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1 VILLAVERDIUM Scuola elementare statale “Italo Calvino” via Liguria, 11 Cologno Monzese (Mi) anno scolastico 2002 - 2003 Classe 4 B insegnanti Maurizia Carnevale - Nadia Ponci Questo titolo appartiene alla collana collegata al progetto “La scuola come casa editrice” condotto da anni nella scuola “Italo Calvino”.

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VILLAVERDIUM

Scuola elementare statale “Italo Calvino”via Liguria, 11

Cologno Monzese (Mi)

anno scolastico 2002 - 2003

Classe 4 Binsegnanti Maurizia Carnevale - Nadia Ponci

Questo titolo appartiene alla collana collegata al progetto “La scuola come casa editrice” condotto da anni nella scuola “Italo Calvino”.

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Autori

Marco AlaimoRoberto Armetta

Francesca CannoneAndrea CarellaMatteo Chinosi

Maria Teresa DeligioMichele D’Errico

Alessandro Di TerlizziStefano Galofaro

Nicola GrassoGonzalo Gutierrez

Dolaji HeninLuca Lemma

Marica LimongelliMarina MirabellaManuel PecorellaNicholas PenzoMichael RussoElisa ScalviniLaura SessaDiana SullcaAhmed Tarek

Prefazione

Questo libretto è un’occasione per conoscere e vivere la città nei suoi più vari aspetti: reale, civile, storico, geogra-fico, affettivo, fantastico.

“Le città sono un insieme di tante cose: di memoria, di desideri, di segni d’un linguaggio; le città sono luoghi di scambio, come spiegano tutti i libri di storia dell’economia, ma questi scambi non sono soltanto scambi di merci, sono scambi di parole, di desideri, di ricordi.” Italo Calvino

Partiti dallo studio del paesaggio antropico e in particolare di quello urbano, i bambini hanno ripercorso diversi pro-getti per la realizzazione di nuove città, reali e ideali che l’uomo ha costruito o immaginato nel corso della storia. Anche i bambini hanno costruito la loro città ideale, Villaverdium, passando dalla progettazione alla realizzazione di un plastico con i materiali più vari.La disponibilità degli Amministratori Comunali a ricevere il gruppo classe in villa Casati, sede del Comune, e rispon-dere alle domande dei bambini ha permesso a ciascuno di loro di comprendere ruoli e funzioni delle varie Autorità pubbliche e di prendere coscienza della necessità di leggi che regolano la vita sociale della città.La visita della mostra “Le città in-visibili” alla Triennale di Milano e la lettura de “Le città invisibili” di Italo Calvino (libro che offre parecchi piani di lettura) hanno permesso di uscire dall’ambito scolastico.

“Le città oscillano tra visibilità e invisibilità. Nella consapevolezza che ogni città funziona sempre un po’ così: sta lì, nello spazio compreso fra progetto e sentimento, e vive e si forma e si sforma anche grazie all’uso che ognuno di noi ne fa... per essere deve trasformare il futuro in presente.” Dalla Triennale di Milano - Le città in-visibili

I bambini che sono stati alla Triennale hanno riportato ai compagni le emozioni e le suggestioni provate lungo il percorso della mostra.Le descrizioni di alcune città invisibili hanno suscitato stupore, ilarità, tristezza, immagini fantastiche. Costruire intorno a queste descrizioni possibili storie è stato il naturale evolversi del clima di interesse che si era creato in classe.I bambini, a livello individuale o a gruppi, hanno scelto liberamente la città dove ambientare le loro storie e hanno poi utilizzato quasi sempre la struttura della fiaba (scelta del protagonista, descrizione dell’ambiente, arrivo dell’antago-nista, uso dell’elemento magico, descrizione delle varie disavventure, comparsa del personaggio buono, salvataggio e lieto fine) per raccontare le loro esperienze, i loro vissuti, i loro desideri.Ogni storia è stata poi illustrata in bianco e nero per la realizzazione del libro e a colori per la messa online dello stesso sul sito della nostra scuola.Villaverdium è il frutto quindi di un lavoro multidisciplinare (lingua - geografia - storia - studi sociali - educazione

all’immagine - informatica) durato parecchi mesi.

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Il nuovo solista Manuel Pecorella

Il segreto di Zora è il modo in cui la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare nessuna nota. L’uomo che sa a memoria come è fatta Zora ricorda l’ordine in cui si succedono l’orologio di rame, la tenda a strisce del barbiere, lo

zampillo dai nove schizzi, la torre di vetro dell’astronomo, l’edicola del venditore di cocomeri, la statua dell’eremita e del leone, il bagno turco, il caffè all’angolo, la traversa che va al porto e i tanti lampioni che fanno brillare il mare. Manuel camminando rimane a bocca aperta guardando la città così pulita e ordinata. Si siede su una panchina di legno, apre la sua valigetta e tira fuori il suo violino d’argento con le corde tutte d’oro. Lo strumento proveniva da Isidora, la città famosa per i costruttori di violini.Manuel inizia a suonare, le sue note musicali voleggiano brillanti nell’aria e Zora risuona di nuove melo-die.

La gara Diana Sullca, Luca Lemma, Andrea Carella

Billi è un esploratore a cui piace viaggiare.Un giorno viaggiando s’imbatte in una città di nome Dorotea, chiusa da strane mura: barriere di corrente. Avvicinandosi vede uno strano spettacolo: quattro torri d’alluminio s’elevano dalle sue

mura fiancheggiando sette porte dal ponte elevatoio a molla che scavalca il fossato la cui acqua alimenta quattro verdi canali che attraversano la città e la dividono in nove quartieri, ognuno di trecento case e settecento fumaioli.Le torri servono per avvistare i tori che terrorizzano Dorotea.Billi è catturato da un toro che lo porta nel suo rifugio per trasformarlo in pasto serale.Frog, il re di Dorotea, non si cura del suo popolo, ma passa il tempo a giocare con i numeri.Billi scappato dal rifugio raggiunge il castello passando per la settima porta. Qui incontra Elisabetta, figlia del re, se ne innamora subito ed escogita uno stratagemma per sposarla. Sfida il re in una gara di calcoli. Frog, presuntuoso e sicuro di sé, accetta e fa saper a Billi che in caso di sconfitta sarebbe diventato suo schiavo. Billi, in caso di vittoria, chiede al re la mano di sua figlia. Frog ride della proposta e dà inizio alla gara. Billi è un vero esperto e, seppure a fatica, batte il re e può finalmente sposare Elisabetta. Insieme vivono felici e contenti, mentre Frog sfoga la sua rabbia sui tori che abbandonano per sempre Dorotea.

A spasso nel tempo Laura Sessa, Matteo Chinosi

Un bambino di nome Matteo costruì la maccchina del tempo.Una sera volle partire per Roma, ma d’un tratto la macchina del tempo si scontrò contro una meteorite che le fece cambiare codice spedendola a Zoe, una città nel deserto. Si dice che il viag-

giatore che gira per Zoe non ha che dubbi: non riesce a distinguere i punti della città perché sotto qual-siasi tetto a piramide si potrebbe volta a volta dormire, fabbricare arnesi, cucinare, accumulare monete d’oro, svestirsi, regnare, vendere, interrogare oracoli. Per lo schianto, la macchina del tempo si ruppe e una sola persona non la poteva riparare. Matteo rassegnato si mise in cammino e dopo qualche ora, oltre una duna, si trovò davanti a Zoe, una città di piramidi. Meravigliato e disorientato, pensò di essere in un cimitero egizio.Entrò in una piramide per uno stretto cunicolo, ma d’un tratto apparve un ampio salone, bello, luminoso e ricoperto d’oro su cui c’erano geroglifici che Matteo non riusciva a decifrare. D’improvviso apparve Tutankhamon. Matteo si ritrasse pensando di essere di fronte ad una mummia, ma il faraone con voce solenne gli diede il benvenuto nella sua città. Tutankhamon aveva un nemes a strisce gialle e blu con sopra un cobra d’oro che al posto degli occhi aveva due rubini; sul corpo aveva una specie di armatura dorata tempestata di diamanti, rubini, zaffiri; sotto indossava una candida tunica di lino. Matteo si era finalmente reso conto che era tornato nel passato, addirittura nel 1500 a. C., perciò si era congratulato con se stesso per la perfetta macchina che aveva costruito e che, purtroppo, era stata danneggiata dalla meteorite. Così, con coraggio e intraprendenza, chiese a Tutankhamon se i suoi schiavi potevano aiu-tarlo a riparare la macchina. Il faraone prima pensò che Matteo fosse uno stregone, poi un dio venuto dal cielo, infine incuriosito volle conoscere il funzionamento di quella strana macchina. Affascinato dalla spiegazione, chiamò i suoi schiavi e diede loro il compito di aiutare nelle riparazioni. Sicuramente avrebbe voluto essere proiettato nel futuro per conoscere l’avvenire del suo popolo, ma qualcosa dentro di sé lo trattenne. Riparato il guasto, Matteo salutò il faraone, ringraziò gli schiavi, inserì il codice-casa nella macchina del tempo e lasciò Zoe per tornare a Cologno.

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Sulle orme dei dinosauri Stefano Garofalo

Camminando per un bosco, dove sono state trovate tracce di dinosauri, due esploratori cadono in una fossa. Precipitano per dieci metri e bruscamente atterrano su un morbido cuscino d’erba dove sbuca una galleria. In fondo al cunicolo si intravvede una luce; i due esploratori lo percorrono e

raggiungono Tamara, una città molto strana. Nella città di Tamara ci si addentra per vie fitte di insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede cose ma figure di cose che significano altre cose: la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la stadera l’erbivendola.Improvvisamente dal corpo di guardia uscirono due dinosauri: il primo, un brontosauro, aveva il compito di avvistare il nemico; il secondo, un velociraptor, aveva il compito di catturarlo. I due esploratori intui-rono subito le intenzioni dei dinosauri e cercarono riparo nella casa del cavadenti. Nessuno mai voleva entrare in quella casa per paura delle tenaglie, per cui il cavadenti si offrì di proteggerli, anzi addirittura mostrò loro una via di fuga attraverso una porta segreta. I due esploratori la oltrepassarono e si ritrova-rono come per magia nuovamente nel bosco, da cui però questa volta scapparono a gambe levate.

Il naufrago Marco Alaimo, Roberto Armetta

Una barca trascinata dalla corrente marina si ferma sulla costa di fronte a Zenobia. Il marinaio, stordito dal viaggio, scende, si guarda intorno cercando punti di riferimento e in lontananza vede solo un villaggio, quindi s’incammina per scoprire dov’è capitato.

Zenobia benché posta su terreno asciutto, sorge su altissime palafitte, e le case sono di bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi, poste a diversa altezza, su trampoli che si scavalcano l’un l’altro, collegate da scale a pioli e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi d’acqua, girandole marcavento, e ne sporgono carrucole, lenze e gru. Il marinaio rimane stupito di quelle strane palafitte, è sempre più disorientato, crede di sognare ad occhi aperti. Si muove in mezzo ad un bosco di pali alla ricerca di una scala che trova proprio vicino al palo più grosso. Sale incerto sulla scala traballante, aggrappandosi ad ogni piolo; vede allontanarsi da sé il terreno e comincia ad avere nausea, ma coraggiosamente continua fino ad arrivare all’altezza di quindici metri. Bussa alla capanna e apre una donna, altissima e magrissima, sembra un palo della palafitta. La donna chiede chi sia e cosa voglia, piegandosi verso il marinaio che è sempre più stupito. Il marinaio spiega di essersi perso e chiede infor-mazioni su quello strano luogo.- Siamo a Zenobia, abbiamo costruito le nostre case su palafitte perché durante la stagione delle piogge il terreno argilloso si allaga sempre - spiega la donna. Intanto dalla palafitta escono anche un uomo e un bambino. Il marinaio nota uno strano abbigliamento: la donna indossa pelle di cavallo, il bambino pelle di ghepardo, l’uomo pelle di elefante.- Nella nostra società non è ammessa nessuna forma di ricchezza - spiega la donna invitando il marinaio ad entrare nella loro casa di bambù: una grande stanza con pavimento di legno, letti di paglia con coperte di pelli di zebra, un focolare di zinco al centro con stoviglie di terracotta; tutt’intorno c’è un largo ballatoio dove arriva il tubo dell’acqua collegato al barile. Una forma primitiva di energia è data dalle girandole marcavento. Al marinaio viene un’idea geniale: la girandola marcavento avrebbe potuto funzionare come una vela. Ringrazia e saluta la famiglia zenobina, poi si mette subito al lavoro. Costruisce un’enorme girandola che issa come vela sulla sua barca e con la forza del vento riesce a tornare a casa.

