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VIRGO GLORIOSA: PERCORSI DI CONOSCENZA, RESTAURO E TUTELA DELLE MADONNE VESTITE Atti del Convegno organizzato in occasione di Restauro 2005 - Salone dell’arte del Restauro e della Conservazione dei beni culturali e Ambientali, Ferrara 9 aprile 2005 Matrici arcaiche del rito di vestizione: abiti, madonne, antenate Paola Goretti La complessità del tema qui trattato ha risvolti e significati che si intrecciano con i campi disciplinari piu’differenti, partecipando contemporaneamente delle tradizioni rituali di tipo agrario e della liturgia religiosa di marca istituzionale, degli ambiti della devozione popolare e di quelli legati alle manifatture artistiche (tecniche e materiali), dei riti processionali e degli attributi che ogni vestizione “sacra” comporta, in una concertazione d’insieme estremamente delicata, capace di stabilire un dialogo fecondo con i piu’ differenti piani di lettura. Innumerevoli gli spunti già presenti nei due fondanti contributi di Riccarda Pagnozzato 1 , ricchi di accurate classificazioni; pochissime – dunque- le osservazioni che in detti testi non sono contemplate o, al limite, solo sporadicamente accennate. Mi permetto allora -e in punta di piedi- di suggerire solo alcune considerazioni, che hanno esclusivamente la funzione di aprire il dibattito stabilito in questa sede, segnalando gli aspetti piu’ spinosi di una difficile convivenza: quella tra ritualità antenata di tipo animistico (legata cioè al culto delle antiche dee madri e ai processi di simbolizzazione di una via matrilineare) e quella piu’ prossima alla figurazione misterica del dogma cristiano. Tale questione riguardante la linea di continuità che intercorrerebbe tra i simulacri delle madonne Vestite e le statuette votive delle piu’antiche dee madri di marca mediterranea –paragmatico, in tal senso, il ciclopico lavoro di catalogazione compiuto da Marija Gimbutas, la sua immensa repertoriazione di area europea relativa all’antica statuaria votiva in grado di ricostruire le tracce dello scenario preistorico e del pensiero mitico delle origini, in una prospettiva “archeomitologica”- 2 , il tema del perpetuo rinnovamento della Vita sembra infatti configurarsi come il cuore stesso del problema. Per molti studiose -e per tutto un fronte della cultura filosofica contemporanea, che accoglie le tesi espresse dalla studiosa lituana- queste manufatti costituirebbero l’antecedente 1 Fondamentali restano i seguenti contributi che costituiscono il punto di partenza degli studi di settore; Madonne della Laguna. Simulacri “da vestire” dei secoli XIV-XIX,a cura di Riccarda Pagnozzato, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,1993; E.Silvestrini, G. Gri, R.Pagnozzato, Donne Madonne Dee. Abito sacro e riti di vestizione ,gioiello votivo, “vestitrici”: un itinerario antropologico in area lagunare veneta, Padova, Il Poligrafo, 2003. Si veda anche il bellissimo e recente Madonnine agghindate. Figure devozionali vestite dal territorio di Arezzo, a cura di Paola Refice, Valentina Conticelli, Secondino Gatta, Città di Castello,Petruzzi,2005 2 M.Gimbutas,Il linguaggio della Dea.Mito e culto della Dea madre nell’Europa neolitica,introduzione di Joseph Campbell, Vicenza,Neri Pozza, 1997. Archeologia, mitologia e folclore danno vita ad uno sguardo d’insieme teso all’unione degli orizzonti storici e simbolici. Sullo stesso filone, si vedano anche Le grandi madri, a cura di Tilde Giani Gallino, Milano, Feltrinelli, 1989; V.Noble, Il risveglio della dea, Milano, Corbaccio,1996; G.Sermonti, Il mito della Grande Madre. Dalle amigdale a Catal Huyuk, Milano, Mimesis, 2002.

