica. Non devono perciò i municipi gestire i servizi pubblici con criteri capitalistici e con indirizzo sfruttatore; e ciò sia nell'altezza delle tariffe, sia nella larghezza della distri-

buzione gratuita, sia nella sufficienza dei servizi in rapporto ai bisogni della classe povera e dei rioni più miseri e abbandonati, sia nei rapporti dei municipi con gl'impiegati e gli operai ad- detti a questi servizi.

Se non ricordo male, i l comune di Milano, che ha di già mu- nicipalizzato l'esercizio delle tramvie elettriche, la mattina e la sera, quando- gli operai vanno e tornano dal la-voro nel le fab- briche, poste in gran parte nel circuito esterno, fa pagare mezza tariffa, cioè cinque centesimi la corsa, cosa che torna assai utile all'operaio.

I1 concetto sociale, quando è tenuto presente in giusto rap- porto col bisogno della popolazione e con le esigenze finanziarie del comune, non aggrava i 'bilanci oltre la loro potenzialità, e corrisponde all'ideale della giustizia e dell'equità sociale e della vera funzione dei comuni.

L'altra considerazione è di indole puramente amministrativa. Si dice e si ripete che il municipio è un cattivo amministra- tore; le influenze interessate e deleterie di coloro che tentano speculare nelle aziende comunali, potranno anche esplicarsi, ben- chè in diverso modo, quando i servizi pubblici saranno munici- palizzati; con danno sempre non solo della finanza comunale, ma anche della parte tecnica dell'esercizio, là dove si tratti del- l'illuminazione a gas o a luce elettrica, o dell'esercizio dei tram- vai elettrici.

Che le cattive inffuenze vi potranno essere, non si mette in dubbio ; la municipalizzazione dei servizi pubblici non muta gli uomini; però non è difficile alle amministrazioni comunali pre- venire i passi dei disonesti e degli affaristi politici, neutraliz- zando le loro influenze, col dare alla direzione e amministra- zione di questi servizi, specialmente per la parte tecnica e per la vigilanza del personale addetto, quell'auto~nomia e quella

respomabilità tanto necessaria in questo genere di imprese; la-

sciando al consiglio solamente l'approvazione dei bilanci pre-

ventivi e consuntivi.

Padova, per la municipalizzazione dell'illiiminazione a gas,

ha dato in proposito un bellissimo esempio, suffragato dalla esperienza, benchè di pochi anni; esempio degno davvero d i

essere studiato. E spero poterne parlare sui giornali, quando avrò informazioni esatte, precise e dettagliate.

I1 concetto di giusta e limitata autonomia e responsabilità, che tanto ripugna a coloro che dell'uficio di consigliere o di assessore ne fanno un mercato (anche morale, ma sempre mer- cato), è la salvaguardia per la retta gestione dei servizi muni- cipalizzati. È da augurare che la legge voluta dal senatore Saredo, venga, presto e bene; che le amministrazioni comunali, anche senza la legge che ve le obblighi, si mettano su questa via; per- chè oramai la questione della municipalizzazione dei servizi puh- hlici può dirsi matura.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 24 luglio 1901).

LA QUESTIONE DEL MEZZOGIORNO

Dalla indistinta coscienza di molti, ai fogli quotidiani e set- timanali, ai l ibri più o meno pensati, è arrivata a Montecitorio la questione del mezzogiorno, non più come una questione sola- mente amministrativa, o edilizia, o agraria, o morale, ma come una questione complessa, maturata in quarant'anni di errori, d i malgoverno, di corruzione e di miseria.

E la questione è insieme economica, morale, amministrativa, politica; che non è sintetizzata né dagli scandali d i Napoli, né d a l l ' a ~ ~ u e d o t t o pugliese, né dalla sperequazione fondiaria, né dai trattati di commercio, né dalle crisi agrarie, né dall'analfa- betismo, né dalla forma barbara del delitto, né dalle mafie elet- torali, né dalla antipatia fra nord e sud, ma è qualche cosa che rassomiglia allo spostamento dal centro di gravità, allo sloga- mento di un osso, alla vertigine permanente ... i l mezzogiorno, nellYItalia d i oggi ci sta a disagio, è fuori posto, manca della sua naturale posizione.

Questa verità cruda, si sente ma non si ha i l coraggio di dirla, perché la retorica unitaria tarpa le ali alla libera discussione di un pensiero oramai maturo; il pensiero di una più organica

vita delle parti di questa Italia, che non è clestinata alla uni- formità, ma a una unità risultante dalle varie tendenze delle vite diverse delle sue regioni.

Francesco Crispi a Milazzo con frase felice disse che tuttora si vedono le cuciture di questa Italia una.

Quelle cuciture indicano tutto un complesso di errori, d'indi- rizzo di governo, di criteri politici, di insanabili differenze di educazione e di idee, di vita economica e di concezione sociale, che arrivano allo stacco degli animi delle diverse regioni; nono- stante che a Montecitorio l'on. Luzzatti abbia voluto far credere all'idillico imeneo del nord col sud.

Parliamoci chiaro: nord e sud sono, due termini irriducibili e inconciliabili: ecco la verità.

Verità dolorosa, se si vuole, dura forse agli orecchi adusati alla lirica del quarantotto, ma non per questo meno evidente e meno chiara.

E la colpa non è nostra, non è neppure dei fratelli del nord. Gli statisti meridionali ci fanno conoscere i numeri dei milio-

ni dal sud esulati verso il nord; e dimostrano ad evidenza la preferenza data dallo stato al nord a danno del sud nelle ferro- vie, nelle scuole, nella marineria, nell'indirizzo della finanza e giù di lì.

Ma via, che si pretende, che lo stato adesso muti tono, e inizi una finanza a favore del sud con danno del nord? - Che l'indirizzo industriale si muti in indirizzo agrario? - Che si tolga a La Spezia per dare a Napoli? Che si rovini l'alta pe r migliorare la bassa Italia?

E non basta: c'è tutt'altro che i l solo lato economico a se- gnare le forti differenze, che né Montecitorio né altri potrà appianare.

C'è l'educazione politica: le masse del meridione non vi- vono la vita della nazione, non delle concezioni politiche, non del movimento di idee ... il campanile, i l deputato, ecco tutta la vita delle nostre masse.

E in alto l a corruzione, la sopraffazione dei politicastri inte- ressati, delle sanguisughe dei municipi, dei manutengoli della mafia e della camorra.

Tutto ciò produce una inferiorità di vita sociale, di forza

morale nella nazione, che riduce una parte così importante della nazione a essere serva, terra di conquista, regione da sfruttare e da piemontizzare, come dicevasi un tempo.

Lo squilibrio prodotto da tale stato, si ripercuote inconscia- mente in tutte le esplicazioni della vita; e non varrà certo la mozione votata all'unanimità dai deputati di migliorare le sorti di Napoli e del meridione, a modificare questo stato d i cose.

La radice è una, una sola. - Io sono unitario, ma federalista impenitente.

Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l'iniziativa dei rimedi ai nostri mali; ... non siamo pu- pilli, non abbiamo bisogno della tutela interessata del nord; e uniti nell'affetto di fratelli e nell'unità di regime, non nella uniformità dell'amministrazione: seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell'esplicazione della no- stra vita.

Se non si Iia i l coraggio di affrontare il problema, resterà Luzzatti col suo idillio, Ferri colle sue guasconate, i deputati del meridione con le loro pretese coalizioni ... e noi coi nostri mali dalla crisi agricola ai Casale di Napoli e ai Martinez di Palermo. . . .

Del resto, è i l frutto del liberalismo che cade mezzo fradi- cio dall'albero ; lasciamolo cadere, pensando e lavorando a nuove e ardite idealità.

I l crociato

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 22 dicembre 1901).

IL CREDITO AGRARIO IN SICILIA

L'on. Maggiorino Ferraris, relatore del progetto d i legge sopra la riforma agraria, ha pubblicato ultimamente sulla A7uova Antologia un importante studio sul credito agrario in Sicilia,

illustrando con competenza i criteri seguiti dalla commissione

parlamentare. I1 problema complesso e urgente del credito agrario in Sici-

lia affatica le menti d i quanti si occupano con amore delle sorti infelici della nostra bell'isola; e dovrebbe essere la preoccupa- zione di tutti i siciliani, senza mire di partito, né tornaconti

innominabili.

Sventuratamente noi si è buoni solo a fare di tanto in tanto un po' di chiasso in qualche comizio; e, dilettanti nei vari rami

della pubblica economia, non vediamo più sù del piccolo mondo

,l'intrighi e di interessi che ci circonda e ci avvince. Intanto, mentre il capitale abbonda, mercé un notevole miglio-

ramento della vita economica in generale ed una circolazione più rapida e più fruttifera, la crisi agricola, lasciata in balia di sé stessa, senza risorse di capitali e senza sviluppo commerciale

proporzionato, pesa sulla nostra Sicilia, come la nemesi fatale della nostra inettitudine economica e politica.

La nostra terra ha bisogno di credito; ogni giorno che passa

è una dolorosa prova di più che ci costringe quasi a disperare d i noi stessi.

In Sicilia non ci sono che pochi istituti d i credito; e di

questi, parecchi esercitano tutti i rami del credito tranne il cre- dito agrario. I1 peggio si è che i piccoli centri rurali, che non

+

hanno altra risorsa che la cultura delle terre. mancano assoluta-

mente di istituti d i credito, tranne una quarantina di comuni . dove i cattolici hanno fondato delle casse rurali ; le quali poi o

funzionano per poche migliaia di lire, o sono circoscritte a u-n

centinaio e più di persone. Si aggiunga che gl'interessi del cre- dito, per necessaria condizione di cose, sogliono essere spropor- zionati ai bisogni dell'agricoltura, che rende ben poco, o perché

la terra è sfruttata, o perché la cultura è assai primitiva. o per- ché i commerci sono poco avviati.

In questa condizione di cose, e dato l'assenteismo fenomenale anche di coloro che sbraitano nei comizi, nonché la sfiducia

generale che regna in fatto di credito, si domanda se sia il caso

che lo stato intervenga come creatore e ordinatore ufficiale del credito agrario.

L'on. Maggiorino Ferraris nel seno della commissione parla-

mentare ha sostenuto un suo antico progetto di nazionalizzazione del credito, applicato alla regione sicula.

I1 progetto è ingegnoso e in molte parti corrisponde ai biso- gni principali del credito.

I n quanto ai capitali egli parte dal concetto, che potrebbe dirsi prudente, cioè dal poco andare al molto. Con una somma di 10 o più milioni dati dal governo, dal Banco di Sicilia e da altri istituti agrari, iniziare il movimento di credito della Unione agraria regionale, che avrebbe 170 unioni mandamentali e 187 agenzie presso la posta; così ad ognuno dei 357 comuni siciliani arriverebbe decentrato, e forse anche in pillole, i l beneficio del credito.

I1 prestito sarebbe concesso ad ogni proprietario in rapporto all'imposta fondiaria, da 10 a 25 lire per ogni lira di imposta; così ad ogni ettaro di terreno netto da ipoteche verrebbe con- cesso in media da lire 30 a 75 di credito ; se però sopra il terreno gravano delle ipoteche, secondo il progetto, non si potrebbero sorpassare le L. 30. Gl'interessi sarebbero fissati al 5%. La forma del credito verrebbe fatta in natura, (semenze, macchine, barbatelle ecc.) e a lunghe scadenze, mediante conto corrente garantito, avente 'forza contrattuale e carattere esecutivo; la riscossione verrebbe eseguita dalle esattorie delle imposte.

L'Unione regionale sarebbe in corrispondenza bancaria con l'Unione nazionale mediante obbligazioni girate. Con questo mezzo si avrebbe la comunicazione commerciale e bancaria con tutte le regioni italiane ed anche con l'estero; effettuandosi così poco a poco la perequazione del capitale.

Questo per sommi capi i l progetto che attende la discussione e l'approvazione della camera. E una forma di credito di stato, che. non smentisce la marca ufficiale neanche col proposto decen- tramento e con la creazione delle unioni mandamentali. - Però se è vero, come dice il Ferraris, che le forme organiche di cre- dito sviluppate per iniziativa privata indicano un popolo pro- gredito nella civiltà, cosa che non si può dire della Sicilia e specialmente del nostro agricoltore, è una necessità di benessere pubblico che lo stato intervenga anche nella iniziativa del cre- dito, non solo come ordinatore legislativo, che è sua compe- tenza, ma anche come pratico iniziatore e creatore.

Ciò però non importa, come potrebbe a prima vista sembrare, che lo stato debba monopolizzare i l credito con un formulismo assorbente, e con regolamenti che pioverebbero ab alto ad in-

ceppare lo sviluppo che le iniziative e l'attività dei cittadini

potrebbero dare. Oncle si dovrebbe studiare il modo di associare, con reci-

proca garanzia, l'unione delle iniziative private alla iniziativa

dello stato; affinché sul serio e non sulla carta, si dia reale im- pulso alla costituzione delle cooperative, che potrebbero e do-

vrebbero esser la base di operazione di questa nazionalizzazione del credito. E le unioni mandamentali non dovrebbero essere organismi ufficiali o quasi, ma organismi vitali, con della parte-

cipazione di interesse e di solidarietà da parte dei piccoli e dei grandi proprietarii.

Altrimenti il credito resterà sempre rachitico e in mano a

funzionari burocratici, senza il criterio locale e personale e senza slancio, condizioni necessarie ad un vero sviluppo e progresso.

Un'altra osservazione viene spontanea allo studio del pro- getto; esso ha tutta la sua base sulla proprietà £ondiaria, ed è bene. Però si deve pensare che in Sicilia tre quarti delle terre

sono gravate da ipoteche enormi; e il credito ipotecario di consumo ha rovinato e rovina la nostra agricoltura.

Se non si dà l'agio della trasformazione di questo enorme

debito, che grava rovinoso sulle nostre contracle, è poco o nulla che il proprietario abbia il fido di L. 30 per ogni ettaro;

somma irrisoria per la trasformazione urgente della cultura, e per i miglioramenti razionali da apportarvi. E certo con dieci

milioni, che affidati ad un congegno burocratico, resteranno

sempre dieci, nulla di serio si potrà tentare. 11 credito agrario nostro non può affatto essere avviato con

mezzucci o con palliativi.

Tolte queste difficoltà, che credo essenziali, le altre disposi- zioni del progetto come la sostituzione del conto corrente garan- tito alla forma cambiaria, le scadenze, i l mezzo della riscossione,

la comiinicazione mediante girate con gli altri istituti nazio- nali, la istituzione d i un organismo di credito per ogni comune,

corrispondono ai reali bisogni delle popolazioni siciliane, e rac-

colgono il plauso di quanti s'interessano del pressante e mai soluto problema.

Non sappiamo quando i l progetto sarà portato alla discus- sione; però non pare che i l giorno sia troppo vicino. Sarebbe pertanto utile, che nella prossima esposizione agricola regio- nale, nel congresso delle cooperative a parte, si studiasse non a base di discorsi più o meno retorici, che ad ogni frase sonora riscuotono un applauso, ma con praticità di criteri e competenza, la riforma del credito agrario; presentando poscia le conclu- sioni a! parlamento, perché con maggiore conoscenza i depu- tati potessero deliberare. La Croce di Costantino presenta ai colleghi della stampa, promotori dell'esposizione, questa pro- posta, che non è affatto inutile, ma che potr-à avere la sua non lieve importanza.

Il crociato (La Croce di Costantino, Caltagirone, 9 mano 1902).

AUTONOMIE LOCALI

I1 problema delle autonomie comunali si può dire sia entra- to in un periodo di elaborazione e di preparazione prossima. Pa- recchio tempo addietro non si poteva parlare di autonomie co- munali, senza che i patrioti, a tempo perso, gridassero a chissà quale pericolo per lo stato, né più né meno come per l'affare della municipalizzazione dei servizi pubblici. E c'è ancora, non lo nego, chi alla parola autonomie sente lo spavento di una no- vità ... questa volta troppo vecchia. Però lo spirito pubblico si va modificando; anzi, sente una specie di reazione, p" IU O meno inconscia, contro l'accentramento di stato, contro quella specie di tutela esagerata e capricciosa delle autorità politiche e della giunta provinciale amministrativa, che non hanno, in fin dei conti, saputo tutelare nulla, e che hanno concorso con i loro

visto 1) alla rovina dei nostri comuni. La reazione si fa più forte quando si guarda al confiisio-

nismo finanziario per cui lo stato ha imposto degli obblighi a i comuni, eccedenti l e loro appartenenze come organismi locali,

l ecl ha dato u n carattere e un limite incerto, nella scienza finan- ziaria, alle imposte e sovraimposte e alle riscossioni di clazi d i consumo. Per non parlare, infine, delle coalizioni politico-muni- cipali, per cui i comuni divengono una vera piattaforma eletto- rale politica, e quindi 15amministrazione viene trasformata in consorteria e in favoritismi. D'altra parte, i comuni hanno im- pacci per le unioni intercomunali e regionali, e per la vera parte- cipazione alla vita nazionale come enti riconosciuti tali. Noi non abbiamo né camere di comuni regionali, né camera di co- muni nazionale. Eppure gli interessi nostri precipui s'imper- niano nei comuni e nella regione.

