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Università degli Studi di Trento OSSERVATORIO CRITICO della germanistica VII - 19 OSSERVATORIO CRITICO della germanistica Heinrich von Kleist, Michael Kohlhaas, a cura di Hermann Dorowin, traduzione di Paola Ca- priolo (con testo a fronte), Vene- zia, Letteratura Universale Marsilio, 2003, pp.270, € 15 Nell’ultimo mezzo se- colo i Racconti di Kleist al completo hanno avu- to da noi una decina di traduzioni, ma i più tra- dotti in edizione singo- la sono stati Michael Kohlhaas e la Marchesa von O..., l’uno per- ché riconosciuto capolavoro del Kleist nar- ratore, l’altro favorito dalla sua affascinan- te trama amorosa e dalla raffinata versione cinematografica di E. Rohmer del 1976. In ombra è rimasto, forse perché offre meno spunti di dibattito, lo straordinario Santa Cecilia e della potenza della musica: alla luce del fortissimo rapporto di Kleist con la musica, credo meriterebbe anch’esso un edizione Marsilio. Questa nuova edizione del Kohlhaas si vale di una traduzione eccellente. La scelta di Paola Capriolo di mantenere, come appa- iono nell’originale, le battute dei dialoghi una di seguito all’altra, senza a capo, è mo- tivata: come lei stessa osserva nella sua nota, i dialoghi non costituiscono mai delle conversazioni distese, ma sembrano piut- tosto “frasi scambiate su un campo di bat- taglia”. E ha fatto bene anche a tralasciare le virgolette che, schlampig com’era persi- no nell’ortografia, Kleist distribuiva senza troppa coerenza, a conservare però le sue tipiche, significative lineette. Uomo di tea- tro (ma fino a che punto?), quando narra Kleist fa di parole e gesti un corpo unico, direi quasi un unica scultura. La parola è azione e l’azione incal- za con una furia, che la traduzione conserva: tanto che ad apertura di libro, prima di ogni ve- rifica sul corrispettivo in tedesco, la resa italiana fa riconoscere immediatamente l’autore. Accuratissimo il lavoro di Hermann Dorowin, dall’esauriente cronologia alla bibliografia ragionata, alle indicazioni sul- le fonti storiche del racconto, alle note al testo, che contengono anche riferimenti a Schiller e a Rousseau, di cui Kleist è segua- ce, confronti tra la cronaca cinquecentesca di cui Kleist si è liberamente servito e un confronto tra il frammento del racconto usci- to su “Phoebus”, la prima delle tre sfortu- nate avventure giornalistiche di Kleist, e la versione definitiva. Qualche interrogativo può sorgere circa la distribuzione degli ar- gomenti tra prefazione e note: forse alcuni di essi, trattati nelle note, per esempio l’istanza del buon governo (n.19) o l’eredi- tà luterana in Kleist e la (n.54) avrebbero forse meritato lo spazio e il rilievo di qual- che lungo paragrafo nella prefazione. Ma trattare un solo racconto, per tutti gli spunti che si è costretti a sacrificare, è alla fine più complesso che trattare il tutto. La prefazione affronta già altri grossi nodi, primo fra tutti quello dei giudizi opposti che quest’autore ha sempre suscitato, a volte in uno stesso lettore: sintomatico Thomas Mann che nel 1910 del Kohlhaas si entusia-

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OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Heinrich von Kleist, MichaelKohlhaas, a cura di HermannDorowin, traduzione di Paola Ca-priolo (con testo a fronte), Vene-zia, Letteratura UniversaleMarsilio, 2003, pp.270, € 15

Nell’ultimo mezzo se-colo i Racconti di Kleistal completo hanno avu-to da noi una decina ditraduzioni, ma i più tra-dotti in edizione singo-la sono stati MichaelKohlhaas e la Marchesa von O..., l’uno per-ché riconosciuto capolavoro del Kleist nar-ratore, l’altro favorito dalla sua affascinan-te trama amorosa e dalla raffinata versionecinematografica di E. Rohmer del 1976. Inombra è rimasto, forse perché offre menospunti di dibattito, lo straordinario SantaCecilia e della potenza della musica: allaluce del fortissimo rapporto di Kleist conla musica, credo meriterebbe anch’esso unedizione Marsilio.Questa nuova edizione del Kohlhaas si valedi una traduzione eccellente. La scelta diPaola Capriolo di mantenere, come appa-iono nell’originale, le battute dei dialoghiuna di seguito all’altra, senza a capo, è mo-tivata: come lei stessa osserva nella suanota, i dialoghi non costituiscono mai delleconversazioni distese, ma sembrano piut-tosto “frasi scambiate su un campo di bat-taglia”. E ha fatto bene anche a tralasciarele virgolette che, schlampig com’era persi-no nell’ortografia, Kleist distribuiva senzatroppa coerenza, a conservare però le suetipiche, significative lineette. Uomo di tea-tro (ma fino a che punto?), quando narraKleist fa di parole e gesti un corpo unico,direi quasi un unica scultura. La parola è

azione e l’azione incal-za con una furia, che latraduzione conserva:tanto che ad apertura dilibro, prima di ogni ve-rifica sul corrispettivo intedesco, la resa italiana

fa riconoscere immediatamente l’autore.Accuratissimo il lavoro di HermannDorowin, dall’esauriente cronologia allabibliografia ragionata, alle indicazioni sul-le fonti storiche del racconto, alle note altesto, che contengono anche riferimenti aSchiller e a Rousseau, di cui Kleist è segua-ce, confronti tra la cronaca cinquecentescadi cui Kleist si è liberamente servito e unconfronto tra il frammento del racconto usci-to su “Phoebus”, la prima delle tre sfortu-nate avventure giornalistiche di Kleist, e laversione definitiva. Qualche interrogativopuò sorgere circa la distribuzione degli ar-gomenti tra prefazione e note: forse alcunidi essi, trattati nelle note, per esempiol’istanza del buon governo (n.19) o l’eredi-tà luterana in Kleist e la (n.54) avrebberoforse meritato lo spazio e il rilievo di qual-che lungo paragrafo nella prefazione. Matrattare un solo racconto, per tutti gli spuntiche si è costretti a sacrificare, è alla fine piùcomplesso che trattare il tutto.La prefazione affronta già altri grossi nodi,primo fra tutti quello dei giudizi opposti chequest’autore ha sempre suscitato, a volte inuno stesso lettore: sintomatico ThomasMann che nel 1910 del Kohlhaas si entusia-

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sma e impreca contro la cecità di Goethe suKleist ma nel 1949, dopo l’esperienza dellafuria nazista, fa un salto indietro. Dorowincita giustamente la sintesi di L.Földényi (ImNetz der Wörter, 1999, eccellente studio sullessico kleistiano): da duecento anni il let-tore è disorientato perché è come se ildisorientamento fosse programmato all’in-terno del testo stesso sin dall’inizio. La sto-ria della ricezione del poeta prussiano faparte della tragedia della sua esistenza, edè anche uno spaccato di storia della Ger-mania.Kohlhaas in particolare si presta a svariateinterpretazioni. È un discorso sul diritto?Sulla funzione dei sovrani? Sulla corruzio-ne dei subalterni e degli ammanicati?Un’esplosione di odio per la Sassonia an-data in braccio a Napoleone e di utopisticoamore per la Prussia? Una difesa della li-bertà di commerci che in Prussia faceva al-lora tanta fatica a instaurarsi? Un inno al-l’individuo che si fa giustizia da solo?Räuberromantik bella e buona? O, comeverrebbe anche di pensare, una terza e ulti-ma variante del motivo del fiume? Se nelprimo Kleist, ancora sulla scia dell’ottimi-smo illuminista, il fiume significava un’ac-qua tumultuosa e felice che correva a con-giungersi al mare ossia alla società, nellosconsolato Kleist del 1800 a Parigi è un’ac-qua che lasciata la sorgente è costretta aprecipitare in un abisso senza nome, ma ilKohlhaas è il Kleist umiliato e offeso del1810, che come un fiume in piena distrug-ge tutto quello che trova, ossia pressappo-co ciò che, come rileva Dorowin, vedevaNietzsche in una delle Considerazioniinattuali, un’essere insolito che esplode percarenza d’amore. Dorowin ci ragguaglia suammiratori e detrattori, da Tieck a Hebbela Fontane a Dilthey a Gide a Kafka (ap-passionato del Kleist narratore, anche deisuoi fulminanti aneddoti) fino all’approc-cio psicoanalitico degli anni Ottanta e citaH. Gallas, che vede nel sovrano sassone enel sovrano brandenburghese due istanzepaterne e nella capsula-amuleto cheKohlhaas porta al collo il fulcro del racconto

e un simbolo del fallo su cui si proietta il“desiderio del testo”. Dorowin tocca anchela questione, dibattuta già alla prima com-parsa del Kohlhaas, dell’uso del magico edello stregonesco e rileva come i primi a cri-ticarlo fossero giusto i contemporanei roman-tici. Discutere se Kleist fosse romantico ono è diventato ozioso, ma resta che la suatragedia di genio dopotutto risolto a metà (luistesso parlava del proprio “mezzo talento”)può attribuirsi al suo essere venuto troppotardi rispetto al classicismo di Weimar e trop-po presto rispetto al realismo ottocentesco.

Anna Maria Carpi

Maurizio Pirro, Anime floreali e utopiaregressiva. Salomon Geßner e la tradizionedell’idillio, Pasian di Prato, Campanotto,2003, pp. 212, € 18,00.

Ricordando un’espressione di Mittner - “ani-me floreali” -, coniata per definire le figureche abitano i paesaggi degli idilli gessneriani,Maurizio Pirro si avventura sul complessoterreno dell’analisi di un genere poetico chemolti pregiudizi culturali hanno a torto su-bordinato a quella che l’autore definisce la“discorsività a priori” (p. 12), ovvero“un’immodificabile carica argomentativapreesistente alle circostanze concrete dellaloro configurazione particolare presso que-sto o quel singolo autore” (ibidem). Va subi-to detto che contributo a questa visione par-ziale, perlopiù tendente ad assumere comedato di fatto la coincidenza tra l’esaltazioneestetica e quella sociale del locus abscondituscome espressione di un conservatorismoimmobilistico, si deve in parte al rifiuto ro-mantico (con Hegel in prima linea) dell’ideadi un depauperamento di tutte le positive ten-sioni emotive suggerite dal progetto dimodernizzazione della società civile, in par-te all’inclinazione di molti critici del ‘900 ascivolare verso una Kompensationstheorie,che traduce il progetto gessneriano in unaforma di revanchismo della borghesiaestromessa dalla conduzione politica. In que-

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sto senso, tutto il primo capitolo, che è de-dicato allo “stato degli studi sul generedell’idillio”, si preoccupa di passare in ras-segna minuziosamente le analisi più rap-presentative (da quella di inquadramento diRenate Böschenstein a quella più determi-nistica di Hella Jäger, fino ad arrivare aquelle più innovative di Carten Behle eCharlotte Hogsett, che introducono rispet-tivamente le variabili del discorso antropo-logico e dell’attenzione per il passaggio dal-l’allegoria al mito di un’umanità primige-nia), non mancando di cogliere in ciascunai caratteri produttivi del discorso critico.Perciò Pirro ha in animo di dimostrare ilprogetto etico che sta alla base dell’idillioe l’espressione della sua lotta morale con-tro l’alienazione delle libertà individuali, ri-cordando che questo risultato non va valu-tato solo sull’asse della tradizione poeticadi lingua tedesca e non solo nell’alveo del-la poesia, ma chiamando a concorrere allaformulazione del genere pastorale autori delSeicento e del Settecento di Francia e In-ghilterra e coinvolgendo i protagonisti deldibattito apertosi tra storicismo egiusnaturalismo (capitoli II e III). È cosìpiù semplice valutare le ragioni addotte proo contro l’adesione a un realismo sapido erustico come quello proposto da Teocrito oa quello allegorico suggerito dalleBucoliche di Virgilio, e si arriva a intende-re come si sia imposto a livello formale unincrocio equilibrato tra finezza di sentimen-to e semplicità formale. Che poi Geßnerfosse stato investito dalle riflessioni teori-che sull’arte degli antichi prodotte daiGedanken über die Nachahmung dergriechischen Werke in der Mahlerey undBildhauerkunst (1755) di Winckelmann èfuori discussione e che proprio questo fat-to collabori a corroborare la tesi che la for-mula della “edle Einfalt und stille Grösse”,più volte echeggiata negli idilli, abbia co-stituito una copertura estetica rispetto allaprospettiva pragmatica del genere, non puòa sua volta essere sottovalutato.Pirro, attento alla cronologia in ragione del-la sua avversione contro ogni forma di

determinismo, avverte che Bodmer avevaanticipato il concetto della edle Einfalt neltrentottesimo dei suoi Neue Critische Briefe(1749), intitolato Von den Vorzügen derEklogen des Theokritus, in cui dimostravacome la nobile semplicità della vita natura-le non potesse avere senso senza un riferi-mento specifico all’utopia comunitaria fon-data in un principio pre-capitalistico. Maancora, a essere chiamate in causa, sono leopinioni di Gottsched, di Mendelssohn, diHerder fino a quella di Goethe, che sa cor-rettamente ricollocare il messaggiogessneriano nel contesto svizzero di una re-altà stretta nella forbice tra modelli arcaicidella comunità e aspirazioni capitalistichedel ceto imprenditoriale.Giuseppe Bevilacqua ha giustamente osser-vato nel suo saggio Il momento idillico inHebel (presente nel volume curato da RitaSvandrlik, Idillio e anti-idillio nella lette-ratura tedesca moderna, 2002) che “L’ari-stocratico o il redditiere vanno in Arcadiaper smettere la noia e la ripetizione, per cam-biar gioco; il borghese, là dove ha assuntoormai un ruolo determinante e ben specifi-co sul piano economico e sociale anche seancora non ha responsabilità esclusiva sulpiano politico, va in Arcadia nella speranzadi poter smettere un impegno” (p. 24). Que-sta fuga verso una realtà alternativa, chedovrebbe garantire le delizie di una pacataserenità, non giustifica però ancora comple-tamente il fatto che la virtù economica piùvolte esaltata negli Idilli non sia tanto unmerito, quanto un segno della Provvidenza,che segna la via del virtuoso verso lacondivisione delle sue fortune. Infatti, ten-tando di secolarizzare lo spirito religiosoformatosi alla scuola del Pietismo, Geßner“riposiziona eticamente e ideologicamente”il terzo stato tra economia feudale e impre-sa industriale e affida alla Provvidenza lagiustificazione delle condizioni atte all’ap-plicazione dello spirito solidale, scevro daconflittualità d’ogni genere, al sistemarelazionale interno alla cellula comunitaria.Si nota che nello studio di Pirro questo di-scorso, ribadito più volte, si cristallizza a tutti

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gli effetti in una delle tesi portanti del li-bro: “La prosperità dalla quale i soggettipiù meritevoli sono - spesso improvvisa-mente - toccati, non rappresenta il riscon-tro diretto di una corrispondente operosità,e costituisce semmai la manifestazione vi-sibile della benevolenza del creatore del-l’universo, guadagnata attraverso l’adesio-ne a un codice morale che […] sembra inrealtà presupporre che le relazioni tra uomoe uomo si svolgano in una sorta di vuotopneumatico, senza l’interferenza di fattoripragmatici non omogenei come per esem-pio l’appartenenza a classi differenti o l’esi-stenza di rapporti di subordinazione nelquadro delle attività produttive” (p. 121); eancora, “lo scrittore è indotto a premiare lavirtù dei suoi personaggi attraverso un mi-glioramento delle loro condizioni materia-li, ma questo incremento di fortuna rimaneun fatto provvidenziale e misterioso, non èin alcun caso il risultato di una concretaattività di lavoro, e va semmai a sottolinea-re le potenzialità etiche racchiuse nella con-dotta tenuta dai pastori nei confronti delprossimo” (p. 130). Una felicissima cita-zione riguarda pertanto il quadretto di ge-nere dedicato a Milon e Chloe (I, 21-22),in cui Milon sciorina davanti all’amata tut-ti i vantaggi derivanti dalla Zufriedenheitdel semplice possesso di risorse naturali,di cui godere con la vista e cibarsi. Milonha a sua disposizione dei beni per i qualinon ha dovuto spendere il sudore della fron-te, ma sebbene l’orgoglio con cui esclama“diß alles ist mein!” possa subito far pen-sare a un sentimento di egoismo, l’impres-sione negativa viene mitigata dal successi-vo “wer wünschet sich mehr?” (p. 130)Anche in Daphnis, il romanzo pastorale cheGeßner pubblica nel 1754, si trova il con-cetto che il possesso non deve essere con-fuso con l’appropriazione materiale, madeve essere ritenuto una virtù. Ma se è vero,come osserva Pirro, che l’altruismo filan-tropico di matrice pietistica non vale a con-trastare il problema di un’iniqua distribu-zione delle risorse, è altrettanto vero che ladiffidenza verso ogni forma di contamina-

zione con il tumultuoso mondo della produ-zione economica fa pensare che ogni formadi fatica per allestire e garantire la prosperitàdel ridente paesaggio campestre debba esse-re demandato ad altri. Si inaugura così, alparagrafo IV. 3, un’importante lettura delpaternalismo gessneriano, un fenomeno chesi lascia percepire particolarmente nelle NeueIdyllen del 1772, in cui il nucleo famigliareassume i contorni di una “cellula fondamen-talmente autarchica ed autosufficiente” (p.143), esaltata in Herbstmorgen, e si trasfor-ma in baluardo di difesa dalle tensionidisgregative messe in atto dal capitalismocittadino. In questo senso la lezione di LotharPikulik (Leistungsethik contra Gefühlskult.Über das Verhältnis von Bürgerlichkeit undEmpfindsamkeit in Deutschland, 1984) vie-ne giudicata particolarmente utile, in quantoinsegna a distinguere i vari volti della classeborghese e a valutarne il senso di responsa-bilità nei confronti dei conflitti sociali. Quan-to essa abbia continuato a paventarli, anchedopo l’esaurirsi della vena gessneriana, è di-mostrato dallo Hermann und Dorothea(1797) di Goethe, a cui Hegel riconoscerä ilmerito del superamento della ristrettezza dellavisione idilliaca tradizionale con queste pa-role: “[Goethe] prende a scelta della vita delpresente un particolare strettamente circo-scritto, al tempo stesso però, come sfondo eatmosfera in cui si muove questa sfera, rive-la i grandi interessi della rivoluzione e dellapropria patria e mette in relazione il tema insé limitato con gli eventi internazionali dimassima ampiezza e imponenza”.Pirro inverte l’ordine di quelle che comune-mente, ma solo per una convenzione che de-riva da un più fenomenologico approccio allamateria da parte di altri critici, sembrano lepriorità del discorso sull’idillio gessnerianoe destina la sezione finale del suo testo al-l’immagine della natura, che da un punto divista culturale ed estetico mostra l’influenzadei quadri di paesaggio dell’IrdischesVergnügen in Gott di Brockes, fortementecondizionato dalla Teodicea leibniziana. Pirrorileva però che lo spazio della natura, mag-giormente antropizzato nella visione di

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Geßner, non è più semplice condizione diapprezzamento dell’ordine fisico-teologico,ma diventa il luogo in cui può essere misu-rata la concreta azione etica del soggetto, eracchiude un monito costante allaperfettibilità dell’essere umano.Di quanto poco ci si sia accorti nell’Italiadel ‘700 di tutte le complesse motivazioniche spingono Geßner verso unariproposizione del modello pastorale chesupera la tradizione barocca allegorica e sti-lizzata, lasciando trapelare un vero e pro-prio progetto illuministico, è suggerito dal-lo studio di Daniela Corzuol, SalomonGessner e Francesco Soave. Il poeta e ilsuo traduttore: rococò e classicismo tramondo germanico e Italia (2001), pubbli-cato nella stessa collana in cui è apparso lostudio di Pirro, che ci fornisce utili spunticirca la Rezeptionsgeschichte delle operedell’autore svizzero e si addentra più tecni-camente nell’ambito del suo linguaggiopoetico e della sua versificazione.

Elena Agazzi

Giovanni Sampaolo, Proserpinens Park.Goethes „Wahlverwandtschaften“ alsSelbstkritik der Moderne, aus demItalienischen von Annette Kopetzki,Stuttgart, Metzler, 2003, pp. 296, € 74,95.