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VIRGO GLORIOSA: PERCORSI DI CONOSCENZA, RESTAURO E TUTELA DELLE MADONNE VESTITE Atti del Convegno organizzato in occasione di Restauro 2005 - Salone dell’arte del Restauro e della Conservazione dei beni culturali e Ambientali, Ferrara 9 aprile 2005

Matrici arcaiche del rito di vestizione: abiti, madonne, antenate Paola Goretti La complessità del tema qui trattato ha risvolti e significati che si intrecciano con i campi disciplinari piu’differenti, partecipando contemporaneamente delle tradizioni rituali di tipo agrario e della liturgia religiosa di marca istituzionale, degli ambiti della devozione popolare e di quelli legati alle manifatture artistiche (tecniche e materiali), dei riti processionali e degli attributi che ogni vestizione “sacra” comporta, in una concertazione d’insieme estremamente delicata, capace di stabilire un dialogo fecondo con i piu’ differenti piani di lettura. Innumerevoli gli spunti già presenti nei due fondanti contributi di Riccarda Pagnozzato1, ricchi di accurate classificazioni; pochissime –dunque- le osservazioni che in detti testi non sono contemplate o, al limite, solo sporadicamente accennate. Mi permetto allora -e in punta di piedi- di suggerire solo alcune considerazioni, che hanno esclusivamente la funzione di aprire il dibattito stabilito in questa sede, segnalando gli aspetti piu’ spinosi di una difficile convivenza: quella tra ritualità antenata di tipo animistico (legata cioè al culto delle antiche dee madri e ai processi di simbolizzazione di una via matrilineare) e quella piu’ prossima alla figurazione misterica del dogma cristiano. Tale questione riguardante la linea di continuità che intercorrerebbe tra i simulacri delle madonne Vestite e le statuette votive delle piu’antiche dee madri di marca mediterranea –paragmatico, in tal senso, il ciclopico lavoro di catalogazione compiuto da Marija Gimbutas, la sua immensa repertoriazione di area europea relativa all’antica statuaria votiva in grado di ricostruire le tracce dello scenario preistorico e del pensiero mitico delle origini, in una prospettiva “archeomitologica”-2, il tema del perpetuo rinnovamento della Vita sembra infatti configurarsi come il cuore stesso del problema. Per molti studiose -e per tutto un fronte della cultura filosofica contemporanea, che accoglie le tesi espresse dalla studiosa lituana- queste manufatti costituirebbero l’antecedente

1 Fondamentali restano i seguenti contributi che costituiscono il punto di partenza degli studi di settore; Madonne della Laguna. Simulacri “da vestire” dei secoli XIV-XIX,a cura di Riccarda Pagnozzato, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,1993; E.Silvestrini, G. Gri, R.Pagnozzato, Donne Madonne Dee. Abito sacro e riti di vestizione ,gioiello votivo, “vestitrici”: un itinerario antropologico in area lagunare veneta, Padova, Il Poligrafo, 2003. Si veda anche il bellissimo e recente Madonnine agghindate. Figure devozionali vestite dal territorio di Arezzo, a cura di Paola Refice, Valentina Conticelli, Secondino Gatta, Città di Castello,Petruzzi,2005 2 M.Gimbutas,Il linguaggio della Dea.Mito e culto della Dea madre nell’Europa neolitica,introduzione di Joseph Campbell, Vicenza,Neri Pozza, 1997. Archeologia, mitologia e folclore danno vita ad uno sguardo d’insieme teso all’unione degli orizzonti storici e simbolici. Sullo stesso filone, si vedano anche Le grandi madri, a cura di Tilde Giani Gallino, Milano, Feltrinelli, 1989; V.Noble, Il risveglio della dea, Milano, Corbaccio,1996; G.Sermonti, Il mito della Grande Madre. Dalle amigdale a Catal Huyuk, Milano, Mimesis, 2002.