Non tutti a l centro vedono chiaro il problema delle auto- nomie comunali, in tutta la sua estensione; perciò è dovere della stampa svolgere una larga campagna perché si formi una coscienza chiara nel popolo e negli amministratori dei comuni; e perché l'autonomia comunale sia l'insegna dei partiti vera- mente moderni e decisamente popolari.

I1 problema è stato posto nettamente al congresso dei sindaci in Palermo e, senza contrasti, affermato. I1 non avere susci- tato contrasti può indicare o che quel congresso era intiera- mente convinto della verità del principio (cosa di cui dubito), o che non era sufficientemente edotto ( i l che è più facile ad ammettersi).

Però qual che si accetti delle due ipotesi, se muta il signi- ficato dell'affermazione palermitana, non muta il carattere della maturità del problema.

L'avv. Lovetere, dopo aver constatato che nell'interesse della vita economica dell'isola è necessaria l'attività unita di tutti i comuni siciliani, i quali perciò devono funzionare più che come enti burocratici, come organismi economici, e che per arrivare a ciò è necessaria l'autonomia comunale e la trasfor- mazione della finanza locale, propose l'istituzione di un comi- tato permanente fra i sindaci per la difesa degli interessi della Sicilia.

La proposta fu approvata. Si può dire che approderà? E d ecco u n passo in avanti che dà l'ori. Maiorana, che, rife-

rendo sulle autonomie comunali, con la competenza e con la moderazione di uno statista, propone che:

« 1) Si distinguano razionalmente le funzioni dei diversi comuni, tenendo conto delle diversità di popolazione, terri-

« torio, mezzi finanzia$ ; « 2) Si agevoli la costituzione dei consorzi fra i comuni, in

<t modo che agli interessi generali si provveda con una più economica ed efficace azione collettiva;

« 3) si inizi gradualmente, e per gli oggetti di maggiore « importanza, i l referendum ;

« 4) si istituisca una speciale magistratura locale per giudi- « care degli aiti delle amministrazioni comunali;

« 5) si prepari 'e quindi vigorosamente si attui un'ampia e « radicale riforma tributaria, col doppio intento di distinguere « nettamente le spese di interesse comunale da quelle d i inte- « resse nazionale e di separare recisamente i tributi locali da <( quelli di stato ».

I1 principio informatore delle proposte è basato sulla vera funzione del comune, come organismo naturale-sociale.

Però, non si arriva ancora al punto vitale; quello lì non si vuol toccare, perché ancora si ha paura che ne soffra queIla unità di nazione che è concepita come un tutto uniforme, come un valore geografico, e che si confonde con lo stato panteistico dei liberali; intendo dire la rappresentanza regionale dei comuni.

Ha ragione la Battaglia di Palermo che nel numero d i dome- nica scorsa parlava contro la creazione delle provincie, enti po- sticci, che non corrispondono a funzioni organiche e specifiche, e che servono così bene alle consorterie, e che sogliono nascon- dere e coprire tutti gli intrighi politici elettorali e ... ammini- strativi. Economicamente si è voluto creare la camera d i com- mercio, che non ha vere e reali attribuzioni. Noi abbiamo bisogno che la regione, in economia e finanza, sia autonoma e che questa autonomia corrisponda alla vitalità dei nostri co- muni. È i l caso d i parlare di camera regionale dei comuni per gli interessi economici della regione ... altro che fittizio comitato dei sindaci, che deve trascinarsi di ministero in mini- stero a piatire la legge sugli alcools e sugli agrumi, e deve limitarsi a far voti platonici e-sentirsi ripetere da un Baccelli qualsiasi ... (< io amo la Sicilia ».

Siamo sulla via clelle trasformazioni. Giolitti ha posto i l problema della miinicipalizzazione, noi poniamo quello delle aiitonomie.

I l crociato

( L o Croce di Costantino, Caltagirone, 8 giugno 1902).

VITA MUNICIPALE

Nel leggere le bozze della relazione della seduta ultima del consiglio pensavo al poco interessamento che in generale pren- de l a cittadinanza agli affari del comune; e tranne i casi straor- dinari, i fatti del consiglio sogliono interessare gli habituès dei casini e delle farmacie quanto, o forse meno, dei fatterelli del signor B o della signora X.

I1 pubblico dell'aula consiliare durante le sedute suole essere composto di pochi agricoltori e operai che sono a spasso e di qualche interessato in affari personali.

Vero è che i giornali cittadini riportano il sunto delle sedu- te e qualche volta commentano i deliberati, dal loro punto di vista, s'intende, ma ciò potrà avere u n valore molto relativo, se nel corpo elettorale manca l'educazione e i l sentimento della vita pubblica; o se, - toccando parecchi problemi da vicino il paese come l'affare dell'acqua, della illuminazione, della viabilità, dell'annona, - mancano i criteri per giudicare delle soluzioni da dare, manca la base di una discussione popolare (diciamo così), perché possa con giustezza di apprezzamenti valutarsi il contegno dei consiglieri e dell'amministrazione.

Uno degli ostacoli seri allo svolgimento della vera vita cit- tadina è l'abitudine della mentalità o meglio sentimentalit,à di partito.

I n generale i parteggianti per un partito, sia di maggio- ranza o di minoranza, troveranno ben fatto ciò che procede dal proprio partito, e malfatto quello che procede dai partiti avversi.

E siccome molta base dei partiti nostri sono le persone e

non i programmi, così il giudizio si riduce a un fatto personale; e poiché è i l personalismo che suole inquinare la vita pubblica, è lo stesso personalismo che fa nebbia agli occhi, e che impe- disce che il corpo elettorale faccia degli apprezzamenti obiet- tivi su quanto si svolge nell'ambito della vita municipale dei comuni.

A questo stato abituale del corpo elettorale se ne aggiunge un altro, che suole portare alla conseguenza dell'apatismo nella vita pubblica, ed è lo scetticismo.

Gli elettori vedono benissimo che le più gravi faccende si trascinano di anno in anno, con molte discussioni se si vuole, ma senza arrivare a delle soluzioni serie, concludenti, almeno nella maggior parte dei casi, e ciò per tre ragioni: perché non vi è continuità di criteri nelle amministrazioni; perché non vi è coordinazione di intendimenti tra i vari gruppi del con- siglio, e perché spesso per ragioni personali non si ha il coraggio di andare al fondo delle questioni;

Per esempio, l'affare del rettifilo e piano-regolatore sono dieci anni circa che si trascina, e da un anno e mezzo è nel suo stato acuto.

Ebbene, non ostante la buona volontà di molti, bisogna ricordare che i l fatto personale non è mancato. Se si fosse votato il progetto Zeno nel 1890, in dieci anni e più noi avrem- mo già sistemato in gran parte il nuovo rione della città, avrem- mo regolari fabbricati, spianato il colle Fanales, aperto regolare accesso alla stazione ... Ma i l progetto Zeno fu sotto l7ammini- strazione Maggiore, e la seguente amministrazione dovea com- battere gli atti dei precedessori, ~ e r c h é di partito avverso. Se il R. commissario invece di chiamare Chiarenza a redigere un nuovo progetto, per trovar la ragione di incriminare l7ammini- strazione Gravina, e nelle elezioni mettere in disparte la giunta passata, avesse pensato a far rivedere coscienziosamente il pro- getto Coniglio-Nicastro, oggi non si sarebbe a questo punto: ma la ragione di partito è superiore a qualsiasi altra.

Perché la riforma del corpo musicale si trascina da un decennio, e principalmente dall'agosto 1899 quando fu sciolto? - Perché mai si è avuto il coraggio di affrontare la questione personale. E così via.

Questi fatti ingenerano nel corpo elettorale una sfiducia enorme su tutto e su tuttì, e siccome in noi corre anche un po'

di sangue arabo, l'apatia c7invade e... si lascia correre l'acqua

per la china.

I1 nostro corpo elettorale allora e solo allora si desta, quando

le elezioni sono imminenti; quando i l favore, i l servigio, la

risposta, la pagnotta, l'amicizia destano le energie sopite, e si

pensa al futuro regime del comune come al mezzo di diso-

bligarsi col medico, di aiutare i l proprio avvocato, di sostenere il padrone, di portare l'amico, di impegnarsi per colui che

promette favori.

È tempo ormai che i l popolo si svegli e partecipi sul serio

alla vita cittadina, e mostri che egli sa pensare, giudicare,

interessarsi di quel che è bene comune, mezzo di migliora-

mento collettivo, sviluppo della vita pubblica, ragione del pro- .. - -- prio carattere di cittadino' e di elettore.

La vita municipale oggi si ridesta da tutta l'oppressione del centralismo di stato e aspira all'autonomia; autonomia che

necessariamente si basa sull'interessamento di tutti, sul refe- rendum popolare; oggi i l comune va ritornando alle sue splen-

dide origini, assimilando però la vita moderna densa e com-

plessa, intensificando i suoi rapporti con tutto lo svolgimento

de117attività moderna.

Segnaliamo al pubblico in proposito la proposta del sac. L. Sturzo sulle autonomie comunali, e i deliberati del consiglio

sulla municipalizzazione della luce elettrica e SUE sindacato p e r

la distribuzione onerosa dell'acqua d i Ganzeria, proposta e deli-

berati che corrispondono ai criteri di vita municipale moderna,

e che si sollevano al disopra del personalismo e della poli- tica, che sogliono invadere l e nostre aule consiliari.

Indicano essi un passo notevole del nostro consiglio verso la modernità, e verso l'ideale della vera vita municipale.

Noi invochiamo l'interessamento del pubblico.

Il crociato

(La Croce di Costantino: Caltagirone, 10 agosto 1902)

ZANARDELLI A NAPOLI E BALENZANO A CATANIA

VARIAZIONI SUL TEMA (C NORD E SUD

Veramente Balenzano a Catania è un episodio minuscolo a petto dell'epopea Zanardelliana a Napoli, dove prima d'incam- minarsi per ignote terre e per lunghi e perigliosi viaggi attra- verso la iontu~ul Basilicata, si forma a pigliar respirci, a rifocil- larsi l e forze, a cercare la tonalità, non politica, oibò, lo disse chiaro e tondo, ma, per usar le sue parole, amministrativa, del viaggio ministeriale e ufficiale.

Balenzano non ha avuto né un apparato esteriore troppo largo, né una tonalità spiccata; ma la Sicilia non è la Basili- cata; essa è stata conosciuta da un pezzo, sin dall'inchiesta Sonnino e Franchetti, sin dalla visita di Umberto e Margherita, sin da quando Crispi e Rudinì, ( i Zanardelli d i allora), videro la luce e vennero a l mondo. Per cui la venuta in maggio dei Reali, d i Zanardelli, di Baccelli ecc. ecc. non portò nulla di nuovo... figurarsi poi la venuta di Balenzano, cosa tutta locale, che da Catania appena arriva sino ad Aci e a Riposto ... spiaggia ridente, vaghi paesaggi, bellissime serate d'estate ... è mancata Ia gita sullYEtna, lo sport più attraente del sud-Italia.

A ogni modo, un ministro o un sotto-ministro di tanto in tanto non fanno male ... almeno al commercio cittadino, perché molti, che affluiscono a vedere la bestia rara, pagano alberghi, trattorie, carrozzelle, teatri e... la Sicula D.

La gita di Zanardelli è tutt'altro. Già alle porte di Napoli ha suscitato lo scandalo dei consiglieri cattolici, dei socialisti e

di altri astensionisti al pranzo; i primi per l'affare del divorzio. i secondi perché appartengono alla minoranza intransigente, gli altri per antipatie più o meno politiche. Ma ciò non c5im- porta: dacché Zanardelli ha, messo la politica fuori combat- timento, lasciandola a Roma, o almeno alla stazione di Napoli, interessiamoci del nostro Sud.

I1 Pro Sicilia pare sia abortito, pensiamo invece al Pro-Sud; Zanardelli a Napoli ha dimostrato quanto lui sia stato un

nato e fatto, perché sin dalla sua puerizia ... poli- Napoli e i l resto; e ora nella sua. vecchiezza ... solamente politica, pensa all'acquedotto puglie-

se, alle vie ferroviarie complementari, al risanamento morale ed economico di Napoli (che dovrà divenire mercé gli sforzi combinati del governo e del popolo una città industriale di primo ordine), alla legislazione sociale che tanto interessa il mezzogiorno ... e giù di lì. Siamo inter poculu e si ha il diritto di parlare.

Però egli ha messo le mani avanti e ha detto: - « Badate, veh! carissimi meridionali, io vengo tra voi a conoscere de visu i vostri mal i ; ma non crediate mica ch'io sia il sana todos, una specie di tocca sana D.

E ha detto il vero. Quel che a noi interessa sul serio è che egli conosca i nostri

mali, non certo nei banchetti o nelle gite di piacere o nelle conversazioni ufficiali o nei ricevimenti di gala o nel landau scoperto camminante tra una folla di popolo plaudente ... o di socialisti fischianti.

Se si dovesse credere a qualche cosa nella vita governativa, presterei più fede ad un'inchiesta di studiosi accurati e co- scienziosi che non alla visita di un ministro, che potrà sapersi creare un ambiente politico favorevole, ma non mai conoscere sul serio i nostri mali.

E sia pure concesso che gli Zanardellì o Balenzano cono- scano tutta la storia dolorosa, tutta l'odissea lunghissima dei nostri mali; io però ho una paura che manifesto ai miei lettori in gran parte meridionali.

Zanardelli tornando ripasserà da Napoli, e arrivato alla sta- zione ripiglierà la politica ivi lasciata, o al certo la troverà a Roma, a cinque ore di distanza, dal momento che non abbiamo la clirettissima; e l a politica pesexà il valore dei deputati meridio- nali alla stregua delle combinazioni ministeriali e di maggio- ranza, e l i metterà a confronto con quelli del settentrione. Indi regolerà la bilancia, e il peso degli uni o degli altri deciderà le nostre sorti.

Allora Zanardelli si ricorderà che egli non era i l tocca sa- na ; e l'acquedotto pugliese, le ferrovie complementari, la di-

rettissima e tutto il bagaglio delle riforme meridionali I

Tbi: ranno le oscillazioni della borsa di Montecitorio, variando 41 I

prezzo secondo il variare del valore del ministerialismo meri- i

dionale, e secondo la domanda e l'offerta del ministerialismo

settentrionale.

Una cosa sola è notevole, al momento presente, nelle gite

Zanardelli e Balenzano, che il regionalismo si va affermando

ogni giorno di più non contro 1'unit.à d'Italia; ma contro il centralismo di stato.

E sin che non si sfata la leggenda dell'unità fatta a base di

unicità di Sistemi finanziari, di provvedimenti economici, di

espedienti politici, di un'unità basata sopra un centralisino sfrut-

tatore e assorbente, di una politica non amministrativa né so-

ciale, noi meridionali vedremo i ministri e anche se vuolsi i

reali, ma non vedremo la rigenerazione vera, reale, duratura

del meridione.

Nord e sud vanno divenendo espedienti politici o luoghi

comuni di una retorica a tempo perso.

È la sorte di tutte le grandi cause, fatte a base di parole e

di sentimentalismo. E noi oramai in ci& siamo purtroppo maestri.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 21 settembre 1902).

PER LA LEALTÀ DELLE DISCUSSIONI

Ill.mo Sig. Direttore del Sole

Le comunico una lettera che ho inviata alla Gazzetta di Ales-

sina, con la speranza di vederla pubblicata sul Sole, perché

credo opportuno che essa, nell'interesse del partito democratico

cristiano: abbia la maggiore diffusione. Grazie

Sac. Luigi Sturro

a prego accordarmi l'ospitalità in cotesto diffuso giorna- e r alcuni chiarimenti ed alcune affermazioni che credo le, "h,

neces arie dopo le discussioni di ieri, nella quali io come demo- \ cratico-cristiano ho sostenuto il referendum obbligatorio e la \

municipalizzazione dei servizi pubblici, ed ho combattuto la I intromettenza politica dei prefetti nella vita amministrativa dei 1

comuni. Le mie franche e vivaci affermazioni mi procurano gli ap-

plausi e le simpatie di un ambiente composto in maggioranza di socialisti, repubblicani e radicali, come anche gli apprezza- menti poco benevoli dell'onorevole De Felice sulle mie inten- zioni e sul mio operato.