Il notevole studio di Giovanni Sampaolosulle Wahlverwandtschaften, nato da unadissertazione del Dottorato di ricerca inGermanistica presso l’Università di Pisa egià apparso in Italia nel 1999 pressol’editore Carocci con il titolo: Critica delmoderno, linguaggi dell’antico. Goethe ele affinità elettive, è uscito ora anche intraduzione tedesca presso l’editore Metzlerin una versione ampliata e riveduta.Metodologicamente, la ricerca di Sampaolosi richiama alla “genetische Auslegungs-methode” adottata da Wilhelm Emrich nellasua esegesi della simbologia del Faust II(Die Symbolik von Faust II. Sinn undVorformen). Per Emrich la condizione

indispensabile di un’analisi iconologica chenon voglia cadere nell’arbitrio è laricostruzione degli elementi iconici nellaloro evoluzione nell’intera opera di unautore. Questo approccio metodologico sirivela nel caso di Goethe particolarmenteproficuo, se si considera l’abitudine delpoeta di lasciar maturare forme e motivi inalcuni casi anche per lungo tempo (“vierzigbis fünfzig Jahre”: Bedeutende Fördernisdurch ein einziges geistreiches Wort, 1823,HA XIII, S. 38). Sampaolo prende a modellol’approccio genealogico di Emrich econsidera la contestualizzazione dei motiviiconici la vera chiave d’accesso allamolteplicità iconologica delle Wahlver-wandtschaften, che la peculiare laconicitàdel testo rende particolarmente arduoanalizzare. Per Sampaolo l’importanza delladimensione iconologica nel romanzo sidesume non da ultimo anche dal fatto chel’opera tarda sviluppa una tendenza allatipizzazione, tesa a superare larappresentazione dell’individuale - ormaiidentificato da Goethe con la “Manier” - e amettere in luce le strutture e le formeelementari del reale, mirandoall’universalità propria dello “Stil”. Ladimensione simbolico-universale dell’operatarda si realizza a sua volta in unatipizzazione dei personaggi improntata allamimesi del presente (in Hermann undDorothea) oppure mediata dall’universalitàatemporale del mito. Esemplare diquest’ultima tendenza è la Pandora -terminata un anno prima del romanzo, inriferimento alla quale Goethe confessa aRiemer di essere giunto, nelle figure diPrometeo ed Epimeteo, alla rappresenta-zione del “generico”, cioè di personaggisimbolici e rappresentativi di intere tipologie-, ma anche Des Epimenides Erwachen enaturalmente la Klassische Walpurgisnacht.Per Sampaolo nelle Wahlverwandtschaftensi realizza una mediazione tra le duetendenze, volta a far coincidere la mimesidel moderno con la simbologia dell’antico.La rappresentazione empirico-realistica delpresente e la sua trasfigurazione mitologica

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vengono riassunte in un’opera che dà contodella profonda crisi legata al passaggioepocale tra Sette e Ottocento, ma che nonper questo rinuncia a conferirle un’intensitàuniversale che trascenda il livello empirico.L’iconologia delle Wahlverwandtschaftenpoggia su un problema che l’indagine diSampaolo individua fin dall’inizio come ilnodo centrale del romanzo goethiano: ilnaufragio del progetto etico ed estetico delclassicismo, che viene eroso dall’avanzaresinistro di una modernità che ha perso ognimisura umana. L’iconologia del romanzosi articola a partire dall’ideale classicisticodella coltivazione, intesa come fruttuosaopera di colonizzazione umanizzante, edalla sua crisi a causa del soggettivismomoderno, che fa della natura uno sterilespecchio del proprio narcisismo. Sottoquesto aspetto, la scelta di Eduard eCharlotte di stabilirsi in campagna noncostituisce nella lettura di Sampaolo unafuga dalla realtà, bensì si contrappone allacorruzione della città e mira sulla scia diRousseau a recuperare attraverso lacoltivazione della natura autenticitàesperienziale e moralità. Il locus amoenusdella tenuta di Eduard rappresenta una sortadi Weimar in potentia dove il barone eCharlotte si sono ritirati per coltivare lacampagna ed educare sè stessi. Di fronteagli imprevedibili e inquietanti mutamentipolitici della Rivoluzione è la natura acostituire il principio evolutivo al qualesecondo Goethe l’artista deve guardare. Difronte al caos della storia è la vita vegetale- come puntualizzò già Giuliano Baioni conriferimento alla Metamorphose derPflanzen (1789-90) - ad essere proposta daGoethe a modello didattico per l’evoluzionedella storia umana, a motivo della suacrescita uniforme e armonica. In questaprospettiva la scelta di Eduard e Charlottecostituisce, attraverso il rapporto educativoche si instaura tra la natura e colui che lacoltiva, una dimensione civilizzatriceprimaria, che riconduce la catacresi“cultura” al suo significato originario di“agricoltura”.

Nel romanzo l’ideale della coltivazione trovala propria espressione iconico-mitologica nelmito, ricorrente nel classicismo tedesco, diCeres. Particolare rilievo acquista Cerere adesempio nell’inno schilleriano Das eleusischeFest (1798) dove tutte le forme elementaridella civiltà vengono ricondotte ai suoiinsegnamenti, oppure in Der entfesseltePrometheus di Herder, dove la dea insegnaagli uomini con l’agricoltura anche la pace eil diritto. In Goethe questo mito, oltre acaratterizzare come figura simbolica lerappresentazioni celebrative organizzate aWeimar, compare anche nell’Achilleis, doveCerere simboleggia la vita pacifica oppostaad Ares, e inoltre nelle Vier Jahreszeiten, nelleRömische Elegien, nelle Weissagungen desBakis e infine nella Mummenschanz del FaustII. Nelle Wahlverwandtschaften è la figuradi Charlotte ad assumere i lineamenti di Cerese a rappresentare l’endiadi di coltivazione ecivilizzazione. Non soltanto ella amministrae dirige personalmente la produzione agricoladel feudo, ma - non diversamente dallaBaronesse von C. delle Unterhaltungendeutscher Ausgewanderten - veglia anchesulla misura e l’equilibrio della piccolacomunità, ispirandosi alla cultura classicistadella conversazione e della socievolezza.Se Charlotte da un lato in quanto Cerereincarna nel romanzo gli ideali del classicismo,d’altro lato ella per Sampaolo ne rappresentagià la crisi e l’insufficienza. Nel riordino delcimitero si mostra l’inadeguatezza delclassicismo a confrontarsi con la morte,mentre la cieca fede di Charlottenell’istituzione del matrimonio inteso comecontratto sociale appare come un ideale eticoormai puramente formale ed esteriore.All’ethos razionale e formalistico diCharlotte, che si aggrappa tenacemente aforme già drammaticamente svuotate einattuali, subentra la moralità istintiva edenigmatica di Ottilie, nipote e figlia adottivadi Charlotte. Se Ottilie è figlia del classicismoe si fa carico della sua missione civilizzatrice,ciò avviene in modo nuovo e diverso. Adifferenza di Charlotte, Ottilie è caratterizzatada un’eticità spontanea e innata,

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simboleggiata sia dalla sua bellezza che dallegame di armonica simbiosi che la lega almondo vegetale. La sua istintività eticaporta in salvo l’eredità di un classicismo chesi è ritratto dalla dimensione storico-istituzionale e sopravvive ormai solo nellacoscienza individuale non come idealeraggiunto, ma come possibilità: Ottilie “isteine Waise und ihre Beziehungen zursozialen Welt sind prekär. Doch sie gehorchteiner inneren Stimme, und diese Stimme istdas, was dem Klassizismus an Substanzbleibt, nachdem Goethe sich von derIllusion verabschieden mußte, dessen Zielein beständigen, äußeren Formenverwirklichen zu können” (Sampaolo, p.100). Come figlia (adottiva) di Charlotte-Cerere, Ottilia mostra i lineamenti diProserpina: al pari di quest’ultima, ella èsottomessa alla tutela della madre (comePersefone riceve l’appellativo di “Kind”-KÒrh) ed è sottilmente legata ad unatemporalità stagionale, la quale fa sì che ellaviva in simbiosi con la natura d’estate,mentre la stagione invernale acquista per leii connotati spettrali di una discesa agli Inferi.L’idillio classicista della terra coltivata,nelle sue due varianti della coltivazione diCharlotte e della spontanea simbiosi con laflora che contraddistingue invece Ottilie,soccombe alle spinte della modernitàdisgregante, che trova la sua espressionesimbolica nella chimica, la scienza deimoderni. Dominata dallo spirito analitico,opposto a quello sintetico caratterizzantel’organismo, la chimica rimandasimbolicamente nell’analisi di Sampaoloalla mobilità disorganica e distruttiva dellerelazioni interpersonali del mondocontemporaneo. La decomposizionechimica appare dunque, come già inSchiller, regressione della civiltàall’atomismo delle pulsioni elementari. Ladissoluzione chimica dell’idillio organicoavviene tramite l’introduzione nel feudo deiveleni della modernità: a sconvolgerel’armonica sintesi della piccola comunità èlo spirito moderno dell’egoismo e del cultodell’individuo, che ispira l’apologia

dell’adulterio del conte e della baronessa(128), ma soprattutto le scorribande dellafiglia di Charlotte, Luciane. Quest’ultima èfigura paradigmatica del narcisismomoderno, che - come nota Sampaolo -consuma incessantemente le forme culturaliriducendole a spettacolo e giunge adevastare la natura per soddisfare ilcapriccio di una sterile estetizzazione -un’estetizzazione che viene sistematica-mente perseguita anche da Eduard inossequio alla moda del giardino all’inglese.A questo proposito, nel capitolo Vom Gartenzum Park, Sampaolo individuaun’importante convergenza sul pianotematico e un’omologia dei personaggi trail romanzo e la commedia giovanile DerTriumph der Empfindsamkeit (1777-78),avanzando l’ipotesi che il poeta abbiaconcepito l’architettura del romanzo propriostimolato dalla pièce che dovette rileggerenell’ambito della prima edizione delle sueopere presso Cotta tra il 1806 e il 1807.Nell’interpretazione di Sampaolo, la finedell’ideale classicista della coltivazione nontrova però espressione soltanto nellametafora chimica, bensí anche in unacostellazione mitologica antitetica a Cerere,ovvero nel mito del ratto della figlia delladea, Proserpina. Come Proserpina, Ottilieviene insidiata e rapita da un Eduard che,con la sua decisione di lasciare il feudo e diandare in guerra, assume sempre piùconnotati inferi. Sampaolo rimanda a questoproposito al monodramma Proserpina, doveproprio il mito del ratto simboleggia perGoethe il passaggio dall’innocenzadell’antico all’inquietudine della modernità.L’anacronismo che la crisi del classicismovenga affrontata da Goethe con l’aiutodell’iconografia mitica ha la sua ragioneproprio nella peculiare concezionegoethiana della mitologia. Quest’ultimarappresenta per Goethe un patrimonio diinvarianti archetipiche che debbono venireriattivate e attualizzate dall’arte di volta involta. Queste costanti antropologichecostituiscono – nei termini della felicemetafora di Sampaolo - una langue del

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passato che attende di essere vivificata dallaparole del presente. Se il classicismogoethiano pervade finanche la dissoluzionedegli ideali del classicismo stesso, ciòavviene non soltanto a livello iconico, maanche formale: precisamente la scena chesegna il fallimento del classicismo –l’accidentale annegamento del piccolo Ottonel lago – è caratterizzata da un ductusnarrativo quasi scultoreo, che culmina –conformemente alle esigenze dellarappresentazione plastica, che imponeall’artista di concentrarsi su un unico“momento pregnante” (cfr.: Über Laokoon,HA XII, 59) - nella figura di Ottilia che silacera la veste sul petto: “Die Erzählungerreicht an dieser Stelle den höchsten Gradder Plastizität: als der marmorne Körpereiner griechischen Statue beschworen wird,jenes Paradigma der menschlichenGanzheit, die hier zum Tode verurteilt wird”(Sampaolo, p. 182).Dal fitto intreccio mitologico sotteso alromanzo prende l’avvio anche la critica cheSampaolo muove al saggio di Benjamin, conil quale quest’ultimo mirava ad opporsiall’irrazionalistico Goethe-Kult degli anni’20 - e in particolare alla biografia diGundolf – mostrando come Goethe avevaposto al centro del suo romanzoprecisamente la critica al mito. Con “mito”Benjamin intendeva l’arcaico e l’indiffe-renziato, ovvero un particolare concetto dimito che si era formato nel tardoromanticismo e che aveva ripreso vigorenella cultura contemporanea. Alla naturapercepita come forza “mitica” e irrazionaleGoethe - secondo Benjamin - avrebbeascritto nel romanzo i conflitti etici e storicidel suo tempo. Così facendo però – osservaSampaolo - Benjamin non si sottrae alfondamentale atteggiamento destoricizzanteproprio della parte avversa. L’intenzione diSampaolo è di capovolgere quindi la letturadi Benjamin e, attraverso una prospettivastoricizzante, di mostrare come nel romanzoin realtà Goethe si serva del mito come diuno strumento di critica della modernità.La profonda ambivalenza che caratterizza

il finale delle Wahlverwandtschaften èinterpretata da Sampaolo sulla scia diLuciano Zagari, che individua nell’epilogouna “doppia intenzione narrativa”,consistente nella necessità di riaffermare unaprospettiva di senso al di sopra dei conflitti,ma senza aderire per questo pienamenteall’estetica medievale dei romantici.Attraverso una fitta analisi dell’intensaricezione goethiana del teatro di Calderón,mediata dai romantici, e considerando comela necessità del finale del romanzo sia disuperare l’opposizione tragica tra antico emoderno, assicurando all’ideale goethiano diumanità una sopravvivenza spirituale nellamodernità, Sampaolo giunge a riconoscerenell’epilogo il modello calderoniano di unadrammaturgia moderna, che attinge allatragicità antica, superandola però attraversouna conciliazione superiore. Se la criticagoethiana al cattolicesimo romantico, cheispira nel romanzo l’ironia con cui èpresentata la “restaurazione” della cappella,lascia apparire il finale, almeno ad un primolivello, come una riflessione critica sulla“Legendenbildung” romantica - e in questosenso si potrebbe rimandare alla HeiligeCäcilie di Kleist -, Sampaolo riesce invece adefinire un secondo livello positivo nellaricezione goethiana di elementi romantici,ispirata al superamento calderoniano deltragico e all’elevazione finale dell’eroe. Adifferenza di Calderón quest’ultima non èperò agiografica, ma ha un carattereprettamente estetico: la bellezza di Ottilierisorge, ma come pura immagine, icona dellatotalità umana del classicismo in un contestoormai romantico e moderno.Resta infine da sottolineare in modoparticolare come l’analisi di Sampaolo siasempre accompagnata da una finissimasensibilità ermeneutica per le componentiformali dell’opera. Il suo studio raggiungepienamente l’obiettivo metodologico che siè prefissato, ovvero di non considerare glielementi iconografici alla stregua di un“Tiefsinn” nascosto, bensì come una“Esoterik des Sichtbaren” (p. 66) checostituisce un’unità indissolubile con il testo.

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Così l’analisi iconografica non conduce adun “altrove” esoterico, ma al contrariopermette di cogliere e portare a più lucidaconsapevolezza l’intima tessitura formaledell’opera stessa.

Mario Zanucchi

Max Kommerell. Leben – Werk – Aktualität.Hrsg. von Walter Busch und GerhartPickerodt, Göttingen, Wallstein, 2003, pp.408, € 29

Il volume raccoglie le relazioni tenute inun convegno organizzato nell’ottobre del2001 dalle università di Marburg e Verona,a ridosso del centesimo anniversario dellanascita di Max Kommerell (febbraio 2002),e rappresenta di fatto il primo tentativoveramente sistematico di sottrarre questafigura alla sfera ristretta e non di radoesoterica in cui ha finora prevalentementecircolato come un Geheimtip raccoman-dato, benché tra mille riserve, soprattuttoper la varietà e la densità della sua tessituraragionativa e per la raffinatezza della suascrittura. L’esiguità dei contributi criticidisponibili su Kommerell (della quale ci sipuò fare un’idea consultando l’appendicebibliografica del libro, a cura di AlexanderMüller, che consiste per larga parte di brevie occasionali recensioni e singolarmentenon riporta, lo rileviamo per inciso, unimportante studio di Walter Müller-Seidelcomparso nella Festschrift in onore diHans-Jürgen Schings qualche mese primadella chiusura redazionale del volume)riflette fedelmente l’alone di sospetto cheha per lungo tempo circondato, tanto sulpiano critico e intellettuale quanto su quelloideologico e politico, questo versatilegermanista che seppe oltrepassare i confinidisciplinari estendendoli in una direzionecomparatistica che lo portò a occuparsi diletteratura francese, spagnola (da vedere alriguardo il breve profilo di Claudia Albert,Eine Welt aus Zeichen. KommerellsCalderon, pp. 234-248), italiana e

giapponese, oltre che assecondando unamarcata sensibilità filosofica che produssenei suoi saggi più alti fulminanti intuizionidi ordine semiotico. Sospetto di estetismoin primo luogo, alimentato da quel periododi militanza giovanile nel circolo di StefanGeorge coronato e al tempo stesso superatocon la grandiosa fantasmagoria critico-poetica del Dichter als Führer in derdeutschen Klassik (1928); e sospetto,evidentemente complementare e conseguen-te rispetto al primo, di simpatia per certociarpame reazionario (elitismo, purezza disangue, mito del condottiero, primato dellaGermania) o – se vogliamo dirla tutta – divero e proprio fascismo, come suona il capodi accusa più pesante, basato sulleespressioni di consenso con le qualiKommerell commentava nei primi anniTrenta, in alcune lettere edite nel 1967 a curadi Inge Jens, il progressivo rafforzamentodel partito hitleriano a danno delle istituzionirepubblicane.In attesa delle ulteriori informazioni chepotranno venire dalla pubblicazionedell’epistolario completo, sulle cui fasipreparatorie si sofferma il contributo di unapioniera della ricerca su Kommerell,Dorothea Hölscher-Lohmeyer (Geist undBuchstabe der Briefe Max Kommerells.Anmerkungen zu ihrer Gesamtedition, pp.15-29), più di un relatore affrontadirettamente la discussione di tali problemi,cercando in particolare di mettere a fuoco itermini esatti della relazione dell’autore conil Kreis, relazione costantemente sospesa trala rigorosa adesione all’ordinamentogerarchico incentrato sulla supremaziaspirituale di George e la ricerca di unacomposizione dialettica tra questa stessaadesione e l’incremento individuale chel’innesto dell’esercizio pedagogico sul suoingegno multiforme e precoce dovevanecessariamente produrre, spingendolo – edè il punto più delicato – su posizioni lontanedall’ortodossia della cerchia come potevanointenderla un Friedrich Wolters o un KurtHildebrandt. Walter Busch (KommerellsHölderlin. Von der Erbschaft Georges zur

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Kritik an Heidegger, pp. 278-299) prendeper esempio in esame un tema cruciale perla comprensione delle strategie dominantinella politica culturale dei georgiani comeil riuso della tradizione nazionale;accostandosi a un autore, Hölderlin appunto,così strettamente intrecciato alle vicende delcenacolo (è sufficiente pensare all’acribiadel lavoro filologico compiuto da Norbertvon Hellingrath), Kommerell applica sì ilprincipio carissimo al maestro di unasostanziale affinità tra lo spirito tedesco equello della Grecia antica (spiriti – è chiaro– intesi in una prospettiva tutta eternista, inassenza di qualunque accertamento di naturastoricistica), ma non trascura di seminarvidegli elementi di discontinuità che secondolo studioso spezzano il profilo monoliticodella “heroische Gestalt” (p. 284) e,ponendo con forza l’accento sul contenutodi verità della parola poetica come una lineanettamente distinta dal puro livellomorfologico e sonoro della parola stessa,indirizzano da subito l’ermeneuticakommerelliana verso la densità speculativache verrà toccata nelle teorie relative allaSprachgebärde e, restando a Hölderlin,verso quella fermezza ‘antiesoterica’ chel’autore opporrà, nel memorabile scambioepistolare del 1942, all’interpretazioneheideggeriana di Wie wenn am Feiertage…Degli anni Trenta e Quaranta si occupanoinvece i saggi di Martin Vialon (DieKonstellation Max Kommerell und WernerKrauss. Schreiben als Sprechen überLiteratur in finsteren Zeiten, pp. 314-348)e Rainer Nägele (Vexierbild einer kritischenKonstellation. Walter Benjamin und MaxKommerell, pp. 349-367). Vialon si incaricadi ricostruire i percorsi contemporanei, enon privi di episodiche quanto significativeintersezioni, del germanista apoliticoKommerell e del romanista militanteKrauss, rilevando la risolutezza con cui ilprimo fu pronto a intervenire in difesadell’altro rendendo una testimonianzaindispensabile per la riapertura del processoche nel gennaio del 1943 si era conclusocon la condanna a morte di Krauss, imputato

di alto tradimento per le sue attivitàantinaziste, e interpretando l’astensione diKommerell da qualunque impegno estraneoalla professione critica e letteraria in un’otticasostanzialmente positiva, come una misura,cioè, necessaria alla difesa della tradizionecollettiva da qualunque strumentalizzazionenazionalistica attraverso il rimando costantea un orizzonte di valori cosmopoliti. La curadedicata da Kommerell alla salvaguardia diun umanesimo integrale (in cui HansgeorgSchmidt-Bergmann, autore della relazione suMax Kommerells Weg von George zu Rilke,pp. 300-313, identifica una vera e propria“innere Opposition gegen das herrschendenationalsozialistische Regime”, p. 301) losituerebbe ipso facto in una collocazioneeccentrica e inconciliabile rispetto agliorientamenti prevalenti nella germanisticatedesca durante il dodicennio hitleriano, ciòche si rivelerebbe peraltro anche nelledifficoltà che rallentarono la sua carrieraaccademica, un cui passaggio fondamentale– il conseguimento, dopo anni di attesa, diuna cattedra a Marburg – Vialon illustramediante una preziosa documentazione diarchivio.Più sfumato il giudizio sui pronunciamentipolitici di Kommerell formulato da Nägele,il quale affronta esaustivamente un tema – ipunti di contatto fra le teorie interpretativedi Benjamin e quelle del nostro autore – acui diversi degli articoli presenti nelSammelband non mancano di dedicare unaccenno (e accanto a quello di Nägele bisognaricordare l’ampio e penetrante contributo diMilena Massalongo, Versuch zu einemkritischen Vergleich zwischen Kommerellsund Benjamins Sprachgebärde, pp. 118-161),muovendo dalla recensione al Dichter alsFührer che Benjamin pubblicò nel 1930 sulla“Literarische Welt” (Wider ein Meisterwerk)per respingere i presupposti del quadrostoriografico dipinto da Kommerell sia purericonoscendone l’acutissima vigilanzaermeneutica. Nägele si guarda attentamentedal relativizzare la portata dell’apprezza-mento espresso da Kommerell nei confrontidel primo volume di Mein Kampf (“Borniert,