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piu’prossimo alle sacre icone della Vergine, dal momento che anch’esse incarnano e veicolano il portato femminile piu’arcaico, convogliandolo e dirigendolo verso bisogni di protezione e di soccorso, spesso contrassegnati dagli attributi della fecondità, a presidio della costante rigenerazione del creato in tutte le forme Viceversa, l’ortodossia religiosa è stata davvero poco incline a considerare gli intrecci tangenziali di discendenza e derivazione intercorribili tra la figura della Vergine e quelle del matriarcato preclassico, dal momento che il dogma mariano dell’intercessione non sarebbe in nessun modo assimilabile al culto delle piu’antiche dee madri; Giovanni Pozzi sconfessa infatti queste indicazioni con accenti piuttosto vigorosi, insistendo sulla impossibilità di marcare una linea di confine tra la figura -come lui la chiama- di “Maria Tabernacolo” e le antiche “entità” femminili ad essa antecedenti. Secondo l’illustre studioso, che ci ha lasciato pagine indimenticabili sulle figure delle mistiche italiane3, sbagliano gli antropologi secondo i quali esisterebbe una linea di continuità tra la sostanza delle dee madri e la figura della Vergine, lontanissime e nessun modo assimilabili. Le sue parole non lasciano dubbi interpratativi: mi pare…che la fretta spinga a salti smisurati i folcloristi –dice Pozzi- quando rimbalzano alla preistoria di fronte ad ogni manifestazione popolare sui cicli della vita, come se il quasi bimillennio di cristianesimo non avesse introdotto una paraliturgia delle benedizioni e dei sacramenti, sorretta da una riflessione teologica sistematica e incessantemente inculcata alla coscienza dei fedeli,o ricorrono al luogo comune del rito apotropaico come se non esistesse una dottrina della mediazione di Maria, ben presente ai fedeli quando la supplicavano “Avvocata” .....,o risolvono in sacralità naturale e rito di fecondità la tendenza di iscrivere i fatti della vita in un disegno provvidenziale. Se l’attenzione, i timori e le gioie che accompagnano la fecondità e la nascita sono elementi antropologici costanti –continua l’illustre teologo-, che trovano ovunque un posto nelle religioni,la dottrina cristiana ha conferito loro una coloritura specifica conseguente a una dottrina i cui dati non sono inglobati all’antropologia. Anche nel caso di successive sostituzioni, Maria di Nazareth è altra cosa dalle antiche madri, dalla Uni etrusca, dalla Iside orientale e dalla greco-romana Giunone. Spiegare con quegli elementi il culto alla maternità verginale e all’incarnazione, vuol dire espungere in blocco dalla storia la metà della storia della pietà cristiana4. Sempre secondo Pozzi, la struttura del dogma o della pietà mariana è totalmente diversa dalla struttura dei culti femminili nella mitologia e nei miti pagani; tra il culto

3 Scrittrici mistiche italiane, a cura di Govanni Pozzi e Claudio Leonardi, Genova, Marietti, 1988. 4 G.Pozzi, Sull’orlo del visibile parlare, Milano, Adelphi, 1993; in particolare, Verbum carum factum est, pp. 17-72. Il lungo brano qui riportato si trova a p. 69.