La prova d’amore Alessandro Di Terlizzi, Marica Limongelli, Marina Mirabella, Nicola Grasso

Lo scienziato Fedix, per curiosità, lesse dei libri che trattavano di alcune città misteriose. Su uno di questi libri intitolato “Città dai mille pozzi” trovò scritto: Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra un profondo lago sotterraneo. Dappertutto dove gli abitanti scavando nella terra lunghi

buchi verticali sono riusciti a tirar su dell’acqua, fin là e non oltre si è estesa la città: il suo perimetro verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello visi-bile, tutto ciò che si muove al sole è spinto dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo della roccia. A Isaura intanto la principessa decise di prendere come suo sposo il ragazzo più coraggioso; così stabilì di buttare il suo tesoro in uno dei mille pozzi. Ogni pozzo nascondeva un pericolo: fuoco, piante spinose, animali affamati, onde e topi..., tranne uno, il pozzo sacro.Dopo un lungo viaggio lo scienziato Fedix, con la sua mappa, giunse ad Isaura dove vide tutti i giovanotti che affannosamente cercavano qualcosa. Si informò del perché di tanto cercare, poi anche lui si mise al lavoro. Lo scienziato pensò di cercare il tesoro nei buchi verticali che i cittadini usavano quotidianamente per tirare l’acqua, ma cadde in un pozzo che fortunatamente era quello sacro. Sul fondo si trovò davanti un meraviglioso paesaggio. C’era un bellissimo lago circondato da un verde prato. Sulla sponda opposta

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del lago vide qualcosa luccicare. Si avvicinò e scoprì il tesoro: monete d’oro, gioielli e pietre preziose. Lo scienziato riportò il tesoro alla principessa che lo volle sposare.Festeggiarono il loro matrimonio proprio lì sulle rive del lago sotterraneo, dopo aver fatto costruire un tunnel per riuscire a passare.

La sfera dell’amicizia Ahmed Tarek

Uno scienziato ha un sogno da realizzare: visitare il mondo. Sulla sua strada lo scienziato di nome Michele incontra Fedora. Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta un palazzo di metallo con un sfera di vetro in ogni stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città azzurra che è il

modello di un’altra Fedora. Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo: ogni abitante lo visita e sceglie la città che corrisponde ai suoi desideri.Michele incontra Nicholas, un cittadino di Fedora e fa amicizia. Nicholas lo accompagna al museo perché lo considera il posto più divertente di Fedora. Insieme scelgono la sfera di tutti i colori più vivaci e come per magia si trovano dentro questa città straordinaria: le strade sono lastricate con i colori dell’arco-baleno, le case verdi sembrano prati che si innalzano fino al cielo, nella scuola i bambini studiano non sul sussidiario, ma sulle tavolozze dei colori, l’edificio bianco raccoglie i fedeli di tutte le religioni. Lo scienziato, meravigliato di tutto ciò, decide di fermarsi a Fedora perché ha finalmente trovato amicizia, bellezza e felicità.

Avventure geometriche Michele D’Errico

Stefania si addormentò mentre ascoltava la zia leggere la storia di Zaira.Zaira si imbeve come una spugna e si dilata. È fatta di relazioni tra le misure del suo spazio e gli avvenimenti del suo passato. Ma la città non dice il suo passato, lo contiene come le linee di una

mano, scritto negli spigoli delle vie, nelle griglie delle finestre, negli scorrimano delle scale, nelle antenne dei parafulmini, nelle aste delle bandiere, ogni segmento rigato a sua volta di graffi, seghettature, intagli, svirgole.Stefania sognò che era in un posto tutto verde, dove c’era una spugna piccolissima che sembrava respi-rare, si chiudeva e si dilatava. La spugna era formata da tanti cerchi, quadrati, rettangoli, triangoli, cilin-dri, che continuavano a trasformarsi, a moltiplicarsi, fino ad affollarsi.Tutte queste forme contenevano delle storie del passato e ad ogni segno geometrico corrispondeva una storia diversa. Le case in quella strana città erano sfere, mobili e solide.Davanti a Stefania passò una mamma magra a forma di cilindro, un bambino ricciotto a forma di cerchio e un papà stecchino a forma di triangolo. Questi guardarono sbalorditi Stefania e si accorsero che non era una figura geometrica. Subito chiamarono le guardie quadrate. Stefania scappò tra rette e sgmenti fino a che non si svegliò.

All’ombra delle palme Maria Teresa Deligio

Un giorno Maria Teresa in uno dei suoi sogni arrivò a Despina.Despina si presenta differente a chi viene da terra e a chi dal mare.Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar pensa ad

una nave che lo porti via dal deserto. Il marinaio distingue la forma di una gobba di cammello, di una sella ricamata di frange luccicanti, sa che è una città ma la pensa come un cammello, che lo porti via dal deserto del mare verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme.Maria Teresa visitando la città vide sotto una palma molti cittadini che ondeggiavano le braccia cantando strane nenie. Scoprì la religione di Despina: le palme erano sacre come l’amicizia. Le foglie seghettate che facevano ombra sia in inverno che in estate rappresentavano la protezione del loro dio che si mani-festava come amicizia fra chi proveniva da terra e chi dal mare.Molti anni prima fra cammellieri e marinai era scoppiata una furibonda lotta per conquistare il potere della città. Ora finalmente a Despina era tornata la pace e Maria Teresa riuscì a fare amicizia contempo-raneamente con un cammelliere e con un marinaio e fare un riposino sotto una palma.

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Tubature intersecate Marco Alaimo

Un giorno Marco vide tanti tubi e un cartello dove c’era scritto Armilla. Armilla non ha muri, né soffitti, né pavimenti: non ha nulla che la faccia sembrare una città eccetto le tubature dell’acqua che salgono verticali dove dovrebbero esserci le case e si diramano dove dovrebbero esserci i

piani: una foresta di tubi che finiscono in rubinetti, docce, sifoni, troppopieni. Contro il cielo biancheggia qualche lavabo o vasca da bagno o altra maiolica, come frutti tardivi rimasti appesi ai rami. Marco si arrampicò su un tubo che portava ad una vasca. Poi sudato ne approfittò per farsi un bagno ammirando il panorama. Da lassù vide una piscina e un acquario. Nella piscina un rospo stava facendo lezioni di nuoto ad un gracidante gruppo di rane. Nell’acquario nuotavano insieme uno squalo, un delfino, un barracuda, una tartaruga, un pesce pagliaccio, una murena e un pesce palla che giocava con una stella marina.Marco era divertito da quel mondo di tubi e di acqua, così decise che da grande avrebbe fatto l’idrau-lico.

L’incantesimo di Vellisse Laura Sessa

Nel 1993 una strega bassotta e puzzolente di nome Vellisse fece un incantesimo sulla città di Zobeide: Vellisse con l’aiuto di una piccola pietra arcobalenata si trasformò in una bellissima fanciulla dai lunghi capelli e dagli splendidi occhi di smeraldo. Questa bellissima fanciulla s’intrometteva nei

sogni dei fanciulli che sognavano d’inseguirla. Così Zobeide diventò una leggenda: è la città bianca, ben esposta alla luna, con vie che girano su se stesse come in un gomitolo. Si racconta che uomini di nazioni diverse ebbero un sogno uguale: videro una donna correre di notte per una città sconosciuta e sognarono di inseguirla. Gira gira ognuno la perdette. Dopo il sogno andarono cercando quella città; non la trova-rono ma si trovarono tra loro; decisero di costruire una città come nel sogno. Nella disposizione delle strade ognuno rifece il percorso del suo inseguimento.L’imperatore, stanco di tutto ciò, ordinò al suo cavaliere prediletto di ritrovare la pietra magica in modo da spezzare l’incantesimo. Il cavaliere partì in groppa ad una cavallo volante: dal cielo era più facile avvi-stare l’abitazione della strega. La torre dove abitava si trovava sulla cima di una montagna che sembrava un cumulo di macigni ricoperto di alberi completamente spogli e sorvolato da uno stormo di avvoltoi. Il cavaliere aspettò che la strega si addormentasse, poi cercò di entrare nella torre. Subito fu attaccato dagli avvoltoi. Il cavaliere con la sua lunga spada si difese ed entrò con un balzo dalla piccola finestrella quadrata. Cercò subito la pietra arcobalenata e la trovò nel cassetto segreto della scrivania mentre la strega continuava a russare rumorosamente. Risalì in groppa al suo cavallo alato e tornò al castello del-l’imperatore.Appena consegnò la pietra l’incantesimo si ruppe, tornò a splendere il sole su Zobeide e la strega fece proprio una brutta fine: si sbriciolò e il vento la disperse nell’aria.

Il grande labirinto Marica Limongelli, Stefano Garofalo

Dulbecco insieme al suo amico marinaio, mentre esploravano i mari per una ricerca scientifica su pesci in via d’estinzione, si ritrovarono in una pericolosissima tempesta che per fortuna li trascinò nel canale principale di Smeraldina, città acquatica, un reticolo di canali e un reticolo di strade si

sovrappongono e si intersecano. Per andare da un posto ad un altro hai sempre la scelta tra il percorso terrestre e quello in barca: e poiché la linea più breve tra due punti, a Smeraldina, non è una retta, ma uno zigzag che si ramifica in tortuose varianti, le vie che s’aprono ad ogni passante non sono soltanto due, ma molte. Così la noia a percorrere ogni giorno le stesse strade è risparmiata agli abitanti di Sme-raldina. Nel canale incontrarono, a bordo di una barca, un gruppo di smeraldinesi che parlavano la loro lingua tradizionale. Quando si avvicinarono, uno smeraldinese riconobbe Dulbecco, il famoso scienziato che da giovane aveva risolto un grosso problema di Smeraldina. La città rischiava di diventare un vero labirinto dove la gente continuava a perdersi. Dulbecco studiò un congegno antilabirinto “trovacqua-strada”, programmato per dare, ogni volta che si richiede, la direzione da seguire sia per acqua che per terra.Lo smeraldinese organizzò una festa in suo onore e tutti quanti lo ringraziarono per quello che tanti anni prima aveva fatto per loro.Il giorno dopo Dulbecco col suo amico marinaio ripartì per continuare la sua ricerca.

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Due mezzi Diana Sullca

C’era una volta una città di nome Sofronia. La città di Sofronia si compone di due mezze città. In una c’è il grande otto volante dalle ripide gobbe, la giostra con la raggiera di catene, la ruota delle gabbie girevoli, il pozzo della morte coi motociclisti a testa in giù, la cupola del circo col grappolo

dei trapezi che pende in mezzo. L’altra mezza città è di pietra e marmo e cemento, con la banca, gli opifici, i palazzi, il mattatoio, la scuola e tutto il resto. Una delle mezze città è fissa, l’altra è provvisoria. Nella mezza città di pietra e marmo e cemento stavano le persone povere, senza famiglia, che dovevano solo lavorare. Nell’altra mezza città abitavano i cittadini ricchi che, quando erano stanchi dei divertimenti della loro città, potevano viaggiare per il mondo portandosi dietro anche la loro casa.

Il pavone bianco Manuel Pecorella

Manuel vorrebbe fare una gita in montagna, lo chiede ai suoi genitori che gli dicono di sì.Manuel prende il parapendio, i genitori lo accompagnano in montagna e finalmente Manuel può prendere il volo. Sotto di lui vede boschi, torrenti, cascate, campi coltivati ... e atterra a Olivia.

Olivia è una città ricca di prodotti e di guadagni, i suoi palazzi di filigrana hanno cuscini frangiati ai davan-zali delle bifore; oltre la grata di un patio una girandola di zampilli innaffia un prato dove un pavone bianco fa la ruota con la sua coda tutta colorata. I luccichii illuminavano i volti delle persone che lo ammi-ravano. Anzi l’intera città era “brillantata” dal pavone e Manuel ne era rimasto incantato: si vedevano tante luci di filigrana dentro le case, tende colorate, strade illuminate da potenti riflettori variopinti che coloravano ogni angolo della città.Manuel telefonò ai suoi genitori invitando anche loro ad Olivia perché era proprio stupenda.