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bäurisch ungeschlacht, aber in denInstinkten gesund und richtig”, come silegge in una lettera del 1930), inquadrandonel complesso il suo atteggiamento nellaprospettiva di un’ambivalenza di fatto mairisolta tra un’affinità latente (o quanto menouna certa permeabilità) rispetto ad alcunimitologemi radicati nella cultura fascista euna spinta sempre presente all’oltrepas-samento, a uno Übergang che, oltre acostituire un punto centrale della suaspeculazione critica (su cui si veda il lavorodi Eva Geulen, Aktualität im Übergang.Kunst und Moderne bei Max Kommerell, pp.32-52), è da intendere anche come unacomplessiva attitudine intellettuale coltivatanel segno di un amore per la leggerezza chesi manifesta (sia pure più come “Gestus”che come “Gedanke”, se si vuole accoglierela valutazione di Nägele) in un insoppri-mibile piacere della variazione e dellametamorfosi. Su questo piano di unacarnevalesca scissione dell’Io in unacongerie di identità plurime che trovano unmomento di ricomposizione e di superioreunità soltanto nella padronanza tecnica enella limpidezza formale dell’artificionecessario al gioco del travestimento,Kommerell – bisogna riconoscerlo – restaeffettivamente anche dopo l’uscita dallascuola del maestro un fedele esecutore delcomandamento dell’ambiguità sempredistintamente percepibile nella parola diGeorge sotto la severissima dignità dellasuperficie classica (“Ich bin der Eine undbin Beide / Ich bin der zeuger bin derschooss / Ich bin der degen und die scheide”,come recitano, sia pure dietro il velo dellasuggestione baudelairiana, alcuni versi delloStern des Bundes). Dice bene Hölscher-Lohmeyer in apertura del suo saggio:“Entwicklung ist für den Fortgang desKommerellschen Lebens eher einverstellendes Wort. Immer neues Abwerfender verbrauchten Schlangenhaut beschriebeden Verlauf genauer” (p. 15).Accanto alle questioni accese dallaposizione dello scrittore nell’ambito dellacultura tedesca a ridosso della seconda

guerra mondiale, gli interventi ospitati nelvolume danno largo spazio anche aiproblemi più specificamente teorici legati –in particolare a partire dalla metà degli anniTrenta e col massimo rilievo nei saggiraccolti in Geist und Buchstabe derDichtung (1940) e in Gedanken überGedichte (1943) – alla costruzioneermeneutica di Kommerell. In proposito èopportuno rilevare con soddisfazione cheper questa via si rende finalmentedisponibile una rappresentazione organicae completa di alcuni sviluppi interpretativiassolutamente fondamentali nel corpo delpensiero critico kommerelliano, fino a oggigeneralmente passati sotto silenzio un po’per quel clima di sospetto di cui si dicevaall’inizio, un po’ per gli ostacolioggettivamente posti al loro intendimentodal cursus talvolta davvero ermetico seguitodalla scrittura del germanista, e che possonoadesso giovarsi del rinnovato interesse,esteso dallo studio delle avanguardie aquello della Aufklärung, per le connessionitra letteratura e gesto (argomento su cui la‘scuola veronese’ aveva già fornito uncospicuo contributo curando la pubblica-zione del volume Geste und Gebärde.Beiträge zu Text und Kultur der klassichenModerne, hrsg. von Isolde Schiffermüller,Innsbruck u.a. 2001). È peraltro evidente cheun’impostazione del genere finisce perridimensionare drasticamente l’importanzadel grande trattato del 1942 su Lessing undAristoteles, un’opera che resta in effetti aimargini dell’attenzione analitica deglistudiosi, e per la quale si sarebbe auspicatoalmeno un saggio specifico.Isolde Schiffermüller (Gebärde,Gestikulation und Mimus. Krisengestaltenin der Poetik von Max Kommerell, pp. 98-117) chiarisce i diversi tempi del lavorospeculativo condotto da Kommerell sullanozione di Sprachgebärde, dal gestopuramente soggettivo attribuito a Jean Paulcome animazione fantastica intesa a porrerimedio alla perdita di unità con la realtàesterna (per cui si rimanda anche alle paginedi Paul Fleming, Die Moderne ohne Kunst.

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Max Kommerells Gattungspoetik in JeanPaul, pp. 54-73) e spinta alle soglie di una“referenzlose Medialität des Sprechens” edi una “rein gestische Intention derSprache” (p. 106), fino alla scoperta inKleist di una muta gestualità pantomimicaoperante sul confine tra parola e silenziocome una sorta di risvolto in ombra dellinguaggio, aperto alla rivelazione “desUnaussprechlichen in der Sprache” (p. 112,si veda inoltre Elmar Locher, Die Spracheund das Unaussprechliche. Kleist beiKommerell, pp. 249-277). Un’interessantelettura della Sprachgebärde kommerellianaè poi sviluppata da Ulrich Port (Die“Sprachgebärde” und der “Umgang mitsich selbst”. Literatur als Lebenskunst beiMax Kommerell, pp. 74-97), che inun’inedita ottica psicologico-comporta-mentale sottolinea le affinità tra il gestolinguistico come esplicazione di un pienoautocontrollo etico e di un superioreequilibrio delle passioni e la tradizioneprecettistica per lo più di ambiente curtense(Castiglione e Gracian i nomi più noti) voltaa sollecitare nell’individuo la sapiente eavveduta dissimulazione dei propri moventie dei propri obiettivi. Segnaliamo infine, aintegrazione del profilo multiforme eprismatico di questo germanista dallagenialità così eclettica e sfuggente, i lavorigattungsspezifisch di Gerhart Pickerodt(Kommerells Philosophie des Verses, pp.194-206) e Kai Köhler (Kommerellsdramatisches Werk, pp. 207-233).

Maurizio Pirro

Elena Agazzi, La memoria ritrovata. Tregenerazioni di scrittori tedeschi e lacoscienza inquieta di fine Novecento,Milano, Bruno Mondadori, 2003, pp.167,€ 16,00

Prendendo le mosse dallo schema suggeritoda Harald Weinrich nel suo saggio Lethe.Kunst und Kritik des Vergessens, ElenaAgazzi segue nel suo volume il percorso

scelto da tre diverse generazioni di scrittoritedeschi per confrontarsi con il passato,vedendoli come protagonisti di un’indagineche è insieme personalissima e di portatacollettiva.Martin Walser, nato nel 1927, apre la seriedei narratori qui presi in esame e vienepresentato quale prototipo di quella schieradi intellettuali che vorrebbe dimenticare, manon può. Infiammata fu la polemica chesuscitò nel mondo tedesco l’uscita, nel 1998,del romanzo di Walser Ein springenderBrunnen, in cui lo scrittore descrive la storiadella propria famiglia, partendo dal momentoin cui “l’ombra del nazismo comincia adallungarsi inesorabilmente sulla piccolacomunità di Wasserburg”, la cittadina sulLago di Costanza, dove Walser è nato. Coneccessiva indulgenza nei confronti delregime, secondo il defunto Ignatz Bubis,allora presidente del Comitato centrale dellaComunità ebraica in Germania, Walser parladegli eventi occorsi a sé e al proprio paesenegli anni Trenta, illustrando la vicenda dellapropria madre, intraprendente e ostinata, chediventa nazista per necessità, ossia per salvareil patrimonio di famiglia, o la metamorfosidell’amico del cuore, che, plagiato dal propriopadre, diventa un fanatico di Hitler. ElenaAgazzi esamina le varie prese di posizionedella critica nella querelle che vide irappresentanti dell’intellettualità ebraicaattaccare Walser; dalle loro accuse l’autoresi difese sostenendo “di dover rispondere solodavanti alla propria coscienza dell’uso chefa[ceva] del passato”. Tuttavia, così concludeAgazzi le proprie riflessioni sul romanzo, “daWalser ci si aspettava forse un gesto piùspettacolare di abiura nei confronti delnazismo, che non è arrivato”.Alla trilogia romanzesca Das Haus aufmeinen Schultern (1992-98) di Dieter Forte,nato nel 1935, è dedicato il secondo capitolodel saggio. Anche in quest’opera, biografia efinzione si fondono e confondono in tre testinarrativi che seguono le esperienze di duefamiglie, l’una di origine italiana, l’altrad’origine polacca,i cui destini si intreccianograzie a un matrimonio che ha luogo negli

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anni dell’ascesa al potere di Hitler. Ilconnubio fra memoria e coscienza storicaè proiettato da Forte in uno spazio chetrascende la vita e la morte. La tragicità incui gli sposi che legano le vicende delle duefamiglie si trovano a vivere è immortalatain una foto che ritrae il gruppo dei parentinel giorno del loro matrimonio. Fino allafine della trilogia la fotografia restastrumento essenziale del ricordo, chenell’ultimo romanzo ricostruisce il passato“da un punto di osservazione esterno alperiodo storico interessato”. La melanconiada catastrofe che attraversa la ricostruzionedelle vicende da parte del protagonista delterzo romanzo, Er, sembra trovare unospiraglio di speranza nella conclusione,“consegnata a un paesaggio lontano”,dislocato nella Cina indistinta dei bachi daseta su cui la famiglia Fontana avevacostruito la propria fortuna economica.Sia la fotografia, sia i bachi da seta, “checoncludono il loro ciclo biologico comefarfalle” e diventano così simboli dimetamorfosi e caducità, hanno un ruolo diprimaria importanza anche nella complessaprosa di W. G. Sebald, “il collezionista diricordi” cui Agazzi dedica il terzo capitolodel libro, prendendo in esame, anche inquesto caso, tre opere: i quattro raccontiriuniti con il titolo Die Ausgewanderten, il“pellegrinaggio in Inghilterra” Die Ringedes Saturn e le “Zürcher Vorlesungen”Luftkrieg und Literatur, libro, come scriveAgazzi, “che ha scoperchiato uno dei tantivasi di Pandora della letteratura tedesca”,la quale sembra aver voluto cocciutamenterimuovere i bombardamenti sulla Germaniatra il 1941 e il 1945. Dalle accuse mosse daSebald agli intellettuali tedeschi dellagenerazione che lo ha preceduto, ai suoiocchi malata di amnesia, Dieter Forte si èdifeso sostenendo che “esiste un orrore chesupera la parola” e ha quindi indotto asprofondare nell’oblio una realtà talmenteatroce da risultare inesprimibile.A provocare in Hans-Ulrich Treichl, natonel 1952, un processo di rimozione dellaStoria che lo ha indotto a scrivere testi privi

di un finale chiaro e ben delineato, è statoinvece un silenzio legato alla suaautobiografia: la “perdita” in età infantiledel fratello maggiore. Solo poco prima dellamorte di sua madre lo scrittore scoprì infattiche il fratello perduto durante la fuga deitedeschi dalle zone orientali occupate dairussi nel 1945 non era morto di fame, maaffidato a una sconosciuta, di cui si eranopoi perse le tracce. Treichl tenta una tardivarielaborazione del lutto della propriainfanzia nel romanzo Der Verlorene (1998),che anch’esso si apre con una fotografia diquell’“assente”, all’ombra del quale egli fucostretto a vivere, coinvolto da bambino inuna caparbia strategia di rimozione al limitedella follia. Agazzi avvicina il romanzo diTreichl a Abschied von den Eltern di PeterWeiss, evidenziando l’esito escapistico diDer Verlorene, dove il protagonista “nontrova in sé le risorse” per la propria salvezzae rimane una displaced person, priva di unsuo spazio affettivo e geografico, checonclude la propria epopea con una “perfettaaccettazione della disillusione”.Per Michael Kleeberg, nato nel 1959, laStoria (Geschichte) è un “libro dalle paginebianche” che rischia di essere riempito tuttodal vissuto personale (autobiographischesErzählen). Questa almeno è l’esperienza diAlbert Klein, il protagonista del ponderosoromanzo Ein Garten im Norden, uscito purenel 1998. Reduce in patria nel 1995 dopoun lungo periodo d’assenza, Klein si trovadinanzi una Germania riunificata che glirisulta ancor più estranea del paese da cuiera emigrato e mai aveva amato. Prima direcarsi ad Amburgo, sua città natale, Kleinva a Praga dove incontra un antiquario che,in una sorta di rito iniziatico, gli affidal’incarico di riscrivere liberamente la Storiadella Germania. Proiettandovi i propri ideali,Klein la trasforma in una sorta di Märchenche si conclude però con la “bancarotta” delnarratore e protocollante. Il sognodemocratico e filantropico di Klein, chetenta di eludere il rapporto con la storia inun’utopica astrazione, si rivela infattiillusorio. Kleeber, come Treichl, è uno

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scrittore della generazione dei nati dopo il1950, quella che non potrebbe dimenticareanche se volesse. Il tema dellaVergangenheitsbewältigung, tutt’altro cheesaurito e accantonato, continua insommaa mantenere viva fra gli scrittori tedeschiuna “coscienza inquieta”, come dimostra laproduzione di una serie di autori – presentatinel capitolo conclusivo del saggio di Agazzi– addirittura “ossessionati dalla Storia”:costoro vorrebbero dimenticare, ma sannoche è loro dovere non farlo: Tanja Langer,nata nel 1962, nel romanzo Der Morphinistoder die Barbarin bin ich, uscito nel 2002,“si pone in una prospettiva autocritica”ricostruendo la parabola politica e umanadell’antisemita e antibolscevico DietrichEckart, drammaturgo e polemistaconsiderato fra gli ispiratori delnazionalsocialismo; sul rapporto fra “ariani”ed ebrei è imperniato il romanzo di JudithKuckart, nata nel 1959, Die schöne Frau,testo che la critica ha accusato di eccesso dicautela nella trattazione di un problema cosìdelicato; il “delirio ariano” è anche al centrodel discorso narrativo del romanzo DerSchneeemensch di Jens Sparschuh, nato nel1955 nella ex DDR, mentre ambientato nelperiodo finale del Terzo Reich è il romanzoFlughunde (1995) di Marcel Beyer, l’autorepiù giovane qui preso in esame, nato nel1965.Indagando il rapporto delle “storie” (vissutee narrate) con la “Storia” in una serie diromanzi pubblicati negli ultimissimi annidel Novecento, Elena Agazzi guida il lettorefra le diverse modalità di recupero dellamemoria, dimostrando come per gli autoripiù giovani il rifiuto dell’oblio e dellarimozione del passato sia diventato undovere, una forma d’impegno insiemepoetico e civile.

Gabriella Rovagnati

W. G. Sebald. Text+Kritik. Zeitschrift fürLiteratur. Hrsg. Heinz Ludwig Arnold. Heft158. München 2002, pp.119, € 14,00

W. G. Sebald, professore di letteratura tedescaalla East Anglia University di Norwich primache apprezzato romanziere, nei suoi saggicritici ha osato infrangere senza complessi iltabù del biografismo, disprezzato e tacciatodi ingenuità da molti germanisti, comedeplora Ruth Klüger, a sua volta accademicae narratrice, nonché grande ammiratrice delloscrittore scomparso. Nei suoi lavori dicarattere scientifico Sebald raccorda infattisempre vita e opera degli autori che prendein esame, “in quanto secondo lui l’una èespressione dell’altra”. Analogamente, ilnumero monografico di “Text+Kritik” a luidedicato contiene contributi che illustranodiversi aspetti sia della sua parabola personalesia della sua produzione artistica.Carattere privato, per non dire addiritturaintimo, ha la breve descrizione che MichaelHamburger fa della semplice cerimoniareligiosa e del funerale di Sebald, decedutoall’improvviso il 14 dicembre 2001 a 57 anni,vittima di un incidente d’auto da lui stessoprovocato. Hamburger è non solo uno deimolti Ausgewanderten presenti nella prosa diSebald (si veda in particolare il romanzo DieRinge des Saturn), ma è una delle moltevittime dell’olocausto alle quali lo scrittoreha rivolto la propria attenzione nella suaacribica riesumazione della memoria. Del suoamico Max – così si faceva chiamare Sebald,che non amava scrivere per intero il suotriplice nome di battesimo, Georg, Winfried,Maximilian – Michael Hamburger ha tradottoin inglese lo “Elementargedicht” Nach derNatur, ma per il resto non ha mai scritto unasola riga sui suoi libri; anche qui, al posto diun necrologio, egli propone un breve ciclo dipoesie: Redundant Epitaphs (for friends notnamed), che in tedesco, nella traduzione diJoachim Kalka, prendono il titoloÜberflüssige Grabschriften (Für ungenannteFreunde).Ha invece un registro del tutto diverso ilsaggio in sette paragrafi di Hannes Veraguth,

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che illustra la genesi della prosa di Sebald,profondamente radicata nella tradizioneoccidentale e caratterizzata da un continuotrapasso dalla lingua (o meglio dalle lingue)alle illustrazioni. Veraguth definisce tutti ilibri dello scrittore „Reisebilder“; Sebald,in effetti, è perennemente in viaggio: simuove in treno, in aereo, a piedi o anchesolo con la mente, e sceglie tragitti che sonosuoi e insieme cammini ripercorsi sulletracce di altri viandanti e viaggiatori,emigrati volontariamente o per costrizione.L’opera di Sebald, che parla sempre e solodi infelicità, decadenza e distruzione, èprodotto, secondo Veraguth, dalla coscienzamelanconica, neobarocca e quasi pre-veggente, dell’umana vanità. Come loscrittore stesso ebbe a dire una volta inun’intervista, il suo lavoro nasce dalla chiarae sempre vigile percezione “che si puòandare a pezzi in ogni istante, che tutto è diuna fragilità tale da impedire quasi che siproceda giorno dopo giorno”.Dopo un excursus storico sulle diverseconcezioni dell’elemento saturnale, ancheSigrid Löffler presenta Sebald come unpessimista “segnato” ed “eletto”, per il qualela scrittura – spesso ridotta alla ricerca dialtri ipocondriaci come lui – è insiemeantidoto alla pulsione autodistruttivapresente nel suo carattere e lotta contro ladissolvenza e la dimenticanza. Ruth Klügersottolinea le costanti tematiche ed esteticheche caratterizzano l’opera di Sebald,individuando nell’ultimo romanzo,Austerlitz, l’apogeo del suo percorsocreativo; questo libro, a suo dire, èaltrettanto ben strutturato quanto gli altri,come gli altri si sostanzia di un miscugliodi storia e invenzione e come gli altri parladi un perseguitato: “Si potrebbe azzardarel’asserzione”, conclude Klüger, “che Sebaldabbia scritto sempre lo stesso libro”,migliorandolo però progressivamente.La raffinata e variegata tecnica con cui loscrittore introduce nel tessuto narrativo lediverse immagini (cartoline, fotografie,copie di documenti ecc.) che sono partesostanziale dei suoi testi in prosa, è al centro

dell’analisi di Heiner Boehncke, mentreSven Meyer illustra il carattere intertestualedella prosa di Sebald, dimostrando, sullabase di citazioni e metafore, come il concettodi ricordo di questo scrittore corrisponda alduplice modello proposto da RenateLachmann, ossia si presenti come testo tesoa recuperare la memoria (“Text alsGedächtnis”) e nel contempo faccia dellamemoria il proprio oggetto (“Gedächtnis imText”).Hugo Dittberner, che presenta Sebald comeuomo dalla personalità contorta e nonfacilmente accessibile, parla conammirazione della vasta cultura di questoscrittore, quasi costretto dalle sue moltepliciletture a esprimersi in quel metalinguaggioche conferisce complessità e fascino al suopeculiare stile narrativo.Sebald, che visse per più di trent’anni inInghilterra, osò criticare nei suoi libri, comeafferma Rüdiger Görner, sia la vecchiapolitica del Regno Unito, con il suocolonialismo aggressivo, sia quella dell’eraThatcher, con il suo severo conservatorismo;eppure – o forse proprio per questo – i suoilibri hanno avuto e hanno nella sua patriad’elezione un enorme successo. AllaGermania, sua terra d’origine, Sebaldrimprovera soprattutto una sostanzialeincapacità di elaborare il lutto (“Unfähigkeitzu trauern”) e una colpevole smemoratezza.Esemplare a questo proposito è il suo libroLuftkrieg und Literatur - al quale dedicaparticolare attenzione il saggio di ChristianSculte -, dove Sebald sostiene la tesi secondocui gli attacchi aerei degli Alleati alla finedella Seconda Guerra Mondiale nonsarebbero “mai diventati oggetto di unpubblico dibattito”.Da qualsiasi angolatura i contributi delvolume si avvicinino a questo scrittore, essilamentano senz’eccezione la morte precocedi un germanista e narratore, che grazie allasua ambivalente posizione di studioso e diautore di letteratura, avrebbe avuto ancoramolto da dire e da dare, come sottolineaHeinz Arnold nell’introduzione.Chiude la monografia l’accurata bibliografia

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di Markus R. Weber, che, oltre alla listacompleta di tutte le pubblicazioni di Sebald,offre anche una selezione della letteraturacritica uscita su di lui.