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di Maria e quello delle dee madri le analogie portano su circostanze esteriori5. E proprio su questo punto che egli non ammette sovrapposizioni, come a ribadire la frattura profonda che il mistero profondo dell’incarnazione mariana stabilisce con la vecchiezza di un tempo ormai del tutto consumato, ora destinato a mutare. C’è però un altro aspetto –a mio parere- dove il discorso dell’illustre studioso si apre a innumerevoli punti di fioritura e che anzi, sembra sostenere l’epifania del dogma incoraggiandone persino la via fisica e corporale. Ovvero, negli elementi che riguardano la sacra vestizione o in quegli oggetti che in qualche misura sono implicati con gli elementi del guardaroba di Maria, venerati con fervore devoto come vere e proprie reliquie, specie da parte delle gestanti; la cintura, la camicia, la fascia o “zona”. Proprio quest’ultima, che sanctissimum illud corporis costringebat et deum qui in utero celabatur continebat6era segnalata a Roma, Acquisgrana, Bruges, Arras,in una localizzazione ageografica totalmente proliferante. I canonici di Annecy –prosegue Pozzi- ancora nel secolo XVIII, “praegnantibus uterumque ferentibus praecingendum exibent” un frammento della sua fascia. Lo studioso prosegue poi con una dottissima ricognizione sul tema della Madonna del Parto di Piero della Francesca e, in particolare, con lo scarto che Piero mostrerebbe di avere con la sacra cintura di Prato -che egli non dipinge sulla possente e gravida icona7-, apponendola invece su quella della Madonna della Misericordia di Borgo San Sepolcro: Sulla Madonna di Monterchi Piero non dipinse quella cintura simbolica che significava nella iconografia mariana la gravidanza verginale ma ne cinse la Madonna della Misericordia di Sansepolcro. Se qualche devota persona ha mai creduto di leggere dietro lo spacco della veste azzurra di Monterchi la presenza della camicia taumaturgica il richiamo di quell’orante ingenuo, sciocco superstizioso quanto si voglia, abusivo per rapporto alla mente del pittore frutto di un equivoco bigotto, e chi piu’ne ha piu’ne metta, è piu’legittimo che non quelli degli iconologi odierni che vedono rappresentata in quella madonna l’immacolata concezione,l’assunzione,l’eucarestia e la chiesa, non perchè il tema della gravidanza sia incompatibile con quelle verità della fede ma perchè nel dipinto non c’è di loro traccia veruna,mentre è lì il sottabito di Maria, reliquia venerata e oggetto di ricostruzioni simboliche nelle preghiere che ho sopra citato.8 Pozzi, accetta perciò i caratteri di una religiosità intima e popolare che -sempre all’interno del mistero ma sul piano della pietà privata-, introduce il tema degli abiti e la loro relazione col corpo. Tanto è vero che argomenta la sua dimostrazione sostenendo che la stessa opera di rammemorazione in onore del sacro parto accompagnata da un 5 Ibidem 6 Ibidem,p.71 7 Sulla sacra reliquia della cintura conservata a Prato si veda C.Cerretelli, La Madonna della Cintola di Prato, in Colloqui davanti alla Madre. Immagini mariane in Toscana tra arte,storie e devozione,a cura di Antonio Paolucci, Firenze, Mandragora, 2004, pp. 80-90. 8 Ibidem

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preciso numero di orazioni fu ideata da Santa Caterina da Bologna -Caterina de’Vigri- e consisteva nel fatto di recitare, a partire dal 29 novembre al 23 dicembre, mille ave marie, distribuite in numero di quaranta ogni giorno9. Le preghiere vocali così moltiplicate per occupare l’intera giornata, talvolta venivano raggruppate con ragioni devote assai singolari,quali quelle che occupavano il lungo trattato del Giardino Spirituale di Arcangela Panigarola. In tal senso, con la recita dei salmi, si intendeva preparare mentalmente la cuna, el lenzoletto, la fodreta, el patelino a Gesu’nascituro, seguendo passo dopo passo le presente attività di Maria in attesa del parto.La pratica diffusa anche fra i laici, si ritrova ancora in manuali di pietà del seicento, sempre trasferita a Maria cui si offriva con 1500 ave “una camicia”, e così continuando a vestire spiritualmente Nostra Signora con camisia veste cingolo manto corona e ghirlanda.10