Teste fra le nuvole Nicholas Penzo

Aglaura è una città sbiadita, senza carattere, messa lì come vien viene.La perenne nebbia delle nubi rende sfumati i contorni, sbiaditi i colori e nasconde le magagne.Gli abitanti hanno perfino la testa fra le nuvole, il che impedisce loro di completare una costruzione

o un lavoro, e fa far loro le cose un po’ così, come vien viene. Il sindaco, che per dare il buon esempio ai cittadini usa i mezzi pubblici per andare al lavoro, prende il primo pullman che gli passa davanti e quasi tutte le volte si trova dall’altra parte della città. Gli abitanti si sono addirittura dimenticati di costruire la scuola. Le mamme la mattina accompagnano i figli a scuola dove capita capita, senza accorgersi che l’edificio non c’è. I bambini giocano tutto il giorno e qualche volta non tornano a casa. Gli aglauresi, con la loro testa fra le nuvole, non hanno né la forza né il carattere per reagire e sistemare le case. Un giorno capita in città un commesso viaggiatore che per errore ha preso il treno per Aglaura. Arriva con una vali-getta piena di articoli da vendere. Gli aglauresi corrono tutti a vedere la prima persona estranea capitata lì dopo tanti anni; lo assalgono con migliaia di domande per sapere perché era arrivato lì, da dove veniva e cosa conteneva la valigetta. Lui risponde alle domande e finalmente mostra la sua merce. Gli aglauresi rimangono folgorati nel vedere che lui vende arcobaleni. Il viaggiatore, vedendoli così affascinati, gliene dona uno che con la sua luce e i suoi colori fa svanire le nuvole.Gli abitanti di Aglaura vedono tutto in modo diverso e da quel giorno iniziano a sistemare la città: costrui-scono la scuola, riparano i tetti prima nascosti dalle nuvole, dipingono le case con colori vivaci e mettono cartelli con orari e numero dei pullman a tutte le fermate.

Una ricetta colorata Marina Mirabella

Aglaura è una città sbiadita, senza carattere, messa lì come vien viene.Un giorno ad un pasticciere distratto cade il pentolone di cioccolata sul tavolo che di colpo si tinge di marrone. Il pasticciere dapprima se ne dispiace, poi ha un’intuizione geniale: dare colore ad ogni

cosa. Prova a colorare tutto ciò che ha attorno con gli ingredienti dei suoi dolci.Ricava il bianco con la panna e l’albume montato, il giallo con la crema pasticcera e la buccia del limone, il rosa con il frullato di fragole e lamponi, l’arancione con la spremuta di carote e arance, il rosso con la macedonia di ciliegie e anguria, l’azzurro con il gelato al Puffo, il verde con marzapane al pistacchio e succo di kiwi, il viola con marmellata di prugne e mirtilli, il nero con la liquirizia.La pasticceria così colorata sembra rianimarsi dopo una lunga malattia.Il pasticciere allora pensa di colorare l’intera città. Il lavoro è lungo e difficile, ma il risultato è eccezio-nale. Aglaura si risveglia dopo un lungo letargo.

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Tutti fanno i complimenti al pasticciere pittore e organizzano in piazza una festa colorata in suo onore.

Tutto sul filo Matteo Chinosi, Elisa, Andrea Carella, Ahmed Tarek

Un giorno quattro esploratori Matteo, Ahmed, Andrea ed Elisa vollero partire per Ottavia.Ottavia è una città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno,

sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; si intravede più in basso il fondo del burrone.Gli esploratori presero tutti gli attrezzi per il viaggio, piccozze, chiodi, corde con moschettoni e un libro per saperne di più...Salirono sul pullman che li portò ai piedi delle Tre cime di Lavaredo. Tirarono fuori i moschettoni, le corde, i chiodi e la piccozza e cominciarono a salire. Finita l’arrampicata, Elisa inciampò in un sasso. Quando riaprì gli occhi vide delle zampe di Albertosauro e i quattro esploratori fecero un balzo all’indietro. L’Alber-tosauro ha tre teste, degli artigli e dei denti affilatissimi e la pelle color grigio. Per fortuna Ahmed portò dietro anche una sciabola e subito Andrea gli disse di infilarla negli occhi dell’Albertosauro. Ahmed partì all’attacco e conficcò la sciabola a ripetizione negli occhi dell’Albertosauro uccidendolo e facendolo cadere nel burrone. D’improvviso apparve un avvoltopardo. L’avvoltopardo è un ghepardo con ali e coda da avvoltoio. Gli esploratori credevano di dover combattere ancora, ma l’avvoltopardo disse che dovevano rispondere ad un indovinello: “Dalla casa è cacciato e negli alberghi è anche arrestato. Chi è?” Matteo aveva già sentito questo indovinello, ma non si ricordava la risposta. Elisa sicura esclamò che era un topo. L’avvoltopardo disse che la risposta era esatta; per questo volò via facendo comparire una lunga passerella. La passerella era senza ringhiera e aveva traversine pericolanti. Tremanti i quattro esploratori arrivarono su una grande piattaforma che sosteneva una casa in legno, sul cui tetto erano appese due carrucole per collegarsi al resto della città. Le case erano quasi tutte cubi e parallelepipedi, eccetto una piramide dentro la quale stava il governatore della città. Le case erano formate da una sola stanza dove c’era l’essenziale per sopravvivere al clima freddo e per resistere ai gelidi venti invernali.Era ormai sera e gli esploratori dovevano tornare verso casa. Sul pullman si appisolarono per il mal di testa e il mal di piedi, ma felici della loro avventura.

Una battaglia aliena Alessandro Di Terlizzi

Sei astronauti sono stati incaricati di esplorare il pianeta Venere. Durante il viaggio l’astronave, colpita da un meteorite, devia la rotta e si dirige verso il pianeta Giove. L’astronave atterra brusca-mente sulla città di Ottavia.

Ottavia è una città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; si intravede più in basso il fondo del burrone.Immediatamente , appena gli astronauti mettono piede in città, vengono assaliti da ragni giganteschi. Gli astronauti si dibattono, si difendono, attaccano; poi, ricordando di aver visto la città appesa a delle funi, valorosamente, con un braccio della loro astronave, riescono a spezzarle e far precipitare Ottavia nel burrone. Sono finalmente salvi e, aggiustato il satellitare di bordo, possono tornare sulla Terra.

Una sfida per la pace Gonzalo Gutierrez

Nell’anno 1342 Marco, un ragazzo valoroso, fu chiamato a compiere una missione importante: a Ottavia doveva recuperare il diamante magico senza il quale il suo villaggio non poteva conoscere la pace.

Durante il suo viaggio incontrò mostri, draghi, orchi...e arrivato a Ottavia si mise subito all’opera.Ottavia è una città-ragnatela. C’è un precipizio in mezzo a due montagne scoscese: la città è sul vuoto, legata alle due creste con funi e catene e passerelle. Si cammina sulle traversine di legno, sotto non c’è niente per centinaia e centinaia di metri: qualche nuvola scorre; si intravede più in basso il fondo del burrone.A sera Marco non aveva trovato ancora nulla. Si aggirava pensieroso sulle passerelle quando un esercito di ragni lo bloccò e lo portò nel castello di Tarantola. Lì fece conoscenza con Polly, una ragazza molto coraggiosa e con Erik, un ragazzo molto forte; anche loro, prima di finire prigionieri dei ragni, stavano cercando il diamante magico. Decisero di aiutarsi a vicenda per trovare una via di fuga e cercare insieme la pietra preziosa. Approfittarono di un attimo di distrazione dei ragni guardiani e scapparono dalla cella.

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Esplorarono tutto il castello, ma non trovarono nulla. Rimaneva la sala del trono, occupata però dal re dei ragni. I tre ragazzi proposero al re una sfida, il vincitore avrebbe avuto il diamante come premio. Astuta-mente Marco raggirò il re ragno, impigrito fisicamente e mentalmente perché ormai passava le giornate a oziare sul suo trono. Il ragazzo vinse la sfida e, insieme ai suoi nuovi amici, tornò al villaggio dove fu accolto festosamente e dove finalmente tornò la pace.

La ragnatela Roberto Armetta

Mentre volavo in mezzo alle nuvole, l’aereo si impigliò in un filo molto resistente che fece precipi-tare al suolo il mio aliante, per fortuna schiacciai in tempo il pulsante di emergenza e riuscii ad atterrare delicatamente a Ersilia.

A Ersilia, per stabilire i rapporti che reggono la vita della città, gli abitanti tendono dei fili tra gli spigoli delle case, bianchi o neri o grigi o bianco-e-neri a seconda se segnano relazioni di parentela, scambio, autorità, rappresentanza. Quando i fili sono tanti che non ci si può più passare in mezzo, gli abitanti vanno via: le case vengono smontate; restano solo i fili e i sostegni dei fili.Girai tutto il villaggio con il filo nero, però non fu facile seguirlo perché s’intrecciava con tutti gli altri. I cittadini di Ersilia erano piccoli, magri e molto agili per non rimanere intrappolati nei loro fili. Per andare al panificio i cittadini dovevano percorrere il filo grigio come per andare al mercato o in qualsiasi altro negozio; per andare al lavoro si doveva prendere il filo bianco e per andare a scuola si doveva seguire il filo bianco-e-nero. Per trovare un meccanico dovetti seguire il filo nero e solo dopo molte giravolte riuscii a trovarlo. Per fortuna il meccanico mi aggiustò subito il guasto e potei ripartire il giorno stesso. Dall’alto si vedevano tutti i fili ingarbugliati tra di loro, una ragnatela stava imprigionando Ersilia.Finalmente ritornai a casa e raccontai tutto a mamma e papà che ascoltavano stupiti, meravigliati e un po’ increduli.

Uragano stellare Francesca Cannone, Michele D’Errico

Un giorno Francesca si fece raccontare una storia da suo padre.- C’era una volta Bauci. Nell’antichità fu costruita su palafitte così alte che superavano le nuvole; in quel modo i suoi abitanti potevano riscaldarsi, vedere il sole tutto l’anno ed evitare pioggia, neve,

grandine e freddo.I sottili trampoli che s’alzano dal suolo a gran distanza l’uno dall’altro e si perdono sopra le nuvole, sostengono Bauci. Ci si sale con scalette. A terra gli abitanti si mostrano di rado. Nulla della città tocca il suolo tranne quelle lunghe gambe da fenicottero a cui si appoggia e, nelle giornate luminose, un’ombra traforata e angolosa che si disegna sul fogliame.Là abitava Baucia, una ragazzina abile e coraggiosa, alta e magra, aveva i capelli lisci, biondi e lunghi, gli occhi leggermente a mandorla erano azzurri come il cielo luminoso, le labbra pulsavano come un piccolo cuore.Francesca interruppe domandando se Bauci esisteva davvero. Il papà affermò che era una città molto conosciuta, poi aggiunse che, poiché era ora di dormire, avrebbe terminato la storia l’indomani.Tutti dormivano tranne Francesca che voleva raggiungere Bauci a tutti i costi. Prese il libro e lì trovò la strada per arrivarci.A Bauci non ci sono strade, ci sono solo scale. Su quelle scalette così lunghe che sembravano infinite, Francesca aveva il cuore che le batteva a mille, ma appena giunta in cima incontrò Baucia e subito fecero amicizia. Baucia disse a Francesca che era magica, anche Francesca avrebbe voluto diventarlo. Baucia le spiegò che avrebbe dovuto trovare un forziere, non con gioielli o soldi, ma con una pergamena dove era scritta la formula per diventare magica. Purtroppo il forziere si trovava sul fondo del mare dove forse c’erano anche gli squali. Francesca si fece coraggio e affrontò il viaggio per giungere alla meta.Il mare le sembrava immenso, ma si tuffò ricordando le indicazioni di Baucia. Non trovò squali, ma trovò il forziere. Senza riposare un attimo tornò da Baucia che lesse la formula, luci e stelline avvolsero Fran-cesca e la fecero diventare una fatina magica.Poi Francesca si ricordò che la sua famiglia l’aspettava, ma fece due promesse a Baucia: avrebbe man-tenuto il segreto e si sarebbero ritrovate ogni notte di luna piena.Francesca tornò a casa, non svelò a nessuno di essere diventata una fatina e non si dimenticò di chiedere al papà la conclusione della storia di Bauci.