Gabriella Rovagnati

Konrad Ehlich, Angelika Steets,Wissenschaftlich schreiben – lehren undlernen, Berlin-New York, De Gruyter, pp.413, € 34,95

Die OECD-Studie, besser bekannt als Pisa-Studie, hat es zutage gebracht: DeutscheSchüler liegen nicht nur hinsichtlich ihrermathematischen und naturwissen-schaftlichen Kompetenzen deutlich unterdem internationalen Durchschnitt der 43befragten Länder, auch die Lesekompetenzhat zu einem erschreckenden Ergebnisgeführt: Platz 22 (unmittelbar hinter Italien,aber weit hinter Finnland, Neuseeland,Hongkong und Südkorea) unterstreicht dasBildungsdefizit in einem Bereich, in demdie Fähigkeit gefordert ist, schriftliche Textezweckentsprechend zu nutzen, Informa-tionen zu ermitteln, ein allgemeinesTextverständnis aufzubauen und Texte zuinterpretieren sowie über Textinhalt und –form zu reflektieren und den Text miteigenen Erfahrungen, Vorwissen und Ideenin Verbindung zu setzen. Aus dieser nurungenügend vorhandenen Textver-ständniskompetenz ergeben sich zweiäußerst problematische Konsequenzen.Zum einen muss sich die Bildungsmiserean deutschen Schulen mit ihren negativenFolgen unweigerlich auch auf dieUniversitäten aus- und dort weiterwirken;zum anderen bildet das Lesen alsgrundlegender Teilbereich der sprach-bezogenen Fähigkeiten die Basis für eineSchreibkompetenz, der insbesondere andeutschen Universitäten eine zentraleBedeutung beigemessen und einetextsortenspezifische Wissenschaftlichkeitabverlangt wird.Die Tatsache, dass die Textproduktions-

kompetenz deutscher Studierender sehr imArgen liegt, andererseits es die Universitätenjedoch nicht als ihre Aufgabe ansehen, dieseKompetenz zu vermitteln, sondern sie alsGrundvoraussetzung für das Studiumerwarten, hat die Notwendigkeitunterstrichen, sich eingehend mit dem ThemaSchreiben an der Universität – und zwar imBereich der Lehre und des Lernens –ausgiebig und eingehend auseinander-zusetzen. Der Sammelband von KonradEhlich und Angelika Steets behandelt in fünfthematisch unterschiedlichen Großkapiteln,die ihrerseits aus mehreren Einzelbeiträgenbestehen, das Schreiben „als zentralesMedium wissenschaftlicher Kommuni-kation” (S.1).Im ersten Teil werden in vier Beiträgen dieTextarten der schriftlichen Wissenschafts-kommunikation erörtert. Der einleitendeBeitrag von Konrad Ehlich (UniversitäreTextarten, universitäre Struktur, S.13-28)verschafft einen Überblick über die an sogenannten wissensinnovativen Universitätenrelevanten Textarten (Protokoll, Mitschrift,Exzerpt, Seminararbeit, Zusammenfassung,Handout). Ein besonders interessanter Aspektergibt sich aus der Differenzierung zwischenforschendem Lernen (Lernen

F) und auf

Wissenserwerb abzielendem Lernen(Lernen

L), deren Verhältnis zueinander auf

die jeweiligen Textarten einwirkt und siecharakterisierend bestimmt.In den folgenden drei Beiträgen werden aufspezifische Weise die Textart des Protokolls(Melanie Moll, „Für mich ist es sehrschwer!“ oder: Wie ein Protokoll entsteht,S.29-50), der Mitschrift (Angelika Steets, DieMitschrift als universitäre Textart –Schwieriger als gedacht, wichtiger alsvermutet, S.51-64) und des Essays (S.65-92)erläutert, für das die Autorin Andrea Stadtereine Aufnahme in den universitärenTextsortenkanon fordert. Eine essayistischeSchreibpraxis, so Stadter, eigne sichvorzüglich zur Erarbeitung von Wissen undWissenschaftlichkeit, da sie eine graduelleUmschaltung von alltags- auf wissen-schaftssprachlicher Kommunikation

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ermögliche, die eine fachsprachlichePrägung, textuelle Vernetzungen, rationaleArgumentationsverfahren sowie eineEinbeziehung der persönlichen Meinungdes Autors aufweisen sollte (cfr. S.83).Im Mittelpunkt des zweiten Großkapitels(Schreibbedarf, Schreibprobleme, Schreib-beratung, Schreibtraining) steht dieVermittlung der Schreibfähigkeit imuniversitären Bereich und die damitverbundenen spezifischen Probleme desSchreiberwerbprozesses, aber auchkonkrete Lösungsvorschläge. Was unterakademischer literacy zu verstehen ist,entwickelt Otto Kruse in seinem BeitragSchreiben lehren an der Hochschule:Aufgaben, Konzepte, Perspektiven (S.95-111) anhand von vier Dimensionen deswissenschaftlichen Schreibens, die (1.) dasSchreibprodukt und damit auch text- undnormorientierte Aspekte fokussieren sowie(2.) die subjektive und gleichzeitigkognitive Steuerung eines spiralförmig sichgenerierenden Schreibprozesses, (3.) densozialen Kontext des Schreibens innerhalbeiner bestimmten Diskursgemeinschaft und(4.) die inhaltliche Dimension, die dasSchreiben als “heuristischen Prozess zurKonstruktion von Wissen durch Sprache”(S.105) versteht.Nach Helmuth Feilke und Torsten Steinhoff(Zur Modellierung der Entwicklungwissenschaftlicher Schreibfähigkeiten,S.112-128) erfährt der Studierende auf demWeg zu einer wissenschaftlichenSchreibkompetenz kein Prozessproblem,sondern seine Schwierigkeiten bei derTextproduktion werden durch eine nurunzureichend ausgebildete Kommuni-kations-, Text- und Sprachkompetenzverursacht (cfr. S.114). Um dem Abhilfe zuschaffen, stellen die beiden Autoren einModell vor, mit Hilfe dessen derStudierende in vier Schritten (Transposition,Transformation, Bewusstsein für dieSpezifik des wissenschaftlichen Habitus,kontextuelle Passung) sein Ziel einerwissenschaftlichen Textproduktions- undAusdruckskompetenz erreichen kann.

Neben den beiden an deutschenUniversitäten durchgeführten empirischenUntersuchungen von Konrad Ehlich/Angelika Steets (WissenschaftlicheSchreibanforderungen in den Disziplinen.Eine Umfrage unter ProfessorInnen derLMU, S.129-154) und Jürgen Dittmann/Katrin A. Geneuss/Christoph Nennstiel/Nora A. Quast (Schreibprobleme im Studium- Eine empiriche Untersuchung, S.155-185)sowie dem Beitrag von Hannspeter Ortnerzum verbalen Synkretismus (Synkretismusstatt Gestaltung – ein Problem beimwissenschaftlichen Schreiben, S.186-210)sei auf den Artikel Gabriele Ruhmannsverwiesen (S.211-231), die aufüberzeugende Weise einen konkreten,funktionalen Weg zu einer prozess-orientierten Propädeutik beschreibt. In einerzweiwöchigen Sommerschule könnenStudienanfänger der Geistes- undSozialwissenschaften der Ruhr-UniversitätBochum nach dem Prinzip „präzise denken,sprechen, schreiben” ihre Grund-kompetenzen im Lesen und Schreibenverbessern und sich den Anforderungenwissenschaftlichen Schreibens bewusstwerden. Vier große Blöcke (Grundbe-wegungen der Textreproduktion, deskritischen Denkens und Sprechens, derTextproduktion und eine abschließendeAnleitung zum Schreiben einer Hausarbeit)bilden die Bausteine einer Propädeutik, dieals Schwerpunkt sowohl die engeWechselbeziehung zwischen Lesen undSchreiben zum Inhalt hat (Schreib-kompetenz ist nicht „systematisch lehrbar“,sondern kann „nur über Imitation erworbenwerden“, S.226) als auch das ständigeÜberarbeiten von Formulierungsversuchenin den Vordergrund stellt.Die Einsicht der Notwendigkeit, dass derErwerb einer propädeutischen Schreib-kompetenz nicht erst in der Universität,sondern bereits in der Sekundarstufe II derGymnasien erfolgen sollte, steht im drittenGroßkapitel (Schule als Propädeutik deswissenschaftlichen Schreibens) imMittelpunkt. In den drei Beiträgen wird ein

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thematischer Bogen gespannt, der zunächstvon einer historischen Darstellung derschulbezogenen Schreibdidaktik inDeutschland und der Forderung nach einerErweiterung des in der Schule etabliertenTextsortenkanons ausgeht (Otto Ludwig,Entwicklungen der schulischen Schreib-didaktik und ihr Bezug zum akademischenSchreiben, S.235-250). Der Artikel vonAlmut Hoppe (S.251-272) setzt sich kritischmit der Frage auseinander, inwieweit der inder Sekundarstufe II erteilteDeutschunterricht eine Schreibkompetenzim Sinne eines wissenschaftspro-pädeutischen Arbeitens vermittelt. GiselaBeste untersucht in ihrem Beitrag (S.273-285), auf welche Weise die an dergymnasialen Oberstufe vertretenenSchreibaufgaben auf das universitäreSchreiben vorbereiten, die ihrer Meinungnach durch eine verstärkte Integrationrezeptiver und produktiver Fähigkeitenerweitert werden sollten. In allen dreiBeiträgen wird deutlich, dass dem Schreibenin der Schule eine eher minder relevanteRolle zugeteilt wird und aus diesem Grundeine grundlegende, länderübergreifendeRevision und Vereinheitlichung derRahmenlehrpläne vonnöten wäre.Für die Auslandsgermanisten erweist sichdas vierte Kapitel (WissenschaftlichesSchreiben im Kontrast) als besondersinteressant. In kontrastiven Untersuchungenwird dem Stellenwert der durchunterschiedliche Traditionen geprägtenwissenschaftlichen Schreibpraxis inVenezuela und Italien nachgegangen, aberauch in deutsch- und spanischsprachigenWissenschaftstexten (Bettina Wiesmann,Problemlösen, Kategorisieren, Einschätzen– Zur Konzeptualisierung von Wissenschaftin deutsch- und spanischsprachigenWissenschaftstexten, S.289-304) und denwissenschaftssprachlichen Erfahrungenbrasilianischer Studierender an dreiMünchener Hochschulinstitutionen (JoanaAngélica Portilho de Melo Rüdiger, S.325-346). Dorothee Kaiser („Nachprüfbarkeit“versus „Originalität“ – Fremdes und

Eigenes in studentischen Texten ausVenezuela und Deutschland, S.305-324)analysiert eindeutige Unterschiede in Bezugauf eine in Deutschland üblichewissenschaftlich-normative Arbeitsweise beivenezuelanischen Studenten heraus, diebeispielsweise im Umgang mit externenWissensquellen sowie der Integration undVerarbeitung des fremden Wissens und derdamit verbundenen Dokumentationsver-fahren wesentlich anders vorgehen als ihredeutschen Kollegen.Antonie Hornung (Die Tesina – unterwegszum wissenschaftlichen Schreiben mititalienischen Deutschstudierenden, S.347-368) stellt mit dem an der Universität Modenakonzipierten deutschdidaktischenImmersionsmodell eine Möglichkeit vor,nach dem Prinzip des forschenden Lernens(cfr. „Lernen

F“ von K. Ehlich) und der engen

Verknüpfung von Textanalyse undTextproduktion („Input-Hypothese“, S.354)italienische Studierende zu einemerfolgreichen wissenschaftlichen Schreib-prozess anzuleiten.Die Gründe für die Schwierigkeitenausländischer Studierender mit demwissenschaftlichen Schreiben in deutscherSprache, so der Grundtenor all dieserBeiträge, sind nicht nur in Problemensprachlicher Natur verankert, sondern zueinem bedeutenden Teil auch in Wissen-schaftsvorstellungen, Textmustern undStilidealen, die im muttersprachlichenBereich erheblich von den normativenGepflogenheiten der deutschen Wissen-schaftssprache abweichen, deren Wesens-eigenheiten für die ausländischenStudierenden transparent gemacht werdenmüssen.In welchem Maße die neuen Medienwissenschaftliche Schreibprozesse fördernkönnen, wird im letzten Großkapitel zurMediennutzung bei der Qualifizierung zumwissenschaftlichen Schreiben auf den Grundgegangen. Karl-Dieter Bünting und UlrikePospiech untersuchen in ihrem BeitragMultimedia und wissenschaftliches Schreiben(S.371-390) die Möglichkeiten und Probleme

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multimedialer Präsentationsformen, dieauch in Zukunft Präsenzlehren und -lernennicht verdrängen, sondern positiv ergänzenwerden. Als zentraler Bestandteil desmultimedialen Schreibkompetenzerwerbs-prozesses wird die Hypertextproduktionverstanden, die für die Hochschuldidaktikneue Herausforderungen und Perspektivenaufwirft (Katrin Lehnen/Eva-Maria Jakobs,„Writing Well Online: Talent Isn’t Enough“.Netzspezifische Schreibkompetenz, S.391-401).Abschließend sei angemerkt, dass dasProblem einer unzureichenden mutter-sprachlichen Schreibkompetenz auch anitalienischen Universitäten deutlichwahrgenommen wird. Insbesondere an denFremdsprachenfakultäten wirken sich dieseDefizite unwillkürlich auf die fremd-sprachliche Textproduktion aus. EinigeHochschulen - so beispielsweise dieFremdsprachenfakultät der UniversitätCatania - versuchen mit der Einrichtung vonSchreibkursen, für die auch Leistungs-nachweise vorgesehen sind, die Schreib-kompetenz im muttersprachlichen Bereichzu verbessern, um vor allem in denGeisteswissenschaften eine unabdingbarePlattform für eine wissenschaftlicheKommunikation zu schaffen. Im Einklangmit derartigen Initiativen steht auch die imSammelband von Konrad Ehlich undAngelika Steets mehrfach geäußersteeindringliche Forderung nach einerInstitutionalisierung des wissenschaftlichenSchreibens innerhalb der Universitäts-ausbildung. Auf diese Weise vermitteln dieim Band enthaltenen zahlreichenAnalyseansätze, Modellversuche undLösungsvorschläge überaus nützlicheHinweise, die nicht nur von derursprünglichen Zielgruppe, nämlichStudierenden und Lehrenden an deutschenUniversitäten, konkret genutzt undexperimentiert werden, sondern auch annichtdeutschen Hochschulen zum Einsatzkommen können.

Beate Baumann

Claudio Di Meola. La linguistica tedesca.Un’introduzione con esercizi e bibliografiaragionata. Roma, Bulzoni, 2003, pp. 238,€ 19,00

Il lavoro di Di Meola, frutto di riflessioneteorica e concreta esperienza didattica, sipone, per esplicita dichiarazione dell’auto-re nella prefazione al volume, come manualedi linguistica tedesca per l’insegnamentouniversitario del triennio. L’esigenza di pro-filare e proporre nuovi contenuti didatticinasce in seguito alla riforma dell’ordina-mento e degli insegnamenti universitari cheha visto la disciplina di riferimento – la lin-guistica tedesca – assumere carattere di ob-bligatorietà all’interno di tutti i curriculauniversitari che prevedano corsi relativi alsettore “Lingua e Traduzione – Lingua Te-desca” (in sigla: L/LIN-14). Il fatto che lariflessione sui fenomeni linguistici solo intempi recentissimi sia stata riconosciutacome indiscutibilmente e non elettivamenteformativa per lo studio universitario dellelingue straniere, ha rappresentato per l’Ita-lia un ritardo nello sviluppo di una discipli-na, la linguistica tedesca o germanistica lin-guistica, che nei paesi di lingua tedesca haufficialità istituzionale da vari decenni. Ciòsignifica che, nella cornice della neonatarealtà accademica, iniziative come quella diDi Meola vanno incontro a oggettive caren-ze di esperienze curriculari e di materialididattici adatti alle nuove esigenze.Come segnalato nella prefazione, il volumesi rivolge a un pubblico di studenti il piùampio possibile, con attenzione privilegia-ta per lo studente tipo delle università ita-liane, vale a dire colui che affronta gli studidi germanistica da principiante della linguatedesca. Con occhio attento alle esigenzeformative menzionate dal testo ministeriale(tra le altre: “analisi metalinguistica dellalingua tedesca nelle sue strutture fonetiche,morfologiche, sintattiche, lessicali, testualie pragmatiche”), il volume si compone disei capitoli (che nella proposta formulatadall’autore potrebbero essere svolti uno persemestre). Si tratta di sezioni tematicamente

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autonome, ognuna delle quali dedicata a unargomento chiave degli studi linguistici; conciò l’autore propone un iter di studi cheprende in considerazione i principali livellidescrittivi del sistema linguistico, partendotradizionalmente dall’unità minima (i suo-ni) per arrivare, oltre e attraverso l’analisidi parole e frasi, alla dimensione testo e alsuo rapporto con la situazione comunicati-va.Il volume presenta un’introduzione intito-lata Lingua, parlante e linguistica, che illu-stra succintamente le differenze tra osser-vazione spontanea e scientifica dei fenomenilinguistici. Seguono i sei capitoli dedicatiai singoli settori di interesse dell’analisi lin-guistica. Il primo è dedicato a Fonetica,fonologia e grafia, ossia alla descrizione deisuoni della lingua tedesca (nel raffronto coni suoni dell’italiano) in base ai meccanismidi articolazione e alle caratteristiche acusti-che, per poi occuparsi delle relazioni instau-rate dai suoni all’interno del sistema lingui-stico e del rapporto tra suono e grafema. Allastudio della struttura interna delle parole èintitolato il capitolo Morfologia, all’inter-no del quale si distingue innanzi tutto trauso comune e uso specialistico della parola“parola”, si ripercorrono poi le classifica-zioni tradizionali delle parole in classi, ar-rivando infine a delineare, dopo aver intro-dotto a livello teorico le nozioni relative, lespecificità sistemiche del tedesco a livellodi flessione e formazione di parola. Il terzocapitolo (Sintassi) è riservato alla definizio-ne linguistica di “frase”, l’unità di riferimen-to privilegiata dalla tradizione di studi gram-maticali. Risulta il capitolo didatticamentepiù efficace, non solo per l’importanza delsuo oggetto, ma anche in quanto riesce, perovvie esigenze di semplificazione, a conci-liare in una panoramica organica punti divista e orientamenti di studio diversi (strut-turalismo, generativismo, funzionalismo, te-oria della valenza ecc.) che nella prassiscientifica a volte presentano parziali, manon trascurabili punti di attrito. Il quartocapitolo (Semantica) è dedicato alle defini-zioni dei vari tipi di significati, nel rapporto

col singolo segno, delle parole tra loro e deigruppi di parole unite da relazionesintagmatica. Il capitolo Pragmatica delineala questione dei riferimenti degli enunciatilinguistici ai contesti situazionali in cui sirealizzano, con naturale richiamo ai principiteorici essenziali di John L. Austin e John R.Searle. Conclude la serie il capitolo Lingui-stica testuale, che offre una sintesi dei prin-cipali risultati delle ricerche sul testo di ten-denza grammaticale e pragmatica svolte neipaesi di lingua tedesca, accogliendo peraltrouna definizione di “testo” basata sull’ormaiclassico elenco di fattori di testualità propo-sto da Beaugrande-Dressler. In fondo a ognicapitolo è un apparato didattico che si com-pone di esercizi di verifica (sicuramente utilia un modello di università “scolarizzato”come quello che si sta stabilendo) e valevolisuggerimenti per aggiornate letture di appro-fondimento (mentre nei singoli capitoli si ri-nuncia, giustamente, ad appesantire il testo einterromperne il flusso della lettura con con-tinui rimandi bibliografici). Maggiormentedotata è l’appendice didattica del primo ca-pitolo, che contiene una tabella riassuntivadei principali suoni tedeschi e una lista diequivalenti italiani delle parole tedesche ci-tate. Questo annuncio di glossario e lebibliografie di fine capitolo preludiano a dueimportanti appendici al volume: il generosoapparato bibliografico finale che raccoglieopere rilevanti per studenti e studiosi di lin-guistica tedesca, suddiviso per categorie(grammatiche, dizionari, manuali, rivisteecc.) e il prezioso glossario tedesco-italianodi nomenclatura linguistica che viene incon-tro a note lacune dell’offerta editoriale (undizionario bilingue di linguistica purtropponon è ancora disponibile).Ancora da segnalare è la sezione di appendi-ce curata da Emmanuela Meiwes (Lingua elinguistica tedesca in internet: il web comeluogo di apprendimento e di ricerca) che of-fre un’utilissima guida ai cataloghi elettroni-ci delle biblioteche, ai corpora disponibili, aisiti web dedicati alla linguistica e all’inse-gnamento del tedesco come lingua straniera.Per scelta di argomenti, puntualità e chiarez-

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za espositiva, il lavoro di Di Meola si ponesia come strumento didattico di tutto rispet-to, di orientamento per chi affronta per laprima volta tematiche di importanza fon-damentale per lo studio universitario dellalingua tedesca, sia come importante operadi consultazione (soprattutto nelle sezionibibliografiche) per docenti e altri addetti ailavori. L’opera è sicuramente perfettibile,il che non sorprende, considerando la cele-rità con cui si è proposta come soluzione aesigenze reali e immediate; essa mira inol-tre a coprire, e di fatto copre, uno spettroamplissimo di argomenti risalenti a una se-rie di ambiti di studi diversi, ciascuno deiquali apre spazio a varie ed estese zone dispecializzazione. Gioverebbe al testo unmaggiore contatto tra capitoli, in modo chegli argomenti presentati risultino sì poten-zialmente autonomi, ma più chiaramenteespresso il loro rappresentare organicamentemodi e prospettive diverse di trattare lo stes-so oggetto, la lingua in generale, e più pre-cisamente la lingua tedesca. Da evidenziaresarebbe appunto la delimitazione tra ciò cheè prospettiva e oggetto di studio generico, eciò che serve ed è utile a evidenziare le spe-cificità della lingua tedesca e, per contra-sto, di quella italiana. Tali prospettive didescrizione sistemica e contrastiva sono si-curamente già nel testo, cosa che corrispon-de a uno dei suoi tanti pregi, ma non sem-pre sufficientemente visibili internamentealla grande quantità di informazioni che ilvolume contiene. In conclusione: una seriedi brevi aggiustamenti di rotta sarebbeauspicabile per la prossima edizione del te-sto, che confido e auspico non tardi a veni-re, data l’unicità sul mercato editoriale diquesto manuale, che si profila come indi-spensabile strumento di studio per ger-manisti alle prime armi tanto di lingua quan-to di linguistica, nonché come lettura con-sigliabile per un pubblico italiano più am-pio, affinché si definisca univocamente ladifferenza tra lingua e linguistica tedesca.