Tutto ciò ha però generato nella mente di non pochi un equivoco del quale mi sono accorto fra una stretta di mano e l'altra, come anche clalle parole del sig. Petrina socialista, che per lode chiamò le mie .idee assai liberali, e da certi auguri .e profezie che ho respinto sdegnosamente come il peggiore insulto, pur volendo essere, nella mente di coloro che me li facévano, un complimento. Sento.perciò il bisogno dì tornare ad affermare sulla stampa quello che dissi in pubblica assemblea; che. io son democratico cristiano e che sostengo - i principii - e il prd- gramma della 'democrazia cristiana, e ch'è mia .gloria e onore la veste che indosso e la missione che compio; e che'le idee di referendum, di municipalizzazione, di autonomia comunale sono patrimonio del nostro programma, ultimamente affermato in solenne convegno dai consiglieri cattolici siciliani riuniti in Caltanissetta.

L'onorevole De Felice poi credette farmi cadere in equivoco e destare nell'assemblea almeno dei dubbi sulla sincerità e sui fini della mia affermazione; egli propose pel referendum un ordine del giorno che non diceva nulla affermante la sovra- nità popolare: alla proposta di municipalizzazione degli at- trezzi agricoli messa nel mio ordine del giorno, aggiunse la municipalizzazione delle terre patrimoniali o demaniali, o me- glio della cultura della terra (così soggiunse il presidente sen. Mariotti) come avviamento alla forma collettivista della pro-

prietà, e tra una parola e l'altra accennò alla mia opera di P la i: - gonia come contraria agli interessi del proletariato agricolo. A me non piace l'equivoco, né sono uso alle insinuaziom' dò

quindi ragione esplicita delle mie idee. / Per l'ordine del giorno sul referendum chiesi invano ,la pa-

rola, perché il presidente avendo accettata la proposta p e Fe- lice che aveva levato d'imbarazzo il consiglio direttivo dell'Asso-

1 ciazione dei comuni, che credeva per lo meno immatura una

I affermazione di principio sulla obbligatorietà del referendum come forma organica di vita amministrativa, volle troncare la discussione con un voto... inconcludente.

Non potei perciò dire al congresso le ragioni per cui non ac- cettavo l'ordine del giorno De Felice, ragioni che mi permetto di accennare in questo giornale che cortesemente nii ha con- cesso l'ospitalità.

Cioè I) perché l'aggiunta De Felice « promuovere un'agita- zione allo scopo di veder trionfare quella solenne affermazione del principio di sovranità popolare, che ora è già entrata negli usi delle principali città della nostra patria 1) non definisce la natura del referendum (come si voleva dall'assemblea), non de- linea la questione della obbligatorietà nei casi di modifica al .figime tributario e di grosse spese facoltative che vincolano il bilankio per parecchi esercizi.

2) Perché la parola sovranità popolare, della quale hanno abusato i liberali costituendo l'attuale schiavitù popolare, è equi- voca, e che presa nel senso di fonte assoluto di autorità e non di mezzo naturale di designazione del soggetto delle forme di au- torità politica o amministrativa e dei limiti relativi di esercizio, per noi è falsa.

Per cui io avevo scritto ed avrei proposto (se il presidente me l'avesse consentito) un altro ordine del giorno in questi sensi : « ritenuto che il referendum amministrativo debba essere un istituto normale organico nella vitalità autonoma demo- cratica dei comuni, un diritto dell'elettorato che partecipando alla vita amministrativa con funzione propria e con assemblee proprie dà i l suo voto nelle questioni più importanti principal- mente di ordine tributario e di spese facoltative vincolanti i l bilancio per molti esercizi; l'assemblea delibera promuovere

una agitazione legale, ~ e r c h é nel progetto Sacchi venga modi- fica l'art. 4 introducendo l'obbligatorietà del referendum per caso determinato e togliendo a l prefetto la facoltà di chiamare gli \ e ettori al referendum di propria iniziativa e autorità D.

Ri uardo poi alla municipalizzazione dei servizi pubblici e dei de L ani agrari e industriali dei comuni, io dichiarai di esser d'acco do con l'on. De Felice nel concetto amministrativo di i tale provvedimento, e accettai l'inclusione della sua proposta

I nel mio ordine del giorno; dichiarai altresì che dissentivo da t

lui riguardo i concetti informativi, perché per me la municipa- lizzazione ha il doppio concetto amministrativo (miglioramento dei servizi e aumento d'introito nei bilanci comunali) e i l con- cetto sociale (utilizzare le forze collettive dei demani e dei patrimoni industriali e rurali e togliere i monopoli degli ap- paltatori al maggiore vantaggio dei membri del comune, princi- palmente delle classi non abbienti, e costituire tali cespiti d7en- trata produttiva da togliere le tassazioni sul consumo o sulla pic- cola produzione). Non posso però avere il concetto di u n avvento della proprietà collettivista, perché nella municipalizzazione dei demani e dei patrimoni comunali (che del resto non è una no- vità: tutt'altro) ogni abitante del comune partecipante al17uso del bene collettivo, sia un coltivatore della terra o un concessionario di parte della forza idraulica e della energia elettrica, usa del bene collettivo personalmente e per aumentare la singola proprietà privata con il proprio lavoro e il proprio capitale. È chiaro che la guisa economica della municipalizzazione del beni industriali o rurali dei comuni e delle Opere pie ( a pre- scindere dall'elemento intenzionale e soggettivo) non è per nulla u n avviamento all'attuazione dell'ideale collettivista come vuole I'on. De Felice.

Un'ultima parola per fatto personale. L'ori. De Felice accennò ai fatti di Palagonia come una prova ... che io non volevo la muni~ i~a l izzaz ione delle culture dei beni rurali e industriali dei comuni e delle Opere pie.

Diedi all'assemblea sufficienti schiarimenti sui fatti oramai a tutti noti, né occorre che mi ripeta. Solo è opportuno far notare che siamo stati proprio noi democratici cristiani a isti- tuire per i primi l e cooperative per i fitti collettivi della gran-

/ de proprietà terriera; la prima cooperativa sorse in Cal gi rone nel 1900, ed altre se ne sono istituite in Sicilia e

4 -

alta Italia, e circa venti feudi o latifondi sono stati d presi in fitto direttamente dai proprietari, togliendo di ezzo F il gabellotto sfruttatore usuraio, (come volevamo far a P lago- nia, se le male arti della politica elettorale e il losco aff rismo r' non ce lo avessero vietato, consenziente o quasi il pref tto di

f Catania, avviando così la cooperazione per un cammino che

I deve risolvere nell'avvenire molti dei ~ r o b l e m i riguardanti i rapporti fra capitale e lavoro. I

i Perdoni, egregio sig. direttore, che l'ampiezza dell'argomento

mi ha costretto ad abusare della sua bontà, e accetti i mei cor- diali ringraziamenti, mentre ho l'onore di dichiararmi.

dev.mo Sac. Luigi Sturzo

Messina, 11 novembre 1902.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 16 novembre 1902).

IL GIORNO DELLO STATUTO A LECCE

. La descrizione la tolgo da un autorevolissimo giornale libe- rale di Roma:

, ... Stamane, giorno dello statuto, ha avut.0 luogo la rivista « militare ... Le case avevano il portone fermato, i balconi erano « serrati, tutto chiuso! Nessun cittadino, nessuna autorità si è « trovata presente alla rivista. 11 solo prefetto vi si è recato in « carrozza... I negozi non si sono aperti, e sull'uscio sono stati « attaccati tanti cartellini con la scritta: Chiusi per protesta.

« Chiuse sono anche le botteghe di generi alimentari, i restau- « raltts, .i caffè. e i giardini pubblici. Per le vie principali è so- « spesa la consueta passeggiata ... e qualche rara bandiera ssen-

tola solamente sugli edifici governativi. Le guardie municipali u vestono in borghese. Nessuna luminaria questa sera... In alcuni

paesi della provincia negli edifici comunali è stata rizzata la C( bandiera a mezz'asta o abbrunata 1).

una strana commemorazione dello statuto in una provincia può dire che lo statuto sia stato virtualmente abolito;

alla quale questa volta ha pigliato parte concorde, unanime nella protesta solo si può dire abbia continuità

ammikstrativa, nell'oppressione sistematica del mezzogiorno. La barola è dura, ma corrisponde a verità, come corrisponde

a verità' quell'altra che chiama il meridione: terra di conquista ! che questa terra di conquista qualche volta. i n modo forte, vibrato e tale da far compren-

dere che la pazienza in chi soffre h a limiti, e la prepotenza non deve arrivare all'estremo?

Lecce, città capo provincia popolosa e mite, rovinata come noi e peggio da crisi agrarie, tormentata dal fiscalismo di stato, ingannata sempre da vane promesse, con una produzione insu£- ficiente e un commercio rovinato, chiede al governo provvedi- menti urgenti, per 1o~:meno l'aggiornamento della esazione delle imposte. I deputati Chimienti, Codacci, De Cesare portano alla camera i lamenti, i bisogni, l e aspirazioni di una popola- zione rovinata; ... invano! I1 ministro Carcano risponde che i l governo non può consentire a Lecce un trattamento di favore: e Giolitti al senato dice che non parla delle agitazioni nel leccese per non bollarle con parole che suonerebbero di censura. Ed oggi, dopo le dimostrazioni clamorose e silenziose, dopo le col- luttazioni con la forza pubblica e lo sciopero delle autorità, il governo si è deciso a mandare ... una commissione d'inchiesta.

Sì, egregi uomini di stato, illustri mediocrità che sfruttate l'Italia, mandate pure commissioni d'inchiesta, anzi venite co- me Zanardelli a scoprire la Basilicata o anche la Sicilia ... sono inutili i pannolini caldi, i cerotti, i provvedimenti passeggeri, la polvere negli occhi: mentre di fatto ci si ruba, ci si rovina, ci si assassina con le tasse, col mal governo, con lo sperpero del pubblico denaro, con la sperequazione, con tutto l'ingranag- gio del nostro unitarismo finanziario economico amministrativo.

Siamo in crisi: proprietà e lavoro nel meridione non han- no sufficiente rimunerazione: e sono oppressi da tutto l'at- tuale ordinamento amministrativo, che subiscono senza poter resistere, senza speranza di vincerlo nella lotta aspra, dura,

/ diuturna. La proprietà fondiaria è soffocata dal debito i ote- cario, non ha capitale per la produzione, e deve ricorrere alla 9 usura che strozza e schiaccia; e dopo che con mille stenta si è ' 1 . tirata sù una produzione rachitica e insufficiente, i mercati ci

1 sono avversi, per le tariffe di trasporto, per i dazi protezionisti

/ e proibitivi, per le gravi difficoltà commerciali in un r e g i l e nel quale il governo ha sempre sacrificato il sud al nord, e la economia nazionale alla politica sfruttatrice.

I

I Con tali condizioni da parte della proprietà nulla di strano

che il lavoro manchi o non sia rimunerato giustamente, che !e nostre popolazioni rurali soffrano la miseria, la fame, la pel- lagra; che l'emigrazione decimi le nostre popolazioni, che i fremiti incomposti della ribellione tentino la calma, la pazienza, la abnegazione tradizionale della popolazione del mezzogiorno; dando largo campo ai partiti sovversivi di affermarsi e di esten- dere la loro potenzialità.

Per colmo dei mali, i comuni e le provincie sono dissan- guate, smunte, senza mezzi per tentare qualche iniziativa salu- tare, e il governo è insufficiente, ammazzato dalla politica e dall'affarismo parlamentare, ad attuare un programma serio, intiero di elevazione economica del meridione.

In tale stato di cose il grido separatista si fa più forte e po- tente; che facciamo a stare uniti amministrativamente con chi ci deve sfruttare? - Noi, coi nostri mezzi, con le nostre risorse, possiamo trovare la via della salute.

Siamo stati sacrificati da questa unità che è stata unifor- mità amministrativa e dispariti economica; di squilibrio natu- rale e rovini0 voluto.

Tutto ciò non deve dar occasione a sacrificare quell'unità che religione, lingua, costumi, letteratura, tradizioni doman- dano; ma a regolare i rapporti economici e amministrativi che devono essere distinti per gl'interessi opposti di regioni, di in- dustrie, di commerci: di educazione locale.

Noi facciamo del regionalismo, e siamo regionalisti, ed è necessità l'esserlo; e ciò non scompone la compagine dello stato,

ma rispetta le diverse unità territoriali ed economiche dello \ stes o stato.

9 e se si continua così, nessuna meraviglia che traballino anch le istituzioni di fronte alla fame e al malcontento; e che, 9 incominciando con la protesta per lo statuto e le feste nazionali, non s ' pensi sul serio a un separatismo più radicale, che già i incomincia a fermentare.

o1 non vogliamo che il decentramento amministrativo; N .\ noi vogliamo esser padroni in casa nostra e far noi i nostri conti e 'avviarci da noi a risolvere le crisi che ci agitano e ci riducono in uno stato di vera miseria e di continuo avvilimento.

È giusta quest'aspirazione, e Dio volesse che i meridionali invece di pensare a dilaniarsi nei partiti personali locali, imi- tando Lecce, si unissero concordi, senza divisioni di parte, contro il governo italiano, per una autonomia amministrativa, oramai imposta dalla gravità del momento.

I l crociato

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 14 - 15 giugno 1903).

PRO E CONTRO IL MEZZOGIORNO

Finalmente si è conosciuto il celebre decreto legge del mi- nistero Zanardelli, uscito fuori del pelago alla riva, con cui si è voluto ingraziare il mezzogiorno. E consiste nella riduzione dal 10 a11'80 per cento delle tariffe ferroviarie per il trasporto dei vini all'interno. - È un trattamento di favore, si grida dai fratelli piemon-

tesi, i quali vedono minati i loro mercati vinicoli da una con- correnza meridionale; anzi è un assassinio.

E la guerra regionalista, eccitata dal contrasto degl'inte- ressi, dalla insipienza dei governi e dai modi ... poco parla- mentari dei giornalisti e degli oratori di professione, che rap- presentano quella benedettissima opinione pubblica, che non si sa dove abiti, - oggi' ripiglia i l suo corso sospeso o reso

/ latente dagl'idilli nordici e sudici, cantata sopra tutti i [toni dai governi agli ... spazzini della politica economica dell'rtalia redenta.

7 l

Guerra regionalista è la parola unica per designare u o sta- to d'animo, una tendenza, un processo lento e sicuro della con-

t dizione economica d'Italia, che non ha riscontro in a l p e na- zioni e che corrode profondamente la nostra politica e la pub- blica economia. I

È inutile illuderci: - nord e sud abbiamo interessi anta- I

gonistici, ed esercitiamo 'l'uno a danno dell'altro la concorrenza e il monopolio; ci serviamo delle camarille locali e degli in- trighi di gabinetto; tentiamo strappare una concessione per ferire o per avere pronta l'arma a ferire.

Però il guaio è stato che il meridione ha subito la parte del debole che viene sopraffatto, dell'ingenuo che viene illuso, del pitocco che chiede ed ha ripulse. E una volta che in un momento di buon sangue, un ministro che non vuole cadere, pensa che u n decreto-legge ~ e l meridione può essere un buon espediente politico, un po' meglio di un viaggio di esplorazione nella Basi- licata, eccoti i quelli che più hanno usufruito della unità d'Italia, quelli che economicamente e moralmente diven- nero per un certo tempo i padroni d'Italia, a protestare e a fare del chiasso.

La questione è lì: - noi siamo regionalisti; la nostra poli- tica dev'essere regionalista, la nostra finanza, la nostra econo- mia, la nostra amministrazione, tutto deve corrispondere alla regione.

'La Sicilia a i Siciliani, una nuova dottrina di Monroe, deve es- sere la base di un vero movimento politico siciliano.

Non vogliamo la secessione dalla madre patria; ma voglia- mo da noi curare i nostri interessi.

I1 governo centrale è impotente a risolvere uno solo dei gravi problemi siciliani :

1. La questione ferroviaria

2. La questione delle acque per l'irrigazione interna

3. La questione agraria e dei demani comunali

4. La sistemazione amministrativa dei comuni.

moltissime altre non sono state né saranno risolute dal centrale, mentre i l fiscalismo ci uccide, e la pressione rende impotente una rappresentanza incosciente e im- negli intrighi di Montecitorio.

autonomia è un ideale che sembra irraggiungibile, esser base d'un partito veramente siciliano e ve-

ramente patriottico.

Lovetere consiglia anche a noi d'imitare Lecce: sindaci e autorità amministrative rassegnare in massa le dimissioni a l governo ; - partiti , unirsi nella suprema difesa comune contro il governo; - resistere, rendendo impossibile la vita locale, con- tro chi ci ha rovinato in 43 anni, e oggi c'illude con un de- creto-legge, che serve solo a irritare i piemontesi, non a sanare l e nostre piaghe.