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Sguardi sbiaditi Michael Russo

Un bambino, dopo essersi addormentato, inizia a sognare. Si trova in una città di nome Cloe e subito si accorge di trovarsi tra gente molto strana.A Cloe le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno

dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi si incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano.Il bambino si guarda intorno, è sconcertato da tanta freddezza, non capisce come si possa vivere in un paese simile. In quel momento incrocia una bambina che gli sorride, infatti non era di Cloe. Si fermano insieme e si mettono a parlare del perché a Cloe la gente non è unita, non esiste né l’amicizia né l’amore. La bambina aveva letto che su Cloe c’era una terribile maledizione fatta dallo stregone Terrotor rifiutato da una principessa di cui si era innamorato. Da allora Terrotor aveva deciso che a Cloe non ci sarebbero più stati né amore né amicizia.I due bambini si prendono per mano e sorridendo iniziano a girare per la città. Subito la gente comincia a fermarsi, a parlarsi, ad abbracciarsi, a sorridersi. L’incantesimo è stato finalmente rotto perché la loro amicizia è diventata contagiosa.Lo stregone si chiede il perché di tutta quella confusione, vede il ragazzo e capisce tutto: l’incantesimo era stato fatto solo sulla città di Cloe, era sufficiente che uno straniero sorridesse agli abitanti per annul-larlo.In città fu fatta una gran festa, con tante luci e tanta musica. Ma sul più bello dei festeggiamenti il bam-bino si svegliò nella sua cameretta.Era stato tutto un sogno o la sua presenza a Cloe era stata veramente utile a quella gente?

La delusione di Federico Diana Sullca

C’era una volta un ragazzo di nome Federico che voleva vivere solo nel mondo della fantasia. Un giorno Federico e i suoi genitori andarono a trovare il nonno; in salotto Federico vide una libreria e in mezzo a tutti i libri c’era un libro che lo incuriosì molto. Sulla prima pagina lesse: Perché il salto

dalla vita alla morte sia meno brusco, gli abitanti di Eusapia hanno costruito una copia identica della loro città sottoterra. I cadaveri, seccati in modo che ne resti lo scheletro rivestito di pelle gialla, vengono por-tati là sotto a continuare le occupazioni di prima. Certo molti sono i vivi che domandano per dopo morti un destino diverso: la necropoli è affollata di cacciatori di leoni, duchesse, violinisti, più di quanti mai ne contò la città vivente. Sull’ultima pagina c’era scritto che chi leggeva il libro poteva esprimere un desiderio e che tale desiderio si sarebbe avverato. Federico chiese al nonno se poteva prestargli il libro, il nonno accettò. A casa Fede-rico si rifugiò nella sua cameretta ed espresse il desiderio di vedere Eusapia. In quella città arrivò in un battibaleno; seguì una piccola strada che portava sottoterra. C’erano scheletri che lavoravano proprio come era scritto sul libro, ma quando stava per chiedere informazioni a uno scheletro di passaggio, si ritrovò nuovamente nella sua cameretta ... infatti sul libro c’era scritto che si poteva esprimere un solo desiderio.

Pubblicità galattica Manuel Pecorella

Un alieno di nome Master, testa ovale, occhi grandi, naso piatto, bocca invisibile, corpo piccolo, piedi a forma di papera e pelle verde, scoprì l’arte con cui fu costruita la città di Andria.Con tale arte fu costruita Andria, che ogni sua via corre seguendo l’orbita di un pianeta e gli edifici

e i luoghi della vita in comune ripetono l’ordine delle costellazioni e la posizione degli astri più luminosi. Così i giorni in terra e le notti in cielo si rispecchiano.La navicella che volava in aria con le sue luci colorate illuminava la città come una giostra. Gli abitanti si riversarono per le strade esultanti per quella improvvisa festa di luci.Master vedeva tanta gente che lo salutava felice e contenta e si commosse. Quando ritornò nel suo mondo raccontò tutto ai suoi colleghi che curiosi volevano anche loro visitare quella città incantata. Ben presto la notizia che sulla Terra c’era una città così accogliente, si diffuse di pianeta in pianeta fino alle più lontane galassie. È per questo che ad Andria si incontrano ancora oggi gli alieni più strani.

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Basta poco per essere felici Nicholas Penzo

A Raissa tutti lavorano troppo, pensano solo ad accumulare soldi, a dimostrare agli altri di essere ricchi e non hanno più il tempo di scambiare una parola con i loro figli. Per loro comprano giochi costosi che ai bambini non piacciono neanche. Non è felice la vita a Raissa. Per le strade la gente

cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.Un giorno tre bambini trovano nella spazzatura tre tappi, si fermano e inventano un gioco: un bambino sta in ginocchio con le gambe divaricate, gli altri cercano di far goal infilando il tappo nella porta formata dalle gambe del bimbo. Il primo che arriva a tredici punti vince e farà il portiere. Pian piano altri bambini iniziano a giocare con loro e si divertono tanto. Attirano l’attenzione di una signora che si ferma a guar-dare - E io che stavo andando a comprare un computer per mio nipote mentre questi bambini si divertono con solo tre tappi! - pensa perplessa.Pian piano si ferma altra gente a guardare e in poco tempo quasi tutti gli abitanti di Raissa sono raccolti intorno ai bambini che giocano con i tappi. Vedendoli così allegri e contenti, si vergognano di aver rovi-nato le loro vite per la ricchezza e finalmente capiscono che la felicità non è nei soldi.

Giochi di specchi Marica Limongelli

C’era una volta una fata che era molto brava a disegnare. Un giorno decise di fare un esperimento: provare a mettere uno specchio con delle luci gialle e bianche per riflettere in cielo ciò che c’era in terra. L’esperimento fu un successo, perciò decise di applicarlo alla sua città, Andria. Tutto riuscì

a meraviglia. Gli abitanti furono così felici che nominarono la fata regina di Andria e sul cartello di ben-venuto fecero scrivere: Con tale arte fu costruita Andria, che ogni sua via corre seguendo l’orbita di un pianeta e gli edifici e i luoghi della vita in comune ripetono l’ordine delle costellazioni e la posizione degli astri più luminosi. Così i giorni in terra e le notti in cielo si rispecchiano. Ancora oggi i turisti che passano per Andria possono leggere questo iscrizione.

Un pianto infinito Luca Lemma

Due amici di nome Guido e Carlo vogliono visitare Bersabea.Gli abitanti di Bersabea credono che un’altra Bersabea esista sottoterra, ricettacolo di tutto ciò che loro occorre di spregevole e d’indegno. Al posto dei tetti ci si immagina che la città infera abbia

pattumiere rovesciate, da cui franano croste di formaggio, carte unte, resche, risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende. O che addirittura la sua sostanza sia quella oscura e duttile e densa come pece che cala giù per le cloache, di nero buco in nero buco, fino a spiaccicarsi sull’ultimo fondo sotterraneo.I due amici furono sorpresi da ragni giganti, le vedove nere. Guido provò ad affrontarli, ma il ragno più veloce lo morse e Carlo non poté far nulla per aiutare Guido che rimase per terra immobile. Carlo pianse tanto, finché magicamente Guido scomparve: andò a popolare l’altra Bersabea. A Carlo non rimase che andarsene, ma per ricordarlo piantò un fiore.

L’editto di Brisbi Michele D’Errico

Una leggenda diceva che gli abitanti di Bersabea credono che un’altra Bersabea esista sottoterra, ricettacolo di tutto ciò che loro occorre di spregevole e d’indegno. Al posto dei tetti ci si immagina che la città infera abbia pattumiere rovesciate, da cui franano croste di formaggio, carte unte,

resche, risciacquatura di piatti, resti di spaghetti, vecchie bende. O che addirittura la sua sostanza sia quella oscura e duttile e densa come pece che cala giù per le cloache, di nero buco in nero buco, fino a spiaccicarsi sull’ultimo fondo sotterraneo. Si diceva che in questa città sotterranea c’era un re di nome Brisbi che emanò un editto in cui erano scritte le leggi della città: l’acqua della risciacquatura dei piatti doveva essere usata per lavarsi; le vecchie bende dovevano essere usate per farsi vestiti e per asciu-garsi; le croste del formaggio, gli spaghetti e le resche dovevano essere bollite insieme, avvolte nelle carte unte e infine portate a Brisbi per l’assaggio reale; la sostanza duttile e densa doveva essere usata come shampoo.La città di Bersabea era sporca e unta e i suoi abitanti puzzavano sempre.Un giorno un angelo guerriero riuscì ad entrare nella città sotterranea e sconfiggere Brisbi, il re degli

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inferi. Tutti diventarono degli angeli, il re morì e il suo regno scomparve.

La necropoli degli animali Marco Alaimo

In una sera d’inverno con il cielo nuvoloso, Marco con il suo shuttle arrivò su un pianeta sconosciuto dove c’era una città strana, molto diversa dalle nostre. Marco atterrò su questa città.Invasioni ricorrenti travagliarono la città di Teodora nei secoli della sua storia. Sgombrato il cielo dai

condor si dovette fronteggiare la crescita dei serpenti; lo sterminio dei ragni lasciò le mosche moltiplicarsi e nereggiare; la vittoria sulle termiti consegnò la città in balia dei tarli. La città, grande cimitero del regno animale, si richiuse sulle ultime carogne seppellite con le ultime loro pulci e gli ultimi microbi.Marco vide tante tombe di animali e si dispiacque per tutti quegli animali morti perché lui da sempre amava ogni forma di vita animale. Vide anche gli abitanti vestiti di nero vagare fra le case di pietra dove non c’era più niente, perché con le invasioni degli animali tutto era andato distrutto. Ebbe allora un’idea geniale: a Teodora volle ristabilire l’equilibrio ecologico che da troppi anni era andato perduto. Fu così che ora Teodora è una delle più belle città spaziali.

Il tappeto magico Nicholas Penzo

A Eudossia, che si estende in alto e in basso, con vicoli tortuosi, scale, angiporti, catapecchie, si conserva un tappeto in cui puoi contemplare la vera forma della città. A ogni luogo del tappeto corrisponde un luogo della città e tutte le cose contenute nella città sono comprese nel disegno,

disposte secondo i loro veri rapporti, quali sfuggono al tuo occhio distratto dall’andirivieni dal brulichio dal pigia-pigia. Ogni abitante di Eudossia può trovare nascosta tra gli arabeschi una risposta, il racconto della sua vita, le svolte del destino.È per questo che il tappeto viene conservato in un castello, sulla torre più alta e custodito dal più saggio dei saggi.Una notte alcuni abitanti di Euvallia, una città confinante, gelosi di quel misterioso tappeto, decidono di rubarlo. Con uno stratagemma fanno bere un sonnifero al guardiano e, quando questi si addormenta, entrano nella sala della cupola, così chiamata per la cupola trasparente dove è custodito il tappeto. Tor-nati nella loro città vengono accolti con una gran festa, come degli eroi che tornano da una missione pericolosa. Vengono sparati fuochi d’artificio e dei giocolieri li accompagnano fino al palazzo del re. Il re di Euvallia dà ordine di srotolare subito il tappeto, per poter ritrovare il racconto della loro vita. Ben presto lui e tutti gli abitanti si perdono nelle trame di quel tappeto che non corrisponde alla loro città. Sconsolato il re ordina di restituirlo. Lo stesso gruppo di persone ritorna ad Eudossia, nel castello, per restituire il tappeto. Giunti davanti alla cupola, lo srotolano per vederlo un’ultima volta. Si accorgono che sul tappeto, proprio nel punto che corrisponde a dove si trovano loro, c’è una macchia luminosa con una scritta: istruzioni per tessere un tappeto magico adatto a Euvallia. Fu così che il nuovo tappeto, con il disegno corrispondente alla città di Euvallia, poté funzionare, rispondere alle domande, raccontare le vite e indicare il destino di ciascun abitante di quella città.

La polvere magica Laura Sessa

Il giovane mago Diotone, respinto da una bellissima fata, vuole vendicare l’offesa subita. Un giorno sale in cielo, apre la sua piccola boccetta e spruzza una polvere magica su Raissa, il villaggio dove abita la graziosa fatina. Da quel momento tutti si comportano male: non è felice la vita a Raissa.

