Vitale Vitali, architetto a Comacchio, 1919-1938. Ornamento come valore urbano
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L’attività culturale dell’Ordine degli Architetti di Ferrara per la Festa dell’Architettura 2003, è sostenuta da:
con il patrocinio di: Provincia di Ferrara, Università degli Studi di Ferrara, Comune di Ferrara, Comune di Comacchio, Parco del Delta del Po,Consiglio Nazionale Architetti P. P. C., Federazione Regionale Emilia Romagna Architetti P. P. C., Ordine degli Ingegneri di Ferrara, AssociazioneIngegneri e Architetti di Ferrara.
Il presente volume esce in occasione della mostra:“Vitale Vitali, architetto a Comacchio, 1919-1938.Ornamento come valore urbano”
31 gennaio - 16 febbraio 2003Ferrara, Imbarcaderi del Castello Estense
Copyright 2003 Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Ferrara
FerraraTutti i diritti riservati
Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggistie Conservatori della Provincia di FerraraCorso Giovecca n. 102 - 44100 FERRARATel. 0532-210544 - Fax 0532-217385E-mail [email protected]
Editore: Centauro Edizioni Scientifiche, Bologna
Stampa: Arti Grafiche Friulane, Udine
ISBN 88- 85980-39-2
Consiglio:Anna Maria Ghisini, presidenteLuca Tosi, vice-presidenteFrancesca Pozzi, segretarioNicoletta Bonetti, tesoriereAlberto Guzzon, consigliereRita Vitali, consigliere
IDEAZIONELorenzo Bergamini
DIREZIONE SCIENTIFICALorenzo BergaminiFrancesca Pozzi
COMITATO SCIENTIFICOIsabella FrignaniStefania GalliniEnrica MantovaniCristina NagliatiBarbara PaziChiara PastiRaffaella PivaEnrico PuggioliCecilia TrainaRita Vitali
PROGETTO ESPOSITIVO ED ALLESTIMENTOStefania GalliniEnrica MantovaniChiara PastiEnrico PuggioliCecilia Traina
PROGETTO GRAFICO ED IMPAGINAZIONEFrancesca Pozzi
REDAZIONEFrancesca PozziCristina Nagliati
FOTOGRAFIELorenzo BergaminiFrancesca Pozzi
COORDINAMENTO SOSTENITORIChiara Pasti
Si ringraziano:Ufficio urbanistica di Comacchio: Paola Luciani, Rosanna Cavallari eRomano FerrioliSegreteria dell’Ordine: Barbara Cestari e Monica Rizzo
e inoltre:Emanuela Bergamini, Gian Paolo Candini, Costanza Cavicchi, AlbertoCinti, Barbara Pozzi, Marinella Mazzei Traina, Leopoldo Santini
un caloroso ringraziamento va ai figli di Vitale Vitali, Alberto eGian Ferruccio, e alle nipoti Patrizia e Valeria
Commissione Cultura:Angelo ArgentesiLorenzo BergaminiLiliana BrunelliIsabella FrignaniStefania GalliniAndrea MantovaniEnrica MantovaniCristina NagliatiPaola OnoratiChiara PastiBarbara PaziRaffaella PivaFrancesca PozziEnrico PuggioliCecilia TrainaRita VitaliMarco ZanoniAntonella Zeni
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FESTA DELL’ARCHITTETTURA 2003GIORNATA INAUGURALE - 31 Gennaio 2003
Imbarcaderi, Castello EstenseConvegno “Qualità in Architettura: politiche a confronto”.
ore 9.30 APERTURA DEI LAVORI- saluti di Pier Giorgio Dall’Acqua, Presidente della Provincia di Ferrara- saluti di Gaetano Sateriale, Sindaco di Ferrara
Relazione introduttivaAnna Maria Ghisini, Presidente Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Ferrara
ore 10.00 INTERVENTI:- Graziano Trippa, Preside Facoltà di Architettura di Ferrara- Raffaele Atti, Assessore Urbanistica Comune di Ferrara- Silvio Stricchi, Presidente Ordine degli Ingegneri della provincia di Ferrara- Piero Orlandi, Responsabile servizio Programmazione e Sviluppo dell’Attività Edilizia della Regione Emilia-Romagna- Anna Rosa Fava, responsabile di “Città Bambina” di Ferrara e Liliana Brunelli, delegata dell’Ordine degli Architetti P. P. e C di Ferrara per “Città Bambina”
ore 12.00 RELAZIONE CONCLUSIVARaffaele Sirica, Presidente Consiglio Nazionale Architetti P.P.C.
DIBATTITO
Firma del Protocollo d’Intesa tra: “Città Bambina”, Comune di Ferrara, Ordine degli Architetti P. P. C. di Ferrara
ore 13.00 BUFFET
Piazza Ariosteaore 14.00 Inaugurazione fontanella in Piazza Ariostea
Imbarcaderi, Castello EstenseMostra “Vitale Vitali, architetto a Comacchio, 1919-1938. Ornamento come valore urbano”
ore 15.00 APERTURA LAVORI:Presentazione, Dott. Arch. Anna Maria Ghisini, Presidente Ordine Architetti, P. P. C. della Provincia di Ferrara
- saluti di Alberto Ronchi, Assessore alle Politiche e Istituzioni Culturali, Comune di Ferrara- saluti di Giglio Zarattini, Sindaco di Comacchio- saluti di Walter Zago, Presidente Parco del Delta
ore 15.30 INTERVENTI
Vittorio Savi, Facoltà di Architettura di Ferrara
Giuliano Gresleri, Facoltà di Ingegneria di Bologna
Pier Giorgio Massaretti, Dipartimento di Architettura e Pianificazione Territoriale, Università degli studi di Bologna
Andrea Alberti, Direttore sede operativa di Ferrara, Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna
Lorenzo Bergamini, Commissione Cultura dell’Ordine degli Architetti, P.P.C. della Provincia di Ferrara
Diego Maestri, Facoltà di Architettura “Roma Tre”
Lucio Scardino
Aniello Zamboni
CONCLUSIONI
18.30 INAUGURAZIONE MOSTRA
19.30 APERITIVO
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Sommario
Presentazione6
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Introduzione
Contributi
Anna Maria Ghisini
Lorenzo Bergamini, Francesca Pozzi
Gli archivi del “moderno” per la storia della città costruitaGiuliano Gresleri
Città, progettisti e storia locale della Ferrara del VentennioPier Giorgio Massaretti
Nuove e vecchie esigenze di tutela, architettonica e paesaggistica, delcentro storico di ComacchioAndrea Alberti
L’Architettura di Vitale VitaliLorenzo Bergamini
Architettura civile ad uso pubblicoLorenzo BergaminiArchitettura civile ad uso privatoFrancesca PozziArchitettura religioso-funerariaRaffaella Piva
Il disegno di Architettura di Vitale Vitali. Echi dell’Art Nouveau nelDelta del PoDiego Maestri
Vedute dipinte e inciseLucio Scardino
La fotografia di Vitale VitaliSilvana Luciani
La committenza di Vitale Vitali e la città di Comacchio nei primidecenni del NovecentoAniello Zamboni
Itinerario storico-fotografico di ComacchioFranco Luciani
TestimonianzeCristina Nagliati e Rita Vitali
BiografiaCristina Nagliati
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L’opera di Vitali
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Itinerario a ComacchioBarbara Pazi e Francesca Pozzi
Schede descrittive dei manufatti esistentiIsabella Frignani, Stefania Gallini, Enrica Mantovani,Barbara Pazi, Raffaella Piva, Cecilia Traina
Catalogazione documentiCristina Nagliati e Raffaella Piva
Elenco opere realizzateCristina Nagliati
Catalogazione acquerelli di Accademia
Catalogazione Serie “Progetti Case”
Catalogazione Serie “Progetti Tombe”
Progetto di allestimento della mostraStefania Gallini, Enrica Mantovani,Enrico Puggioli, Cecilia Traina
Progetto di allestimento musicalePaola Tagliani
La Fontanella di piazza Ariostea: esito di un percorso progettualepartecipatoLiliana Brunelli
Tutti i disegni di progetto di Vitale Vitali qui riprodotti provengono dall’Archivio Vitali.Salvo diversa indicazione, le fotografie qui riprodotte, sono da intendersi come fatte dai curatori del catalogo in occasionedella presente pubblicazione.
Schede
Archivio
Allestimento
Fontanella
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PresentazioneAnna Maria GhisiniPresidente Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Ferrara
La scelta della Commissione Cultura di organizzare una mostra sull’opera di Vitale Vitali,architetto che ha operato nel ferrarese nei primi decenni del ‘900, ha immediatamente susci-tato nel Consiglio dell’Ordine l’idea di farne occasione per una approfondita riflessione sullafigura dell’architetto oggi.
L’esigenza di ripercorrere la vita professionale di un architetto locale in un periodo digrande evoluzione culturale, come è stato il passaggio tra il XIX ed il XX secolo, inducenecessariamente a farne un parallelo con il momento attuale e cioè col grande lavoro che sista facendo per dare effettiva realizzazione all’unità dei paesi europei e conseguentementeal tentativo di livellare verso l’alto i livelli prestazionali della nostra professione.
Ricordiamo i principali provvedimenti di questo percorso ancora in itinere:- la Direttiva 384/85, concernente il reciproco riconoscimento dei diplomi e gli altri titoli
nel settore dell’architettura;- la “Risoluzione del Consiglio d’Europa sulla qualità dell’ambiente urbano e rurale” che
incoraggia gli stati membri “ad intensificare gli sforzi per una migliore conoscenza ed promo-zione dell’architettura e della progettazione urbanistica, nonché per una maggioresensibilizzazione dei committenti e dei cittadini alla cultura architettonica, urbana epaesaggistica; (…) ed a promuovere la qualità architettonica attraverso politiche esemplarinel settore della costruzione pubblica”;
- la modifica in corso della Direttiva servizi, fortemente voluta dagli Ordini europei neltentativo di riportare la giusta distinzione tra i servizi intellettuali ed altri servizi in genere .
Poi a livello nazionale :- il D.P.R. 328/01 che introduce modifiche ed integrazioni alla disciplina dell’ordinamento
professionale di alcune professioni tra le quali la nostra. Il decreto individua le caratteristichedei corsi di laurea e le modalità di accesso alla professione affinché possano essere ricono-sciuti su tutto il territorio europeo introducendo altre figure professionali nel nostro albo: ipianificatori, i paesaggisti ed i conservatori;
- la nuova riforma dell’ordinamento professionale a cui stanno lavorando Ordini e C.U.P.(Coordinamento Unitario delle Professioni);
- la creazione in molte regioni di specifiche Consulte tra l’ente regionale e le rappresen-tanze delle professioni per la concertazione dei provvedimenti legislativi inerenti la nostra edaltre professioni.
Un momento di grande fermento e per noi tutti di grande impegno.
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La nostra figura professionale si configura, proprio per il vasto spettro di interessi e com-petenze, come una delle più complesse, con un ruolo ambizioso e difficile, forse ancora nondel tutto compreso: fornire risposte contemporaneamente tecniche e creative.
Se uno di questi due aspetti debba prevalere oppure se sia possibile coniugare i duecaratteri è una querelle di vecchia data. Fin dal 1876 il diploma dell’accademia che abilitavaall’insegnamento del disegno e permetteva di partecipare ai concorsi di architettura nonaveva alcun valore legale ai fini dell’esercizio alla professione, in quanto tale valore eraattribuito solo alla laurea in architettura civile rilasciata dagli istituti politecnici. La forzosacontrapposizione tra un architetto tecnico, uscito dai politecnici e un architetto artista, diplomatodalle accademie, diede origine ad un lungo e faticoso dibattito centrato sulla possibilità diuscire dall’impasse con la creazione di nuove scuole superiori di architettura, cui si arrivò nel1919 (R.D. 2593).
Daniele Donghi, nel suo manuale dell’architetto edito nel 1906, afferma che l’operaarchitettonica “deve mostrare il perfetto accordo fra l’organismo costruttivo e la decorazio-ne, ossia, in una parola la completa rispondenza tra il mezzo e il fine, è necessario che essavenga concepita da un’unica mente” ed affianca alla parte manuale strettamente tecnicauna seconda parte che si occupa dell’ “elemento artistico”.
L’attualità di queste questioni è evidente. Noi siamo fermamente convinti che il connubiotra tecnica e creatività sia indispensabile per ottenere buone opere di architettura e che laprofessione dell’architetto sia quella vocata a costituire l’elemento di congiunzione tra dueaspetti in realtà molto diversi.
Oggi, la sfida è elevare il livello qualitativo dell’architettura. Non entriamo nel merito delladistinzione gerarchica tra edilizia ed architettura, perché sarebbe troppo lungo e comunqueriteniamo che l’atteggiamento progettuale in entrambi i settori debba essere lo stesso. E’indispensabile essere consapevoli che quando parliamo di qualità, parliamo di più aspetti:l’aspetto strettamente architettonico formale, l’aspetto tecnico prestazionale, l’aspetto pro-cedurale che in una realtà ormai complessa come la nostra non è di secondaria importanza.Come vedete il cerchio si richiude.
L’impegno del nostro Ordine è su due fronti: diffondere la cultura architettonica e aumen-tare la occasioni di formazione ed aggiornamento tecnico.
Le feste dell’architettura sono un’occasione ormai abituale (siamo alla terza edizione)per parlare di cultura architettonica tra architetti e non architetti. Il Protocollo stipulato con“Città Bambina” , che si propone esperienze di progettazione partecipata, è un altro veicolodi diffusione della nostra disciplina. Iniziative di tipo formativo e/o informativo di tipo tecnico(materiali, tecnologie) e normativo, nonché una tempestiva informazione da parte dell’Ordi-ne di tutto ciò che compete il nostro lavoro, completano il grande sforzo di fornire unautentico supporto alla professione.
Ci auguriamo che questa Festa sia per tutti un momento di crescita e di riflessione.
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Vitale Vitali (Porto Garibaldi 1893 - Ferrara 1961) nonebbe mai il riconoscimento ufficiale del titolo di architettoed è probabilmente per questo che il potenziale percorsoespressivo ne conseguì gravi limitazioni trovando nella pit-tura un inevitabile sfogo. I suoi contemporanei, i suoi com-pagni di Accademia, che ebbero la possibilità di continuaread esercitare fino oltre la metà del secolo, aderirono allenuove tendenze per approfondire il Razionalismo, fino adimenticare le proprie origini Liberty e Déco.
L’impegno a conoscere i progettisti locali, iniziato dallaCommissione Cultura dell’Ordine degli Architetti di Ferraranel 2000 con la mostra “Vieri Quilici a Ferrara, 1965-72”,ha portato alla catalogazione e studio dell’archivio conser-vato dalla famiglia Vitali. Tutto iniziò il 23 gennaio 1997,una fredda mattina di buon’ora, casualmente al Bar Ra-gno di Comacchio, quando Andrea Alberti lanciò a Loren-zo Bergamini l’idea di affrontare la figura di un architettocomacchiese dei primi del Novecento del quale era possi-bile tuttora apprezzare molte opere nel centro storico. Erala partenza di quest’avventura che dal 1997 ad oggi, attra-verso studi, contatti, rifiuti e coinvolgimenti è approdataall’esito tanto sperato: una mostra accanto ad una mono-grafia con implicito il duplice obiettivo di permettere ildisvelamento di una figura professionale poco nota e lasalvaguardia di alcune sue opere nel centro storico diComacchio.
Il titolo, Vitale Vitali, architetto a Comacchio, 1919-1938, inquadra la professionalità di un progettista che co-struì molto e soprattutto contribuì a caratterizzare, attra-verso singoli interventi, l’aspetto di Comacchio. Vitali nonprogettò solo per questa città. Nell’archivio pervenutoci,infatti, si rinvengono numerosi disegni tra i quali un con-corso per un teatro monumentale a Trieste, un palazzo aCodigoro, edicole funerarie a Ferrara e a San Giuseppe,una scuola a San Martino Spino, un asilo e alcuni villini aPorto Garibaldi, case del Fascio a Ferrara e a PortoGaribaldi. Tuttavia la città lagunare lo qualifica nei suoiinterventi: la semplicità della richiesta di una committenza
IntroduzioneLorenzo Bergamini, Francesca Pozzi
di estrazione borghese, derivata dal commercio, lo spinge ariflettere su elementi semplici, geometrici, funzionali, por-tandolo all’inizio degli anni Venti ad attingere dal repertorioLiberty rielaborato in chiave decisamente Déco. Comacchiorappresenta la sua opportunità e il suo limite. Pur costruen-do abbastanza, se si pensa che lavorava da solo e senzacollaboratori, non ebbe mai l’occasione di realizzare grandiopere pubbliche, quelle stesse che l’archivio ci restituiscesotto forma di disegni di progetto. Le date scelte, 1919-38,inquadrano il periodo in cui Vitali esercita la professione,oltre l’Accademia e il primo conflitto: al 1919 risalgono lesue prime realizzazioni, mentre a partire dal 1932 la suaattività professionale subisce un arresto. La sua produzionecomunque non cessa. Abbiamo deciso di prolungare il peri-odo analizzato fino al 1938, anno dei suoi ultimi progettidatabili elaborati in collaborazione con altri professionisti.Su tali progetti si firmerà però “prof. Vitale Vitali”.
Il sottotitolo, Ornamento come valore urbano, spie-ga il taglio della ricerca: spontaneo è il rimando all’articolo“Ornamento e delitto” che Adolf Loos pubblica nel 1908 incui sostiene che “l’architettura e le arti applicate devonofare a meno di un qualsiasi ornamento, considerato comeun residuo di abitudini barbariche”. Contrastando questa tesi,troppo all’avanguardia per l’Italia dei primi decenni del se-colo, l’ornamento conserva accezione positiva, aggiunge“valore urbano”, in un contesto povero costellato da un’edi-lizia diffusa, modesta e fatiscente.
Il catalogo è stato concepito non come semplice com-pendio della mostra, ma come vera e propria monografia, lacui realizzazione ha permesso di riunire e catalogare in ununico corpus l’intero archivio di Vitali architetto, compostonon solo da documenti scritti, ma anche da acquerelli d’Ac-cademia, disegni di progetto e fotografie. Ciò nonostanteciascuna opera meriterebbe successivi approfondimenti perulteriori ed esaustive riflessioni storiografiche in rapporto aicontemporanei e ai maestri.
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Gli archivi del “moderno” per la storia della città costruitaGiuliano Gresleri
Le vicende dell’architettura contemporanea occupanonella storia dell’arte uno spazio autonomo, coincidentecronologicamente con l’avvento al potere della grandedestra e della rivoluzione industriale.
Nuove esperienze e nuove funzioni istituzionali impon-gono subito lo studio di nuovi organismi (in cui accoglierele Strutture politico- amministrative dello Stato) e di nuovetipologie residenziali, mentre le città europee vengono in-teressate da un “revisionismo urbanistico” che mette indiscussione i modelli dei vecchi piani.
La grande quantità di edifici ed opere pubbliche, chesono realizzate malgrado la congiuntura economica inter-nazionale, richiede l’impiego diffuso di tecnici e professio-nisti che lavorano sia alle dipendenze dello Stato che comeliberi professionisti.
Le nuove tecniche del disegno, il rapporto precisoche occorre stabilire ogni volta con la topografia della cit-tà, i piani economici che vanno approntati a monte di ogniprogetto, le tecniche stesse di rappresentazione delle varieparti degli edifici, determinano il sedimentarsi di una ecce-zionale documentazione grafica sul progetto moderno, chenon ha eguali nella storia.
Presso i vari Ministeri e le nuove istituzioni dello Stato,si formano i primi nuclei di quelli che saranno i principaliarchivi per la documentazione delle vicende della città con-temporanea
I 50 anni che vanno dal 1860 al 1910 e, successiva-mente la parentesi del fascismo, sono quindi “gli anni deilavori pubblici” e del “rinnovo delle città”.
Durante questo periodo, enormi capitali sono messi adisposizione dai privati, dagli istituti di credito e dallo Statoper dare concretezza ad un programma che, se apparesovente velleitario e scoordinato, viene ciò nondimeno re-alizzandosi sincronomicamente in tutto il paese, da Milanoa Palermo, mettendo quindi in evidenza le contraddizioni ele diversità dei vari ambiti culturali. La simultaneità di taliinterventi - dicevamo - la compattezza ideologica dei tec-nici chiamati a rispondere mediante proposte precise acompiti altrettanto concreti, l’azione parallela del Ministe-
ro dei LL. PP. e del Genio Civile, costituiscono un campod’indagine ancora tutto da sondare entro il quale il passag-gio dall’idea al progetto, dal progetto alla prassi operativa èestremamente articolato e procede con variegazioni tali darenderlo difficilmente inquadrabile in un sistema coerente.
La casualità degli episodi che avevano caratterizzato gliinterventi nelle città dei granducati, del governo pontificio,negli stati soggetti alla gestione amministrativa straniera, adesempio, perdura a lungo anche all’interno dei nuovi pro-grammi dello Stato e solo in un secondo momento lascia ilposto ad un procedere metodico basato sul lavoro di archi-tetti e trattatisti tesi alla definizione di una vera e proprianuova critica al concetto tradizionale di luogo urbano. Unprogramma sufficientemente chiaro che ha una sua forzapropositiva, chiamato com’è ad intervenire direttamente suiproblemi con strumenti e prassi dettati da regolamenti ecodici adattabili alle singole circostanze e ai singoli casi.
Se Piranesi poteva accusare l’aristocrazia romana diignorare le esigenze di una ristrutturazione della città fonda-ta sulle “grandi opere pubbliche” e proporsi egli stesso qua-le visionario ricostruttore di un paese privo di identità politi-ca e culturale, ora la situazione appare singolarmente “ca-povolta”: lo Stato che chiede agli architetti di fornire rispo-ste adeguate ai nuovi problemi, anche se appare propenso acercarne la soluzione nell’apparato architettonico importatodall’estero, ricco e già sperimentato.
La trattatistica d’oltralpe, abbondantemente diffusa tra itecnici, fornisce infatti collaudati modelli di ogni tipo: caseoperaie, ospedali, scuole, edifici per il culto, teatri, bibliote-che. Tutto può tranquillamente essere ridotto ad un reperto-rio tipologico facilmente utilizzabile.
Le opere pubbliche sono così realizzabili subito e ovun-que e servono, anche, a far decollare l’economia nazionale,ma si continua a pensare che - adeguatamente reinventate- potrebbero essere un formidabile strumento ideologico,funzionale all’affermazione di quei valori sui quali sarebbedovuta sorgere una nuova e più attrezzata società civile.Questo almeno stando ai programmi ufficiali. In tale conte-sto viene a consolidarsi e prende struttura definita l’insieme
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degli archivi moderni dove materialmente è depositata la“storia” del paese costruito.
Il Ministero dei LL. PP, del Tesoro, vari Enti di Stato,gli Istituti di Credito raccolgono oggi i documenti più signi-ficativi per la comprensione di un agire i cui sviluppi nonsono affatto lineari e si intrecciano continuamente con laprassi operativa instaurata dai tecnici e (dopo gli anni ’20)dagli Ordini professionali degli Architetti e degli Ingegneri.
L’integrazione tra i grandi archivi di Stato e quelli pri-vati degli architetti (giacenti spesso in sostanziale disordi-ne, senza elenchi dei versamenti, cronologicamentediscontinui e di assai difficile accesso per le precarie con-dizioni logistico-amministrative) si impone come indispen-sabile prassi operativa per chi voglia procedere ad unaricostruzione di quegli avvenimenti storici che hanno de-terminato l’attuale assetto delle città e la nostra culturaurbanistica.
Da tempo (ormai da oltre sei anni) un gruppo di lavoro,da me diretto presso l’Istituto di Architettura e Urbanisti-ca della Università di Bologna, ha avviato ricerche e son-daggi sistematici in questa direzione, raggiungendo alcuniconfortevoli risultati.
La recente Mostra sull’Architettura italiana d’Oltre-mare, tenutasi sotto il patrocinio dell’Università di Bolo-gna presso la Galleria d’Arte Moderna di Bologna, costi-tuisce una prima sintesi delle nostre ricerche. I materialiesposti, tutti inediti, provengono da archivi dove sinora lericerche sono state del tutto casuali e sporadiche; una ri-cognizione sistematica di tali giacimenti si impone quindicome essenziale per poter riscrivere su basi certe la storiaarchitettonica ed urbanistica recente del paese.
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Città, progettisti e storia locale della Ferrara del VentennioPier Giorgio Massaretti
IntroduzioneQuesta lodevole iniziativa dell’Ordine degli Architetti
della provincia di Ferrara attesta l’intelligente capacità dimobilitare – attraverso la pluristratigrafica articolazionediagnostica della biografia e delle opere dell’architetto Vi-tale Vitali – il sondaggio “di un’epoca eroica”, quella delModerno, che proprio nell’architettura ha trovato uno deipiù raffinati momenti di manifestazione.
Nel compito assegnatomi, quindi, – l’esplorazione dellageografia socio-culturale di Ferrara, nella crucialità deglieventi del Ventennio fascista, allo scopo di megliocontestualizzare l’operato di Vitali nello sviluppo della sto-ria della città e del suo territorio – l’esigenza di rendicontarelo stato d’avanzamento della ricerca sul merito obbliga al-l’ormai sterile lamentazione sul deficit della stessa ricercadi settore.
È inefficace il lamentarsi dei contemporaneisti in meri-to al primato storico della Ferrara rinascimentale, chepregiudizialmente coopta la ricerca e gli investimenti fattial proposito. Un patologico e miope “edipo” di cui sarebbefacile sbarazzarsi rimettendo mano – in forma matura e“attuale” – a questa nostra insigne eredità1.
La rarità delle indagini e delle pubblicazioni dellastoriografia ferrarese contemporanea è altrettanto nota. Eper quanto riguarda più dettagliatamente la vicenda stori-ca di Ferrara e del suo territorio durante il Ventennio, ilriferimento alle ricerche di Corner2, Roveri3 e Isenburg4,di converso l’interesse ferrarese dei notissimi lavori diRochat e Segré su Balbo, rimangono una fedele àncora disalvezza, nella mancanza di aggiornamento dello scenarioattuale.
Di contro, la pur troppo breve attività di ricerca dellaredazione della rivista “La pianura”, edita dall’Istituto diStoria Contemporanea (ISC) di Ferrara con la direzione diAlberto Varni, ha prodotto un positivo effetto di rientro suldeficit reiteratamente citato. Corre l’obbligo quindi di cita-re gli interventi di Delfina Tromboni (Il processo dimunicipalizzazione a Ferrara) e Anna Quarzi (L’azien-da dell’acqua a Ferrara)5, e il testo di Roberto Parisini
(altro capace collaboratore dell’ISC), La Cassa di Rispar-mio di Ferrara tra agricoltura e dirigismo fascista6.
Ed è infine lo stesso Parisini che, all’interno della ricer-ca “Trasformazione urbana, identità politica e sociale traguerra e ricostruzione in Emilia-Romagna”7, con il suo te-sto, La campagna e il governo della città: trasforma-zioni economiche, identità locali e politiche di svilup-po urbano a Ferrara, ha fornito un esemplare sistema-tizzazione storico-documentale del reciproco indotto cheintercorre tra la dinamica politica e socioeconomica e losviluppo della città di Ferrara nel trentennio 1920-1950.
A quest’indagine quindi – integrata con il testo di LucioScardino, Itinerari di Ferrara Moderna8, per quanto con-cerne riflessioni più puntuali o cogenti sullo specifico disci-plinare dell’ architettura e dell’urbanistica – debbo ricono-scere il maggiore debito per questa mia pur sintetica ri-flessione.
Fig. 1. Ferrara nelle realizzazioni fasciste, estratto da “Opere Pubbli-che. Rassegna dello sviluppo dell’Italia imperiale nelle opere e nelleindustrie”, n. 3-5, anno X, 1940.
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Le politiche urbane e di sviluppo della Ferrara delVentennio
La decisa dichiarazione che Parisini mette in aperturadel suo saggio ci premunisce rispetto il calibro e la naturadelle vicende urbane della città, nel periodo in analisi.
“Anche a Ferrara, come in buona parte delle città emiliane,per lungo tempo l’urbanistica ha quasi un ruolo ideale, coin-cide cioè con un’idea che esprime generiche aspirazioni diprogresso e civiltà, un fatto promozionale destinato ad in-centivare, più che a tradursi in una pressione per una solleci-ta realizzazione, una crescita che nella realtà tarda a venire.Nella sostanza soprattutto Ferrara rimane a lungo, come epiù di una buona parte delle città medie padane, governatadalle proprie campagne che ne condizionano a fondo la defi-nizione delle politiche urbane.”9.La Ferrara fascista presenta infatti un’articolazione so-
ciale fondamentalmente caratterizzata da una concentra-zione di sottoproletariato e di una piccola borghesia arti-gianale, commerciale e impiegatizia, e “molti di questi gruppicondividevano l’atteggiamento conservatore o paterna-listico, ma soprattutto antisocialista dei loro padroni, vale adire del ceto medio urbano composto di professionisti, com-mercianti ed intellettuali.”10.
Ancora negli anni Venti, quindi, i professionisti (notai,medici, avvocati, insegnanti) e gli imprenditori (i grandigrossisti dei prodotti agricoli o dei loro derivati, gli impren-ditori manifatturieri ed edili) costituivano, insieme ai grandiproprietari terrieri e ai grandi affittuari del contado, l’élitedella società locale, e ne condividevano, con poche ecce-zioni, mentalità ed interessi11.
Anche il ceto amministrativo locale, poi, presenta unaforte continuità con il suo status prefascista e continua adessere segnato:
“[…] da quel solido amalgama tra nobilitato urbano e agrariresidenti in città (e che componeva, con poche eccezioni, siail fronte liberal-cattolico o clerico-moderato che avrebbe gui-dato il comune ininterrottamente fino al 1920, sia quello radi-cale, che costituì per una lasso di tempo quasi altrettantoprolungato la minoranza d’opposizione); un ibrido polointerclassista che si mostrava più propenso a considerare iproblemi della questione agraria, che le tematiche del gover-no locale connesse allo sviluppo urbano, ritenute sempretendenzialmente come puramente tecniche e contabili piut-tosto che come frutto di una mirata elaborazione politica[...]”12.In questo pur macroscopico scenario sociologico si
delineano con precisione gli stringenti e cogenti nodi cherelazionano città e campagna. I modelli dell’economia ru-
rale segnano profondamente la città; a questa dettava poidi conseguenza le gerarchie, i comportamenti sociali e lecoordinate mentali. “Tuttavia, in assenza di una possidenzaprovinciale colta e illuminata, spettava al centro urbano –e al suo pur non sovrabbondante ceto medio – assumere ilruolo di rappresentanza politico-culturale e fungere da cen-tro di coagulo dei vari strati della borghesia provinciale.”13.
L’incarico che, già nel 1911, l’amministrazione comu-nale assegna al notissimo ingegnere ferrarese CiroContini14, è destinato ad inaugurare – in sintonia con i con-temporanei casi metropolitani di Milano e Bologna –quell’innovativa pratica “pianificatoria” che solo con la leg-ge del 1942 troverà il suo definitivo ordinamento, ma desti-nata operativamente, in questa fase, a movimentare quelprocesso di “igienizzazione abitativa e razionalizzazionesociale […] tra il filantropico e lo speculativo”, che carat-terizzò la letteratura di settore del periodo15.
Con un tale mandato Contini individua, in questo pianovocato decisamente all’ampliamento, una linea d’azionedelle politiche cittadine che si conserveranno valide per unlungo periodo.
“Non abbiamo, per ragioni diverse, proposto l’abbattimentodelle mura né vogliamo addentrarci – perché non di nostracompetenza – sull’argomento relativo a spostamenti dellacinta daziaria, che apparirebbero opportuni. […] Nel PianoRegolatore della Città abbiamo dato posto notevole ai pianidi ampliamento interni su aree comunali (piazza d’Armi) e sualtre zone a Nord-Ovest della Città che, per l’immediata vici-nanza alla Ferrovia ed alla più breve strada d’allacciamentocol Po (dal quale Ferrara può tanto attendere se la navigazio-ne assurgerà all’importanza prevista), ci affidano su un futu-ro ma non lontano loro sviluppo edilizio. Riteniamo forseanche di aver abbondato nell’espressione grafica di questiampliamenti interni, ma se è vero che ai piani regolatori benintesi è riservata azione incitatrice alle costruzioni, noi nonce ne dorremmo, convinti come siamo che la città di Ferrara –al fine di correggere la sua attuale costituzione topografica,ed in base a considerazioni che si riflettono particolarmentesull’economia dei servizi pubblici – non debba lasciare nulladi intentato per favorire anziché attorno alla linea impostaledalle sue mura, dentro di essa tutto lo sviluppo che le puòderivare dalle fortunate condizioni odierne e dell’avvenire(“Rione Giardino”, nell’ex piazza d’Armi; specializzazioneresidenziale del rione Arianuova). Secondo quest’ordine diidee lo studio del Piano di Ampliamento esterno fu limitatoalla sola zona Nord-Ovest presso la Ferrovia e la strada diPontelagoscuro, in continuità con il Piano di Ampliamentointerno.”16
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Anche a regime consolidato (1925-26), il quadro strut-turale ferrarese non presenta particolari differenze rispet-to il periodo prefascista. Anzi, il forte accreditamento poli-tico che il padronato terriero aveva fornito al movimentofascista in affermazione – con dichiarati intenti antisocialisti– radicalizza quel trend del deficitario sviluppo del settoreprimario della provincia che si conserverà intatto per lun-go tempo e costituirà elemento scatenante della patolo-gica lentezza delle dinamiche di sviluppo dell’organismourbano.
Le soluzioni di politica urbana che, in questa negativama ordinaria contingenza, la podesteria ferrarese adotta,naturalmente non si distaccano da modelli di sviluppo am-piamente condivisi a scala nazionale (una cogentezonizzazione – gerarchica e terziarizzante – del nucleo sto-rico, accompagnata dalla relativa espulsione periferica deideboli nuclei sociali preesistenti; un potenziamento delladotazione infrastrutturale, e la relazionata territoria-lizzazione dell’“effetto città”) e solamente accentuatasi inetà fascista. “Abbastanza originale è, semmai, il sostan-ziale disinteresse con cui le élites economiche locali guar-darono al rinnovarsi del boom edilizio e alle connesse oc-casioni speculative, ossia quella che si direbbe una man-cata saldatura tra proprietà terriera ed immobiliare e im-prese immobiliari e costruttrici.”17
Significativamente il perno dell’attività finanziaria lo-cale continuava a rimanere il credito agrario, in cui eranoimpegnate a fondo le due maggiori banche locali, il “Pic-colo Credito” di Giovanni Grosoli e la “Banca Popolare”di Vico Mantovani, leader degli agrari ferraresi.
In questo contesto è necessario sottolineare il totaleappiattimento delle gerarchie fasciste – rapidamente defi-nitosi a partire dalla “normalizzazione” del fascismo urba-no operata da Balbo nel periodo 1923-1924 – sui consoli-dati equilibri della provincia.
Il PNF ferrarese infatti non pare mai andare oltre quelcerto non trascurabile ruolo di organizzatore e di garantedell’ordine sociale. La sua egemonia sull’asfittica borghe-sia ferrarese tendeva infatti a non interferire con le tradi-zionali élites agrarie, che tuttavia mantennero sempre –pur offrendo un’aperta e pressoché totale adesione – unapropria distinta fisionomia, espressiva della solida conti-nuità della tradizionale mediazione notabilare, del tutto co-erente con la consueta collocazione nel contesto locale diquesto ceto che, del resto, si era da subito e senza remoredisciolto nel fascismo montante.
“Mentre dunque le gerarchie fasciste, con il famoso pianoCini-Balbo-Klinger, sposavano la “trasformazione integrale
Fig. 2. Case Popolari del Comune, Gruppi di via Arianuova, via Mortarae Borgo San Luca. In complesso otto fabbricati come quello qui riprodotto.
Fig. 3. Consorzio Agrario Provinciale Ferrara, magazzeno granario emovimento meccanico in Tresigallo.
Fig. 5. G. Gandini, Istituto medico legale della R. Aeronautica.
Fig. 4. Mercato ortofrutticolo, con frigorifero per merci e vagoni, eraccordo ferroviario.
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dell’economia agricola ferrarese”, combinando ambiziosa-mente bonifica integrale, potenziamento finanziario, industria-lizzazione e appoderamenti, di nuovo la politica dello svilup-po urbano ritornò progressivamente ad essere pura e sem-plice appendice dei lavori pubblici atti a lenire, con interventisettoriali, la disoccupazione del settore agricolo e semmai acorteggiare la passività della rendita urbana.”18
È chiaro come in tutto questo periodo l’autorità fasci-sta, accreditando l’innovativa vocazione manageriale diBalbo in merito all’uso della città, sembra più impegnata arafforzare un percorso di appropriazione ideologica dellacittà stessa; opzione che consenta di intercettare – perscatenare consenso – gli strati intermedi della società ur-bana, in questo momento attraversata dalla “fibrillazionecorporativa” (come ci suggerisce Parisini con folgorantesintesi).
Certamente non siamo davanti a un’operazione parti-colarmente originale, né rispetto al piano nazionale né nelcontesto della storia locale che caratterizzano in formaespressiva un modello culturale di lunga durata19.
In conclusione:“Si tratta di operazioni importanti: la reinvenzione del palio diSan Giorgio, il celebre congresso di studi corporativi, il con-vegno ariostesco del 1933, la terza pagina del Corrierepadano, la scuola sindacale o la facoltà di studi corporativi,hanno tutte in comune tanto una grande visibilità cittadina alivello nazionale, quanto l’assenza di qualsiasi coinvolgi-mento e ricaduta pratica sugli assetti provinciali. In questadirezione va anche una serie di interventi, sempre settoriali,spesso monumentali, quali lo sventramento delle aree dell’exOspedale Sant’Anna e del borgo di San Romano, il palazzodelle Poste o, come quelli che, nel rione Giardino, addense-ranno successivamente edifici scolastici e militari, il serbato-io-monumento dell’acquedotto e lo stadio […]”20.
Appunti per un bilancio disciplinareLo sforzo censuario prodigato da Lucio Scardino nella
sua insuperata ricerca sugli Itinerari della Ferrara Mo-derna, nell’illuminante sinteticità del bilancio tassonomicoeseguito, sollecita il “ricercatore volenteroso” a misurarsi– nel periodo in analisi – in una serie di filoni d’indagine:nel testo individuati con sistematicità, qui enunciati per punti.
a) Approfondire alcuni eventi storici che hanno ca-ratterizzato l’“autarchica autosufficienza” della sta-gione balbiana ed il suo indotto nell’espressività arti-stico-culturale della “piccola capitale” ferrarese.
L’archivio storico del Ministero degli Affari esteri stafinalmente mettendo a disposizione della ricerca il proprio
fondo dedicato all’architetto Florestano Di Fausto, sele-zionato operatore dello stesso Ministero per rappresenta-re l’architettura nazionale all’estero21. Cogliendo tale op-portunità, sarebbe utile riscontrare in tale deposito una piùpuntuale documentazione inerente la partecipazione del-l’architetto al programma urbanistico dello sventramentodi San Romano, per investigare più nel dettaglio (oltre cioèle già esaurienti indagini compiute nell’archivio storico delComune di Ferrara e contenute nel noto volume Ferraradisegnata) la natura e gli obiettivi della frequentazione traBalbo e lo stesso Di Fausto.
Una sollecitazione a documentare modalità e fasi dellamigrazione della coorte balbiana a Tripoli, investigando neldettaglio:
– La movimentazione dell’intellighenzia ferrarese ge-nerata e alimentata dalla vicenda del Corriere padano(Nello Quilici, Pio Gardini, ad esempio), ma anchel’imprenditoria finanziaria e sindacale ferrarese (France-sco Grossi e Annio Bignardi, ad esempio), tutti trasferitisiin Libia ad assistere e coordinare il management balbianosulla “Quarta sponda”.
– In parallelo, la migrazione libica di operatori artistici,noti – Achille Funi, il personaggio più rappresentativo, pit-tore novecentista di una rifondata “Officina ferrarese” –e meno noti, come Giorgio Gandini (architetto ferraresedel Palazzo dell’Aereonautica) e Giuseppe Gatti-Casazza(architetto ferrarese che arredò il Palazzo governatorialedi Tripoli).
b) La straordinaria capacità produttiva, la grandequalità e originarietà progettuale dell’ufficio tecnicoferrarese governato dai due Savonuzzi e il vero e pro-prio “embargo culturale” (Scardino) da loro prodot-to rispetto la frequentazione ferrarese dei progettistinazionali22.
– Una sollecitazione ad inaugurare uno studio organicosulla vicenda personale e professionale dei Savonuzzi, inriferimento al loro archivio ancora intonso presso la biblio-teca della Facoltà di Architettura di Ferrara.
– Quindi un’esplicita sollecitazione a studiarel’autoctonia dell’opera architettonica di Carlo, rispetto illungimirante pensiero pianificatorio di Girolamo.
c) Indagini documentali dettagliate sulla visibilitàe la promozione “espositiva” dell’ architettura e dellaprogettualità ferrarese.
– Il concorso di progettazione “Per una palazzina daerigersi sul viale Cavour”, del 1900, vinto da Ciro Contini.
– Del 1928, la “Mostra della Settimana Ferrarese” delPalazzo Sant’Anna, con i progetti razionalisti di Mario De Sisti.
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– Del 1934, i “Prelittoriali della cultura”, con progetti digiovani architetti razionalisti.
– La mostra del 1937, presso il Teatro comunale, delprogetto di Di Fausto per San Romano.
d) Ed infine, in merito al problema dei luoghi e del-le istituzioni destinate alla formazione dei progettisti:
“Come si svolgevano, ad esempio, i corsi di architettu-ra, tenuti tra Otto e Novecento, da Giacomo Duprà e AdolfoMagrini all’Università di Ferrara, presso la Facoltà diMatematica? E allorché, nel 1890, il Senato votò una leg-ge per l’insegnamento dell’architettura, istituendo apposi-te “Scuole d’applicazione”, cosa accade a Ferrara? Ecome avveniva la collaborazione fra gli ingegneri (tecnicionnivalenti) e gli “architetti” (ovvero i diplomati in disegnoarchitettonico presso l’Accademia, solitamente a Bologna)prima dell’istituzione, negli anni ’20, delle facoltà di archi-tettura?”23.
In merito al nevralgico interrogativo che Scardino evo-ca in chiusura alla “Premessa” della sua guida (nel riferi-mento privilegiato alle dotazioni normative e istituzionaliche indirizzano il percorso formativo dei progettisti), la re-cente mostra bolognese, “Norma e arbitrio. Architetti eingegneri a Bologna 1850-1950”24, suggerisce – pur per ilristretto ma esemplare contesto bolognese – precise indi-cazioni diagnostiche e documentali, fornendo un modelloda sperimentare operativamente sul campo.
Ma è soprattutto la labirintica problematicitàdell’ermeneutica archivistica – reiteratamente evocatanel catalogo della succitata esposizione bolognese; auto-revolmente richiamata nel saggio di Giuliano Gresleri, quicontenuto –, che emana con forza da questa mostra suVitale Vitali. Un’eccellente occasione questa, quindi, perinterrogarsi disciplinarmente, ed in forma innovativa, suicogenti statuti documentalistici “dell’ibrido archivio di ar-chitettura”25.