L’ampia ricognizione dello studioso sembra perciò alludere a una sorta di “Vestitio Spiritualis” scandita persino da alcune preghiere, salmodiate per perpetuare l’efficacia simbolica del rito,come in una sorta di cantillazione, di manducazione, di pronuncia necessaria11. Per Caterina, l’effigie corporea del Sacro Bambino è il luogo venerabile su cui depositare la propria intensa devozione; le delicate fasciaturine che lo avvolgono –la sua completa vestizione- se da un lato costituiscono il veicolo di un’intima e materna partecipazione, certamente sostenuta da quello speciale sentimento dell’infanzia che si affaccia sulla scena europea sul finire del medioevo12, dall’altro –e ancor piu’- si riconnettono direttamente al Vangelo di Luca,13 introducendo al cuore stesso del mistero mediante l’esperienza concreta della divinità: fisicamente vestibile, cullabile, assaporabile, odorabile, toccabile, amabile. Non solo semplici strumenti di vestizione, ecco allora che le fasce divengono vere e proprie “reliquie viventi”, mediante le quali partecipare attivamente della potenza del Verbo Incarnato, da restituire poi, come nel caso di Caterina- in orazione dipinta, sotto forma di manufatto pittorico14. 9 Ormai ampiamente storicizzata, Caterina de’Vigri (Bologna, 1413-1463) costituisce l’esempio paradigmatico che riunifica l’animo artistico con la piu’intima vocazione spirituale. Sul tema, Vita artistica nel monastero femminile. Exempla, a cura di Vera Fortunati, Bologna, Editrice Compositori, 2002. Sulla speciale relazione che intercorre tra Caterina, la sua “maternità spirituale” e le pratiche di vestizione simbolica del sacro bambino (la cui effigie,accuratamente miniata, compare anche nel suo personalissimo breviario)si veda anche Pregare con le immagini.Il breviario di Caterina Vigri, a cura di Vera Fortunati e Claudio Leonardi, Firenze, Sismel, Edizioni del Galluzzo-Bologna, Editrice Compositori, 2004; in particolare L’infanzia dello sposo: il Bambino, pp. 78-81. 10 G.Pozzi, ibidem, p.34. 11 Lo stesso dicasi per le preghiere in onore del Sacro Bambino di Praga, effigie “da vestire” venerata nella chiesa del Corpus Domini di Milano, documentata anche in alcuni testi dell’ufficialità che assegnano alla novena le meditazioni relative a nove diverse parti del corpo del divino infante. Si veda E. Silvestrini, Abiti e simulacri.Itinerario attraverso mitologie,narrazioni e riti, in E.Silvestrini, G. Gri, R.Pagnozzato, Donne Madonne Dee, op.cit., p.26. 12 Sul tema, si veda il notissimo P.Ariès, Padri e figli nell’Europa medievale e moderna, Bari,Laterza, 1968. Tra i numerosi testi dedicati all’infanzia si veda A.Benvenuti Papi, E.Giannarelli, Bambini Santi.Rappresentazioni dell’infanzia e modelli agiografici, Torino,Rosemberg & Sellier, 1991. 13 Lo avvolse in fasce e lo adagiò in una mangiatoia, Luca, II, 7. 14 Caterina dipinse un vero e proprio Bambinello in fasce. Si tratta di una figurina bidimensionale su pergamena,incollata ad un supporto di legno e scontornata lungo il profilo. Una sorta di “bambola” che si può spostare ovunque,accogliere in grembo, vestire e svestire con abitini in vero tessuto. Sul tema, rimando al bellissimo M. Cecchetti, Con or, argento seta,e

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Questo, a me pare essere il punto di tangenza tra due universi altrimenti inconciliabili;questo il passaggio di tipo unificante in cui due orizzonti così distanti (pagano e cristiano) sembrano invece capaci di prospettare una ricaduta simbolica di fortissimo impatto emozionale,proprio passando per le vesti. Infatti, nonostante la persistenza di questa sancita inconciliabilità, il processo di sacralizzazione dei suoi simulacri mostra un’indubbia linea di parentela con i riti che in ogni latitudine governano il tabu’ del corpo. Infatti, poichè i caratteri della sua regalità -eccezionali e delicatissimi- hanno i segni dello straordinario, occorre che siano diligentemente regolamentate le possibilità di contatto con la “fisicità venerabile”, impregnata com’è di energia mistica e magnetica, da amministrare con oculatezza prima che sia il simulacro stesso a riversarla sull’intera comunità. Lo stesso accade nei caratteri della vestizione sciamanica -con tutto il corredo di piume, pigmenti e residui animali15-, nelle cerimonie animistiche di tipo totemico, e ogni qual volta si tratti di dar conto il tema universale della maschera sacra, vero e proprio tramite per una teofania16. La garanzia di una distanza che si rende necessaria per l’efficacia simbolica del rito -tanto piu’ riuscito quanto piu’ perimetrato in una lentezza gestuale tesa al controllo di tutti i particolari- introduce il tema della “manifestazione della presenza”, realizzando una densità energetica che distribuisce il carisma della trasformazione mediante l’orchestrazione di una sapiente liturgia. Il simulacro è infatti “Presenza Viva”, dispositivo magico impregnato di fortissimo caricamento magnetico (questo il possibile passaggio incriminato, lo stesso che fece inorridire tanti curati di campagna, pronti a vietare aspramente le presenze delle Madonne vestite nei tabernacoli delle chiese, e a relegarle progressivamente tra le “cianfrusaglie” delle sagrestie), e come tale va trattato. Mediante un protocollo che affonda le sue radici nei riti arcaici di vestizione soprannaturale, rurale e agraria. Si pensi -per non fare che un esempio- alla Sartiglia, antichissima festa della Candelora che si tiene ogni anni a Oristano; in particolare, alla figura di Su Componidori e a quella delle Massaieddas che, proprio attraverso una mascherata di eccellenza, cadenzata da mille passaggi rituali rievocanti il tempo mitico, suggellano la vestizione dell’eroe cannatiglia. Appunti di iconografia devozionale per S. Caterina de’ Vigri, in “Il Carrobbio”, Anno XIV, 1988, pp.116-124. Sulle immaginette vestite anche E.Gulli Grigioni,V.Pranzini, Santi Auguri!Presepi di carta, santini, calendarietti devozionali per augurare le buone feste (secoli XIX e XX), Ravenna, Essegi, 1995; E.Gulli Grigioni, Immaginette devozionali e decorazioni profane manufatte in Paesi europei nel Settecento e nell’Ottocento, Ravenna, Essegi, 1998. 15 Su questo tema, sulla relazione vestimentaria intercorrente tra due mondi (terrestre e celeste) e sulla presenza della componente piumaria tanto in ambito profano che sciamanico rimando al mio Il serpente piumato:il mito del selvaggio dai repertori cinquecenteschi al fatalismo,in Il vestito dell’altro.Semiotica, arti, costume,a cura di Giovanna Franci e Maria Giuseppina Muzzarelli, Milano, Lupetti, 2005, pp 149-177. 16 L’espressione, sintetica e felicissima, si trova in T.Burckardt, La maschera sacra e altri saggi, traduzione di Elisabetta Bonfanti Mutti, Milano, SE, 1988,p. 13.