I1 consiglio forse potrebbe. tornare dannoso, se alla fine, messi tra l'uscio e il muro, si dovesse tornare indietro nei seri propositi, in vista dell'anarchia amministrativa a cui si andreb- be incontro.

Invece sarebbe il momento di iniziare la formazione di un

partito siciliano, a cui aderirebbero tutti gli altri partiti, con

la bandiera di autonomia amministrati~a e finanziaria, e col ca-

atter re di lotta al governo centrale.

I fieri siciliani di un tempo si ricordino che questa terra non

è nata per servire, ma ha servito quasi sempre, per la vigliacche-

ria dei suoi figli. LOICO

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 12 - 13 luglio 1903).

13.

RIFORMA ELETTORALE AMMINISTRATIVA

Una nuova leggina è stata votata dai due rami del parla-

mento, -che modifica le attuali disposizioni di legge in ordine alla rinnovazione dei consigli comunali e provinciali.

I I E vi ci fermiamo un po' su, non solo perché i cittadiiii e

gli elettori la conoscano in ordine all'esercizio dei loro diritti, I

ma specialmente perché se* ne formino un concetto adeguato, i l che è un dovere di tutti coloro che sentono l'importanza della partecipazione popolare alla vita pubblica. l

La sostanza della legge è questa: - invece di rinnovare i consigli per metà ogni tre anni, si rinnoveranno da oggi in poi per u n terzo ogni due anni.

i Prima dell'ultima modifica deliberata nel 1894, la rinnova-

zione avveniva per un quinto ogni anno; sembrò poco rispon- dente alle esigenze della vita locale questo metodo, che chia- mava il popolo ai comizi troppo spesso, e non riusciva a spo- stare sul serio interessi, coalizioni, partiti. - Però la rinuova- zione di metà ogni tre anni non corrispose né corrisponde a i cri- teri d i continuità amministrativa e di diversità di indirizzi, che si volevano concretizzati nella riforma; anzi creò una specie di disquilibrio e di anarchia, dando luogo, come avviene spesso quando le minoranze soverchiano le maggioranze sfruttate dal potere, a che in ogni rinnovazione di metà le maggioranze rie- scano deboli e sfiduciate e le minoranze numerose e forti. Di qui, impossibilità di amministrare, scioglimenti d i consigli, R. commissari, e tutti quei mali che violano le autonomie dei co- muni e impediscono il normale andamento della vita ammini- strativa.

A rimediare a tanto, i l governo h a creduto opportuno, man- tenendo i concetti d i rinnovamenti parziali, d i portare i l pe- riodo a due anni e i l numero a un terzo.

Questo preteso rimedio non crediamo che sposti alcunché della situazione delle cose; perché, se dalle urne esce raffor- zata l a maggioranza, essa diviene strapotente, e il savio concetto legislativo della rappresentanza delle minoranze viene leso; se invece ottiene i favori popolari la minoranza, allora il parti- to che amministra la cosa pubblica riesce sfiancato numerica- mente e peggio moralmente, perché l'esito contrario delle ele- zioni parziali dimostra che il paese non ne approva più i me- todi amministrativi o non ha più fiducia nelle persone che sono al potere. E allora che ci stanno a fare? Le dimissioni do- vrebbero essere l a più logica e la più doverosa conseguenza.

Le dimissioni? - Ma, e come potrebbe amministrare la mi- \ noranza uscita vittoriosa dalle urne solo per i due quinti dei

consiglieri assegnati al comune? Si arriva dunque a un dilemma che ferisce la democrazia

elettrice, l'autonomia comunale, e i sistemi amministrativi; cioè: o resta al potere una maggioranza in cui i l paese non ha più fi- ducia e per lo meno i due quinti del consiglio non appoggiano; oppure viene imposto il R. commissario, per fare a suo piacere le elezioni generali!

Rimedio quindi nessuno; e il peggio si è che il corpo eletto- rale invece di avvantaggiarsene ci perde; ci perde non solo dal fatto che la convocazione dei comizi, quando è troppo frequente per motivi non amministrativi, come sarebbe nel caso del re. ferendzcm, ma elettorali, sciupa ed estenua in lotte che diven- gono personali, e si attenua la vitaliti stessa dell'elettorato; ma specialmente perché non dovendo gli elettori, in via normale, eleggere per intiero un corpo di rappresentanti, ma solo par- zialmente in numero inferiore alla maggioranza (anzi in nu- mero troppo limitato), non si potrà mai riuscire ad avere una risultante che rappresenti integro ed attuoso il volere popola- re ; non si potrà mai ottenere una vera e legittima emanazione del popolo nel momento che esercita i suoi poteri elettivi.

E v'ha cli più: la istituzione della rappresentanza delle mi- noranze fatta nel 1888 fu un salutare provvedimento che sal- vaguarda i diritti dei cittadini e controlla l'esercizio del potere. Però è chiaro che secondo la legge esiste una minoranza, che è spesso diversa da quella di fatto; per legge è l'ultimo quinto degli eletti; di fatto invece è composta dai rappresentanti del partito che non partecipa al potere, i cui componenti possono e sono spesso compresi fra i primi quattro quinti degli eletti.

Nel sorteggio e nelle scadenze non si tiene alla proporzione delle minoranze, e quindi queste o possono subire forti per- dite, o invece restano in buon numero; ed ecco creato uno squilibrio. - La nuova legge ne aggiunge un altro per quei comuni o ~rovinc ie che hanno 80, 50, 40, e 20 consiglieri asse- gnati; perché, dovendosene rinnovare un terzo, la divisione del terzo in cinque parti, per votare solo per i primi quattro c~uinti e lasciare l'altro quinto al risuItato delle minoranze:

vinciale stabilisce che per le frazioni dei quattro quinti l'efetto ha il diritto di votare per il numero intiero immediatadente superiore.

Per cui, avendo Caltagirone 40 consiglieri, secondo la nuova legge dopo il lo biennio se ne sorteggeranno 14 e si voterà per 12, dopo il 2" biennio se ne sorteggeranno 14 e si voterà per 12, e dopo i l 3" biennio usciranno gli ultimi 13 e si voterà per 11. Così la minoranza legale di un consiglio di 40 viene ridotta a 6 invece di 8; quella di un consiglio di 20 a 3, iiivece di 4 ; quella d'un consiglio di 50 a 9, invece di 10 ; e quella di un consiglio di 80 a 15 invece di 16.

E ciò è un regresso! Così la nuova legge non provvede alle vere esigenze del

corpo elettorale e delle amministrazioni e crea nuovi svantaggi. Ma la legge è questa.

IL CROCIATO

(La Croce d i Costantino, Caltagirone, 28 febbraio 1904).

PER I CONTADINI DEL MEZZOGIORNO

Una legge travisata e resa inutile

I1 28 novembre è stata presentata dal ministro Lacava la rela- zione sopra una leggina che sta passando inosservata alla camera, che si riconnette con uno dei principali problemi del mezzo- giorno, e che doveva essere trattata da un punto di vista molto diverso e molto più importante di quello che l'on. Lacava abbia avuto cura di presentare ai deputati.

Questa leggina, prima ancora di venire alla luce, ha una sto- ria curiosa, che il relatore, tra i veli del suo scritto, non ha saputo intieramente dissimulare.

Ereditato da Giolitti i l progetto di legge sul mezzogiorno, sul quale Sonnino, con una fretta ingiustificata sperava edificare la sua base ministeriale scossa fin dall'inizio, fu con pari fretta,

pei pericolo di una larga impopolarità, riproposto, discusso e approvato dalla camera rifatta giolittiana.

È inutile qui fare la critica a quel progetto; fra tante dispo- sizioni inutili e dannose, fu di straforo, per iniziativa di alcuni deputati fra i quali, credo, l'on. E. Rizza di Comito, introdotto un comma di una gravità eccezionale. Esso suonava così:

Saranno del pari considerati come rurali ed esenti dall'im- posta fondiaria quelle case le quali, site in centri abitati, serva- no di personale abitazione e siano proprietà di contadini, i quali provino tale qualità N.

Giolitti era assente; e sopravvenuto alla camera, non dissi- mulò il suo malumore al poco accorto ministro, che aveva con- sentito all'aggiunta dell'articolo; e provvide ad attenuarne la portata con un articolo introdotto nella legge in una delle se- dute successive con facile artificio, per cui, cosa nuova e strana, all'esecuzione di una disposizione di legge si dovea provvedere con altra legge. Così venne stabilito: (C Entro il 30 giugno 1907 i l governo presenterà al parlamento un disegno di legge per determinare i limiti e le norme di applicazione dell'esenzione stabilita nell'ultima parte dell'art. 2 D.

A parte adunque il nuovo criterio legislativo di una legge esecutiva di un'altra e la inutilità della determinazione del tem- po, che può essere ingenuamente sorpassato di cinque mesi, la leggina promessa è venuta, ed è tale che né l'on. Rizza, né altri deputati sicialiani e meridionali, e peggio poi i contadini possano rimanere contenti.

I1 criterio fondamentale che animò i proponenti e sosteni- tori dell'ultima comma dell'art. 2 della legge 16 luglio 1906 sul mezzogiorno, fu quello di togliere la sperequazione fra le con- dizioni delle abitazioni rurali del sud in confronto a quelle del- l'alta e media Italia creata dalla legge fondamentale sulle im- poste fondiarie che per essere una e rigida per tutte le regioni, non può non riuscire in tanta parte irrazionale e gravosa.

Sembra strano che il problema, agitato tante volte nel mez- zogiorno, appaia da poco, e così contraffatto alla camera, dove purtroppo non arriva che svisato da mene politiche qualsiasi interesse che agiti la vita nazionale. Nel mezzogiorno e nelle isole, tranne in poca parte del litorale, i centri urbani si diver-

sificano enormemente da quelli dell'alta e media Italia, per le numerose e caratteristiche agglomerazioni rurali, che £ormano complessi di popolazioni che vanno dagli ottomila fino ai set- tantamili abitanti dei quali non meno dei due terzi sono conta- dini o meglio agricoltori, i quali, nelle condizioni normali do- vrebbero vivere nei campi da loro coltivati, nelle grandi fatto- rie o nelle piccole e medie proprietà.

I1 latifondo a cultura estensiva, la malaria, la poca viabilità, il brigantaggio, le crisi agrarie, la mancanza di acqua, le con- suetudini create da u n lungo passato peggiorato da nuove con- dizioni difficili per l'agricoltura, hanno dato origine e hanno mantenuto e accresciuto questo stato di cose poco rispondente al vero sviluppo agricolo delle regioni del mezzogiorno e della Sicilia. Onde le abitazioni dei contadini sono normalmente nei centri urbani, grosse agglomerazioni di agricoltori, che stanno troppo a disagio con i civili, i cappieddi, gli operai, i paglietta, che sono i veri cittadini, minoranza spesso esigua e sovercliiante.

Può la legge fiscale sulle imposte dirette, considerare l e case dei contadini come vere case urbane, quelle casette, anzi tuguri, abituri, caverne sottoterra, sottoscale di case migliori, nelle quali abita i l contadino siciliano e meridionale?

Ecco i l problema nella sua vera luce, in quella luce nella quale non l'ha voluto mettere il ministro delle finanze nel fare una relazione destinata a creare un grande equivoco. Infatti, tutto i l criterio del progetto di legge è un altro; esso è posto sopra u n principio di eccezione e, chiamiamola così, di bene- ficenza finanziaria.

Come si sono sgravati ad tempus le costruzioni delle case popolari, o l e case dei danneggiati dal terremoto nelle Calabrie, o dall'eruzione nei comuni vesuviani e similì, così per i conta- dini poveri verrà tolto questo peso.

E d ecco a studiare gli estremi per l'applicabilità della legge, estremi basati sulla qualità di contadino e sulla condizione d i povertà.

La prima sarà riconosciuta dalla commissione comunale di cui all'art. 37 della legge sul mezzogiorno, e sta bene ; la seconda è precisata dalle seguenti condizioni :

a) che i l reddito lordo accertato non superi le lire 25;

b) che l a propriet.à sia limitata ad una sola casa; C) che nessun membro della famiglia possieda né case, né

poderi, né redditi mobiliari; d) che la casa serva di abitazione al contadino e alla sua fa-

miglia, o alla custodia degli attrezzi indispensabili al suo me- stiere.

La commissione per l'imposta dei fabbricati deciderà sulle controversie sul riguardo: l'agente delle imposte avrà u n bel da fare.

Queste disposizioni enormemente restrittive manifestano il falso criterio che presiede alla nuova legge, in contrasto con la precedente; e lo sforzo di diminuire la portata della disposi- zione legislativa del 16 luglio 1906.

Già non c'è da meravigliarsi; quella legge è stata una enor- me turlupinatura, ( tranne per poche disposizioni) turlupinatura che continua tuttora.

Chi conosce le condizioni del nostro agricoltore, sa che po- chissimi saranno i beneficiati della nuova leggina, che sarà VO-

tata dalla camera, forse senza neppure una voce di protesta, O

talmente blanda, che non turberà i l ~ a r t i t o preso del governo. Non posso lì per lì affrontare la questione in base a una sta-

tistica anche approssimativa; neppure il relatore si è scomo- dato a cercare il responso della statistica per stabilire i suoi an- gusti criteri. Però chi conosce le condizioni del mezzogiorno, sa che il contadino normalmente cerca. d i avere e ha di fatto un

, qualsiasi minuscolo poderetto, anche frazionato e suddiviso e ridotto in pillole, dove, nei giorni vuoti d i lavoro si reca a colti- vare qualche pianta, a seminare u n pugno di orzo, se non altro per aver in primavera l'erba per l'asinello, a piantarvi qualche centinaio di viti pe r uso domestico.

È l'istinto del proprio mestiere che gli fa cercare la terra do- ve i padri impiegarono qualche minuscola economia; e che spesso serve per dote alle figlie. Si sa inoltre che molti comuni hanno quotizzato i loro beni ai poveri del territorio, in base alle leggi dell'antico regime, tuttora in vigore; per cui non pochi contadini hanno avuto un brano di terra, spesso lontana e brul- la, è per clippiu aggravata da forti canoni.

Tutta questa gente povera, che non vive né col poderetto

minuscolo, né con i l misero catodio: jstambugio, sottoscala, stam- berga, volta, (si chiami come si vuole), tutta questa gente con un tratto di penna del nostro legislatore pagherà l'imposta come se possedesse una casa nel centro urbano, in base alla vigente classifica di legge.

E non basta: il reddito lordo non dovri superare l e l ire 25. Altro cappio alla primitiva legge: il rincaro delle pigioni in tutti i centri urbani è u n fatto noto; si aggiunga che nel mez- zogiorno poche e incerte iniziative vi sono per case popolari; le differenze fra reddito di una casetta di contadini nel comu- nello di pochi abitanti e nel comune di 40 o di 60 mila abitanti, è enorme; io credo che con questa disposizione tutte le abita- zioni rurali le più misere dei comuni superiori a ventimila abi- tanti, e la gran parte delle abitazioni di contadini dei comuni fra dieci e ventimila abitanti, vengono escluse dal beneficio le- gislativo.

Le altre condizioni di legge per sé opportune, aggravano l a situazione creata da quelle già esaminate.

La statistica del 1908 delle abitazioni di contadini esentati dalla imposta fondiaria ci dirà a quanti avrà giovato questa irrisione di progetto di legge.

Perciò credo opportuno di levare la voce sull'accreditato Corriere d'Italia, perché qualcuno possa raccoglierla e portarla alla camera come una voce sincera di protesta e di allarme.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 29 dicembre 1907).

PER LE FERROVIE SECONDARIE SICILIANE

In una riunione indetta dal municipio di Palermo di tutti i sindaci siciliani, nel maggio 1906, furpno gettate le basi di una intesa regionale, perché la questione delle ferrovie secondarie siciliane venisse dal governo affrontata e risolta in modo orga- nico e definitivo.

Allora fu nominata una commissione composta dal senatore Tasca Lanza; sindaco di Palermo, dall'on. Francica Nava per

Siracusa, dal cav. Di Stefano Giuffrida, sindaco di Catania, dal comm. Malato di Girgenti e dal sottoscritto quale pro sindaco di Caltagirone e presidente del consorzio ferroviario Terra- nova-Piazza.

I passi fatti da quella commissione presso il governo di al- lora ebbero il solito esito di promesse e di impegni non man- tenuti: e la legge del 1908 nulla aggiunse alla possibilità di creare in Sicilia una vera rete sussidiaria, che allacciasse i di- versi centri di popolazione e di attivit.à fra di loro, e traver- sasse quasi intere provincie appena toccate dalla rete litoranea; i l sussidio chilometrico massimo da poter assegnare alle linee secondarie di lire 8500 è semplicemente insufficiente per l'in- terno della Sicilia, sia per la montuosità delle zone da attraver- sare, sia per lo sviluppo commerciale e industriale di quelle regioni.