Note1 La riscoperta e la ri-fondazione dell’“Officina ferrarese”, di cuifu responsabile Roberto Longhi nell’epocale mostra ferraresedel 1933, è periodicamente rievocata dall’impegno della Cassa diRisparmio di Ferrara a ridare al pubblico la sua straordinaria col-lezione pittorica rinascimentale, all’“Officina” dedicata. Invece,la monumentale ricerca del 1991 di A. F. Marcianò, L’età di BiagioRossetti. Rinascimenti di casa d’Este (anche questa ricerca pro-mossa e curata dalla Cassa di Risparmio ferrarese), o anche illodevole intento di ridare attenzione alla piazza “dell’Addizio-ne” con l’impianto di una dedicata fontana in piazza Ariostea,non ripagano dell’imperdonabile inadempienza di esserci lascia-ti sfuggire l’occasione di celebrare, nel 1992, il cinquecentenariodell’“Addizione erculea”.2 P. Corner, Il fascismo a Ferrara, Roma-Bari, Laterza, 1974.Esemplarmente, poi, l’intervento dello stesso Corner al recenteconvegno di studi ferrarese, “Italo Balbo e il ventennio fasci-sta”, 14-15 dic. 2000, organizzato da Giorgio Rochat per l’Istitutodi Storia Contemporanea di Ferrara, sottolineava, in apertura delsuo intervento, l’insufficiente aggiornamento della ricerca disettore inerente appunto Ferrara.3 Di Alessandro Roveri sulla Ferrara post-unitaria e fascista oc-corre citare la sequenza di tre testi “genealogici”:Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Capitalismo agra-rio e socialismo nel ferrarese (1870-1920), Firenze, La NuovaItalia, 1972;Le origini del fascismo a Ferrara (1918-1921), Milano,Feltrinelli, 1974;L’affermazione dello squadrismo fascista nelle campagneferraresi, Ferrara, Italo Bovolenta Ed., 1979.4 Di Teresa Isenburg si è costretti a citare l’imbattibile ma il solo:Investimenti di capitale e organizzazione di classe nelle boni-fiche ferraresi (1871-1901), Firenze, La Nuova Italia, 1971.5 Ambedue contenuti nel volume a cura di A. Berselli, F. DellaPeruta e A. Varni, La municipalizzazione in area padana, Mila-no, Franco Angeli, 1988.6 In “Padania”, n. 15, 19947 Ricerca da lui stesso curata per il “Laboratorio sulla storia deicentri urbani” della Fondazione della Banca del Monte di Bolo-gna e Ravenna, diretto da Angelo Varni.8 Con un testo introduttivo di A. Guzzon, Ferrara: la pianifica-zione urbanistica del Novecento, Firenze, Alinea, 1995.9 R. Parisini, op. cit., versione dattiloscritta, p. 1.10 A. Roveri, Dal sindacalismo rivoluzionario al fascismo. Ca-pitalismo agrario e socialismo nel ferrarese (1870-1920), op.cit., p. 96.11 Per quanto riguarda la stratificazione sociologica della popo-lazione ferrarese investita del consenso al fascismo nascente,cfr. P. Corner, op. cit., p. 25; in merito all’articolazione del capita-lismo ferrarese del periodo, cfr. T. Isenburg, op. cit., p. 23.12 A. Alaimo, La città assediata. Amministrazione comunale e
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finanza locale a Ferrara all’inizio del secolo (1900-1915), inC. Mozzarelli (a cura di), Il governo della città nell’Italiagiolittiana. Proposte di storia dell’Amministrazione locale,Milano, Franco Angeli, 1992, pp. 86-87.13 R. Parisini, op. cit., versione dattiloscritta, p. 5.14 Per un’esauriente descrizione del personaggio e del suo am-biente culturale, cfr. L. Scardino, Ciro Contini ingegnere e ur-banista, Ferrara, Liberty House, 1987.15 C. Guenzi, La manualistica italiana, in L. Scarpa (a cura di),Riviste, manuali di architettura, strumenti del sapere tecnicoin Europa, 1910-1930, “Rassegna” (Milano), n. 5, 1981, pp. 56-58.16 C. Contini (a cura di), La relazione tecnica per il progetto diPiano Regolatore e d’Ampliamento della città e dei sobborghidi Ferrara, lug. 1913, allegato al testo di F. Fiocchi, Ciro Continiurbanista. Un piano regolatore lungo 24 anni, in L. Scardino,op. cit.17 R. Parisini, op. cit., versione dattiloscritta, p. 11.18 G. Rochat, Italo Balbo e gli agrari, in M. Legnani, D. Preti, G.Rochat (a cura di), Le campagne emiliane in periodo fascista.Materiali e ricerche sulla battaglia del grano, Bologna, IlMulino, 1982, p. 98.19 Risulta assai interessante misurare la lungimiranza e l’efficaciadell’opera balbiana investigando la sinergia tra la vicendaferrarese e l’esperienza libica. In riferimento quindi ai capisaldistorici della biografia balbiana stilati da Rochat (Italo Balbo,Torino, Utet, 1986) e Segré (Italo Balbo, Bologna, Il Mulino,1988) – per ricordare le ricerche più note –, i sondaggi monograficidi L. Scardino, L’“Officina ferrarese” in Libia, in G. Gresleri, P.G.Massaretti, S. Zagnoni (a cura di), Architettura italiana d’ol-tremare1870-1940, Venezia, Marsilio, 1993 e P.G. Massaretti,Colonialismi in copertina, “Rassegna”, Bologna, n. 51, 1992,hanno aperto un’investigazione sull’innovativa azione mana-geriale di Balbo in Libia. A seguito di queste, due miei riflessionipiù approfondite sullo stesso tema: Governare il territorio ecostruire consenso. Dallo spettacolo della “fondazione” al-l’inefficacia del modello di colonizzazione demografica in Li-bia, intervento all’interno del convegno nazionale, Italo Balboe il ventennio fascista, Ferrara, dic. 2000, in corso di stampa, e Leesperienze degli enti di colonizzazione demografica in Libia ein AOI (1933-1942), “Terra d’Africa”, Milano, 2002.20 C. Bassi, G. Boschetti, Un secolo di trasformazione del “pae-saggio” ferrarese, in “La pianura”, Ferrara, n. 1, 1982, pp. 18-21.21 Sull’architetto ed il suo operato, cfr. G. Miano, Florestano DiFausto. La vita e le opere, Roma, Bulzoni, 1995. Per sintesi sirimanda tuttavia alla scheda dedicata all’autore contenuta nelleNote biografiche stilate da Gian Paolo Consoli per il volume: G.Gresleri, P.G. Massaretti, S. Zagnoni (a cura di), op. cit., pp. 372-374.22 Esemplare al proposito il caso del Palazzo delle Poste diMazzoni stroncato da Nello Quilici nelle colonne del “Corrierepadano”.23 Lucio Scardino, Itinerari di Ferrara Moderna, op. cit., p. 22.
24 Soprattutto nella fornitissima dotazione saggistica dell’omo-nimo catalogo, a cura di Giuliano Gresleri e Pier Giorgio Massaretti,Venezia, Marsilio, 2001.25Dalla relazione introduttiva alla ricerca interistituzionale,“Inventariazione-catalogazione dei depositi documentali dellasezione “Architettura” dell’ “Archivio Storico dell’Università diBologna” (asub-sa). Sperimentazione informatica e proceduraleconcentrata sul fondo “Marzocchi-Sironi”. Programma di lavoroprogettato e coordinato dall’arch. Pier Giorgio Massaretti perl’Ateneo di Bologna, che fa confluire, in forma partnerariale ecofinanziaria, le competenze e l’investimento economico, dellastessa Università di Bologna, della Soprintendenza regionale aiBeni Documentali e Librari e dell’azienda “Akros Informaticas.p.a.”.
Fonti delle illustrazioniTutte le figure e le didascalie di questo scritto sono tratte da:Ferrara nelle realizzazioni fasciste, estratto dalla rivista “Ope-re Pubbliche. Rassegna dello sviluppo dell’Italia imperiale nelleopere e nelle industrie”, n. 3-5, anno X, 1940.
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Nuove e vecchie esigenze di tutela, architettonica e paesaggistica, del centrostorico di Comacchio
Andrea Alberti
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Comacchio ha vissuto per secoli, e con ritmi quasiimmutati nel tempo, lo stretto legame con l’ambiente vallivocircostante, generando strutture sociali ed urbane assolu-tamente originali, condizionate anche dalla prevalente atti-vità della pesca.
Una economia chiusa che in un contesto ambientale eclimatico avverso ed isolato ha spesso comportato per lapopolazione il determinarsi di precarie condizioni di vita.Parallelamente, Comacchio ha sempre mantenuto nellastoria una grande importanza strategica, politica e geogra-fica.
La struttura urbana di Comacchio ancora testimoniaquesta dicotomia per mezzo del confronto tra il minuto edi-ficato residenziale, sorto un tempo in stretto collegamentocon le acque, e le importanti architetture a scala urbanarealizzate dai diversi poteri che si sono susseguiti nel go-verno della città, in particolar modo dal governo pontificio.
E’, infatti, nel periodo immediatamente successivo alpassaggio di Comacchio sotto il dominio dello Stato dellaChiesa (1598) che vengono realizzate la maggior parte diquelle architetture che, per importanza e rilevanza urbani-stica, ancora oggi connotano e determinano l’immagine ela forma della città. Nel XVII secolo si edificano le chiesedi S. Pietro (demolita agli inizi dell’800), del Carmine, delS. Rosario, di S. Nicolò, di S. Carlo che si aggiungono aquelle esistenti, ai limiti ad est e ad ovest della città, diSanta Maria in Aula Regia e dei SS. Mauro ed Agostino;si inizia la riedificazione della Cattedrale di S. Cassiano(sorta nell’VIII secolo e già rinnovata nel XIII) che termi-nerà nel 1740; si collega il Santuario di S. Maria in AulaRegia con il Loggiato dei Cappuccini; si elevano gli edificicivili della Loggia del Grano e della Torre dell’Orologio; sidefinisce il sistema dei canali ed, insieme, si realizzano iponti monumentali Pallotta (o Trepponti) e degli Sbirri.
Alla fine Settecento verrà aggiunta al disegno urbanodella città la grande fabbrica dell’Ospedale S. Camillo.
Un migliore e più sicuro collegamento carrabile versol’entro terra ad ovest, avvenuto nel 1847 con la costruzio-ne della strada per Ostellato, non modifica la condizione di
città insulare di Comacchio che ancora riesce a conserva-re la propria immagine e l’equilibrio con l’ambiente vallivocircostante fino agli inizi di questo secolo, quando una se-rie di interventi la intaccano pesantemente.
Le bonifiche di gran parte delle valli e l’adeguamentoad una visione distorta di modernità ed igiene, che ha de-terminato il tombinamento o il risezionamento di alcunicanali, insieme a indubbie condizioni di necessità e allamancanza di adeguata regolamentazione che hanno indot-to fenomeni di abusivismo edilizio e l’introduzione di nuovetipologie estranee alla tradizione costruttiva locale, sonostati fattori capaci, in molti casi, di alterare profondamentequelle condizioni di unicità e di omogeneità che storica-mente caratterizzano il centro storico di Comacchio.
Contemporaneamente, lo sviluppo turistico del litoraleha provocato la riconversione come operatori del settoreedile di buona parte della popolazione, che si sono formatiin cantieri caratterizzati dall’uso quasi esclusivo di mate-riali moderni (cemento, cls. armato, strutture prefabbrica-te, ferro, alluminio, tinte sintetiche, ecc.); questo ha com-portato la perdita dell’uso dei materiali della tradizione delcostruire a favore di tecniche e tecnologie moderne spes-so in forte contrasto con le valenze architettoniche esi-stenti.
Dal dopoguerra in poi, l’immagine di Comacchio è sta-ta contaminata da episodi edilizi incongrui e incompatibilicon le valenze dell’architettura storica: stravolgimento del-l’ordine delle bucature con allargamenti di finestre e tra-sformazione di porte di ingresso in squadrati magazzini oautorimesse, sostituzione dei tradizionali scuri con avvolgi-bili, sostituzione dell’intonaco di facciata con i rivestimentipiù disparati (mattonelle, pezzame di pietra, granigliati pla-stici) o con malte cementizie lasciate al grezzo, uso dell’al-luminio anodizzato per i profilati dei serramenti, modificheo eliminazione di cornicioni e camini…
E’ intorno agli anni ’70 del Novecento che una parteattenta della cultura ambientale ed architettonica, non sololocale, comincia a segnalare da un lato l’importanza dellaconservazione dei valori paesaggistici ancora presenti nel
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territorio del Delta del Po (anche come forma di sviluppoalternativo al semplice sfruttamento), dall’altro le contrad-dizioni ed i pericoli che un tale delicato sistema costituitodal rapporto tra assetti naturalistiche e trasformazioni an-tropiche avrebbe potuto manifestare qualora privo di unaattenta tutela e di una equilibrata programmazione di inter-venti sostenibili.
Nel 1968 Italia Nostra organizza un Convegno di studiper la difesa e valorizzazione del patrimonio urbanistico,vallivo e litoraneo di Comacchio, constatando il supera-mento della politica delle bonifiche ed evidenziando le as-senze di un controllo nello “sviluppo” del territorio, ripropostidue anni dopo a Pomposa in un altro incontro di studi su Ibeni naturali del litorale emiliano-romagnolo: proble-mi e prospettive.
Sono i prodromi embrionali della nascita di una idea diParco del Delta che diventa proposta avanzata dalla Pro-vincia di Ferrara nel 1971 con il Progetto Pilota per unparco a fini multipli nel delta ferrarese, che verrà pubbli-camente presentato quattro anni più tardi.
Se l’iter operativo di formazione del Parco del Delta difatto in quegli anni si blocca, la serie di dibattiti e di coinvol-gimenti culturali sull’argomento crea i presupposti per unaserie di azioni di tutela condotti con le possibilità che ilquadro legislativo consentiva.
Tra questi, per “il suo alto grado di omogeneità ed il suopeculiare interesse storico ambientale”, “strettamente le-gati alla natura ed alla conformazione del suolo”, la strut-tura urbana della città antica di Comacchio, insieme a quellaparte delle Valli circostanti ancora esistenti, con D.M.21.06.77 è dichiarata zona di notevole interesse pubblicoai sensi della Legge 24 giugno 1939 n.1497 “Protezionedelle bellezze naturali”.
Citando ancora la dichiarazione di vincolo riportata dallaG. U. n. 203 del 26/7/1977, “gli edifici di particolare rilievostorico artistico (cattedrale e campanile, ponte Trepponti,chiesa e Portico dei Cappuccini, Ospedale, ecc.), realizza-ti dal ‘600 in poi appaiono infatti perfettamente inseriti neltessuto urbano circostante, vivo e sapiente organismo dispazi coperti e scoperti, caratterizzato dai differenti masempre tenui colori degli intonaci, alternati a rusticiparamenti in mattoni, e dal pacato ritmo delle aperture; iltutto ravvivato dalla insostituibile presenza dei canali.”
Attraverso lo strumento della legge del 1939, si dichia-rava l’interesse pubblico di una intera parte di territoriocome bene culturale collettivo, e nel contempo si sottopo-neva il giudizio di compatibilità di ogni azione di trasforma-zione dei luoghi alle procedure di autorizzazione ambienta-
le previste dall’art. 7 della Legge stessa ed attribuite alleSoprintendenze, istituti periferici dell’allora Ministero per iBeni Culturali e Ambientali.
Sempre nel 1977 si sono innestate però le norme dell’art.82 del D.P.R. n. 616 che hanno delegato alle Regioni (edin Emilia Romagna ai Comuni) le funzioni amministrativeesercitate dagli organi centrali e periferici dello Stato inmateria di individuazione e tutela di beni paesaggistici.
La valutazione di una serie di sconfitte proprio in mate-ria di tutela ambientale e paesaggistica porta alla promul-gazione nel 1985 della Legge n. 431, la cosiddetta LeggeGalasso dal nome del suo estensore e primo firmatario,che individua una serie di tipologie ed ambiti di paesaggioche nelle intenzioni dovrebbero sottoporre a tutela quasi 1/3 del territorio nazionale, restituendo parte delle compe-tenze in materia autorizzativi al Ministero mediante l’eser-cizio del potere di annullamento delle autorizzazioni rila-sciate dagli Enti locali. Per uno di quei paradossi checontraddistingue il nostro Paese, il 1985 è lo stesso anno diemanazione della Legge n. 47 sul condono edilizio!
In adempimento, seppure tardivo, alla L. 431/1985 laRegione Emilia Romagna è una delle poche che elabora eadotta nel 1993 il proprio Piano Territoriale Paesistico,importante strumento di analisi e di individuazione di criteridi indirizzo nella programmazione degli interventi sul terri-torio, che però esclude dai propri criteri di pianificazioneambientale i centri storici, in quanto oggetto di specifici ededicati strumenti previsti dai Piani Regolatori Generali.
E’ questa una stagione di contenziosi e conflitti tra ivari poteri politici, centrale e locali, nel quale si inseriscenel 1994 un’altra possibilità di condono edilizio che certonon rafforza i buoni propositi di tutela del paesaggio sban-dierata dalle più diverse parti.
Recentemente, le leggi di tutela dei beni culturali epaesaggistici sono state riunite nel “Testo Unico delle di-sposizioni legislative in materia di beni culturali e ambien-tali” approvato con Decreto Legislativo 29 ottobre 1999,n. 490; il T. U. di fatto vede al Titolo I – beni culturali –riproposti i cardini portanti della efficace Legge 1089/1939sulla “Tutela delle cose di interesse artistico e storico” ,mentre al Titolo II – beni ambientali – ripropone quasiimmutate (ma anche senza averne superato contraddizio-ni ed inefficienze) la L. 1497/1939 “Tutela delle bellezzenaturali” e la L. 431/1985 “Galasso”.
Tornando a Comacchio ed al suo territorio, l’integritàdelle sue valenze architettoniche e paesaggistiche dovreb-be essere garantita da una serie importante di strumenti:
- il Piano Territoriale Paesistico Regionale ed il Piano
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Territoriale di Coordinamento Provinciale, seppure in for-ma di individuazione di indirizzi di programmazione e piani-ficazione
- dalle norme attuative del Piano Regolatore GeneraleComunale
- dalle leggi di tutela statali, sia di singoli oggetti archi-tettonici (individuati da esplicito provvedimento oppure deiure in caso di edifici di proprietà pubblica con età superio-re ai 50 anni), sia di più estesi ambiti territoriali recependole perimetrazioni del D. M. del 1977 e le tipologie di terri-torio previste dalla Legge Galasso.
A queste condizioni deve aggiungersi la recente Istitu-zione del Parco Regionale del Delta del Po.
La presenza di una tale ricchezza normativa e di istitutidelegati alla tutela non deve però consentire una completatranquillità: troppo forti sono le spinte distruttive operate infunzione di una idea ancora limitata di sviluppo, troppo deboligli strumenti di controllo, poco sviluppata una coscienzacollettiva di riconoscimento di valori che sono patrimonionon solo di una realtà locale ma dell’intera Nazione (art. 9della Costituzione), poco chiaro e contraddittorio l’aspettolegislativo e la giurisprudenza.
In questo contesto sempre maggiore efficacia rivesto-no invece gli effetti ottenuti con l’approfondimento e lasensibilizzazione culturale, perché solo l’acquisizione di unaconsapevole responsabilità dei singoli cittadini e delle pub-bliche amministrazioni potrà garantire piena efficacia al-l’azione di tutela dei beni culturali e paesaggistici.
In questo ultimo periodo, merita indicare alcuni segnalidi crescita culturale che fanno sperare in un’inversione ditendenza:
- ricerche archivistiche condotte in quest’ultimo decen-nio con sempre maggiore frequenza e con corretti criteridi approfondimento, pubblicate o condotte in relazione aspecifici progetti di restauro
- alle forme di sfruttamento della costa con l’edifica-zione di seconde case, comincia ad affiancarsi una nuovaidea di proposta turistica che passa attraverso la qualifica-zione del centro storico e la valorizzazione dell’ambientevallivo
- ingenti risorse finanziarie, garantite dal Programmadi Recupero Urbano che hanno consentito di attivare in-centivi alla manutenzione di facciate di fabbricati di pro-prietà privata e recupero di importanti edifici pubblici (exOspedale San Camillo, ex Azienda Valli, Loggiato dei Cap-puccini) o di aree dismesse e degradate.
Gli interventi sopra descritti, già attivati o ancora in faseprogettuale, se compresi ed apprezzati nei risultati dai cit-
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tadini e dagli operatori del settore, si spera possano inne-scare diffusi comportamenti emulativi che consentano ilproseguimento di azioni di manutenzione programmata ebasata su corretti criteri metodologici e operativi.
Azioni che non potranno cancellare, nell’immediato, idanni provocati da alcuni decenni di attività edilizia fonda-ta su principi non condivisibili e peraltro tuttora non com-pletamente abbandonati; sono purtroppo ancora ricercati,o abusivamente realizzati, interventi di errata modifica dellamorfologia urbana, ancora frequente è il ricorso a mate-riali incongrui con le caratteristiche della tradizione co-struttiva, ancora proposti restauri o manutenzioni privi diun adeguato studio preliminare oppure dettati da meri finispeculativi.
Sembra pertanto coerente ed importante avere con-centrato l’attenzione su una figura relativamente anomala,ma qualificante, nell’ambito della produzione architettonicacomacchiese dell’inizio Novecento come Vitale Vitali.
Nelle forme della sua originale progettazione e nellascelta dei materiali delle sue costruzioni, si differenzia dal-le linee della tradizione locale, ma in modo elegante e di-screto, capace di contaminare il tessuto urbano diComacchio con echi, ancorché a volte un po’ tardivi, chesono propri di un dibattito architettonico presente in altrecittà italiane e straniere.
Con le sue opere migliori connota parti importanti diComacchio con valori formali nuovi, generando la sorpre-sa che deriva dal collegamento con altre realtà culturali econtribuendo nell’opera di contrastare l’atavico isolamen-to della città valliva.
Confidando che il rinnovato interesse nei suoi confrontipossa definitivamente cancellare il destino di incomprensioniche ha accompagnato Vitali non solo in vita ma anche inseguito, quando la segnalazione della sua opera avvenutanella mostra del 1989 a Bondeno non ha potuto purtroppoimpedire lo stravolgimento interno del Teatro Zannini, nel-la superficiale indifferenza non solo delle istituzionicomacchiesi ma anche degli altri organismi di tutela deibeni culturali.
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L’architettura di Vitale VitaliLorenzo Bergamini
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Vitali è figlio del suo tempo e attraversa le tendenzearchitettoniche dallo Storicismo, al Liberty, al Déco, finoalle fasi nascenti del Razionalismo, in una sintesi consape-vole dei vincoli storico-fisici del contesto.
Pasquale Belfiore ci presenta brevemente l’atteggia-mento tipico degli architetti dell’epoca e ci illustra qualisiano i fenomeni caratterizzanti i primi decenni del Nove-cento:
“fare come un’ape, che succhia fiori di ogni qualità, e produ-ce il soavissimo miele; fare come il cuoco che di ogni sorta dibuona roba compone un saporito pasticcio; (…) fare final-mente come il servitor di piazza, il quale accatta frasi e paroledi più lingue, accozzando insieme i periodi a mo’ di gazza”.“I tre fattori distintivi del secolo sono dati da: un incrementoesponenziale del numero delle esperienze artistiche, dalla loroaccentuata eterogeneità e dalla loro breve durata. Dapprima,uno “stile” era capace di segnare lunghi decenni o ancheinteri secoli, con orientamenti progettuali sostanzialmenteomogenei ed organizzati su ritmi lenti e dilatati. Con l’ArtNouveau e poi con le avanguardie artistiche dei primi decen-ni del Novecento, i tempi e modi del fare artistico sono scon-volti al punto che la stessa storiografia, per raccontare evalutare gli eventi, è costretta a sostituire il concetto di scuolacon il concetto di movimento”1.Tale spaesamento storiografico conseguente al proli-
ferare dei movimenti e delle tendenze si avverte ancheascoltando le esclamazioni verbali di chi vede per la primavolta le opere di Vitali: “eclettico” è l’aggettivo che piùspontaneamente viene pronunciato assieme al sostantivo“Liberty”, alcuni si spingono ad affermare “Liberty matardivo”.
Alla luce di una mutazione di Vitale Vitali al di là delLiberty, i cui sentori si hanno in alcuni edifici a Comacchio(Casa Camillo Zannini, Casa Gelli, Magazzino Zannini eVilla Carli) dove temi Déco sono evidenti e si avvertono inmodo chiaro nella sua ultima produzione disegnata preva-lentemente razionalista, l’excursus completo delle sue ope-re testimonia, quindi, una vicenda parallela a quella di moltialtri architetti suoi contemporanei.
Le opere pervenute, visitabili soprattutto a Comacchio,consentono, ad uno sguardo più attento, di collocarle nellacontemporaneità della vicenda architettonica italiana, sen-za sfasamenti temporali o ritardi.
Nell’album della famiglia Vitali, assieme ad altre foto-grafie che ritraggono l’architetto con i genitori e i figli, sene trova una esemplare (figg. 1, 2) : si tratta della foto-ricordo scattata per suggellare la conclusione dell’esameall’Accademia di Bologna per diventare Professore di di-segno architettonico. Nel verso della foto ci sono le fir-me autografe dei colleghi e non è difficile scorgere e deci-frare, fra circa venti altre firme, quelle di Mario Chiattonee di Ettore Rossi. Nella monografia di Pier Giorgio Gerosa2
su Chiattone si riportano: il diploma dell’Accademia di Bo-
Fig. 1. Foto di fine anno all’Accademia di Bologna, fronte, 1915,Collezione Vitali. Vitali è il secondo in alto a destra in piedi.
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logna, con data gennaio 1915, punteggio 175/200 e firma;alcuni disegni riconducibili al tema d’esame, un palazzoper la moda, che lo stesso Vitali fotografa, probabilmentepoiché, dovendolo lasciare all’Accademia, ne vuole con-servare un’immagine (figg. 3, 4).
Nel volume Nuova Architettura Italiana3 il nome diEttore Rossi compare con il progetto dell’Istituto di Chimi-ca farmaceutica e tossicologica dell’Università di Padovae con il progetto in corso di esecuzione dell’Ospedale ge-nerale di Bolzano. Di Mario Chiattone ci colpiscono gliesordi nelle “Nuove Tendenze” e la sua amicizia conSant’Elia4, mentre di Ettore Rossi la sua personale e raffi-nata rielaborazione dei principi razionalisti nelle suemachines à travailler (ospedali e istituti universitari).
Fig. 2. Foto di fine anno all’Accademia di Bologna, retro, 1915, Colle-zione Vitali.
Fig. 3. V. Vitali, Foto Progetto per un Palazzo della Moda, tema d’esa-me, 1915, Archivio Vitali.
Fig. 4. M. Chiattone, Progetto per un Palazzo della Moda, tema d’esa-me, 1915, tratto da: P. G. Gerosa, Mario Chiattone, Milano, Electa, 1985.
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forte e difficilmente sradicabile è la tradizione iconografica,ciò che nel civile si sta affrontando ormai da alcuni decen-ni per minore inerzia.
Il palazzo della moda riconduce alla seconda compo-nente marginale della formazione di Vitali, dopo quella del-l’Accademia basata sugli stili storici. Si tratta di una for-mazione legata all’architettura emergente: D’Aronco5 ela Wagnerschule (Olbrich, Secessione Viennese) sono iriferimenti immediati (figg. 9, 10).
Il saggio è stato strutturato in due grosse sezioni, Ar-chitettura Civile (ad uso pubblico e ad uso privato) e Ar-chitettura Religiosa-Funeraria, in virtù di alcune conside-razioni:
- il corpus dei lavori era raccolto e organizzato, nellostato in cui ci è pervenuto, in due grossi faldoni intitolati“Progetti case” e “Progetti tombe”. Ci è parso giustorispettare tale classificazione, effettuata dallo stesso Vi-tali poichè sintomatica dei due campi della propria attività;
- il tema dell’architettura funeraria era molto sentito ecostituiva un capitolo a sé nelle pubblicazioni dell’epoca,era materia di studi e di esercitazioni, esprimendo un cultodella morte e della città dei morti oggi pressochè svanito;
- la sua biblioteca contiene varie raccolte di tavole: iDocumenti di Architettura, L’Architettura Pratica, unaraccolta monografica di tavole su Gaetano Moretti6 e duevolumi dedicati all’Arte Funeraria con allegate numerosetavole.
Note1 P. Belfiore, Scenari dell’architettura italiana verso il Duemila,in “ArQ9. Architettura Quaderni 9”, Sezione “SperimentazioneProgettuale”, Architettura italiana 1900-1919, Dipartimento di Pro-gettazione architettonica ed ambientale, Università egli Studi diNapoli, Napoli, Electa, Dicembre 1992.2 P. G. Gerosa, M. Chiattone, Un itinerario architettonico fraMilano e Lugano, Milano, Electa Editrice, 1985.3 A. Pica, Nuova Architettura Italiana, Quaderni della Triennale,Milano, Ulrico Hoepli Editore, Ottobre 1936-XIV, pp. 308-309.4 P. G. Gerosa, ibidem.Una sola intervista è stata concessa da Chiattone. E’ quella cheGiulia Veronesi ha raccolto nel febbraio 1957, nella quale, parten-do dalla chiarificazione dei rapporti fra Sant’Elia e il futurismo,l’architetto espone molto succintamente le convinzioni e le aspi-razioni che lo avevano animato all’inizio egli anni Dieci:
“Sant’Elia non era futurista. Non lo è stato mai. Non conosce-va Marinetti, quando fondò con noi “Nuove Tendenze”; equesto gruppo era indipendente dai gruppi futuristi. Per quantoconcerne l’architettura, non ci si proponeva, è vero, di stac-carci dalla “Wagnerschule”, dalla quale uscivamo, ma per anda-
Sembra opportuno segnalare due lavori accademici diVitali perché concentrano in sé sviluppi successivi, ten-denze accennate ma sopite, slanci ironici e reazionari. Sonoforse due meteore, due progetti rari nell’ambito della suastessa produzione: la chiesa neogotica futurista (fig. 5)e il palazzo della moda (fig. 3).
La chiesa neogotica futurista rappresenta la primacomponente marginale sempre riconducibile al periodo deglistudi accademici tra il 1909 e il 1913, in pieno fermentofuturista. Questo disegno, una chiesa con corteo funebre,esprime all’interno di un soggetto religioso - ed è singolareil fatto che una chiesa venga trattata come un normalepalazzo civico - una sfida caricandosi di valenze avanguar-diste al pari dei grattacieli nelle città futuriste di Sant’Elia.E’ macroscopica la rampa di accesso alla chiesa, che con-duce ad un piano rialzato dove il portale è costituito da unsemicerchio (fig. 6), peraltro già proposto nel succitatopalazzo della moda (fig. 7). Molto evidente il sistema dicontrafforti dove il rimando al Gotico memore di Viollet-Le Duc giunge ad un organicismo strutturale che precorrealcuni campi di indagine successiva (fig. 8). Un tema sa-cro è proposto secondo nuove forme che lasciano traspa-rire il coraggio di sperimentare contro il passatismo, dove
Fig. 5. V. Vitali, Progetto per chiesa, disegno di Accademia.
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re oltre: non per disprezzare in essa le nostre origini. Volevamocreare un’architettura nuova rispetto a quella diffusa da Vienna,perché pensavamo che si dovesse tenere conto della nuovatecnica in rapido sviluppo e suscitatrice di visioni libere enuove. Ma pensavamo a un’architettura positiva, realizzabile.Il dinamismo plastico, la compenetrazione dei piani, la simulta-neità e tutti i postulati dell’estetica futurista sono parole vuo-te, in architettura, fuor dalla scenografia. Ma Boccioni e so-prattutto Marinetti, eloquentissimo “impresario”, circuironocosì assiduamente Sant’Elia, da sollevare in lui dubbi ed esita-zioni tormentose. Fini col cedere, forse anche sperando di poterfinalmente costruire, attraverso Marinetti. Ed è presumibileche, strappatagli una stanca adesione, Marinetti abbia poirielaborato a sua insaputa il messaggio; d’altra parte Sant’Elianon scriveva. L’incontro ideologico fra le “Nuove Tendenze”e il futurismo non avveniva che sul piano politico, anzi, sulpiano interventista.”
5 D. Barillari, Raimondo D’Aronco, Gli architetti, Bari, EditoriLaterza, 1995.6 Gaetano Moretti. Costruzioni, concorsi, schizzi, prefazione diLuca Beltrami, Torino, Editori Bertelli e Tumminelli, 1912.
Fig. 6. V. Vitali, Progetto per chiesa, disegnodi Accademia, particolare dell’ingresso.
Fig. 7. V. Vitali, Foto di Progetto per Casa diModa, disegno per l’esame d’Accademia, par-ticolare, Archivio Vitali.
Fig. 8. V. Vitali, Progetto per chiesa, disegnodi Accademia, particolare del campanile.
Fig. 9. J. M. Olbrich, Vienna, la Secessione, 1898, tratto da: L. Benevo-lo, Storia dell’architettura moderna.2. Le avanguardie, Bari, EditoriLaterza, 1998, pag. 301.
Fig. 10. R. D’Aronco, Concorso per gli edifici della prima esposizioneinternazionale d’arte decorativa moderna di Torino, tratto da: D. Barillari,Raimondo D’Aronco, Bari, Editori Laterza, 1995, pag. 61.
Fig. 11. Manoscritto di Vitali con i temi dell’esame e schizzo.
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Le tipologie, che nel corso della sua attività egli affron-ta, spaziano dal teatro al palazzo pubblico, dalla scuola al-l’asilo, dalla casa del fascio agli edifici per la G.I.L.. Ilraggruppamento tipologico ha l’obiettivo di confrontare, in-dipendentemente dalla coordinata temporale, i progetti perassonanze ed affinità tematiche cercando le relazioni e leinterferenze tra le differenti tipologie.
Teatri e Palazzi: il cinema-teatro Zannini-Vicentini,un unicum
Al 1919 risalgono le prime esperienze progettuali rea-lizzate su committenza privata: si tratta del cinema-teatroZannini-Vicentini. Il lavoro di trasformazione di una chie-sa in cinema-teatro richiede alcune considerazioni che Vi-tali aveva già esperito in un precedente sforzo progettualesul tema dell’ingresso per teatri. Il riferimento va ad unsuo progetto per teatro a Trieste (fig. 12) risalente ai mesiimmediatamente successivi alla conclusione del primo con-flitto, quando si trovava nella città giuliana in qualità di di-segnatore presso la Direzione del Genio Militare. La dataè la stessa, 1919, e così pure le tematiche, mentre la porta-ta dell’intervento richiesto e la natura dei luoghi e dei vin-coli estremamente diversi: a Comacchio Vitali è chiamatoad operare in un contesto preesistente, una chiesa, inseritain una cortina continua di case a due piani; a Trieste, ungrande spazio aperto sui quattro lati (tra piazza Oberdan,via del Coroneo ed un nuovo viale) lascia presagire unisolato interamente occupato dal teatro le cui dimensionirimandano ad un’opera colossale. Nel corpus dei disegnisi ritrovano due soluzioni del teatro di Trieste: la prima ca-ratterizzata da un susseguirsi articolato di volumi che, ap-profondendosi, scandiscono in modo chiaro la sequenzadelle destinazioni (fig. 13): il corpo dell’atrio, la platea e ipalchi ed infine il palcoscenico; la seconda caratterizzatada un grande arco trionfale di ingresso, un vero e proprioarrivo con rampa carrozzabile (fig. 14).
Questo tema era rintracciabile anche nel disegno svol-to durante l’esame per diventare professore di disegno,ma le differenze sono notevoli: nel 1915 il linguaggio adot-tato è quello dell’architettura in voga di D’Aronco; nel te-atro di Trieste usa un linguaggio canonico storicistico enegli schizzi per il cinematografo Zannini-Vicentini un lin-guaggio depurato da ogni superflua decorazione secondo idettami del periodo e le esigenze vincolanti del luogo edella committenza.
Il tema dell’arco trionfale con ingresso centrale e conrampe laterali per le carrozze viene ripreso in termini
Fig. 12. V. Vitali, Progetto per un teatro a Trieste, 1919.
Fig. 13. V. Vitali, Progetto per un teatro a Trieste, 1919.
Fig. 14. V. Vitali, Progetto per un teatro a Trieste, 1919.
Architettura civile ad uso pubblicoLorenzo Bergamini
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funzionali, seppure ridotto nelle dimensioni e semplificatonelle forme, nel Teatro Zannini-Vicentini. In una dellecarpette d’archivio (n.18) si è individuato un gruppo di tredisegni (fig.15), contenenti anche quote di rilievo, in cuivengono schizzati con un tratto rapido alcune ideeprogettuali relativamente a quello che doveva essere unavancorpo da erigersi sul fronte della ex-chiesa, già tra-sformata in cantinone (fig. 16), come si può desumere dal-la forma rettangolare assunta dal piano attico. La facciatarilevata è tripartita e presenta un ordine gigante su duelivelli ed un conclusivo piano attico sensibilmente emer-gente nella zona centrale. All’epoca in cui Vitali intervieneil timpano della chiesa monofastigiata non esiste più.
Il tema sopraccitato potrebbe risalire alla terza fasedelle opere su tale comparto, quando, attorno al 1930, gliviene commissionato il restauro con l’aggiunta d’ingres-so e sale d’aspetto1 e quando le forme del linguaggio sisono ormai semplificate e i codici espressivi pressochèomologati: egli propone, per affrontare un nodo importan-te, quale l’atrio, la soluzione dell’avancorpo emergente ri-spetto alla storica facciata, ma su due livelli, interrompen-do l’ordine gigante attraverso una loggia che sorregge dueterrazzi curvilinei laterali, dal lessico razionalista. Il pianoattico originario non viene riproposto in aggetto come ter-zo livello, ma arretrato come sfondo: unica variazione è laforma cuspidata nella porzione mediana. Probabilmente laproposta non ha avuto seguito dal momento che alcunefotografie dell’epoca mostrano l’intervento completo sen-za però alcuna loggia di ingresso aggettante. Nello stessogruppo di disegni si ritrova anche una sezione longitudinaleche mostra l’intera trasformazione a cinema-teatro dellanavata unica della chiesa. Nella sezione non si accennaalla soluzione dell’avancorpo di ingresso che a questo puntopossiamo ipotizzare essere stata una proposta transitoriaoppure successiva all’epoca cui risale la stesura della se-zione. Il loggione, con soletta strutturale inclinata e travitrasversali non in spessore, non prosegue con un ballatoioperimetrale, come sarà invece nella soluzione realizzata.Al di sotto del loggione è l’atrio che continua con una pla-tea. Il palcoscenico sopraelevato mostra un livello semi-ipogeo raggiungibile attraverso una scaletta di servizio. Al-l’esterno la porta ad arco è incorniciata da elementi paral-leli cilindrici concavi-convessi come nella casa Cavallariin sant’Agostino (vedi ivi, Schede, n.18) e assimilabile,nello stesso edificio d’angolo, alla cintura di raccordo, alpiano terra, fra le finestre singole e quelle binate (fig. 17).
Il tema dell’ingresso trionfale, qui trascritto in terminiminimali, viene riproposto anche nei successivi progetti per
Fig. 15. V. Vitali, Schizzo di progetto riconducibile al Cinema Zannini-Vicentini, 1930.
Fig. 16. Cinema Zannini-Vicentini, facciata su piazza Duono, confron-to: a. a timpano, b. ad attico. 16b, Collezione Luciani.
Fig. 17. Particolare della fascia che unisce le aperture al piano terradell’edificio d’angolo adiacente l’ex cinema Zannini-Vicentini.
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le Case del Fascio a Comacchio e a Porto Garibaldi, men-tre a Ferrara conserva il carattere di monumentalità, piùprossimo a quello già evidenziato nel Teatro di Trieste.
Il ricorso ad un linguaggio classico sembra essere con-seguenza di una duplice considerazione: la destinazione delprogetto e il luogo del progetto. Tuttavia di fronte alla fun-zione che la fabbrica sarà chiamata a svolgere, prevale lacittà che la ospita e che necessariamente comporta uninserimento consono ad un centro storico stratificato neisecoli per il quale il rifugio al lessico e alla sintassi classicasembra essere una naturale ed imprescindibile conseguenza.
L’edifico adiacente risale al 19232, alla fase interme-dia quando a Vitali viene commissionata “la demolizione ericostruzione quasi totale di una casa per civile abitazio-ne”. Qui la cortina continua delle basse case si interrompeed il fabbricato va a costituire un angolo dove la facciatasulla piazza scivola tridimensionalmente anche sul prospettolaterale. Questa facciata è l’unico lacerto originale dopogli stravolgimenti avvenuti a più riprese negli anni succes-sivi: prima si interviene sulla facciata dell’ex-chiesa, poi suentrambe ed infine si tenta un “ripristino” di invenzionenella versione attuale (fig. 18). Il lato su via Zappata appa-re oggi come testimonianza di come doveva essere il fron-te principale sulla piazza (fig. 16): confrontando le foto-grafie corrispondenti alle diverse fasi, è possibile consta-tare come sostanzialmente la facciata abbia mantenuto inal-terati i propri caratteri ad eccezione dell’apertura di unaporta ad arco ribassato al piano terra in luogo di quella chedoveva essere una finestra binata. Nella foto (fig. 18b) sinotano i segni delle mutazioni. Il prospetto sulla piazza -oggi irriconoscibile a causa della cancellazione completadi quella che era la decorazione - ha mutato anche lascansione delle aperture originarie: al piano terreno si apreuna seconda porta ad arco ribassato, come quella esisten-te, e al piano superiore si aggiunge una finestra.
Nelle tre occasioni in cui interviene, Vitali lavora sem-
Fig. 18. Ex cinema Zannini-Vicentini, confronto tra diversi periodi: a. attuale, b. anni Ottanta (prima dei lavori, Archivio Ufficio Urbanistica del Comunedi Comacchio), c. primi decenni del Novecento (progetto Vitali, foto Collezione Luciani).
pre in un assetto di preesistenze: se nel 1919 e poi nel 1930egli è chiamato ad una operazione di rifunzionalizzazione-restauro, nel 1923 invece, egli si accinge ad un’operazionedi completa demolizione e ricostruzione sull’edificio adia-cente all’ex chiesa.
L’analisi dei prospetti esterni condurrebbe ad una de-clinazione prevalentemente Déco della plastica di superfi-cie se non fosse per l’uso di raffigurazioni fitomorfe (pic-che blu di ceramica su fondo verde) che non solo circon-dano le finestre, ma che addirittura le collegano attraversoun nastro continuo, costituito da un festone lineare di fo-glie sovrapposte, unico nella produzione di Vitali e raro nelrepertorio del periodo: motivi cari al Liberty, coniugati intermini déco (fig. 19). Interessante è come si avverta lanecessità di continuare tridimensionalmente la decorazio-ne sulle due facciate proprio poiché rappresentano un an-golo visuale importante ed un punto di fuga prospetticoalla confluenza tra l’attuale viale Mazzini e la piazza delDuomo. Rilevante è come la proposta della finestra ter-male sia da mettere in relazione visiva con quelle che siscorgono sul fianco della cattedrale.