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mediante l’applicazione di una maschera bianca, (simile a quelle in uso nel teatro giapponese)17, rendendo il maschio androgino per l’occasione e preparandolo affinchè sia in grado di compiere la cavalcata di rigenerazione primaverile. Le Madonne da vestire (come le bambole, del resto, o i “fantolini ingioiellati” raffiguranti il Bambin Gesu’)18fanno invece parte di un procedimento iniziatico che riguarda l’identità femminile, proiettata in uno spazio di relazione attraverso la simulazione di un “corpo a corpo” con la figura della Madre. Esse -dunque- sono sempre “indicibili”. La loro gloria viene assaporata intimamente, come in un colloquio che veicola un’operazione trasformativa di tipo misterico. La straordinaria opera di vestizione che esse incarnano è, per certi versi, il correlativo di un andamento planetario e cosmogonico in cui la componente umana viene abrasa per dar spazio a elementi di carattere siderale. E in quei caratteri si ripristina un compimento di natura totalmente archetipica in cui il sacro -di nuovo agito- infiamma l’unità così ricomposta. La comunità dei fedeli è dunque protetta e benedetta dal sacro sorriso sprigionante dalle statue, nelle altezze imperturbabili di un esistere atemporale che si erge a custodia del mondo e della sua imperturbabile ciclicità. All’umano, resta solo la possibilità di un colloquio -a volte bisbigliante nel segreto della manducazione della parola- come in una potentissima litania tesa a governare una concertazione di elementi che lo riconduce verso un’operazione di innalzamento misterico. E in tale prospettiva, anche il rituale della vestizione è parte integrante dell’intensa drammaturgia religiosa.19

Riecheggiano i versi della gloriosa Canzone alla Vergine del Petrarca: Vergine bella, che di sol vestita,/ coronata di stelle, al sommo Sole/ piacesti sì che ‘n te sua luce ascose.20Non un abito dunque, ma un’intera cartografia celeste, un‘intera cosmogonia di elementi, “miseramente” tradotti in abito. Luna, sole, stelle, mantello cosmico, corona raggiata21. Figure della luce e dei suoi composti, per una vestitio spiritualis necessaria all’impetrazione della Grazia, nella risignificazione del miracolo immortale che –in questo caso, per via di sontuosa regalità sartoriale; in altri, prediligendo talvolta una piu’