Per le strade la gente cammina torcendosi le mani, impreca ai bambini che piangono, s’appoggia ai parapetti del fiume con le tempie tra i pugni, alla mattina si sveglia da un brutto sogno e ne comincia un altro. Dentro le case è peggio, e non occorre entrarci per saperlo: d’estate le finestre rintronano di litigi e piatti rotti.Una piccola fatina blu di nome Laura, appena tornata da un lungo viaggio, si chiede cosa può essere successo, ma non riesce a darsi una risposta finché non incontra la bellissima fata. Fanno amicizia e insieme cercano di salvare il villaggio. Volano in cielo giorno e notte per cercare una soluzione e alla fine vedono il mago Diotone posare un sacco fuori dalla sua abitazione. Vanno a vedere; lì c’è l’antidoto alla polvere magica. Lo prendono, lo aprono e lo buttano sul villaggio. La magia è immediata: tutti tornano alla normalità.

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Le statue vive Elisa Scalvini

Un giorno Marica e Giacomo decisero di andare in collina perché avevano sentito parlare della città di Fillide. A Fillide i ponti che attraversano i canali, sono diversi uno dall’altro: ponti a schiena d’asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati. Una varietà di finestre s’affacciano

sulle vie: a bifora, moresche, lanceolate, a sesto acuto, sormontate da lunette o da rosoni. Varie specie di pavimenti coprono il suolo: a ciottoli, a lastroni, d’imbrecciata, a piastrelle bianche e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. Marica e Giacomo non credevano ai loro occhi, così chiesero ad un abitante di Fillide se era tutto vero, e lui rispose che era la pura realtà. I due ragazzi allora andarono dal re di Fillide e chiesero il significato di quelle tre statue sul davanzale della finestra più alta. Il re rispose che la statua centrale era sua moglie e quelle laterali erano le figlie. Marica e Giacomo capirono che si trattava di un maleficio di qualche strega malvagia. Così andarono ad investigare nel palazzo reale. Dopo lunghe ricerche, in soffitta, si accorsero che da sotto un vecchissimo baule sporgeva una lettera, su cui era scritta la formula magica per spezzare l’incantesimo. Lessero ad alta voce davanti alle statue la formula magica e dopo cinque minuti, quando ormai stavano perdendo le speranze, le statue cominciarono a scuotersi dal torpore, a stiracchiarsi, a sgranchirsi, a fare piccoli movimenti, a parlare e finalmente a camminare.Il re poté finalmente riabbracciare moglie e figlie. Poco dopo a Fillide iniziò una gran festa in cui gli ospiti d’onore erano Marica e Giacomo.

Una città aromatica Marina Mirabella

Un giorno gli animatori dell’oratorio andarono a fare una gita a Fillide. A Fillide i ponti che attraver-sano i canali, sono diversi uno dall’altro: ponti a schiena d’asino, coperti, su pilastri, su barche, sospesi, con i parapetti traforati. Una varietà di finestre s’affacciano sulle vie: a bifora, moresche,

lanceolate, a sesto acuto, sormontate da lunette o da rosoni. Varie specie di pavimenti coprono il suolo: a ciottoli, a lastroni, d’imbrecciata, a piastrelle bianche e blu. In ogni suo punto la città offre sorprese alla vista: un cespo di capperi che sporge dalle mura della fortezza, le statue di tre regine su una mensola, una cupola a cipolla con tre cipolline infilzate sulla guglia. Gli animatori, saltellando da un ponte all’altro, si ritrovarono davanti ad una casetta sulle cui mura si abbarbicavano piante di capperi in fiore, dalle fine-stre a bulbo sporgevano trecce di cipollotti rossi e bianchi, tutt’intorno un prato di erba cipollina da cui facevano capolino bianche cipollette. Poco più in là mazzi di carciofini crescevano a fianco di un enorme portone sormontato da un rosone di peperoncini rossi. La casa dei cetrioli era circondata da un campo di origano. Gli animatori non persero tempo a sperimentare un gustoso e profumatissimo pranzetto. Tor-nati a casa, organizzarono con i ragazzi uno spettacolo: “Forme, colori e profumi di Fillide” che ebbe un enorme successo.

Un bene di tutti Laura Sessa

Lontano da qui c’è una città chiamata Pirra. Si dice che Pirra è una città incastellata sulle pendici di un golfo, con finestre alte e torri, chiusa come una coppa, con al centro una piazza profonda come un pozzo e con un pozzo al centro. I suoi abitanti sono forti perché bevono l’acqua di quel pozzo che

dà loro molta energia. Una bella mattina la giovane regina Laura si accorge che non c’è più acqua. Laura organizza una riunione in piazza, accorrono tutti i cittadini; Laura racconta l’accaduto. I cittadini sbalor-diti si guardano intorno chiedendosi chi ha potuto rubare la loro preziosa acqua. Le guardie sospettano che si tratti di Giordi, un prepotente che vuole sempre sopraffare tutti. Lo cercano e lo trovano in una grotta addormentato. L’acqua di Pirra ha anche il potere, se presa in dosi troppo massicce, di addormen-tare la persona per impedirle di usare la sua eccessiva forza.Le guardie catturano Giordi e, rinvigorite da una sorsata, prendono la botte dove c’è l’acqua e di corsa tornano al villaggio dove la regina brinda felice con i suoi cittadini sorseggiando un vigoroso bicchiere d’acqua.

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La caduta Michael Russo

Giovanni si trovava in una strada isolata e camminava senza una meta, quando si trovò davanti Pirra. Pirra è una città incastellata sulle pendici di un golfo, con finestre alte e torri, chiusa come una coppa, con al centro una piazza profonda come un pozzo e con un pozzo al centro con molta

folla intorno. Giovanni si avvicinò per capire cosa stesse succedendo. Due uomini gli spiegarono che un bambino era caduto dentro mentre stava giocando a pallone con i suoi amici.Immediatamente Giovanni tirò fuori dal suo zaino una lunga corda, la fissò ad un palo e si calò giù nel pozzo. Poco dopo raggiunse il bambino che piangeva perché non riusciva a muovere una gamba. Gio-vanni lo prese in braccio e con cautela iniziò a salire. Arrivato in cima la gente lo ringraziò tra le lacrime. Giovanni fu molto contento di aver salvato quel bambino, salutò e riprese il suo vagabondare.

Ingordigia regale Stefano Galofaro

C’era una volta un re che con molta arroganza comandava la città di Clarice. Era così preso nel com-battere battaglie contro Moriana, una città vicina, che non si accorgeva che la sua era diventata brutta, piena di rifiuti, buchi neri e strade rotte.Guadato il fiume, valicato il passo, l’uomo si trova di

fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuo-tano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa.Un bel giorno il re si travestì da guardia nemica, con uno stratagemma accoltellò il re di Moriana ed entrò in possesso della nuova città che, saccheggiata, perse ben presto il suo splendore e le sue ricchezze. Dopo parecchi mesi arrivò a Clarice Daniele, il fratello del re ucciso, con le sue guardie.Il re, che temeva una vendetta, gli offrì una città da governare. Daniele scelse Clarice perché Moriana era ridotta ormai ad un cumulo di macerie.Clarice, città gloriosa, ha una storia travagliata. Più volte decadde e rifiorì. Dell’antico splendore non si perdeva nulla, era tutto lì, disposto solamente in un ordine diverso: un capitello corinzio sosteneva la cesta dove le galline facevano le uova, le urne di marmo erano seminate a basilico; la regola è mescolare gli oggetti, vecchi e nuovi, e riprovare a metterli insieme. Forse Clarice è sempre stata solo un tramestio di carabattole sbrecciate, male assortite, fuori uso. Il nuovo re Daniele ripulì tutta la città, mise ogni cosa al suo posto, sistemò le strade, creò un sistema di canali per favorire la coltivazione dei campi e l’allevamento del bestiame, ridiede finalmente splendore a Clarice mentre il re arrogante finì i suoi giorni fra le rovine di Moriana.

La scoperta del predicato Michele D’Errico

Procopia è un paesino di quattro case e una decina di abitanti, posto tra le montagne d’Abruzzo, con clima mite, immerso nel verde dei suoi boschi e dei suoi prati. I suoi abitanti vivono con il lavoro dei campi, la sera si riuniscono tutti nella piazza del paese come se fossero una sola famiglia, ma par-

lano in modo particolare: nel formulare le frasi non usano mai il verbo, uniscono le parole in modo scom-posto, descrivono così il loro paesaggio: Procopia: un fosso, un ponte, un muretto, un albero di sorbo, un campo di pannocchie, un roveto con le more, un pollaio, un dosso di collina giallo, una nuvola bianca, un pezzo di cielo azzurro a forma di trapezio, tante facce tonde e piatte che si somigliano, sembrano gentili, hanno le lentiggini sulle guance, sorridono, qualcuno con la bocca sporca di more. Un giorno un maestro di enunciati passa di lì, si stupisce del loro codice linguistico, perciò decide di insegnar loro la tecnica del predicato.Gli abitanti imparano in fretta perché si accorgono che è più facile capire e farsi capire e per ringraziarlo lo invitano al veglione di Natale.

Disordine astronomico Maria Teresa Deligio

Chiamati a dettare le norme per la fondazione di Perinzia gli astronomi stabilirono il luogo e il giorno secondo la posizione delle stelle, tracciarono le linee incrociate del decumano e del cardo orien-tale l’una come il corso del sole l’altra come asse attorno a cui ruotano i cieli, divisero la mappa

secondo le dodici case dello zodiaco in modo che ogni tempio e ogni quartiere ricevesse il giusto influsso dalle costellazioni opportune, fissarono il punto delle mura in cui aprire le porte prevedendo che ognuna inquadrasse un’eclisse di luna. Perinzia avrebbe rispecchiato l’armonia del firmamento.Arrivato il giorno della fondazione, il cielo si riempì di molte più stelle perché proprio in quei giorni uno

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sciame di meteoriti stava attraversando l’atmosfera terrestre. Ciò fu fatale per Perinzia perché si modi-ficarono tutti i punti di riferimento ed è per questo che i suoi cittadini ancor oggi vivono nel caos e nella confusione.

L’impero degli insetti Dolaji Henin

Ciò che fa Argia diversa dalle altre città è che invece d’aria ha terra. Le vie sono completamente interrate, le stanze sono piene d’argilla fino al soffitto, sulle scale si posa un’altra scala in negativo, sopra i tetti delle case gravano strati di terreno roccioso come cieli con le nuvole. Ad Argia vivono

insetti di ogni tipo che, come gli esseri umani, si sono organizzati in una società. L’ape è la regina, il maggiolino è il re, il calabrone è il principe, la farfalla è la principessa, gli scarabei sono consiglieri, i grilli sono giudici, le formiche sono commercianti, le cicale fanno spettacoli, i bruchi sono i maestri, i lombrichi scavano nuove strade, le lucciole illuminano, le cavallette demoliscono e le mosche sono gli addetti alle discariche.La città offre anche servizi pubblici: la “crisalide”, l’ospedale; “la metamorfosi”, l’agenzia del turismo; “il larvaio”, la scuola; “il millepiedi”, la metropolitana.In questa città non c’è spazio per gli uomini.

Trasformer Andrea Carella

Un piccolo scienziato, Archimede, voleva inventare una macchina capace di risolvere ogni tipo di problema. Continuò a sperimentare finché costruì un radar “trovaguai”.Appena in funzione segnalò subito una città: Leonia. Sui marciapiedi, avviluppati in tersi sacchi

di plastica, i resti della Leonia d’ieri aspettano il carro dello spazzaturaio. Non solo tubi di dentifricio schiacciati, lampadine fulminate, giornali, contenitori, materiali d’imballaggio, ma anche scaldabagni, enciclopedie, pianoforti, servizi di porcellana: più che dalle cose che ogni giorno vengono fabbricate vendute comprate, l’opulenza di Leonia si misura dalle cose che ogni giorno vengono buttate via per far posto alle nuove. Certo è che gli spazzaturai vengono accolti come angeli. Il radar trovò proprio tutte le schifezze di Leonia: avanzi ammuffiti di merendine che arrivavano fino ai tetti delle case, montagne di matite temperate, giochi rotti e abbandonati che ostruivano tutte le strade, cartacce unte e stropicciate trasportate ovunque dal vento; dai tubi della fognatura uscivano a sciami scarafaggi neri come la pece. Ad un tratto Archimede vide sbucare da un vicolo uno strano essere, “Munnezza”, un dispettoso mostri-ciattolo che faceva linguacce e sputava alghe puzzolenti. Archimede sconvolto capì che se non avesse trovato la soluzione in fretta, Leonia sarebbe stata inghiottita dai suoi stessi rifiuti. Tornò nel suo labo-ratorio, cercò, studiò, e finalmente l’idea arrivò: avrebbe costruito la macchina “trasformer”, capace di riciclare ogni cosa.