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Fig. 19. Ex cinema Zannini-Vicentini, particolare delle finestre.
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All’interno dell’ex cinematografo, si trova il genio in-ventivo nelle decorazioni del palchetto perimetrale e nellemensole che lo reggono, nelle lavorazioni in ferro, neglistucchi floreali ed antropomorfi e persino nei corpi illumi-nanti a parete e a soffitto felicemente posizionati. Taleorchestrazione è frutto di un felice incontro tra unacommittenza, non solo sensibile all’estro creativo dell’ar-chitetto, ma soprattutto abile nelle realizzazioni: gli Zanninied i Vicentini erano abili artigiani del ferro e del legno, verie propri decoratori.
Il cinema-teatro Zannini-Vicentini può essere conside-rato un’opera totale poiché la regìa di Vitali si esplica sumolteplici campi, dall’architettonico all’arredamento, dallagrande scala al dettaglio.
La decorazione sulle pareti interne (fig.20) accompa-gna il perimetro in corrispondenza del loggione ed delbalconcino laterale, quindi prevalentemente al primo livel-lo. Si imita, per inquadrare gli accessi e le vie di fuga, unopseudo ordine architettonico, una teoria di lesene, dove inluogo dei capitelli sono collocate delle maschere con smorfiedi espressione memori della commedia e della tragedia
Fig. 20. V. Vitali, Foto dell’interno del cinema Zannini-Vicentini, Ar-chivio Vitali.
Figg. 21, 22. Ex cinema Zannini-Vicentini, particolari della decorazionea stucco.
del teatro greco (fig. 21). Continuità nella decorazioneparietale con i corpi illuminanti e continuità spaziale, per lanaturale conformazione della volta (fig. 22), con ilcontrosoffitto: la decorazione non si arresta ma si insinua,seguendo la curvatura del raccordo della volta allaorizzontalità del plafond, fino a raccordarsi in una triplicecornice rettangolare proiezione della platea sottostante.
Al centro, la grande plafoniera in continuità non solo diforme e cromie, ma anche di materiali, (fig. 23) è sintesidelle tecniche e tecnologie impiegate per tutte le altre de-corazioni. La sua geometria svela la presenza di figureconcentriche su quattro livelli e spessori differenti: 1) cir-conferenze che includono due tipi di ornamento, uno pura-mente geometrico, vale a dire la catena di rombi, ed unopiù morbido a ricci e volute, lo stesso che si ritrova nelriquadro sopra all’arco delle porte; 2) un primo gruppo didue triangoli ruotati che costituiscono una prima stella asei punte con vetri colorati come diffusori di luce rappre-sentanti sei farfalle dal corpo verde e ali rosse, gialle eblu; 3) un secondo gruppo di triangoli, ruotato rispetto alprecedente, costituente la seconda stella a sei punte re-cante in ciascuna punta un diffusore esagonale, realizzato
Fig. 23. Ex cinemaZannini-Vicentini,plafoniera centrale.Foto Alberto Cinti.
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con delle sfere di vetro unite al centro da una sfera didiametro maggiore; 4) fino all’esagono centrale che nederiva, circondato da cerchi, che contiene il diffusore mag-giore, sempre realizzato con delle sfere di vetro unite con-vergenti verso il centro dove è la sfera maggiore.
Gli altri corpi illuminanti sono intimamente correlabili alpartito decorativo in modo da costituire un sistema artico-lato decorazione/arredamento fisso/struttura. Partendo dalpiano primo e scendendo idealmente attraverso il capitellocon la maschera, si trova il primo corpo illuminante costi-tuito da una base di aggancio, pensata nei colori e nellefogge per occultare l’apparato elettrico, dalla quale si pro-tendono due steli metallici con diffusore in vetro opale-scente. Sul parapetto del balconcino, all’estremità inferio-re della lira esattamente sulle sue corde tese si inserisceun corpo illuminante con diffusore apparentemente in ve-tro disposto con asse perpendicolare rispetto a quello piùaperto che in modo diretto illumina l’intradosso del sottobalcone.
Interessante è notare come anche nelle porte in legno
Fig. 24. Ex cinema Zannini-Vicentini, foto durante i lavori per la trasformazione della sala di proiezione in uffici , inizio anni ‘80. Foto Alberto CInti.
vi sia lo stesso motivo a triangoli e si accenni alle geometriepresenti nel riquadro decorato a stucco che sovrasta leporte.
La balaustra del loggione non ripete le immagini dellepareti, ma propone un nuovo motivo prevalentemente bidi-mensionale: un doppio drappo avviluppandosi attorno adun ramo rigoglioso di margherite, si alterna ad una lira. Lesue corde oltrepassano i limiti dello strumento musicale esi trasformano in elemento strutturale così pure il festoneche le avvolge e che dovrebbe imitare la doppia voluta dilegno è lo stesso che si ritrova nelle mensole che garanti-scono strutturalmente la sporgenza del ballatoio. Gli stessifestoni al di sotto di mensole si ritrovano nel progetto Bdel Palazzo per Codigoro (fig. 25) con la stessa valenzatridimensionale: elementi decorativi floreali che si fondonoad elementi strutturali, elementi vegetali che in una sortadi metamorfosi suggeriscono oggetti legati alla musica. Unadecorazione che trasfigurandosi rimanda all’iconografiatipica delle sale per il teatro: la lira era già presente sianelle metope sia in sommità alla chiave di volta nel proget-
Fig. 25. V. Vitali, Progetto del Palazzo per Codigoro, progetto B,particolare del cornicione.
Fig. 26. V. Vitali, Progetto per Teatro a Trieste, particolare della deco-razione.
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to del teatro di Trieste sia nelle mani delle figure a basso-rilievo allungate sull’estradosso dell’arco trionfale (fig. 26).Le maschere del teatro si ritrovano curiosamente colloca-te tra architrave e capitello, fungenti da cuscino e dove laloro espressione di dolore, di ira e di felicità, ironicamenterimanda alla compressione cui esse sono indifferenti .
L’arte della lavorazione del ferro si ritrova in più puntioggi anche in facciata come reimpiego di parapetti unaparte dei quali esiste nella sua sede originaria all’interno. Ilferro è coniugato al vetro, al cemento, allo stucco e sem-bra un materiale ricorrente e versatile per molteplici solu-zioni artigianali: da solo, nelle inferriate rileva un’attenzio-ne déco (fig. 27); con il vetro decontestualizzato (fig. 28)in facciata; con il cemento, in un terrazzo all’interno, asostegno di una pensilina il ferro si inserisce in un parapet-to esistente di fattezze neoclassiche mediante un ancorag-gio con foglie verdi sul cemento ed un fusto esemplare;con lo stucco, come già visto, per i corpi illuminanti.
Sebbene il contributo di Vitali si esprima su moltepliciversanti, non esiste corrispondenza fra la raffigurazioneesterna ed interna, unica eccezione è rappresentata dallamargherita congiunta alla foglia a forma di picca (figg. 29,30) che possiamo eleggere come l’unico trait-d’union.
Quello che rimane oggi dell’ex-cinema teatro Zannini-Vicentini è, all’esterno, un assemblaggio di soluzioni bu-giarde e superficiali e, all’interno, una concreta vergognaperpetrata solo una decina di anni fa ai danni di un com-plesso straordinario.
Nelle esercitazioni di Vitali, il legame tra la tipologia delteatro e quella del palazzo era stringente e si svolgevaattraverso il consueto ricorso-rifugio al linguaggio classicodell’architettura (figg. 31, 32). Lo stesso forte legame siriconferma nella sua attività professionale e così l’atteg-giamento con cui egli tratta il cinema-teatro Zannini-Vicentini è identico a quello adottato nelle proposteprogettuali per Codigoro. Tuttavia decade completamentel’aspetto passatista e storicista, pur permanendo al di sottodei telai geometrico-strutturali in entrambe le soluzioni, innome di una nuova veste, più confacente al periodo stori-co e alle attività commerciali che nella nascente via pub-blica andavano ad insediarsi: farmacia, gioielliere, decora-tore, caffè, barbiere e sartoria.
Per il progetto di sistemazione del centro di Codigoro,Vitali propone un palazzo che seguendo la conformazionedel sito si affaccia sull’attuale piazza Matteotti e proseguesu via IV Novembre. Vitali affronta il tema del palazzo
Figg. 27, 28. V. Vitali, Ex cinema Zannini-Vicentini, uso del ferro nelleinferriate delle finestre.
Figg. 29, 30. V. Vitali, Ex cinema Zannini-Vicentini, particolari delledecorazioni interne ed esterne esistenti.
Figg. 31, 32. V. Vitali, Studi tipologici di palazzi, esercitazioni d’Acca-demia.
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proponendo due soluzioni distinte, una per la facciata sullapiazza che chiameremo “progetto A” (fig. 33) e l’altra perla facciata sulla via che chiameremo “progetto B” (fig.34), entrambe con portico.
Nel progetto A, la tettonica è impostata secondo unasintassi classica ma con lessico “moderno”: si rivisita l’or-dine gigante in apertura e chiusura della facciata il qualeaddirittura attraversa quattro livelli, mentre le campateminori a tre livelli sono interrotte al piano primo e continuenei due piani superiori. Il piano terreno in realtà conta unlivello e mezzo ed è destinato a portico con vetrine di ne-gozi: le finestre che si trovano in facciata scivolano fino asotto il portico e sono destinate probabilmente a magazzi-no per l’attività commerciale. La suddivisione ritmica pre-vede il tema della proporzione e della simmetria: paradigmiclassici che declinano però, da un lato neologismi Libertynelle decorazioni a bassorilievo a foglie nei balconcini del-le finestre e nell’imposta del timpano triangolare che ri-manda al Garage di Entigerno Bellotti nella parte sommitalecentrale (vedi ivi, Schede, n. 20) e dall’altro neologismiDéco nelle piattabande delle finestre decorate con quadrelli,probabilmente in ceramica colorata (vedi ivi, Schede, n.21 e 44). Il motivo vegetale è inserito all’interno di formelleche suggeriscono una sorta di prefabbricazione del motivoornamentale. La riquadratura avvia ad un discorso diserialità da un lato e, dall’altro, ad una inclinazione allageometria, quest’ultima prettamente Déco. La nuova arteemula gli elementi degli ordini classici trasfigurandoli. L’usodel materiale è simile a quello di soluzioni adottate con unacerta frequenza nei villini (vedi ivi, Schede, n. 19) e inqualche esempio di restauro di facciate a Comacchio: al-ternanza di mattone a vista e intonaco. Il progetto A èquello che maggiormente si allontana dalla “norma”.
Nel progetto B, Vitali ribadisce l’impaginato del prece-dente progetto. Egli lavora, una volta decisa la trama geo-
Figg. 33, 34. V. Vitali, Progetto di sitemazione del centro di Codigoro, Palazzo all’inizio del Nuovo viale, prospetto sulla piazza.
progetto A progetto B
metrica, sul dettaglio di elementi minori riconducibili alleaperture o all’ornamento: si verifica l’accostamento di ele-menti desumibili dal repertorio classico come le finestrecon timpano triangolare al secondo livello in corrisponden-za del piano nobile - con elementi tratti da un lessico aper-to, in divenire appartenenti al Liberty-Déco. In sostanza siriconferma il telaio vitruviano, scarnificato e rarefatto, dellaprecedente soluzione, ugualmente velato dal ricorso crea-tivo ad un lessico moderno e contemporaneo: la conviven-za della sicurezza del classico con l’avventura del Déco.
Mentre nel progetto A l’impaginato del prospetto èorganizzato secondo una complessa stratificazione gerar-chica di facciate, distinguibili perchè sensibilmente arre-trate una rispetto all’altra e il portico era caratterizzatodalla presenza massiccia del bugnato, tanto da renderlotozzo, questa seconda soluzione appare più elegante, piùconfacente ad un centro cittadino: le vetrine per negozisono risolte in modo più trasparente, senza le opacheserracinesche metalliche del precedente, e così pure lefinestrature nel mezzanino esprimono maggior ariosità, la
Fig. 35. G. Pontoni, Progetto per i Fabbricati Buldrini, Bologna.
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stessa che aleggia nel progetto di Gualtiero Pontoni per iFabbricati Buldrini su Via Irnerio a Bologna 3 (fig. 35).
Si deduce che il processo di allontanamento dai canonicomincia con la decorazione e gradualmente procede at-traverso le lavorazioni in ferro e sembra toccare la massi-ma espressione nella parti lignee, nella fattispecie iserramenti: si confronti la porta di legno con quella delprecedente progetto A. Ricompare la finestra termale del-l’edificio adiacente al cinema-teatro Zannini-Vicentini, de-clinata alla stessa maniera con analoga depressione nellaparte centrale e ritorna identico l’uso del festone che scendedalle mensole proprio come all’interno del cinema. I bal-coni e la decorazione in ferro sono invece riconducibili allacasa di Entigerno Bellotti (vedi ivi, Schede, n. 22).
I due gruppi di tipologie che seguono, Case del Fa-scio-G.I.L. e Scuole, appartengono all’architettura pro-gettata e nella maggior parte non realizzata4 dell’ultimoperiodo quando la rivoluzione, in seno ai codici espressividell’architettura, è un fenomeno certo e comunemente dif-fuso.
La produzione di Vitali, nell’arco temporale che va dal1924 circa al 1938, è orientata sulla duplice esperienzache coinvolge l’architettura italiana nel Ventennio fasci-sta: da un lato, l’abolizione delle manifestazioni decadenti,quali Liberty e Art Déco o qualsiasi altra forma di vuotoeclettismo, per ritornare alle proprie origini dell’architettu-ra i cui tratti principali possono essere la monumentalità,l’accademismo e la gratuità ornamentale, dall’altro il ten-tativo di trasporre, mediando, i dettami del Regime nelleavanguardie razionaliste europee.
Il progetto per la Casa del Fascio di Ferrara con la suapedissequa ostentazione storicista ed in parte la corpulen-ta monumentalità della facciata per la G.I.L. di Comacchiopossono avvicinarsi alla prima delle due esperienze, men-tre i progetti per la Casa del Fascio di Porto Garibaldi ed inparticolar modo quelli per l’Asilo di Porto Garibaldi pos-sono paragonarsi, per alcuni esiti formali, allo spirito di ri-cerca presente nella seconda.
Case del Fascio e G.I.L.Il progetto per la Casa del Fascio di Ferrara5 porta la
data del 1929 e dall’impostazione dell’elaborato grafico sipuò intuire che doveva essere stato confezionato per par-tecipare ad un probabile concorso, strumento ricorrente esicuramente attuale per le opere pubbliche (fig. 36). Lasede della Casa del Fascio di Ferrara fu poi realizzata daGandini6 (fig. 37).
Evidenti i richiami al primo progetto di teatro a Trieste,quello a corpi stereometricamente e funzionalmente diffe-renziati, dove è pedissequa la citazione della fonte classicain particolare nella composizione, non tanto nella pianta ad“E”, dove il corpo laterale a tre campate è ripetuto in quel-lo centrale, quanto nella articolazione dei prospetti, in par-ticolare quello dell’avancorpo mediano, dove è immediatoil riferimento ai palazzi rinascimentali romani filtrato dellesue esperienze accademiche: l’ordine gigante che inqua-dra due livelli sovrapposti di finestre e la successione delpiano terra con bugnato su un ordine gigante con parastebinate.
Fig. 36. V. Vitali, Progetto per la Casa del Fascio di Ferrara, foto Archi-vio Vitali.Fig. 37. G. Gandini, Ex Casa del Fascio di Ferrara.
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Il progetto per la G.I.L. di Comacchio presenta unacerta complessità e notevoli dimensioni, ripetute solo per ilcomplesso, peraltro realizzato, di Entigerno Bellotti conuffici statali-negozi-casa custode-garage pubblico. Siamodi fronte ad un progetto a scala urbana il cui programmafunzionale è quello di organizzare un enorme centropolifunzionale: armeria, scherma, comando, archivio, am-bulatorio, docce palestra, doposcuola maschile, tiro a se-gno, salone cinematografico, porticciolo coperto e scoper-to per barche, ricovero attrezzi nautici, campi da tennis ecampi per esercitazioni e giuochi sportivi. Il lotto interes-sato è di proprietà dell’ex-Amministrazione Valli diComacchio e va dal Corso V. Emanuele, attraverso il ca-nale dei Mercanti, fino al canale Francescona.
Non è un progetto ex-novo, ma un recupero vero eproprio dove i muri portanti dei precedenti edifici vengonoinglobati come strutture dei nuovi spazi (fig. 38). Laprogettualità non è libera, ma condizionata dalle preesi-stenze. Interessante è lo studio della rifunzionalizzazioneimperniato su un rapporto di non conflittualità con le strut-ture esistenti e con il contesto anfibio al contempo urbanoe naturale: il lotto stretto ed allungato permette, per la suamorfologia, di essere a contatto coi canali e con l’assecarrabile, cuore urbano. Si intesse un rapporto di realecontinuità che suggerisce funzioni ecocompatibili, per usa-re un neologismo, non turbative e non dissonanti. Verso lacittà si prevede di allocare il corpo col Comando e verso lavalle una vera e propria lega navale. Si individuano quattrocorpi volumetricamente distinti, destinati ad attività diffe-renti, coniugate in una sorta di funzionalismo analitico.
Il progetto della facciata ritorna, come nella Casa delFascio di Poro Garibaldi, ad essere argomento di riflessio-ni progettuali. L’ingegnere Aldo Samaritani, con cui af-fronta questo dibattito durante le fasi progettuali, gli scrivedi porre attenzione su alcuni punti desunti dallo spirito dipropaganda che informava l’architettura di Regime: il temadella torretta e i corpi piani o a terrazzo (vedi ivi, Archivio,Catalogazione Serie “Progetti Case”) .
L’approfondimento di queste tematiche lo porterannoa produrre una gamma di soluzioni estremamente interes-santi sotto il duplice aspetto del linguaggio e della tecnolo-gia (figg. 39, 40, 41). Questi tentativi sono molto distantidalla soluzione finale ed esprimono una sorta di libertà nel-la sperimentazione dei materiali e delle forme che l’ultimasoluzione, monumentale e goffa, ha completamente dimen-ticato. Quanto ai materiali è interessante notare come eglivoglia utilizzare in modo alternato intonaco (o rivestimentoin marmo) e mattoni a vista, probabilmente a corsi spor-
Fig. 38. V. Vitali, Progetto per la G.I.L. di Comacchio, pianta pianoterra, stato di fatto e progetto.
genti, com’è desumibile dall’ombra dei corsi di mattoni (vedia Ferrara, ma anche altrove, il Palazzo dell’Aeronauticadi Gandini). Quanto alla composizione si nota una sorta diindifferenza al tema della simmetria (situazione indotta dallanecessità di inserire una torre) e una complessa articola-zione dei volumi che ricorda l’architettura di Piacentini.Notevoli gli schizzi del prospetto e la prospettiva con lecase adiacenti (fig. 42).
Il disegno della soluzione finale (figg.41, 42) ricorda alcontempo il tempio e l’arco trionfale: al centro un ordinecolossale a tre campate è affiancato con un leggero aggettoai fornici. L’ordine dei pilastri, è interessante rilevare, con-tinua al di là dei fornici e chiude la facciata, ma è arretrato.Ritornano i temi della gerarchia dei piani che serve a con-notare i diversi riferimenti, ora all’arco trionfale ora al tem-pio, della simmetria e della monumentalità. Il balcone oc-cupa e protegge l’atrio tripartito a loggia: al centro diventasemicircolare.
Nella Casa Littoria di Porto Garibaldi del 1938 si ritro-vano molti degli aspetti dell’Asilo di Porto Garibaldi: in par-ticolare il prospetto che va oltre l’imposta della coperturaper occultare la vista delle falde e la finestra che gira nel-l’angolo, ma così anche la stessa schematica rigidità nel-l’impostare gli spazi interni. Si introducono elementi im-
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Fig. 39, 40, 41. V. Vitali, Progetto per la G.I.L. di Comacchio, studio della facciata principale in collaborazione con l’ing. Samaritani.
posti dal regime quali la torre con pennacchi, l’anno XVI(1938) in caratteri lapidari, balconi aggettanti e ampie su-perfici vetrate. Alcuni sono riconducibili agli studi prelimi-nari per la Casa del Fascio di Comacchio (fig. 42).
Tutte le soluzioni proposte sottolineano una completaadesione al nuovo linguaggio razionalista e ruotano attornoall’argomento facciata. La facciata deve al contempo espri-mere e rappresentare simbolicamente la magnificenza delperiodo e deve funzionalmente identificare un luogo pub-blico.
Nell’idea di progetto (fig. 44) dove prevalgono l’asim-metria e l’ordine gigante (corpi cilindrici che imitano le“colonne” al di sotto delle quali scorrono dei balconi cheraggiungono e proteggono l’ingresso) si introduce la tor-re. Il segno a matita su un disegno colorato (fig. 45)evidenzia una proposta nuova che si vuole approfondire. Ildisegno successivo (fig. 46) riporta l’unica variazione conla torre, fasci littori e pennacchi angolari: unica variazioneriguarda il fatto che l’ordine gigante non prevede corpicurvilinei, mentre permangono sia i balconi che le superfi-ci vetrate.
Fig. 42. V. Vitali, Progetto per la G.I.L. di Comacchio, schizzoprospettico della facciata.
Figg. 43, 44. V. Vitali, Progetto per la Casa del Fascio di Porto Garibaldi,schizzi prospettici.
Figg. 45, 46. V. Vitali, Progetto per la Casa del Fascio di Porto Garibaldi,studio della facciata.
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ScuoleLo schema planimetrico per il progetto della Scuola di
San Martino Spino del 1924 risulta atipico: si tratta di unascuola con annesse abitazioni (figg. 47, 48). Il corpo cen-trale della scuola è affiancato lateralmente da due abita-zioni, che godono di una quasi totale autonomia funzionale,se non fosse per interferenze minimali: il servizio igienico,al piano rialzato, e un corridoio sia al piano rialzato che alpiano primo nell’abitazione di destra. Quest’ultimo collegadirettamente l’abitazione con la cappella e suggerisce unacerta relazione fra l’abitazione di destra con la scuola.
Lo schema strutturale coincide con quello distributivoed infatti le pareti oltre ad essere muri portanti sono anchepareti che suddividono geometricamente gli spazi. Domi-na la simmetria assiale in senso verticale ed orizzontale.La pianta della scuola rimanda ad una tipologia tradiziona-le e consolidata. Lo schema distributivo delle residenze èriconducibile ai villini suburbani soprattutto nell’articola-zione dei volumi. La composizione dei corpi rivela il tenta-tivo di permettere una lettura chiara delle distinte parti equesto attraverso sensibili arretramenti: al piano rialzatose ne contano due, mentre tre diventano al piano primodove si realizza un ampio balcone introflesso.
L’apparato decorativo è limitato al bugnato ai piani in-feriori e alla zona centrale dove è il balcone.
La planimetria del progetto per l’Asilo di Porto Garibaldi(fig. 49) evidenzierebbe la riproposizione di schemi distri-butivi tradizionali se non fosse per impercettibili elementiinnovativi che trovano maggior esemplificazione negli ela-borati grafici prospettici: il refettorio, con la sua forma cir-colare, l’ampio terrazzo al piano primo, la copertura pianacon pergolato, assieme alla scomparsa completa di ognidecorazione, denotano un “timido” affiancamento atematiche razionaliste e funzionaliste. Il sedile che circon-da all’esterno il refettorio lega il volume con lo spazio apertodel giardino dove i bambini svolgono buona parte delle loroattività ludiche.
La prospettiva permette di illustrare il punto di vistareale dell’occhio umano e allora la copertura risulta piana.Il disegno dei prospetti ci informa che in realtà esiste unacopertura a falde, un tetto tradizionale, semplicemente oc-cultato da una fascia perimetrale (fig. 50). La tradizionepermane, ma mascherata dalla necessità di rinnovamento.Altro dettaglio di un linguaggio che pare assorbire gli or-mai vigenti nuovi codici sintattici è una sorta di allinea-mento delle finestre che giungendo nell’angolo girano e sipongono come elemento stereometrico: la finestra non è
Figg. 47, 48. V. Vitali, Progetto per la Scuola di San Martino Spino,disegni di progetto.
Fig. 49. V. Vitali, Progetto per asilo a Porto Garibaldi, piante.
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en longueur e l’angolo non è svuotato, ma questa soluzio-ne pare essere conseguenza di probabili riflessioni su que-sti stessi argomenti (fig. 51).
L’asilo di Porto Garibaldi, limitatamente alle viste ester-ne, pare essere l’opera più aggiornata e più vicina agli in-flussi delle correnti architettoniche razionaliste, contraria-mente all’interno dove prevale un’organizzazione spazialedel tutto rigida, utilitaristica e conservatrice con soluzioniormai consolidate e notoriamente efficaci addolcite dallaforma circolare del refettorio.
Note1 Archivio Vitali, Elenco Opere, Busta 15, doc 1.2 Archivio Vitali, Elenco Opere, Busta 3, doc 8.3 G. Gresleri, P. G. Massaretti (a cura di), Norma e arbitrio. Archi-tetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, Venezia, Marsilio Edi-tori, 2001.4 Un’operazione di ricerca approfondita, condotta su ciascunprogetto, potrebbe mettere in luce le vicende e i retroscena chehanno portato alla non realizzazione dell’opera, alla sua trasfor-mazione se non addirittura alla sua demolizione.5 Vedi ivi, Archivio, Elenco opere realizzate.6 L. Scardino, Itinerari di Ferrara moderna, Firenze, Alinea Edi-trice, 1995, p. 113.
Fonti delle illustrazioniFig. 16a tratta da: F. Luciani, Vsén a la rola dal camén. Tradizio-ne popolare storia poesia dialettale, Rimini, 2001, p. 97.Fig. 35 tratta da: G. Gresleri, P.G. Massaretti (a cura di), Norma eArbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, Venezia,Marsilio Editori, 2001, p. 176.Fig. 37 tratta da: L. Scardino, Itinerari di Ferrara moderna, Fi-renze, Alinea Editrice, 1995, p. 113.
Fig. 50. V. Vitali, Progetto per asilo a Porto Garibaldi, vista prospettica.
Fig. 51. V. Vitali, Progetto per asilo a Porto Garibaldi, prospetti.
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Rispetto all’architettura civile-pubblica, quella privatadenota una copiosa attività professionale che inizia nel 1920con la casa per Celeste Carli e si conclude nel 1932 con lacasa per Camillo Zannini: sia i progetti che le realizzazionidi edifici per uso privato, sono per Vitali forma concreta diun unico linguaggio compositivo, sono tutti localizzabili traPorto Garibaldi e Comacchio, ma soprattutto nel centrostorico di quest’ultima, e si possono differenziare in edili-zia urbana e suburbana.
Comacchio presenta una morfologia urbana peculiare:cinta da percorsi di acqua che la isolano, la limitano nel-l’espansione e la chiudono in se stessa. Accade così cheper le realizzazioni urbane, l’asse carrabile principale di-venti il luogo di maggiore visibilità, luogo del commercio eluogo della vita sociale. L’ubicazione della maggior partedei progetti di case di civile abitazione, spesso con funzio-ne mista (si ricalca il tradizionale binomio casa-bottega:negozio al piano terra e abitazione al piano superiore) sitrova in via Cavour (soprattutto per i progetti non realizza-ti) e su Corso Vittorio Emanuele, oggi via Mazzini, checollega a ovest il santuario di Maria Santissima in AulaRegia e il loggiato dei Cappuccini con la piazza della Cat-tedrale.
Fabbriche urbaneMolti degli interventi urbani, dichiarati negli elenchi re-
datti per la convalida del proprio titolo di architetto1, sonodetti “restauri” e sono da intendere per lo più come recuperifunzionali di edifici esistenti con ridisegno della facciata:l’elemento che doveva distinguersi in modo garbato nellacortina continua e fitta era tutta la facciata, non solo illivello inferiore, in quanto era “vetrina” dello status econo-mico della famiglia proprietaria.
In questo periodo di risveglio edilizio, di fermento eco-nomico (si intraprendono le grandi bonifiche), di soprag-giunte esigenze del vivere civile e con migliorati standardigienici, l’abitazione deve rispondere a tempi ed esigenzecosì profondamente modificate2. Il fatto che gli interventisiano su preesistenze è chiaro soprattutto dall’impiantotipologico delle case di civile abitazione: troviamo un’evi-dente semplicità della pianta e una similitudine di propor-zioni.
Le poche piante che ci sono pervenute, peraltro di pro-getti non realizzati, segno che gli originali di quelle costru-ite venivano presentati al Municipio per ottenere la licenzaper costruire mostrano una distribuzione tradizionale e fun-zionale degli ambienti. Rispetto agli standard del periodo
Architettura civile ad uso privatoFrancesca Pozzi
possiamo tipologicamente inquadrarle tra le “case econo-miche” e le “palazzine”3: senza una particolare ricerca di-stributiva interna e con un numero di stanze per piano di 4-5 vani, sono specchio della committenza composta da bor-ghesia emergente che si affidava quindi ad un accuratostudio della facciata principale per rendere “unica” la pro-pria abitazione.
Il fronte è più esteso della profondità, nella casa di Ce-leste Carli (1920), di Ermippo Bottoni (1922-24), di ArturoCavallari (1925), di Antonio Cinti (1926), e per i progettiper Luigi Feletti Virgili (1925) e per Antonio Fantini (1925).L’operazione consiste nella fusione di due o più unità edi-lizie tipiche per dar luogo a palazzine di famiglia. Singolareil progetto di fusione di tre unità distinte, la tipica edilizia dibase del nostro centro storico, nel progetto per la casa diVincenzo Feletti Virgili in via Cavour (fig. 52).
Riscontriamo un più approfondito studio nella distribu-zione degli ambienti solo nel complesso che Vitali realizzatra il 1925 e il ’26 per Entigerno Bellotti nel quale figurano:un garage pubblico con deposito di materiali da costruzio-ne, uffici e casa del custode e un edificio come “vastofabbricato per uffici, abitazioni e negozi”. Commissionatocon incarichi successivi, il progetto generale è evidente-mente frutto di una progettazione unitaria in cui le funzionidefiniscono l’impianto e vengono palesate all’esterno, tan-to che le differenze vengono sottolineate nell’uso delladecorazione che di volta in volta caratterizza il ruolo delcorpo di fabbrica. Il grande edificio polifunzionale ha un’ap-parenza classica, tipica degli edifici con funzione pubblica,presenta un finto bugnato al piano terra e un frontone trian-golare (semicircolare nel disegno prospettico fotografatodallo stesso Vitali), con discreto inserimento di geometrici
Fig. 52. V. Vitali, Progetto di restauro della casa del sig. VincenzoFeletti V., schema esistente-progetto.
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particolari Déco (vedi ivi, Schede, n. 20, 21, 22).In sostanza ci troviamo di fronte alla gestione di un
grosso isolato in cui il progettista è chiamato a svolgere erisolvere simultaneamente due gruppi principali di attività:una in rapporto alla città e alla via pubblica, di rappresen-tanza per negozi ed uffici, l’altra in rapporto al canaleretrostante e alla strada antistante, per carico e scaricomerci. Mentre l’edificio che prospetta via Sambertolo èpreesistente, l’edificio garage-magazzino è progettato ecostruito ex-novo.
La plurifunzionalità induce Vitali a riflettere sull’imma-gine e sul carattere adeguati per connotare la destinazioned’uso di ogni corpo di fabbrica e il risultato che egli ottienepuò sintetizzarsi così: il piano terra, con le sue botteghe, sisvincola dal palazzo stesso e si radica nel luogo, l’arcoribassato di ciascuna vetrina pare essere la costante diogni edificio progettato da Vitali nel centro storico, il quale,da attento osservatore, aveva notato essere un segno per-manente e codificato per le attività commerciali, per inegotia; il piano primo, con gli uffici statali, del Catasto edel Registro, pur essendo privato, svolge in parte una fun-
zione pubblica da esibire e permetterne la visibilità, deveessere formalmente riconducibile all’immagine dei palazzidelle istituzioni e quindi parlare la lingua dello storia ed chealcuni richiami al Neoclassico potevano garantire; il garage-deposito materiali esprime il mondo dell’industria e latipologia relativamente nuova, esprime la propria epoca,con un linguaggio contemporaneo, il Déco comeinveramento del Liberty, nato, senza obblighi o vincoli, so-prattutto per dare dignità alle fabbriche che sorgevano inperiferia, non troppo distanti dalla città; l’abitazione delcustode al contrario sarà maggiormente decorata e la de-corazione floreale, progettata ma non realizzata, rimandaal Liberty.
Nonostante la decorazione sia trattata in modo diversoper i singoli edifici, vi sono alcuni elementi puntuali, quali leformelle, che, ripetendosi restituiscono un’immagine uni-taria dalla quale traspaiono la regìa ed il controllo globalidell’architetto.
Nell’ornamento del garage e deposito, Vitali riprendechiaramente forme e geometrie della Centrale Elettrica diTrezzo d’Adda di Gaetano Moretti4 (1860-1938) (figg. 53,
Fig. 53. V. Vitali, Progetto di fabbricato ad uso garage pubblico e depo-sito materiali per Soc. Entigermo Bellotti & C.i, prospetto.
Fig. 54. G. Moretti, Centrale elettrica di Trezzo d’Adda, 1906.
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54): ne deriva la scansione degli elementi architettonici esottolinea l’ingresso principale avanzando il corpo centra-le e inserendo al primo livello una finestra tripartita chetermina con elemento cuspidato a simulare un timpano.Le formelle quadrate a livello del cornicione disegnano inquesto punto un arco a gradoni, tipico della cultura islamicae recuperato in chiave Déco. Si ritrova una analoga com-posizione architettonica anche nel progetto A del palazzosul “nuovo viale” di Codigoro (fig. 55).
Queste parti concorrono a rafforzare l’ipotesi di unadecorazione prefabbricata e seriale data la presenza, peresempio nel fabbricato d’angolo del complesso di EntigernoBellotti, di elementi in conglomerato cementizio ancoratocon zanche, oggi fortemente degradati (fig. 56). Altro si-stema decorativo, spesso progettato e raramente esegui-to, è la fascia ornamentale sotto cornicione, da realizzarsicon la tecnica della pittura policroma, visibile nel progettoper villa Carli (vedi ivi, Schede, n. 19) o l’edificio ad usouffici e abitazione del custode di Bellotti (vedi ivi, Schede,n. 22).
Le case di Camillo Zannini (1932) e di Antonio Gelli(1929) rappresentano le fasi conclusive della sua attivitàche in quegli anni va aggiornando sui temi del Novecento:l’analisi dei prospetti ci induce, soprattutto per la casa delmaestro Zannini, a cogliere affinità formali con la Ca’Brutta di Muzio5 (fig. 57). In entrambi i casi siamo di fron-te ad una composizione frammentaria: nella prima i fram-menti sono uno all’interno dell’altro ed inquadrati in un te-laio classicheggiante costituito da un sistema di lesene suun basamento a finto bugnato inserendo una decorazionedéco sorprendente ed innovativa (fig. 58); nella secondal’accostamento frammentario procede per piani orizzon-tali: al piano terra abbiamo il brano tradizione-Liberty, con
Fig. 57. G. Muzio, Ca’ Brutta, 1919-22. Fig. 58. V. Vitali, Casa Camillo Zannini, 1932.
Fig. 55. V. Vitali, Progetto per palazzo sul “nuovo viale” di Codigoro,particolare.
Fig. 56. V. Vitali, Fabbricato ad uso uffici statali per Entigerno Bellotti& C.i, particolare della finestra.
Fig. 59. V. Vitali, Casa Gelli, 1929.
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finto bugnato, archi ribassati e maschere antropomorfe inchiave, al primo piano il brano neoclassico e sulla copertu-ra fantasiosi camini Déco (fig. 59).
Non si tratta di eclettismo, ma di un atteggiamento ca-ratteristico dell’architettura degli anni Venti, dovel’accostamento di frammenti, aventi una loro stringentecoerenza interna, escludeva un rapporto logico fra gli stessiin termini di corretta sequenza storica o funzionale.
Il recupero di frammenti o brani di storia dell’architet-tura consolidati nell’immaginario collettivo deriva da unamatrice sostanzialmente pragmatica: la committenza ha am-bizioni e velleità rappresentative ma vuole concretizzarlein presenza di strutture preesistenti alle quali arrecare ilminor danno possibile. Spesso, allora, il lavoro dell’archi-tetto si limita ad una sorta di decorazione, di rivestimento,di pelle aggiunta ad un manufatto che continua a rivelarele proporzioni e i volumi di un tempo. Un esempio illustre èrappresentato dal magazzino dei fratelli Zannini: il confrontotra il prima e il dopo è esemplificativo della logica di inno-vazione nella tradizione. Si inserisce un balcone al pianoprimo, una trifora al piano attico e si ridisegnano le deco-razioni (vedi ivi, Schede, n. 16).
Nelle opere di Vitali è quindi innegabile la continuitàcon la tradizione dell’architettura locale: raramente siamodi fronte ad opere di distruzione o cancellazione del tessu-to storico. L’immagine della città continua a rinnovarsi consapienti ritocchi, non necessariamente mimetici o minimali,ma appartenenti alla contemporaneità quindi sensibili alleinnovazioni linguistiche e tecnologiche. In questa metamor-fosi urbana impercettibile, all’ornamento è demandato ilruolo di suggellare la città di Comacchio con un’atmosferadi attualità e rinnovamento.
Fabbriche suburbaneDi altre spazialità narrano le ville e villini suburbani i
quali sono, forse, gli unici edifici privati nella cui decora-zione Vitali può esprimere maggiore libertà espressiva.
L’impianto tipologico è dettato meccanicamentedall’assemblaggio delle funzioni: casa libera su quattro lati,con giardino, spesso con torretta e loggiato coperto, zonagiorno al piano rialzato e zona notte al piano primo.
L’unica realizzazione che ci è pervenuta, la villa perEdgardo Carli (1925), costruita davanti alla vecchia sta-zione ferroviaria a Comacchio, ai margini del tessuto ur-bano e in prossimità della nuovissima strada di collega-mento con Porto Garibaldi (fig. 60), pur offrendo ampiasuperficie e numero di vani, non si svincola da una geome-trica rigidità della pianta, che invece appare più articolata,
Fig. 60. V. Vitali, Villa Edgardo Carli, 1925, Collezione Vitali.
Fig. 62. V. Vitali, Progetto di villino suburbano, disegno di Accademia.
Fig. 61. V. Vitali, Progetto di villa Pietro Fogli.
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Fig. 63. V. Vitali, Progetto di villino Felisatti, prospetto e pianta piano terra.
Fig. 64. V. Vitali, Progetto di villino Felisatti, vista prospettica.
Fig. 65. C. Contini, Villino Melchiorri, Ferrara, particolare della porta.Fig. 66. V. Vitali, Progetto di villino Felisatti, particolare della porta.
con un preciso studio volumetrico, in quella che progetta, enon realizza, in adiacenza sul lato destro per Pietro Fogli(1925) (fig. 61).
La tipologia del villino è strettamente connessa al rap-porto con il giardino, tanto che quest’ultimo, nella maggiorparte dei progetti dell’epoca, appare come una sua ema-nazione: ciò lo si ritrova anche nelle esercitazioni di Vitali(fig. 62). In nome però di una composizione singolare cheè intermedia fra il villino, comunemente inteso, e la palaz-zina urbana, lo spazio verde circostante è limitato alla par-te retrostante, di fronte alla valle. Ritorna la facciata comenodo progettuale, una facciata binata, che dà sulla via dinuova espansione e sul piazzale antistante la stazione. Egliprogetta simultaneamente sia per Edgardo Carli sia perPietro Fogli: i due lotti sono adiacenti e lo spiccato di en-trambe le costruzioni sorge sul confine, al punto che il con-tatto delle due, come ci è fornito dai disegni in pianta ed inprospettiva, ci induce ad ipotizzare delle contaminazioni,rimandi formali e tipologici, il più palese dei quali è, senzadubbio, esplicitato dalla continuità delle terrazze al pianoprimo. Tale progettazione unitaria, realizzata solo parzial-mente, è chiaramente visibile nel lato cieco del villino Carlideputato al collegamento con il villino Fogli, non costruito.
Il progetto non realizzato del “villino economico” per ifratelli Felisatti (1923), sulla spiaggia di Porto Garibaldi, èmolto più articolato dei due precedenti e rispecchia perantonomasia la tipologia del villino (figg. 63, 64): consta didistinte unità abitative, con accessi separati, in una com-posizione spaziale e volumetrica originale. I corpi in piantaaccennano una simmetria assiale con breve traslazione,mentre in alzato la posizione delle scale, interna da unaparte ed in vista su di una loggia dall’altra, crea una inver-sione dei volumi principali. L’apparato decorativo presen-ta elementi riconducibili alla tradizione protoumanisticaferrarese: al primo livello, le fasce orizzontali in muraturaa vista si alternano a zone intonacate, mentre al primo pia-no vi è una inversione ed ampi campi in muratura sonoscanditi da lesene a segnare lo spessore dei muri maestri.La posizione e la forma delle finestre sono diversificate infunzione di ciò che accade all’interno: al piano inferiore leaperture sono prevalentemente a piattabanda, squadrateper le stanze e lunghe e strette sulla scala, mentre al pianosuperiore sono ad archivolto di chiara derivazionerossettiana ferrarese, arco in cotto semplice o raddoppiatonella bifora della torretta, per segnalare l’importanza del-l’ambiente retrostante. L’esplicitazione all’esterno di quantoavviene all’interno, un’autentica proiezione delle funzioniinterne, è un atteggiamento che induce una subordinazione
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della forma alla funzione. Al piano terra l’impronta dell’in-gresso, vocabolo squisitamente Liberty (fig. 66), rievocaquello per il villino Melchiorri di Ciro Contini6 (fig. 65) aFerrara o certi villini di Paolo Sironi7 e Attilio Muggia8 aBologna o di Giovanni Michelazzi9 a Firenze.
I linguaggi espressi nei villini sono coevi poichè parlanocon le espressioni dell’Arte Nuova del proprio periodo.Solamente nel villino Felisatti si attinge a repertori classicilocali-regionali riuscendo a ben gestire la commistione diLiberty e umanesimo architettonico ferrarese.
Una costante di Vitali è quella di ricorrere per il pianonobile ad immagini canoniche e sicure quali quelle desuntedal repertorio classico: ciò avviene ad esempio nella pa-lazzina per uffici di Entigerno Bellotti e nella casa per An-tonio Gelli.
L’architettura suburbana di Vitali attinge schiettamen-te a stilemi Déco in tutto ciò che concerne la plasticadecorativa, mentre permanenze Liberty si hanno nella de-corazione policroma sottocornicione, questo sia nei dise-gni per il villino Fogli, sia per il villino Carli, dove però nonverrà mai eseguita, come si può ben vedere nella foto d’epo-ca, scattata dallo stesso Vitali probabilmente a distanza dialcuni anni dall’ultimazione dei lavori.
Oggi quel prospetto è stato completamente deturpato esfigurato: è stata aggiunta una pesante scala esterna cheha negato la loggia al piano terreno, è scomparsa la passe-rella ondulata di raccordo alla strada (ben visibile nella fotodi Vitali), sono state uniformate le aperture delle finestre,in luogo delle originarie trifore e quadrifore e conseguen-temente annullate le relative cornici perimetrali.