Marina Foschi

Manfred Wildhage und Edgar Otten (Hrsg.),Praxis des bilingualen Unterrichts, Berlin,Cornelsen Verlag Scriptor, 2003, pp. 1248,€ 16,95

Nell’ambito della didattica bilingue, lascuola tedesca è sempre stata molto attiva,tanto che nella letteratura specifica è usualeil riferimento al „modello tedesco“ dipedagogia e didattica bilingue. Inizialmentecon questa definizione si intendeva indicaresoprattutto la tradizione presente nelNordrhein-Westfalen, il Land in cui, inassoluto, sono state avviate le sperimenta-zioni più numerose e da un maggior numerodi anni rispetto agli altri Länder tedeschi eall’Austria (Per un approfondimento si vedasoprattutto Otten/Thürmann, 1993,Bilinguales Lernen in NRW: einWerkstattbericht - Konzepte, Probleme,Lösungsversuche, in: die Neueren Sprachen92 (1/2)). Attualmente però, data laproliferazione delle esperienze e dellaricerca, la definizione si riferisce a tuttal’area germanica e, in parte, anche austriaca.Il saggio di Wildhage e Otten, (il primoAutore è già conosciuto nelle areelinguistica e glottodidattica soprattutto perla sua esplorazione interculturale nelladidattica della storia), è al contempocompendio documentale del modellotedesco costruito negli anni e punto dipartenza epistemologico. Per quantoriguarda il carattere del saggio, va detto chesi orienta essenzialmente verso una Praxis(si veda il titolo scelto) della didatticabilingue: nonostante gli stessi Autorilamentino l’esistenza di una varietà forseeccessiva di didassi nel modello tedesco,anche questa opera non si distacca dallatradizione glottodidattica, dichiaratamentehandlungsorientiert, di matrice germanica.Tuttavia a una lettura critica non sfugge uncarattere di studio epistemologico chevogliamo qui mettere in evidenza.Il passaggio tra il Sach-und Fachunterrichte il CLIL (Content and Language IntegratedLearning) rappresenta già una scelta di

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campo: il bilingualer Unterricht non risultadalla semplice addizione tra didattica dellalingua e didattica della disciplina, maassume un profilo epistemologicoindipendente. L’integrazione tra le due areene è il nodo centrale ed è dovuta al lororapporto dialettico, inevitabile.Apprendimento disciplinare e apprendi-mento linguistico devono coincidere, poichè„fachliches Lernen ist auch immersprachliches Lernen. Die Schnittmenge wirddurch die fachspezifischen, für das verbaleDenken zuständigen kognitiven Prozesseund Begriffsbildungen markiert“ (pag. 23).Nel tentativo di rendere esplicito il„Mehrwert“ della didattica bilingue, ilsaggio chiarisce indirettamente i presuppostiscientifici del bilingualer Unterricht dimatrice germanica. Questi presuppostivengono richiamati dagli Autori comeobiettivi, coerentemente con il taglioprescelto del saggio; in realtà questa vesterende loro onore solo in parte. Dietro unalettura solo apparentemente pratica, gliEckpunkte degli Autori altro non sono chepresupposti epistemologici della didatticabilingue, dotati di una loro precisa funzionelinguistico-disciplinare.Il CLIL rappresenta quindi una scelta di tiposcientifico, poiché l’ApprendimentoIntegrato di Linguaggio e Contenuti siallontana garbatamente ma con fermezzadalla nuda Praxis, con tutte le approssima-zioni pionieristiche che sul piano delladidassi le sperimentazioni comportano, perfarsi decisamente Scienza dell’Apprendi-mento Bilingue.Di qui le sei tesi, o i sei punti epistemologicisu cui gli Autori basano la specificità delladidattica bilingue.Essi sono, per quanto riguarda la lingua:- l’attivazione di processi complessi diapprendimento linguistico- l’attivazione di quelle capacitàespressive che spesso restano latenti,secondo la teoria di Zydatiß: non si tratta dipromuovere un ampliamento delle capacitàlinguistiche in maniera generalizzata, bensìun’accresciuta consapevolezza dei discenti

nell’agire linguistico con la lingua stranierain situazioni funzionali, un agire libero eautonomo. Il fulcro che sembra derivareanche da ricerche empiriche (Lamsfuss-Schenk, 2002 e Bonnet-Breidbach-Hallet)ruota attorno alle strategie metalinguisticheacquisibili nella didattica bilingue o CLIL- Il sapere linguistico è orientato alleconoscenze disciplinari richieste. Inparticolare si sottolinea come il lavorolessicografico debba virare verso una abilitàespressiva, discorsiva, basata sulla fluidità deldiscorso più che sul termine specifico.Indirettamente questo principio rappresentauna presa di posizione nel dibattito in corsosull’esistenza della microlingua, schierandosia favore di quella corrente di pensiero chenon distacca la Fachsprache, ma altresì laintegra nella competenza linguistica globale- È necessario un sistematico e regolaresupporto delle componenti linguistiche nellesituazioni di apprendimento complesse. Inquesto senso diventa centrale il motto „ognilezione è una lezione di lingua“. Gli Autoririchiamano quindi ad una rivisitazione deilivelli linguistici CALP e BICS(rispettivamente: Basic InterpersonalCommunicative Skills e Cognitive AcademicLinguistic Proficiency), non estranea alQuadro Comune di Riferimento Europeo perle Competenze Linguistiche, offrendo ancheuna Checkliste di possibili strategie- Il ruolo della L1 nella didattica bilinguenon è affatto secondario come si vorrebbecredere. Non va dimenticato che il fineultimo, sul piano generale di politicalinguistica, è il plurilinguismo, di cui ladidattica bilingue rappresenta un primomattone epistemologico- L’uso di effetti sinergici tramite lacondivisione e suddivisione di compiti tralingua e disciplina vanno applicati soprattuttonei seguenti campi: i linguaggi nel curricolo(tutto), i compiti metodologici trasversali, lacooperazione su tematiche particolari dicontenutoVa osservato che la sottolineatura del carattereintegrativo della didattica bilingue, nonchédel principio di complessità (cognitiva,

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linguistica, didattica, disciplinare) che lagoverna corrisponde perfettamente allaconcezione di bilinguismo che si sta facendostrada secondo nuove tendenze, testimoniatetra l’altro da un recente volume di duestudiosi tedeschi, Herdina e Jessner,secondo cui: „The biling is not the sum oftwo complete or incomplete mono-lingualism; s/he rather has a specificlinguistic configuration characterised by theconstant interaction and co-existence of thetwo language involved“ (P Herdina/U.Jessner, 2002, A Dynamic Model ofMultilingualism. Perspective of Change inPsycholinguistics, Clevedon: MultilingualMatters, p. 59)La parte più interessante e critica del librova però ricercata nelle riflessioni sullemotivazioni della didattica bilingue. GliAutori la legano indissolubilmente allenecessità della globalizzazione in ambitoprofessionale. In altre parole, le competenzeche la lezione bilingue deve promuoveresarebbero funzionali alla formazioneprofessionale del discente in un mercatoglobale.Qui si apre quella che è a mio parere forsela maggiore problematica della lezionebilingue (e in genere della politicalinguistica): conciliare la necessità diorientare la formazione delle giovanigenerazioni soprattutto alle esigenze (anchelinguistiche) del mercato in una societàglobalizzata con le raccomandazioni dellapolitica linguistica europea, che promuovesoprattutto uno sviluppo interculturale. Dalpunto di vista strettamente terminologico èqui in discussione il primato del Verständniso quello della Verständigung tra popoli eculture.E’ innegabile che un punto di forzadell’insegnamento bilingue sia connessocon la sua natura interculturale. Lapresentazione di contenuti in una L2 nonpuò esimere da una riflessione sulleinterpretazioni di diversa matrice culturalee ideologica. Il compito della didatticabilingue non è solo quella di presentarecontenuti bensì piuttosto di attivare processi

di riflessione, elaborazione e confronto traletterature specifiche. Il “profilo bilingue”del CLIL include l’analisi critica dellaFachliteratur nella prima lingua e nellalingua target.E’ implicito in questa concezione il richiamoad un punto di vista interdisciplinare einterculturale che deve passare attraverso ilcontatto interlinguistico. Metodologica-mente l’approccio si rifà alla didatticadialettica, l’unica in grado di attivareprocessi di comparatistica, ma anche diappropriazione critica attraverso l’agirelinguistico.L’approccio interculturale, così come è statocostruito ed interpretato in ambitogermanofono, mira soprattutto allaformazione di competenze sociali, inparticolare di quella gesellschafts-wissenschaftliche Europaorientierung übereine verstärkte Berücksichtigung [deranderen Ländern] (pag. 21)In questo senso a me pare che il saggio diWildhage/Otten esprima ancora lacontraddizione chiave della glottodidatticatedesca che da una parte, legittimamente,afferma uno dei propri punti di forza nellasottolineatura interculturale, ma chedall’altra non riesce ad uscire dalla strettadipendenza dalla glottodidatticastatunitense, sottintendendo come la lezionebilingue in Germania possa riguardareprevalentemente discipline che, per la lorodiffusione scientifica, hanno bisogno dellasola lingua inglese.Un punto di forza della visione interculturaledovrebbe invece essere l’autonomia dipotersi affrancare dalla lingua franca perstimolare l’accesso alla letteraturascientifica in altre lingue, con particolareriguardo per le Nachbarsprachen. E’ proprioa un glottodidatta tedesco, Albert Raasch,che si deve la distinzione tra Verkehrs-sprache e Nachbarsprache, e lasottolineatura di quanto quest’ultima siafondamentale per un processo di internazio-nalizzazione che supera, in consapevolezzae humanity, quello di globalizzazione (A.Raasch, 1999, Grenzenlos-durch Sprache/

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Breaking down Borders - throughLanguages, in AA. VV, Die Sprachenunserer Nachbarn- unsere Sprache/ TheLanguages of our Neighbours- ourLanguages, eviva, Wien)Ma c’è di più: se si attribuisce alla lezionebilingue il valore di un’esperienzainterculturale di internazionalizzazione enon solo quello di una strumentalitàlinguistica, come è ben enunciato nei suoiprincipi, la sua motivazione non può trovarsisolo nella potenziale garanzia professionaleche le viene data dalle materie scientifiche,come auspicato dagli autori.La lezione bilingue non nasce comeelaborazione di una Fachsprache profes-sionalizzante, ma come soluzione formativa.Gli Eckpunkte elencati dagli Autori sonomolto chiari: integrazione, complessitàcognitiva, interculturalità, sinergia eplurilinguismo sfuggono ad una visioneformativa ristretta. Ma le loro conclusioni,paradossalmente, vanno nella direzioneopposta.Le preoccupazioni per le conoscenze piùspecificamente strumentali (riguardantisoprattutto il settore scientifico) devonoessere affrontate con un coraggioso manecessario richiamo a riferimenti culturalie interculturali che rappresentano già di persé un patrimonio professionale.La didattica bilingue, non va dimenticato,nasce in Germania, per evidenti motivi dieducazione alla vicinanza e alla convivenzaeuropea, da un protocollo tra il MinisteroFrancese e quello tedesco negli anni ’60 conun carattere prevalentemente umanistico esociale. In ambito prima tedesco e poieuropeo, ciò ha portato alla pedagogiainterculturale e alle diverse versioni dieducazione alla pace. In questa tradizionesi è inserito il dibattito tra Assimilationversus Integration che, dopo aver toccato ilpunto più alto probabilmente nella scuolapedagogica universitaria berlinese, continuaa far parte del patrimonio culturale tedescoa partire dagli anni Settanta.Disperdere questo patrimonio in favore diuna didattica bilingue che rischia di

diventare monolinguistica e monoculturalesignifica abdicare alle decisive intuizionidella ricerca degli ultimi decenni, rinunciandoa quella internazionalizzazione che propriograzie al contributo tedesco viene consideratatra i presupposti educativi del cittadinoeuropeo. Questo rischio è stato già, peraltro,paventato da uno dei saggi più incisivi degliultimi vent’anni, quello di Ingrid Gogolin“Der monolinguale Habitus in delmultilingualen Schule”. L’avvertimento diGogolin, di non fare della didatticamultilingue solo un nome, bensì un vero eproprio habitus mentale, mi sembra quantomai attuale e degno di una attenta rilettura.

Federica Ricci Garotti

Susanne Even, Drama Grammatik.Dramapädagogische Ansätze für denGrammatikunterricht Deutsch alsFremdsprache, München, Iudicium, 2003,pp. 385, € 51,00

Wer kennt sie nicht, die Misere desGrammatikunterrichts, in dem sowohlAnfänger und Fortgeschrittene unsicherwerden und sich ein Abgrund zwischen demoft auswendig gelernten Regelwissen unddem kommunikativen Sprachkönnenaufzutun scheint. Auch für die Lehrpersonkönnen dies quälende Momente darstellen,denn angesichts der grassierendenGrammatikangst scheint oft jederLernfortschritt rückgängig gemacht zuwerden. Kein Wunder also, dass schon vonalters her die Vorstellungen von FrauGrammatik und den Herren Grammatikernrecht unsympathisch ausgefallen sind:„Emsig-müßiges Volk der Grammatiker,stechende Wespen [...] In den Orkus hinab,Cerberus Hunde mit euch!“ (Antiphanes inder Übersetzung von Enzensberger, Zitatnach Even S. 14). Wie mühselig undschwierig es ist, allein schon die richtigGrammatik für die jeweils unterschiedlichen

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Unterrichtskontexte zu finden, hat kürzlichBarbara Ivancic (2003) für Italien empirischnachgewiesenDie oft beklagte Kopflastigkeit des (Fremd-)Sprachenerwerbs betrifft vor allem denDaF-Unterricht, gilt Deutsch doch nach wievor als schwere Sprache (siehe dazu dieStudie von Carlo Serra-Borneto 2000).Gerade für den DaF-Unterricht war die„kommunikative Wende“ ein bedeutendermethodischer Schritt, auch wenn dieDurchführung nicht immer überzeugte.Besonders die (unzureichende)Kombination von kommunikativen undgrammatischen Lernzielen wurde oft alsproblematisch wahrgenommen. Denn sowenig es von der Sprachlernforschung eineumfassende Theorie des Fremdsprachen-lernens und –lehrens gibt, so wenig gibt eseine spezifische Grammatikvermittlungs-methode. Reflexion über Sprache undSprachbewusstheit, d.h. das aufmerksameBetrachten sprachlicher Phänomene aufallen Ebenen steht daher auch in den letztenJahren wieder ganz oben auf dem Programmdes Fremdsprachenunterrichts, und dieVorschläge für ein anderes Vorgehen sindzahlreich.Susanne Even legt nun ihre Doktorarbeit zudramapädogischem Unterricht vor und willzeigen, wie dramapädagogischerGrammatikunterricht eine wirksameVerarbeitung fremdsprachlichergrammatischer Phänomene gewährleistenkann. Sie hat versucht, ihre Ausgangs-hypothese an einem breit angelegtenDatenkorpus von dramagrammatischenUnterrichtseinheiten zu belegen. EvensDatenkorpus besteht aus drei Blöcken: einerPilotstudie, einer Hauptstudie, dienacheinander im Zeitraum von 1998 bis2000 an der University of Leicester (GB)durchgeführt wurden, sowie begleitendenErhebungen, die Unterrichtsreflexionen auskurzfristigeren Lehrsituationen entstandensind, z.B. auch während des Corso diPerfezionamento in Didattica delle Linguemoderne (Dilm) an der NeuphilologischenFakultät der Universität Bologna in

Bertinoro.Evens Arbeit liegt der Anspruch zugrunde,theoretische und praktische Arbeitmiteinander zu verweben. Sie stelltausführlich Theorien des Fremdsprachen-lehrens und –lernens sowie derGrammatikvermittlung im Besondern dar(Kap. II-IV). Ein Forschungsbericht zuverschiedenen Ansätzen derDramapädagogik leitet zu der konkretenPraxisdarstellung über (Kap. V), woraufhindann im Anschluss die von Evenkonzipierten dramapädagogischen Unter-richtseinheiten zu Wortklassen und zumKonjunktiv II dargestellt und ausgewertetwerden.Hervorgehoben wird immer wieder derholistische Ansatz dramapädagogischenFremdsprachenunterrichts, „der unterEinbeziehung des ganzen Menschen inseiner existenziellen Narrativität vielfältigeHerangehensweisen an fremde Sprachegewährleistet, damit das individuelle(Sprach-) Handlungspotenzial erweitert undzu veränderten Lehr- und Lernhaltungenführt. Auf der praktischen Ebene werdenInszenierungsformen und –techniken einessolchen Unterrichts beispielhaft präsentiert“(Even 2003:19). Dieser Satz macht deutlich,dass unter Dramapädagogik gerade nicht dieInszenierung von literarischen dramatischenTexten zu verstehen, sondern ein sehr vielweiter greifender Ansatz, der Sprach- undAusdrucksweise im Fremdsprachenunter-richt in einen umfassenden narrativenZusammenhang stellt (nämlich dasallmähliche Entwickeln von sprachlichenSequenzen, sie inhaltlich auf jeweils neueund überraschende Weise verbunden sind).Die ausgesprochen detaillierte undumfassende Darstellung Evens gibt einensehr guten Einblick in die Möglichkeiten mitdramapädagogischen Ansätzen, dem„Horror“ des Grammatikunterrichtsentgegenzuwirken. Insbesondere diedetaillierte Unterrichtsbeobachtung und –dokumentation durch Protokolle aus derTeilnehmer-, und der Fremdperspektive(Beobachterberichte), Photos, Materialien

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sowie Abschlussinterviews dokumentiertdie methodisch fundierte qualitative undquantitative Aktionsforschung von Evens.Sie weist damit in der Nachfolge vonManfred Schewe einen auf Grammatik-fragen spezifisch zugeschnittenenmethodischen Weg für den Unterricht vonGrammatik.Obwohl Even sich dieser Frage stellt, solltenoch deutlicher werden, wie umfassendeProgression im Grammatikunterricht alleinüber Dramagrammatik aufgebaut werdenkönnte. Sicher ist es sehr sinnvoll, solcheEinheiten in den Stundenplan einzubauen.Notwendig ist dazu allerdings – auch daswird durch Evens Arbeit deutlich -, dassLehrpersonen nicht spontan vorgehenkönnen, sondern durch eine entsprechendeFortbildung in die Technik(en) derDramagrammatik eingeführt werdensollten. Denn sie gehen weit über das hinaus,was im allgemeinen unter Rollenspiele imUnterricht verstanden wird.Evens Material und Argumentation, dassdiese Art von dramagrammatischemUnterricht für die meisten Lernenden dieBereitschaft zur Auseinandersetzung mitGrammatik fördert und eine positiveEinstellung zum Grammatikerwerb fördert,überzeugt und ist vielversprechend.Allerdings wird es aufgrund derindividuellen Lernstile besonders ältererLernender immer wieder kognitiv geprägteStudierende geben, die sich diesem Ansatzsperren. Interessant wäre es zu wissen, wiesich solche Lernenden in drama-grammatischen Phasen verhalten haben.Eng damit verbunden stellt sich mir dieÜberlegung, inwiefern dramagrammatischeEinheiten in traditionellen Institutionen wieSchulen und Universitäten mit bestimmtenkognitiv geprägten Lehrstilen vermitteltwerden können. Um dies zu ermöglichen,müssen neue Lehr- und Lernformengefunden werden, stundenübergreifendeSeminare und Workshops, bei denen außerder neuen Erfahrung auch genügend Zeit fürdie reflektierende Vor- und Nachbereitungbleibt. Rahmenbedingungen, die immer

noch dringende Desiderate der Zukunft sind.