Alla scoperta dell’Europa Elisa Scalvini

Il papà di Luca, Elisa e Marco propose ai suoi bambini una bella vacanza alla scoperta dell’Europa. Tutta la famiglia partì e durante il viaggio videro cose mai viste. Elisa descrisse sul suo diario segreto le città che più la colpirono.

Chi arriva a Tecla, poco vede della città, dietro gli steccati di tavole, i ripari di tela di sacco, le impal-cature, le armature metalliche, i ponti di legno sospesi a funi o sostenuti da cavalletti, le scale a pioli, i tralicci. Alla domanda: - Perché la costruzione di Tecla continua così a lungo? - gli abitanti senza smettere di issare sacchi, di calare fili a piombo, di muovere in su e in giù lunghi pannelli, - Perché non cominci la distruzione - rispondono.Irene è la città che si vede a sporgersi dal ciglio dell’altipiano nell’ora che le luci s’accendono e per l’aria limpida si distingue laggiù in fondo la rosa dell’abitato: dove è più densa di finestre, dove si dirada in viottoli appena illuminati, dove ammassa ombre di giardini, dove innalza torri con i fuochi dei segnali; e se la sera è brumosa uno sfumato chiarore si gonfia come una spugna lattiginosa al piede dei calanchi.Olinda non è certo la sola città a crescere in cerchi concentrici, come i tronchi degli alberi che ogni anno aumentano un giro. Ma alle altre città resta nel mezzo la vecchia cerchia delle mura stretta stretta, da cui spuntano i rinsecchiti campanili le torri i tetti d’embrici le cupole, mentre i quartieri nuovi si spanciano intorno come una cintura che si slaccia. A Olinda no: le vecchie mura si dilatano portando con sé i quar-tieri antichi per far posto a quelli più recenti che premono dentro.“Pentesilea si spande per miglia nella pianura: casamenti pallidi che si dànno le spalle in prati ispidi, tra steccati di tavole e tettoie di lamiera. Ogni tanto ai margini della strada un infittirsi di costruzioni dalle magre facciate, alte alte o basse basse come in un pettine sdentato.

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Gli antichi costruirono Valdrada sulle rive di un lago con case tutte verande, una sopra l’altra e vie alte che affacciano sull’acqua i parapetti a balaustra. Così il viaggiatore vede arrivando due città: una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta. Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano.

Il 22 gennaio 2003 siamo andati in villa Casati per incontrare gli Amministratori comunali. (Il prece-dente appuntamento del 27 novembre 2002 era stato annullato a causa dell’allagamento della città per l’esondazione del Lambro.)

Siamo stati ricevuti nella Sala del Consiglio dall’Assessore alla Pubblica Istruzione, Agnese Losi che ha giustificato l’assenza degli altri Assessori e del Sindaco perché impegnati in un Consiglio di Giunta, pro-prio nelle sala accanto alla nostra.La signora Losi ha quindi elencato i nomi degli Assessori, mostrato il loro posto, spiegato le funzioni di ognuno e il ruolo del Presidente del Consiglio.

Noi abbiamo poi consegnato l’articolo scritto in classe “Qui Calvino” riguardante la nostra scuola. L’As-sessore ha letto con molta attenzione e poi ci ha spiegato che purtroppo non ha potuto risolvere tutti i nostri problemi, come d’altro canto i problemi di tutte le altre scuole, a causa del bilancio comunale. Lei vorrebbe che l’assessore al bilancio le mettesse a disposizione più fondi per il suo assessorato, ma le difficoltà economiche non lo permettono. Ha comunque assicurato che la messa in sicurezza della scuola e l’abbattimento delle barriere architettoniche per legge dovrebbero essere completati entro il 2004. Per quanto riguarda il salone della mensa ha ricordato che era più che regolamentare quando la scuola è stata costruita, ma che ora, nonostante i doppi turni, è diventato un ambiente invivibile a causa dell’ec-cessivo rumore. Il Comune aveva già studiato un primo progetto non troppo costoso di insonorizzazione, ma ciò risultava decisamente insufficiente per le grandi pareti vetrate presenti. È necessaria quindi una ristrutturazione completa del locale e ciò comporta una spesa non indifferente che si potrà affrontare appena il bilancio comunale lo permetterà. Esistono delle priorità da tener presente.L’Assessore ha chiesto quindi se volevamo fare domande su qualsiasi argomento riguardante l’Ammini-strazione comunale.

Ecco l’intervista.

Dolaji: - Dopo quello che è successo alla scuola del Molise, avete pensato di fare qualche controllo nelle scuole della nostra città?Assessore: - Ancora prima di quello che è successo nel Molise, il Comune mandava già da anni i tecnici a controllare la sicurezza nelle scuole.

Stefano: - In caso di terremoto o di qualsiasi altro pericolo, l’Amministrazione Comunale è pronta ad intervenire?Assessore: - La nostra zona non è a rischio sismico, inoltre il nostro sottosuolo è paludoso così ammor-tizza le eventuali scosse. Non si può mai essere perfettamente preparati per affrontare catastrofi naturali, comunque la protezione civile si sta esercitando e organizzando per proteggere i cittadini durante le emergenze, una delle quali è stato l’allagamento che si è verificato a novembre di parte della nostra città.

Manuel: - L’assessore all’ambiente sta pensando come combattere lo smog?Assessore: - L’inquinamento è un problema mondiale, per poterlo risolvere bisogna che tutti ci met-tiamo d’accordo. E’ impossibile controllare lo smog solo a Cologno perché l’aria si sposta continuamente. Nel nostro piccolo dobbiamo usare meno auto e più mezzi pubblici, abbassare la temperatura delle cal-daie nelle nostre case e usare combustibili meno inquinanti.

Marco: - Perché non spostate i tralicci dell’alta tensione dalle scuole e dalle abitazioni?Assessore: - Non c’è il problema dell’inquinamento elettromagnetico: i tecnici hanno misurato le radia-zioni e i valori rilevati non sono tali da danneggiare la nostra salute.

Matteo: - Non è possibile potenziare il polmone verde della nostra città?Assessore: - E’ sempre possibile migliorare, ma Cologno è uno dei Comuni più verdi della provincia

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di Milano, non ce ne rendiamo conto perché i grandi parchi si trovano più che altro lungo i confini della nostra città. Nell’ex area Falk, ai confini con Sesto S. Giovanni, se ne sta costruendo uno. Tra Brugherio e Cernusco c’è un altro grande parco, quello delle Cave. All’interno della città ci sono piccole aree verdi.

Michele: - Controllate periodicamente la potabilità dell’acqua che scende dai nostri rubinetti?Assessore: - La società CAP ha il compito di controllare periodicamente, ma in tempi molto ravvicinati, la potabilità dell’acqua. Nel nostro Comune l’acqua è potabile. Io bevo l’acqua del rubinetto.

Andrea: - Si effettuano i controlli sui rifiuti delle fabbriche? In quali luoghi vengono smaltiti?Assessore: - I controlli vengono eseguiti dalle ASL, i cui addetti sono tecnici competenti, e dai vigili del fuoco.

Ahmed: - La raccolta differenziata costa più o meno di quella indifferenziata?Assessore: - La raccolta differenziata è certamente più costosa inizialmente perché il Comune deve pagare l’impresa che usa più personale e più mezzi e perché ai cittadini viene richiesto un impegno mag-giore nel suddividere i rifiuti, ma è sicuramente più vantaggiosa perché i materiali si possono riciclare e dunque ci guadagna il rispetto per la natura.

Laura: - L’area di via Portogallo è sufficiente per raccogliere tutti i rifiuti di Cologno?Assessore: - I rifiuti non si depositano nell’area di via Portogallo, che è solo sede di smistamento. I rifiuti vengono poi portati a destinazione per l’eliminazione o il riciclo. Il vetro viene ritirato da una fab-brica a circa 30 km da Cologno, lo stesso vale per carta e plastica; prossimamente entrerà in funzione il compostaggio per trasformare l’umido in compost, terra per giardino; il rimanente viene bruciato nel-l’inceneritore di Sesto.

Marica: - Visto che Cologno è stata dichiarata a misura di bambino, nei parchi si potrebbe curare di più la manutenzione dei giochi?Assessore: - Due anni fa tutti i giochi nei parchi sono stati sostituiti, ma il mese successivo erano già in condizioni pessime per colpa di teppisti che non rispettano le regole e le cose di tutti. Purtroppo questo accade perché manca il senso civico che voi invece dovete coltivare.

Alessandro: - Non si potrebbero costruire piste ciclabili sull’intero territorio della città?Assessore: - Gli Assessori stanno proprio in questa riunione ancora discutendo il problema. Per fare le piste ciclabili ci vuole lo spazio disponibile. Inoltre non tutte le strade appartengono al Comune, alcune sono di proprietà della Provincia, altre dello Stato: per fare i lavori su queste strade il Comune deve avere i permessi.Michael: - È possibile aumentare la sicurezza dei cittadini soprattutto di notte?Assessore: - I vigili fanno i turni anche di notte per perlustrare le vie della città. A loro si affiancano anche i carabinieri. Ora la caserma è diventata una tenenza, per cui sono aumentati anche gli uomini a disposizione.

Nicola: - Si possono potenziare i trasporti pubblici non solo per servire tutte le zone di Cologno, ma anche per migliorare i collegamenti con le città vicine?Assessore: - I trasporti sono di competenza dell’ ATM, azienda che opera in Milano e comuni limitrofi. Più volte il Comune ha chiesto di potenziare sia i mezzi che le corse, purtroppo ciò non è ancora stato attuato dall’ATM con cui bisognerebbe organizzare anche i collegamenti con Monza, Brugherio e Cernusco.

Elisa: - Come mai fate le rotonde?Assessore: - Le rotonde servono per fare rallentare le auto senza mettere i semafori. Diana: - È sufficiente la segnaletica stradale per ordinare il traffico sempre in aumento?Assessore: - La quantità della segnaletica è stabilita per legge. Spesso succede che quando rifanno il manto stradale non subito rifanno anche la segnaletica e questo non va bene.

Marina: - Ci siamo accorti che state rifacendo il manto stradale di molte vie e state eliminando le radici sporgenti dai marciapiedi, ma verificate successivamente che il lavoro sia svolto a regola d’arte? In alcune zone occorrono ulteriori controlli.Assessore: - Ci stiamo impegnando per verificare che i lavori siano fatti a regola d’arte, ma non pos-siamo “prendere per le orecchie” coloro che sbagliano.

Gonzalo: - I servizi sociali si occupano delle persone indigenti?Assessore: - I servizi sociali si occupano sicuramente delle persone indigenti, ma non solo. Si occu-pano di anziani che hanno bisogno di assistenza domiciliare, dei nonni soli che non sanno cucinare; delle famiglie che hanno bisogno di casa, lavoro o qualsiasi altro supporto; degli handicappati per il trasporto

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dei non autosufficienti e per l’inserimento nel mondo del lavoro dei meno gravi, dei ragazzi “vivaci” che hanno bisogno di centri, come “Sirio”, dove incontrarsi, parlare, avere risposte ai loro problemi.Franci: - Ci sono strutture che accolgono bambini che non possono essere seguiti dai genitori?Assessore: - I servizi sociali si occupano dei ricoveri in istituti su richiesta dei tribunali per minori; a Cologno non ci sono collegi o orfanatrofi, ma esiste il centro Creare Primavera che si occupa di bambini in difficoltà. I bambini vengono affidati dal Tribunale alle famiglie disponibili ad accoglierli per un certo periodo di tempo.

Roberto: - Per quale data è prevista l’apertura della casa di riposo? Quale quota pensate di chiedere per l’assistenza?Assessore: - L’apertura è prevista per la primavera. Il centro è attrezzato anche per la cura e l’assi-stenza di gravi malattie come l’Alzaimer. La quota non è ancora stata discussa.

Nicholas: - Le tasse che i cittadini pagano sono sufficienti per coprire tutte le spese che l’Amministrazione deve affrontare? Se non dovessero bastare, come fate a decidere quali spese affrontare per prime?Assessore: - No, le tasse non bastano.Lo Stato ci dà altri soldi, per la verità pochi, infatti non sono sufficienti a coprire i fabbisogni cittadini. Altri soldi che entrano nelle casse del Comune sono l’ICI e gli oneri di urbanizzazione.