Disegnata nella finitura superficiale (al livello inferiorea sinistra finto bugnato e piccoli riquadri per la parte sottola loggia), proporzionata nella scansione formale (fasciamarcapiano che unisce i due corpi), elegante nel disegnosemplice degli elementi architettonici (cornici delle fine-stre e leggera scanalatura orizzontale che le unisce al pri-mo piano), la rigorosa composizione è frutto di uno studioaccurato e globale di volumi, superfici, funzioni e orna-menti.
Ornamento come progettoPunti fondamentali nella composizione sono quindi tutti
gli elementi funzionali della facciata quali porte, finestre ebalconi e così pure le cornici, marcapiano emarcadavanzale, che servono a scandirla, nonché il tratta-mento delle finiture superficiali.
Nella superficie piatta della facciata Vitali enfatizza unagerarchia di aperture, diverse tra livello inferiore e supe-riore, sottolineata spesso dalla presenza del balcone (tipi-co a Comacchio in questo periodo) sopra l’ingresso princi-pale (casa Carli, casa Ermippo Bottoni, progetto casa FelettiVirgili, progetto casa Fantini, casa Cinti, casa Zannini, casaGelli), a segnalare l’angolo (progetto casa V. Feletti, pa-lazzina per Entigerno Bellotti) o come approdo della scalad’ingresso (casa Camillo Zannini). Esemplari sono invecei piccoli balconi ai lati nella facciata di casa Boccacini:appoggiati su mensole a forma di grandi peducci si rappor-tano con quelli dell’ottocentesco palazzo Turra poco di-stante davanti alla facciata del Duomo. Vitali trae dal con-testo circostante, uno spazio aperto e privilegiato, alcunispunti che ripropone nel nuovo disegno per la facciata comeera precedentemente avvenuto per la finestra termale delcinema Zannini-Vincentini che fra l’altro si affaccia sullastessa piazza.
Un altro espediente interessante è la differenziazionedei diversi livelli mediante finitura a bugnato al piano terrae intonaco sopra (progetto casa Feletti V., casa Boccacini,casa Camillo Zannini), oppure mediante fascia marcapiano(casa Carli, casa Ermippo Bottoni, progetto villino Felisatti,casa Camillo Zannini) che in alcuni edifici riprende la posi-zione, tipica a Comacchio, ad altezza del davanzale dellefinestre del primo livello (progetto casa Fantini alternato acornice in ceramica, casa Fogli in via Rosario) o addirittu-ra raddoppia presentandoli entrambi (progetto casa FelettiVirgili, casa Cavallari).
Singolare e disorientante è l’uso che Vitali fa nel pro-getto non realizzato per la facciata di casa Fantini dei mat-toni faccia a vista con i quali crea finte paraste appoggiateal basamento intonacato all’altezza del bancale delle fine-stre al piano terra che si concludono in falda con dei cami-ni. Tutta questa composizione prevede una singolarecommistione di elementi floreali (soprafinestre primo pia-no e formelle in ceramica) e di geometrie Déco con stra-volgimento semantico degli elementi architettonici.
L’apparato decorativo viene notevolmente semplifica-to, geometricamente ingabbiato in schemi lineari; gli ele-menti naturali (fiori e foglie) realizzati con elementi a stampoin conglomerato cementizio, sono composti a incorniciare
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finestre e porte. L’unicità della realizzazione (fondamen-tale nel Liberty) sta nella composizione, non più nella sin-gola lavorazione. La riscontriamo nella fabbrica per Cele-ste Carli dove fiori e tralci decorano sopraporte e finestre.Nel progetto di restauro della casa di Feletti V. gli elementivegetali contornano le finestre e le formelle floreali costi-tuiscono una fascia sottocornicione compatta con motiviaggettanti alternati, gli stessi che sovrastano l’arco dell’in-gresso principale. Il progetto di questo edificio è ben con-servato nell’archivio Vitali e, insieme ai grafici definitivi(scala 1:50), al confronto costruzione-demolizione (scala1:100) e ingrandimenti quotati (scala 1:20), troviamo dise-gni in scala 1:2 molto dettagliati, esecutivi, di questi orna-menti, con l’indicazione della sezione nella vista frontale(figg. 67, 68). Altre formelle a fiore sono nelle metopedella casa di Ermippo Bottoni ad emulare la successionedi metope e triglifi del fregio nella trabeazione dell’ordinedorico classico e ancora nelle cornici delle finestre del pri-mo piano della casa Boccacini e nelle inferriate di casaCavallari.
Accanto agli elementi vegetali si trovano, inizialmenteinseriti al piano terra, ma sempre più presenti con il passa-re degli anni, ornamenti lineari come stilizzazione diraffigurazioni tratte dal mondo naturale o semplicementecomposizioni di elementi geometrici: la linea retta divienecosì un elemento di riconosciuto valore estetico10.
Analizzando le cornici della grande casa d’angolo per ilMaestro Camillo Zannini (1932), che ricordano il sole e ilmare di questi luoghi o il balcone di casa Cinti, i camini dicasa Gelli e il bugnato di villa Carli dalle premesse Liberty,si può osservare come Vitali sviluppi una personale cifraespressiva, intesa non solo come aggiornamento del gu-sto, ma anche come capacità di rielaborazione per supera-re necessità e limiti di tipo economico.
Fig. 67. V. Vitali, Progetto casa Feletti V., particolare esecutivo dellacornice della finestra.
Fig. 68. V. Vitali, Progetto casa Feletti V., particolare esecutivo dellacornice della finestra.
Note1 Vedi ivi, Biografia.2 I. Andreani, Le abitazioni moderne, Milano, Ed. Hoepli, 1927.3 I. Andreani, idem.4 Album di tavole appartenente all’archivio Vitali e dal qualerecupera evidenti spunti formali-decorativi. Gaetano Moretti.Costruzioni, concorsi, schizzi, prefazione di Luca Beltrami, To-rino, Editori Bestetti e Tumminelli, 1912.5 F. Irace, Giovanni Muzio 1893-1982. Opere, Milano, Electa,1994.6 L. Scardino, Ciro Contini, ingegnere e urbanista, Ferrara,Liberty House, 1987.7 G. Gresleri e P. G. Massaretti (a cura di), op. cit., pag. 197.8 AA.VV., Liberty in Emilia, Modena, Artioli Editore, 1988.9 L. Quattrocchi, Giovanni Michelazzi 1879-1920, Transizione,Architetti Italiani tra Ottocento e Novecento, Modena, FrancoCosimo Panini, 1993.10 M. Giacomelli, S. Gambini, Villini Art Déco, in “Costriure inlaterizio”, n. 87, maggio-giugno 2002, pp. 46-51.
Fonti delle illustrazioniFig. 54 tratta da: Album di tavole appartenente all’archivio Vitalie dal quale recupera evidenti spunti formali-decorativi. GaetanoMoretti. Costruzioni, concorsi, schizzi, prefazione di LucaBeltrami, Torino, Editori Bestetti e Tumminelli, 1912, tav. 20.Fig. 55 tratta da: F. Irace, Giovanni Muzio 1893-1982. Opere,Milano, Electa, 1994, p. 62.Fig. 65 tratta da: L. Scardino, Ciro Contini, ingegnere e urbani-sta, Ferrara, Liberty House, 1987, copertina.
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Architettura religioso-funerariaRaffaella Piva
All’inizio del secolo, a Comacchio come a Ferrara, stavamutando l’assetto sociale: l’affermazione di una nuovaborghesia terriera, arricchitasi con le bonifiche e il conse-guente sfruttamento agricolo dei terreni, si affiancava adun vivace tessuto piccolo-borghese di commercianti edimprenditori. I mutamenti sociali influiscono sugli interventiarchitettonici e sulle richieste della committenza, si svilup-pa in questo periodo un particolare filone neoestense, con-forme cioè a quel particolare gusto eclettico sviluppatosi aFerrara tra Ottocento e Novecento1. All’inizio del Nove-cento infatti l’architettura ferrarese denuncia uno stato difatto che è il risultato di un complesso fenomeno evolutivodi intervento sulle preesistenti strutture rinascimentali. Iconnotati peculiari quattro-cinquecenteschi della cittàestense sono infatti strenuamente difesi, recuperati e va-lorizzati già in epoca post-unitaria, ma è nella pratica edili-zia degli anni Dieci, Venti e Trenta che troviamo perpetua-ti esempi di “ricostruzione” e “conservazione” attraversosmontaggi e rimontaggi di elementi architettonici qualiportali, formelle e cornici in cotto dando vita ad un lin-guaggio locale votato al gusto eclettico per la reinvenzioneattraverso elementi decorativi “dati”.
Allo stesso modo la situazione architettonica relativaalle costruzioni cimiteriali della provincia ferrareserispecchia la situazione socio-culturale di quegli anni. Nonsi può non sottolineare che come a Ferrara il cimiteromonumentale della Certosa rappresentava il luogo predi-letto dall’aristocrazia o dalla borghesia terriera per la se-poltura in tombe di famiglia distinte per ubicazione e performa, a conferma di uno status ormai acquisito e immu-tabile nel tempo, così a Comacchio le famiglie più rappre-sentative sceglievano di manifestare la loro influenza eco-nomica, non solo in ambito civile, ma anche attraverso lacostruzione di tombe di famiglia all’interno del cimiterocittadino. Alla luce del crescente e diffuso interesse perun’architettura in grado di celebrare i nuovi valori socialidell’emergente classe borghese, anche le sepolture indivi-duali e le cappelle di famiglia all’interno dei recinti cimiterialidivengono mezzo di trasmissione di messaggi sociali cari-chi di valenze simboliche. Segni imperituri di potenza, ric-chezza, amori, gloria, tali monumenti rivelano la stessa ri-cercatezza stilistica delle contemporanee realizzazioni ci-vili, testimoniando la preoccupazione di un’intera classesociale di sopravvivere alla caducità della memoria2.
In questo contesto si inserisce il lavoro di Vitali, cheprogetta e realizza edicole funerarie nel cimitero di
Comacchio, San Giuseppe e nella Certosa di Ferrara. Conlo stesso impegno Vitali si dedica all’architettura civile cosìcome a quella funeraria, lasciandoci numerosi progetti epregevoli realizzazioni. L’arte funeraria infatti non rappre-sentava un settore marginale della pratica professionale:la maggior parte degli architetti, ma anche artisti e artigia-ni, più noti e meno noti del tempo, si sono misurati conquesto tema che ha radici storiche antiche e che costituivauna parte fondamentale del percorso formativo, tanto cheesercitazioni sul tema dell’arte funeraria erano inserite nelpercorso di studi dell’Accademia di Belle Arti. Per gli ar-chitetti il progetto della cappella di famiglia era occasioneper approfondire la grammatica degli stili come le arti del-la rappresentazione e del disegno, per comporre architet-ture in miniatura come per equilibrare forme e proporzioni,per indagare la storia e la letteratura come significatisimbolici, per saggiare le proprietà dei marmi e delle pie-tre3. Sappiamo che anche Vitali si misura con questo temadurante il suo percorso di studi grazie ad alcuni disegni ditombe (figg. 69, 71, 72) e chiese (fig. 70) non datati, mache possiamo attribuire agli anni in cui frequentò la RegiaAccademia di Belle Arti di Bologna (1909 - 1913).
Di estremo interesse per disegnatori e architetti del-l’epoca fu una serie di cinque volumi editi (presumibilmentetra il 1910 e il 1925) da Bestetti e Tuminelli, Arte funerariaitaliana, che contenevano i progetti delle tombe più inte-ressanti dei maggiori cimiteri italiani; Vitale Vitali era inpossesso del volume dedicato al Cimitero Monumentale diMilano e di quello dedicato al Cimitero del Verano a Roma.Alcuni temi architettonici e decorativi realizzati nei suoidisegni così come nei progetti sono riconducibili soprattut-to a progetti inseriti in particolare nel volume dedicato alCimitero Monumentale di Milano. L’arte funeraria ottocen-tesca è caratterizzata dal recupero di ogni possibile imma-gine dal vasto repertorio della storia che viene rielaboratadando vita ad un linguaggio formale complesso; linguaggioche, ancora all’inizio del Novecento, viene utilizzato inspecial modo nell’ambito dell’architettura funeraria: i ci-miteri divengono così una sorta di vocabolario di immagini,simboli, sculture, decorazioni assemblate con una libertàche non trova riscontri nella pratica architettonica civile.
A volte si inauguravano collaborazioni durature tantoche ad un progettista accadeva di disegnare per uno stes-so committente sia la casa che la tomba di famiglia, ed inquesto caso l’autore doveva rapportarsi a fondo con i com-mittenti per interpretarne o guidarne il gusto in un settoredove le aspettative personali erano assai forti. Fu il casodella famiglia Feletti Virgili per la quale Vitali nel 1926 re-
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alizzò la casa, in Via S. Agostino a Comacchio e la tombanel cimitero di Comacchio (vedi ivi, Schede, n. 23). Que-sto ci risulta essere uno dei primi impegni nel campo del-l’architettura funeraria dell’architetto comacchiese ed èsenz’altro uno dei progetti più rappresentativi, sia per laquantità ma soprattutto per la qualità dei disegni a noi per-venuti, sia perché è tra i pochi di cui abbiamo progettoesecutivo e realizzazione e che quindi ci permettono diconfrontare il lavoro progettuale e la pratica edilizia finoalla realizzazione dell’opera.
È opportuno rilevare come la realizzazione della tombadi famiglia, concepita come piccola cappella, sia a prioriuna scelta che esprime un nuovo senso dato alla sepoltura
che già a partire dall’Ottocento, secolo segnato dall’affer-mazione degli ideali borghesi, aveva cominciato a cambia-re. La cappella è un luogo privato all’interno del recintocimiteriale dove il defunto trova riposo per sempre, al ripa-ro dal tradizionale trasferimento negli ossari, e dove i fa-miliari possono pregare in forma privata. Questa tipologiaè tra i progetti del Vitali la più ricorrente in forme più omeno semplici e ci permette di delineare una omogeneitàdi richieste da parte della committenza, inoltre siamo riu-sciti ad individuare tre gruppi di progetti che al loro internohanno caratteristiche tipologiche e semantiche simili.
La tomba Feletti Virgili, già citata, insieme alla tombaGuerrini (vedi ivi, Schede, n. 24), realizzata anch’essa nel
Fig. 69. V. Vitali, Progetto per edicola funeraria, versione notturna e diurna, disegni di Accademia.
Fig. 70. V. Vitali, Progetto per chiesa, prospettolaterale e sezione, disegni di Accademia.
Figg. 71, 72. V. Vitali, Progetti per edicola fune-raria, disegni di Accademia.
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1926, ma nel cimitero di S. Giuseppe di Comacchio, sonogli unici esempi di una serie di progetti che hanno comedenominatore comune la ricercatezza e l’imponenza otte-nuta attraverso l’uso di motivi egizi, neomoreschi o bizantinirecuperati dal repertorio dei grandi cimiteri e dai resocontidelle spedizioni e rilievi eseguiti in Egitto a partire dal Set-tecento, diffusi attraverso specifiche pubblicazioni in tuttaEuropa. Questi progetti (figg. 73, 74) si caratterizzano perla monumentalità e le ricchezza dei dettagli ottenuti attra-verso l’uso di cementi, terrecotte e particolari ornamentalispesso fastosi. L’uso di materiali nuovi “nobilitati” per larealizzazione di decorazioni è un elemento che caratteriz-za le realizzazioni di questo periodo: si fa fronte alla man-canza di materiali pregiati attraverso la ricerca e lasperimentazione nell’uso dei cementi e delle terrecotte.
Le tombe, concepite così come forme perenni, atempo-rali, silenziose ma eloquenti della memoria della vita defi-niscono l’immagine dei cimiteri, le città dei morti, il doppiodella società dei vivi. Mondi complessi riecheggiano neimotivi funerari di tombe e cappelle, da una parte attraver-so l’uso persuasivo di elementi allegorici e riferimenti sim-bolici, dall’altra attraverso l’uso di forme tratte dall’archi-tettura domestica. Si veda ad esempio il significato dellaporta del monumento funerario, spesso realizzata in ferrobattuto o attraverso l’uso di materiali semitrasparenti, cheè un oggetto dello spazio quotidiano trasposto in un altrocontesto e, così, reso inquietante e strano. La porta soc-chiusa del sepolcro è breccia simulata: suggerisce un con-tatto immaginario con l’estinto e annuncia possibilmente lasua resurrezione futura4. Nelle decorazioni che ritroviamopiù frequentemente nei progetti di Vitali riecheggiano sim-boli che richiamano alla dicotomia tra la vita e la morte:spirali e labirinti associati all’idea di un difficile percorsoche porta alla resurrezione, sole e stelle splendenti simbolidella divinità e dell’immortalità.
Meno ricchi di riferimenti iconografici sono invece unaltro gruppo di progetti degli anni 1928-29 (fig. 75), la mag-gior parte realizzati, che traggono spunto dall’architetturaferrarese. Volumi semplici che ricordano le chiese roma-niche e elementi architettonici collaudati come i portali inmarmo retti da paraste o colonnine tortili (evidente il rife-rimento alla varietà delle colonnine del Duomo di Ferrara).L’uso del cemento dipinto che emula il marmo, la ripresadel cotto ornato o del paramento in laterizio in chiavecitazionista si evidenziano in questo gruppo di progetti dicui fanno parte la tomba per la famiglia Samaritani del1928 (vedi ivi, Schede, n. 37) a S. Giuseppe di Comacchio,la chiesa del Cimitero di Comacchio del 1929 (vedi ivi,
Fig. 73. V. Vitali, Progetto per edicola funeraria, studio.
Fig. 74. V. Vitali, Progetto per edicola funeraria, studio.
Fig. 75. V. Vitali, Progetto per edicola funeraria, studio per tombaBoccacini, Porto Garibaldi.
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Schede, n. 39) o la tomba per la famiglia Codecà del 1930(vedi ivi, Schede, n. 40) realizzata nella Certosa di Ferrarain cui Vitali progetta forme classiche reinterpretate in chiavemodernista. In altri due progetti di chiese, uno risalenteagli anni dell’Accademia ed un altro per la chiesa diCodigoro di cui ci rimangono solo le foto storiche dei dise-gni (fig. 77), vengono riproposti questi temi. Non sappia-mo che tipo di intervento Vitali avesse progettato per lachiesa di Codigoro, se un progetto ex novo o un restauro,ciò di cui abbiamo nota rispetto a lavori inerenti le chiesesono la già citata chiesa nel Cimitero di Comacchio e ilrestauro della facciata della Chiesa della B.V. del Rosariodel 19305. Questi interventi hanno in comune il trattamen-to della superficie esterna realizzata attraverso l’uso delmattone faccia a vista con velatura, tecnica che ci dicequalcosa di più circa la pratica del costruire in quegli annia Comacchio e che va ad arricchire il vocabolario deimateriali e delle tecniche costruttive utilizzate dal Vitali, eche non esclude un immediato riferimento al suo maestrobolognese l’Architetto Edoardo Collamarini (fig. 78).
Un ultimo gruppo di progetti fa riferimento alla corren-te neoclassica e storicista in particolare l’edicola funerariaper la famiglia Vincenzi (vedi ivi, Schede, n. 32) nel cimi-tero di Comacchio realizzata nel 1927 o il progetto per latomba di famiglia Carli.
E’ forse anche grazie a questo suo impegno nell’archi-tettura religiosa e funeraria che Vitale Vitali viene chia-mato dalla Giunta Municipale di Ferrara a far parte dellaCommissione di Vigilanza del cimitero della Certosa, Com-missione che aveva “il compito di vigilare sull’anda-mento dei servizi cimiteriali” e di proporre i lavori ne-cessari ad “abbellire e mantenere le opere esistenti” 6.Grazie al lavoro di questa Commissione noi oggi possiamoammirare nei recinti cimiteriali le tombe realizzate rimastea testimoniare il variare dell’arte e del gusto estetico neltempo, a registrare usi e costumi della vita di chi ora viriposa.
Note1 Antonio P. Torresi, Esercizi d’ornato neoestense: le cappelledel forese, in AA.VV., All’ombra dei pioppi, Ferrara, LibertyHause, 1991, pp. 119-128.2 Laura Bertolaccini, Sepolture individuali e tombe di famiglia.Immagini e simboli della morte, in “I servizi funerari”, n. 1, Rimini,gennaio-marzo 2001, pp.57-61.3 Giovanna Ginex, Ornella Selvafolta, Il Cimitero Monumentaledi Milano, Milano, Silvana Editoriale, 1996.4 Geoges Teyssot, Frammenti per un discorso funebre, in: “LotusInternational”, n. 38, Venezia, Electa,1983.5 Archivio Vitali, Busta 3: Domanda e allegati per iscrizione,
doc.7.6 Archivio Vitali, Busta 51: Commissione Vigilanza Cimitero (FE),doc.2: Lettera inviata a Vitale Vitali da parte del Comune diFerrara – Divisione Polizia Igiene – Ufficio Polizia, Ferrara 29/04/1948.
Fonti delle illustrazioniFig. 77 tratta da: G. Gresleri, P.G. Massaretti (a cura di), Norma eArbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, Venezia,Marsilio Editori, 2001, p. 317.
Fig. 76. Vista della Certosa di Ferrara, al centro l’edicola funerariaFamiglia Enrico Feletti.
Fig. 77. V. Vitali, Foto di progetto per chiesa a Codigoro, ArchivioVitali.Fig. 78. E. Collamarini, Progetto per il restauro della chiesa di SanFrancesco a Bologna, 1885.
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PremessaQuando, diversi anni or sono, mi sono occupato della
storia di Comacchio, ho notato diversi edifici con un’im-pronta, comune tanto nella partitura delle facciate, quantonella decorazione delle medesime: case d’abitazione e ne-gozi con tracce, anche se lontane, chiaramente derivatedalla commistione del Liberty1 e dell’Art Déco2, con unacerta ricercatezza nelle finiture e nell’utilizzo di materiali“poveri”, ma sagacemente lavorati. In sostanza, traspari-va da quegli edifici non solo buon gusto, ma anche atten-zione nella progettazione e grande capacità, da parte dellemaestranze, di tradurre in realtà i disegni di architettura; inaltre parole, sintonia tra progettista, committenza e mae-stranze edili, per ottenere un lavoro di qualità, che è poifare la vera architettura.3
Successivamente però, le vicende della vita mi hannoportato ad occuparmi di altri argomenti e di altri periodistorici e non ho più avuto occasione di interessarmi del“liberty” a Comacchio, fino all’inizio di settembre del 2002,quando gli architetti Francesca Pozzi e Lorenzo Bergamini4
mi hanno invitato a scrivere qualche osservazione in meri-to ai disegni dell’architetto comacchiese Vitale Vitali, figu-ra tutta da scoprire, autore di quegli edifici che mi avevanoattratto tempo addietro, ed ho pertanto accettato la propo-sta.
- Colgo l’occasione per ringraziare gli architetti Loren-zo Bergamini e Francesca Pozzi che mi hanno dato l’oc-casione di aggiungere un tassello non secondario alla co-noscenza del territorio comacchiese. Questi giovani, checon grande spirito di sacrificio arricchiscono la pratica pro-fessionale con lo studio del passato e la valorizzazione del-l’architettura attuale (cfr. la Mostra sull’attività dell’arch.Vieri Quilici a Ferrara -1965 - 1972) si palesano comefigure interessanti nel panorama culturale di Comacchio edi Ferrara, che tanto necessita di studiosi e di bravi profes-sionisti.
L’unico scritto recente su Vitale Vitali si deve a LucioScardino che ne tratteggia la vita e le opere (soprattutto dipittura), mettendo in luce anche i contatti avuti con altriarchitetti, scultori e pittori attivi tra il 1920 e il 1950.
L’attività professionale architettonica, relativa ai pro-getti degni di nota, è facilmente inquadrabile grazie anchead alcuni documenti dello stesso Vitali, pubblicati, in ap-pendice allo scritto sopra citato, da L. Scardino5 e puòessere così sintetizzata:
-un primo periodo in cui l’architetto comacchiese si oc-cupa soprattutto di edilizia civile (anni 1920 – 26), oltre adue case di civile abitazione progettate nel 1929 e nel 1932;
- un secondo periodo compreso tra il 1926 e il 1931,che comprende la progettazione di molte edicole funerarie,varie delle quali realizzate nei camposanti di Comacchio,di San Giuseppe di Comacchio e di Ferrara;
- un terzo periodo che comincia forse intorno al 1932 esi prolunga fino al 1938 circa e raggruppa diversi progetti,che richiamano il razionalismo architettonico, da realizzar-si in Comacchio e a Porto Garibaldi.
Le tipologie edilizie riguardano principalmente case dicivile abitazione e tombe di famiglia, ma si annovera an-che un cinematografo (trasformazione di ex luogo di cul-to), un Garage pubblico, fabbricati per uffici, negozi, villettee fabbricati rurali.
Per fare, dunque, alcune osservazioni in merito alla pro-duzione grafica di Vitale Vitali, conviene tracciare un sin-tetico profilo dei suoi disegni, accennando, nello stesso tem-po, ai riferimenti culturali italiani ed europei, individuati sullabase di una visione generale dei grafici stessi.
Un primo nucleo di disegni, realizzati, fin negli ultimianni della frequentazione dell’Accademia di Belle Arti, con-serva naturalmente una forte impronta eclettica, tanto nel-la scelta dei temi architettonici (Emporio di mode, Teatro,Chiesa ecc. figg. 1, 2), quanto nella rappresentazione geo-metrica e nella tecnica grafica. Sono privilegiate le pro-spettive con punti di vista scelti opportunamente per au-mentare la maestosità e l’imponenza delle fabbriche. Que-sto filone prosegue nel tempo, anche dopo il conseguimen-
Il disegno di architettura di Vitale VitaliEchi dell’Art Nouveau nel Delta del Po
Diego Maestri
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to della specializzazione in disegno architettonico, da partedi Vitali, con modificazioni stilistiche in diversi progetti,specie nel corposo settore di idee progettuali per monu-menti ed edicole funerarie (figg. 3, 4), rimaste irrealizzateo costruite in forme e dimensioni più contenute. Per questigrafici si possono proporre riferimenti, anche se lontani eparziali, con le opere di Otto Wagner e, in particolare, conil progetto per l’accademia delle arti figurative (1897-98),con il disegno del ponte Ferdinando e, per diversi partico-lari, con la chiusa di Nussdorf (1894), gli ultimi due a Vienna.In minor misura si può fare anche il nome di Joseph MariaOlbrich per il trattamento delle masse e per il rapportodecorazione-partiture architettoniche (figg. 5, 6).
Sono pure ascrivibili al periodo dell’Accademia alcunidisegni di grande interesse, ma che risultano alquanto ano-mali rispetto ai grafici accademici e che si segnalano perla modernità delle architetture rappresentate, per l’assen-za di decorazione e i temi trattati. Si possono citare la pro-spettiva di un edificio di culto (fig. 5) e la prospettiva di ungrattacielo (fig. 6), in cui Vitali tenta di mettere insiemearchi, frontoni e trifore, con una tipologia edilizia da gran-de metropoli. Essi sono interessanti sia perché vi si riscon-trano assonanze con i grafici dell’avanguardia futurista,sia perché precorrono alcuni caratteri della produzionegrafica di personalità del Neofuturismo, come, ad esem-pio, Virgilio Marchi.
Gli inizi dell’attività professionale (1919) mostrano, in-vece, un’adesione partecipata ai temi decorativi del tardoLiberty, svolti sempre in forme contenute (figg. 7, 8), unabbandono forse forzato e facilmente comprensibile dellagrandiosità e degli stilemi prettamente storicistici. Questofilone grafico, attribuibile alla fine della seconda decadedel Novecento, accoglie alcune schematizzazioni nellafluidità lineare delle decorazioni, riconducibili all’Art Déco,che fin dal 1925 si impone come evoluzione del Liberty.
Fig. 1. V. Vitali, Progetto di Teatro per la città di Trieste, pianta pianoterra, 1919.
Fig. 2. V. Vitali, Progetto di Teatro per la città di Trieste, facciataprincipale, 1919.
Figg. 3, 4. V. Vitali, Progetti di edicola funeraria, prospettiva a quadroverticale accidentale.
Fig. 5. V. Vitali, Prospettiva di un probabile edificio di culto.Fig. 6. V. Vitali, Prospettiva di un grattacielo.
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Contemporaneamente, in alcuni progetti di grandi edi-fici (ad esempio, Casa del Fascio di Ferrara -1929-, pro-spetti di palazzi ecc. fig. 9) e di alcune costruzioni di civileabitazione, si assiste ad un certo ritorno, in forme contenu-te e semplificate, al filone storicistico (espresso sul pianonazionale dall’attività degli architetti novecentisti), che pro-pone una rilettura di apparati decorativi rinascimentali, conimpiego di ordini architettonici sovrapposti, di ordine gi-gante su alto basamento bugnato, di archi a tutto sesto efrontoni triangolari e curvilinei spezzati.
Nella pratica professionale di questo periodo si riscon-tra anche una certa propensione per forme aderenti, incerta misura, al Razionalismo (fig. 10).
Già da questi cenni appare in tutta evidenza che la fi-gura di Vitali risulta interessante e meritevole di attentostudio, sia per meglio comprendere i risvolti locali dei grandimovimenti artistici che hanno interessato l’Italia nei primidecenni del secolo scorso, sia per cogliere i principali aspettidell’ultima stagione architettonica che ha lasciato un’im-pronta di qualità nell’ambiente comacchiese.
L’insieme dei disegni di Vitale Vitali, oggetto di questenote, contiene pochi schizzi, qualche abbozzo quotato, al-cune costruzioni prospettiche ricavate da piante (prospet-tive indirette) e nessuna assonometria6 (fig. 11); il nucleoprincipale riguarda grafici di progetto e qualche studio ge-ometrico di elementi decorativi.
Tutti sono ascrivibili al periodo che va dal 1915 al 1935.Entro questo intorno di tempo si individuano due produzio-ni grafiche distinte: la prima (1915 – 1920 circa) concernedisegni di concezione accademica molto forte, improntatia grandiosità ed inseribili nel filone eclettico dell’architet-tura; la seconda raggruppa tutta la produzione del periodoin cui Vitale Vitali si è dedicato alla professione archi-tettonica, anche nell’intento di vedersi riconosciuto, dalleautorità competenti, il titolo di architetto, a coronamento
Fig. 7. V. Vitali, Progetto di restauro della casa del sig. V. Feletti, in ViaCavour, in Comacchio, prospetto principale e particolare del fianco.
Fig. 8. V. Vitali, Progetto di restauro della casa del sig. V. Feletti, in ViaCavour, in Comacchio, particolari, della facciata, in pianta e prospetto.
della qualifica di professore di disegno architettonico conse-guito all’Accademia di Belle Arti di Bologna, nel 1915.7
I grafici del periodo accademico (c.1909-1915), chepotremmo definire “intenzioni d’architettura”, dannoun’idea della formazione culturale, e in particolarearchitettonica, di Vitale Vitali, mentre quelli del periodocompreso tra il 1919 e il 1926 mostrano lo scarto tra Ac-cademia e realtà professionale in ambito locale e il suc-cessivo adattamento dell’autore alle mutate condizioni so-ciali dopo il 1922.
In particolare, la maggior parte dei disegni della primafase è fortemente condizionata dagli stilemi accademici:l’idea architettonica è convertita in espressione grafica,coniugando i principi della corrente storico-tradizionalistacon la creazione formale e spaziale. Intuizione e prefi-gurazione architettonica sono espressi mediante elementiclassici mutuati dal Rinascimento, piuttosto che direttamentedagli edifici antichi: archi a tutto sesto, colonne e parasteinserite normalmente in un ordine gigante, ai quali vengo-no accostati particolari e decorazioni desunte da altri peri-odi e da altri contesti ambientali (arte egiziana, meso-potamica8 ecc.).
Il materiale iconografico progettuale pervenuto, perti-nente a quasi un ventennio di attività professionale 1919-1938, non è molto abbondante, ma sufficiente per porsiuna serie di domande inerenti la figura professionale diVitale Vitali ed il suo rapporto, da un lato, con la committenzae le maestranze; dall’altro, con le avanguardie architet-toniche più attive culturalmente in quel periodo9.
Fin dalla prima sommaria analisi dei grafici dell’archi-tetto comacchiese, tuttavia, si può dire che l’insieme mo-stra una varietà di concetti architettonici, di espressivitàgrafica e di utilizzo di metodi di raffigurazione e di tecni-che grafiche, paragonabile, sotto vari punti di vista, allacoeva realtà nazionale italiana, in cui si vedono coesistere
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Fig. 9. V. Vitali, Progetto della Casa del Fascio di Ferrara, prospettoprincipale con ombre.
Fig. 10. V. Vitali, Progetto della Casa Littoria di Porto Garibaldi,prospetto principale e fianco.
Fig. 11. V. Vitali, Progetto di restauro della casa del sig. L. FelettiVirgili, in Comacchio, dettaglio architettonico del balcone.
Fig. 12. V. Vitali, Progetto di restauro della casa del sig. L. FelettiVirgili, in Comacchio, facciata principale.
Fig. 13. V. Vitali, Edicola funeraria della Fa-miglia Guerrini nel Cimitero di San Giuseppedi Comacchio.
Fig. 14. V. Vitali, Progetto di edicola funeraria per la Famiglia Feletti, nel Cimitero di Comacchio,prospetto principale e fianco.
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un filone storicistico in continua trasformazione accanto alfiorire delle avanguardie e al loro adattamento alla politicaculturale di regime, instaurata dopo l’ascesa al potere diMussolini.10
Non possono, inoltre, essere trattate in modo esaurien-te, in questa sede, altre questioni di grande interesse per lalettura iconografica, come ad esempio la rielaborazionepersonale effettuata da Vitale Vitali della partituradecorativa tradizionale attraverso gli echi del Liberty edell’Art Nouveau (nella versione più propriamente italianadell’Art Déco, fig. 12). Sul versante del rapporto proget-to-costruzione, poi, non potranno essere prese in conside-razione l’anamnesi delle modifiche apportate in corsod’opera, né le diverse varianti studiate da Vitale Vitali (figg.13-18).11
Quanto ai disegni del secondo periodo, risultano ese-guiti con varie tecniche grafiche e in diverse scale di ridu-zione. Tra essi si possono citare, per esempio, gli studi dicostruzione geometrica per la realizzazione di particolariarchitettonici, i grafici di progetto architettonico (piante,prospetti e sezioni), alle scale 1:200, 1:100 e 1:50, i dettaglidi facciata fino alla scala di 1:2 e le immagini di comunica-zione (prospettive, prospetti con ombre ecc.). In questacategoria mancano quasi del tutto i disegni tecnici per l’ese-cuzione delle opere e pochi sono anche i grafici con quote.Molto indicativa, a questo proposito, risulta la sezione delprogetto di scuola da costruirsi in San Martino Spino, in cuile fondazioni sono sinteticamente schematizzate e la co-pertura presenta solo il profilo di colmo.
Va rilevata, inoltre, una dicotomia, sempre sulla base diquanto è rimasto, nel trattamento dei prospetti generali degliedifici e in quello dei particolari architettonici e decorativi.Questi ultimi presentano molto spesso una compresenzadi pianta, di prospetto, delle sezioni in sito e una discretaricchezza di quotature, mentre i primi, pur molto curati nel-la esecuzione e nelle partiture decorative, appaiono piùcome grafici di presentazione, senza relazione diretta trapianta e prospetto; naturalmente non mancano le eccezio-ni, come è per il progetto già citato della scuola di SanMartino Spino e per il progetto per la Casa del Fascio diPorto Garibaldi.
Una certa diversità si nota anche tra i grafici di edifici,soprattutto di civile abitazione, e i molti progetti di tombeche sono rimasti: diversità di concezione grafica, che nonpuò essere semplicemente o solamente spiegata con le piùridotte dimensioni della seconda tipologia, in quanto è pro-prio l’aspetto figurativo che presenta caratteri particolari.
L’architetto comacchiese non sembra prediligere la
Fig. 15. Prospetto principalee fianco.Fig. 16. Sezioni: quella di si-nistra con piani sfalsati, quel-la di destra lungo l’asse delcorridoio centrale.Fig. 17. Piante dell’ambienteinterno e della copertura.
Fig. 18. V. Vitali, Edicola fune-raria della Famiglia G. Feletti,nel Cimitero di Comacchio.
V. Vitali, Progetto dell’edicola funeraria per la Famiglia G. Feletti, nelCimitero di Comacchio.
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Fig. 19. V. Vitali, Progetto di un emporio di mode, schizzo.
Fig. 20. V. Vitali, Progetto di un emporio di mode, particolari decora-tivi, schizzi.
Fig. 21. V. Vitali, Casa del Fascio di Comacchio, prospetto, schizzo.
pianta come immagine fondamentale del pensiero archi-tettonico: questa, infatti, spesso segue le altre figurazioniclassiche di progetto (sezioni e prospetti) oppure la stessapianta non è completa, ma mostra contemporaneamentepianta di piano e pianta di copertura. Nei particolariarchitettonici la compresenza di pianta, prospetto e sezio-ne in sito sottendono un controllo volumetrico continuo edoggettivo dell’idea architettonica mediante le proiezioniortogonali, mentre la spazialità formale e l’ambientazionesono espresse tramite prospettive. Prospetti e prospettive,secondo Vitale Vitali, sono disegni chiave, con cui l’archi-tetto può valutare forma, materia e percezione ed espri-mere in modo affidabile e comprensibile, anche al profanodi geometria descrittiva, il suo pensiero architettonico. Inquest’ottica, un ruolo importante è svolto dagli apparatidecorativo e simbologico delle opere, curati nei grafici consomma attenzione.12 Così come varie piante, anche diver-se sezioni sono effettuate facendo riferimento a pianisfalsati (cfr., per esempio, la cappella funeraria di Giusep-pe Feletti nel camposanto di Comacchio).13
Alcuni schizzi, recuperati da minute sparse nelle car-telle di alcuni progetti, risultano assai indicativi del modo diesprimere l’architettura da parte di Vitale Vitali. In essi ilsegno si mostra deciso, tracciato con rapidità e scioltezza,chiarificatore di un’idea architettonica determinata fin dallasua prima stesura, proporzionata e alquanto curata neidettagli (fig 19).
A questo proposito sarà interessante, in prosieguo ditempo, analizzare due aspetti fondamentali della relazioneschizzo-progetto; l’uno, in merito ai grafici accademici el’altro rispetto ai progetti realizzati.14
Tanto nei dettagli, quanto nei grafici d’insieme l’essen-za architettonica emerge tramite un segno espressivo incui le ombreggiature e le sottolineature delle intersezionidei piani contribuiscono a caratterizzare gli elementi tipicidella composizione. L’apparato decorativo, anche seespresso con la sola grafite, acquista valenze percettivenotevoli grazie a campiture e a tratteggi chiaroscurali.
La capacità di padroneggiare il mezzo grafico e la luci-dità dell’idea architettonica consentono a Vitale Vitali didisegnare, spesso senza alcuna costruzione geometricapreventiva (fig. 20).
A volte, nei prospetti, il controllo formale del soggettoarchitettonico è espresso congiuntamente con quello di-mensionale delle varie partiture architettoniche principalie con la stesura di ombreggiature, per evidenziare la pro-fondità di alcune parti rispetto al piano più avanzato del-l’edificio (fig. 21).
Tuttavia, la ricerca di una forma migliore, di una spa-zialità diversa o di una maggiore rispondenza tra funzionee aspetto percettivo è una costante che intacca anche gra-fici progettuali giunti ad una fase di definizione archi-tettonica, come è evidente, ad esempio, nel progetto di Asiloinfantile di Porto Garibaldi, dove, a ridosso delle piante inscala 1:100, è presente, in pianta e sezione tracciate a manolibera, una variante della scala. Sempre tra i disegni del-l’edificio citato risulta interessante uno schema che mo-stra sia le forme geometriche primarie riscontrabili nellapianta, sia lo studio di parte delle dimensioni, sia, infine,l’utilizzo della pianta per il disegno di una “prospettiva ac-
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cidentale” dell’edificio.15
Tra i grafici più sentiti ed espressi più coerentementecon la situazione socio-ambientale di Comacchio sono daannoverare varie sistemazioni di facciate, redatte nel se-condo decennio del Novecento. In essi, la qualità e la con-tenuta ricchezza delle decorazioni, lo studio delle partituredi facciata, la scelta dei motivi geometrici delle ringhiere,l’attenzione rivolta agli elementi modanati e l’integrazionedelle raffinate scritte pubblicitarie sono degni di nota e,ove realizzati ed ancora esistenti, risultano validi e carat-terizzanti il centro storico di Comacchio.