Bibliographie- Ivancic, Barbara (2003): Deutsche Sprache,schwere Sprache – Ma le grammatiche ci aiu-tano? Considerazioni sulle grammatiche di-dattiche del tedesco, Trieste, (Edizione Uni-versità di Trieste).- Serra-Borneto, Carlo (2000): „Wie schwerist Deutsch – wie ist Deutsch schwer?Schwierigkeiten beim Erlernen des Deutschen(aus italienischer Sicht)“, in: Info DaF 6:565-584.

Eva-Maria Thüne

Claus Ehrhardt, Beziehungsgestaltung undRationalität. Eine linguistische Theorie derHöflichkeit. Trieste, Ed. Parnaso, Hesperides,Letterature e Culture Occidentali, 2002, pp.247, € 36,15

Bei zwischenmenschlicher Kommunikationgeht es fast immer um zwei Dinge: einenInhalt zu vermitteln und die Beziehungzwischen den Gesprächspartnern zu gestalten.Dass beide Bereiche niemals getrennt sind,wird unmittelbar klar, wenn z. B. an dieverschiedenen Möglichkeiten gedacht wird,mit denen Sprechakte umgesetzt werdenkönnen. So kann eine Person auf ganzunterschiedliche Weise aufgefordert werden,zu warten. Die Kerninformation bleibt stetsdieselbe, das, was zählt, ist wie durch diesprachliche Form der Aufforderung, Nähe undDistanz erfolgreich so gestaltet werden, dassdas geschieht, was man wünscht, und zwarauf eine Art und Weise, die den Sprechern denEindruck vermittelt, zusammen zu arbeiten.Fragen der Höflichkeit spielen in diesemZusammenhang eine nicht unwesentlicheRolle.Claus Ehrhardt will mit seinem BuchBeziehungsgestaltung und Rationalität, daseine leicht überarbeitete Fassung seiner imHerbst 2001 eingereichten Doktorarbeit ist,

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eine linguistische Theorie der Höflichkeitvorlegen. Im Gegensatz zu Arbeiten, die dievielfältigen sprachlichen Strukturenuntersuchen, mit denen Sprecher ineinzelnen Sprachen Höflichkeitmanifestieren können, will Ehrhardt diesePhänomene in eine linguistische Theorieintegrieren. Es geht ihm also um einefunktionale Betrachtung derKommunikation, so wie es typisch fürReflexionen der linguistischen Pragmatikist, wobei Ehrhardt das Feld seinerUntersuchung noch weiter absteckt: „ImIdealfall kann eine solche Perspektive aufHöflichkeit einerseits (wenigstensansatzweise) zu einem erklärenden Ansatzzur Analyse von verbaler Höflichkeitführen, andererseits kann das theoretischeKommunikationsmodell um einen Aspektergänzt werden“ (S. 9f.).Parallel laufen daher auch im Aufbau seinerArbeit soziokulturelle und linguistischeFragestränge: Im ersten Kapitel beschreibtder Autor auf der Grundlage vonSprichwörtern und nicht-wissenschaftlichenDefinitionen (Wörterbücher und Lexika)alltagssprachliche Verwendungsweisen von„höflich“ und „Höflichkeit“. Im zweitenKapitel wird aus diachroner Perspektive dasPhänomen Höflichkeit betrachtet undabschließend deren heutige Relevanz undgesellschaftliche Funktion (vor allem alsImagearbeit) beschrieben. Im dritten Kapitelgibt Ehrhardt einen Überblick zumderzeitigen Forschungsstand sprachwissen-schaftlicher Studien zum Thema„Höflichkeit“ und bereitet somit das Terrainfür das vierte Kapitel, in dem es nun konkretum „Höflichkeit und Sprache“ geht undzwar insbesondere um funktionale Aspektewie sie in Darstellungen von Höflichkeit ineinigen neueren Grammatiken am Beispielvon Verben, Adjektiven, Pronomen,Artikeln, Modalpartikeln, usw. gefundenwerden können, bei Anredeformen und demSprechakt „Sich entschuldigen“. Im fünften,abschließenden Kapitel versucht Ehrhardt,die Ergebnisse als Indikatoren einerHöflichkeitsmaxime zu verstehen, die die

Beziehungsgestaltung der Sprecher leitet,um eine kooperative Gesprächsatmosphärezu schaffen. Ehrhardt geht somit einenSchritt über Grice, bei dem es primär umeinen maximal effizienten Informations-austausch geht, hinaus, indem er Höflichkeitals Prinzip rationalen Handelns darstellt.„Eine höfliche Äußerung wird aus dieserPerspektive zu einer Äußerung, die insozialer Hinsicht unmarkiert ist, die soformuliert ist, dass der Sprecher damit diesituationsangemessene Distanz zwischensich und dem Hörer zum Ausdruck bringt.Markierte Höflichkeit liegt dann vor, wennfür den Sprecher das Ziel ‚Beziehungs-gestaltung’ besonders wichtig ist und erdeswegen höflicher ist, als in der Situationerforderlich wäre“ (S.238f.). Höflichkeits-indikatoren lassen mithin auch Schlüsse aufdie Ziele der Beziehungsgestaltung derGesprächspartner zu.Ehrhardts Stärke liegt in der Diskussionsprachwissenschaftlicher Grundlagenar-beiten zum Thema Höflichkeit. Er geht etwader entscheidenden Frage nach, welcheKonsequenzen die Überschätzungbestimmter grammatischer Kategorien fürden Ausdruck von Höflichkeit haben. AmBeispiel des Konjunktiv zeigt er, wie einevereinfachende Identifizierung vonKonjunktiv mit Höflichkeit in Grammatikendie Lesenden fehlleiten kann, da dadurch dieRelevanz von Kotext- und Kontextfaktorenunterschätzt werden. Es ist nichtzwangsläufig höflicher zu sagen (1) „HättenSie vielleicht die Güte, das Fenster zuschließen“ anstatt (2) „Bitte schließen Siedas Fenster“. Gerade in der gesprochenenSprache spielen Stimmführung und Tonhöheeine wesentliche Rolle bei der Abstimmungdes Gesprächsklimas und der Einbettungvon gemeinsamem (sprachlichem) Handeln.So könnte Satz (1) unter Umständen auchironisch interpretiert werden. Ähnlichestrifft für Adjektive, Pronomen etc. zu. Alldiese Elemente dienen zur Nuancierung vonHöflichkeit, aber zu recht betont Ehrhardt,„dass ein Sprecher, wenn er eine höflicheÄußerung machen will (eine höfliche Bitte,

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Aufforderung o.ä.), mehr tun muss [...]. DieSatzgrammatik kann keine hinreichendeErklärung dafür sein, dass Höflichkeitzustande kommt“ (S.140).Die Konventionalität im Ausdruck vonHöflichkeit tritt noch deutlicher hervor,wenn es um Anredeformen geht. Anrede-formen sind historisch gewachsen und wiealle soziokulturellen Phänomene in direkterAbhängigkeit zu gesellschaftlichenEntwicklungen zu sehen. Allerdings wärees ein Kurzschluss, sie als reines Abbildgesellschaftlicher Verhältnisse zu verstehen.Bewegen wir uns zumeist bei unserer Wahlim Bereich unmarkierter Formen (vereinbarmit der sozialen und beziehungsspezifischenNähe-Distanz-Skala), haben wir dennochein sehr feines Gespür für die (Un-)Angemessenheit markierter Formen. Wohlgibt es kulturelle Unterschiede, die geradebei den immer schneller gewordenenKontaktformen im medialen Bereich (z.B.bei der Telefonkommunikation und e-mail)eine nicht unerhebliche Rolle spielen.Zurecht betont Erhardt auch für dieAnredeformen: „Wenn ein Sprecher zumAusdruck bringen möchte, dass er sich nichtnur an den Hörer wendet, sondern dass erdiesem gegenüber nicht nur institutionellen,sondern auch besonderen persönlichenRespekt empfindet, dann muss er mehr tunals die unmarkierten Anredeformenverwenden; er kann zum Beispiel (und unteranderem) auf eine in der betreffendenSituation markierte Form zurückgreifen. [...]Dieser Effekt entsteht auf der Grundlage derKenntnis der normalen, konventionellenAnredeformen und der konventionellenlexikalischen Bedeutung der verwendetenAusdrücke“ (154).Bei seinem letzten Beispiel, „SichEntschuldigen“, führt Ehrhardt vor, „dasses Sprechhandlungstypen gibt, in derenGelingensbedingungen eine Verbindung zuHöflichkeit eingeschrieben ist“ (170). Aberauch hier gilt, dass das Sich Entschuldigennicht an den Gebrauch bestimmter Wörtergebunden ist, sondern dass dieser Sprechaktmit außersprachlichem Wissen verbunden

sein muss. So wie es notwendig ist, dieRegeln der Logik zu kennen, um Handlungenzu interpretieren, so brauchen wir ein Wissenüber Höflichkeit, um mit anderen erfolgreichkommunizieren zu können. Von besonderemInteresse sind in diesem ZusammenhangEhrhardts Über-legungen zu öffentlichenEntschuldigungen im politischen Kontext.Ehrhardt argumentiert in seiner Arbeit klarund bringt viele Fragen auf Punkt. Dabeiverdeutlicht er seine Überlegungen in einerverständlichen und leserorientiertenDarstellung. Dennoch hätte die Rezensentinsich mehr authentische Beispiele gewünscht,die in ihren jeweiligen kommunikativenKontexten diskutiert werden.Es ist das Verdienst dieser Arbeit, das Themades sprachlichen Höflichkeitsausdrucks imSpannungsfeld von Theoriebildungsver-suchen umfassend diskutiert zu haben.Dringendes Desiderat bleiben weiterhinempirische Arbeiten, in denen das Bemühenum Höflichkeit in der geschriebenen und vorallem in der gesprochenen Sprache imKontext betrachtet und funktional untersuchtwird, so wie dies z.B. mithilfe ethno-graphischer Ansätze möglich wäre. Dieswäre ganz besonders für das Feld Deutschals Fremdsprache fruchtbar, um daraufaufbauend sprachvergleichende Studienanzustellen, die zum interkulturellenVerstehen beitragen könnten.

Eva-Maria Thüne

Franco Perrelli, August Strindberg: il teatrodella vita, Milano, Iperborea, 2003, pp. 170,€ 10,50

Sesto e più recente titolo nella collana“Saggi” della casa editrice milanese, riapparequesto studio di Franco Perrelli, giàpubblicato nel 1990 da Laterza con il titolodi Introduzione a Strindberg.In che senso la nuova edizione è, come dicel’autore, “riveduta e aggiornata” rispetto allaprima? Troviamo una diversa vestetipografica per le citazioni dai testi di

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Strindberg; nella nuova edizione solo i branipiù lunghi sono mantenuti in corpo minoree separato. Sono stati poi adottati diversicriteri redazionali per i rimandibibliografici, che nella nuova edizionefigurano in nota a piè di pagina piuttostoche tra parentesi nel testo corrente. Nellenote a piè di pagina troviamo anche alcunenovità rispetto alla prima edizione: sonostati menzionati luoghi e date delle primerappresentazioni dei drammi di volta involta trattati, e compaiono diversiriferimenti alla letteratura critica più recente.Compaiono nella nuova versione dellostudio anche un paio di citazioni lunghe inpiù: dal romanzo La sala rossa del 1879 (p.29) e dal terzo Libro blu del 1908 (pp. 143-144). Nel 1990 come nel 2003 l’autore deveriferirsi a due edizioni critiche delle operedi Strindberg: la più antica dei Samladeskrifter, I-LV, a cura di John Landquist(1912-20) e la più recente dei Samlade verk,cominciata nel 1981 e in corso diultimazione (per oltre settanta volumi).Dove è possibile riferirsi alla nuova edizionecritica, Perrelli lo fa, e poiché dal 1990 aoggi sono apparsi molti volumi dei Samladeverk, i riferimenti sono stati puntualmenteaggiornati. Infine, da sedici che erano nel1990, i volumi delle lettere di Strindberg(August Strindbergs brev) sono diventativentidue e la raccolta è stata cosìcompletata, almeno per il momento (1948-2001); anche in questo caso lo studiosoitaliano ha potuto integrare e arricchire lanuova edizione del suo volume.Sostanzialmente, tanto nella scansione deiquattro capitoli e dei rispettivi paragrafiquanto nel loro contenuto, Il teatro della vitapresenta però lo stesso testo di Introduzione,con un’unica importante revisione che, dasola, ha probabilmente (e a mio pareregiustamente) convinto l’autore dell’op-portunità di una ripubblicazione aggiornata.Ciò che ha cambiato la prospettiva dal 1990a oggi è il “caso” di un clamoroso falso nellacritica strindberghiana, alla cui scopertaproprio Perrelli ha dato un contributoimportante. Nel 1995, sulla rivista letteraria

svedese Samlaren, il critico Björn Meidalfornì le prove che lo studio di Carl ÖhmanAugust Strindberg and the Origin of theScenic Expressionism (Michigan Studies ofTheater, Michigan/Helsingfors 1961) erauna sorta di testo fantasma praticamenteirreperibile, citato spesso di seconda manoe, soprattutto, fondato su documenti fasulli.Quel testo virtuale ha avuto fortuna in sedecritica nell’avvalorare la tesi di unoStrindberg non solo geniale anticipatore maconsapevole iniziatore, come drammaturgoe teorico del teatro, dell’espressionismonovecentesco. Per Perrelli la questione èparticolarmente rilevante perché anch’eglisostiene, a differenza di Meidal e altristudiosi svedesi, che lo Strindberg del primoNovecento non fu così sprovveduto dalpunto di vista teorico e fu anzi sempre alcorrente delle più innovative e sperimentalitendenze del teatro contemporaneo (MaxReinhardt, Georg Fuchs, Gordon Craig e,forse, Konstantin Stanislavskij); egliavrebbe visto tali tendenze con favore piùche con scetticismo, come sostiene Meidal.Con il rigore filologico e critico che locontraddistingue, Perrelli deve quindi, perpoterla ribadire, rifondare la suainterpretazione su testimonianzeassolutamente certe, rinunciando alle falsesuggestioni di Öhman, sulle quali –fatalmente – si concludeva la prima edizionedello studio (Perrelli 1990: 137). Taleriscrittura ha luogo nel paragrafo “Il teatrodell’avvenire” (Perrelli 2003: 158-166).Se “Il teatro dell’avvenire” era il paragrafoconclusivo della prima edizione, la nuovaversione aggiunge opportunamente “Uscitadi scena”, sul ritorno alla politica e allapolemica sociale di Strindberg negli ultimianni della sua vita e sulla particolare naturadel suo socialismo. Questa parte comparivain realtà anche nella versione del 1990 comeincipit dell’appendice “Il dibattito critico”.Quella rassegna delle principali tendenzedella critica strindberghiana dalla mortedell’autore alla contemporaneità vienepurtroppo tagliata nella presente edizioneIperborea, così come vengono omesse la

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sintetica “Cronologia della vita e delleopere” e la dettagliata “Bibliografia”, purein coda alla prima versione dello studio. Iltutto è sostituito da un’assai più succinta“Nota bibliografica”, ovviamenteaggiornata rispetto al 1990 ma anche piùpovera. Anche i lettori e gli studiosi di oggiavrebbero trovato utili queste parti inappendice, se opportunamente aggiornate,specialmente per quanto riguarda il dibattitocritico, che negli ultimi quindici anni haprodotto interessanti contributi in diversedirezioni.Nel complesso, comunque, i notevoli meritidel lavoro rimangono. Perrelli, storico delteatro, ha in verità un approccio totale allavastissima opera del maggiore scrittoresvedese, che si colloca tra il 1869 e il 1912e va ben oltre la drammaturgia (anche sesono principalmente i suoi drammi a farparte della “letteratura universale”). Perrelliconosce bene tutta l’opera di Strindberg. Sequesto può sembrare un elementare requisitoin ambito filologico e critico, la cosa non èovvia quando abbiamo a che fare con uncentinaio di volumi tra opere letterarie, diarie lettere. Anche nella sterminata“enciclopedia” di Strindberg, generatrice diinfinita intertestualità, Perrelli sa muoversicon sicurezza e fornire al lettore una guidaaffidabile. Suscita rispetto e ammirazioneanche il fatto piuttosto unico che Perrelli,storico del teatro e non scandinavista, sappialavorare con rigore sui testi originali svedesi,norvegesi e danesi.È utile oggi un lavoro di presentazionesintetica di un’opera letteraria così vasta ecomplessa? Penso di sì, per le stesse ragioniper cui tradurre un testo è “teoricamenteimpossibile” ma “necessario in pratica”.“Tradurre” in 170 pagine un universo diespressione artistica e di esperienze culturalie umane come quelle di Strindberg ècertamente “impossibile”. Ma per tutti gliamanti del teatro che desiderino capiremeglio i presupposti di uno degli intellettualipiù contraddittori, fecondi e centralidell’Europa a cavallo tra Ottocento eNovecento, questo lavoro sintetico è

necessario. Così come è necessario per tuttigli studiosi e gli studenti di teatro, di lingue edi letterature straniere o comparate (almeno).Le letture proposte da Perrelli sono, per forzadi cose, rapide ma offrono sempre spunti acutie colgono spesso, e con passione, la bellezzapoetica che Strindberg sa creare. I fattiessenziali della vita dell’autore sonomenzionati solo in quanto esperienza vissutache si fa testo. Nella vulcanica contrad-dittorietà dell’opera di Strindberg, così riccadi “svolte”, seguiamo, grazie a Perrelli, i filirossi che la percorrono (in verità con estremacoerenza), sia nell’intrecciarsi a volteinestricabile di visioni del mondo(cristianesimo, Kierkegaard, socialismo,positivismo, Darwin, pessimismo,Schopenhauer, Rousseau, misoginia,Nietzsche, occultismo, monismo,Swedenborg, e ritorno…), sia nei nucleitematici. La bruciante autenticità del vissutoche si fa testo (l’autobiografismo diStrindberg) è controbilanciata dal sensodell’illusorietà della vita, la vita-teatro; l’arteè sia più falsa sia più vera della vita.L’attitudine a sperimentare con molteplicipunti di vista è un consapevole metododialettico, dove il dubbio e i procedimentidistruttivi sono sempre funzionali a unaincessante ricerca di valore, autenticità eredenzione. Strindberg è il conflitto, loscandalo e la provocazione. Contro tutte leopinioni ferme e stantie, che sanno diAutorità, la sua demistificazione è sempregraffiante. Eppure, sottolinea Perrelli, è comese Strindberg sia irretito dal suo stessometodico dubbio che lo spinge in avanti.Amleto diventa la figura del suo nichilismodi fine Ottocento: del pessimismo; delladisillusione radicale; dello sfaldarsi rapido –dopo faticosa conquista – di interpretazionidel mondo e della (propria) vita; del sensopermanente di caos e di assurdo; di un Dioabbastanza “morto” ed evanescente anchenelle fasi della cosiddetta conversione.Tale chiave interpretativa si legge come infiligrana in questo studio riassuntivo; siritrova in termini più espliciti in un altro bellavoro di Perrelli, Strindberg e Nietzsche: un

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problema di storia del nichilismo (AdriaticaEditrice, Bari 1984), oggi purtroppopressoché introvabile.Bisognerebbe ripubblicare anche quellostudio, e non perché si debba condividere intoto la tesi sul “nichilismo” di Strindberg(personalmente mi affascina la sua febbrilericerca di senso e di redenzione, ma forse èsolo una questione di accenti) ma perchél’elaborazione critica dell’opera dellosvedese da parte di Perrelli, così ben fondata,è molto importante per tutti quale momentodi confronto.