Questo comprese il governo, quando per la Basilicata e le Calabrie fece votare la legge del luglio 1910 portando a 12 e anche a 14 mila lire i l sussidio governativo per ogni chilometro- l inea; né le difficoltà per la Sicilia sono minori di quelle che si sono riscontrate per la Calabria e la Basilicata;

Né è a credere che s'invoca una legge di eccezione per la Si- cilia; perché il maggior sussidio chilometrico che si vuole per le secondarie siciliane dipende dalle maggiori difficoltà tecni- che e finanziarie della regione insulare. E se lire 8500 a chilo- metro non sono sufficienti per linee da costruirsi 'in pianura o o quasi in molti posti dell'alta e media Italia, tanto più non bastano per la Sicilia, ove non si va quasi mai in pianura, tranne tratti insignificanti, e la montu0sit.à della regione è ca- ratterizzata da un continuo frastagliamento, da una successione di vallate e montagne, che costringono a lavori ed opere d'arte non indifferenti.

Quel che fino ad oggi faceva difetto alla soluzione del proble- ma era la mancanza di un'azione collettiva, che procedesse da una visione globale del problema ferroviario siciliano.

Un gruppo di ferrovie a scartamento ridotto fu provvisto con leggi vecchie e nuove, fondamentale quella del 1902: tali ferrovie furono dette complementari; lo stato riconobbe l'ob- bligo della esecuzione, come ferrovie di stato: e fin oggi alcuni

tronchi sono già quasi completati, altri in corso di lavoro, molti ancora da appaltarsi. Però tali linee potevano dirsi solo l e più urgenti, specialmente la Castelvetrano-Porto Empedocle e 1'As- soro-Piazza; ma ben altre vi erano invano sostenute da enti lo- cali e reclamate da popolazioni intere, che sono come staccate da ogni pulsazione di vita moderna. Vi sono città e non ~ o c h e , di 20 o 30 mila abitanti, come perdute sui monti, i cui abi- tanti sono costretti a fare da cinque a dieci ore di diligenza per raggiungere la stazione ferroviaria, o lunghi giri di per- corso per riunirsi ai centri d i vita come Palermo, Catania e Messina.

Sotto l'assillo del bisogno, e con la fiducia dell'avvenire si sono creati diversi consorzi di enti locali, comuni e provincie, p e r alcune linee indispensabili alla vita della regione: quali il consorzio Paternò-Nicosia della Siracusa-Vezzini e della Piazza- Caltagirone-Terranova. Sono stati fatti redigere i progetti, alcuni dei quali hanno ottenuto l'approvazione ministeriale.

Però, a parte la insufficienza del sussidio chilometrico, non è da credersi facile, senza enormi sacrifizi per gli enti locali, che una iniziativa limitata a un tronco staccato di ferrovie* in località ove bisogna ancora creare l'anima commerciale, possa avventurare dei capitali, col pericolo di rimetterci, senza avere u n complesso di garanzie e di attività dalle quali venga assicu- rato un giusto reddito all'impiego che si dovrebbe fare.

E sorta da tutto questo cumulo di disillusioni, di speranze, di considerazioni pratiche e di agitazioni locali l'idea d i ren- dere una e organica la rete delle complementari allacciata alle secondarie, tenendo presente i bisogni dei centri popolosi e di produzione.

In questo concetto complesso e, se si vuole, anche arduo, non solo si uniranno tutte l e forze politiche dell'isola, coordinando le iniziative locali per un'agitazione collettiva; ma si renderà possibile una impresa, che divisa e staccata nei diversi tronchi e nei diversi consorzi, si inaridirebbe riuscendo solo a far per- dere alle popolazioni la fiducia nell'avvenire, e a rendere più lontana la soluzione del gravissimo problema.

Con questo concetto organico si avrebbe una rete sussidiaria a scartamento ridotto completa da una parte all'altra dell'isola.

Partendo dalla Castelvetrano-Porto Empedocle, si avrebbe un gruppo da allacciarsi alla San Carlo-Corleone e da riunire Calatafimi-Alcamo e Castellamare a Trapani, e dalla parte ad est da arrivare a Termini Imerese. Da questa stazione si dira- merebbe, attraverso-le Madonie, la linea Termini-Nicosia. Nico- sia-Paternò, da riunirsi con la Circumetnea; e da Gradino a Leonforte-Assaro-Valguarnera-Piazza, per arrivare da una parte a Caltagirone-Terranova, e dall'altra a Canicatti-Novo. Da Cal- tagirone, con un interbinario si arriverebbe a Piazza, per di- ramarsi fino a Siracusa.

Così una intera rete da Trapani a Girgenti, da Palermo a Siracusa, da Caltanissetta a Messina attraverserebbe le sette pro- vincie siciliane, riunendosi a Trapani, a Termini, ad Ossovo, a Catania, a Caltagirone, a Siracusa, a Giardini, a Terranova con le ferrovie di stato.

Si tratta di 1300 chilometri di linea (cioè 200 meno di quelli della Basilicata e Calabria) delle quali 500 circa rappresentano le linee complementari già costruite o in corso di costruzione; e solo 800 chilometri sarebbero i nuovi tronchi invocati e vo- luti.

Tutto ciò non può dirsi oramai castello in aria, né una in- cognita finanziaria.

Una banca francese, la Banca Dreyfus, che concorse per le calabro-lucane, e che si ritirò per lasciare quelle linee alla So- cietà Mediterranea, ha fatto un progetto di larga massima, se- guendo più o meno i criteri dei consorzi locali, ed ha presen- tato oggi al governo la domanda di concessione della costru- zione delle ferrovie complementari e secondarie della Sicilia alle stesse condizioni o quasi di quelle della Calabria e Basilicata.

I1 governo così ha una base di studi e di indagini tecniche e finanziarie tali' da potere, volendo, seguire il medesimo si-

stema tenuto con la legge del 17 luglio 1910.

Certo che il governo non può seguire i criteri di una spe- culazione privata ; esso ha l'obbligo di controllare l'esattezza del-

le cifre, vagliare le condizioni proposte, esperimentare l'asta o la gaia, secondo che crederà meglio nell'interesse dello stato (cosa che del resto non fece per la Basilicata e per la Calabria).

Ma ha l'obbligo d i mantenere le promesse, e di rendere possibile la soluzione del problema, senza reticenze né sottintesi.

1 deputati siciliani si sono riuniti e hanno emesso un voto che s'ispira a questi due concetti: piano organico delle linee secondarie, e trattamento analogo a quello fatto alla Calabria- Basilicata.

Su questa base sono impegnati ormai i deputati siciliani, dei quali s'invoca la solidarietà e l'energia; e su questa base s'ini- zia e s'intensifica una vera agitazione permanente nella nostra Sicilia.

( L a Croce di Costantino, CaItagirone, 21 maggio 1911).

LA QUESTIONE DELLE FERROVIE SECONDARIE (*)

Egregi colleghi,

La questione delle ferrovie secondarie è la più viva e pres- sante che si agiti in Sicilia, e in questi giorni specialmente, può dirsi che si manifesti in tutta la sua maturità e gravità.

La legislazione

Espongo anzitutto la stato presente della legislazione sulle nostre linee dette secondarie.

Esse sono lasciate alla industria privata o direttamente, o a mezzo di consorzi degli enti locali interessati, ai quali lo stato accorda dati sussidi chilometrici per un determinato pe- riodo di tempo.

Tali periodi e tali sussidi sono stati mano mano modificati, '

con diverse leggi; da quella del 29 giugno 1873 a quella del 12 luglio 1908 che precisa a 50 anni il periodo di concessione, e

(*) Sunto della relazione al 1 congresso dei sindaci siciliani tenutosi a Catania.

porta da L. 5.000 a 5.750, da 7500 a 8500, e da 8000 a 9100 i l limite massimo stabilito rispettivamente dagli articoli:

1 della legge 3 aprile 1897, 15 della legge 9 luglio 1905, 15 della legge 14 luglio 1907, 7 della legge 4 dicembre 1911.

Però, riconosciuto da tutti che tali sussidi chilometrici sono di fatto in massima parte insufficienti per attirare il capitale verso la costruzione ed esercizio di tali ferrovie, durante la discussione della legge per le Calabre-Lucane, su proposta di molti deputati, in maggioranza siciliani, fu votato l'articolo 16 della legge 24 luglio 1910 che dice:

I1 governo presenterà entro il mese di febbraio 1911 un disegno di legge per agevolare nelle provincie che più ne abbi- sognano la concessione all'industria privata di quelle strade ferrate con caratteri di evidente utilità ed urgenza per le quali il sussidio chilometrico attuale risulta manifestamente inade- guato ».

Non faccio accenno ad altre leggi, che oramai non rappre- sentano che fonte di erudizione:

1) La legge del 9 luglio 1905 che all'art. 13 stabilisce i cri- teri fondamentali per la concessione del sussidio massimo di L. 7.500 cioè : a) attraversamento delle regioni montuose ; b) spese di costruzione per L. 150.000; C ) congiungimento a capo- luoghi di circondario o comuni isolati per la popolazione supe- riore a 100 mila abitanti.

2) La legge del 12 luglio 1908 che eleva tale sussidio a L. 8.500 e riduce i l periodo di tempo a sei anni.

3) La legge del 21 luglio 1910 con la quale fu promesso un disegno di legge per l'aumento del sussidio chilometrico a linee di evidente utilità ed urgenza per le quali risulta i l sussi- dio manifestamente inadeguato.

Le agituzioni locali

Sotto l'imperi0 di tante leggi, e sotto l'ausilio dei bisogni, le popolazioni prive di comunicazioni ferroviarie si sono agi- tate da moltissimi anni; a seconda che più o meno avessero va- lore le iniziative private, si sono costituiti consorzi locali, si

sono sono fatti redigere progetti, si sono perfino richieste con- cessioni.

Così son sorti consorzi per la Catania-Ricosia, la Siracusa- Vizzini, la Giardini-Leonforte, la Piazza-Caltagirone-Terranova e altri consorzi sono in via di legale costituzione a Caltanis- setta, Trapani, e non v'è comune privo di comunicazioni ferro- viarie, che non si agiti, per uscire dall'isolamento e dalla vita cittadina.

Tutti invocano giustamente l'aiuto del governo; ~ e r c h é , dato il nostro sistema idrografico, la povertà dei nostri traffici in- terni, le difficoltà di rimunerazione al capitale locale, non è sperabile e non è possibile che l'iniziativa privata basti all'im- presa.

Per questo con tutte le leggi fatte, fin oggi non si è data una concessione ferroviaria, non si è cominciata a costruire una sola delle cosidette linee secondarie siciliane.

Si attendeva la scadenza del febbraio 1911 perché il governo mantenesse gl'impegni impostigli dalla citata legge 21 luglio 1910, ma venne il febbraio e il disegno di legge non fu pre- sentato né è stato presentato fin'oggi.

I deputati siciliani con le riunioni del 3, 16 e 20 maggio hanno tentato di iniziare un movimento collettivo ed un'opera concorde per secondare i desideri del paese, interessando i sici- liani al presidente del consiglio e al ministro dei LL. PP.

L'ultimo voto formulato dalla commissione dei deputati sici- liani e presentato ai ministri Sacchi e Giolitti riassume i akside- rata, traccia la vita da seguire, e segna un passo notevole in avanti dell'annoso e gravissimo problema.

In esso i deputati sono venuti a due conclusioni necessarie, fissate nel primo voto formulato nella riunione del 3 maggio ultimo: cioè la necessità di un piano regolatore delle linee secondarie e la necessità di disposizioni speciali per la Sicilia.

Un piano regolatore

Ciò può sembrare che faccia allontanare la soluzione del problema per quelle linee, che fin oggi sembravano le sole e le poche che avessero unfinteresse grave, urgente, immediato;

le linee, se non tassativamente indicate dalla legge del 1905, certo presupposte o riferentisi, ed elencate in forma indiretta nella relazione parlamentare, che hanno progetti approvati o quasi, per i quali solo è mancato il concessionario perché gli attuali siissidi sono insufficienti.

Questa difficoltà è stata ed è discussa: e parecchi comuni o consorzi han dubitato che la questione del piano regolatore sia un maggior bene, che soffochi i l minor bene: u n meglio che è nemico del buono ; e le preoccupazioni non hanno per u n mo- mento mancato di manifestarsi.

Dall'altra parte molti comuni si sono risvegliati e si sono agitati e si agitano: ricordano vecchie iniziative e ne lanciano di nuove; e mostrano come ci siano intere plaghe dell'interno della Sicilia così trascurate, così lungi da ogni comunicazione civile, che sembra trattarsi d i comuni dell'abissinia, non della Sicilia.

Però, egregi colleghi, una divisione oggi, forse alla vigilia della soliizione del gravissimo problema, sarebbe semplicemente un tradimento, che peserebbe sulla Sicilia come un fato disa- stroso, del quale approfitterebbe volentieri il governo, che si sente trascinato a presentare u n progetto di legge, che risolva specialmente il problema delle ferrovie siciliane.

Dico trascinato, perché nessuno ignora che i l governo sente viva la pressione dell'ambiente; e nelle difficoltà finanziarie del momento potrebbe trovare la scusa per quei mezzucci o panni caldi, che d i r si vogliano, per cui l'aumento di 500 o d i 1.000 lire di sussidio chilometrico rappresenterebbe il mezzo termine per mostrare di adempiere all'impegno, senza pesare per nulla sulla finanza dello stato: perché mancherebbero ancora per molti anni le concessioni, almeno in Sicilia se non altrove.

L'unione fa l a forza: e pur bisogna che qualche cosa si sa- crifichi da tutt i : se vogliamo che tutt i si resti concordi, e a tutti vada il beneficio della legge che da tutti s'invoca.

I1 piano regolatore avrebbe i l vantaggio di affrontare una buona volta il problema nella sua realtà e integrità, d i avviarlo, verso iina certa soluzione; di rendere possibile il cointeres- samento di tutta l a Sicilia, e di potere ottenere con maggiore

facilità la concessione simultanea della intera rete, che nel suo svolgimento allacci tutte le sette provincie siciliane.

Però bisogna riconoscere lealmente che vi sono linee più urgenti e altre meno urgenti; comuni più isolati e altri meno isolati; progetti più pronti e altri meno pronti.

Quando per tutte le linee, che sono veramente necessarie: che allacciano comuni isolati e popolazioni abbandonate, si ha un piano descrittivo; un progetto finanziario, un disciplinare di concessione ; si potrà convenire sulla precedenza dell'attua- zione, sopra una classifica che prometta la graduale esecuzione, non a tempo indeterminato, ma a scadeliza fissa.

Perché sarebbe improvvido, lasciare che si sfruttino le linee più presumibilmente redditizie, lasciando quelle che si teme non lo siamo o che presentino maggiori difficoltà costruttive.

È evidente che solamente così potrà crearsi in Sicilia una rete intera, che sia completamento di quella a scartamento ordinario; e che vada da Siracusa a Vizzini-Caltagirone a Piazza-Assoro, da questo punto vada a Leonforte-Nicosia, toc- chi Paternò e Randazzo dalla Circumetnea, e si ricongiunga alla ferrovia di stato a Giardini, a Catania e Giarre a levante e a Cefalù e Termini a nord; e per mezzo delle complemen- tari possa arrivare da Castellammare e Trapani da una parte' a Girgenti-Porto Empedocle dall'altra.

Progetto speciale

La seconda conseguenza si è che si prenda per la Sicilia un provvedimento, speciale.

Questo è stato domandato dai deputati col loro ordine del giorno.

Pare che il governo non si sia resto edotto di tale neces- sità, e tema che altre regioni che si trqvano come la Sicilia in condizioni difficili, possano o vogliano accampare pretesa simile e fare arenare perciò stesso ogni disegno di legge, e affo- garlo nelle disposizioni di carattere generico e universale.

È qui che noi abbiamo bisogno di due cose: di invocare la solidariet,à delle regioni sorelle, che si devono render conto della situazione difficile della nostra isola, e della vera spere-

quazione legislativa, che è stata sempre a nostro danno: e di una considerazione di carattere economico, che attenuerà la impressione della legge speciale.

In Italia si è avuta, specialmente per noi, la preoccupa- zione delle concessioni legislative: senza tener conto degli altri elementi, che spostano i termini legali e finanziari di molte leggi.

Chi non comprende che le condizioni di diversità di sviluppo economico-commerciale del nord e del sud, rendono di diverso valore le 10.000 lire di sussidio chilometrico che si potrebbe dare per legge?

L'industria privata troverà rimunerative L. 10.000 in Lom- bardia, e non rimunerative in Sicilia. E allora ci dovremo fidaré del consiglio superiore dei LL. PP. che limita i l sussidio di

una linea del nord, perché non occorre per intiero. E d ecco che

la sperequazione apparente avverrà reale per altro organo sta- tale se influenze illecite non lo impediranno.