La rielaborazione di forme e partiture classiche (bifore,archi di vario profilo, finestroni termali, bugnato ecc.) e illoro adattamento all’ambiente comacchiese, sono svoltida Vitale Vitali con competenza e con una certa arguzia:la raffinatezza dell’insieme è in sintonia con l’uso delleforme geometriche relazionate con la funzione espressa,come avviene, ad esempio, nel caso dell’uso di archi atutto sesto per l’ingresso all’abitazione e a sesto ribassatoper i negozi della stessa facciata.16
Deve essere, inoltre, sottolineato che non è stato pos-sibile osservare tutti i disegni di Vitale Vitali fino ad oggiritrovati e che le ricerche d’archivio sono ancora in cor-so.17 Queste osservazioni, pertanto, non possono che pre-sentarsi come una prima informazione e saranno certa-mente passibili di precisazioni, di approfondimenti, di mag-giori suddivisioni tematiche e di più attente descrizioni per-tinenti le tecniche grafiche.18
Note1 Il Liberty si impone come stile verso la fine del secolo XIX e siprolunga più o meno lungamente nel secolo successivo. In ar-chitettura, almeno a livello europeo, si indica normalmente an-che come Art Nouveau. La parola Liberty deriva dal magazzinolondinese, fondato da A. Liberty, specializzato nella importazio-ne e vendita di oggetti e opere d’arte orientali.2 Con Art Déco, abbreviazione di Arts Décoratifs, viene indicatoil movimento artistico sorto parte in continuazione, e in partecome reazione al Liberty, ed affermatosi a partire dal 1925 grazieall’Esposizione internazionale di Arti decorative ed industrialimoderne, tenutasi a Parigi in quell’anno.3 Alessandro Capra, nella sua Architettura civile..., dice che perarchitettura non è da intendersi solo ciò che riguarda “la veramaniera del ben fabbricare”, ma invece “una scienza che pone iveri principj, e documenti per fare una cosa ben aggiustata, eche s’accosti alla perfezione più che sia possibile,…”.4 A loro è dedicata questa modesta, quanto sentita e redatta intempi ristretti, prima informazione sui grafici di Vitale Vitali, spe-
rando che possano trarre da questa iniziativa i meritati ricono-scimenti, ben sapendo che la realizzazione di un’operaencomiabile è già di per sé appagatrice. I tempi, non dico ristretti,ma praticamente inesistenti per la stesura di uno scritto medita-to, avrebbero dovuto farmi desistere dall’accettare tale compi-to, ma ho acconsentito, con tutti gli inconvenienti del caso, persoddisfare una curiosità e per il mio interesse nei confronti diComacchio e della sua storia.5 L. Scardino, Vitale Vitali (1893-1961). Architettura- Grafica-Pittura, Ferrara, Liberty House,1989, pp. 10-33.6 Intenzionalmente è una prospettiva anche lo schizzo eseguito,parte a mano libera e parte con la riga, rappresentante la zonad’angolo di un balcone con ringhiere e dettagli decorativi d’im-pronta tra Liberty e Art Nouveau. Il parallelismo di molte linee traloro è dovuto alla scelta di un punto di vista prospettico ideal-mente lontano dall’oggetto raffigurato. Il particolare è pertinen-te al progetto di restauro (1925) della casa del signor Luigi FelettiVirgili, in Comacchio.7 Da L. Scardino apprendiamo che, fin dal 1914, Vitale Vitali, dopoaver frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna, insegnadisegno d’ornato e lineare presso la Scuola tecnica di Comacchio.8 Archi a tutto sesto, a sesto acuto e ribassato, archi rampanti econ intradosso rientrante, bifore, finestroni termali, serliane, ar-chetti pensili ciechi, frontoni semplici e spezzati e molti altri par-ticolari e forme desunti dall’Antichità, dal Medioevo e dal Rina-scimento sono utilizzati con sempre maggior parsimonia da Vita-le Vitali nella sua attività progettuale.9 Temi, questi, che non possono essere trattati estesamente, inquanto manca ancora un regesto critico, almeno dei grafici prin-cipali redatti da Vitale Vitali.10 Accanto agli echi dell’Art Déco la ventata futurista avvia pro-cessi di innovazione architettonica che verranno ripresi, almenoin parte, dopo il 1925 e coesisteranno con il filone razionalista econ il cosiddetto Novecento. Alla seconda fase della correntefuturista partecipano, tra gli altri, gli architetti Nicola Diulgheroff,Virgilio Marchi, Fortunato Depero, Angiolo Mazzoni e MinoSomenzi ecc.; tra i razionalisti si possono citare Gino Pollini (delGruppo 7), Luigi Figini, Giuseppe Pagano, Giuseppe Terragni,Mario Ridolfi, Adalberto Libera ecc.Alla “corrente” novecentista vanno ascritti C. Autore, GiuseppeSamonà, P. Pizzigoni, Marcello Piacentini, Enrico Del Debbio ecc.,pur con connotazioni molto diverse tra loro.11 Basti qui accennare a due casi: quello singolare della tombadella famiglia Guerrini, nel camposanto di San Giuseppe diComacchio che, non v’è ombra di dubbio, non è altro (con mini-me varianti) che l’esecuzione di quanto riportato nel progetto diedicola per la Famiglia Feletti nel Cimitero di Comacchio, eviden-temente non realizzato (figg. 13-14). Nel cimitero di Comacchiosono state costruite altre due edicole intestate a famiglie Feletti:
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l’una, accanto alla tomba del cav. prof. Arturo Bellini, di cui finoad ora non sono stati rintracciati i grafici; l’altra, realizzata construttura di mattoni, deriva da un progetto di cui restano i grafici,molto curati, specie nei prospetti e nelle sezioni. Di quest’ultimaè da stabilire se si tratti di un “non finito” o di una variantesemplificata (figg. 15-18). Di un’altra edicola funeraria, sempreintestata a G. Feletti, restano i grafici e un’immagine fotografica.Il secondo caso è pertinente alla tomba della famiglia Samaritani,realizzata nel cimitero di San Giuseppe di Comacchio, ma conalcune varianti rispetto al grafico di progetto.12 È da tener presente che una certa ricchezza ornamentale èinsita nella cultura del periodo per tutte le tipologie edilizie. I.Casali (1909), ad esempio, scrive a proposito delle case popolari:“che se nei progetti di queste, scorgesi talvolta delineata qual-che parte ornamentale di contorno delle ossature, per cornici,ecc. in apparenza più ricca del bisogno, è da intendersi che l’ef-fetto di rilievo di tali parti decorative sia da ottenersi coi mezzimeno dispendiosi, quali, ad es., le tinteggiature al latte di calce,l’impiego di mattoni, laddove le murature sono di pietrame, oviceversa”. E più oltre aggiunge: “…dette parti ornamentali pos-sono anche intendersi fatte coi materiali, ora assai diffusi in com-mercio ed a prezzi convenienti, in massima di struttura cementizia,quali le pietre artificiali e le opere di getto secondo il noto siste-ma detto cemento armato o reticolato”. Questi ultimi sono moltoutilizzati nelle opere di Vitale Vitali.13 Specie negli edifici funerari il prospetto cosiddetto principaleacquista un’importanza tale da caratterizzare l’intero organismo:diversi gli esempi che si potrebbero citare, ivi compresa la cap-pella funeraria del camposanto di Comacchio.14 Questo tipo di studio si deve rimandare a dopo l’avvenutacatalogazione di tutti i grafici rimasti, in quanto troppo pochisono, fino ad oggi, gli schizzi relazionabili a precisi progetti.Deve però essere subito segnalata la fortunata, e credofortunosa, conservazione di un foglio sparso, contenente tretemi d’architettura assegnati certamente in ambito accademico;il terzo tema che recita: “Fabbricato di lusso per emporio e ma-gazzino di mode da sorgere isolato in una importante stazioneclimatica. Dimensione massima dell’area m 40x30. Si domandapianta, alzato e sezione. Queste ultime scala 1:100 – pianta 1:200"è quello scelto da Vitale Vitali, il quale nello stesso foglio tracciauno schizzo che rappresenta poco più della metà dell’ideaarchitettonica poi sviluppata, di cui sono stati individuati finoad ora la prospettiva e un prospetto. Lo schizzo citato ed ancheun altro, redatto sempre su un foglio sparso, mostrano, appun-to, quanto fosse già formato il pensiero architettonico di VitaleVitali rispetto alla successiva definizione formale.15 Interessante, a questo proposito, è rilevare sia il particolarepunto di vista che privilegia il fronte principale dell’edificio, peròdal lato opposto a quello del volume (Ricreatorio dell’asilo) emer-
gente, sia il procedimento risolutivo per la determinazione deivari punti degli elementi architettonici, che è quello dei pianiproiettanti (detto anche procedimento rapido o degli architetti).16 Il primo consente un sopraluce con rosta in ferro per l’illumi-nazione dell’androne, mentre il secondo si presta perl’apposizione della scritta del negozio. (Cfr. edificio a fronte delCampanile della Cattedrale di Comacchio).17 I disegni esaminati, alcuni anche sommariamente, sono circal’80% di quelli fino ad oggi recuperati: essi costituiscono, quin-di, una campionatura notevole dell’insieme e giustificano la ste-sura di queste brevi note.18 Come spesso accade per le prime informazioni, anche questapresenta interrogativi, pone questioni ed evidenzia incertezzepiuttosto che chiarire, definire ed offrire osservazioni e teorieunitarie ed esaustive.
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Vitale Vitali coltivò la pittura da cavalletto a partire daglianni di frequentazione dell’Accademia di Belle Arti diBologna, continuando ad eseguire dipinti, seppur con esitistilisticamente diseguali, sino alla fine dei suoi giorni.
La produzione pittorica annovera ritratti - di intensapartecipazione psicologica e talora in linea con i dettamidel Realismo magico -, nature morte, qualche rara “scenadi genere” (gli zampognari calati nel Mugello dal Meridio-ne d’Italia, un gruppo di frati oranti sotto le volte di unchiostro)1, ma soprattutto paesaggi.
Le “vedute” riprese negli amatissimi ambienti diComacchio, di Ferrara, di Ronta (paese mugellano dove èla sua casa estiva e che si dipana tutto sulla Via Faentina,perfettamente “inquadrato” e delimitato dal punto di vistaprospettico) spesso coniugano l’empito sentimentale conl’occhio (e la mano) dell’architetto: il paesaggio familiareè dipinto con una tavolozza attenta a seguire il tracciato diun impeccabile ductus grafico, che percepisce e rendeattentamente scorci prospettici di strade, ponti, palazzi, chie-se. Talvolta l’uomo in questo “habitat” è pienamente inse-rito nell’euritmia dell’architettura, sia in senso diretto (isuaccennati fraticelli, “macchiette” scure contrapposte allaperfezione del chiostro cinquecentesco) che in modo me-taforico: si pensi a “Le saline di Comacchio” (fig. 1), espo-sto nel 1990 nelle sale del Castello Estense di Ferrara nel-la grandiosa mostra sul “Parco del delta del Po”: “costru-ito con perfette scansioni geometriche (i cumuli piramidalidi sale, il filo d’orizzonte, la disposizione degli operai, inten-ti quasi ad un balletto virile ma non “meccanico”), il qua-dro risente delle più moderne suggestioni del paesaggismonovecentista, fra Tosi ed i pittori tosco-cezanniani”, scri-vevo allora2.
Lo stesso può rilevarsi a proposito di molte delle opereincise da Vitale Vitali, a cominciare dagli anni Trenta, quan-do gli amici toscani come Dino Molinelli gli fecero apprez-zare le robustezze della xilografia: “da allora ispirarono lasgorbia di Vitali gli angoli più caratteristici di Ferrara e diComacchio (figg. 2, 3), ma soprattutto quelli del Mugello”3.Si pensi alle incisioni col policromo santuario della Madon-
na dei Tre Fiumi, alle statuarie ragazze al tombolo, ai voltidel dolente “Nugolo” e di una vecchia impagliatrice, rugo-sa e nodosa come un albero: insomma, a dei veri e propricorpi-architettura.
La pittura fu coltivata da Vitali con sempre maggiorimpegno allorquando l’attività di architetto si interruppe bru-scamente, per motivazioni burocraticamente “accademi-che”: e il cavalletto così come il legno xilografico lo conso-larono di molte delusioni.
Degli anni Venti pochi sono i quadri, spesso di piccoledimensioni. Si pensi alle tavolette ferraresi raffigurantichiostri del cimitero della Certosa o della rossettiana chie-sa di S. Giorgio (figg. 4, 5): notturni in sintonia col mondoestetizzante (in chiave dannunziana) proposto da FerruccioLuppis nel suo libro “Ferrara, ab insomni non custoditadracone” (1921), impreziosito da tavole paesaggistiche diCarlo Parmeggiani e del triestino Guido Marussig non dis-simili dalle vedute del giovane Vitali. Il sapore “decaden-te” sembra per di più risentire dei tagli fotografici impostidal gusto di Luppis, autore per il suo straordinario, lussuo-so libro anche di eccentriche fotografie e di vedute dipintecon suggestioni divisioniste.
Vitali ne ama il substrato culturale liberty, il modo nuo-vo di render l’iconografia ferrarese, così come talora èimpregnata di accenti liberty-modernisti la sua architettu-ra comacchiese: ma terminata l’esperienza di progettistaarchitettonico, la pittura si semplifica, in termini squisita-mente novecentisti e post-impressionistici.
Ad esempio, Vitale è in stretta sintonia con il bondeneseGalileo Cattabriga in alcuni scorci campestri, schizzati ve-locemente dal finestrino del treno della linea Ferrara-Suzzara negli anni di docenza a Bondeno e poi rielaboratiin studio. Ma anche questi paesaggi, in realtà, sono l’enne-sima dimostrazione del suo amore per il rigore archi-tettonico, dello spirito di geometria, del desiderio di “porreordine” altresì in soggetti di tipo naturalistico: e così i sen-tieri sono in diagonale, gli alberi dividono a metà “matema-ticamente” la composizione e via dicendo.
Nell’incisione, invece, permangono compiacimenti
Vedute dipinte e inciseLucio Scardino
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Fig. 1. V. Vitali, Le saline di Comacchio (1932 ca.), Collezione Vitali, dopo il restauro di Antonio Torresi del 1990.
Fig. 3. V. Vitali, Comacchio, via Cavour (1950 ca.), olio su compensa-to, Collezione Zamboni, Comacchio.
Fig. 2. V. Vitali, Canale a Comacchio (anni ‘30), xilografia originale,stampata a mano, Collezione Vitali.
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compositivi quasi in modo virtuosistico: xilografie che illu-strano la facciata del Duomo di Ferrara (fig. 6), giocandoimpeccabilmente con la prospettiva, dall’interno versol’esterno e viceversa (ossia partendo dall’angolazione delcancelletto aperto nella Torre della Vittoria), il PalazzoComunale di Scarperia, inquadrato da sotto un arco, la viaS. Pietro di Comacchio, con il fulcro compositivo costituitodalle barche ormeggiate nel canale. Veduta xilograficapiù tradizionale è quella costituita dal “nuovo” PalazzoComunale di Ferrara (fig. 7) (con la facciata ricostruitatotalmente negli anni Venti tra la Piazza Maggiore e la viaCortevecchia), con l’acciottolato ghiaioso, i passanti“chiaroscurati”, le nuvole taglienti: quasi una “cartolinaturistica”, non immemore dagli esempi fotografici dei miticiFratelli Alinari di Firenze.
Per restare nell’ambito toscano, una conoscenza deimaggiori paesaggisti fiorentini del Novecento, quali Rosaio Soffici, il nostro eclettico artista rivela in alcuni paesag-gi mugellani, come nell’assolata, poetica “Strada di Ronta”del 1937 che si dipana con geometrica esattezza o nellalievemente più tarda “Veduta di Pullicciano”, con ilzigzagante intersecarsi di strade in salita, alberi verdeggiantie l’ampia chiesa, lassù in cima.
Ma immediatamente prima e subito dopo la secondaguerra mondiale, Vitale Vitali si dedica anche alla poeticarappresentazione di una Ferrara vista dai tetti: stando nellostudio della sua casa di via Scandiana, riprende case echiese, preferibilmente nei giorni successivi alle nevicatedicembrine, tagliando prospetti e orchestrando abilmentel’atmosfericità del colore. Uno di questi dipinti con “Ferrarasotto la neve” (figg. 8, 9) è conservato oggi presso la Pi-nacoteca Civica “Galileo Cattabriga” di Bondeno4.
Negli anni Cinquanta Vitali torna a riprendere il pae-saggio della natìa Comacchio con matematico rigore: mamentre in una veduta di via San Pietro5 le case geometri-che, il caldo cromatismo, lo spazio ingrombro di sagomecubisteggianti, confermano che Vitali continuava ad av-vertire un grande amore per la prospettiva, “sentendo” piùla forma che non il colore (componendo comunque unapoetica “tranche de vie”), altri paesaggi lagunari raffigu-ranti via Cavour non rifuggono dal pericolo dell’oleografia6.Nell’ultimo decennio di vita l’eclettico comacchiese si de-dica anche al restauro pittorico, operando su tele baroc-che conservate nel santuario della Madonna dei Tre Fiumia Ronta7, ma tralascia la xilografia.
La pittura da cavalletto invece la coltiverà sino alla finedei suoi giorni: e ad una delle rare occasioni espositive (ilPremio Nazionale “Mugello” del settembre 1960) Vitali
Fig. 4. V. Vitali, Chiostro di S. Giorgio a Ferrara (1925 ca.), olio sucompensato, Collezione Vitali.
Fig. 5. V. Vitali, Chiostro di S. Giorgio a Ferrara - notturno (1925 ca.),olio su compensato, Collezione Vitali.
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presenterà l’ennesimo paesaggio, “Casina di Pullicciano”.Poco prima, attorno al 1957, aveva dipinto nel corso di
un soggiorno ad Orvieto un “notturno” di bella intensitàespressiva: una figura sale una scalinata ripida, costeg-giando case che la luce della luna e l’occhio (e la mano)dell’architetto ancora una volta liricamente delineano.
Note1 Cfr. L. Scardino, Vitale Vitali (1893-1961). Architettura - Gra-fica - Pittura, Ferrara, Liberty House, 1989, pp. 104-105.2 L. Scardino, Da “Palus Mortis” a “Santa Verde”. Note sullapittura di paesaggio nel delta tra Otto e Novecento, in Il Parcodel delta del Po. Studi ed immagini, vol. IV, Ferrara, 1990, p. 90.3 L. Scardino (a cura di), Incisori ferraresi del Novecento, Ferrara,2001, p. 104.4 G. Campanili, L. Scardino (a cura di), “Galileo Cattabriga”.Catalogo generale, Pinacoteca Civica, Comune di Bondeno,San Giovanni in Persiceto, 1996, pp. 146-147.5 Cfr. Scardino, Vitale Vitali, op. cit., p. 25 (indicata come Vedutadi via Cavour a causa di un refuso tipografico).6 E’ questo il caso di un olio su compensato di cm 49x58,5, circadel 1950, conservato dagli eredi Vitali o di un altro analogo qua-dro presso la collezione Zamboni di Comacchio.7 Cfr. A. P. Torresi, Secondo dizionario dei pittori restauratoriitaliani dal 1750 al 1950, ad vocem, Ferrara, in corso di stam-pa.
Fonti delle illustrazioniFigg. 5, 6, 7, 8, 9 tratte da:L. Scardino, Vitale Vitali (1893-1961). Architettura - Grafica -Pittura, Ferrara, Liberty House, 1989.
Fig. 6. V. Vitali, Duomo di Ferrara (anni ‘30), xilografia, Collezione Vitali.Fig. 7. V. Vitali, Palazzo comunale di Ferrara (anni ‘30), xilografia,Collezione Vitali.
Fig. 9. V. Vitali, Ferrara sotto la neve (1952 ca.), olio su compensato,Pinacoteca Comunale, Bondeno (Fe).
Fig. 8. V. Vitali, Ferrara sotto la neve (1935 ca.), olio su compensato,Collezione Vitali.
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La fotografia di Vitale VitaliSilvana Luciani
Durante la fase di ricerca, sono state reperite un centi-naio di foto che Vitali scatta ai suoi disegni, progetti ededifici ultimati: si tratta probabilmente del materiale pro-dotto come documentazione del proprio operato e, poi, uti-lizzato per il riconoscimento per il titolo di architetto. Tra lefotografie in nostro possesso, molte hanno per soggetto leesercitazioni che Vitali esegue durante l’Accademia, non-ché alcuni suoi quadri e sculture del periodo successivo.
In archivio vi è un solo episodio – ma potrebbe nonessere l’unico – in cui Vitali verifica il proprio lavoro tra-mite riproduzioni fotografiche. Si tratta del restauro ese-guito a Comacchio nella Farmacia Guidi (1926), fotogra-fata da Vitali prima del suo intervento: basandosi su que-sta immagine, Vitali “inserisce” il proprio progetto, foto-grafando il disegno così ottenuto. In tal modo egli può con-trollare il restauro affiancando le due foto e, eventualmen-te, mostrare al committente il risultato finale confrontandoil “prima” e “dopo”. (figg. 1, 2, 3)
Di tale “artificio” vi sono illustri esempi anche nellastoria dell’architettura. Già Viollet-le-Duc usava questometodo come approccio conoscitivo antecedente al restauro(Cattedrale di Notre Dame) e come verifica dello stessodurante i lavori (Castello di Pierrefonds, 1852). Del resto,egli acutamente aveva osservato che “la fotografia hacondotto naturalmente gli architetti ad essere ancora piùscrupolosi nel rispetto degli antichi resti di una antica com-posizione, a rendersi conto della struttura, e fornisce unostrumento permanente per giustificare il loro operato. Neirestauri non si userà abbastanza della fotografia, perchémolto spesso si scopre su un negativo ciò che non si erascorto al momento stesso.”1
Più vicino ai nostri tempi, Alfonso Rubbiani haripetutamente commissionato al fotografo Pietro Poppi diBologna alcune immagini rigorosamente frontali eortogonali, sulle quali egli poi andava a segnare le misuredei vari elementi, in modo da capirne meglio le proporzionidell’immagine secondo una raffigurazione più attendibile erealistica. A volte l’oggetto fotografato era composto conmontaggi straordinariamente verosimili, come se si trat-
tasse di un manufatto già realizzato2.Successivamente, negli anni Venti, la scuola del Bauhaus
diviene un importante centro di studi sulla fotografia. A qua-si un secolo dalla sua invenzione3, questa tecnica viene fi-nalmente rivalutata come essenza di un linguaggio, di cui siricerca un lessico e una sintassi specifici, superando gli sche-mi oramai “stereotipati” delle immagini “stile Alinari”4 e ol-tre il pictorialism5. La fotografia comincia ad essere consi-derata un prodotto estetico, specialmente da architetti,designer e grafici.
Negli Stati Uniti studi analoghi sono svolti da fotograficome Alfred Stieglitz, Paul Strand ed Edward Weston, cheinvitano all’uso della fotografia come studio dello spazio.Tra gli scettici Frank Lloyd Wright, che, pur essendoseneservito, sosteneva: “se si vuole cogliere il carattere essen-ziale di un edificio organico non si deve ricorrere alla mac-china fotografica, perché esso è integralmente un fatto diesperienza… la profondità sfida il piatto occhio fotografi-co.”6
Analogamente anche Le Corbusier non è stato uno stre-nuo sostenitore della fotografia, pur avendo lasciato un inte-ressante reportage del suo Viaggio in Oriente nel 19117.Sovente egli incaricava Lucien Hervè, ordinandogli scattimodesti e quasi mai d’effetto: vedute frontali dove il dise-gno dell’architetto è quasi sovrapponibile all’immagine otte-nuta, in una sorta di rappresentazione illusoria della realtà,quasi documentaria in cui la soggettività del fotografo eraannientata senza tener conto della qualità dell’inquadratura.Quest’ultima, per altro, è definibile soltanto attraverso lalettura della ideologia di chi scatta la foto, e raramente av-viene che l’autore sia completamente libero dacondizionamenti. In architettura, rari sono i casi di libertàespressiva: sia che si tratti degli stessi progettisti oppure deiloro editori a scattare la foto, entrambi desiderano immaginistraordinarie e sublimi per mostrare l’edificio rappresentatonel miglior modo possibile.
Per quanto concerne le caratteristiche delle foto di Vita-le Vitali, si riscontrano analogie con quanto detto in meritoper Le Corbusier: in entrambi i casi a mala pena si distin-
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guono i disegni dalle foto, mantenendo uguale il punto divista e conservando il soggetto al centro dell’immagine.
“La fotografia è uno strumento indispensabile alla pro-fessione dell’architetto, permette di confrontare e diffon-dere l’immagine di un edificio andando a completare il ci-clo progettuale e costruttivo; offre la possibilità di inserireil nostro progetto (unico mezzo per vedere l’architetturaoggetto) nel “paesaggio”, cioè renderlo identificabile”8 ;maal tempo stesso dà l’illusione di potersi appropriare in ma-niera oggettiva di un frammento di realtà.
Note1 R.Lécuryer, Histoire de la photographie, S.N.E.P., Paris 1945, p. 299.2 Cova, Fotografia e restauro architettonico, in Fotologia 8.3 La data considerata ufficiale della nascita della fotografia è il 7gennaio 1839, invenzione firmata da Louis-Jacques-MandéDaguerre e Isidore Niépce (I. Zannier, Storia e tecnica dellafotografia, Roma, Laterza, 1993).4 Dal 1854 i F.lli Alinari, a Firenze, iniziarono la loro attività diriproduzioni d’arte e d’architettura attraverso fotografie dallecaratteristiche ben definite: “Nitidezza e leggibilità, con soggettidecontestualizzati e privi di inquinamenti ambientali, persino ipassanti per strada considerati perlomeno distraenti. La luce ègeneralmente diffusa, per non nascondere alcunché nelchiaroscuro, il punto di ripresa di solito è alto (circa tre metri dallivello di marciapiede), per evitare le linee cadenti pur riprenden-do l’intero edificio nel cono visivo. (…) l’oggetto architettonicoappare come se fosse collocato in una neutrale esedra teatrale,al tal punto è decontestualizzato e avvolto in una soffusa eaccattivante nuvola di luce”. (I. Zannier, Architettura e fotogra-fia, Roma, Laterza, 1991, p. 22).5 La tendenza estetica del Pictorialism “coinvolse allora, in no-tevole misura, anche la fotografia d’architettura, innanzi tuttonella scelta dei soggetti, che venne estesa al “paesaggio” mino-re e all’architettura rustica e fatiscente, seguendo certa retoricaromantica, che affliggerà la fotografia fino ai primi decenni delnostro secolo con il suo nefasto kitsch, e che fu in parte causadell’ulteriore emarginazione della fotografia cosiddetta “artisti-ca” (…)” (I. Zannier, op. cit., p. 35).6 (a cura di) R.Pedio, F.L.Wright. Testamento, Torino, Einaudi,1963, p. 144.7 G. Gresleri, Le Corbusier. Viaggio in Oriente, Venezia, Marsilio, 1985.8 I. Zannier, op. cit.
Figg. 1, 2, 3.Edificio ad uso uffici sta-tali e negozi, vista d’an-golo con la FarmaciaGiudi:- prima dei lavori,- disegno di progetto,- progetto eseguito,ArchivioVitali.
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La committenza di Vitale Vitali e la città di Comacchio nei primi decenni delNovecento
Aniello Zamboni
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La miseria allo stato cronico, frutto dello squilibrio trapopolazione e mezzi di sussistenza, l’isolamento nel mared’acqua che circonda la città e ne caratterizza la vita, lepessime condizioni igieniche in cui vive gran parte dellapopolazione, le imprese ladresche dei fiocinini, la floridezzadell’industria del pesce, del “marinato” in ispecie, conti-nuano, come nei decenni addietro, ad essere l’oggetto del-le cronache che i giornali dei primi anni del secolo appenapassato dedicano con tanto (fastidioso) colore sociale aComacchio. In questi anni, sul lamento di un pianto seco-lare si alza tuttavia una voce che alimenta la speranza inun domani migliore. E’ la voce della bonifica idraulica del-le valli: infiamma i dibattiti tra i conservatori, i partigianidella pesca, i fautori della trasformazione agricola, e ani-ma le discussioni tra i sostenitori dei diversi progetti di at-tuazione, che i tecnici stanno elaborando.
La bonifica - sostengono i bonificatori - porrà fine alladifficile e precaria vita di sempre, perché campi non piùd’acqua ma di terra offriranno lavoro a tutta o a gran par-te della popolazione. Infatti, “Solo una grande operazionedi rigenerazione del territorio e un più avanzato sfrutta-mento economico a fini agricoli [possono] ricreare un rap-porto di fiducia tra gli uomini e il loro ambiente”1. E’ tantal’attesa sul nuovo avvenire di Comacchio che il prosciuga-mento della laguna diventa l’augurio comune, una formuladi saluto: “Curagg, ch’ la gnarà le bunefiche! (Corag-gio, verrà la bonifica!)”, dicono i più incontrandosi2.
Finalmente, dopo anni di discussioni, di “progetti, di voti,di revisioni e di iatture”, non ultima il primo conflitto mon-diale, nel 1919 inizia il prosciugamento delle valli setten-trionali, Trebba e Ponti, cui seguirà nel 1928 quello di ValleIsola e della valle Raibosola. E’ a questo periodo (1919 -1928) di speranze e di fiduciosa attesa che vanno riferititrentasette degli interventi, su un totale di quarantadue (cir-ca), dell’architetto Vitale Vitali a Comacchio; i restanti cin-que sono relativi agli anni immediatamente successivi: 1929- 1932.
La delusione, seguita a tanto entusiasmo, è cocente e ilsogno dell’ingresso di Comacchio in una economia viva e
produttiva rimane tale o approda a magri risultati: l’iniziodella bonifica offre occasioni di lavoro a migliaia di perso-ne, ma è un lavoro precario al termine del quale è giocoforzaconstatare “inevitabilmente uno scompenso tra la mino-ranza di coloro che direttamente avrebbero tratto vantag-gio diretto e indiretto dalla bonifica (possidenti piccoli egrandi, aziende agricole) e la maggioranza che avrebbevisto un possibile impiego di tipo bracciantile nelle nuoveproprietà terriere”3.
Il prosciugamento delle valli Trebba, Isola e Ponti nonconduce a sostanziali variazioni nella situazione economi-ca di Comacchio e nelle condizioni di vita della sua gente.La città resta quella di sempre con “le case, quasi tutte,uguali - osserva Giuseppe Raimondi raccontando la suavenuta a Comacchio nel 19254 -, con l’intonaco corrosodall’aria salsa, e i mattoni rossi allo scoperto, disuguali esconnessi, come delle vecchie dentiere”. “Impossibile -prosegue Raimondi - stabilire l’età di codesti muri, comel’età di gente troppo presto consumata”. E tale la vedràpiù di trent’anni dopo Guido Piovene5 al quale Comacchiosi presenterà con la sua economia fondata sulla pesca,con i fiocinini che continuano a rubare il pesce per vivere,con le sue case stipate “sopra isolotti che si alzano pochicentimetri sul livello del mare, con le mura impregnate diumidità ed erose dalla salsedine”; dove, “secondo le stati-stiche 7800 persone, ossia la grande maggioranza, abita[no]in case giudicate non buone”6.
La pressoché immutabilità della situazione è testimo-niata pure dal documentario Comacchio che FerdinandoCerchio gira nel 1940 su incarico dell’Istituto Luce: la “to-talità del luogo Comacchio”, acqua, città, uomini, è quelladi sempre, come se la bonifica delle valli Trebba, Ponti,Isola e Raibosola fosse ancora di là da venire, tanto che diessa non si fa addirittura parola.
Anche la speranza di essere sulle tracce del mitico ra-gno d’oro - tutti a Comacchio conoscono la favola che dasecoli e secoli racconta del grandissimo ragno d’oro mas-siccio e lucente che aspetta, nascosto nell’immensità delladistesa lacustre, di essere trovato per arricchire tutti, ma
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proprio tutti, i comacchiesi -, diffusasi ancor prima che levalli siano liberate completamente dall’acqua, si trasformain delusione, perché i tesori (i pgnatén) disseppelliti dalfango della necropoli di Spina scoperta in Valle Trebbaprendono la via di Ferrara, ove fanno bella mostra nellosplendido palazzo di Ludovico il Moro.
Solo le ardite architetture dei ponti che solcano i canali,le grandi chiese e i rari palazzi dei pochi benestanti conti-nuano a contrastare la selva di case basse e serrate le unealle altre tra le quali si aprono “le case senza porte, le casetristi che nulla da chiudere non hanno”7: un budello dove ilsole non entra neppure in piena estate8.
Vitale Vitali nella sua lunga attività nella natia Comac-chio, ove è conosciuto col diminutivo di Vitalino (Vitalén)opera all’interno dell’antico tessuto urbano, delimitato dal-le mura ben possenti con le quali le valli e i canali perime-trali lo cingono intorno. E non può essere altrimenti:Comacchio non ha (ancora) territorio di terra attorno sucui possa espandere il proprio abitato. A dire il vero c’èun’eccezione: la bella villa che il tipografo Edgardo Carlifa costruire (1925) sulla lingua di terra posta tra la vecchiastrada che porta a Magnavacca e il canale Pallotta; là,lontano, al limite della valle e fuori dell’agglomerato urba-no, di fronte alla stazione ferroviaria, a poche decine dimetri dalla guardiola dei Trepponti, dove le guardie del-l’azienda delle valli fermano e controllano tutti coloro cheo per via di terra o per acqua entrano in città, per verifica-re se portano o no pesce di provenienza furtiva; in confinecon l’osteria della Carmela, un luogo di appuntamenti, se-parati, di fiocinini e guardie vallive, per organizzare gli unil’impresa ladresca, per sventarla gli altri. Un luogo, quelloscelto dal tipografo, che pare segnare il punto d’incontrotra due mondi: il nuovo che avanza, la stazione, e il vec-chio, l’acqua, che va declinando.
Carli affida a Vitale Vitali il compito di presentare nellavilla lo status simbol raggiunto col lavoro di tipografo, chegli ha procurato distinzione ed agiatezza. Dello stesso sen-tire sono pressoché tutti gli altri committenti che nella casao nell’opificio vogliono mostrare la loro fortuna, frutto del-la ricchezza prodotta, investita, e ricapitalizzata; la lorocapacità imprenditoriale, il lavoro, il rischio, il profitto e ilsuccesso in un ambiente dove, secondo il giudizio di unattento conoscitore della Comacchio d’allora, regna “undeprimente pessimismo ingenito che si estrinseca in la-mentele e nella mussulmana inazione”9. Le vecchie casedi Comacchio, pressoché tutte uguali, disadorne, non pos-sono presentare l’immagine di questo ceto emergente; nep-pure i vecchi fondaci, per lo più magazzini fatiscenti con
l’ingresso principale sulle rive dei canali, possono servirealla nuova economia che la progressiva bonifica delle vallinecessariamente farà prima o poi decollare.
Anche le cappelle funerarie sono chiamate ad ostenta-re lo status simbol nei cimiteri di Valle Isola e di San Giu-seppe in Bosco; ad esempio quelle delle famiglie FellettiVirgili e Vincenzi nel primo, dei Samaritani nel secondo,che in questi anni si aggiungono alle edicole delle famigliedel nobilato locale, per lo più possidenti terrieri del BoscoEliceo, e si distinguono dalle comuni sepolture nei loculidei colombai o, per i miserabili, in terra.
Quella di Edgardo Carli resta per molti anni (almenofino alla metà del secolo) l’unica villa a Comacchio; glialtri interventi edilizi realizzati da Vitali riguardano la co-struzione di case di civile abitazione che si inseriscono nelcontesto edificatorio della città. Nella continuità della cor-tina stradale tuttavia si riconoscono per gli stilemiarchitettonici e decorativi chiamati a rappresentare l’emer-gere anche a Comacchio di “quel grigio diluvio democra-tico”10, come D’Annunzio definiva la società borghese deltempo, nel quale vuole trovare posto il cosiddetto ceto medioimpiegatizio o medio imprenditoriale. Le vecchie case, pres-so che tutte eguali (fanno eccezione - dicevo - i pochi pa-lazzi delle vecchie famiglie benestanti) e così disadorne,non lo possono fare.
Le facciate delle case di Vitali hanno ognuna qualcosadi diverso, segnate come sono da elementi decorativi cheinvitano a pause marcate: vuoi, per fare alcuni esempi, imotivi floreali sugli architravi delle finestre delle case diCeleste Carli in via Mazzini e di Camillo Zannini all’angolodi via Gramsci con Arturo Bellini, vuoi le ceramiche conraffigurazioni fitomorfe sulla facciata laterale del cinemaZannini - Vicentini, vuoi la vivacità dei due fronti del palaz-zo che Entigerno Bellotti fa edificare al confluente di viaBonnet con via Sambertolo.
Ma chi sono i committenti?Nell’impossibilità di nominarli tutti, anche perché alcu-
ni non sono stati (finora) individuati, ricordo i più noti: perlo più coloro le cui case o i cui fondaci sono ancor oggi benvisibili, nonostante le ferite inferte dal tempo o dagli uomini.
Celeste Carli fa di mestiere il mugnaio, e il mulino nelquale lavora sorge proprio di fronte alla bella casa in corsoVittorio Emanuele (ora via Mazzini) che Vitali gli progettanel 1920 (fig. 1). L’impianto del mulino industriale risale al1905; occupa la vecchia chiesa di S. Carlo, un rudere, ven-duta in quell’anno dal Comune di Comacchio al cavaliereSalvaterra Bignozzi che l’acquista a questo scopo. S. Car-lo, soppressa nel 1798 dalla Repubblica Cisalpina che l’ave-
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va avocata alla Nazione assieme alle chiese di S. Nicolòsulla piazza del Duomo e a quella di S. Pietro, alla catenadel quartiere omonimo, cessa con la vendita a Bignozzi leproprie peregrinazioni: dismessa la funzione di chiesa, erastata bottega di marmorino, caserma dei francesi prima,degli austriaci dopo, magazzino militare poi11.
Oggi (2002), di proprietà dell’Istituto Autonomo CasePopolari, è oggetto di una profonda ristrutturazione allaquale è interessata anche la vasta area che le sta attorno;su di quest’ultima Salvaterra Bignozzi aveva fatto costru-ire (1924) su progetto del nostro architetto un fabbricatoad uso uffici ed una torretta per il deposito della nafta (fig.1), necessitati dall’incremento che lo stabilimento molitorioandava assumendo anche per la produzione cerealicolache le terre delle valli prosciugate si apprestavano a dare.E’ probabile che sia di Vitali (all’infuori dello stile e delperiodo in cui è stato innalzato non ho elementi per soste-nerlo) il magazzino che si attesta sulla riva del canale Lom-bardo. Fortuna ha voluto che questi fabbricati siano statisalvati dal piccone demolitore, come pareva il loro destino,e siano oggetto di un piano di recupero.
Sono di Vitale Vitali anche la grande casa di civile abi-tazione e gli annessi magazzini nell’area cortiliva che ilcommerciante Ermippo Bottoni edifica negli anni 1922,1924 e 1926 sulla stessa via Mazzini, ad un centinaio dimetri dalla casa di Celeste Carli. Un vasto complesso edi-lizio, un misto tra residenza e spazio commerciale, nel qua-le Bottoni conduce pressoché in regime di monopolio ilfiorente commercio di birre e di acque minerali, che soddi-sfa le richieste dei caffè della città e della nascente indu-stria turistica sulla spiaggia marittima di Magnavacca, bat-tezzata pochi anni addietro (1919) Porto Garibaldi. Oggi,della casa di Ermippo Bottoni restano soltanto i ruderi daiquali, forse, potrà essere recuperata la facciata.
Contiguo alla casa Bottoni è il negozio con camera su-periore che il Nostro disegna nel 1926 per conto di Diva(Dina) Cavallari la quale vi conduce una bottega di generialimentari. La Cavallari,inoltre col fratello Aderito, dipen-dente dell’azienda delle valli, gestisce un avviato commer-cio di vini nella grande cantina situata nel cortile della lorocasa, posta nella stessa via a pochi metri di distanza dallabottega.
Una autentica rivoluzione nel costume sociale diComacchio è l’impresa che i fratelli Antonio e GiuseppeZannini assieme al cognato Giuseppe Vicentini, ne ha spo-sato la sorella Maria, compiono con l’apertura del cinema-tografo nella Piazza del Duomo. Lo realizzano nell’ex chiesadi S. Nicolò (coinvolta nel medesimo destino dell’oratorio
di S. Carlo), che affidano a Vitale Vitali per la ristruttura-zione. In tre successivi interventi (1919, 1923 e 1930) l’ar-chitetto ne fa una sala cinematografica di raffinata bellez-za (fig. 2). Al progetto dell’artista i committenti portano ilcontributo delle loro idee e l’apporto della loro valentia:sono artigiani del legno (Giuseppe Zannini e GiuseppeVicentini) e del ferro battuto (Antonio Zannini) di squisitae rara intelligenza, congiunta ad ineguagliabile capacità.Sono committenti e decoratori insieme12: dalle loro mani -su disegno dell’architetto - escono il “lampadario stellato”che domina dal soffitto al centro della sala, gli stucchi cheornano le porte, le sovra porte, le paraste che alla sommitàreggono eleganti lampade binate, i motivi floreali e le fa-sce nastriformi in legno che corrono tutt’intorno allebalconate del loggione, i ferri battuti delle ringhiere dellascala, del ballatoio e della terrazza del primo piano, i qualiintrecciandosi e annodandosi si raccolgono nello stelo deilampioni che si ergono a distanze regolari lungo il corso delparapetto (fig. 3).
Gli Zannini - Vicentini hanno al loro attivo i lavori ese-guiti “con molto ornamentale equilibrio” nel Teatro Socia-le, costruito interamente in legno nel 191513.
Il cinematografo chiude i battenti verso la metà deglianni Settanta: si chiamava Cinema Teatro Centrale, infattiospitava anche compagnie drammatiche o liriche. Non homai sentito nessuno chiamarlo con tale nome: per tutti erail “Cinema da Vicentini”, o più semplicemente “DaVicentini” o, raramente, “Da Zannini”. Le proiezioni era-no annunciate dal materiale pubblicitario affisso su tavolequotidianamente appese alla base della torre di piazza: nonsarebbe stato possibile trovare posizione migliore. Qui siintrecciavano i primi commenti sul dramma, così eranochiamati i film, che nel primo pomeriggio sarebbe statoproiettato in una sala piena all’inverosimile. Già prima del-l’apertura molti erano coloro che affollavano le porte dellocale; diventavano una fiumana incontenibile la domeni-ca, tanto che pareva di assistere all’assedio del cinema.Inascoltati restavano i richiami dei preti che lamentavanola mancata partecipazione alle funzioni pomeridiane e rim-proveravano ai genitori l’assenza dei figli alla dottrina, al-lettati da spettacoli sui quali molte erano le riserve solleva-te. Visti inutili i tentativi di arginare l’esodo, i preti tentaro-no allora una manovra di “aggiramento”: moltiplicarono legare ludiche nel cortile della cattedrale e in quello ben piùgrande dell’oratorio salesiano, intensificarono la produzio-ne teatrale con la messa in scena di commedie la domeni-ca pomeriggio nel grazioso teatrino dell’oratorio, organiz-zarono concerti suonati dalla banda musicale e intermina-
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bili tombole con poche cose in palio, i cui numeri, gridati,risuonavano per l’intero pomeriggio nelle case attorno. Mané richiami, né partite di calcio, né concerti, né commedie,né tombole sortirono l’effetto sperato e l’affluenza al ci-nema continuò numerosa. I preti tuttavia non disarmaronoe fu così che il “da Vicentini” all’indomani del secondoconflitto dovette affrontare la concorrenza di ben due ci-nematografi, uno nel teatrino dell’oratorio salesiano e l’al-tro in una cappella del duomo adattata allo scopo, che rac-coglievano nugoli di adolescenti dopo la dottrina cristiana.
Ma il vecchio cinema-teatro continuò ad essere asse-diato. Il prezzo era differenziato secondo l’ordine di sepa-razione. Sulle panche sedeva il proletariato miserabile ched’inverno trovava nel cinema un luogo caldo: con me inipoti di Giuseppe Vicentini ricordano donne con una cate-na di figli al seguito e con una sporta al braccio, che entra-vano all’apertura, nel primo pomeriggio, e ne uscivano anotte fonda. Non c’è da meravigliarsi se ad una certa orai poveretti cenavano, mangiando le misere cose portate dacasa, e dormivano sulle panche. La Cassiana, una poverettache viveva di elemosina, vi andava addirittura con unpentolino che i proprietari fingevano bonariamente di nonvedere. Sulle sedie stavano gli artigiani, la piccola borghe-sia impiegatizia; sulle poltrone, in loggione, gli insegnanti, iprofessionisti, il ceto distinto insomma. Spettacolo nellospettacolo era quello che succedeva tra gli spettatori: nulladi diverso da quanto narrato in Nuovo Cinema Paradisodi Giuseppe Tornatore o nelle pagine di Gli zii di Sicilia diLeonardo Sciascia. Con applausi deliranti, urla e fischi tantopiù sonori con l’esibizione di qualche nudità, il pubblicoavvinto, commosso o esaltato dalla trama accompagnavala proiezione del film. Non poche volte alle manifestazionidi odio, di indignazione e di disprezzo verso i vili, i traditori,contro il “cattivo” insomma, o, al contrario, di gioia, di esul-tanza e di compiacimento nei confronti dell’eroe, “il giova-ne”, che trionfava sul male, si aggiungevano risse per sgarbiveri o presunti, accompagnate da insulti - celebratissimeerano le madri -, da sputi, da lanci di zoccoli o di frutta chevariava secondo le stagioni. Quando la rissa minacciava didiventare più frenetica, ecco l’intervento deciso di Anto-nio Zannini, el sgneur Tunòn, il quale, forte del proprioindiscusso carisma e con l’ausilio di qualche strattone e,se occorreva, con la distribuzione di sonori schiaffi, rista-biliva la quiete e il silenzio nella sala.