Massimo Ciaravolo

Verio Santoro, La ricezione della materianibelungica tra Medioevo ed Età moderna:Der Hürnen Seyfried, Salerno, Laveglia edi-tore, 2003, pp. 200, € 10,00.

La questione della “tradizione nibelungica”,della nascita e della trasmissione di quelcomplesso di motivi narrativi e leggendariche hanno al loro centro la figura di Sigfridoe le tragiche vicende che seguono la suamorte, è ormai da circa due secoli al centrodell’attenzione sia degli studiosi, che nonsmettono di interrogarsi sulle origini dellaleggenda e i percorsi lungo i quali si è diffu-sa nell’Europa centro-settentrionale, sia de-gli artisti – scrittori, musicisti, registi cine-matografici, pittori – che questa leggendacontinuano a rielabolare in forme semprenuove, assegnandole via via significati di-versi. Testi di indubbio valore artistico e digrande fascino culturale testimoniano la leg-genda nibelungica nelle tradizioni letterariedel Medioevo nordico e di quello tedesco: ilNibelungenlied, i carmi eddici, l’Edda diSnorri Sturluson, la Saga dei Völsunghi, esu questi testi, sulle loro differenze – peral-tro assai profonde e significative – e sulleloro possibili o certe relazioni si concentrain genere il lavoro di ricostruzione storico-culturale, di critica testuale e di ermeneuticaletteraria.La centralità di questi monumenti della let-

teratura medievale nella ricerca scientificae nella produzione artistica ha fatto sì chesi venisse a volte portati a dimenticare che,in realtà, questi testi non hanno costante-mente accompagnato nei secoli l’evoluzio-ne delle culture che li hanno prodotti: se èvero, infatti, che non si può propriamenteparlare di un’interruzione della tradizionenibelungica nell’Islanda post-medievale, èperò altrettanto vero che è solo con il XVIIsecolo che la letteratura antico nordica siimpone all’attenzione degli eruditi scandi-navi e assume un ruolo strategico nel lorosforzo di costruzione di un’identità cultu-rale nazionale. Quanto al Nibelungenlied,poi, è solo con la scoperta del celebre ma-noscritto C a Hohenems, nel 1755, che tor-na a essere conosciuto all’ambiente erudi-to tedesco. Prima d’allora, la storia diSigfrido, delle sue imprese e della sua tra-gica morte era circolata a lungo in tutt’al-tra versione: quella del Lied vom HürnenSeyfried, testo in versi risalente probabil-mente – almeno nella forma a noi giunta –al XV secolo, e che a sua volta aveva datoorigine a una versione drammatica di HansSachs nel 1557, a un volksbuch che ebbeampia diffusione fino a tutto il secoloXVIII, a una versione nederlandese e a unaceca, entrambe risalenti al secolo XVI. Lapopolarità del volksbuch all’inizio del XIXsecolo era ancora tale che lo stesso Friedrichde la Motte Fouqué – autore della primaampia trasposizione drammatica della ma-teria nibelungica nell’Ottocento tedesco, latrilogia Der Held des Nordens, basata so-prattutto sulle fonti nordiche – ne trasseispirazione per il suo primo tentativo diriscrittura della leggenda, la scena dram-matica Der gehörnte Siegfried in derSchmiede, pubblicata nel 1805, tre anni pri-ma che venisse pubblicata la prima partedella trilogia.Presso il pubblico dei lettori, il Lied vomHürnen Seyfried è stato pressoché dimen-ticato, come viva e autonoma opera d’arte,a partire dalla diffusione del più anticoNibelungenlied, testo senza dubbio di benaltro valore letterario. Ha però continuato

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ad attirare l’attenzione degli studiosi inquanto la sua testimonianza – insieme aquella della _i_reks saga af Bern, testod’area antico nordica, la cui prefazione af-ferma però trattarsi della rielaborazione diracconti d’origine tedesca – contribuisce adelineare più compiutamente i contorni del-la leggenda nibelungica così com’era dif-fusa nella Germania medievale. Molti, in-fatti, sono i punti che accomunano il Liedvom Hürnen Seyfried alla tradizione nordi-ca, distanziandosi invece dalla versione delNibelungenlied. Il canto quattrocentesco siè rivelato così, forse paradossalmente, piùche altro utile a una più approfondita cono-scenza dell’epos duecentesco, mettendonein luce la procedura di composizione, il la-voro di selezione del materiale leggendarioche ha portato alla creazione di un’operanuova, originale pur nella collocazione al-l’interno di una ben riconoscibile tradizio-ne narrativa.Un importante contributo a una svolta nel-la ricezione critica del Lied vom HürnenSeyfried viene ora fornito dal volume diVerio Santoro: oltre a pubblicare un’accu-rata e fedele traduzione del canto, accom-pagnata dal testo a fronte e da utili noteesplicative, Santoro sposta infatti il terrenodell’analisi da quello del confronto tra lediverse versioni della leggenda nibelungicaa quello della funzione e del senso del can-to all’interno della società tardo medievaleche l’ha prodotto. Il valore del canto, dun-que, non consiste tanto, o almeno non solonella sua qualità di testimone di una tradi-zione più ampia e complessa di quanto nonrisulterebbe alla lettura del soloNibelungenlied, ma soprattutto nella suacapacità di rappresentare valori e modellidi comportamento tipici della Germaniaborghese agli albori dell’Età moderna e sul-le soglie della Riforma. Così l’esemplaritàdi Sigfrido non sta nella quantità e nella qua-lità delle sue imprese cavalleresche, ma inprimo luogo nella sua probità, nella man-canza di avidità, nell’altruismo, e l’interes-se del canto sta anche nella presentazionedell’eroe come individuo che compie un

percorso di maturazione: dall’irruenza e dal-l’arroganza della giovinezza alla saggezza ealla misura dell’età adulta. Proprio la sua giu-stizia, la sua qualità di garante dell’ordine edell’equilibrio sociale guadagna a Sigfrido ilfavore del popolo e, contemporaneamente,suscita l’invidia che spinge i sovrani diWorms ad ucciderlo a tradimento.L’introduzione di Santoro fornisce inoltre allettore le informazioni necessarie a una com-prensione delle questioni relative alla tradi-zione del canto, alla sua diffusione e alla suarelazione con gli altri testi d’argomentonibelungico. Un’ampia e aggiornatabibliografia completa il volume.

Fulvio Ferrari

Das europäische Sprachenportfolio (ESP)- Innovationen im Fremdsprachen-unterricht.Drei italienische Modelle für denPflichtschulbereich:– Modell Piemont für Schüler undSchülerinnen von 8-11 Jahren– Modell Lombardei für Schüler undSchülerinnen von 11-15 Jahren– Modell Junior (9-15) Umbrien

E wie Erfolg und Sprachwisseninternational messbar machenS wie Selbsteinschätzung lernenP wie praxisnahes und handlungsorieniertesSprachlernen

Das europäische Sprachenportfolio mit allenseinen Abkürzungen (ESP im Deutschen,PEL im Italienischen, ELP im Englischen)scheint seit einiger Zeit, das Zauberwort aufden Lippen der Sprachdidaktikerinnen zusein, Arbeitsgruppen setzen sich mit diesemThema auseinander und Verlage druckenverschiedenste Varianten von Sprachen-portfolios. Ich möchte hier drei italienischeModelle des europäischen Sprachenportfoliosvorstellen, doch vorher finde ich esnotwendig, auf zwei Fragen genauer

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einzugehen: Was ist die didaktischeInnovation, die hinter demSprachenportfolio steht und was macht eszu einem Beitrag für eine neue Lehr- undLernwelt?Was das Sprachenportfolio ist, wissensicherlich alle, deshalb hier nur kurz etwaszum Aufbau. Es besteht aus einemSprachenpass, der klar, verständlich undinternational vergleichbar Auskunft über dieSprachkenntnisse seiner Besitzerin (imDeutschen wäre es korrekt “die Besitzerinund der Besitzer” zu sagen, was das Lesenund Schreiben aber etwas holprig werdenlässt, ich möchte einfach nur die weiblichenFormen verwenden) geben soll;einer Sprachlernbiographie, die über dieErfahrungen beim Lernen der Sprache,Auslandsaufenthalte, aber auch demtäglichen sprachlichen Hintergrund (welcheSprachen, auch Dialekte im familiärenUmfeld gesprochen werden) berichtet undzuletzteinem Dossier, in dem nennenswerteArbeiten, Audio- und Videoaufnahmengesammelt werden, die für denindividuellen Lernprozess wichtig warenbzw. bestimmte Fertigkeiten illustrieren. Das Sprachenportfolio gehört denSprachlernenden und ist für alleAltergruppen (vom Schulkind bis zumErwachsenen, der für seine beruflicheKarriere Sprachkenntnisse vorweisen muss)konzipiert, deshalb gibt es verschiedene aufdie unterschiedlichen Altersgruppen undBedürfnisse abgestimmte Versionen. InItalien gibt es bald sechs akkreditierteSprachenpotfolios. Warum so viele, fragtman sich gerechtfertigterweise? Ein gutesPortfolio muss genau auf sein Ziel-publikum, dessen Lernziele undSchwerpunkte zugeschnitten sein. Es gibtzum Beispiel eine Version in Irland, die fürImmigranten, die Englisch in Irland lernen,konzipiert wurde, da dieses Zielpublikumandere Bedürfnisse und Möglichkeiten hatals zum Beispiel eine Schülerin, dieEnglisch in einer höheren Schule in Italienlernt.

Das Sprachenportfolio hat einerseits eineberichtende Funktion. Um ein vereintesEuropa zu schaffen und um die Mobilitätinnerhalb Europas zu fördern, werdenFremdsprachenkenntnisse immer wichtiger.Aus diesem Grund soll das Portfoliotransparent über Sprachkenntnisseberichten. Eine potentielle Arbeitgeberinkann dadurch einen Einblick bekommen,welche Sprachkenntnisse wo, wie und wannerworben wurden.Andererseits hat es eine pädagogischeFunktion. Die Berufs- und auch dieBildungswelt ist raschen Veränderungenunterworfen, was zu einer ständigen Weiter,Um- und Fortbildung zwingt (life-longlearning). Unsere Schülerinnen werden inihrer beruflichen Karriere flexibel undneugierig (gierig nach Neuem) sein müssen,um mit diesen schnellen VeränderungenSchritt halten zu können. Deshalb heißt eineSprache lernen auch zu lernen, wie man eineneue Sprache lernen kann.Was bringt also das Sprachenportfolio ausder Sicht der Lernerinnen? Was ist seinepädagogische Funktion?Das Sprachenportfolio will einladen, überdas eigene, individuelle Lernennachzudenken, es soll Eigenverantwortungund Lernerautonomie fördern, dieMotivation nähren und den unter-schiedlichen Lernstilen Raum geben.Das Herzstück des Portfolios sind die Rasterzur Selbstbeurteilung, die an Hand einerReihe von Kannbeschreibungen dieverschiedenen Sprachhandlungen (Hören,Lesen, Schreiben, Sprechen, schriftlicheund mündliche Interaktion, Strategien,Qualität/Sprachliche Mittel) auf den sechsNiveaus von A1-C2 beschreiben. DieseKannbeschreibungen sind immer positivformuliert. Man spricht von dem, was mangelernt hat und nicht von dem, was mannicht kann. Dies motiviert und ermöglichtmehr Erfolgserlebnisse, denn Lernfort-schritte werden sichtbar. Es ist aber auchsinnvoller, Lernziele zu formulieren, indemman sich klar macht, was man lernenmöchte und nicht was man nicht mehr

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möchte. Darüber hinaus wird ein klaresSignal gegeben, die Beurteilung nach denK o m m u n i k a t i o n s k o m p e t e n z e nauszurichten und nicht nach gemachtenFormfehlern, auch wenn es leichter undschneller ist, nach Fehlern zu benoten alsanders!Mit den Selbstbeurteilungsrastern hat dieSchülerin die Möglichkeit zu erkennen, wassie schon gelernt hat und was noch fehlt,um ein bestimmtes Niveau als erreicht zubetrachten. Dieses Sich-Selbst-Beurteilen/Einschätzen bezieht die Schülerin aktiv mitein, sie ist an der Lernzielbestimmungbeteiligt und kann von der Lehrerin dortabgeholt werden, wo sie in ihremLernprozess tatsächlich steht, eineindividuelle Betreuung von Seiten derLehrerin wird erleichtert. Die Schülerinbekommt eine aktive Rolle, fühlt sich ernstgenommen und wird sich ihrer Verant-wortung dem eigenen Lernen gegenüberbewusst, und erst das erlaubt erste Schrittein Richtung Lernerautonomie. Auch wirdzweifellos die Motivation anders sein, wennsie (und nicht nur die Lehrerin) weiß, wohindie Reise gehen soll, was das Ziel ist.Untersuchungen im Rahmen derPilotprojekte von 1997-2000 bestätigen,dass die Arbeit mit dem Sprachenportfoliodie Motivation der Schülerinnen steigert,deren Selbstbewusstsein stärkt und zumNachdenken über das eigene Lernen einlädt.Was ist nun die Innovation aus der Sicht derLehrerinnen?Auch wenn das Sprachenportfolio für dieSprachlernerinnen kreiert wurde und auchnur ihnen gehören soll, wissen wir, dassdiese in der Anfangsphase unabhängig vonihrem Alter Begleitung benötigen.Auf der Basis eines kommunikativen undhandlungsorientierten Ansatzes wurden dieverschiedenen Niveaus und Kannbe-schreibungen formuliert und genausosollten diese im Unterricht eingesetztwerden. In den detaillierten Kannbe-schreibungen haben wir Angaben zumBereich (Schule, Arbeit,...), den Adressaten(Lehrerin, Kollegin,...), dem Thema und der

Textsorte meist klar definiert. Es wird einKontext geschaffen, also ein konkretesKommunikationsziel, in dem eine bestimmteSprachhandlung ausgeführt werden muss,und damit haben wir bereits einehandlungsorientierte, kommunikativeAufgabe.Das Sprachenportfolio ist lehrbuchun-abhängig, das heißt, es kann parallel zu jedemLehrwerk verwendet werden. Die Arbeit mitdem Sprachenportfolio ermöglicht offenesund ganzheitliches Lernen. „Offen“ im Sinneeiner Offenheit in den Lernwegen: dieSchülerinnen bekommen eine Aufgabe, wiesie diese Aufgabe lösen, steht ihnen jedochoffen; ob sie nun lieber in Gruppen arbeitenoder zu zweit, welcheProblemlösungsstrategien sie anwenden,welche Informationsquellen sie verwenden,...usw. „Ganzheitlich“ weil die Schülerin inihrer Ganzheit als Person mit all ihrenVorlieben, Talenten und Eigenschaften in dasLernen integriert werden soll. Prinzipiellentwickelt sich die Rolle der Lehrerin vonder Allwissenden und Alleinverantwortlichenfür den Unterricht in Richtung Mitgestalterindes Lernprozesses. Natürlich muss hierbetont werden, dass wir von langfristigenZielen – Lernerautonomie, Selbstverant-wortung und Selbsteinschätzung – sprechen,denen wir uns Schritt für Schritt nähern, wirwerden sicherlich nicht von heute auf morgenaus passiven, die Lerninhaltekonsumierenden Schülerinnen aktive,autonome und selbstverantwortlicheLernerinnen machen. Doch ist eines sicher– es geht in die richtige Richtung!“My first portfolio - Il mio primo ortfolio”(akkreditierte Fassung Nr. 26.2002) fürSchülerinnen von 8-11 Jahren.VerlagTheorema Libri.Dieses Modell des MIUR der RegionPiemont wurde zwei Jahre lang in 48verschiedenen Klassen ausprobiert und 2002vom Europarat akkreditiert und richtet sichan Schülerinnen der Grundschule. DiesesSprachenportfolio zeigt sich in sehrorigineller Form: ein runder Falter in Din-A3-Format und eine Ringmappe für das

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Dossier. Im Falter finden wir zuerst dasDeckblatt, dann werden durch das Öffnender ersten Flügel die Erläuterungen über dieZiele des ESP, die Sprachlernbiographie undder Sprachenpass, wo über abgelegteZertifikate berichtet werden soll, sichtbar.Mein Beschreibung klingt verwirrend, denngenau das ist dieses Dokument am Anfang:es ist etwas unklar im Aufbau. Für meinAuge als Erwachsene ist das Lay-out sehrelegant und ansprechend, eben weil diesesFormat so originell ist und neugierig machtund ausnahmsweise auch denkinästhetischen Wahrnehmungskanalangeregt – es macht Spaß, dieses Dokumentzu entdecken, zu drehen und zu wenden. Ichbin aber nicht sicher, ob es Kinder von 8-11Jahren anspricht und ob es am Ende, wenndie Neugier vorbei ist, auch wirklichpraktisch ist.Der Bereich der Sprachlernbiographie ist inverschiedene Sektionen unterteilt: „La miafamiglia e i miei amici“, welche die Familieund deren Öffnung zu anderen Kulturenbetrifft; „I miei gusti“, wo die Kinder vonihren Vorlieben in verschiedenen Bereichen(Essen, Hobbys, Musik, ...) berichten sollen;„I miei viaggi e i miei scambi“, wo fürBerichte über einfache Brieffreundschaftenbis hin zu Auslandsaufenthalten Platz ist.Genauer gesagt, fehlt genau der – der Platz,denn das Format hat seine Grenzen unddeshalb heißt es in den Anleitungen fürLehrerinnen, dass lediglich das Gemeinteangekreuzt und genauere Berichte imDossier aufbewahrt werden sollen.Interessant an der Sprachlernbiographie istder Bereich „I miei contatti con altre lingueed altre culture“, wo die Schülerineingeladen wird, über verschiedensteKontakte mit anderen Sprachen undDialekten zu berichten. Die Tatsache, dasauch Dialekte erwähnt werden, finde ichsehr gut, da die Kinder für dieses Themasensibilisiert werden. Einerseits werdendadurch Dialekte als kulturelles Potentialaufgewertet und andererseits wird dieTatsache, dass dialektsprechende Kinder ineinem gewissen Sinne zweisprachig sind,

unterstrichen.Wenn nun der ganze Falter offen daliegt,erscheint dieses Sprachenportfolio mitseinen Farbkreisen in verschiedenenBlautönen fast wie ein Brettspiel und genaudas wollen die Autorinnen wohl auch: aufspielerische Weise einladen, seineSprachkenntnisse dem Ziel immer näher zubringen. Hier finden wir die verschiedenenKannbeschreibungen zu den vier Bereichen:hören, sprechen, lesen, schreiben. DieNiveaus von A1 bis B1 richten sich vomRand ausgehend in Richtung Zentrum, derauch optisch wie eine Zielscheibe gestaltetwurde. Werden Kompetenzen als erreichtbetrachtet, wird dies durch das Aufklebenvon bunten Stickern gezeigt.Die Kannbeschreibungen orientieren sicham europäischen Referenzrahmen undartikulieren sich in drei Schritten A1-A2-B1,um aber eine „Inflation“ zu vermeiden, mussunterstrichen werden, dass B1 ein hohesNiveau und deshalb ein sehr hohes Ziel ist,dem ein Sprachunterricht in derGrundschule wirklich nicht entsprechenmuss. Die Autorinnen wollten sicherlichnicht suggerieren, dass man am Ende derGrundschule B 1 erwartet.Dieses Sprachenportfolio hat darüberhinausein gutes Internetservice, unter http://www.centrodlc.it findet man detaillierteSelbstbeurteilungsraster zum Download,Anleitungen für Lehrerinnen undinteressante Untersuchungsergebnisse undErfahrungsberichte des Projekts.„Portfolio Europeo delle Lingue –Europäisches Sprachenportfolio” (akkre-ditierte Fassung Nr. 30.2002) fürSchülerinnen von 11-15 Jahren. Verlag RCSScuola-La Nuova ItaliaDie Variante des MIUR der RegionLombardei wurde 2002 nach einer Probe-phase mit 500 Schülerinnen akkreditiert. Ineiner Ringmappe finden wir denSprachenpass (in Form eines Din-A5-Heftes), die Sprachlernbiographie und dasDossier. Die Illustrationen dieses Modellssind im Vergleich zur Variante für 8-11Jährige etwas zu kindisch gehalten,