Però potrà avvenire che i fondi saranno assorbiti dalla ini- ziativa del nord, più rapida, con capitale più pronto e più fidente; mentre al sud si avranno i ritardi di ben più gravi diffico1t.à.

Ceteris paribus, la legge speciale per la Sicilia, sarebbe legge di perequazione!

Estremi rimedi

Avrei finito l a mia sommaria relazione, se non credessi op- portuno di farmi eco della viva agitazione che regna i n Sicilia presso i comuni e i consorzi interessati, e della sfiducia verso i l governo o meglio verso tutti i governi.

In questo momento di feste solenni e di tripudi, in questo momento in cui sovrani e governanti visiteranno la nostra isola, mentre cementano sempre più vivi i vincoli di fratellanza e rinsaldano i patti d i libert.à, non vogliamo la voce discorde della

diffidenza e i l grido di protesta, ma neppure la supina acquie-

scenza o la tacita richiesta.

Liberi, in terra di liberi, diciamo la nostra parola franca, e

affidiamo le nostre balde iniziative all'agitazione serena delle rivendicazioni dei nostri diritti.

Dobbiamo perciò nella serietà del movimento credere noi stessi alle nostre forze, e diremo nel diritto della solidarietà.

Perciò è necessario formare un comitato permanente e di agitazione, che sia la emanazione dei diversi enti consorziali, costituiti o in via di costituzione, per le ferrovie secondarie lo- cali, senza distinzione di vecchie e di nuove iniziative.

Questo comitato deve avere il duplice obiettivo di coordinare le diverse iniziative, senza esclusioni odiose, ma senza pretese esagerate e impossibili, e di far prevalere gl'interessi collettivi nella formazione dell'elenco delle vie ferrate secondarie, per quella che sarà la rete sussidiaria siciliana.

Questo comitato di agitazione pur agendo di conserva con la deputazione siciliana, avrà più facilità di mosse, più agilità di iniziative, e sarà la parola d'ordine d i tutto i l movimento.

Se agli estremi mali occorrono rimedi estremi, la Sicilia de- ve sapere e far valere fortemente i suoi diritti.

Ordine del giorno Sturzo

Il I. congresso dei sindaci siciliani in Catania:

1) riconosce come il più grave e il più urgente fra tutti, i l problema delle ferrovie secondarie, alla cui soluzione imme- diata ed intera la Sicilia ha pieno diritto;

2) aderisce al voto formulato dalla deputazione siciliana il 20 maggio 1911, domandando che i l governo del re ne segua i criteri pratici nella presentazione del relativo disegno di legge, che deve avvenire prima delle prossime vacanze estive.

a) La presentazione immediata del disegno di legge per lo aumento del sussidio chilometrico, in misura tale da rendere ef- fettivamente possibile all'industria privata la costruzione e lo esercizio delle strade ferrate.

h) La inserzione nel disegno stesso di un apposito articolo, col quale, tenuto conto delle peculiari condizioni della Sicilia e della necessità d i coordinare la rete ferroviaria dell'isola in mo- do clie risponda a l duplice intento di sottrarre all'isolamento parte di quella regione popolosa e rendere redditizio il funzio-

namento di tutta la rete, il governo sia autorizzato a concedere,

previo parere del consiglio superiore dei LL. PP. 'tale SUS-

sidio anche a tronchi di linee che non avere i ca- ratteri contemplati nelle disposizioni di legge che regolano la concessione dei sussidi ;

3) delibera costituire un comitato di agitazione formato dai

rappresentanti dei consorzi ferroviari costituiti o in via di co- 'stituzione, col duplice intento di far gli interessi delle linee secondo i bisogni delle diverse popolazioni nonché di coor-

dinarle per l'elenco da inserirsi nella legge; e di tener desta e uniforme in tutta l'isola l'agitazione fino al pieno riconosci-

mento dei diritti della Sicilia da parte dei pubblici poteri.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 9 giugno 1911).

ANCORA SULLE FERROVIE SECONDARIE SICILIANE

Pubblichiamo' con piacere i l seguente importante documento mandato dal comitato di agitazione per l e ferrovie secondarie ai deputati siciliani, che rileva le deficienze della legge propo- sta, e richiama l'attenzione della Sicilia sull'importante questione.

Questo d w u m e n t o è stato pubblicato dal Corriere di Sicilia d i Palermo, dal Corriere d i Catania, dalla Gazzetta d i Messina, e ha riscosso i l plauso d i molti comuni interessati.

Che i deputati sappiano fare il loro dovere questo vuole la Sicilia unita e compatta.

La Croce

Onorevole Sig. Deputato,

A nome del comitato d i agitazione per l e ferrovie secon- darie siciliane, m i onoro farle tenere la copia della lettera in- viata ieri a l l ' ~ n . E . Pantano, presidente della commissione par- lamentare e relatore del disegno d i legge sulle ferrovie secondarie.

I n tale lettera sono riassunti e discussi i voti del comitato d i agitazione, espressile con il telegramma del 19 spirante mese;

voti che non possono non mantenersi, anche d i fronte alle con- cessioni fatte dal governo alla commissione eletta dagli u t i c i i e ai miglioramenti arrecativi dal relatore.

Nel richiamare l'attenzione della S . V . ill.ma sul disegno d i Legge, già presentato alla camera, il cornitulo d i agitazione con- ta sull'azione energica della deputazione siciliana, perclré al- nreno durante la discussione si arrivi ad ottenere quello che è il minimo indispensabile per gl'interessi siciliani, sia riguardo la sovvenzione chilometrica, sia riguardo i l numero dei chi- lometri sussidiabili.

Accetti, on. Signore, i sensi della più deferente stima del comitato d i agitazione.

L. Sturzo

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 9 luglio 1911).

AMMINISTRAZIONE E . POLITICA

Una delle tesi sostenute dai partiti giovani e moderni, spe- cialmente nei riguardi del mezzogiorno, è stata quella della distinzione dei partiti politici dai partiti amministrativi, e lo studio di mantenerli, per quanto è possibile, indipendenti l'uno dall'altro.

A tale risultato si è arrivati nelle grandi città del continente, e anche in comuni secondari; dove la ripercussione del deputato e del governo nello svolgimento degli interessi comunali è me- no locale, generale e più libera.

I1 risultato è tutto a vantaggio dei comuni, la cui attività noil è subordinata a scopi politici, e ove l'ingerenza di elementi se- condari e indiretti nella retta amministrazione degli affari è di molto attenuata, e potrebbe anzi dirsi che in certe parti noil esista.

No11 così in moltissima parte d'Italia, specialmente nel mez- zogiorno e nella Sicilia; dove l'educazione dei partiti è meno svolta; la passione politica copre molti interessi economici; e la vita amministrativa incentra gran parte delle attivit.à locali.

Di ciò si son fatti forti tutti i governi, che hanno avuto nei de- putati del mezzogiorno la massa degli ascari; i ministeriali di ogni ministero conniventi allo sfruttamento delle coscienze del popolo. Onde quella catena per l a quale i deputati servono i ministri alla camera, e questi, a mezzo degli organi governa- tivi asserviscono ai deputati le amministrazioni locali.

E a tal punto è giunto questo stato di oppressione, che sono gli stessi partiti politici ad invocare l'intervento governativo, perché penetri nelle amministrazioni locali e avvantaggi con atti arbitrari il tale o il tal altro.

A rompere tale catena, quei pochi idealisti che ancora so- gnano il rifacimento dei partiti politici nel mezzogiorno, invo- cano lo scutinio di lista a larga base e con rappresentanza delle minoranze.

Cesserebbe la localizzazione dei parti t i ; si attenuerebbe il legame della vita politica con quella amministrativa; si darebbe alle minoranze il diritto di rappresentanza senza arrivare con mezzi violenti o scorretti a sostituirsi alle legittime maggioranze. Ma ciò è ancora un sogno per noi, che abbiamo i l suffragi? universale senza il correttivo delle correnti ideali dei program. mi e dei partiti.

Tutto ciò ci viene a mente, nell'esame dell'atteggiamento che parecchi vanno prendendo in Caltagirone riguardo la lo- cale situazione politica, e che avrà la soluzione il giorno delle elezioni generali.

Dal giorno che i nostri amici ebbero l'amministrazione co- munale (1905) otto anni or sono, un distacco si notò subito tra la vita politica e la vita amministrativa nel comune. Per posizione di partiti e per volontà di uomini si volle fare l'espe- rimento di quel che si fa in molte città clel continente, come ma- nifestazione di maturità del corpo elettorale.

E in ciò fin dal 1905 si fu secondati dall'antico partito libe- rale che cedeva le armi. e dal nucleo dettosi radicale che pren- deva la minoranza.

Infatti, le lotte amministrative combattute d'allora ad oggi (1908 e 1910) ebbero la caratteristica di rimanere nel campo amministrativo; la elezione politica del 1907 non ebbe alcuna ripercussione nel campo amministrativo.

Ciò ha dato luogo a un periodo di lavoro intenso nella nostra vita municipale; della quale non discutiamo oggi i criteri ( lo faremo altra volta); ma non si può non riconoscere l'opera di ricostruzione dei servizi, l'attuazione di molti progetti, lo svol- gimento di notevoli attività.

La qual cosa sarebbe stata impossibile, se nella riunione dei due interessi disparati e non di rado in conflitto (amministra- zione e politica) si fossero rinnovate le lotte che dal 1889 al 1905 resero per circa sedici anni paralizzata ogni att ivit i di vita cittadina, attraverso commissari regi e prefettizi. sciogli- menti e ricomposizione di consigli, impasti di giunte, cadute d i amministrazioni, in u n vorticoso crescendo che mai diede agli amministratori la calma per lo studio dei problemi citta- dini, e il tempo per svolgere il programma concreto, sia pure li- mitato e parziale. A ciò si deve aggiungere un altro coefficiente. Supposto che nella maggior parte dei casi i l partito all'ammini- strazione è quello del deputato ed è appoggiato dal governo, in un comune come quello di Caltagirone che vive di rendita e non di tasse, gli appetiti sono stati sempre formidabili.

E la veste politica e la ragione di parte influiscono assai contro i1 desiderio legittimo degli amministratori di tutelare i l pubblico denaro.

In u n momento di sincerità incosciente diversi elettori solle- vano i loro clamori contro l'attuale amministrazione: e chi ricorda che è stato preso i n contravvenzione; chi non dimen- tica di avere avuta qualche negativa a desideri anche illegali; chi si lagna di punizioni, chi di denegata pensione, chi di insoddisfatto desiderio di posto, chi di una lite, e così via.

Che cosa rappresenta tutto ciò, se non l'illegittimo parassi- tismo politico annidato nelle pieghe delle vesti comunali, per la soddisfazione o l'interesse personale?

Vada l'uomo politico al potere e senta i l ricatto dei voti che tali elettori gli faranno, quando egli è costretto o da leggi o da regolamenti o da moralità, o da buon criterio amministra- tivo, a quella sfilata di no che corrispondono a tanti voti per- dut i e a tante inimicizie create; e poi veda se risponda agli interessi della vita politica, che dovrebbe avere u n programma e un contenuto ideale, e agli interessi quotidiani della vita am-

ministrativa, che risponde ai bisogni dei cittadini in complesso e non ai desideri dell'elettore in singolo, e giudichi quale nella sua coscienza possa avere preponderanza.

Ecco perché anche oggi noi siamo per la separazione di beni e persona del partito politico da quello amministrativo.

La lotta prossima si affermi sul programma politico dei candidati siano liberali, radicali, socialisti o cattolici; e sulle qualità clel rappresentante di u n collegio per l e sorti morali ed economiche del collegio stesso, da tutelarsi in parlamento; la lotta amministrativa la faremo sul programma comunale, e allora parleremo di questioni locali, d i bilanci di spese, di pro- getti e di servizi municipali, e faremo la storia del passato e il programma del futuro.

Confondere i due termini, è far tornare Caltagirone in- dietro di molti anni, inficiare l a vita comunale di elementi estranei, spostare i termini di lotta, e creare il confusionismo e il parassitismo politico nella vita amministrativa.

Loico

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 13 aprile 1913).

DISCORSO AL CONGRESSO DEI SINDACI E DELLA K TOMMASEO » A GIRGENTI

Sono lieto portare in questa assemblea il saluto solidale del17Associazione dei comuni italiani, che mi onoro rappresen- tare, e che da sedici anni, vigile e costante, previene e sostiene tutte le legittime aspirazioni della vita comunale, e persegue, senza che la fiducia sia mai venuta meno, l'ideale delle libertà e delle autonomie comunali, come uno dei progressi che la nostra patria deve raggiungere.

In mezzo a molti insegnamenti che la grande guerra ci ha dato, e che noi clovremmo utilmente seguire, riprende il suo vero posto il senso di una responsabilità che trascende le vecchie formule burocratiche, che fissano sulla carta i l regno del bene e clel male, e chiama l'individuo investito di pubblici poteri al

cospetto dell'anima popolare che lo giudica da per sé senza il visto del prefetto né l'approvazione della giunta provinciale amministrativa.

E oggi si sente meglio che prima, nella ressa dei provve- dimenti annonari, nelle urgenti disposizioni finanziarie, nella semplificazione di piccole formalità inutili, assillanti la vita comunale, come noiose mosche d'estate; oggi si sente più che mai che tra l'amministrazione e la realtà vi erano, vi sono ancora purtroppo delle piccole e delle grandi barriere che è necessità abbattere.

Perché noi italiani che oggi combattiamo per la nostra viri- l i tà politica ed economica, oggi sentiamo che intellettualmente ed economicamente eravamo tributari all'estero, ma sentiamo anche che tutta la vita centralizzata negli organi statali, pro- vinciale e comunalì, si sciupava nell'attrito delle molteplici ed inutili ruote, e nella lotta per superare e vincere la resistenza degli arrugginiti ingranaggi.

I1 programma della autonomia comunale non nega l'esi- stenza degli ingranaggi stessi: pretende che siano ridotti a quel minimo che possa soddisfare alle esigenze di una supremazia statale che non si nega, ma che, invece di poggiare come tutta la vita burocratica italiana sul valore dei controlli, poggi sul senso e sul principio di responsabilità, che venga come naturale portato della libertà dei comuni e della vita popolare che vi si incentra.

Oggi noi guardiamo la vita dei comuni attraverso l'ora tra- gica che incombe, e bisogna affermare con orgoglio che tutte le amministrazioni comunali di qualsiasi colore e parte; d i fron- te alle esigenze impellenti della vita cittadina, di fronte allo sforzo sereno della resistenza interna sono state e sono, vigili e costanti, al posto di onore e di combattimento ( lo chiamo così) poggiando sulle risorse della vita locale: affrontando respon- sabilità legali, morali ed economiche: superando barriere rego- lamentari e più che altro difficoltà reali d i ogni genere, perché la vita nel comune si svolga normale, l e popolazioni siano tran- quille, il morale sollevato; e attraverso i dolori e le angoscie si mantenga la fiducia intera e completa nell'avvenire della patria.

Pensare a questo avvenire, ai provvedimenti atti a mettere

'l in valore let intiere risorse della vita comunale che h a l e sue radici profonde nell'anima italiana, nella sua genialità, nel senso di personalità mai estinto, nella tradizione, nella storia locale e generale, in tutto lo sviluppo vario e complesso della nostra terra, della nostra razza, della nostra gente; è dovere di quanti oggi pensano che dopo la lotta delle armi vi sarà l a lotta della pace, per la riconquista della nostra posizione mo- rale, economica nel mondo.

E noi siciliani, che abbiamo problemi così vari e così com- plessi, e che fin oggi non abbiamo sfruttato tutte le energie che ci dà la nostra terra, e quelle altre energie ancora maggiori che troviamo nella profondità dell'animo nostro; noi che ab- biamo l'onore e l'orgoglio del valore dei nostri fantaccini e dei nostri bersaglieri forti e audaci, noi dobbiamo da' noi stessi volere e pur noi stessi imporre alla pubblica opinione il nostro problema siciliano, e da noi stessi preparare la soluzione e affermarla.

Con questi criteri, mentre plaudo alla iniziativa del muni- cipio di Girgenti, e auguro a questo convegno lavori pratici.'e affermazioni vitali, confermo che l'Associazione dei comutii sarà lieta di cooperare come sempre alla soluzione dei problemi di tutta la vita comunale italiana.

( L a Croce di Costantino, Caltagirone, 18 febbraio 1917).

I PROBLEMI DELLA PROPRIETÀ TERRIERA

I1 discorso dell'on. Drago e i l voto del congresso dei socialisti riformisti sulla statizzazione della proprietà terriera o sul co- munismo agrario, è sembrato come una squilla che richiama i sonnolenti borghesi all'esame della rea1t.à del problema agrario.