Maria Teresa: - Nel prendere le decisioni vi trovate sempre tutti d’accordo?Assessore: - No, non sempre, ma alla fine ci si mette d’accordo per il bene dei cittadini.

Il vicesindaco, conclusa la riunione di giunta, è passato a salutarci.L’Assessore alla Pubblica Istruzione ha poi donato alle insegnanti e alla classe il libro della storia di Colo-gno Monzese e la cartella di Villa Besozzi Casati.

Un arcobaleno per Villaverdium Testo collettivo

Per le vacanze estive quest’anno ho deciso di non andare a Venezia o a Rimini, ma ho scelto come meta Villaverdium. A prima vista non sembra molto diversa dalle altre città. Infatti ha un ospedale bianco, una piccola stazione ferroviaria, un cineteatro, un centro bellissimo

con luoghi di culto, una banca e la posta. In realtà è unica in tutto il mondo perché progettata e costruita da bambini. Le case sono una diversa dall’altra con dimensioni, colori, materiali e stili differenti. Anche la gestione è affidata ai ragazzini: il sindaco e il vicesindaco sono bambini responsabili, ben organizzati e colti; gli assessori sono bambini instancabili a proporre sempre nuovi progetti e nuove idee, che riescono a realizzare perché tutti i cittadini pagano onestamente le tasse dovute; i responsabili di settore sono bambini impegnati ad aggiornare continuamente i loro impianti e le loro strutture, a controllarne la sicu-rezza sempre nel rispetto della natura. Per questo la città funziona perfettamente: i bambini non hanno gli interessi dei grandi, semplicemente considerano il loro dovere un gioco divertente e gratificante. Nella loro città non hanno costruito le strade, ma hanno lasciato l’erba e per spostarsi usano come mezzi di trasporto privati le gambe, i monopattini, i roller, gli skate board, le biciclette, i tandem. I mezzi pub-blici sono macchine elettriche, a idrogeno, a pannelli solari. Villaverdium è una città ecologica dove l’in-quinamento non è mai esistito. Scienziati e studiosi di tutto il mondo intanto non riescono a risolvere il problema dello smog che soffoca le altre città. La mente semplice e fantasiosa dei bambini ha permesso loro di dare importanza alle cose concrete e giuste, come per esempio rendere piacevole la loro vita. In questa città viene considerato molto importante il tempo libero di tutti. Sia ad est che ad ovest ci sono due ampi parchi: quello ad est ospita la zona residenziale, quello ad ovest ospita una grande scuola collegata alla biblioteca, al museo, agli impianti sportivi attrezzatissimi, alla fattoria con coltivazioni bio-logiche e un centro di equitazione. In questo grande parco i genitori trascorrono il tempo libero giocando con i propri figli. Una grande piazza con una bella fontana è stata costruita per incontrarsi, chiacchierare e stare insieme. La maggior parte degli adulti lavora a sud nella zona industriale dove si trovano anche una centrale di cogenerazione per il teleriscaldamento e una piattaforma ecologica per lo smaltimento e il riciclo dei rifiuti. Il centro anziani è lussuoso: ognuno ha il suo appartamento, ma ci sono dei servizi in comune: un dottore pronto 24 ore su 24, aiutanti per le pulizie e per le spese, un ristorante raffinato per chi desidera o ha bisogno di un menù speciale. Il centro è vicino alla scuola perché gli anziani, con la loro esperienza, sono ottimi maestri.Non mi sono pentito di aver scelto Villaverdium come luogo nel quale trascorrere la mia estate. Così appena ritornato in città ho raccontato con entusiasmo la mia vacanza ad amici, parenti e conoscenti. La voce si è sparsa tanto velocemente che nel giro di poche ore la notizia è arrivata alle orecchie di un

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giornalista che ha pubblicato un articolo di cronaca e di un inviato televisivo che ha trasmesso un servizio su Villverdium durante il telegiornale.Un medico, che ha una bambina con problemi di respirazione, visto il programma e letto il giornale, decide di trasferirsi in quella città ecologica. La bambina passa buona parte del suo tempo a giocare nel parco per ossigenare meglio i suoi polmoni che in breve guariscono. Il dottore finalmente felice vuole rimanere per sempre a Villaverdium e lavorare nell’ospedale della città.Il Presidente della Repubblica, informato della cosa, per riconoscere i meriti della città, consegna al Sin-daco la più importante onorificenza: una medaglia con l’arcobaleno. L’Amministrazione comunale decide così di pubblicare un libro su Villaverdium per raccontare non solo la sua storia, ma anche il suo successo nel mondo. Sulla copertina del libro spicca l’arcobaleno, segno di serenità e di pace, con lo stemma della città.

Il puzzle urbanoTesto collettivo

Ogni città è una civiltàche mostra la sua vitalitàe la sua etàcon le proprie tradizionalità.

Davanti ai palazzi giocano i ragazzi:fanno sollazziurlano come pazzie sparano razzi.

L’enotecala bibliotecae la paninotecasono luoghi dove la gente si reca.

Il supermercato è un negozio fatatoperché vendono dal dolce al salato.e dal liofilizzato all’affumicato.

Quando a scuola suona la campanasi va a studiare lingua italianae dopo grammatica si passa a matematica.

Il traffico assordante è nemico in ogni istante:il pedone poveretto deve muoversi con sospetto.

I marciapiedi cittadinicalpestati da grandi e piccolinison parcheggi per cittadini negligentie anche un po’ indolenti.

Le macchine come branchi di sardinesi muovono senza finerischiando di esplodere come mine.

Nel viale dell’ospedalesta il vigile municipaleche per multaresi mette a fischiare.

Il ciclista salutistazigzagando qua e làpur essendo un ottimistanon sa se a casa tornerà...

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Il motociclista vestito di nerocorre sull’asfaltocome un guerriero.

Ogni automobilistada buon professionistasta in coda con pazienzasenza dare in escandescenza.

I segnali stradalisono punti cardinaliche ogni utentedeve tenere bene a mente.

I semafori sonoriavvisano i signoriche non vedono i colorima sentono i rumori.

Lungo una via una batteria emana una litaniache come per magia dona allegria ed energia.

Ogni vicoloè uno stretto cunicoloed è un serio pericoloper ogni veicolo.

Tangenziali micidialidai miasmi mortali:ormai l’inquinamentoè diventato un tormento.

La metropolitana urbanaè un toccasanaper tutta quella genteche va sempre velocemente.

I tralicci portan la correntenelle case della gentese la luce se ne vala città si spegnerà.

Sopra un lampione vola un aquilonenon è un’allucinazionema pura emozione.

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Abbiamo vinto!I bambini della 4a B

Era il 29 aprile quando sulla soglia della porta dell’aula una segretaria ci chiese: - È questa la 4a B? -Noi rispondemmo di sì e incuriositi ci sedemmo al nostro posto per sentire quello che aveva da dire

(eravamo alzati e stavamo chiacchierando fra di noi!).- Avete vinto un concorso - continuò e consegnò alla maestra una lettera.Noi non sapevamo di cosa stava parlando, ma avevamo già capito che si trattava di qualcosa di bello; Ahmed chiese: - Ma che concorso?-La maestra indicò ad Ahmed il cartellone appeso e tutti si ricordarono della poesia che avevamo scritto parecchio tempo fa.Noi partecipammo ad un concorso chiamato “Poesia e colore” organizzato dalla Dirigenza dell’Istituto di Fiorenzuola d’Arda con la poesia “Il puzzle urbano”.Il concorso, alla sua quarta edizione e patrocinato anche da Italia nostra, consisteva nel descrivere con parole e colori la nostra città. La decisione della giuria non poteva essere contestata.Era la prima volta che partecipavamo ad un concorso così importante e ci impegnammo tantissimo fino quasi al giorno della scadenza.La nostra maestra lesse: - La giuria ha classificato il lavoro della classe 4a B al 10° posto.-Lì per lì non credemmo alle nostre orecchie, tutti noi eravamo scandalizzati e, tristi, allungammo i musi, ma qualcuno sussurrava che non era vero.La maestra chiamò Elisa per leggere e lei esclamò eccitatissima - E vai! -Dal silenzio si alzò un fortissimo grido e tutti saltammo di gioia perché avevamo capito di essere arrivati primi - Evviva! - e felicissimi ci abbracciammo con grande entusiasmo: ci fu uno schiamazzo da cortile.Era proprio vero: avevamo vinto il 1° premio ed eravamo invitati il 10 maggio a Fiorenzuola d’Arda alle ore 10 presso il teatro Capitol in largo Gabrielli per ritirare il premio.La maestra ci diede un avviso per organizzare tutto: mezzo di trasporto, luogo dove mangiare e numero dei partecipanti.Quel giorno fu stupendo e non vediamo l’ora che arrivi il giorno della premiazione, ci divertiremo un sacco.Alcuni compagni purtroppo non potranno partecipare a causa degli impegni dei loro genitori, ma noi ab-biamo promesso che faremo loro la cronaca di tutto ciò che accadrà minuto per minuto.La poesia, che è inserita nel nuovo libro che stiamo per ultimare, è composta di venti strofe e diciannove disegni che, come un puzzle, fotografano alcuni aspetti della città.Il lavoro continuò per più giorni: elencammo tutti gli elementi che caratterizzano una città, per ogni ele-mento cercammo sul CD di un dizionario parole che facessero rima, giocammo con le rime per comporre le frasi e per ogni strofa ottenuta preparammo un disegno a colori.I disegni sono stati scansionati, ridimensionati e stampati su un cartellone insieme al testo ottenuto.Quando la maestra ci mostrò il risultato ci piacque molto e appendemmo il cartellone in classe; una copia la spedimmo all’Istituto Comprensivo di Fiorenzuola proprio all’ultimo minuto.Venne anche la Preside a farci i complimenti per aver vinto il primo premio, poi si complimentò anche con le insegnanti che sicuramente ci avevano aiutato e incoraggiato nel lavoro. La maestra le mostrò il nostro capolavoro e la Preside, dopo aver letto, si complimentò ancora con tutti noi.Ora ci è rimasta la curiosità di sapere quale premio abbiamo vinto, ma è un mistero.

I poeti raccontanoI bambini della 4a B

Il 10 maggio ci svegliammo tutti presto: chi partiva col treno s’incontrava alle sette davanti alla me-tropolitana di Cologno centro, chi partiva in macchina aveva appuntamento davanti al cancello della scuola.

Al 21° binario della Stazione Centrale di Milano cominciammo a cantare le canzoni che stiamo imparando per la festa di fine anno, una signora ci chiese: - State andando a S. Remo? - Noi ci mettemmo a ride-re.Sul treno giocammo a carte e continuammo a cantare. In macchina mentre gli autisti guidavano, le ma-dri controllavano le cartine, i figli osservavano annoiati i cartelli stradali e i fratellini piccoli dormivano. Durante il viaggio oltrepassammo il Po lungo il quale c’erano molti boschi di pioppi. I due gruppi si ritro-varono verso le nove e trenta a Fiorenzuola d’Arda davanti al teatro Capitol.Nell’atrio erano esposti i lavori che hanno partecipato al concorso. Cercammo subito il nostro capolavoro, comunque ne fotografammo anche altri perché tutti erano veramente bellissimi.Il teatro era sufficientemente ampio, ma non abbastanza per contenere tutti i partecipanti: il soffitto era rivestito di pannelli quadrati, lo schermo occupava tutta la parete di fondo davanti alla quale c’erano due

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tavoli: uno per le autorità e uno per le coppe.Alle ore dieci e dieci finalmente iniziarono le premiazioni con un concerto di chitarre acustiche e mandolini tenuto da una classe di prima media di Fossombrone (PS).Le autorità, tra cui il Sindaco e la Preside, pronunciarono un discorso di apertura, ma noi eravamo troppo emozionati per ascoltare.La premiazione iniziò con le materne, quando finì noi eravamo pronti per prendere il premio, ma la Pre-side passò subito alle medie; dopo ci preparammo all’urlo di gioia, ma passò a quelli singoli. Noi a quel punto non eravamo più preparati...Orgogliosi ci rendemmo conto che al concorso parteciparono bambini provenienti da tutta Italia e quando la Preside pronunciò la frase magica: - Primo premio 4ª B di Cologno Monzese - si alzarono boati, grida e applausi; un urlo ci accompagnò fino al palco per ritirare una grande coppa di ceramica lucidata con due targhette consegnataci dal Presidente del Rotary Club: questa coppa non è una qualsiasi, ma è unica in tutta Italia. Ci consegnarono anche un attestato che leggemmo tutto d’un fiato.Fummo accecati da mille flash che immortalarono quel momento mitico e indimenticabile. La maestra Nadia disse: - I bambini della 4ªB saranno famosi! - e fummo ripresi anche dalle telecamere di una te-levisione locale.Dopo le congratulazioni ci fu un rinfresco con focacce, patatine, biscotti, bibite… e noi ci abbuffammo. Usciti andammo a visitare il centro di Fiorenzuola, comprammo piccoli oggetti di bigiotteria alle varie bancarelle e partecipammo con successo al laboratorio “Melaverde”, ci regalarono anche delle bamboline scacciaguai.Qualcuno proseguì poi fino a Parma per ammirare gli innumerevoli affreschi del suo Duomo; altri torna-rono subito perché nel pomeriggio dovevano confessarsi e prepararsi per la Prima Comunione. Un’impre-vista pioggia anticipò il rientro di tutti, ma non riuscì a rovinare una splendida giornata.