Dimentico di dire che el sgneur Tunòn nella centralePiazza del Popolo conduceva un’officina meccanica diprim’ordine e, poco discosto, un fornitissimo emporio dimateriale elettrico con annessa vendita di biciclette. A Vi-
Fig. 1. 1926, Cartolina di Comacchio, Loggiato dei Cappuccini e CorsoVittorio Emanuele, Collezione Luciani.
Fig. 2. Anni ‘30, Cinema Zannini-Vicentini (1919, 1930), Collezione Luciani.
Fig. 3. Anni ‘30 ca., interno del cinema Zannini-Vicentini (1919), Ar-chivio Vitali.
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tale Vitali si deve la facciata di questo magazzino, ancoraoggi ben visibile (fig. 4). Assieme alla torre dell’orologio ealla vecchia sede comunale è l’unico “pezzo” decente chesi può guardare nella piazza, vittima della inquietante epacchiana sistemazione attuata negli anni sessanta delNovecento.
Mi rendo conto di essermi fatto trascinare dai ricordi,ma il Cinema Teatro Centrale rimane in tutti coloro chehanno varcato la soglia dei cinquant’anni la memoria inde-lebile di quella che era allora “l’isola” di Comacchio, senzadimenticare che era uno dei “tesori comacchiesi” di VitaleVitali.
L’altro “tesoro” - oggi oltremodo bisognoso di restauroe fortunosamente sopravvissuto allo stravolgimento che siè compiuto in città - è il complesso di rilevante decoroarchitettonico che la ditta Entigerno Bellotti e C. fa innal-zare nel 1925 - 1926, il quale dà una sistemazione globalealla vasta area di quella che un tempo era stata la casaSalvaterra, ai confini canale Salvaterra, via Sambertolo evia Nino Bonnet. Quest’ultima è la nuova strada (l’altra èai Cappuccini, al capo opposto della città) che consente diuscire dall’abitato e di portarsi nelle campagne di S. Giu-seppe in Bosco Eliceo e alla spiaggia di Magnavacca, sul-la quale i pionieri dell’industria balneare stanno impiantan-do i loro stabilimenti. Una posizione strategica dunque (al-lora), perché tutto il traffico da e per la campagna e da eper il mare passa davanti a questo imponente fabbricatoarticolato in tre distinti corpi. Il primo, all’angolo di viaBonnet - via Sambertolo, accoglie al piano superiore gliuffici del registro e del catasto e al piano terra diversi ne-gozi; tra questi, sul fronte di via Bonnet, una farmacia,oggi una ben fornita ferramenta (fig. 5); il secondo gli uf-fici della ditta e l’abitazione del custode; il terzo, pochi metriavanti, all’interno di uno spazioso cortile, il grande edificioa due piani destinato a pubblico garage e a deposito dimateriali da costruzione (fig.6), il quale ha anche un in-gresso che dà sul canale Salvaterra: serve al minuto com-mercio locale ancora su barche. Il corpo e la facciata,scandita da lesene e resa meno severa dal variegato para-mento murario, alleggerita dall’alta finestra centrale e co-ronata dalla cimasa diventata quasi il timpano di un tem-pio, sono ben visibili al di là delle trame eleganti di un can-cello ove i ferri sono intrecciati in un’armonia di linee ret-te, spezzate e ondulate che creano una varietà di figuregeometriche.
L’intero complesso documenta l’importanza della dittaproprietaria, il cui giro d’affari va via via aumentando peril rilievo che l’edilizia ha assunto a Magnavacca e ancor
Fig. 4. Ex Emporio Zannini (1924).
Fig. 5. Fabbricato ad uso uffici statali, abitazioni e negozi per la Soc.Entigerno Bellotti e C.i (1926), Archivio Vitali.
Fig. 6. Fabbricato ad uso garage pubblico e deposito materiali per laSoc. Entigerno Bellotti e C.i (1925).
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più nelle terre bonificate ove la Società Bonifica TerreniFerraresi, enfiteuta delle stesse, edifica le numerose casecoloniche delle aziende agricole e il villaggio Volania. Do-cumenta tuttavia anche il prestigio personale del socio dimaggioranza della ditta, il signor Entigerno Bellotti, nonsolo in termini economici ma anche in quelli politici e so-ciali. Vicino ad Italo Balbo, nel 1925 Entigerno Bellotti ènominato podestà, ritenuto l’uomo capace di far uscire Co-macchio dalle profonde lacerazioni che le crisi del 1923 e1924, sul problema della bonifica, avevano creato all’in-terno della popolazione. E’ marito di Maria Teresa Mioni,legata da vincoli di parentela alle famiglie degli “ottimati”locali; è inoltre sensibile e umanissimo presidente della Con-gregazione di Carità cui sono affidati l’ospedale civile, ilricovero di mendicità e l’orfanotrofio femminile. DiEntigerno, un’accattivante figura di uomo, si rammenta che“nella sua sede di lavoro, durante le fasi più contestate delfascismo declinante, raccoglie una specie di club infor-male di uomini alquanto liberi: Luigi Vincenzi, suo consocio,repubblicano, il professor Francesco Carli, già popolare,l’avvocato [Luigi] Bellini, già socialista, il dottor Mario(Raimondo) Bonnet, liberale, e alcuni cattolici che si eranoiscritti al partito fascista nel 1935 a seguito della concilia-zione tra Chiesa e Stato, ma erano rimasti popolari nel-l’animo e saranno tra i fondatori, a liberazione avvenuta,del partito della Democrazia Cristiana”14.
I prati della Molinazza sul retro della via Garibaldi, tra ilcanale S. Agostino e via Isola, la strada (ora via Gramsci)che porta alla bonificata valle omonima, godono di unaposizione privilegiata per i traffici su acqua grazie ai nuovicanali Marozzo e Botte i quali attraversano le nuove terree sono agevolmente raggiungibili dal S. Agostino. Il previ-sto collegamento di via Isola con la nuova strada Tresigallo- Porto Garibaldi (la Via del mare) rende il sito ancor piùfavorito. Su questi prati Camillo Zannini, un maestro ele-mentare per più anni direttore didattico, fratello di Antonioe di Giuseppe Zannini e come loro dotato di indubbia genialitàe abilità imprenditoriale, costruisce un grande opificio oveimpianta una segheria elettrica, una falegnameria e un de-posito - rivendita di legnami, stanti le richieste ognora cre-scenti provenienti dall’edilizia. A pochi metri dall’opificio,all’incrocio dell’accesso ai prati della Molinazza (ora viaArturo Bellini) con l’odierna via Gramsci, Vitali nel 1932progetta per Camillo Zannini la bella casa di civile abita-zione ben individuabile per l’ampiezza e per la scala ester-na (fig. 7). Gli elementi decorativi modellati nel cementosull’architrave delle finestre e della porta d’ingresso, o neiferri battuti delle inferriate e delle ringhiere dei balconcini
Fig. 7. Casa del maestro Camillo Zannini (1932).
Fig. 8. Sartoria di Pietro Fogli (1924), Archivio Vitali.
sono il segno evidente del decoro piccolo - borghese cui ilmaestro aspira.
Proseguendo nella lettura dei nominativi dei commit-tenti del nostro architetto incontro i nomi di Pietro Fogli, diVito Felletti Spadazzi, Gastone Bellini, Arturo Cavallari,Felletti Virgili e di altri di cui posso dire ben poco o addirit-tura nulla anche perché mancano i “suggerimenti delleopere” a ricostruire il teatro della memoria.
Pietro Fogli, da tutti conosciuto come Piretto, è un otti-mo sarto da uomo che alla professione aggiunge la condu-zione di un negozio di stoffe nella centralissima PiazzettaUgo Bassi. A Vitali, oltre al restauro della casa di abitazio-ne del Fogli (1921), posta sopra il negozio, si deve la deco-
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razione dei pannelli all’esterno della sartoria, ben visibilinella foto d’epoca15 (fig. 8).
Vito Felletti Spadazzi appartiene ad una doviziosa fa-miglia di Comacchio di buona fama; nel 1925 è l’acquiren-te della “fabbrica dei pesci” (la rivenderà nel 1932), il grandecomplesso aziendale di via Mazzini, impiantato nel 1905,ove si svolge la manifattura dei pesci delle Valli diComacchio16. E’ il fratello, ex patre, di Alberto FellettiSpadazzi il quale dal 1935 al 1956, quasi ininterrottamente,regge con intelligenza, fermezza e ineguagliabile periziatecnico - amministrativa l’Azienda Valli Comunali di Co-macchio: un lungo periodo in cui si susseguono anni difiduciosa speranza, di calamità provocate dalla natura edagli uomini, non ultima la guerra, di rinascite e miserie viavia crescenti fino alle grandi bonifiche idrauliche della se-conda metà del Novecento”17.
Del fabbricato rurale e della casa colonica innalzate aMagnavacca nel 1921 e 1922, dove la famiglia FellettiSpadazzi possiede una vasta campagna, non è rimastamemoria (allo stato delle ricerche): non dimentichiamo cheMagnavacca è stata distrutta dai bombardamenti dellaseconda guerra mondiale.
Anche della casa che Gastone Bellini fa costruire lun-go la spiaggia nel 1925 non rimane memoria. Forse, piùche alla guerra, la distruzione è dovuta all’erosione dellacosta che in quegli anni diviene un grave problema per illitorale comacchiese. Gastone Bellini, come Felletti Spadazzie Luigi Vincenzi, appartiene ad una doviziosa ed illustrefamiglia di Comacchio: è nipote, ex filio, di Luigi Bellini(1831-1908), il grande industriale della produzione eammarinatura del pesce di valle.
Sono di Vitalino, infine, i restauri (1925) della casa cheArturo Cavallari possiede in Comacchio all’inizio della Piaz-za del Presidio, il vecchio nome dell’odierna Piazza Roma,a poche decine di metri dal grande edificio scolastico, sor-to sull’antico convento dei SS. Agostino e Mauro, all’estre-mità orientale della città. Sul fianco della casa ArturoCavallari edifica un negozio destinato alla vendita di gene-ri alimentari, condotto dalla moglie Pia Cavallari.
I Felletti Virgili, infine, appartengono ad una antica eillustre famiglia comacchiese della quale ricordo nell’Ot-tocento Anton Luigi, arciprete della cattedrale, l’unica par-rocchia della città fino al 1950; il padre Pier Gaetano, in-quisitore domenicano a Bologna, il protagonista del clamo-roso caso Mortara (un ragazzo ebreo di Bologna sottrattonel 1859 alla sua famiglia perché battezzato di nascostodurante una grave malattia dalla domestica cristiana); ilcanonico dottor Appiano, accademico tiberino, avvocato
di S. Pietro, un uomo chiuso nell’appassionata difesa dellestrutture cristiane della società e del dominio temporaledei papi che esaltò in sonetti di natura politica, cognato diAlfonso Perini il quale ne aveva sposato la sorella Rosa.Fu Perini un grande patriota che all’indomani dell’unifica-zione dell’Italia partecipò attivamente “all’impianto delloStato” ricoprendo vari incarichi amministrativi presso leprefetture del centro e sud d’Italia, reggendone talune.Ricordo, poi, Giovanni Felletti Virgili, più volte consiglierecomunale clerico - moderato18. Inoltre, nel Novecento, l’in-gegnere Arrigo (Enrico), valido tecnico comunale e idrau-lico di buona esperienza nella conduzione dello stabilimen-to vallivo.
Accanto alle edicole funerarie della famiglia Virgili eret-te nei cimiteri di Comacchio e di Ferrara, e alla casa (nonindividuata) di Vincenzo Felletti Virgili in via Garibaldi l’at-tenzione va ai disegni che Vitale Vitali redige per conto diquest’ultimo e relativi alla ristrutturazione (non portata acompimento) di un esteso fabbricato in via Cavour, conti-guo alle case abitate ab immemorabili dai Virgili.
Ultima, in ordine di tempo, resta la cancellata davantialla chiesa del Suffragio o di S. Antonio di Padova, all’ini-zio di via Cavour (fig. 9). E’ commissionata a Vitale Vitalidalla Confraternita di S. Antonio a chiusura delle celebra-zioni del settimo centenario della morte (1231) del “Santodei miracoli” verso il quale Comacchio manifesta una con-siderevole venerazione. A questo proposito ricordo l’affol-lata partecipazione all’annuale processione che il 13 giu-gno di ogni anno si svolge lungo le vie della città, apertadallo stendardo processionale con l’immagine del santo e,sotto, di una barca che corre sicura a vele spiegate sulleonde del mare.
Fig. 9. Cancellata davanti alla chiesa del Suffragio (1932).
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Note1 P. Bevilacqua, Le bonifiche, in M. Isnenghi (a cura di), I luoghidella memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, cit. da S. CarliBallola, Da pescatori a contadini. La bonifica e la riforma agra-ria (1950 - 1968), in A. Berselli (a cura di), Storia di Comacchionell’età contemporanea, vol. I, Ferrara, Este Edition, 2002, p. 589.2 A. Zamboni, Comacchio: i luoghi della memoria, gli atteg-giamenti, i modi di essere, le tradizioni..., in A. Felletti,Comacchio sommersa, Ferrara, Maurizio Tosi Editore, 2002.3 C. A. Campi, La bonifica ferrarese dal primo dopoguerra adoggi, in “La Pianura”, n. 2, 1999, pp. 18 - 19, cit. da A. Rossi,Dall’acqua alla terra. Bonifica e trasformazione agraria dellevalli comacchiesi (1915 - 1950), in A. Berselli (a cura di), op.cit., p. 566.4 G. Raimondi, C. Martignoni (a cura di), Notizie dall’Emilia,Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1976, p. 84.5 G. Piovene, Viaggio in Italia, Milano, Baldini & Castoldi, 1999,p. 299.6 Ibidem. Sullo stato miserando delle case di Comacchio, in diret-to rapporto con la depressione economica della città, vedi per ilperiodo in esame L. Bellini, Una zona di delinquenti di abitudi-ne, Milano - Torino - Roma, Fratelli Bocca Editori, 1919. Sullagrave situazione edilizia alla vigilia del secondo conflitto mon-diale addirittura cruda è la denuncia che l’ex commissarioprefettizio del Comune di Comacchio , Alberto Felletti Spadazzi,presenta in: A. Felletti Spadazzi, Come e dove vive la popolazio-ne di Comacchio, Parma, Soc. An. Tip. Riunite Donati, 1938.7 F. Carli, Le case senza porte, in AA.VV., L’Anima Azzurra,Comacchio, 1905: una raccolta di poesie che presentano moltiaspetti della Comacchio dei primi anni del Novecento.8 Sulle case senza porte vedi, tra gli altri, L. Bellini, op. cit.; A.Felletti Spadazzi, op. cit.; A. Zamboni, op. cit.9 G. Samaritani, Problema comacchiese, in “La Rivista - GiornaleDemocratico”, n. 10, 2 febbraio 1911, cit. da F. Pozzati, Comacchiotra pescicultura e società, Ferrara, Corbo Editore, 1996, p. 62.Giacinto Samaritani è stato il maggior tecnico dello stabilimentovallivo e uomo politico dei primi anni del Novecento.10 V. Vandelli, L’Emilia senza mura: la riorganizzazione dellecittà e la diffusione del Liberty in Emilia, Modena, 1988, p. 10.11 Sulla chiesa di S. Carlo vedi A. Zamboni, La chiesa di S. Carloe la strada dei Cappuccini, in “Anecdota”, Quaderno della bi-blioteca L. A. Muratori , 2, Anno XII, 2002, in corso di stampa.12 L. Scardino, Vitale Vitali (1893 - 1961) Architettura - Grafica- Pittura, Ferrara, Liberty House, 1989, p. 14. Il volume è statopubblicato in occasione della mostra retrospettiva su Vitale Vita-li, allestita dal Comune di Bondeno - Assessorato alla Cultura -presso la “Casa Società Operaia” di Bondeno (20 maggio-11giugno 1989).13 A. Felletti Spadazzi, Comacchio ancora crisalide, Storia diComacchio, vol. II, Ferrara, Liberty House, 1987, pp. 320 - 321.14 A. Samaritani, Profilo storico sul primo cinquantennio delsecolo a Comacchio, in AA. VV., Comacchio vista dai
comacchiesi, Ferrara, Maurizio Tosi Editore, 2000, p. 24.15 In L. Scardino, op. cit., p. 53.16 A. Zamboni, La “Fabbrica dei pesci” dietro il loggiato deiCappuccini e la sede amministrativa delle Valli Comunali diComacchio, in “Anecdota”, Quaderni della biblioteca L. A.Muratori, 1, anno XI, 2001, p. 62.17 Ibidem, pp. 90 - 91.18 A. Zamboni, Istituzioni ecclesiastiche e movimento socialecristiano dall’Ottocento ad oggi, in A. Berselli (a cura di), op.cit., p. 279, p. 304.
Fonti delle illustrazioniFig. 9 tratta da:L. Scardino, Vitale Vitali (1893-1961). Architettura - Grafica -Pittura, Ferrara, Liberty House, 1989, p. 17.
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Itinerario storico-fotografico di ComacchioFranco Luciani
Esaminando con attenzione le immagini1 di questo per-corso fotografico, riferito alla Comacchio di un tempo,possiamo notare che la città vantava una struttura urbani-stica uniforme e armoniosa; in essa era riconoscibile lostile tipico lagunare con strade strette completamenteacciottolate, ponti di mattoni a grandi volte, una vasta retedi canali ed un insediamento abitativo di estremo decoro.
Città e specchi vallivi circostanti formavano un am-biente naturale ed inimitabile.
Dal confronto con le immagini fotografiche recenti nederiva una profonda delusione a causa di alcuni impietosiinterventi edilizi che hanno, in parte, stravolto l’integritàurbanistica e che hanno offeso l’uniformità e il decoro dellacittà. A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, sonostati tombati alcuni canali, prosciugati specchi vallivi, ab-battuti diversi ponti e tutto ciò in nome di una esasperatamodernità che non ha tenuto conto delle peculiaritàincontaminate del contesto territoriale con un minimo dibuon senso.
La “nuova edilizia” ha trasformato la fisionomia dellavecchia città impiegando artifizi e nuovi materiali in nettocontrasto con quella magnificenza antica che la rendevaperfetta e cara alle anime pensanti.
All’architetto Vitale Vitali va la mia gratitudine e quelladei cittadini quasi centenari che lo ricordano col vezzeg-giativo di “Vitalino”. La sua pregevole opera di costruzio-ne e di restauro parla per lui e Comacchio lo annovera trai suoi figli più importanti.
Note1 Le immagini fotografiche sono tratte dalle collezioni privateDomenico Fogli e Franco Luciani e dal volume: F. Luciani, Vsén’a la ròle dél chemén’. Tradizione popolare storia poesiadialettale, Rimini, 2001.
Fig. 1. Festa annuale dedicata a Sant’Antonio di Padova. Sulla destra laChiesa del suffragio delimitata dall’ampia e artistica cancellata in ferro.La foto risale ai primi anni Sessanta del secolo scorso.Foto Domenico Fogli tratta da F. Luciani, op. cit.
Fig. 2. E’ ancora visibile, oltre alla cancellata, l’integrità del tessutourbano comacchiese. La foto risale ad un periodo anteriore.Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
Fig. 3. Via Sambertolo. Chiesa del santo Rosario costruita nella primametà del XVII secolo. Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
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Fig. 4. Via Stimmate, via Rosario. La casa nelle vicinanze del secondoponticello era di proprietà del Sig. Paolo Alessandro Fogli detto Pietro(Piren), marito di Assunta Cavalieri detta l’uccellara, badante di mino-ri: una stanza al piano terra era infatti adibita a scuola per bambini.Come si può notare il ponte “Pozzati”, che si trovava immediatamentedopo i due ponticelli, era già stato demolito.Foto Ribo, Collezione Franco Luciani.
Fig. 5. Piazzetta Ugo Bassi. In primo piano, a destra, la casa conrelativi negozi di stoffa e merceria del Sig. Pietro Fogli detto Piretto(Pirato). Sulla sinistra si nota uno scorcio dell’abitazione del Sig. LuigiCavalieri. La cartolina risale ai primi anni del 1950.Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
Fig. 6. Piazza Umberto I (attuale piazza V. Folegatti). L’edificio in fondo a sinistra con il balconcino era adibito a negozio per la vendita di bicicletteed era di proprietà dei fratelli Zannini. La foto porta la data 24.12.1929, ma l’immagine è sicuramente anteriore. Cartolina d’epoca, Collezione FrancoLuciani.
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Fig. 7. Piazzetta Ugo Bassi in un giorno di festa Nazionale. Sulla faccia-ta dell’abitazione a sinistra svetta la bandiera con lo stemma Sabaudo. Ilproprietario, sig. Pietro Fogli, si intravede tra una pila di stoffe esposteall’ingresso della sartoria.Foto Domenico Fogli tratta da F. Luciani, op. cit.
Fig. 8. Via Sambertolo angolo via Bonnet. In primo piano sulla destra èvisibile parte del fabbricato che era abibito ad uffici statali, abitazioni enegozi. L’immagine risale alla metà degli anni Sessanta.Foto, Collezione Franco Luciani.
Fig. 9. Piazza XX Settembre. Sulla parte destra della foto si individuanell’immobile più alto l’abitazione del sig. Antonio Gelli detto Fighedlen’.Al piano terra il negozio di generi alimentari gestito dallo stesso Gelli.L’immagine risale alla fine della prima metà del secolo scorso.Foto, Collezione Franco Luciani.
Fig. 10. In primo piano veduta della facciata centrale del cinema-teatroZannini-Vicentini risalente ai primi anni del 1960.Foto, Collezione Franco Luciani.
Fig. 11. Cinema-Teatro. Trasformazione del prospetto principale.Foto, Collezione Franco Luciani.
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Fig. 13. Antica immagine di piazza Duomo e Corso Vittorio Emanuele (attuale Corso Mazzini). Sul margine sinistro l’ex cinema-teatro Zannini,dovuto alla trasformazione di un’antica chiesa. La foto è databile intorno ai primi decenni del 1900.Foto Domenico Fogli tratta da F. Luciani, op. cit.
Fig. 12. Corso Vittorio Emanuele, sulla sinistra si nota, in scorcio, la facciata della chiesa di San Nicolò. Primo NovecentoCartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
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Fig. 14. Corso Vittorio Emanuele. In fondo a destrail prospetto laterale del cinema teatro Zannini-Vicentini.Foto Ribo, Collezione Franco Luciani.
Fig. 16. Piazza Duomo. A destra sono visibili: l’edi-ficio adiacente la chiesa con la scritta “Entigerno” e iltimpano triangolare della stessa. La cartolina è af-francata e datata 27.12.1901.Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
Fig. 15. Corso Vittorio Emanuele all’inizio del seco-lo scorso. Sulla sinistra, adiacente il Palazzo Zanoliverso la chiesa dei Cappuccini, è visibile la casa diproprietà di Vitale VitaliCartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
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Fig. 17. Corso Vittorio Emanuele. Casa di civile abitazio-ne di proprietà del sig. Antonio Cinti fu Tommaso. L’im-magine è databile fine anni ’40.Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
Fig. 19. Veduta (a sinistra) di una parte dell’abitazionedel sig. Celeste Carli fu Antonio. L’immagine è degli anniSessanta.Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
Fig. 18. Veduta dell’ex chiesa di S. Carlo Borromeo (asinistra) trasformata successivamente in mulino. La nuo-va attività era gestita dal cav. Salinguerra Bignozzi. Lacartolina è affrancata e datata 09.06.1926.Cartolina d’epoca, Collezione Franco Luciani.
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TestimonianzeCristina Nagliati, Rita Vitali
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Tracciare il profilo professionale di Vitale Vitali è statopossibile unicamente attraverso la documentazione scrittao grafica reperita. Né tra i committenti né tra i suoi colla-boratori, infatti, si è potuto raccogliere le testimonianze dicoloro che l’hanno conosciuto come architetto. Sono quidi seguito riportati i racconti ed i ricordi di alcuni familiari,colleghi di scuola ed amici, attraverso i quali trasparel’aspetto umano di Vitali e l’ambiente in cui è vissuto.
Fig. 1. Foto “formato visita” di Vitali, 1908, Collezione Vitali.
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INCONTRO con il figlio Alberto, le nipoti Patrizia eValeria Vitali e un’amica di famiglia, GiovannellaGuerra, presso la casa del figlio Gian Ferruccio invia Bellaria n. 36.Ferrara - 12/09/2002Intervista di Lorenzo Bergamini, Francesca Pozzi, Raffa-ella Piva e Cristina Nagliati
Alberto: I nonni abitavano a Comacchio in Corso Vit-torio Emanuele, vicino alla casa del Rag. Carli, Tesorieredella Banca d’Italia: è quella casa grande prima del Duo-mo, che si incontra a sinistra venendo dai Cappuccini. Pri-ma abitavano a Porto Garibaldi. Ricordo che vicino al por-to, di fronte alla famiglia Stella, c’era uno stabilimento supalafitte. Alcuni parenti abitavano vicino al Vecchio Mer-cato e avevano un negozio di stoffe vicino al vecchio Mu-nicipio di Comacchio.
Il nonno lavorava alle dipendenze della “Impresa EdileCini” come direttore dei lavori del molo di Porto Garibaldi.Il nonno è morto nel ’29 e la nonna durante la secondaguerra mondiale. Entrambi sono sepolti a S. Giuseppe nel-la tomba di famiglia.
A Bologna, nel 1913, mio padre conosce mia madre.Lei era in una gita al Santuario della Madonna di San Lucaassieme alle Contessine Aquaderni. Mia madre studiavanel Collegio Sacro Cuore presso le suore Dorotee.
Patrizia: La nonna mi raccontava spesso del loro pri-mo incontro: durante la scampagnata lei e le amiche ave-vano visto arrivare un gruppo di ragazzi dell’Accademia,tutti belli scapigliati, con grandi fiocconi ed i capelli lunghi.I ragazzi avevano iniziato a fare gli spiritosi con loro ra-gazze e così si sono conosciuti. E’ stato amore a primavista.
Alberto: Mio padre a quell’epoca andava sempre intuta coi capelli lunghi. Mia madre non era bella, era untipo.
Valeria: Ma come se dicono che assomiglio io alla non-na: non sono mica brutta!
Alberto: No, infatti, sei un tipo anche tu…!Poco dopo il loro incontro, mio padre è partito per il
fronte. Durante il periodo bellico, mio padre ha avuto oc-casione di partecipare al concorso per la costruzione delTeatro di Trieste, dove stava prestando il servizio militare.
Patrizia: Ricordo che mio nonno ha elaborato un pro-getto anche per un altro teatro e per la Casa del Fascio diFerrara.
Alberto: I miei genitori si sono sposati nel 1921. Il 22/2/1922 sono nato io, mentre il 31/10/1928 è nato mio fratello
Gian Ferruccio. Io sono nato a Bologna, ma, dopo qualchemese dalla mia nascita, ci siamo trasferiti a Ferrara, primain via Alberto Lollio, poi in via Madama ed infine, nel 1928,in via Scandiana, al n. 3, nel palazzo del Conte Mazza. Quila mia famiglia è rimasta fino al 1953 - l’anno seguente almio matrimonio - quando è andata ad abitare in via Ortigaran. 6.
Giovannella: E’ nel palazzo di via Scandiana che lenostre famiglie si sono conosciute. Allora io ero solo unabambina, ma ricordo che in quella casa regnava un atmo-sfera ovattata e molto serena. Il professor Vitali e suamoglie, la “tata Gina”, erano un tutt’uno. La loro casa eraper me e mio fratello il nostro parco giochi.
Patrizia: Mio nonno nella sua austerità era di una bon-tà e dolcezza straordinaria. E’ morto quando io avevo set-te anni. Ricordo che, quando era professore al Bonati, mipiaceva inginocchiarmi accanto a lui mentre correggeva idisegni dei suoi alunni e sovente gli chiedevo che cosavolesse dire il voto che aveva segnato. Lui mi rispondeva:“E’ un cinque. Vuol dire che non è fatto molto bene”. Al-lora io imploravo: “ Ma nonno...Dagli un po’ di più”. E luibonariamente mi diceva: “Ma, “Cincera”, non si può... Laprossima volta gli darò di più.”
Era anche un grande collezionista di francobolli: l’uni-
Fig. 2. V. Vitali, Schizzo per mobile, Archivio Vitali (busta 54, doc. 14).
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ca persona che poteva toccarli ero io, ma solo con le pin-zette.
Alberto: Ho sempre avuto il dubbio che fosse mortoproprio a causa del furto della sua preziosa collezione difrancobolli. Allora abitavamo in via Ortigara al n. 6 e nonc’erano le inferiate al piano rialzato, c’era solo una speciedi balconcino: i ladri hanno alzato la serranda e sono entra-ti mentre eravamo in montagna.
Patrizia: Era il 15 d’agosto. Me lo ricordo perché mihanno rubato i cappotti mentre eravamo in vacanza….
Giovannella: Un’altra cosa che ricordo bene dello stu-dio del professor Vitali sono i suoi plastici d’architettura: ame sembravano come le ambientazioni del presepe e mipareva che in quella casa fosse sempre Natale.
Alberto: Sì, è vero. Ricordo che aveva fatto anche unaspecie di teatrino.
Patrizia: Invece, per me, il nonno ha fatto quella che iochiamo “la prima casa di Barbie”: è a forma di baule condue snodi. Si apre questa cassa e c’è la cucina, la camerada letto, il salotto, il bagno, con tutti i mobili in legno. Risaleal 1956-1957, quando io era bambina.
Alberto: Mio padre era anche un ebanista. Ha fattouna credenza stile fiorentino. (fig. 2)
Giovannella: Era anche un grande studioso. Avevapersino smontato un nostro quadro antico per analizzareda vicino la tela e per poterlo restaurare.
Patrizia: Purtroppo, invece, tutti i nostri quadri in telasono stati rubati…
Alberto: Aveva realizzato copie di quadri conservatinella Chiesa di S.M. in Vado. È stata rubata anche la co-pia del S. Sebastiano.
Patrizia: Sono rimasti solo due quadri grandi non intela: uno rappresenta S. Agata e l’altro la Madonna.
Alberto: Tra gli amici dell’Accademia di Bologna ave-va mantenuto i contatti solo con Morandi e Virgili. Questigli ha fatto anche un busto.
Valeria: Nel 1913, nel periodo dell’Accademia, il non-no ha fatto un autoritratto (fig. 3) ed ha realizzato ancheun busto della nonna. A Ronta è conservata la copia delquadro “La Madonna dei tre fiumi”.
Alberto: Ha realizzato anche una scultura di mio fra-tello da giovane, nel 1935 circa. A Ronta è conservatoanche un busto del nonno (fig. 4) e a Catania c’è un bustodi mio padre.
Ricordo che ha collaborato sovente con un artigiano diFerrara, Ugo Rossetti, con cui ha realizzato il disegno del“Bambin Gesù” conservato nel Duomo di Comacchio.
Mio padre è sempre stato un repubblicano. Anche Balbo
Fig. 3. V. Vitali, Autoritratto (1913), Collezione Vitali.
Fig. 4. Foto di V. Vitali, 1911, Collezione Vitali.
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lo era inizialmente. Poi, durante il Fascio, anche mio padresi era iscritto al partito a Comacchio, ma questo non èservito a permettergli di esercitare la professione d’archi-tetto dopo l’istituzione degli Ordini professionali. Nonostan-te tutto, non ha mai recriminato nulla.
Nel dopoguerra è stato nominato Assessore all’Ana-grafe per il partito repubblicano.
Mio padre è sepolto alla Certosa di Ferrara, nella tom-ba di famiglia vicino alla cappella dei partigiani.
INCONTRO con Cesare Guerra, amico della fami-glia Vitali, presso la sua abitazione in via Messico n. 5.Ferrara - 11/09/2002Intervista di Cristina Nagliati
Conosco la famiglia Vitali perché abitavamo nello stes-so palazzo, quello del Conte Mazza in via Scandiana, noinell’ammezzato e loro nell’altana, in un appartamento cheera grandissimo.
Ricordo con precisione la casa del prof. Vitali e lo stu-dio in cui dipingeva: in un angolo c’era una sua fotografia,su un ripiano stavano alcuni plastici di architettura che ame sembravano giocattoli e su dei cavalletti teneva copiedi quadri celebri da lui realizzate, come il “San Sebastiano”che si trova nella Chiesa di S. M. in Vado. Le pareti eranoricoperte da libri e numerosi erano anche i disegni di archi-tettura che il professore conservava arrotolati.
Alcuni mobili erano stati realizzati da lui: a me sembra-vano monumentali, ma spesso ciò accade quando si è pic-coli. In particolare, c’era una credenza che mi colpiva moltonon solo per la sua imponenza, ma soprattutto perché ter-minava con i piedi a forma di zampe di leone.
E’ stato proprio il professor Vitali ad insegnarmi i primirudimenti del disegno a mano libera. Allora io ero solo unbambino e mi piaceva copiare le copertine di “Topolino”coi pastelli: così il professore mi spiegava che per ripro-durre fedelmente le figure dovevo usare i reticolati pro-porzionali. Sovente mi aiutava a disegnare, trascorrendocon me interi pomeriggi. E’ grazie a lui che mi sono appas-sionato al disegno artistico.
Il professor Vitali dipingeva in continuazione: in parti-colare, rammento quando ha realizzato un quadro raffigu-rante i tetti di via Madama. Mi pare ancora di vederlo:seduto accanto alla finestra della cucina, con la sua giaccada camera color cammello e gli occhiali calati sul naso.
Realizzava dei chiaroscuri formidabili, portando a gran-di dimensioni fototessere a volte piccolissime. Si metteva
Fig. 5. V. Vitali, Ritratto di Cesare e Giovannella Guerra (fine anni‘40), Collezione Privata, Ferrara.
al tavolo inclinato nello suo studio che affacciava su viaScandiana e disegnava ore ed ore: una volta finito il dise-gno a matita o a carboncino, lo fissava con l’albume. An-che a me aveva insegnato a poco a poco la tecnica delchiaroscuro: mi aveva regalato la gomma pane e la cartapressata per sfumare il segno ed anche una delle primepenne “bic” che non sempre funzionava bene.
Amava molto fare ritratti: ne aveva realizzato uno raf-figurante me assieme a mia sorella Giovannella da bambi-ni e poi ce lo aveva regalato come segno d’affetto (fig. 5).Eravamo molto legati al professor Vitali ed alla moglie, la“tata Gina”. All’epoca i figli erano studenti ed i coniugiVitali avevano così molto tempo da dedicare a noi bambi-ni: sovente entrambi ci aiutavano a svolgere i compiti. Unavolta, sul mio quaderno, il professor Vitali aveva disegnatouno splendido ramo di biancospino sotto l’omonima poe-sia. In classe la suora si era complimentata per il trattoleggero della matita e per la maestria con cui avevo ado-perato i pastelli ed io, inorgoglito, non le avevo confessatodi non esserne l’autore.
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Avevamo anche dei nostri “riti”, come mettere le bri-ciole di pane per gli uccellini sul davanzale quando c’era laneve e di attaccare le figurine di carta, facendo la collacon la farina sciolta in un pentolino d’acqua sul fuoco. Mipiaceva anche dormire nel lettone con loro: al mattino misvegliavo sempre circondata da una fila di sedie che la“tata Gina” disponeva per paura che io cadessi.
INCONTRO con il prof. Angelo Ruvioli, collega delprof. Vitali, presso la sede dell’Ordine degli Archi-tetti di Ferrara in Corso Giovecca n. 159.Ferrara - 3/10/2002Intervista di Cristina Nagliati
Ho conosciuto Vitale al “Bonati” di Ferrara a partiredagli anni ’50. Allora io ero un “professorino alle primearmi”, mentre lui un collega di già matura esperienza. Eraun uomo robusto, non grasso, di quelli il cui aspetto este-riore rivela immediatamente il carattere dell’animo: era,infatti, cordiale, disponibile, gioviale, un “bontempone” in-somma, sempre pronto al riso ed allo scherzo. Racconta-va spesso le barzellette.
Vitale era molto amico di Alfonso Sautto, professore dicalligrafia, storico ferrarese nonché appassionato di ricer-che genealogiche. Anche lui era uno dei professori più an-ziani e, come Vitali, era molto affabile e sorridente. In ta-sca aveva sempre caramelle da dare a tutti i colleghi: così,quando è morto, al suo funerale ciascuno di noi aveva por-tato per lui una caramella per ricambiare quel gesto d’af-fetto e gentilezza.
Vitale era benvoluto dagli studenti e dai professori e siprodigava per tutti. Ricordo, infatti, che una nostra collegaaveva ricevuto dai Cavalieri del Lavoro di Bologna unamedaglia d’oro e, per commemorare l’evento, Vitali ave-va realizzato per lei una pergamena miniata.
INCONTRO con Giovannella Guerra, amica della fa-miglia Vitali, presso la sua abitazione in via Bartolinoda Novara n. 1/A.Ferrara - 2/10/2002Intervista di Cristina Nagliati
La famiglia del professor Vitali e la mia sono semprestate molto legate: infatti, i miei genitori sono stati i testi-moni del figlio Alberto al suo matrimonio, accompagnan-dolo persino in viaggio di nozze fino a Monselice, mentrela “tata Gina”, moglie del professore, aveva assistito miamadre durante la mia nascita.
All’epoca i figli erano già adulti e mio fratello ed io,allora bambini, eravamo quei nipoti che i coniugi Vitali an-cora non avevano: ci coccolavano molto e anche noi liconsideravamo come i nostri nonni, trascorrendo interipomeriggi con loro. Quasi quotidianamente, la sorella Elsaveniva a trovare il prof. Vitali: avevano un carattere moltosimile, entrambi sorridenti e gentili. Anche la signora Elsanutriva grande affetto per me e, per questo, amava realiz-zare e ricamare abitini da regalarmi: in particolare, ne ri-cordo uno coi pulcini gialli.
Entrando in casa Vitali, si percepiva un grande senso dipace, serenità, armonia: era una famiglia molto unita. Lostudio appariva come un vero e proprio atelier, colmo -com’era - di tele e disegni: ripensandoci oggi, direi chesembrava una di quelle mansarde affittate dagli artistibohemien nella Parigi di fine Ottocento. In ogni angolo sitrovava un cavalletto: ricordo che il professore iniziava piùquadri contemporaneamente e amava molto eseguire ri-tratti. Sovente si aiutava anche con le foto, come nel casodel dipinto che raffigura me e mio fratello: allora, infatti, ioavevo solo pochi anni e tenermi in posa per molto tempoera davvero un’ardua impresa …
Repubblicano convinto e fedele, teneva in bella mostrauna foto di Giuseppe Mazzini: è stato proprio il professorVitali il primo a parlarmi del Risorgimento Italiano e a rac-contarmi la storia dell’arte come si raccontano le favole.Mi piaceva in particolar modo l’aneddoto su Giotto e lasua celebre “O”.
Vitalino – così lo chiamava sua moglie – era un uomobuono e paziente: trascorrevo molte ore con lui, cercandodi copiare i suoi disegni. Ma ero una gran pasticciona edinvece di disegnare, praticamente passavo il tempo a can-cellare ciò che scarabocchiavo. Il professore mi avevacosì insegnato a usare la lametta al posto della gomma eda sfumare i colori con la mollica del pane – quello senz’olio,naturalmente, altrimenti rimangono gli aloni…
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INCONTRO con la prof.ssa. Elisabetta Tumaini, col-lega del prof. Vitali, presso la sua abitazione inPiazzetta Combattenti n.4Ferrara - 16/10/2002Intervista di Rita Vitali e Cristina Nagliati
Ho conosciuto Vitali al “Bonati” di Ferrara alla finedegli anni ’50, l’anno in cui io ero Preside incaricata nel-l’Istituto. Egli era una persona molto riservata e schiva,che non stringeva forti amicizie tra i colleghi, ma sapevainstaurare ottimi rapporti con gli allievi. A scuola, vivevapraticamente nell’aula di disegno; raramente si fermavanei corridoi con gli altri insegnanti: non parlava quasi maidi sé o della sua famiglia e, se volevi sapere qualcosa,dovevi praticamente interrogarlo.
Durante le sue lezioni riusciva a mantenere le classi -che allora erano davvero numerose - in un silenzio assolu-to, pur non essendo un uomo severo. Sapeva suscitarenegli studenti un grande interesse per la materia che inse-gnava e, nei miei giri d’ispezione, li vedevo sempre tutticosì attenti ed impegnati a disegnare. Sovente il Professo-re portava le sue xilografie a scuola per mostrarle ai ra-gazzi. Ne custodiva molte nel suo armadietto in aula. Io neconservo due: una veduta di Comacchio, che Vitali mi hapersonalmente regalato in occasione del Natale, ed un’im-magine del Duomo di Ferrara, che gli ho quasi requisitodurante una mia visita alla classe.
INCONTRO con Maria Satia Resca, allieva del prof.Vitali, presso l’abitazione in via Bartolino da Novaran. 1/A.Ferrara - 30/09/2002Intervista di Cristina Nagliati
Il professor Vitali è stato un mio insegnante al “Bonati”di Ferrara alla fine degli anni ’50. Era un uomo molto di-stinto, che sapeva instaurare buoni rapporti con gli studen-ti. Come professore era austero, ma non severo; preten-deva molto da noi studenti, perché era preciso e pignolo.
Non insegnava solo disegno tecnico, ma anche artisti-co, facendoci eseguire lavori a mano libera, con la china echiaroscuri. Inoltre, cercava di ampliare i nostri orizzonticulturali, accompagnandoci a visitare mostre, musei ed iprincipali palazzi di Ferrara, come Palazzo Schifanoia, CasaRomei ed il Palazzo della Marfisa. Riusciva, cioè, a susci-tare l’interesse per quell’arte che lui per primo amava tanto.
Fig. 5. Foto di classe a.s. 1959/60, Collezione Vitali.
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BiografiaCristina Nagliati
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Vitale Vitali nasce a Magnavacca (attuale PortoGaribaldi) il 17 marzo 18931 da famiglia di nobili origini2.Figlio di Giovanni Maria, direttore lavori del molo di PortoGaribaldi alle dipendenze della “Impresa Edile Cini”, e dellaseconda moglie, Elvira Carli-Ballola, levatrice, Vitali si tra-sferisce ancora bambino ad abitare a Comacchio, in unagrande casa a fianco dell’abitazione del Ragionier Carli,Tesoriere della Banca d’Italia3.
“Dopo le scuole elementari e Tecniche frequentatea Comacchio”4, Vitali consegue la licenza di Scuola Tec-nica Pareggiata con indirizzo comune a Ferrara nel 19085.Iscrittosi all’Istituto Tecnico “Vincenzo Monti”, lo abban-dona dopo appena un anno “per dar l’esame di ammis-sione alla Regia Accademia di Belle Arti di Bologna”6
nel 1909.Qui Vitali studia Prospettiva, Teoria delle ombre, Or-
nato, Figura Plastica, Storia dell’Arte e Architettura, mo-strando da subito un particolare interesse e predisposizionein quest’ultima disciplina7. Nel capoluogo emiliano, tra icompagni, conosce Giorgio Morandi, Giuseppe Virgili8,scultore ferrarese, e Severo Pozzati, grafico comacchiesedivenuto noto con lo pseudonimo di Sepo, mentre, comeinsegnanti, ha Gualtiero Pontoni, Edoardo Collamarini,Augusto Majani, Enrico Barbieri ed Angelo Gatti9.