Con forma più modesta e con senso più realistico il con- gresso dei sindaci siciliani tenuto a Girgenti il 6-7 gennaio scor- so votava un ordine del giorno sulla questione agraria e il lati- fondo, che riporto interamente per comodità dei lettori benché pubblicato in quasi tutti i giornali quotidiani di ogni colore.

roso e necessario affrontare oggi, pel dopo guerra, i l problema agrario della colonizzazione interna della Sicilia, avviando ad una soluzione organica la questione del latifondo sia con misure che rendano possibile la trasformazione della grande coltura granaria e armentizia, là dove non è né possibile né utile i l fra- zionamento; sia creando l'istituto dell'enfiteusi speciale per quei latifondi che possano utilmente quotizzarsi e trasformarsi a cultura intensiva; sia agevolando i contratti d'affittauza a Iirnghe scadenze.

Tali provvedimenti debbono essere razionalmente coordi- nati con altri che rendano possibile lo sviluppo della cultura agraria, come bonifiche, rimboschimenti, corsi d'acqua, serbatoi, viabilità vicinale, sistemazione d i trazzere, lotta contro la ma- lar ia ; valorizzando a l massimo grado la potenzialità dell'agri- coltura e cerealicoltura siciliana D.

Quest'ordine del giorno fu presentato da me e dal sindaco di Palermo a Boselli, Orlando e Raineri, facendo vive racco- mandazioni perché i l governo volesse ora, e non dopo e tardi- vamente, occuparsi del grave problema, che oggi più che ieri, e domani più che oggi premerà sull'agricoltura del mezzogiorno e della Sicilia.

Non so quali provvedimenti prenderanno i ministri compe- tenti; ma la nuova voce dei socialisti riformisti che viene a dare al problema agrario italiano un carattere socialistico e comunistico farà pensare ai borghesi sonnolenti, che non è que- sta l'ora di fare solo decreti per l a carta dei giornali o per il consumo delle fave fresche; ma di preparare quei provvedi- menti d i legislazione agraria che valgano a risolvere vecchi problemi, ad affrontare nuove situazioni e a trasformare in senso più sociale ( e non socialista) i l diritto di proprietà privata.

È vero che le trasformazioni agrarie procedono lente in ogni epoca; però basta un primo inizio per avviare una larga tra- sformazione.

Dico in senso sociale non socialista perclié molte idee espres- se dall'on. Drago non sono monopolio suo e del suo parti to; e

la vernice socialista messa a molte idee borghesi (chiamiamole così) fanno trasparire l'equivoco fondamentale in cui si aggira.

Egli an itutto accennò alla espropriazione generale del sotto \ suolo. Non 'è una novità socialista che il sottosuolo sia O possa

\ essere demanio dello stato. Le diverse regioni italiane seguono in ciò le antiche legislazioni dei singoli stati, che hanno fonda- mento storico e giuridico nelle condizioni di fatto d i ogni singola regione, nella diversità di produzione di cave e miniere, impor- tanza, natura e qualità delle materie che vengono estratte; in tutto un complesso di fattori determinati e concretizzati dagli usi e dalle necessità.

I1 monopolio statale, o la semplice demanialità del sottosuolo, involge un problema finanziario e tecnico più che un vero pro- blema sociale. Va studiato senza esagerazione e senza illusioni soverchie.

Lasciamolo lì, come una frase perduta nel mare delle pa- role clell'ordine del giorno Drago, e passiamo alla questione della proprietà agraria.

I socialisti riformisti pensano per mezzo dell'on. Drago al seguente congegno della socializzazione della terra: « espro- priazione generale del soprassuolo e limite della proprietà pri- vata secondo determinati criteri; conduzione collettiva a mezzo di comunità agrarie: e con questo fare sbocciare il bene di fa- miglia ». ( !). >

Veramente, non ostante l'intervista pubblicata nel Giornale d'ltalia, l'on. Drago non ha spiegato come possano stare insieme l'espropriazione generale della terra e i l limite della proprietà privata per esempio a 200 ettari come egli afferma; - e come si possa osservare una coltivazione intensiva a mezzo di comu- nità agrarie, e come da esse possa derivare il bene di famiglia. È tutto un acrobatismo agrario ad uso e consumo del sociali- smo, che deve concedere qualche cosa al suo vieto fondamento comunistico, e che riesuma dal medio evo le comunità agrarie e il dominio collettivo, come un portato del nuovo verbo rifor- mista. E poiché si deve domandare alla terra il maggior redditg possibile. così è stata buttata nell'intervista anche l'idea del bene di famiglia, che è un'idea da conservatori e da agrari sociali e non da socialisti che negano la proprietà privata e vo- gliono l'espropriazione generale invocata dallo stesso Drago co- me fondamento della sua riforma.

/ Tutto questo congegno illogico e antitecnico evidentemente

/ non può servire che 3 fare un po' di politichetta agraria a buon /

mercato; non mai ad affrontare il problema agrario in Italia, che è molto grave.

Anzitutto è un problema di produzione ; ed è contemporanea- mente problema di distribuzione di ricchezza. L'agricoltura non produce come e quanto dovrebbe non solo perché la terra è tecnicamente mal coltivata nella gran parte (lasciamo fuori l'al- tro pregiudizio delle così dette terre incolte), ma anche perché manca di molti fattori anche legislativi per la maggiore pro- duzione.

Anzitutto è da deplorarsi l'assenteismo di molti proprietari che non vivono della terra e sulla terra ; essi hanno una fun- zione sociale che non sanno compiere; essi debbono sentire in forma collettiva il loro dovere, perché la maggior produ- zione è dovere morale e sociale e anche oggi più che ieri dovere patriottico.

Sia perciò il proprietario costretto da leggi dirette e indi- rette a badare al proprio fondo e ai propri poderi; e sia obbli- gato a concorrere largamente alle migliorie di carattere ge- nerale quali strade, sistemazioni in casi d'urgenza e dei bacini montani, lotta contro la malaria, rimboschimenti e simili.

Si tratta di un sempre antico e sempre nuovo programma di politica agraria, che ha subito tutti i ritardi, tutte le indeci- sioni, tutte le inutilità della nostra burocrazia, sperduto nei suoi piani generali, nelle commissioni e sottocommissioni, nelle interferenze tra ministero dell'agricoltura e quello dei lavori pubblici; sciupata ogni buona idea in stanziamenti tisicucci e ridicoli; in tentativi teorici, in classifiche e revisioni. d i classi- fiche che formano nel loro complesso il magro compendio di venti anni passati da congressi ad ordini del giorno e da ordini del giorno a congressi.

Attuare questo programma con larghezza di vedute, mezzi sufficienti, continuità d'azione, è dovere dello stato e dei pro- prietari insieme, e non dello stato solo; ecco un punto di par- tenza notevole e una veduta di programma da esporsi chiara- mente dagli agrari sociali. Perché (ecco i l gran punto di diffe- renza) è bene affermarlo, la grande proprietà terriera ha la sua

\ alta funzione sociale e pxoduttiva; e risponde a condizioni di \ fatto che non,possono essere superate senza danno della produ-

zione stessa. Tale grande proprietà sarà contenuta nelle zone che tecnicamente e demograficamente la esigono, sarà corretta da vincoli, sarà spinta al più alto grado di produttività ma non può essere distrutta nello stesso interesse dell'agricoltura se non vogliono isterilirsi i campi. L'Italia ha come principale cultura i cereali, e deve aumentare e migliorare la industria armen- tizia; queste due colture possono avere il più largo sviluppo nella grande distesa dei campi, messi con criteri moderni, molte vie, molte macchine, molti armenti, grandi impianti,

case rurali importanti, possibiliti di corsi d'acqua per irriga- zione, rimboschimento delle zone montane, tutto un programma

di largo impiego di capitali. Avvicinare la popolazione alla terra e combattere l'urba-

nesimo è il programma specialmente meridionale; ma si crede

forse che sia un capriccio storico del meridione il grande ag- glomerato rurale e le campagne deserte' di abitati, o non sia

invece un prodotto di fattori non solo etnici e sociali, ma anche di abitabilità e di cultura?

Ecco perché accanto alla grande prop'rietà terriera e alla

grande coltivazione dei cereali e all'allevamento degli armenti, devesi curare di dare la terra ai contadini, quella che essi po-

tranno mano mano abitare e coltivare direttamente. Non tutte le zone attorno agli abitati di Sicilia e del mezzogiorno sono co-

stituite da piccole proprietà; in molti nostri paesi i l lati- fondo opprime; e quindi manca la piccola e la media proprietà

che mano mano viene abitata e coltivata con migliore cura, e trasformata direttamente dal contadino proprietario.

È quindi uno dei lati del problema poter arrivare alla

divisione di quel latifondo che aduggia l'abitato, e che potrà

essere coltivato intensivamente lasciando le zone da rimboschire

come demanio forestale o come parte vincolata della proprietà stessa secondo i casi.

Nella discussione fatta al congresso dei sindaci a Girgenti, si fece un accenno alla divisione della zona che circonda i paesi siciliani per un raggio di cinque o sei chilometri, e s'invocò

più adatti a garantire l'esito della proposta stessa. / i l'istituto dell'enfiteusi speciale e perpetua come uno dei mezzi

E qui sorge una larga discussione sull'esito/delle vecchie quotizzazioni dei demani comunali, le quali non sarebbero riu- scite che a fàr costituire in parte proprietà più vaste e rendere meno redditizie larghe zone di terreno, prima tenute in USO

collettivo dalle popolazioni. Molti errori si fecero nelle quotizzazioni dei demani comu-

nali, che oramai si possono dire superati nell'assestamento che ne è rrgiiito aiitomoticamente, c i n l a ferrea legge del più forte, nel contrasto dei valori umani e sociali. Però l'esperienza del passato deve servire a insegnarci di evitare gli errori fatti, ben- ché non sarà facile evitare ogni errore in provvedimenti di si- mile natura.

Errore fu il quoziente terreni lontani dall'abitato ove non è stato possibile creare abitati vicini e spostare la popolazione ove dominava e domina la malaria; errore fu assegnare ~ i c c o l e quote, sparute unità agrarie non sufficienti a dare mezzi di vita alla famiglia agricola, che ha dovuto altrove trovar lavoro; er- rore fu dare la terra senza i mezzi di coltivarla; e così via.

Occorre invece costituire la piccola proprietà su salde basi; e tendere alla formazione del bene di famiglia come altre na- zioni han già fatto con grandissimo risultato per la produzione agraria e per lo sviluppo dei centri agricoli.

Un programma perciò largo e complesso, che riassunto nel citato ordine del giorno d i Girgenti, deve servire come base d i una riforma agraria fra le più importanti che abbia tentato fin oggi lo stato italiano.

È i l momento? - Si; senza bisogno di fare il solito pisto- lotto, è necessario avviare l'agricoltura (dico avvivare perché

' non credo alle bacchette magiche) ad una trasformazione lenta, e sicura, per avere una produzione adeguata ai nostri bisogni, e perché possa superare la pressione tributaria e la grave crisi che vi sarà in seguito.

È i l momento, purché la mano d'opera non emigri. E allora bisogna affrontare la spesa necessaria da parte dello stato per la così detta colonizzazione interna; che non si fa in un giorno o in un'ora, ma che occorre incominciare con provvedimenti

\ finanziari, con leggi socia1i.e agrarie, con sicurezza d'intuito e \ larghezza di yedute.

E lasciamo l e inutili declamazioni sulla espropriazione del sottosuolo e del soprassuolo, le fantastiche combinazioni della terra sociale con la proprietà privata limitata a 200 ettari, e la conseguente creazione burocratica mastodontica per la pro- duzione degl'impiegati e dei capi-lega, invece dei cereali, e della coltivazione delle pratiche da emarginare e dei comizi da pre- siedere invece degli ulivi e delle viti!

( L o Croce di Costrintino, Caltagirone, 13 maggio 1917).

IL COMUNE (*)

Nessuno ha diritto a meravigliarsi che nei paesi democratici, e per di più in u n periodo di lotta serrata contro il comuni- smo, l e elezioni amministrative si ((politicizzino ». Anche ai miei tempi era così; e quando per la prima volta mi presentai agli elettori sotto la bandiera della democrazia cristiana ))

(1899), fece scandalo; ma il substrato politico dava la spinta alla battaglia. Fin da quel giorno feci un patto: niente favori- tismi, niente sperperi, niente privilegi di classi alte o basse; buona amministrazione.

Che insieme a i miei amici fedeli abbia io mantenuto il patto da consigliere, da commissario, da sindaco, è cosa nota. Che abbia trasportato lo stesso metodo al consiglio provinciale, ri- manendo per quindici anni all'opposizione più vivace e dura, anche ciò è noto. Che abbia sostenuto per venti anni, nei con- gressi e nel consiglio dell'Associazione nazionale dei comuni italiani, i postulati dell'autonomia locale insieme alla più effi- ciente e personale responsabilità amministrativa, appartiene alla storia.

(*) Introduzione al volume a I1 comune - organi e funzioni », a clira di G . Grimaldi, Roma, ed. Torre Civica, 1950.

,/ Ho così un certo diritto di parlare oggi di buona ammini-

strazione ai consiglieri, assessori e sindaci in carica e a i can- didati a tali posti. La politica (dacché la lotta' è fatta da e i n nome dei partiti) servirà a fare ottenere i l numero di seggi relativi ai partiti in competizione; ma, entrando per i l por- tone del municipio o della provincia, la cosidetta politica (quel- la di basso rango e di odor mal fido) deve rimanerne fuori; l'altra, quella dei principi nel loro riferimento al carattere d&li enti locali, entri pure e sia tenuta presente solo al fine pratico della buona amziinistrzzione.

Perché, quali che siano gli orientamenti politici, i provve- dimenti legislativi, l e discussioni di parlamenti, assemblee, con- sigli direttivi, giunte, commissioni e simili, sono tutti ordinati a d u n unico fine: la buona amministrazione. Tutte le teorie, i discorsi, i dibattiti o sono ordinati alla esecuzione pratica, o non valgono un fico secco. Non dico che per sé siano inutil i ; dico che spesso sono superflui, ingombranti, fan perdere tempo, o peggio, fan perdere la bussola, portando a compromessi dan- nosi. Gli eletti, dopo avere sciupato le proprie forze in riunioni, che prendono lunghe ore, molti giorni, mesi anche, anni anche, sono incapaci a provvedere all'azione pratica, che manca O ri- tarda, o è inadeguata. Si ha così il massimo sforzo e il minimo risultato; l'inverso della legge che dovrebbe regolare la vita pratica, come regola la buona economia.

L'amministrazione dei comuni e delle provincie è certo ba- sata su principi, leggi, criteri, orientamenti che formano una tradizione notevole in Italia; però raccomanderei ai legislatori d i fare meno leggi e meno regolamenti e dare più libertà ai comuni e alle provincie, con una più netta e chiara responsa- bilità, anche contabile e penale, agli amministratori che vio- lano la legge e che dissipano i denari del pubblico.

Ho dovuto constatare che non pochi comuni, specie nel mezzogiorno e delle isole, non hanno applicato tutte l e impo- ste, tasse, sovracontribuzioni che le leggi autorizzano; pe r cui tirano avanti senza sufficienti entrate, sono oberati d i debiti; il personale non è regolarmente pagato; non si hanno mezzi ade- guati per strade, fognature, edifici scolastici, servizi igienici. Tal i comuni sono in partenza male amministrati.

\

I consigli comunali che non hanno il coraggio di mettere tasse, è meglio che vengano sciolti. È vero che i prefetti pos- sono inviare commissari a fare quel che i consigli e le giunte non fanno. Ma qui entra la politica, quella cattiva, quella della peggiore tradizione italiana, quando i prefetti intervenivano se deputati o ministri lo richiedevano, e dovevano chiudere un occhio, o anche due, verso gli amici e vedere il contrario se erano « al potere » ( si diceva « al potere ») gli antiministeriali.

I comuni debbono avere entrate adeguate; è stata testé va- rata la legge sulle finanze locali: legge incompleta e insuf- ficiente, sia pure ; ma tale da recare una prima sistemazione alle finanze locali dissestate dalle crisi della guerra e del dopo guerra, dai carichi statali e dalle spese accresciute per il perso- nale, quasi dappertutto esuberante e perciò a costo spropor- zionato.

Fino a che non sono sistemate le finanze locali, l'intervento statale per spese nuove o per i deficit diventa normale; s'im- pone: ma è un rimedio questo del tutto passeggero e per sua natura controproducente. Gli amministratori si abituano a chie- dere; e protestano se lo stato non dà, o dà poco, o tarda a pa- gare, e perfino se controlla le spese e rende difficile la stessa vita locale.