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Pensare confonde le idee

I cassetti sono le tasche dei mobilie le tasche sono i cassetti dei vestiti.Talvolta cerchi qualcosa in un cassettoe invece è in un’altra tasca.Alcuni cassetti sono tenuti molto in ordinela roba nelle tasche va dove vuole.La casa è un grande abito nel quale ci vivi dentro tutto interoesclusa la vita in terrazzamentre il vestito è una casache ti lascia fuori la testa e le manicerte volte anche i piedial mare sei quasi tutto fuori casa.Naturalmente le serrature corrispondo ai bottoni ma non è consigliabileoggi come oggiabbottonare le porte e mettere serrature alle tende che sono delle porte di tela.Si tende sempre a chiudere ma talvolta il discorso rimane apertoe tu guardi fuori dalla finestradove l’automobile ti aspetta.Sulla pelle hai la magliettasulla maglietta hai la camiciasulla camicia il gilèsul gilè la giaccasulla giacca hai il soprabitosul soprabito indossi l’automobile.

L’automobile è un soprabito metallicoe siccome è molto pesantenon sei tu che lo portima è lei che ha un motoreper cui ti porta in giro come vuole.Quando ti togli la macchina di dossonon puoi lasciarla in un posto qualunquenei ristoranti ci sono gli attaccapanniper i soprabiti di stoffama non per quelli di metalloper cui.Anche il soprabito metallico con motoreha i cassetti e taschele finestre e le porte come la casa i bottoni da pulsare e la cinturadi pubblica sicurezza(restate dove siete!)E così arriviamo a casae il nostro appartamento è come una piccola cittài corridoi sono le strade di passaggiole stanze sono spazi abitabiliognuno ha la sua portaOgni stanza ha i suoi abitanti.Venezia invece è una città come se fosse un grande appartamentole strade sono i corridoile case sono le stanzei servizi sono all’apertopiazza San Marco è il grande soggiornocol suo mobile bar detto Floriandove tutti gli abitanti si incontranociao, se vedemo.

Sia il vestito che la casa sono ripari contro le intemperieregolabili secondo le stagioniapri la finestratogli la giaccametti la maglia di lanachiudi il rubinetto.Nei tempi antichi il vestitonon aveva le tasche, le maniche, i bottoniera un mantello(derivato come tutti sannodalla pelle di animale gettata sulle spalle)Era bello stare sotto il mantellosenza dover chiudere lo sportelloe nemmeno il cancello

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quando il tempo era bruttoera bello stare all’asciutto e passeggiare sotto la pioggia masticando prosciuttoPiove che Dio la mandadiceva mia nonna che era molto religiosae aveva una grande e forte credenza in cucina, piena di ogni ben di Dio.Nasce così spontaneamente l’ideadella tenda da campocome un grande mantellosotto e dentro il qualeci si può anche abitaremangiare dormire muoversi ma non troppoi servizi sono all’esterno.E’ solo per ragioni praticheche questa tenda diventa il tetto della casadato che, per potersi muovere facilmenteè stata alzata su dei pali(che poi col tempo diventeranno pilastri)lo spazio tra i pali è stato chiusoin verticale con legno e terralasciando un passaggio per entrareche è lo stesso che serve per uscire.Per terra ci sarà un tappetoche col tempo si chiamerà moquette.Anche oggi si costruisconosimili case di telama solo per turismo anziqueste case si possono facilmentesmontare trasportare rimontarecon grande facilità.

Lo zaino è un piccolo armadiofatto di cassetti di tela a forma di taschecon dentro tutto il necessarioche poi diventa superfluoin caso di bisogno urgente.Intanto, comunque e malgradol’idea del tetto, delle pareti, dei muri,delle porte e delle finestre, del legnoo della tela o tutto assiemeè ancora qui con noi e noisiamo ormai abituati a viverci dentro.

Col progresso abbiamo inventato la luce artificialeil calore artificiale per quando fa freddoil freddo artificiale per quando fa caldola temperatura costante per quando...l’aria condizionatai ventilatori per spostare l’ariai camini per aspirare l’aria sporca di fumogli aerofoni per emanare suonicon spostamenti d’arial’aria compressa per gonfiare i gonfiabilii cuscini d’ariale coperte termichei ventagli per darsi delle arie.In queste case abbiamo anche piccoli laghiartificiali sui quali cade una pioggia progettata apposta per la doccia.Il ruscello ci arriva in casaattraverso tubi metallicie l’uscita dell’acqua è regolabile con appositi rubinettile notizie invece arrivano attraverso il televisore e il telefono.Stiamo costruendo un mondo del tutto artificiale perfetto (?)con tendenza al monotono.Non si sentono più le stagioniio ormai vado a mangiare la frutta direttamente dal fruttivendoloperché bisogna mangiarla nel momento in cuida acerba diventa marciac’è un attimo in cui è mangiabilema se la comperi e la porti a casaè già da buttare via non però assieme ai vetri o alla carta.L’acqua del rubinetto è troppo inquinatail tè sa di cloro e l’acqua minerale

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ha la scadenza di qualche giorno.I cibi sono predigeriticosì lo stomaco può riposare e poi anche atrofizzarsi che non importa.Intanto le mamme portano a spasso i bambininel passeggino che è proprio alla stessaaltezza del tubo di scappamento delle autopare che i gas di scarico ai semaforisiano più saporiti quando c’è il verde.I ricchi hanno rubinetti d’oroma l’acqua è sempre più inquinata.Faremo come gli insetti che si sono rinforzati grazie all’insetticida?I bambini abituati al passeggino non sannopiù camminare, abituati alla televisionenon sanno più pensarei giovani sono già stanchie si siedono sempre sui gradini o per terratra i panettoni di cemento e gli archetti di ferro giallo.Nel caos della circolazione cittadinal’enorme quantità di divieti panettoni di cemento e archetti ovunque è direttamente proporzionaleall’inciviltà dei cittadini.Ma come sarà la casa del futuro?In Liguria ci sono case verecon alcune finestre fintedipinte ad arte sulla facciata.Suonai il campanello(volevo vedere se all’internodella finestra fintac’era dipinto sul muroin esatta corrispondenzacon la finta finestra).Mi venne ad aprire una gentile signorain parte vera in parte dipinta.Nella Civiltà del Fatturatoquesto problema sarà risolto in basea considerazioni soprattutto economiche.Nelle nostre case climatizzate non si devono aprire le finestrealtrimenti gli ambienti si declimatizzano.Mia nonna (quella della credenza)guardava sempre dalla finestraper vedere cosa succedeva nel mondo.Il Mondo, allora, era quello fuori casagiù nella strada la gente che passavase era andata alla Santa Messao solamente alla messa in piegainsomma tutti i pettegolezzi della gente.

Oggi questo è dentro il televisoree si chiama Beautiful o Quando si Ama(che poi si rivela in quando si litiga)e oltre a questo si vede anche che cosa succede in qualunque parte del mondo. Tutti ormai sono abituati a guardarenel televisore per sapere che cosa succede nel mondo e dove e come.Possiamo quindi fare a meno delle finestrecome osservatorio e come fonte di luce. Nelle nostre case la luce è sempre accesarisparmiamo la spesa dei serramentidei doppi vetri e della manutenzionedelle facciate delle case.Avremo in casa tanti televisoriper vedere e sapere cosa succede in tuttoil mondo e non solo sotto la finestra.L’aria è condizionataregolabile a piacere come qualità di ariacome temperatura e come movimento.Si potrà avere il vento in corridoioe l’aria fredda nel frigoriferoil caldo nel forno per scaldare i cibil’olio arriva dall’oleodottoe l’aceto dall’acetodottoil sale è nell’armadietto in cucinail peperoncino nel vasetto a sinistra.Nel prossimo futuro tutta la città sarà climatizzatae non solo alcune case.

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Già siamo abituati alla metropolitanache è più veloce dei mezzi in superficieperché passa sotto ai semaforimentre le auto fanno interminabili code.Ad ogni stazione della metropolitanaci sono edicole, bar, negozi varigià a livello delle case interratenon scenderemo più in metropolitanala stazione è al nostro livello.Con tutto il denaro che si risparmiacostruendo case senza facciatemiglioreremo il benessere collettivola climatizzazione costerà menonon essendoci dispersione e in più potremo avere collegamenti tipo postapneumatica con i vari fornitorila merce la scegliamo nel televisorepotremo ordinare una pizzapremendo un pulsante(non questo che è quello dei pompieri)pagare con un altro pulsantecomunicare con chiunque dovunquepremendo altri pulsantigrande attività piena di pulsazionie di fermenticittà fermentate comunicazioni multiplele distanze sono annullatesalvo che per i contatti fisici.Eccoci quindi nel futuroassieme a tanta gente di ogni doveoggi nel televisoresi vedono immagini del passatogente vestita con cappotti e pelliccecamminare sotto le intemperiepioggia neve freddo ventoportando pesanti borse della spesaborse di plastica inquinamento e smogoppure gente sbracata nella calura estivain mezzo a un traffico infernalebenedetto (maledetto) dall’incenso spraydi tutte le auto.

Nella casa interrata invececlima costante a piacereniente intemperieniente pericolo di crollinessuno si butta dalla finestrasi entra in casa con l’ascensorescendendo invece che salendoL’ingresso della casa è in mezzo al pratoche la copre con piante e fioridove si può andare a passeggiarequando il tempo è bellocome una terrazza dei vecchi tempi.Quando si costruivano ancoraaltissime e costosissime casecento duecento trecento piani.Avevo un amico a New Yorkche abitava nel più alto grattacieloal primo piano era molto tristequando gli chiedevanoa che piano abitavauna domenica prese l’ascensorecon tutta la famigliasalirono sul terrazzo più altoc’era la nebbia.

Dopo questo progresso umanoad altissimo inquinamentoche altera i sensi e il pensierosiamo arrivati a vivere come gli insettiche fanno la tana sotto terra.Secondo il loro progressopiù coerente e naturale del nostrovivono meglio di noisenza faxsenza telexsenza codice fiscalesenza denarosenza inquinamento

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ma con le antenne telesensorialiincorporate.Pensare confonde le idee.

Ormai nella Civiltà del Fatturatoi computers hanno mangiatotutte le vocali delle persone.I computer hanno fretta.Il mio nome è ormai BRNil mio cognome è MNRsi fa più presto.Molta gente nel prossimo futurometterà nomi in questo modo (moda ?)alla prole: LFL è carinamentre BTTS è troppo seriostudiano il teorema di PTGRstudiano anche DNT, LNRD,MCLNGL e le loro pitture,di arte moderna conoscono PCSS,KL, MTSS, MNDRN, BLL, ecc.In vacanza vanno a SHR-LNKcon la KLM nel mese di GUGNdetto anche 6° mese.Al ritorno troveranno i loro amiciXSK, LFL, BRZ, TTN, ZGZT e ancheGiambattista Pistolati di Canzo il qualenon vuole che gli strappino le vocali.

Ultime notizie dal fuori terra:Il famoso “stabile” crollòimprovvisamente.I mobili erano fissiGli infissi erano mobili.Il custode custodiva un segreto:l’avvocato di grido era sordo.I geometri fecero quadrato.L’idraulico non capiva un tubo.Il ragioniere era appena stato operato di calcoli.L’imbianchino arrossìnon aveva dato la seconda mano.L’affresco venne ultimato in agosto.I figli del pianista giocavano sempre sulle scale.I parenti stretti abitavano in via Larga.

Bruno Munari - Corraini Edizioni