Nonostante la durata triennale dei corsi, Vitali riesce aconseguire la licenza del Corso comune alla fine del se-condo anno10 e, analogamente, quella del Corso Specialed’Architettura nel 191311. Nel 1914 sostiene l’esame diAbilitazione all’Insegnamento nelle Scuole Tecniche eNormali12 ed inizia ad insegnare Disegno d’ornato e linea-re presso la Scuola Tecnica Comunale di Comacchio13;contemporaneamente, frequenta a Bologna il Quarto Cor-so Speciale facoltativo di Architettura, ottenendo il titolo diProfessore di disegno architettonico nella Sessione d’otto-bre dello stesso anno14.
Chiamato alle armi nel giugno del 191515 per combat-tere sul fronte italo-austriaco16, Vitali presta poi servizionel Comando del Genio della III Armata come disegnato-re presso la Direzione del Genio Militare di Trieste duran-
Fig. 1. Foto di famiglia, 1903, Collezione Vitali.
Fig. 2. Foto di famiglia sulla spiaggia di Porto Garibaldi, 1926, Colle-zione Vitali.
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te il periodo che va dall’Armistizio al settembre 191917.Qui ha modo di “far pratica per la sua professione stu-diando tutti i tipi di fabbricati militari, visitando quelliin costruzione, in special modo le grandiose e nuovecaserme di Rozzol presso Trieste”18 e partecipando alconcorso per la costruzione di un nuovo teatro da erigersinel capoluogo friulano in Piazza Oberdan19, probabilmentesull’area di una vecchia caserma20.
Congedatosi, Vitali inizia a svolgere parallelamente unaduplice attività: da un lato, “a causa delle dure e pres-santi necessità finanziarie” successive alla guerra, sigetta nell’insegnamento, dall’altro, “rubando le ore alsonno”, riesce ad avviare lentamente e faticosamente “lasua carriera di costruttore in un ambiente così pocopropizio qual è Comacchio”21. Gli anni Venti, infatti, ve-dranno Vitali impegnato in numerosi progetti architettonicitesi alla riqualificazione urbanistica della città valliva in sensomodernista22.
Per quanto attiene la carriera didattica, nel 1920, Vitaliriceve l’incarico d’insegnamento all’Istituto Tecnico “Vin-cenzo Monti” di Ferrara23 e, successivamente, una sup-plenza alla Scuola Tecnica “Teodoro Bonati” di Bondeno24,dove partecipa - vincendolo - al concorso per assegnare lacattedra di Disegno rimasta vacante a seguito della rinun-cia dell’architetto Giacomo Diegoli25. Qui, ad eccezionedel biennio 1928-1930 in cui viene soppressa la scuola26,Vitali insegna fino al 1939, quando ottiene la medesimacattedra presso la Scuola Professionale di Avviamento Com-merciale “Teodoro Bonati” a Ferrara27, dove resterà sinoalla fine degli anni Cinquanta.
Nella città estense Vitali si era già trasferito nel 1922,dopo il matrimonio con Gina Calzolari28 e la nascita delprimo figlio, Alberto. A partire dal 1928, nato ilsecondogenito, Gian Ferruccio, la famiglia si stabilisce nel-l’antico palazzo del Conte Mazza, in via Scandiana al n. 3,dove rimarrà fino al 1953, anno in cui passa ad abitare inun moderno condominio di via Ortigara n. 629.
Contemporaneamente all’insegnamento presso la scuo-la di Bondeno, nel 1924, il medesimo Comune chiama Vi-tali a far parte della Commissione Comunale di Ornato30
e, l’anno seguente, gli assegna il ruolo di insegnante di Di-segno nel Corso per cementisti promosso dal Commissa-riato Generale per l’emigrazione31. Al tempo stesso, Vitaliricopre altri incarichi in Scuole di diverse Municipalità: nel1920 egli insegna presso la Scuola professionale diCopparo32 e, verso la metà degli anni Venti, è impegnatonei Corsi di Avviamento al lavoro di Poggiorenatico, diVigarano Mainarda e Porotto33.
Fig. 4. Foto durante il periodo militare a Triestre, 1919, CollezioneVitali.
Fig. 3. Caricatura di Vitali su una cartolina spedita da Roma, 1915,Collezione Vitali.
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Se, a Bondeno, il nome di Vitali è raramente legato adepisodi artistici, a Comacchio, invece, esso è connessosoprattutto al suo lavoro d’architetto e ad attività chespaziano dal restauro della sede comunale34 alla realizza-zione di numerosi cartelloni, diplomi e pergamenecommemorative35, la cui veste grafica sembra procederein parallelo con l’evoluzione delle sue opere d’architettu-ra36. Ad eccezione delle poche costruzioni realizzate a PortoGaribaldi, S. Giuseppe, Codigoro ed a Ferrara, è nella cittàvalliva che si concentra la maggior parte degli edifici cheVitali esegue a partire dal 1919 fino al 1932, anno degliultimi interventi accertati37.
La trasformazione di una Chiesa sconsacrata in salacinematografica costituisce il suo esordio architettonico:singolare è in questo caso la collaborazione con i suoi stes-si committenti, i fratelli Zannini e Giuseppe Vicentini, chequi operano attivamente come abili artigiani del legno e delferro battuto38. L’elenco dei progetti ascrivibili a Vitali pro-segue con una lunga lista di negozi, fabbricati ad uso uffi-cio, depositi, ma soprattutto con restauri e costruzioni diampie case ed edicole funerarie per la classe borghesecomacchiese, desiderosa di ottenere maggiore visibilitàattraverso edifici caratterizzati da una particolare raffina-tezza decorativa39. Tra questi vanno ricordati: la villa deitipografo Edgardo Carli, la casa di Antonio Cinti e quelladegli Zannini, la sartoria Fogli, il deposito di ferramenta diEntigerno Bellotti e l’edicola funeraria della famiglia Feletti– Virgili40.
Nel 1926, a seguito dell’istituzione degli Ordini profes-sionali41, Vitali presenta domanda per essere iscritto al-l’Albo degli Architetti della Provincia di Ferrara42, dopoaver aderito al Sindacato Nazionale degli Architetti Italianipresso il Direttorio di Bologna43. La sua richiesta44 riceverisposta solo nel settembre del 1929, quando gli viene noti-ficato il parere sfavorevole della Commissione MinisterialeEsaminatrice45, che, peraltro, dichiara “non meritevolidell’iscrizione” ben oltre il cinquanta per cento degli aspi-ranti al titolo di architetto46. La circostanza porta ad unriesame generale delle domande in base al Regio Decreton. 1594 del 23 novembre 193147.
Già alla fine del 1929, attraverso lo Studio Legale Finizia- Cappi di Roma, Vitali aveva presentato ricorso al Consi-glio di Stato contro la delibera della Commissione Esami-natrice, ritenendo iniqua “l’iscrizione nell’Albo dell’Arch.Tumiati di Ferrara, il quale non ha costruzioni ma soloprogetti eseguiti in collaborazione col scenografoVancini” al contrario di lui che “è degno di continuare acostruire” poiché “in Comacchio, pur operando la pro-
fessione anche due ingegneri, quasi tutte le costruzio-ni che si fanno sono progettate” dallo stesso Vitali, chegode della “fiducia della cittadinanza e del Commissa-rio Prefettizio del Comune”48.
Nel 1930 gli avvocati di Vitali preparano una Memoriadifensionale a sostegno del suo ricorso al Consiglio di Sta-to, motivando l’illegittimità dell’operato della Commissio-ne, in primo luogo, per il “modo in cui furono costituite lecommissioni”49 che, interpretando erroneamente quantoprevisto dalla legge, furono composte da una maggioranzadi professionisti invece che di docenti; in secondo luogo,per un “assoluto difetto di motivazione” nel giudizioespresso, dal momento che non vi è “spiegazione o illu-strazione in un rapporto, o relazione, che dia ragionedei criteri seguiti”50.
Nel 1931 il Consiglio di Stato – “in accoglimento delprimo gruppo di ricorsi” – emette “sentenzainterlocutoria, con la quale ordina all’Amministrazio-ne di esibire copia autentica” delle delibere51: si apreuna nuova fase del procedimento, che rende gli avvocatiottimisti e fiduciosi del buon esito del provvedimento52. Lavertenza non deve aver avuto breve durata se, ancora allafine del 1933, un membro della Commissione Esaminatri-ce, facente parte della Giunta per la Custodia dell’AlboProfessionale degli Architetti dell’Emilia Romagna, richie-de a Vitali di fornire “tutte le notizie circa i lavori […]eseguiti, e quant’altro possa essere utile al fine dellasua iscrizione all’Albo”53.
Sebbene la conclusione della vicenda giudiziaria rimangasospesa, non conservandosi in Archivio nessuna carta inmerito, Vitali sembra non riuscire ad ottenere il riconosci-mento del titolo dal momento che, negli Anni Trenta, smet-te l’esercizio della professione. I lavori di quest’ultimo pe-riodo rimangono, infatti, solo progetti non realizzati.
È a partire da questi anni che la sua attività artistica siconcentra soprattutto sulla pittura da cavalletto e sullaxilografia, tecnica coltivata con passione grazie all’amici-zia con Dino Molinelli, pittore e incisore d’origine mugellanaassieme al quale Vitali espone a Ronta nel 1935, in occa-sione dell’inaugurazione della “Pensione Torelli”54.
Già nel 1932, Vitali aveva partecipato alla “Mostra Be-nefica d’Arte” nel Castello Estense di Ferrara, a fianco diCarrà, Tosi, Viani, Guidi e dei migliori artisti locali, e, suc-cessivamente, alla Mostra di Artisti ferraresi allestita nelRidotto dei Teatro Comunale, dove le sue opere avevanosuscitato la critica negativa di Corrado Padovani sul “Cor-riere Padano”55. Da questo momento, sempre più rara di-verrà la presenza di Vitali a qualunque tipo di manifesta-
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zione artistica, se si esclude la già citata esposizione del1935 e la partecipazione al Premio nazionale di pitturaestemporanea “Mugello” nel settembre 196056.
Repubblicano convinto e fedele57, nel 1945 Vitali si im-pegna come attivista del Partito, venendo nominato mem-bro della Commissione di Edibilità e, poi, Assessore al-l’Anagrafe nella Giunta del Comitato di LiberazioneNazionale, carica che riveste fino alle elezioni del 194658.Nel 1948 la Giunta Municipale di Ferrara lo chiama a farparte della Commissione di Vigilanza del Cimitero dellaCertosa, “con il compito di vigilare sull’andamento deiservizi cimiteriali” e di proporre i lavori necessari ad “ab-bellire e mantenere le opere esistenti”59.
Nel 1961, il 29 novembre, Vitali muore a Ferrara peruna trombosi60. È sepolto nella tomba di famiglia all’inter-no della Certosa cittadina61.
Note1 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 16: Licenza tecnica,doc. 1: Licenza di Scuola Tecnica Pareggiata con indirizzocomune – A. S. 1907/08, Ferrara 10/12/1908. È questo l’unicodocumento contenuto in Archivio a riportare Magnavacca comeluogo di nascita. Era consuetudine dell’epoca, infatti, indicarenon l’esatta località, bensì il Comune di nascita – in questo casoComacchio (Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 42: Cer-tificato di nascita, doc. 1: Certificato del Municipio di Ferrara– Reparto Servizi Demografici – Ufficio Anagrafe, 06/10/1928).2 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 46: Araldica, doc. 1:Lettera inviata a Vitale Vitali da parte dell’Avv. FrancescoGherardi di Bologna, Bologna, ottobre 1929. L’avvocato, oltread informare Vitali che il nome della sua famiglia compare nel-l’elenco ufficiale nobiliare approvato con R.D. 3 luglio 1921, sirende disponibile ad assistere l’architetto per la procedura d’iscri-zione nel libro d’oro della nobiltà italiana.3 Vedi ibi, Testimonianze, Incontro del 12/09/2002.4 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera,doc. 1: Memoriale, Ferrara, 29/04/1931. Il documento riporta un“Cenno riassuntivo degli studi fatti e della carriera didattica per-corsa” stilato di proprio pugno da Vitali.5 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 16: Licenza tecnica,doc. 1 cit. Nell’attestato di Licenza si legge che Vitali Vitale pro-viene da “scuola paterna”: è, quindi, probabile che il suo primoprecettore sia stato il padre.6 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera,doc. 1 cit.7 Agli esami finali del secondo anno d’Accademia, Vitali ottieneaddirittura “nove” in Architettura, Ornato e Teoria delle Ombre(Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 17: Diplomi, doc. 1:Risultato degli Esami Finali – Regio Istituto di Belle Arti diBologna – A. S. 1910/11).
8 L. Scardino, Vitale Vitali (1893-1961). Architettura- Grafica -Pittura, Ferrara, Liberty House, 1989, pp. 11-12. Qui, a p.11, èriportata l’immagine di un busto raffigurante un giovanissimoVitali, eseguito da Giuseppe Virgili nel 1914 a testimonianza dellaloro amicizia.9 L. Scardino, op. cit., p. 12.10 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera,doc. 1 cit.11 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 19: Diploma, doc. 1:Diploma di Licenza – Regio Istituto di Belle Arti in Bologna,Bologna 27/12/1913. Il Diploma attesta che Vitali ha compiuto glistudi in Architettura, sostenendo l’esame nella Sessione di otto-bre del 1913 con una votazione di 29/40 punti. Alla fine del IIAnno del Corso Speciale di Architettura, Vitali aveva anche rice-vuto una menzione in Architettura dalla Commissione incaricatadel giudizio dei Concorsi Scolastici annuali (Cfr. Archivio Vitali –Ronta (Firenze), Busta 17: Diplomi, doc. 2: Attestato di distin-zione – Regio Istituto di Belle Arti di Bologna – 2° Anno CorsoSpeciale di Architettura, 20/07/1913).12 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 18: Abilitazione, doc.1: Abilitazione all’insegnamento – Ministero della PubblicaIstruzione, Roma 30/06/1914. Nel memoriale degli studi fatti, sti-lato da Vitali nel 1931, egli riferisce di aver dato l’esame di abilita-zione all’insegnamento nello stesso anno in cui ottiene la Licen-za del Corso Speciale d’Architettura, ossia nel 1913 (Cfr. Archi-vio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera, doc. 1 cit).13 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 26: Certificazioni sco-lastiche, doc. 1: Certificato – Scuola Tecnica Comunale diComacchio – A. S.1914/15, Comacchio 06/06/1919.14 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 28: Certificato scola-stico, doc. 1: Certificato – Regio Istituto Belle Arti – Bologna21/07/1920. Vitali ottiene la Licenza di Professore di DisegnoArchitettonico con la votazione complessiva di 180/200 punti(Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 20: Licenza di pro-fessore, doc. 1: Licenza di professore di Disegno architettonico– Regio Istituto di Belle Arti in Bologna, Bologna 05/01/1915).15 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 43: Foglio Matricolare,doc. 1: Copia del Foglio Matricolare – Comando DistrettoMilitare – Ferrara 13/12/1923.16 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 25: Congedo, doc. 1:Congedo – Regio Esercito Italiano – Distretto Militare diFerrara, Ferrara 18/09/1919.17 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 3: Domanda e allegatiper iscrizione, doc. 10: Denuncia Autentica di Vitale Vitali in-dirizzata alla Presidenza dell’Ordine degli Ingegneri ed Ar-chitetti della Provincia di Ferrara, Ferrara 22/11/1926. Duranteil periodo di fermo militare, con Regio Decreto del 19 Gennaio1918, Vitali riceve la Croce al Merito di Guerra (Cfr. Archivio Vitali– Ronta (Firenze), Busta 24: Croce al merito, doc. 2: Promozio-ne Militare – Regio Esercito Italiano – Comando Genio dellaIII Armata, Zona di guerra 20/02/1919).18 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 3: Domanda e allegati
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per iscrizione, doc. 10 cit.19 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 54: Fotografie di lavo-ri fatti o progettati, doc. 2: Fotografia di un disegno di VitaleVitali, Trieste luglio 1919.20 L. Scardino, op. cit., p. 13 e nota 4 a p. 27: “La risistemazioneurbanistica della piazza fu compiuta solo negli anni ‘30 dall’ar-chitetto Umberto Nordio, che vi costruì alcun teatro, ma, ad esem-pio, il palazzo della R.A.S., decorato dal ferrarese Achille Funi.”21 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 1: Elenco manoscrittodei lavori (iscrizione al sindacato), doc. 1: Minuta di letteraindirizzata ad un avvocato non identificato, s.d. (1930 circa).22 L. Scardino, op. cit., p. 13.23 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 26:Certificazioni scola-stiche, doc. 2: Certificato – Istituto Tecnico “Vincenzo Monti”di Ferrara – A. S.1919/20, Ferrara 13/06/1920. Nel 1920 Vitalipartecipa - arrivando terzo - al concorso per la cattedra di Dise-gno indetto dall’Istituto Tecnico “Vincenzo Monti” di Ferrara(Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 33: Concorso acattedre, doc. 1: Lettera inviata a Vitale Vitali da parte delPresidente dell’Istituto Tecnico Provinciale” Vincenzo Mon-ti”- Ferrara, 06/10/1920).24 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera,doc. 1 cit.25 L. Scardino, op. cit., p. 14.26 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera,doc. 1 cit.27 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 49: Carriera didatti-ca, doc. 1: Memoriale, s.d.28 D’origine mugellana, Gina Calzolari sposa Vitali nel 1921, dopoaverlo conosciuto a Bologna nel 1913, durante una gita al San-tuario della Madonna di San Luca. (Vedi ibi, Testimonianze, In-contro del 12/09/2002).29 Inizialmente la famiglia Vitali abita per poco tempo in via Alber-to Lollio, per poi trasferirsi in via Madama e qui restare fino al1928. (Vedi ibi, Testimonianze, Incontro del 12/09/2002).30 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 40: Nomina a Commis-sario Ornato, doc. 1: Lettera inviata a Vitale Vitali da parte delSindaco di Bondeno (Ferrara), Bondeno 27/04/1924.31 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 41: Diploma diBenemerenza Emigrati, doc. 1: Lettera inviata a Vitale Vitalida parte del Sindaco di Bondeno (Ferrara) Bondeno 12/07/1925.32 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 32: Assunzione allaScuola Professionale di Copparo, doc. 1: Lettera inviata a Vi-tale Vitali da parte del Regio Commissario della Scuola Pro-fessionale di disegno del Comune di Copparo, 06/10/1920.33 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 39: Studi e carriera,doc. 1 cit.34 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 12: Comunicazioni dilavoro per completare Comune di Comacchio, doc. 1: Letterainviata a Vitale Vitali da parte del Comune di Comacchio –Ufficio Tecnico, Comacchio 9/01/1930; doc. 2: Lettera inviata aVitale Vitali da parte del Geom. Carlo Cavallari - Comune di
Comacchio, Comacchio 03/04/1930. Per Comacchio Vitali realiz-za lo stemma municipale a bassorilievo e disegna il tabernacolodel “Bambin Gesù di Praga per il Duomo (Cfr. L. Scardino, op.cit., pp. 16-17).35 Nel 1928 il Comitato Cittadino pro onoranze al Prof. Zappata diComacchio incarica Vitali di eseguire un medaglione marmoreoed una pergamena commemorativa (Cfr. Archivio Vitali – Ronta(Firenze), Busta 6: Lettere per pergamena Prof. Zappata, doc. 1:Lettera inviata a Vitale Vitali da parte di Giovanni Miossi,Presidente del Comitato Cittadino pro onoranze al Prof. Zap-pata - Comacchio 22/05/1928; doc. 2: Lettera inviata a VitaleVitali dal Presidente del Comitato Cittadino pro onoranze alProf. Zappata – Comacchio 02/06/1928). Si veda anche lo schiz-zo per la pergamena dedicata ad Italo Balbo da parte degli inse-gnanti ed alunni della Scuola Agraria di Avviamento al Lavoro“Teodoro Bonati” di Bondeno (Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Fi-renze), Busta 56: Lucido di pergamena, doc. 1: Disegno a mati-ta, s.d.) e il cartoncino in ricordo della Prima Comunione di Luisade Marchi (Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 54/A:Progetti, doc. 2: Disegno a china, 20/05/1931).36 Si vedano i diplomi di Vincenzo Boldrini e Tito Marzi riprodottiin L. Scardino, op. cit., pp. 70-71 e si legga quanto scrive l’autorein merito (Cfr. L. Scardino, op. cit., pp. 17-18).37 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 15: Documentazionedel Comune di Comacchio sui lavori eseguiti, doc. 1: Denun-cia Autentica di Vitale Vitali indirizzata al Ministero dell’Edu-cazione Nazionale Direzione Generale dell’Istruzione Supe-riore di Roma, s.d. (post 1932).38 L. Scardino, op. cit., p. 14.39 Tra i committenti di Vitali, si annoverano alcuni industrialibenestanti di Comacchio, quali il Cav. Salinguerra Bignozzi,Entigerno Bellotti ed Ermippo Bottoni. (Cfr. Archivio Vitali – Ronta(Firenze), Busta 3: Domanda e allegati per iscrizione, doc. 4:Dichiarazione del Comune di Comacchio indirizzata alla Pre-sidenza dell’Ordine degli Ingegneri ed Architetti della Pro-vincia di Ferrara, Comacchio 21/11/1926; doc. 7: Minuta dilettera indirizzata al Ministero dell’Educazione Nazionale –Direzione Generale dell’Istruzione Superiore – Roma, s.d.; doc.8: Minuta, s.d.; doc. 9: Minuta, s.d.; doc. 10 cit.).40 Purtroppo, oggi, alcuni edifici risultano in parte alterati ed altrifortemente manomessi non solo nella partitura decorativa, maanche nelle strutture.41 Gli Ordini professionali sono stati istituiti in Italia con Legge n.1395 del 23 giugno 1923, “Disposizioni per la tutela del titolo edell’esercizio professionale degli ingegneri edegli architetti” (Cfr.Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 13: DocumentazioneAvvocati Finizia e Cappi (Ricorso), doc. 8: Memoriadefensionale indirizzata al Consiglio di Stato – IV sezione,Roma 1930, p. 2)42 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 3: Domanda e allegatiper iscrizione, doc. 2: Richiesta di Vitale Vitali indirizzata allaPresidenza dell’Ordine degli Ingegneri ed Architetti della Pro-
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vincia di Ferrara, Ferrara 22/12/1926. La richiesta è corredata daun ampia documentazione tra cui un “Certificato del Comune diComacchio comprovante la presentazione dei progetti” ed una“Dichiarazione dei proprietari comprovante l’avvenuta esecu-zione dei lavori”.43 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 2: Comunicazioni sul-l’iscrizione al Sindacato, doc. 1: Lettera inviata a Vitale Vitalida parte dell’Arch. Dante Trebbi, Segretario Provinciale delSindacato Nazionale Architetti Italiani- Direttorio di Bolo-gna, 30/05/1926. Dalla documentazione conservata in questoArchivio, risulta che Vitali rimane iscritto al Sindacato almenofino al 1929 (Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 8: Ele-zioni Fasciste, doc. 1: Lettera inviata a Vitale Vitali da partedell’Arch. Dante Trebbi, Segretario Regionale del SindacatoRegionale Fascista Architetti dell’Emilia – Bologna 19/03/1929).44 Nel 1927 il Sindacato Nazionale Architetti Italiani – Direttoriodi Bologna, su richiesta della Commissione Ministeriale per l’esa-me delle domande d’iscrizione all’Albo, aveva comunicato a tut-ti gli aspiranti di corredare le loro domande con “ulterioridocumentazioni che comprovino la veridicità degli asserti” (Cfr.Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 4: Lettere Sindacato,doc. 2: Lettera inviata a Vitale Vitali da parte dell’Arch. DanteTrebbi, Segretario Provinciale del Sindacato Nazionale Ar-chitetti Italiani – Direttorio di Bologna, Bologna 10/05/1927;doc. 3: Allegato alla lettera del 10/05/27, Bologna 10/05/1927).La Commissione inizierà a valutare le richieste pervenute solodopo il 28 gennaio 1928 (Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Firenze),Busta 4: Lettere Sindacato, doc. 6: Lettera inviata a Vitale Vita-li da parte dell’Arch. Dante Trebbi, Segretario Provinciale delSindacato Nazionale Architetti Italiani - Direttorio di Bolo-gna, Bologna 28/01/1928).45 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 11: Ricorso per iscri-zione. Sindacato, doc. 1: Ricorso giudiziario eseguito dagliAvv. Biase Finizia - Ferruccio Campi – Valerio Jacoboni, Roma12/11/1929.46 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 13: DocumentazioneAvvocati Finizia e Cappi (Ricorso), doc. 8 cit., pp. 3-4.47 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 2: Comunicazioni sul-l’iscrizione al Sindacato, doc. 2: Istruzioni per la presentazio-ne delle domande degli aspiranti all’iscrizione negli albi de-gli ingegneri e degli architetti, a norma del Regio Decreto 23/11/1931 n. 1594, s.d. (dopo il 1931).48 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 1: Elenco manoscrittodei lavori (iscrizione al sindacato), doc. 1 cit.49 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 13: DocumentazioneAvvocati Finizia e Cappi (Ricorso), doc. 8 cit., p. 8.50 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 13: DocumentazioneAvvocati Finizia e Cappi (Ricorso), doc. 8 cit., p. 12.51 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 13: DocumentazioneAvvocati Finizia e Cappi (Ricorso), doc. 7: Lettera inviata aVitale Vitali da parte dello Studio Legale Avv. Biase Finizia &Avv. Ferruccio Cappi – Roma 30/03/1931.
52 Nella lettera inviata a Vitali in data 30 marzo 1931, gli avvocatiFinizia e Cappi ritengono che “sarà necessario […] elaborarenuovi motivi di impugnazione, ed eventualmente un nuovo me-moriale difensionale”, richiedendo anche “un altro fondo spesee competenze di almeno £ 500” (Cfr. Archivio Vitali – Ronta (Fi-renze), Busta 13: Documentazione Avvocati Finizia e Cappi(Ricorso), doc. 7 cit.).53 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 4: Lettere Sindacato,doc. 7: Lettera inviata a Vitale Vitali da parte della Giunta perla Custodia dell’Albo Professionale degli Architetti dell’EmiliaRomagna, Bologna 31/12/1933. Ancora nel 1932, Vitali avevapresentato una nuova domanda d’iscrizione, allegando non solole “Dichiarazioni dell’Ufficio Tecnico del Comune di Comacchioper i lavori costruiti in quel Comune dall’anno 1920 all’anno1932", ma anche “38 fotografie di lavori eseguiti e di progetti” e“18 dichiarazioni di proprietari dei fabbricati costruiti” (Cfr. Ar-chivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 15: Documentazione delComune di Comacchio sui lavori eseguiti, doc. 1 cit., doc. 2:Dichiarazione del Comune di Comacchio indirizzata al Mini-stero dell’Educazione Nazionale Direzione Generale dell’Istru-zione Superiore di Roma, Comacchio 10/07/1932; doc. 3: Elen-co dei documenti e titoli presentati, Ferrara 11/07/1932).54 L. Scardino, op. cit., p. 22.55 L. Scardino, op. cit., p. 20.56 L. Scardino, op. cit., p. 25.57 Nello studio di casa, in Via Scandiana, Vitali conservava inbella mostra una foto di Giuseppe Mazzini, a testimonianza dellasua fede repubblicana, che non verrà meno neppure durante ilperiodo del Fascio (Vedi ibi, Testimonianze, Incontro del 02/10/2002).58 Archivio Comunale di Ferrara, Raccolta dei verbali della Giun-ta Comunale, anni 1945-1946.Nel 1952, la Sezione di Ferrara del Partito Repubblicano, convoto unanime, sceglie Vitali come proprio candidato alle elezioniamministrative: questi, però, non sarà eletto. (Archivio Vitali –Ronta (Firenze), Busta 53: Documenti e lettere attività repub-blicana, doc. 1: Raccomandata inviata a Vitale Vitali da partedel rag. A. Baldani – Comitato Elettorale della Sezione diFerrara – Partito Repubblicano Italiano, Ferrara 19/04/1952).59 Archivio Vitali – Ronta (Firenze), Busta 51: Commissione Vigi-lanza Cimitero (Fe), doc. 2: Lettera inviata a Vitale Vitali daparte del Comune di Ferrara – Divisione Polizia Igiene – Uffi-cio Polizia, Ferrara 29/04/1948.60 L. Scardino, op. cit., p. 25.61 Vedi ibi, Testimonianze, Incontro del 12/09/2002.
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Itinerario a ComacchioBarbara Pazi, Francesca Pozzi
L’elenco che segue riporta la totalità delle opere che,in vari documenti, Vitali dichiara di aver eseguito.La schedatura successiva prende in esame solo quel-le ancora esistenti ed identificate con certezza.La numerazione rinvia alle schede riportate nelle pa-gine seguenti.
1cinemaZannini-Vicentini
2casaCeleste Carli
5/12/26casa e negozioErmippo Bottoni
9casaPietro Fogli
14/29mulinoBignozzi
16officinaZannini
18casaArturo Cavallari
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19villaEdgardo Carli
20garage depositoEntigerno Bellotti
21casa ufficiE. Bellotti
22uffici negoziEntigerno Bellotti
27casaAntonio Cinti
38casaAntonio Gelli
43cancellataS. Agostino
44casaC. Zannini
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Schede descrittive dei manufatti esistenti
L’elenco che segue riporta la totalità delle opere che, in vari documenti, Vitali dichiara di aver eseguito.La schedatura successiva prende in esame solo quelle ancora esistenti ed identificate con certezza.
n. Anno Luogo Indirizzo Tipo di intervento Proprietà1 1919 Comacchio Piazza Duomo n. 2 Cinematografo Proprietari F.lli Zannini e
Giuseppe Vicentini2 1920 Comacchio C.so V. Emanuele n. 201 Casa di civile abitazione Sig. Celeste Carli3 1921 Porto Garibaldi Strada provinciale (interno) Fabbricato rurale Rag. Vito Feletti Spadazzi4 1921 Comacchio P.zzetta Ugo Bassi n.10 Casa di civile abitazione Sig. Pietro Fogli5 1922 Comacchio C.so V. Emanuele n. 149 Casa di civile abitazione Sig. Ermippo Bottoni6 1922 S. Giuseppe Casa di civile abitazione Sig. Michele Arveda7 1922 Porto Garibaldi Casa Colonica Rag. Vito Feletti Spadazzi8 1922 Comacchio C.so V. Emanuele n. 106 Magazzeno F.lli Zanni9 1923 Comacchio V. Della Stimmate n. 10 Casa di civile abitazione Sig. Pietro Fogli10 1923 Comacchio P.zzetta Ugo Bassi n. 19 Casa di civile abitazione Sig. Luigi Cavalieri11 1923 Comacchio Piazza Duomo Casa di civile abitazione F.lli Zannini12 1924 Comacchio C.so V. Emanuele n. 149 Casa di civile abitazione Sig. Ermippo Bottoni13 1924 Comacchio C.so V. Emanuele n. 106 Casa di civile abitazione F.lli Zanni14 1924 Comacchio C.so V. Emanuele n. 200 Fabbricato ad uso uffici Sig. Cav. Salinguerra Bignozzi15 1924 Comacchio P.zzetta Ugo Bassi n. 10 Negozio Sig. Pietro Fogli16 1924 Comacchio Piazza Umberto I n. 16 Officina meccanica F.lli Zannini17 1925 Porto Garibaldi Lungo la spiaggia Casa di civile abitazione Sig. Gastone Bellini18 1925 Comacchio P.zza Presidio n. 4 Casa di civile abitazione Sig. Arturo Cavallari19 1925 Comacchio Strada provinciale (non numerata) Villa Sig. Edgardo Carli20 1925 Comacchio Via Nino Bonnet. n. 5 Fabbricato ad uso garage pubblico e
deposito di materialiSoc. Entigerno Bellotti
21 1926 Comacchio Via Nino Bonnet. n. 3-3/A Fabbricato ad uso uffici e abitazione Soc. Entigerno Bellotti e C.i22 1926 Comacchio Angolo Via S. Bertolo nn. 22-24-
24/A Via Nino Bonnet n. 26-26/AFabbricato ad uso uffici statali,abitazioni e negozi
Soc. Entigerno Bellotti e C.i
23 1926 Comacchio Cimitero Edicola funeraria Famiglie Sigg. Feletti - Virgili24 1926 S. Giuseppe Cimitero Edicola funeraria Fam. Guerrini25 1926 Porto Garibaldi Via Acciaioli (non numerata) Casa di civile abitazione Sig. Pellegrino Bonazza26 1926 Comacchio C.so V. Emanuele n.149 Negozio e abitazione Sig. Ermippo Bottoni
Sig.ra Diva Cavallari (Nina)27 1926 Comacchio C.so V. Emanuele n.79 Casa di civile abitazione Sig. Antonio Cinti28 1926 Porto Garibaldi Via della Rimembranza (non
numerato)Villetta Sig.ra Zelinda Patrignani
29 1926 Comacchio C.so V. Emanuele n. 200 Deposito nafta Sig. Cav. Salinguerra Bignozzi30 1926 Codigoro Fabbricato ad uso industriale Soc. Aldo Felisatti e C.31 1926/2
7Comacchio Via S. Agostino Casa di civile abitazione Sig. Vincenzo Feletti Virgili
32 1927 Comacchio Cimitero Edicola funeraria Fam F.lli Vincenzi33 1927 Comacchio Cimitero Tomba di Famiglia Sig.na Giuseppina Carli34 1927 Comacchio Cimitero Tomba di Famiglia Sig. Filippo Barillari35 1928 S. Giuseppe Cimitero Tomba di Famiglia Sig. Giuseppe Feletti36 1928 Ferrara Cimitero Edicola funeraria Fam. Dott. Ing. Enrico Feletti37 1928 S. Giuseppe Cimitero Edicola funeraria Fam. F.lli Samaritani38 1929 Comacchio P.zza XX Settembre n. 21-23 Casa di civile abitazione Sig. Antonio Gelli39 1929 Comacchio Cimitero Chiesa Commissario Prefettizio del
Comune40 1930 Ferrara Cimitero Edicola funeraria Fam. Sig. Orlando Codecà41 1930 Comacchio Via S. Bertolo Facciata della chiesa della B. V. del
Rosario42 1932 Comacchio Cimitero Edicola funeraria Sig. Giovanni Carli43 1932 Comacchio Tempio di S. Antonio Cancellata artistica44 1932 Comacchio Via Isola n. 18-20 Casa di civile abitazione Sig. Maestro Camillo Zannini
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destinazione d’uso:
descrizione:
1 1919, 1930, Cinema f.lli Zannini e Giuseppe VicentiniComacchio, Piazza Duomo n. 2
Enrica Mantovani
Posto al centro di un isolato in parte prospiciente la Piazza XX Settembre, ha un fronte proprio di ml. 22 circasulla stessa piazza, un’area retrostante parzialmente in diretta comunicazione con la pubblica via, più un ‘areacortiliva privata.
Fino al 1860 era adibito a Chiesa, successivamente venne trasformato in magazzino-sugheria. Nel 1919 Vitaliinterviene con un progetto di trasformazione in sala cinematografica con costruzione di balconata e gradinate.Capacità 450 posti (Archivio Vitali, Ronta (Fi), busta 3, doc 10; busta 15, doc 1).
Oggi il complesso è adibito ad uffici e si caratterizza sul fronte strada per il suo prospetto sobrio e compatto,che tenta di recuperare l’immagine originaria di Chiesa. Al piano terra l’ingresso centrale è affiancato da dueporte laterali, ricavate da aperture squadrate e sormontate da archi ciechi che, proseguendo verso terra, creanouna cornice. Al piano primo, in asse con le aperture sottostanti, si trovano tre finestre uguali allineate coninferriate che recano decorazioni floreali stilizzate secondo forme geometriche. A coronamento della facciata untimpano sobrio e lineare con al centro un finto rosone tamponato.Dalle foto storiche relative al periodo in cui l’edificio era adibito a teatro-cinematografo sappiamo che gli spaziinterni erano caratterizzati dalla presenza di stucchi e frontali in stile Liberty che decorano le porte e le pareti,che in parte possiamo vedere ancora oggi. Le pareti sono scandite da paraste a tutta altezza, dalle qualidipartono fasci di piccole nervature che si raccordano ora con la cornice orizzontale, ora con le decorazionifloreali, perimetrando i soffitti delle sale di rappresentanza. Anche le balconate della galleria presentano ricchedecorazioni in stucco che risaltano sullo fondo color ocra, sono decorazioni a fascia rappresentanti elementivegetali, fiori e foglie che si avvolgono a losanga.Al centro della sala un corpo illuminante riccamente decorato secondo elementi geometrici a forma di stellesovrapposte e racchiuse da un elemento tondo. Diversi per tipologia e forma sono i piccoli punti luce situatisulle pareti laterali e a ridosso delle paraste che scandiscono il ritmo delle aperture nella sala cinematograficaprincipale. I corpi illuminanti sono tutt’ora presenti all’interno degli uffici, il lampadario di illuminazione princi-pale della sala probabilmente non è stato spostato, ma quelli più piccoli sono stati rimossi dalla posizioneoriginale e riposizionati.Delle modifiche relative all’intervento previsto negli anni ’30 ci rimangono alcuni schizzi e disegni. Era previstala creazione di un ingresso attraverso l’aggiunta di un loggiato al piano terra che reggeva due balconi lateralial piano primo. E’ molto probabile che questo intervento non sia mai stato eseguito.
Nel 1980-82 si rende necessario il ridimensionamento del locale a causa della continua diminuzione dellepresenze. Il ridimensionamento del cinema avviene tramite scorporo della parte destra della struttura in cui erasituato l’accesso. Ciò determina la costruzione di un nuovo atrio con biglietteria e sala d’attesa e lo spostamen-to dell’ingresso alla sala, che dal corpo laterale viene spostato su Piazza XX Settembre.
Accanto alla struttura dell’ex chiesa troviamo l’edificio angolare attiguo, originariamente inglobato nel cinema-tografo. Tale corpo viene ristrutturato tra il 1984/85 e la facciata iniziale, che presentava una marcatura verticaledelle aperture, viene completamente trasformata e suddivisa in tre livelli, piano terra, piano primo e sottotetto.Gli elementi distintivi oggi sono dati da uno zoccolo bugnato, da un fascione angolare, da infissi in legnoverniciato poggianti su un bancale marcapiano intonacato e sulla sommità da una cornice a riseghe intonacate.Le aperture della facciata sottolineano la ripartizione orizzontale dei relativi piani. Le vetrine hanno arcoribassato e, ai piani superiori ci sono finestre squadrate regolari. Sul fianco le aperture sono arricchite ora dagrate in ferro stile liberty, da stucchi a fascia geometrica con forme di piccoli quadrati allineati sulla sommitàdelle finestre, mentre la parte alta è caratterizzata da una finestra termale posta al entro della facciata.
cinematografo
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primi decenni ‘900.Collezione Luciani
F. Luciani, Vsén’ a la ròle dél chemén’. Tradizione popolarestoria poesia dialettale, Rimini, 2001, p. 97
Particolare di cartolina d’epoca, Col-lezione Luciani
Collezione Luciani
Archivio Ufficio Urbanistica del Comune di Comacchio
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destinazione d’uso:
descrizione:
2 1920, Casa Celeste CarliComacchio, Corso V. Emanuele n. 201
casa di civile abitazione
Sviluppata su due livelli si presenta con una conformazione di facciata simmetrica e regolare. Al primo livelloquattro grandi finestre incorniciano la porta d’ingresso centrale. Le finestre sono schermate da grate in ferrorealizzate con linee sinuose che rimandano allo stile Liberty; tali aperture sono incorniciate da decorazionigeometriche aggettanti che conferiscono importanza all’edificio.Il secondo livello si presenta meno rigido rispetto a quello sottostante, le cornici esterne che perimetrano lefinestre non seguono forme geometriche, ma rappresentano essenze floreali, e alle linee rette si sostituisconoelementi curvilinei e medaglioni circolari.Il portale d’ingresso, insieme al balcone sovrastante, diventa all’interno della facciata l’unico elemento cheinterrompe la linearità orizzontale delle finestre dei due livelli.
Enrica Mantovani
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
1922-24-26, Casa e negozio Ermippo BottoniComacchio, Corso V. Emanuele n. 149
Enrica Mantovani
casa di civile abitazione e negozio
Attualmente il corpo di fabbrica, ridotto allo stato di rudere, risulta poco riconoscibile nel suo disegno origina-rio se non fosse per l’identificazione dello stesso tramite gli edifici laterali disposti in linea.Oggi la costruzione, priva di copertura e di aperture libere che risultano tamponate, è soggetta a decalcificazionedi malte e intonaci con attacco e deposito di elementi vegetativi.La struttura originaria, secondo le foto storiche, si presentava suddivisa in due livelli sottolineati da unafascia-cornice marcapiano. L’edificio era caratterizzato da aperture simmetriche e portale d’ingresso centralesormontato da un balcone con ringhiera in ferro lavorata secondo lo stile Liberty, come le inferriate poste aprotezione delle finestre al piano terra. Le aperture al primo livello erano prive di cornice, a differenza di quellesoprastanti, ma presentavano un bancale in aggetto.
5,12,26
AchivioVitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
9 1923, Casa Pietro FogliComacchio, Via della Stimmate n. 10
casa di civile abitazione
E’ composta da due piani fuori terra e occupa un cassero. Gli elementi che la caratterizzano sono le corniciintorno alle finestre del piano terra ed il marcapiano sotto le finestre del piano primo: nel complesso l’edificioè semplice e lineare.Le cornici in rilievo attorno alle finestre del piano terra presentano delle scanalature verticali e una modanaturasulla sommità; l’edificio non ha caratteristiche tali da essere classificato precisamente, si può piuttosto affer-mare che ha subito contaminazioni stilistiche associabili al Liberty.L’edificio è esistente ma, dal momento che non si sono reperiti disegni, non si può affermare con certezza secorrisponda al progetto originale.
Isabella Frignani
Collezione Luciani
103
destinazione d’uso:
descrizione:
1924, 1926 Uffici del Mulino BignozziComacchio, Corso V. Emanuele n. 200
Cecilia Traina
uffici e magazzino nafta
L’edificio adibito ad uffici, realizzato su commissione del cav. Salinguerra Bignozzi, si affaccia sulla corteinterna che ha accesso diretto al canale Lombardo ed è circondata dai magazzini e dal Mulino vero e proprio,un tempo chiesa di S. Carlo. Il fabbricato è ad un solo piano con copertura in coppi a falda unica; il frontepresenta tre grandi finestre con una semplicissima cornice e senza alcun tipo di decorazione. L’entrata è oratamponata; si accede, infatti, dal retro.Secondo quanto riportato in un elenco delle opere eseguite dell’Archivio Vitali (busta 3, doc. 10), nel 1926Vitali progettò una “torretta per il deposito della nafta” all’interno del complesso. Potrebbe essere la torrettaoggi esistente, forse rimaneggiata nel tempo.