Per amministrare bene occorrono diverse virtù negli am- ministratori. Non farsi pigliare la mano dalla burocrazia lo- cale; rispettarla, ma fare rispettare gli orari, il servizio e i l pubblico. Nulla domandare agli impiegati che non sia secondo

legge; non servirsene per fare un favoritismo o per evadere le disposizioni legislative o regolamentari; mantenere con loro la regolarità e l'equità per le scelte e l e promozioni.

11 contatto con i cittadini, specie i meno favoriti e i più bi- sognosi, deve essere costante, premuroso, giusto. Per il sindaco e gli assessori, i cittadini debbono essere tutt i eguali nel ri- spetto dei diritti, tutti eguali nel far loro osservare i doveri civici.

I1 denaro pubblico sia sacro: è invalso l'uso di amministrare con una certa larghezza, direi con molta larghezza, senza ave- i l coraggio di mettere fuori della porta i parassiti, i ricattatori, i mediatori, i trafficanti. Ciò può darsi che crei risentimenti per-

/' /

sonali, ma crea anche la soddisfazione del pubbIico. Se i citta- dini che vi han dato i voti non sono liberati dalla genia dei profittatori, a che giova avervi mandato al palazzo comunale?

Se l'appaltatore della nettezza urbana non tiene pulite le stra- de, o se quello della manutenzione degli acquedotti vi fa mancare l'acqua, forse chiudete un occhio? E se le strade sono trascu- rate, forse non sentite i reclami del pubblico?

È pesante l'amministrazione di un comune, se ciascuno deve fare il proprio dovere: curare opere di assistenza sociale e .farne di nuove; costruire czse, rinnovare strade, cnnrdinare servizi, tenere testa a tutti coloro che si intrufolano per avvan-

taggiarsene personalmente, a tutti coloro che pretendono po- sti ampliando i ruoli impiegatizi con l'idea che tanto due mi- lioni o cento milioni di maggiore defiicit nei bilanci non è poi u n gran male!

La cura di amministrare il denaro altrui, che è denaro di tutti, deve essere superiore a quella di amministrare i l denaro proprio; pe r quanto anche l'amministrazione del denaro pro- prio imponga dei doveri verso se stessi e verso la famiglia e anche verso la società, e vi è maggiore libertà e minore respon- sabilità nel disporne, che non sia l'amministrazione di un ente pubblico che esige rispetto delle leggi e dei regolamenti, accu- ratezza e senso di misura.

Solo con la buona ammioistrazione il popolo potrà ricevere tutti i vantaggi di una sana politica, di una intelligente legi- slazione e anche della stessa attività dei partiti, quando non sono demagogici e rivoluzionari; invece, per la cattiva ammini- strazione o per la trascurata o poco intelligente amministra- zione, la società va alla malora, anche quando avesse per di- rigenti statisti d i altissimo valore, politici ,abilissimi, quando i1 parlamento facesse leggi progressive ed impeccabili, quando i partiti avessero programmi e piani modernissimi, e l e casse fossero piene di miliardi.

Tut ta la vita umana è diretta all'azione; tutte l e teorie si ri- solvono nella pratica; tutte l e leggi sono fatte pe r la esecu- zione; tutti i regolamenti (troppi, troppi) sono per la realtà immediata; la società si articola nei comuni, perché nei co- muni, nelle frazioni e borgate viviamo noi uomini, che poi

formiamo il complesso delle provincie e regioni e dello stato; forme organiche e giuridiche queste, che sarebbero vane e inutili senza gli agglomerati comunali dove circola la vita sim- boleggiata nella torre civica con accanto i l campanile.

L'ENTE REGIONE (*)

Esistono e già funzionano quattro delle cinque regioni a statuto speciale, e, se le discussioni parlamentari sul sistema da applicarsì alle prossime elezioni comunali, provinciali e re- gionali non subiranno altri rinvii, sembra probabile che nel 1951 si arriverà alla costituzione 'delle altre quindici regioni.

I1 pubblico non è, in generale, molto edotto della portata del titolo V della costituzione; e, dopo averne letto i passionali attacchi sulla stampa quotidiana, si sarà probabilmente formata l'idea che il nuovo ente sia superfluo alla organizzazione am- ministrativa del paese e quale intruso in quella politico-istitu- zionale.

Nel presente volume non si polemizza su questi due punti capitali; si parte dal fatto che la regione è un istituto costi- tuzionale, e, delineandone i contorni giuridici e amministrativi, si toglie quell'alone di nebbia che, nella £antasia di molti, ne ha alterata la figura.

Mentre l e regioni a statuto speciale hanno già una legisla- zione istituzionale ben definita, le regioni a tipo comune, quelle da costituirsi, attendono tre leggi, volute dalla costituzione stessa, senza le quali ne sarà impossibile il funzionamento: la elettorale (art . 122), la normativa e, se del caso, attributiva di funzioni (ar t . 117, 118), e la finanziaria (ar t . 119).

Qui siamo in materia de lege condenda; fin qui oggi i vari disegni cli legge proposti dal governo non hanno avuto fortuna; quel che è più grave, non essendo stati precisati i limiti delle

(*) Prefazione al volume « L'ente regione n, di Gerardo Coppa, Na- poli, Pironti, 1950.

competenze delle regioni nelle materie stabilite all'art. 117 della costituzione, è mancata la valutazione degli oneri cui corrispon- dere un attivo derivante dalle imposte e tasse da attribuire a tali regioni.

I l ritardo a legiferare in materia può causare il rimando se non della costituzione delle suddette quindici regioni, certo del regolare funzionamento. Di ciò si sono resi conto i membri della prima commissione della camera che lianno elaborato un nuovo testo il cui esame è già posto all'ordine del giorno della camera in regolare assemblea per quegli ariiculi per i quali fu riservata ogni decisione.

Sembra, pertanto, che la macchina legislativa si metterà fi- nalmente in moto, e che, salvo incagli imprevedibili, si ar- riverà nel 1951 ad avere definita tutta la materia rimasta in sospeso.

È, del resto, nella tradizione del parlamento italiano, dal risorgimento ad oggi, portare avanti lentamente e fra non lievi difficolti, sia procedurali sia di merito, le riforme amministrative. In un secolo di storia unitaria, è mancata sempre la cliiara vi- sione delle autonomie locali e della necessità della coopera- zione civica per una migliore articolazione dello stato centra- lizzato. Le diffidenze verso un libero sviluppo della vita locale non sono mai cessate. Ne sono prova le ventennali campagne di prima del fascismo fatte sia dall'Associazione nazionale dei comuni sia dall'unione delle provincie; battaglie clie sono sta-

te oggi lentamente riprese in regime repubblicano, perché ri- mangono ancora i residui di accentramento statale e di anti- autonomismo del regime caduto, e i pregiudizi liberali della tradizione risorgimentale.

A rompere la cerchia del vincolismo statale nella vita lo- cale e ad attenuare l'accentramento burocratico sempre cre- scente, fu ripresa e sviluppata, appena finita la guerra, l'idea

della regione alla quale tutti i partiti dei comitati di libera- zione, meno i socialisti italiani, diedero il loro più largo ap- poggi o.

La costituzione stessa riflette i primi timori, secondo me infondati, di un particolarismo disgregante ed un autoiiomismo

antiunitario (*). Questi timori han fatto ritardare le leggi di

esecuzione per quindici regioni non ancora costituite. Ma, se

è a credere che oggi parlamento e governo siano disposti ad ese- guire questa parte della costituzione, sarà bene che i cittadini

si rendano conto dei nuovi diritti e doveri che li riguardano.

( e ) A queste due obiezioni Sturzo accennava con limpidi tocchi in una lettera inviata al prof. Carlo Bozzi, presidente dell'Istituto per gli studi giu- ridici e politici sulla regione costituito a Palermo, lettera che ci piace ripub- blicare :

Ill.mo professore,

Lei sa bene che le mie condizioni di salute non mi permettono di esser pre- sente alla prima assemblea dell'Istituto di studi giuridici e politici sulla regione. Me ne duole per me ; del resto non credo che altro titolo potrei avere a sedere in consesso accademico che quello d i esserne stato mode- stamente un promotore.

Il motivo, direi occasionale, che me ne fece sorgere l'idea fu dato dalla insistenza della polemica giornalistica e politica si11 tema che la regione potesse scuotere la saldezza unitaria dello stato italiano.

Un istituto di studi su base scientifica, tenuto al di sopra della polemica passionale, che nel dibattito di idee e nell'approfondimento di tesi contra- stanti segua l'evolversi dinamico della regione e ne precisi i contorni giuridici e le finalità amministrative e politiche, è quanto di più solido e d i più rassicurante potrebbe porsi agli studi e ai dibattiti scientifici; e la libera opinabilità non ha altro fine che la ricerca della verità.

Quale pii1 alta garanzia di quella che potrà dare un simile Istituto alla nascente regione? Questa, tra polemiche e incertezze giuridiche e le non dissipate diffidenze politiche, va facendo la sua prima esperienza nella rinata libertà italiana.

Fin oggi solo qriattro delle regioni a statuto speciale sono già costituite ed operanti; e tutte e quattro, a mio modesto avviso, hanno dato prova di serietà fattiva e di valida cooperazione alla rinascita del paese.

L'obiezione di particolarismo che si è affacciata da parecchi può dirsi dissipata dai fatti, non ostante le difficoltà che la burocrazia centrale ha frapposte alla più rapida attuazione delle relative norme statuarie e delle pratiche soluzioni dei problemi che vanno sorgendo.

L'altra obiezione, quella di un inclinamento federalista. deve dirsi del tutto inesistente per iin dato fondamentale, che alla base di qualsiasi fede- ralismo sta una volontà popolare sovrana (tanto nella forma storica del cantone svizzero che nella forma originaria dello stato come sovranamente distinta dalla volontà unitaria nazionale).

C'è stata, nelle quattro regioni già rostitiiite, una opinione ~ u h b l i c a

perché l a regione risponda ai fini per i quali viene creata: coo- perazione civica libera e autonoma nel quadro dello stato; de- centramento statale per dare responsabilità alla vita locale; edu- cazione amministrativa e legislativa nel campo degli interessi specifici d i ogni singola regione, coordinando insieme le atti- vità e le responsabilità delle provincie e dei comuni nella stessa regione.

Solo così potrà articolarsi la macchina statale, che oggi è affidata ad una burocrazia regolamentarista e diffidente, tarda e ingombrante.

Roma, 5 novembre 1950.

CONSIGLIERI, ASSESSORI, SINDACI

. .

I1 ricordo dei venti anni di mia attività come consigliere co- munale e sindaco di Caltagirone, esattamente pro sindaco (per quindici anni Caltagirone non ebbe u n sindaco essendo che

regianalista che si è anche pronunziata in forme di libera iniziativa popolare e concretata in consulte e consigli che hanno elaborato gli statuti vigenti.

Ma ciò è avvenuto nelle forme adatte *ad un paese libero, nell'attesa della sanzione legislativa, nella più alta espressione della volontà popolare, quale que;:il dell'assemblea costituente. È la nazione che ha creato la re- gione legale, nientre è stato il popolo di ciascuna delle quattro regioni suddette che, moralmente e politicamente, ha dato corpo alla regione.

Le ombre federaliste non esistono perché nessun federalisiuo può deri- vare dagli istituti creati dall'unica volontà nazionaIe espressa daIla costituente.

Mi scusi Lei. illustre professore, mi scusino i suoi illustri colleghi, se ho indugiato alquanto su questo tema, ma sentivo il dovere di esporre i l motivo, direi sentimentale più che politico, che mi ha mosso a proporre a Lei ed agli altri aniici cofondatori l'idea del presente Istituto, che diverrà di sicuro lustro della scienza giuridica e della cultura italiana.

Gradisca, insieme ai convenuti, i niiei orriaggi distinti e cordiali

dev.mo Luigi Sturzo

Roma, lì 20 ottnhre 1950.

i l prete non poteva esserlo e che nessuno dei miei collaboratori volle prenderne i l posto) mi è rimasto così impresso e vivo, che se oggi potessi a mio grado scegliere u n posto di lavoro, tor- nerei a Eare i l consigliere comunale e i l sindaco di Caltagirone.

Uno dei motivi sarebbe quello di tornare ad essere il più vi- cino possibile alla realtà vissuta, alla concretezza dei fatti, a l contatto immediato con le popolazioni minute, con l'individuo uomo. 11 comune è un ente concreto, più che non lo sia una provincia, una regionc, lo stato. Fra i l popolo e l'autorità che amministra non vi è alcun diaframma, sia questo i l parlamento o la burocrazia, sia la distanza territoriale o le ipostasi disprez- zate quali « stato », « governo », « ministero ». Spesso non si ar- riva ad afferrare se sotto la parola governo non ci sia che appena u n sottosegretario e sotto quella di ministero u n qualche capo o vice gabinetto o uno dei tanti delle segreterie particolari, e sotto la pomposa parola stato (ragion di stato, interesse pubblico e simili) non ci siano nascoste certe usuali consorterie affari- stiche combinate con le solite commissioni affaristiche.

Tutto sommato, tra popolazione cittadina ed amministra- zione (tranne forse nelle grandi città) i rapporti sono all'ape,rto. E se ci sono sulla scena o dietro le quinte burocrati, affaristi e trafficanti, sono tutti individualizzabili.

Tutto ciò a d u n patto: che l'amministratore sia anzitutto amministratore. Alla caduta del fascismo, dopo venti e più anni di affarismo littorio per vantaggio di una categoria di pri- vilegiati, la presa di possesso dei rappresentanti dell'esarchia, ( e di tutti i trasfughi che vi si annidarono come a casa pro- pria) portò a dare un'impronta politica alla vita amministrativa del paese. I sei si divisero i posti come tante prebende che loro spettavano per diritto divino. La svalutazione della moneta, le difficoltà alimentari, la borsa nera scossero l'edificio econo- mico del paese e la pubblica amministrazione subì una specie di saccheggio. Posti reali, posti fittizi, avventiziato, creazione di nuovi enti a cavallo di quelle invenzioni fasciste finirono per portare il disastro a tutti i comuni d'Italia.

Era naturale che in tale clima politico-economico l'ammini- stratore non fosse più amministratore ma u n uomo politico, ap- poggiato ad un partito, e che perciò vedesse tutti gli affari col

colore politico del proprio partito: rosso, bianco, verde, colore così così.

Addio senso di responsabilità; addio rispetto dei diritti, de- gli individui o dei nuclei sociali; addio cura del pubblico de- naro: tutto fuori tono, tranne il dominare, i l trarne profitto, i l fornrarsi una consorteria di cointeressati.

Questo clima torbido e preoccupante è andato attenuandosi con le varie elezioni fatte negli ultimi tre anni: le ammini- strative del 1945-46; quelle per la costituente del 1946, le poli- tiche del 1948; ma ancora si aspetta il soffio di vento che spazzi

. . . via l'aria malsana.

LO sfogo elettorale p e r la selezione di uomini chiamati a pubblici posti è servito come precipitazione atmosferica. La tur- bolenza politica ha avuto una fase elettorale che è servita per incanalare l'arbitrio nella legalità. Ora si comincia a ragionare; ora c'è un terzo che esige il conto; e i l terzo si chiama comune, provincia, regione, stato. Se questi quattro anni dalla libera- zione di Roma ad oggi sono serviti a liquidare il passato fascista e l'avventura post-bellica, son anche serviti a ricreare la convin- z i o ~ e della sana amministrazione, convinzione che dal 1922 in poi era stata terribilmente smarrita.

La democrazia cristiana oggi vittoriosa e in maggioranza nel- le due camere ha anche un proprio speciale dovere nel campo comunalistico, quello di ridare il netto carattere di pubblica amministrazione, curando l'esattezza legale e contabile, il ri- spetto della forma che salvaguarda la sostanza, abbandonando i favoritismi personali e politici, usando obiettività verso tutti gli amministrati di qualsiasi colore o tinta.

Le condiscendenze colpevoli o la chiusura degli occhi sulle malefatte dei compagni di partito o dei dipendenti favoriti non dovrebbero essere tollerate né dai capi amministrazione, sindaci, assessori, segretari comunali, ragionieri capi, e neppure dalle sezioni del partito, che dovrebbero validamente cooperare con i loro esponenti al comune per ridare i l tono di serietà, moralità e dignit.à alla vita comunale.

Dai villaggi e dalle città parte la vita di una nazione: i grandi politici e i grandi amministratori fanno le loro prime armi nei consigli comunali e negli assessorati de.i villaggi.

Purtroppo, siamo ancora in una falsa ambientazione, e tutti vorrebbero lasciare il natio loco » e divenire deputati e sena- tori, sottosegretari e ministri ... senza aver avuto il tempo e l'agio di conoscere l'a. b. C. della pubblica amministrazione.

(La Croce di Costantino, Caltagirone, 28 ottobre 1950).

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Prezzo al pubblico L. 6.800 M16 peno& mpoitM