17 Su questo tema, M. Casari, Semantica della maschera No tra mito e vuoto,in Mascheramenti.Tecniche e saperi nello spettacolo d’occidente e d’oriente,a cura di Paola Bignami, Roma, Bulzoni, 1999,pp. 217-233; 18 Sul tema della “sacra bambola”,specie ad uso di educande proiettate fin da bambine alla consacrazione della vita monastica, si veda C.Klapisch-Zuber, La famiglia e le donne nel Rinascimento a Firenze, Roma-Bari,Laterza, 1998; in particolare Le sante bambole. Gioco e devozione nella Firenze del Quattrocento, pp. 305-329. 19 In altri contesti –accomunati a questo tema,benché di impronta contemporanea,e assimilabili alla riflessione di tipo artistico- mi sono occupata del profilo”affettivo” riguardante l’atto stesso del vestirsi. Rimando a L’amorosa litania:rituali di umana vestizione,in Corpo/Moda/Mente.Natura Naturans n. 10, a cura di Maria Campitelli, Trieste, Juliet Editrice, 2005, suppl. a ln. 124 di Juliet, pp. 20-25. 20 F.Petrarca, Canzoniere, introduzione e note di Piero Cudini, Milano, Garzanti, 1980, CCCLXVI, p.472. Considerazioni analoghe vengono sviluppate in Madonnine agghindate, op.cit, specie al capitolo Di Sol vestita, pp.7-14 che riporta i brani teologici piu’significativi relativi alla lucente apparizione della Vergine. 21 Sul sacro mantello miracoloso, sulle sacre cinture e sui principali oggetti della vestizione si veda ancora una volta Donne Madonne e Dee, op.cit.,pp. 45-54.

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disadorna sottrazione22- rinnova l’inconsumabile intimità nuziale del cielo e della terra. Ognora riattivata nel Suo Splendore.

Fig 1. Statue raffiguranti le Dee dei serpenti, provenienti da Cnosso databili attorno

al 1600 a. C., Creta, Museo Archeologico di Heraklion

22 Di Vestitio spiritualis, ma in tal caso di marca contrapposta, si può parlare anche per altri emblematici casi. Faccio riferimento, in particolare, ad alcune vesti di sante e di beate che proprio per il loro portato disadorno divengono il contrassegno dell’ innalzamento spirituale di chi le indossa. Sul tema, il mio De plenitudine: vesti di un’anima semplice, in Osanna Andreasi da Mantova.1449-1505.La santità nel quotidiano, a cura di Rodolfo Signorini, Rosanna Golinelli Berto, Mantova, Casandreasi, 2005,pp. 71-81.

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fig 2. Piero della Francesca, Polittico della Misericordia,

particolare con la Madonna (1445-1462), Sansepolcro (Arezzo), Pinacoteca Comunale

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Fig.3 Venerata statua della Madonna, Loreto, Santuario della Santa Casa

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fig.4 Statua della Madonna con la nuova corona di corallo,

Alghero, Santuario di Nostra Signora di Valverde

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fig 5 Statua della Vergine Assunta, Alicante (Spagna),

Basilica di Santa Maria di Elche

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1.

fig 6 Statua della Madonna dei Sette Dolori, Pescara, Basilica

Santuario della Madonna dei Sette Dolori

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Fig 7 Madonna ambientata nella Chiesa del Rosario dei Gesuati, Venezia, da: Donne Madonne e Dee a cura di Riccarda Pagnozzato, Padova 2003, tav. fuori testo I

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Fig 8 José de Alzìbar, Suor Maria Ignacia de la Sangre de Cristo, 1777 olio su lino, Città del Messico, Museo Nacional de Historia, da “FMR”, 129 (1998)

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Fig 9 Sacro Bambin Gesù di Praga, sec XVII, Praga, Chiesa della Vergine Maria della Vittoria

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Fig 10 Bambin Gesù benedicente in trono, fine sec. XVII-inizio sec. XVIII, legno policromo, Madrid, Monasterio de las Descalzad Reales, Cappella di San Michele, da “FMR”, 77 (1989)

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Fig 11. Santini in pizzo, collezione Michele Falzone del

Barbarò, da “FMR”, 19 (1983)

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Fig 12-13. Giuseppa, Eleonora, Carmela: vestizione della Vergine Addolorata, aprile 1988, Avola (Siracusa), da: Donne Madonne e Dee, a cura di Riccarda Pagnozzato, Padova 2003, tav. fuori testo XVIII-XXIX

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