14, 29
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destinazione d’uso:
descrizione:
16 1924, Officina f.lli ZanniniComacchio, Piazza Umberto I n. 16
officina meccanica
Piccolo fabbricato inserito nella cortina edilizia di P.zza Umberto I la cui facciata, “stretta” tra due edifici digrandi dimensioni, è semplice e ben proporzionata negli elementi che la compongono, nei vuoti, nei pieni enelle forme utilizzate; essa è assolutamente esaltata dalla vicinanza dei fabbricati confinanti che appaiono benpiù grandi, ma meno “visibili”.La facciata è simmetrica ed è composta da una grande apertura al piano terra, presumibilmente l’ingressoall’officina, una porta-finestra con balcone al piano primo e tre finestre al piano sottotetto. Gli elementi che lacaratterizzano sono riconoscibili e riconducibili a Vitali, come il balcone in cemento con parapetto realizzatocon piatti di ferro a disegno geometrico, il cornicione aggettante sorretto da mensoloni in cemento e le trefinestre unite da una cornice in rilievo anch’essa in cemento. Il fabbricato si sviluppa verticalmente, mapermette una lettura anche orizzontale che fa trasparire la partitura interna del fabbricato, elemento anch’essoricorrente nelle architetture di Vitali.Non sono stati recuperati disegni di progetto per questo edificio, solo alcune foto storiche che mostrano ilfabbricato prima dell’intervento di Vitali. Di esso mantiene la simmetria precedente della facciata, il cornicioneaggettante e la cornice che unisce le aperture realizzate nel prospetto.
Barbara Pazi
F. Luciani, Un penirén pén’ ed ricòrd. Tradizionepopolare storia poesia dialettale, Rimini, 1999, p. 59
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destinazione d’uso:
descrizione:
1925, Casa Arturo CavallariComacchio, Piazza Presidio n. 4
Raffaella Piva
casa di civile abitazione
Di questo progetto non abbiamo disegni ma solo memoria scritta della sua realizzazione, in quanto inseritonell’elenco dei lavori eseguiti stilato dallo stesso Vitale Vitali.Degli interventi eseguiti nel restauro di questo stabile, ci perviene una descrizione riassuntiva: “restauro conabbattimento e ricostruzioni di più parti del fabbricato di casa di civile abitazione di vani 10 e piani due dellasuperficie di mq 170 con costruzione di quattro vani della superficie di mq 80 e muro di cinta” (Archivio Vitali,busta 3, doc. 8 ).Quello che a noi rimane è forse l’impaginato della facciata e probabilmente le inferriate alle finestre del pianoterra impostate su un disegno lineare con al centro un “rosone” formato da tre cerchi di diverso diametro e inalto un decoro floreale.La delicatezza e la semplicità contraddistinguono questo piccolo intervento.
18
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destinazione d’uso:
descrizione:
19 1925, Villa Edgardo CarliComacchio, Strada Provinciale
casa di civile abitazione
Tra le opere menzionate negli elenchi d’archivio, la costruzione compare come “Villa di vani 12 e piani 2 dellasuperficie di mq 140" (Archivio Vitali, busta 3, doc. 9). Inoltre, in un disegno di progetto eseguito per il villinodi Pietro Fogli (1925), si osserva una porzione di villa Carli: è probabile che i due edifici siano stati concepitinello stesso momento per essere in continuità l’un l’altro e con caratteristiche tipologiche simili. Tuttavia èstata poi realizzata la villa Carli.Essa è disposta su tre piani, di cui uno interrato, e presenta una parte aggettante. Sotto un loggiato si troval’ingresso al quale si accede attraverso una rampa dalle forme sinuose.L’edificio è interamente intonacato: la parte seminterrata è liscia, il piano rialzato è a corsi di bugnato, mentre laparte superiore del piano primo ed il coronamento sono finemente decorati con motivi floreali.Una foto storica mostra che la decorazione floreale presente nel progetto, non è stata realizzata. Solo il parapet-to della loggia del piano rialzato presenta un motivo a piccoli quadrati in rilievo. Il balcone del piano primoinvece ha un parapetto la cui struttura principale è in muratura e la cui ringhiera è in ferro con motivi decorativitipici della poetica di Vitali.Attualmente il fabbricato risulta pesantemente rimaneggiato: la sinuosa scala di ingresso è scomparsa; alloggiato è stata sovrapposta una scala esterna per accedere direttamente al piano primo con perdita parzialedella decorazione del parapetto. Inoltre le aperture della parte aggettante, precedentemente tripartite equadripartite, sono state trasformate in grandi finestre ad unico vano.
Isabella Frignani
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
Barbara Pazi20 1925, Garage pubblico e deposito materiali Ditta Entigerno Bellotti & C.Comacchio, Via Nino Bonnet n. 5
garage pubblico e deposito di materiali
Progetto di fabbricato avente destinazione d’uso di autorimessa a piano terra e di magazzino al piano primo. Lafacciata è intonacata e divisa in quattro campate, tre uguali fra loro e una, principale che sottende l’ingresso alfabbricato. Le campate minori, arretrate rispetto a quella principale, sono delimitate da due paraste, hannoun’apertura per piano e sono caratterizzate da scanalature orizzontali presenti, con passo più grande, anchesulle paraste. Alla semplicità delle campate sopraccitate si contrappone la ricchezza formale di quella principa-le, dove l’architetto esprime con garbo e sapienza le nuove esperienze novecentesche da esso mutuate. Essaè composta, al piano terra da un grande portale ad arco ribassato, per il passaggio delle auto, e al pianosuperiore da tre aperture, una centrale di grandi dimensioni e due più piccole ai lati. Al piano terra la superficiepiena è trattata come quella delle campate minori e al centro è ritagliata la porta d’accesso che nella partesuperiore ha una decorazione di gusto Liberty a formelle con foglie e festoni geometrici con al centro una testaleonina. La superficie del secondo piano è liscia e scandita dalle aperture separate da colonnine stilizzate convolute, sovrastate da “pennoni” ornamentali; chiude la composizione il timpano ai vertici inferiori del qualesono due elementi pieni e lisci.La facciata è divisa orizzontalmente dal marcapiano e chiusa da un cornicione liscio molto pronunciato.Il fabbricato è stato costruito conforme al progetto a noi pervenuto; attualmente mancano le formelle quadratea foglie che erano poste sugli elementi di chiusura delle paraste sopra il cornicione e quelle con la testa di leonee foglie che chiudevano orizzontalmente il cornicione verso le aperture del piano primo. L’apertura d’ingressoha una riquadratura sensibilmente diversa dal disegno, probabilmente una modifica in corso d’opera.Tra i disegni a noi pervenuti vi sono altre versioni di questo progetto che ne rispettano le linee fondamentali,partizioni, elementi predominanti, decorazioni, ma che contengono soluzioni, con tutta probabilità dettate dalladistribuzione interna, assai diverse come ad esempio due scale in facciata che portano al piano superiore.
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destinazione d’uso:
descrizione:
Barbara Pazi21 1926, Ufficio e casa del custode Ditta Entigerno Bellotti & C.Comacchio, Via Nino Bonnet n. 3-3/A
Ufficio e civile abitazione
Progetto di piccolo fabbricato a due piani di composizione semplice e lineare avente facciata simmetrica; essaè formata da due porte di uguale misura sovrastate da due aperture anch’esse uguali fra loro.La facciata è caratterizzata da due cornici, una bassa e una alta, che ritagliano uno spazio centrale perimetrandole porte e le aperture del piano primo; tali cornici diventano il semplice gioco decorativo della facciata.La cornice parte all’altezza di un ideale basamento per poi avvolgere le porte sottolineando l’architrave conformelle a foglie realizzate in cemento a stampo, mentre quella alta parte dal cornicione e nello stesso modo,riquadra le finestre inglobando anche il bancale. Il cornicione presenta motivi ornamentali floreali e geometrici.Tale composizione è semplice e apparentemente priva di elementi caratterizzanti; in realtà questo piccolo corpodi fabbrica dialoga in modo discreto con i due immobili adiacenti di più grandi dimensioni appartenenti allastessa proprietà, collocandosi tra il fabbricato d’angolo, adibito ad uffici e negozi, e il garage pubblico consovrastante magazzino arretrato rispetto al fronte strada. I tre fabbricati hanno elementi in comune, come leformelle di cemento con foglie, ma composizioni formali diverse che identificano, e sottolineano, l’importanzadella destinazione d’uso di ognuno. Ritroviamo il medesimo schema compositivo nel prospetto laterale che siaffaccia all’interno del cortile del garage.Attualmente la facciata dell’immobile è sovrapponibile al progetto a noi pervenuto, pur non rispettando ilgioco delle cornici decorate che avvolgono, diventandone parte, le bucature esistenti. Non ci è dato sapere seil prospetto ha subito trasformazioni in corso d’opera o negli anni successivi.La composizione potrebbe non concludersi con i tre fabbricati sopra descritti e documentati nelle tavole diprogetto poiché, percorrendo via Bonnet, troviamo un altro immobile uguale per dimensioni, forme e decora-zioni all’abitazione del custode e ad esso simmetrico rispetto all’asse centrale del garage. Non è certo che talefabbricato faccia parte del progetto originario di Vitali, poiché non è documentato negli elaborati in nostropossesso, ma è da ritenersi un elemento importante di chiusura e di equilibrio nell’economia formale dellacomposizione.
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
22 1926, Fabbricato ad uso uffici statali e negozi, Ditta Entigerno Bellotti & C.Comacchio, Via San Bertolo nn.22-24-24/A angolo Via Nino Bonnet n.26-26/A
uffici statali, abitazioni e negozi
Progetto di fabbricato d’angolo a due piani con destinazione d’uso a spazi commerciali al piano terra, uffici eabitazione al piano primo. La facciata è asimmetrica e si sviluppa su via S. Bertolo in quattro campate disegualie in due su via Nino Bonnet.Il piano terra è caratterizzato da quattro ampie aperture di uguali dimensioni che identificano gli spazi commer-ciali e una che corrisponde all’ingresso per uffici del piano primo.I livelli sono segnati dal marcapiano che delimita anche il rivestimento bugnato della parte inferiore.La campata che sottende l’ingresso e quella d’angolo sono trattate in modo diverso rispetto alle altre; essesono arricchite da un balcone sorretto da mensoloni e ingentilito da elementi in ferro, con ornamento centralegeometrico e floreale; nella campata d’angolo il balcone gira raccordandosi alla porzione di fabbricato prospi-ciente via Bonnet.La composizione delle facciate è eclettica e assembla forme proprie del linguaggio neoclassico con nuovielementi decorativi introdotti nei primi anni del ‘900, mutuati dalle esperienze che andavano sviluppandosi conmaggior importanza in altre sedi.Elementi classici come il bugnato della parte inferiore e l’uso dell’intonaco liscio della parte superiore, lacornice marcapiano, le finestre a edicola, l’assenza di ulteriori piani e la ripetitività delle bucature delle “botte-ghe” e delle aperture del piano superiore, riconoscibili nell’esempio della “casa di Raffaello” a Roma, dialoganocon elementi rielaborati e nuove introduzioni. E più precisamente: l’arco a tutto sesto trasformato in arcoribassato con cornice ed elemento decorativo centrale, le colonne ai lati della finestra centrale che si trasforma-no in un rivestimento in pietra su alto basamento, la fascia di coronamento che non ha più i triglifi e le metope,ma mensole che “reggono” il cornicione, e il ferro lavorato introdotto nel parapetto dei balconcini.Attualmente il fabbricato è in pessimo stato di conservazione; sono stati inoltre asportati vari elementi deco-rativi come cornici, formelle e rivestimenti e introdotti avvolgibili in materiale plastico.Il fabbricato è stato costruito, in linea di massima, conforme al progetto a noi pervenuto: sono assenti i frontonicurvilinei delle finestre delle campate minori ed è stata corretta l’apertura che conduce al piano superiore che,nel disegno è del tutto simile a quelle dei negozi, mentre, attualmente, non è ad arco ribassato e ha un elementodecorativo a formelle all’altezza dell’architrave.
Barbara Pazi
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destinazione d’uso:
descrizione:
23 1926, Edicola funeraria Famiglia Giuseppe Feletti VirgiliComacchio, Cimitero
edicola funeraria
Edicola funeraria monumentale su pianta rettangolare tripartita. Il fronte principale in pietra, su alto basamentocon dentelli, enfatizza tale scansione spaziale mediante la doppia altezza del corpo centrale, leggermenteaggettante, e le celle laterali più basse. Il moto ascensionale centrale è scandito dall’ampio portale d’ingressosormontato da arco a tutto sesto, sovrastato da stemma araldico incastonato in una cuspide che culmina conuna massiccia croce all’altezza della copertura. Le ali laterali presentano un’impostazione che richiama gliantichi sarcofagi con teste di leone, tipico del gusto dell’epoca per il citazionismo fine a sè stesso. Lamesopotamica imponenza dell’esterno dell’edicola, saldamente ancorata alla terra, si stempera nell’internodove prevalgono colorazioni accese e luminose e le forme più leggere e delicate delle decorazioni geometrichee floreali orientaleggianti e del cielo stellato.Questo progetto compare in diversi elenchi di lavori eseguiti stilati dallo stesso Vitali. In particolare nell’elencocontenuto nell’Archivio Vitali (busta 3, doc. 8), questo progetto viene così descritto: “edicola funeraria (nonultimata nel suo rivestimento in marmo)”.La cappella si presenta ancora oggi in muratura faccia a vista e mancante delle decorazioni interne.
Cecilia Traina
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
Isabella Frignani24 1926, Edicola funeraria Famiglia GuerriniSan Giuseppe di Comacchio, Cimitero
edicola funeraria
La struttura dell’edicola è piuttosto semplice e lineare con due piccole ali laterali. E’ impostata su due ordinisovrapposti accentuati dalla scansione delle vetrate che costituiscono i dettagli maggiormente articolati insie-me al fregio presente sulla sommità. Il coronamento termina con quattro contrafforti verticali nei vertici delquadrato che costituisce la pianta del corpo principale; su tali contrafforti sono presenti croci greche inbassorilievo. Nel corpo principale è presente un rosone, mentre sulle due ali più basse vi sono iscrizioni eformelle quadrate. Sul prospetto principale, tra la porta di accesso e la finestra tripartita, è la scritta “FAMIGLIAGUERRINI”.Nelle sezioni di progetto Vitali esegue uno studio accurato delle decorazioni interne realizzando una rappresen-tazione con immagine sacra sopra l’altare posto centralmente e decorazioni floreali a nastro sui lati secondari.Il monumento funerario si può ricondurre allo stile neoclassico per quanto riguarda gli ordini sovrapposti coninfluenze bizantine se guardiamo il coronamento superiore.Da un confronto con l’edificio esistente è possibile affermare che il monumento realizzato è conforme alprogetto e dalle foto storiche si può notare che è stato cambiato il portone di accesso e sono stati aggiuntisistemi di smaltimento delle acque meteoriche.Nel materiale a noi pervenuto risulta che questo progetto è stati riproposto anche per un edicola funeraria darealizzarsi a Comacchio per la famiglia Feletti. Non ci è dato di sapere quale dei due progetti sia stato concepitoprima. E’ plausibile supporre che il Vitali abbia elaborato il progetto inizialmente per la famiglia Feletti e, nonavendolo eseguito, abbia riproposto lo stesso progetto alla famiglia Guerrini realizzandolo nel cimitero di S.Giuseppe di Comacchio.
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
27 1926, Casa Antonio CintiComacchio, Corso V. Emanuele n. 79
casa di civile abitazione
L’edificio, con destinazione di civile abitazione, è situato in una cortina in linea sul Corso Vittorio Emanuele;non presenta elementi di rilievo. Sviluppato su due livelli, al piano terra ospita ambienti commerciali con ampievetrine e gli accessi ai due appartamenti posti al piano primo. I due ingressi sono indipendenti, affiancati esituati centralmente. Sopra di essi si trova un piccolo balcone con decorazioni geometriche ad intreccioromboidale, lateralmente al quale si aprono finestre regolari, in asse con le vetrine sottostanti.Un piccolo marcapiano a fascia aggettante, insieme alla cornice in gronda, fa prevalere la linearità orizzontalesull’allineamento verticale.L’edificio si mostra senza tinteggiatura, ma sono visibili tracce di colore rosso sotto il balcone e in corrispon-denza del cornicione di coronamento.
Enrica Mantovani
Collezione Luciani
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destinazione d’uso:
descrizione:
Cecilia Traina32 1927, Edicola funeraria Famiglia VincenziComacchio, Cimitero
edicola funeraria
Edicola funeraria di ispirazione classica: il fronte principale, che funge da facciata ad una semplice costruzioneche accoglie i loculi, è composto da un ordine gigante di colonne corinzie su cui si impostano trabeazione efrontone decorato con acroteri. Le proporzioni dell’ordine sono rispettate, ma il frontone è di dimensionieccedenti e si imposta liberamente sul capitello.Confrontando la realizzazione con la sezione di progetto, si nota come originariamente le colonne fosseropensate a tutto tondo, e non a semicolonne addossate alla parete.Come era uso dell’epoca, tutta l’edicola è realizzata in graniglia uniformata con una leggera velatura, adimitazione della più pregiata pietra.
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
35 1928, Edicola funeraria Famiglia Giuseppe FelettiSan Giuseppe di Comacchio, Cimitero
edicola funeraria
E’ composta da sarcofago in muratura su colonne poste su un alto basamento. Delle colonne Vitali sviluppaanche un particolare al vero.La tomba risulta non ricca di particolari, le parti maggiormente decorate sono i capitelli delle colonne nei qualivengono rappresentate croci greche e i quattro angoli del sarcofago, che riportano decorazioni floreali. Suldisegno sono presenti, sul fronte principale la scritta “FAM. G. FELETTI” e sui prospetti laterali i nomi degliestinti.Il monumento funerario si può ricondurre allo stile neoclassico con contaminazioni Liberty (decorazioni floreali).Da un confronto tra i disegni a noi pervenuti ed una fotografia storica è possibile affermare che il monumentofotografato è conforme al progetto. Attraverso la fotografia inoltre si desume la posizione della tomba all’inter-no del cimitero. Da un sopralluogo effettuato si è potuto vedere che la tomba è stata rimossa e sostituita.Dai documenti ritrovati si può ipotizzare che il progetto sia del 1926, mentre la realizzazione effettiva del 1928.
Isabella Frignani
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
Cecilia Traina36 1928, Edicola funeraria Famiglia Enrico FelettiFerrara, Certosa
edicola funeraria
Edicola funeraria a pianta rettangolare con volta a cupola e copertura a timpano sui quattro lati. L’architetto neprogettò diverse versioni, tutte simili: nel fronte principale, impostato sul doppio quadrato, l’ingresso è sor-montato da un arco a lunetta sopra il quale vi è una trifora. L’apertura centrale, più alta rispetto a quelle laterali,si compenetra con il frontone spezzato e sorretto da due imponenti lesene poste a lato dell’ingresso. Il motoascensionale è ulteriormente accentuato dalla cupola poligonale a tutto sesto. L’esterno, in mattoni faccia avista è impreziosito da alcuni bassorilievi, fasce ornamentali e dalla lavorazione delle inferriate. Il motivo dellatrifora si ripete anche nei prospetti laterali, mentre il retro rimane cieco.Complessivamente la realizzazione appare fedele al progetto. Uniche piccole differenze si possono notarenell’apparato decorativo: la grande croce della porta e le due formelle rettangolari alla base della lunetta nonsono presenti in nessuna delle tavole di progetto. La maggior parte degli elementi architettonici, pensati peressere in pietra, vennero realizzati in graniglia di cemento poi velata per uniformarla superficialmente, comeconsuetudine dell’epoca.
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
37 1928, Edicola funeraria Famiglia SamaritaniSan Giuseppe di Comacchio, Cimitero
edicola funeraria
Del sepolcro, dal fronte stretto ed allungato, è stato rinvenuto soltanto il disegno del prospetto, in scala 1:50.Costruito in mattoni, è dominato dall’imponente portale, che ne occupa la metà inferiore. Dal basamento sidipanano, avvolgendosi elegantemente su se stesse, slanciate colonne tortili che delimitano lateralmente lospazio, mentre preziose formelle in cotto incorniciano il portale; analoghe decorazioni si possono ritrovare aBondeno, nella tomba della famiglia Grandi (che Vitali frequentò nel periodo in cui insegnava presso la Scuoladi Avviamento Professionale), dove simili formelle riquadrano un affresco di Edgardo Rossaro1. Al di sotto dellemensole lignee che sorreggono lo sporto del tetto a capanna, un finestrone cieco, con cinque esili colonnine incotto, recanti anch’esse in sommità formelle decorative, conferisce leggerezza alla facciata.Attualmente, i fianchi dell’edificio appaiono intonacati, senza decorazioni, per consentire l’affiancamento adaltre tombe.Note: 1 L. Scardino, Edgardo Rossaro a Bondeno, Ferrara, Liberty House, 1988; L. Scardino (a cura di), Arrigo Minerbi egli scultori della Fornace Grandi di Bondeno, Ferrara, Liberty House, 1998.
Stefania Gallini
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
Barbara Pazi38 1929, Casa Antonio GelliComacchio, Piazza XX Settembre n. 21-23
casa di civile abitazione
Fabbricato a due piani con fronte su strada intonacato e copertura a due falde inclinate in coppi di cotto.La facciata è composta da due aperture al piano terra - una, ad arco a tutto sesto, che permette l’accessoall’abitazione e l’altra ad arco ribassato che identifica un esercizio commerciale - e tre al piano superiore. Lafacciata è asimmetrica rispetto al suo asse centrale, ma scomponendola in due parti ideali “lette” in verticale,ritroviamo la simmetria rispetto all’asse centrale delle due aperture presenti al piano terra.I livelli del fabbricato sono evidenziati dal marcapiano costituito da una cornice liscia in cui si “inserisce” ilbalconcino sorretto da mensole; la parte inferiore della facciata è caratterizzata da scanalature orizzontali acorsi di bugnato mentre la parte superiore è liscia. Le aperture realizzate al piano superiore sono tre, dueappoggiano su di una snella cornice realizzata all’altezza del bancale, l’altra la interrompe per la sua larghezzaessendo la porta-finestra che conduce al balconcino. Le finestre sono inscritte in una cornice lateralmenteliscia e ad elementi geometrici e formelle, a testa di leone, all’altezza dell’architrave; infine l’elemento di chiusu-ra è a timpano. La facciata è chiusa da un cornicione aggettante di grandi proporzioni e da due camini di formageometrica.Nell’archivio Vitali è stato trovato un disegno senza oggetto e data che corrisponde alla facciata sopra descrit-ta. Possiamo senz’altro affermare che il progetto è stato seguito fedelmente, nella partitura, nelle finiture e nelledecorazioni; gli unici elementi che non corrispondono sono i camini, presenti nella facciata esistente ma nonnel disegno.
Collezione Luciani Collezione Luciani
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destinazione d’uso:
descrizione:
39 1929, Chiesa del cimitero di ComacchioComacchio, Cimitero
chiesa
La piccola chiesa rimane in fondo al viale principale del cimitero proprio di fronte all’ingresso.Le proporzioni del prospetto seguono la regola per cui l’altezza è uguale al doppio della base, in questo modola facciata principale della chiesa è suddivisa in due ordini.Nella parte inferiore l’ingresso è costituito da un portale sormontato da un arco a tutto sesto. Il portale èrialzato dalla quota del terreno di due gradini, che corrispondono al dado sul quale sono a loro volta impostatele lesene, la cui altezza corrisponde alla chiave di imposta dell’arco.Il portale è incorniciato da due semilesene in stile corinzio raddoppiate da colonnine tortili che continuanolungo la semicirconferenza dell’arco soprastante.Nella parte superiore una teoria di semicolonnine rampanti, regge archetti pensili culminanti in un timpano chedenuncia la copertura a due falde della piccola chiesa.Nell’arco soprastante l’ingresso è rappresentata l’immagine del Cristo, con corona di spine, alla sinistra, lalettera “A” per indicare la nascita e, alla destra, la lettera “W” per indicare la morte. Sull’architrave, scolpito“EGO SUM RESURRECTIO ET VITA”.La chiesa realizzata nel cimitero di Comacchio corrisponde al disegno a noi pervenuto, si notino in particolarela ricchezza del dettaglio decorativo realizzato in cemento bianco che risalta sul muro in mattoni.Pur avendo un unico disegno di questo progetto, si ritiene plausibile che questo stesso facesse parte delprogetto esecutivo.L’accuratezza del disegno del dettaglio è una caratteristica che si ritroverà spesso nei progetti di Vitale Vitali,attenzione ai particolari che purtroppo è andata perduta in fase di realizzazione o di cui comunque non è rimastatraccia. In questo caso però progetto e opera sono corrispondenti e ci suggeriscono un modo di lavoraredell’architetto che studia accuratamente il progetto in pianta e prospetto così come nella realizzazione deldettaglio delle decorazioni.
Raffaella Piva
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
Cecilia Traina40 1930, Edicola funeraria Famiglia Orlando CodecàFerrara, Certosa
edicola funeraria
L’edicola è a pianta quadrata, in muratura di mattoni faccia a vista ed ha copertura a capanna con manto incoppi. Il fronte, stretto tra due semplici paraste, che nel fusto e nel basamento seguono i rapporti dell’ordinetuscanico (1/6), presenta un portale architravato con lunetta a tutto sesto, sormontata da un’apertura circolaree culmina nel timpano con cornice gotica e nella sottile croce in ferro: il susseguirsi di questi elementi rendeancora più accentuato lo sviluppo verticale dovuto al rapporto di 2:1 tra l’altezza e la larghezza dell’edicola.Le uniche differenze con il progetto riguardano alcuni elementi decorativi: mancano le formelle romboidali delleparaste laterali e lo stemma della famiglia, mentre la cornice è stata arricchita con conchiglie e modiglioni.
Archivio Vitali
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destinazione d’uso:
descrizione:
43 1932, Cancellata chiesa di Sant’AntonioComacchio, Via Cavour
cancellata
La cancellata che delimita il Tempio di S.Antonio in Comacchio é realizzata in ferro, attualmente tinteggiatocolor grigio-azzurro. Situata sopra un muro intonacato, è caratterizzata da elementi verticali che ne determinanoil ritmo. Il motivo sommitale è realizzato con archetti a sesto acuto inglobanti un arco lobato. I profili verticaliterminano in alto con elementi decorativi a punta a forma di giglio. Il cancello d’ingresso ripropone gli stessielementi verticali e la cornice, ma in corrispondenza del muro laterale presenta una chiusura con piastra metal-lica e si innesta con la cancellata tramite una greca verticale che ripropone disegni geometrici a serpentina subase quadrata.
Enrica Mantovani
F. Luciani, Vsén’ a la ròle dél chemén’. Tradizione po-polare storia poesia dialettale, Rimini, 2001
Collezione Luciani Collezione Luciani
123
destinazione d’uso:
descrizione:
Cecilia Traina44 1932, Casa Camillo ZanniniComacchio, Via Isola n. 18-20
casa di civile abitazione
Si tratta di un edificio ad angolo. Il fronte principale, in via Bellini, presenta un timpano con cornice aggettantespezzata e apertura ovale al centro. Anche i due ordini sottostanti risultano “spezzati” centralmente dall’inse-rimento della porta di ingresso, su un piano leggermente arretrato rispetto ai lati, dalla quale si accede diretta-mente al primo piano e che è raccordata al livello stradale mediante una scala ad una sola rampa rivolta versol’intersezione delle due vie.Questa asimmetria caratterizza la composizione di tutto l’edificio: le aperture del fronte principale sono simme-triche per disposizione, ma non per dimensioni, infatti l’angolo al piano nobile è enfatizzato dalla presenza diuna portafinestra con balcone. Allo stesso modo il fronte su via Gramsci si compone di due moduli simili chesi ripetono sequenzialmente: ognuno presenta coerenza compositiva nel proprio sviluppo verticale ma non inquello orizzontale complessivo poiché le aperture hanno dimensioni e interasse differenti.Il piano terra è trattato a finto bugnato su entrambi i fronti e porte e finestre hanno semplici cornici condecorazioni geometriche Decò a spirali e onde. Anche le inferriate delle finestre e le ringhiere dei balconirichiamano il tema marino mediante il motivo a conchiglie stilizzate.
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Catalogazione dell’archivioVitali
L’Archivio Vitali qui pubblicato riunisce in un unicocorpus il materiale ad oggi custodito nella casa di Ronta(Firenze) e nelle abitazioni, a Catania e Ferrara, delle ni-poti. Esso si compone di una sezione documentaria e diuna sezione grafica suddivisa in disegni d’Accademia elavori professionali.
La sezione documentaria è costituita in maggior partedalle carte raccolte dallo stesso Vitali per la pratica delriconoscimento del titolo e contiene gli elenchi delle opereda lui indicate come realizzate fino al 1932.
La sezione grafica, invece, è composta da acquerelli diAccademia ripartiti in rotoli e da cartelle contenenti i dise-gni esecutivi o di progetto dei lavori commissionati a Vitalie già da lui divisi in architettura civile (Serie “ProgettiCase”) ed architettura religioso-funeraria (Serie “ProgettiTombe”).
Per questa sezione la catalogazione proposta è fedelea quella indicata dallo stesso autore, mentre il regesto deidocumenti archivistici ha ricalcato una precedente suddi-visione effettuata dalla nipote Patrizia.
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Catalogazione documentiCristina Nagliati e Raffaella Piva
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L’allestimento della mostra risponde ad una dupliceistanza d’intenti: da un lato, si vuole rispecchiare la doppiavalenza di VitaleVitali quale artista ed architetto; dall’al-tro, si tenta di preservare nella sua interezza la letturamorfologica della sede espositiva. La volontà di non esse-re invasivi nei confronti di questi spazi, ma, al contrario, disottolinearne la suggestione, ha imposto vincoli esecutiviche sono stati trasformati in spunti progettuali nello svolgi-mento dell’idea compositiva.
Il percorso della mostra si snoda lungo due ambientiampi, dalla forma stretta ed allungata, coperti con volte abotte ed illuminati da bocche di lupo poste all’altezza delcortile interno del Castello Estense e del suo fossato d’ac-qua.
Il corpus delle opere presentate si compone di un co-spicuo numero di esercitazioni accademiche, eseguite adacquerello su carta, e di una selezione dei disegni tecnici,elaborati durante gli anni della professione.
Nella prima sala il visitatore è accolto da una strutturain legno a pianta triangolare, contenente, al centro,l’Autoritratto a bassorilievo che Vitali realizza nel periodo
Progetto di allestimento della mostraStefania Gallini, Enrica Mantovani, Enrico Puggioli, Cecilia Traina
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dell’Accademia. L’opera, enfatizzata da un’illuminazioneproveniente dal basso, si intravede dietro quinte di tela, sucui sono trascritte note biografiche e brevi saggi a presen-tare la figura umana di Vitale Vitali.
Mediante un passaggio angusto, si accede alla secon-da sala, dove una mappa di Comacchio evidenzia gli inter-venti realizzati da Vitali, suggerendo allo spettatore un iti-nerario non consueto per la visita della città valliva.
In questa sala, attraverso le sue stesse opere, si descri-ve la figura di Vitali non solo come architetto, ma anchecome artista in senso lato, sottolineando l’esemplarità dellavoro d’Accademia come base indispensabile alla suaesperienza successiva. La disposizione lungo le pareti vuoleenfatizzare la valenza scenografica degli acquerelli giova-nili e degli studi di progetto del periodo professionale,controbilanciando l’essenzialità di forma e di materiale delsupporto a cavalletto. Quest’ultimo, rimando esplicito al-l’attività pittorica di Vitali, funge anche da sostegno per ilpiccolo punto luce che si concentra singolarmente su ogniopera.
Al centro della sala, invece, trovano posto i progettiesecutivi veri e propri - per lo più chine su lucido o su cartae fotografie storiche e attuali- il cui carattere tecnico èsottolineato anche dal rigore formale degli espositori: “itavoli da lavoro”, realizzati in pannelli di MDF ed illuminaticiascuno da una piantana, vogliono alludere all’immaginestessa dello studio dell’architetto.
Il percorso espositivo è interamente accompagnato daun repertorio di musiche che appartengono agli stessi anniin cui si è svolta la vicenda professionale di Vitale Vitali.
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La selezione musicale che accompagna il percorso delleopere esposte costituisce un paradigma delle più rappre-sentative produzioni musicali apparse nel periodo storicoricoperto dall’attività dell’Artista in onore del quale è stataallestita la mostra.
Non è stato compito facile, in uno spazio temporalecome quello considerato, definire un insieme di brani chedessero, dello stesso, un quadro esaustivo, in quanto lamolteplicità delle correnti musicali presenti ha implicatouna delicata scelta rispondente non solo a criteri di rigorecontenutistico, ma anche a parametri d’interpretazionevalutativa filtrati attraverso una personale visione dell’este-tica musicale.
Lo schematismo razionale di matrice illuminista cheaveva dato vita alla rigida formalizzazione delle opere “clas-siche”, era stato sostituito dalla soggettiva esternazionedel sentimento romantico nella totale e incondizionata pro-duzione di lavori che rispondevano all’unicità eall’irripetibilità dell’ispirazione che li aveva creati e ad un’as-soluta libertà di non-forme, attraverso le quali il pensieromusicale assume contorni unici in quanto propri di quellasola e precisa composizione.
La ricerca di qualcosa di “nuovo” che segnasse un nettodistacco con il passato; il tentativo di contemperare le espe-rienze innovative con le riminescenze dei trascorsi musi-cali che rappresentavano capisaldi imprescindibili; le “code”di movimenti ormai vuoti ma ancora indagati per ricercaresignificati già espressi; la confluenza della musica colta edella musica di origine popolare, attuata con lo scopo diavvicinare un pubblico non ancora pronto alle produzionidi un’avanguardia che altrimenti sarebbe rimasta esclusadai circuiti della diffusione delle proprie opere, costituisco-no alcune delle manifestazioni del periodo.
La mancanza di punti di riferimento solidi, condizioneche a prima vista avrebbe potuto consentire un amplissimospazio di espressione, costituiva una sorta didisorientamento e provocava paradossalmente un senti-mento di disagio.
La situazione di deprivazione di cardini, non solo cultu-
rali, ma anche ideologici, causata dall’incapacità delle isti-tuzioni di offrire un equilibrato assetto della vita sociale,economica e umana provocava una tensione continua versola ricerca spasmodica di modelli - non modelli ai quali rife-rire artisticamente le pulsioni creative: si spiega in que-st’ottica la nascita di molteplici correnti culturali e degliinnumerevoli orientamenti che da esse si svilupparono.
I brani scelti non hanno la pretesa di esaurire questovasto panorama ma si pongono come fine quello di ac-compagnare il visitatore avvolgendolo in un’atmosfera so-nora che sottolinei, esaltandoli, i contenuti e i significatidelle opere di Vitale Vitali.
Le evanescenti sonorità dell’impressionismo di Debussy,la dissacrante critica di Satie, la lugubre musicalità diMussorskij e di Respighi, la sintesi d’arcaiche melodie po-polari e di spregiudicate armonie moderne di Bartok, lemelodie diatoniche e le dissonanze armoniche trattate daProkofiev con slancio compensato da un assoluto rigorematematico, l’eclettismo del “restauratore” Stravinsky in-fluenzato dal suo tempo in un continuo spostamento versodirezioni artistiche differenti, il jazz sinfonico di Gershwin,vivono il periodo in cui i concetti di atonalità1, dodecafonia2,politonalità3, cercano di offrire mezzi espressivi alternativia personalità artistiche che, rifuggendo (anche se a voltesolo apparentemente) dalle tradizioni, tendono alla crea-zione di nuove modalità per manifestare la propria interio-rità attraverso opere che rappresentino la realtà della loroimmaginazione e non la realtà delle proprie sensazioni.
Note1 Atonalità: assenza di sistema tonale.2 Dodecafonia: uso costante ed esclusivo di dodici note mairipetute nella serie per cui le armonie vengono regolate dall’ordi-ne dei suoni nella serie, che è sempre nuova in ogni brano comeprimaria idea creativa.3 Politonalità: uso contemporaneo d’accordi appartenenti a to-nalità differenti.
Progetto di allestimento musicalePaola Tagliani
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Tutto ha avuto inizio nel novembre del 2000 durante laFesta dell’Architettura a Ferrara.
Nella suggestiva Chiesa di S. Giovanni, ora non più adi-bita al culto, era stata allestita una mostra articolata in di-verse sezioni: una era riservata ai progetti redatti dai bam-bini delle classi III^ e V^ del locale Istituto S. Vincenzonell’anno scolastico 1999/2000.
I progetti erano il frutto dei laboratori organizzati daglioperatori di “Città Bambina”, dai tecnici del Servizio Pro-gettazione Urbanistica del Comune di Ferrara e da alcuniarchitetti liberi professionisti, fra cui la sottoscritta.
Alla base di tutto il lavoro un’idea semplice, ma forte:la “partecipazione dei minori ai processi di progetta-zione e miglioramento degli spazi e luoghi della città”.
E’ questo uno dei punti significativi del protocollo d’in-tesa per la diffusione del progetto “Città sostenibili dellebambine e dei bambini” tra Ministero dell’Ambiente e Con-siglio Nazionale degli Architetti (1999) e dell’omologo pro-tocollo d’intesa tra l’Amministrazione Comunale e l’Ordi-ne degli Architetti di Ferrara (2002).
Lo abbiamo fatto nostro, perché crediamo nella capa-cità della democrazia di dare voce alle classi deboli, in par-ticolare ai bambini.
Ecco come abbiamo lavorato.In primo luogo si è individuata l’area di studio, cioè quella
attorno alla scuola, che si affaccia sulla storica piazzaAriostea. Si è scelta, quindi, la metodologia che con gli“architetti in erba” avremmo seguito nello svolgimentodel lavoro: quella classica che impone in primo luogo diconoscere, per poi comprendere e infine progettare. Per-tanto, dopo aver illustrato in classe come si è storicamen-te sviluppata quella parte di città in cui si pensava di poterintervenire, abbiamo fatto un vero e proprio sopralluogo.Macchine fotografiche e blocchi per gli appunti, gli stru-menti usati al fine di “vedere” e non solo “guardare”, percapire cosa si sarebbe voluto e potuto modificare.
Al termine dei laboratori i bambini ci hanno proposto iloro progetti, fra i quali abbiamo scelto quello che ci sem-brava realizzabile: una fontanella decorativa e funzionaleda collocare in piazza Ariostea, già teatro dei loro giochi,
dal momento che quella che c’è è insufficiente per unospazio così ampio.
Come dei veri progettisti, hanno compilato schede tec-niche indicando ubicazione, altezza, forma e materiali del-la fontanella. Ma quale scegliere fra i tanti, bellissimi efantasiosi progetti?
Si è deciso di non sceglierne uno in particolare, ma direalizzare un oggetto nel quale ciascun bambino potesseritrovarsi. Non nella riproduzione fedele del propria idea,ma nella dimensione che più gli appartiene: la fantasia chesconfina nelle poesia.
Ed è appunto ai poeti che ci siamo rivolti, con la certez-za che solamente loro avrebbero saputo leggere ereinterpretare le proposte fantastiche dei bambini.
Hanno risposto al nostro invito, scommettendo sullapossibilità di lavorare a più mani, Alberto Gambale,Michelangelo Neri, Nicola Veronesi e Sergio Zanni.
Alberto lavora il vetro, Michelangelo e Sergio la cera-mica, Nicola il ferro. Ciascuno ha messo a disposizionedegli altri il proprio mestiere e il proprio linguaggio espres-sivo, realizzando il piccolo grande sogno di tanti bambini.
Ora nella storica piazza Ariostea, fra i platani che l’ab-bracciano, c’è una strano albero dal cui tronco sgorga ac-qua raccolta in due vaschette a forma di foglia: artificialee naturale nel contempo, con il fusto ‘finto’ (ceramica re-frattaria) e la chioma ‘vera’ (arbusto). Lo hanno volutocosì i “nostri quattro” (così ci piace chiamarli affettuosa-mente) pensando che anche nella piazza, in fondo, il confi-ne fra natura ed artificio è labile: proprio come nei giochidei bambini in cui si stenta a cogliere l’ambigua separazio-ne tra finzione e realtà.
E’ così anche per la casa di vetro che avvolge il troncosubito sotto la chioma, poiché traduce in un’immagine re-ale l’idea fantastica della casa in cima all’albero, che ap-partiene all’immaginario collettivo di grandi e piccoli.
Per concludere alcune considerazioni.La prima sui bambini che continuano a stupirci. L’han-
no fatto chiedendo ed ottenendo che nella fontanella cifossero anche una cannella ed una vaschetta per disseta-re gli animali. Loro, che di voce in capitolo ne hanno ge-
La Fontanella di Piazza Ariostea: esito di un percorso progettuale partecipatoLiliana Brunelli
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neralmente poca, si sono fatti interpreti delle necessità dichi, per forza di cose, di voce non ne ha proprio: un bel-l’esempio di civiltà.
A noi adulti è parso doveroso, per il rispetto che i bam-bini meritano, mantenere la promessa che avevamo scrit-to in un pannello della mostra del 2000: far sì che un loroprogetto fosse realizzato.
La fontanella, prendendo forma, è diventata il filo con-duttore che ha legato la Festa dell’Architettura del 2000 equella del 2003. Un filo sottile ma resistente, allegro e co-lorato come si addice ad una manifestazione che si defini-sce “Festa”.
La seconda nota è riservata alla Soprintendenza per iBeni Architettonici e Monumentali, alla quale dobbiamodare atto di avere colto immediatamente lo spirito del pro-getto e di averci consentito di intervenire in un contestocosì delicato.
La terza riflessione è relativa alla scelta di non acqui-stare un prodotto che il mercato fornisce già confezionatoe garantito: sarebbe stato tutto più semplice e meno fati-coso, anche se in questo modo avremmo solo in parte ri-sposto alle richieste dei bambini. E’ stata la natura straor-dinaria del luogo a suggerirci e ad imporci la realizzazionedi un oggetto che fosse unico, non preconfezionato, capa-ce di dialogare con il contesto.
E alla fine una nota personale: vorrei ringraziare perso-nalmente tutti i bambini con cui ho lavorato, per quanto mihanno regalato.
Rileggo sempre con piacere i loro appunti sulla visitaguidata alla città, descritta come una “entusiasmante av-ventura”, una “emozionante esperienza” e mi piace, pas-sando per Piazza Ariostea, guardare con gli occhi di Elenale colonne di palazzo Rondinelli “un po’ sprofondate per-ché la terra di Ferrara è morbida”.
Se l’urbanistica fosse programmata dai tecnici e parte-cipata dai cittadini con l’entusiasmo e la fantasia dei bam-bini avremmo sicuramente città migliori per tutti.
Coordinamento generale: Liliana BrunelliRealizzazione: Alberto Gambale, Michelangelo Neri, Nicola Ve-ronesi, Sergio ZanniCollaborazioni: bambini e insegnanti della scuola elementare“San Vincenzo” di Ferrara, gli architetti M. Balzani, B. Bonora, A.Guzzon, P. Onorati, B. Pazi, P. Perelli, R. Vitale, gli ingegneri A.Barillari e F. RossiRingraziamenti: ACOSEA per le opere di allacciamento allarete idrica, Fondazione ALCOA per il contributo economico,COPMA di Ferrara per l’offerta dei porta targhe, ditta MAREF diBondeno per la fornitura e cottura del materiale refrattario, l’Or-dine Architetti P.P C. di Ferrara.