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vielleicht würden „coolere“ IllustrationenSchülerinnen dieses Alters mehr ansprechen,schließlich handelt es sich hier um eineZielgruppe, die sich von der Kinderweltdistanzieren will.Der Sprachpass bietet auf seinen 32 Seitengenügend Platz für zusammenfassendeBerichte von Auslandsaufenthalten undinterkulturellen Erfahrungen, sowie fürerlangte Sprachdiplome und für dieSelbstbeurteilung. Interessant und praktischsind die Raster zur Selbstbeurteilung in denfünf wichtigsten europäischen Sprachen(italienisch, deutsch, englisch, französischeund spanisch). Im Bereich der Sprachlern-biographie finden wir neben den üblichenBerichten über verschiedene Erfahrungenmit der zu lernenden Sprache ein Blatt, aufdem die Schülerin auf der Basis ihrer bereitsgemachten Erfahrungen planen kann, wassie in Zukunft in ihrem Sprachlernenweiterbringen könnte. Nennenswert sind dievorgedruckten Beispiele im Bereich„Kontakte/Erfahrungen“, wo das Beispieleiner Urlaubsbekanntschaft auf Sardinienmit zwei englischsprachigen Kindernangegeben wird. Hier wird konkret gezeigt,dass in dieser Rubrik nicht nurAuslandsaufenthalte und teurer Sprachkursegemeint sind, sondern eben Kontakte jederArt, durch die eine Fremdsprache geübtwerden kann, interkulturelle Erfahrungengemacht werden und vor allem dieMotivation der Schülerinnen genährt wird.Weiters finden wir einen interessantenFragebogen zu den persönlichenLernpräferenzen, in denen die Schülerineingeladen wird, über das eigene Lernennachzudenken, aber auch Ideen finden kann,neue Lernstrategien auszuprobieren.Unter der Internetadresse www.progettolingue.net finden wirVerschiedenes: ein Beispiel für ein Tagebuchzur Dokumentation der Arbeit mit demPortfolio, Fragebögen für Eltern undSchülerinnen. Außerdem kann man einumfangreiches Lehrerinnen-Handbuchausdrucken, das neben den pädagogischenGrundideen des Sprachenportfolios

konkrete Tipps für dessen Einsatz imUnterricht gibt. Unter dem Titel „Strategieper un percorso verso l’autonomia” stehenin diesem Handbuch Arbeitsblätter zu denThemen „Selbstbeurteilung“ und „Lernstile“als Kopiervorlage zur Verfügung, die derLehrerin erste Erfahrungen mit demSprachenportfolio in der Klasse erleichtern.Portfolio Europeo delle Lingue (akkreditierteFassung Nr. 25.2002) Junior 9-15. VerlagLANG.Diese dritte italienische Version des MIURvon Umbrien umfasst die gesamteAltersgruppe von 9-15 Jahren. Es hält sichstreng an die Modelle des Europarates undder Schweizer Version, deren Lay-outsebenfalls recht trocken und nüchtern sind. Ineiner Ringmappe finden wir die üblichen dreiBereiche (Sprachlernbiographie, Sprachen-pass und Dossier), diese und alle weiterenInformationen sind in vier Sprachen(Englisch, Deutsch, Italienisch undFranzösisch) geschrieben, was zwar vielPlatz kostet, aber einfach dazugehört.Darüberhinaus bietet dieses Modell einenvierten Teil, in dem verschiedenen Anlagenzu finden sind, die Lehrkräften und Schulenaber auch Arbeitgeberinnen in der Arbeit mitdem Sprachenportfolio helfen sollen. Nacheiner „Sprachlichen Selbstbeschreibung“(der Begriff „Selbstportrait“ wäre eleganter),wo verschiedenste Fragen zum sprachlichenHintergrund gestellt werden, finden wireinen Abschnitt zum Thema „Lernstile“, wozu den Fertigkeiten Fragen gestellt werden:wie lerne ich, worauf konzentriere ich michz. B. beim Hören/Lesen, was möchte ich z.B. um meine Aussprache zu verbessern?Diese Fragen sind zweifellos sehr interessant,aber es wird eine tiefgreifende Reflexion überdas eigenen Lernen bereits vorausgesetzt.Dasselbe in Form eines Fragebogens, wie wires im Modell der Lombardei finden, erreichtmit dem gleichen Platzaufwand zwei Ziele:eine Reflexion über das eigene Lernen, aberauch eine Ideensammlung zu Lernstilen undStrategien.Was ich in allen drei Modellen vermisse, isteine konkrete Zielformulierung. Zu klären,

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was man lernen möchte, ist lediglich dererste Schritt, interessant wird es aber erst,wenn sich die Schülerinnen auch konkretfragen, welche Handlungen sie setzenwerden, um das Ziel zu erreichen und wiesie empirisch feststellen können, ob undwann sie das Ziel erreicht haben. Diese zweiKomponenten „geplante Handlungen“ und„empirische Überprüfbarkeit“ zwingen zueiner realistischeren und konkreterenZielsetzung, da man ansonsten Gefahr läuft,einfach nur fromme Wünscheauszusprechen.Die Selbstbeurteilungsraster des Modells ausUmbrien sind nach den Niveaus geordnetund bieten nicht nur Platz für die Selbst-beurteilung, sondern eine weitere Spalte füreine Fremdeinschätzung durch die Lehrerinoder durch Mitschülerinnen und eine zumKennzeichnen von Prioritäten imindividuellen Lernprozess. Der Sprachen-pass entspricht mit seinen Profilen derSprachkenntnissen und der Übersicht überlinguistische und interkulturelle Erfahrungender Rohstruktur des ESP. Im gesamtenkönnten wir dieses Modell als die treuesteVersion des Sprachenportfolios bezeichnen,zweifellos funktionell, aber es hinterlässt denEindruck, sich mehr an die Lehrerinnen zurichten als an die Schülerinnen. Wenn ichoben sage, dass die Variante der Lombardeietwas zu infantil wirkt, dann ist dieseVariante das genaue Gegenteil, zu nüchternund ziemlich phantasielos. Das 32-seitigeBegleitheft für Benutzerinnen kann über denVerlag bestellt werden und steht leider nichtonline zur Verfügung. Auf der Webseite desMIUR Umbrien unter www.istruzione.itfinden wir einige interessante Aufsätze zumThema, im Portfolio selbst scheint dieseInternetadresse jedoch leider nirgendwo auf.Im Prinzip ist es nicht so wichtig, welcheVarianten des Sprachenportfolios man wählt,wichtig ist, wie dieses Instrument imUnterricht eingesetzt wird und wie dieSchülerinnen damit umgehen lernen. DasPortfolio will grundsätzlich die Haltung zumLernen ändern, das ist jedoch ein Ziel auflange Sicht und passiert nicht von heute auf

morgen. Deshalb soll hier abschließendnoch einmal betont werden, dass dieLehrerinnen in dieser Anfangsphase einerguten, kompetenten und wirklichpraxisorientierten Betreuung bedürfen, dadas Risiko sehr groß ist, imSprachenportfolio eine lästigeSchreibübung und zusätzliche Arbeitzwecks Prestige zu sehen und das wärejammerschade.

Sabine Stricker

SCHEDE

Friedrich Leopold Graf zu Stolberg, Viaggioin Sicilia, ed. orig. 1794, trad. dal tedescodi Vincenza Scuderi, a cura di GraziaPulvirenti, con uno scritto di GiorgioCusatelli, La Spezia, Agorà, 2003, pp. 268,s.i.p.

Messina, Termini, Palermo, Alcamo,Segesta, Trapani, le Egadi, Marsala,Girgenti, Palma, Terranova, Lentini,Siracusa, Catania, l’Etna, Giarre, Taormina,di nuovo Messina, le Lipari: queste leprincipali località raggiunte dal conteStolberg tra il 30 maggio e l’11 luglio 1792e descritte nel suo Viaggio in Germania,Svizzera, Italia e Sicilia (Reise inDeutschland, der Schweiz, Italien undSicilien) pubblicato a Königsberg nel 1794.Il volume curato da Grazia Pulvirentiraccoglie per la prima volta in italiano,nell’accorta traduzione di Vincenza Scuderi,le 12 lettere (nn. 85-96) di argomentosiciliano. Si tratta di un diario di viaggioredatto, com’era moda all’epoca, in formaepistolare, che il conte arricchisce conabbondanti nozioni storiche, nellaconvinzione che visitando un paese sia utilerivolgere “un rapido sguardo” alle sorti deisuoi antichi abitanti. In realtà queste pagineraccontano pochissimo della Sicilia del1792 e molto della magna Grecia. È comese il conte osservasse il paese non coi propri

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occhi, ma di volta in volta con quelli Omero,Erodoto, Tucidide, Diodoro Siculo,Plutarco, Polibio, Cicerone, Orazio, Virgilio,Plinio, fino ai siciliani Tommaso Fazello,Filippo Cluverio e Vito M. Amico: ogni cosapassa attraverso un potentissimo filtro dierudizione, che da una parte tende a rendereinvisibile il presente, dall’altra ne forniscechiave interpretativa non priva di efficacia.Alla domanda – certo imbarazzante – circa“che cosa osservare e come?” questo nobilequarantaduenne, traduttore di Omero,risponde ricorrendo alle guide turistichedell’epoca, che comprendevano sì i piùrecenti resoconti dei Grand Tour (Addison,Volkmann, Moritz, Goethe, Bartels, etc.) maanche, e soprattutto, gli autori dell’antichitàclassica. Egli previene così quel senso diinquietudine che prendeva il viaggiatore difronte all’ignoto: di ogni luogo, quasi di ognipietra, egli può dire che la conosce già. Allasola storia di Siracusa dedica un centinaiodi pagine, in tutto e per tutto un trattato,prima ancora di aver messo piede in città.“Con il gusto del paradosso - scrivePulvirenti nell’introduzione - si è tentati dipensare che Stolberg potrebbe non avereffettuato alcun viaggio in Sicilia perscrivere le pagine vividissime del diario checi ha lasciato”. Poco spazio è dedicato allepersonalità incontrate lungo il viaggio,alcune delle quali assai significative: l’abateGiuseppe Vella, sedicente traduttoredall’arabo di alcuni libri perduti di TitoLivio; don Ciccio Carelli, luogotenente delviceré e collezionista di monete; l’erudito epatriota Saverio Landolina Nava; l’abategeologo Francesco Ferrara.Non mancano tuttavia spunti vivaci.Stolberg non è privo di senso dell’umo-rismo, per quanto lo accompagni sempre conuna certa dose di pedanteria: ad esempioquando riporta la voce dell’Encyclopédie incui Palermo viene descritta come “villedétruite [...] par un tremblement de terre”,per poi chiosare: “Mi sia permesso diaccompagnare la saggezza del testo francesecon alcune considerazioni: Palermo non èmai stata più grande di adesso, con i suoi

circa 100.000 abitanti...”. E quasi intenerisce,in questi tempi di esasperati conflitti etnici,l’equanimità tutta illuministica con cui egliintroduce, nella penultima lettera, le sueconsiderazioni generali sugli abitanti dellaSicilia e dell’Italia: “Devono confluireinsieme lunghe e continuate osservazioni,situazioni particolari e circostanze d’ognigenere perché uno straniero possapronunciare affermazioni fondate sul mododi pensare e di sentire della nazione che havisitato”.

Michele Sisto

Sylvia Handschuhmacher, Aspetti didatticidella traduzione in tedesco dall’italiano,Pescara, Edizioni Campus, 2003, pp. 233, €14,00

Sebbene il libro di Sylvia Handschuhmachersi rivolga esplicitamente a studentiuniversitari che già possiedono una solidaconoscenza della lingua tedesca (p. 17),questo è anche assai utile per chi debbainsegnare non solo la scienza dellatraduzione, ma anche la sua applicazionenella prassi del tradurre. L’autrice cercaquindi di conciliare la teoria e la prassi dellatraduzione, illustrando i risultati della criticarecente su tali argomenti con l’esempio ditesti concreti; conciliazione auspicata datempo dagli studiosi della traduttologia (Cfr.a tale proposito ad esempio H.G. Hönig / P.Kußmaul, Strategie der Übersetzung. EinLehr- und Arbeitsbuch, Tübingen, GunterNarr Verlag, 1982, pp. 9-15), ma soloraramente realizzata (Un tentativo riuscito inquesto senso è rappresentato, per latraduzione dall’italiano in inglese, da N.Brownlees / J. Denton, Translation Revisited.Ritorno alla traduzione, Firenze, EdizioniCremonese, s.a. Per la traduzione dall’italianoin tedesco va menzionato il lavoro di G. Motta/ E. Dal Piaz, Lesen, vergleichen, übersetzen,Torino, Loescher Editore, 1995 che è allostesso modo improntato sul metodo della

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linguistica contrastiva).

Pur non partendo da una teoria dellatraduzione specifica, Handschuhmacher sisitua nell’ambito dell’analisi contrastiva trala lingua italiana e quella tedesca, in seguitoampiamente applicata ai testi scelti per latraduzione. Nell’introduzione l’autriceinsiste giustamente sugli aspetti creativi diogni traduzione, che non è mai una sempliceriproduzione dell’originale, e sull’impossi-bilità di una traduzione “totale” (p. 16) – nona caso l’ultimo lavoro di Umberto Eco sullascienza della traduzione si intitola “Direquasi la stessa cosa” (U. Eco, Dire quasi lastessa cosa. Esperienze di traduzione,Milano, Bompiani, 2003) – il che, però, nonesclude la ricerca di equivalenza da partedel traduttore (p. 14). Lo stesso vale per ildiscorso sulle “parole intraducibili” (p. 12),che consistono in lessemi presenti solo nellalingua di partenza, in quanto strettamentelegati a tale cultura (Per il cosiddetto‘residuo traduttivo’ si veda ad esempio B.Osimo, Manuale del traduttore. Guidapratica con glossario, Milano, Hoepli, 1998,passim). Il traduttore può decidere di nontradurle spiegandole però ad esempio in unanota a piè di pagina, qualora lo ritenessenecessario.

Prendendo le mosse da questi concettifondamentali della traduttologia coeva,Handschuhmacher presenta venti brani(Textexemplare) di varia lunghezza tratti daopere letterarie di autori italiani delNovecento. Ciascun testo è corredato da unasintetica scheda bio-bibliografica sull’autoreo sull’autrice (Standortbestimmung desAutors / der Autorin), dalla traduzione disingole parole più o meno difficili(Vokabelerläuterungen), da ampiespiegazioni riguardanti le difficoltà ditradurre dall’italiano in tedesco(Übersetzungs-erläuterungen), da una seriedi esercizi di traduzioni (Übersetzungs-übungen) sui problemi precedentementeaffrontati ed infine da una proposta ditraduzione sia del testo di partenza(Übersetzungsvorschlag) – ripresa da

edizioni bilingui – sia degli esercizi(Übersetzungsvorschlag der Übersetzungs-übungen). La traduzione proposta non sideve intendere come la traduzione, ma comeuna fra quelle possibili, risultato dideterminate scelte del traduttore. Dalcommento alle traduzioni l’autrice prendespunto per spiegazioni, talvolta ampie, econsigli utili per la traduzione di fenomeniparticolari della grammatica italiana, qualiad esempio la forma verbale del gerundio eil modo del condizionale (p. es. pp. 58-9),che non sono previsti dal sistemagrammaticale tedesco e che costituisconoquindi “categorie costanti di difficoltà” (p.10) per la traduzione. Tali esplicazionipotrebbero essere completate da unadiscussione sulle scelte del traduttore (p. es.‘stibizen’ nella proposta di traduzione delprimo testo a pagina 35), mettendo a nudole strategie di traduzione adottate eillustrando in tal modo il processo traduttivocome “una continua ricerca di compromessoe di equilibrio tra ciò che potrà esseresalvaguardato e ciò che andrà sacrificato”(p. 16).Grazie al suo impianto contrastivo, ilpresente libro offre spunti interessanti nonsolo per la didattica e la prassi dellatraduzione dall’italiano in tedesco ma anchedal tedesco in italiano, dal momento cheanche in quest’ultimo caso si presentano lestesse “categorie costanti di difficoltà”, solocon segno opposto.

Hans Honnacker

INTERVENTI

Da Anna Maria Carpi riceviamo e volentieripubblichiamo

Cari colleghi e amici, cari studenti,

il 29 gennaio è morto Giuliano Baioni,professore a Ca’Foscari, riconosciutounanimemente come il più grandegermanista italiano di questi decenni.

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Tralascio gli studi minori e vi ricordo i suoilibri, Kafka, romanzo e parabola del 1962,Goethe e la Rivoluzione francese del 1969,la prefazione alle Considerazioni inattualidi Nietzsche del 1981, Kafka. Letteraturaed ebraismo del 1984, Il giovane Goethedel 1996 e il suo ultimo lavoro sui romanzidi Fontane, del 2003. Svariati motivitolgono alla giovane generazione pazienzae concentrazione per fare letture lunghe eimportanti, ma questi libri unisconoletteratura e storia – che sono le veredimensioni formative della mente einsegnano a giudicare con la propria testaquanto accade oggi e a non affogare comepoveri nulla nell’uragano delleinformazioni. Sono dedicati a pochi autoricardine e ai nodi centrali della modernità,ossia a come siamo diventati ciò che siamo.Non sono difficili, Baioni scrive semplice,per tutti, in uno stile addirittura nudo, dovele parole sono le cose, senza vanità diletterato né complicatezze da specialista, esi può seguirlo senza particolarepreparazione. È anche per questo che i suoilibri non invecchiano.Come si sa, non ha mai voluto tenere unaconferenza né è mai andato a un convegno;in pubblico parlava unicamente in aula,unicamente davanti a studenti. Sonodiventato germanista per caso, diceva, escrivere non è il mio mestiere. Noiridevamo, e volevamo sapere quale pensavache sarebbe stato il suo mestiere. Risposta:l’artigiano, per esempio il falegname. Perlui non esisteva un alto e un basso,l’importante era che un oggetto fosse fattoe rifinito al meglio possibile: qui va ripostotutto l’orgoglio, e non è rilevante se è unlibro o altra cosa. Forse in questo c’era ilricordo del padre sarto, del laboratoriodomestico, della casa natale di Voltana diLugo dove “non c’erano libri”. Unromagnolo, e alle sue radici tenevafuriosamente. Temperamentoso, umorale eanche contradditorio, capace di sdegnitremendi e di gesti tenerissimi, timido achiedere un’informazione in un ufficio masenza riguardi nel respingere ogni decisione

dall’alto se non gli andava. Romagnolo anchenel suo entusiasmo davanti a un buon piattodi tagliatelle, e nella sua passione per lamusica. Stagno e ancorato al concreto comepochi, era un competente, dotato di unsingolare orecchio musicale. Un orecchio cheanche nelle persone e nella cultura avvertivastonature, addobbi, finzioni, ideeconvenzionali. Per questo ha fatto di Goethe,di Nietzsche e di Kafka dei nostricontemporanei e interlocutori.

Anna Maria Carpi

SEGNALAZIONI

Saggi

Franca Belski, Bonaventura Tecchi e lenovelle goethiane, Milano, EdizioniUniversitarie di Lettere Economia Diritto,2003, pp. 302, € 23,08

Rita Calabrese, Sconfinare. Percorsifemminili nella letteratura tedesca, Ferrara,Luciana Tufani Editrice, 2003, pp. 206, € 13

Nicoletta Dacrema, Le arti a confronto.Cabaret e letteratura nella Vienna dell’ultimoOttocento, Genova-Milano, Marietti 1820,2003, pp. 206, € 12

Alberto Destro, Rilke. Il Dio oscuro di ungiovane poeta, Padova, edizioni Messaggero,2003, pp. 222, € 12

Romano Guardini, Rainer Maria Rilke. LeElegie duinesi come interpretazionedell’esistenza, trad. di Guido Sommavilla,Brescia, Morcelliana, 2003, pp. 514, s.i.p.

Andrea Pinotti (a cura di), Giochi permalinconici. Sull’Origine del drammabarocco tedesco di Walter Benjamin, Milano,Mimesis, 2003, pp. 295, € 16

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Massimo Salgaro, La difficoltà del narrare.Forme e strutture in Die Amsel di RobertMusil, Verona, Edizioni Fiorini, 2003, pp.154, € 12

Chiara Sandrin, Da Omero a Colombo.Itinerario attraverso l’opera di FriedrichHölderlin, Milano, Christian Marinotti,2002, pp. 272, € 19,50

Edoardo Tortarolo, La ragione interpretata.La mediazione culturale tra Italia eGermania nell’età dell’Illuminismo, Roma,Carocci, 2003, pp. 199, € 17,20

Riviste

Cultura tedesca 23 – Dicembre 2003Ebrei tedeschi in Italia, a cura di ClaudiaSoninoClaudia Sonino, Presentazione; ClaudiaSonino, Roma, Firenze, Venezia: l’Italia diGeorg Simmel; Renate Schlesier,“Impunemente sotto le palme”. Freud inItalia; Gabriella Rovagnati, Il paese del belcanto. L’Italia dell’ebreo praghese FranzWerfel; Paola Quadrelli, Victor Klemperera Napoli; Guido Massino, Kafka a Milano;Paola Bozzi, Im Immerland: RoseAusländer in Italia; Giulio Schiavoni,Benjamin in Italia; Gert Mattenklott, Ebreitedeschi discutono di Mussolini. Gutkind,Prinz, Wolfskehl, Hermann; Klaus Voigt,Accolti e ripudiati: scrittori ebrei, studiosie artisti nell’esilio italiano dopo il 1933;Momme Brodersen, Siegfried Kracauer inItalia.SaggiRosarita Russo, Esperienza, scepsi ecompensazione. Sulla filosofia di OdoMarquard; Elena Giovannini, L’importanzadel rito nell’Erwählten di Thomas Mann;Alessio Musso, Otto Weininger: Lapresupposizione del soggetto.Recensioni

Annali dell’Istituto Universitario Orientaledi Napoli (AION) . Studi Tedeschi -

Filologia Germanica - Studi Nordici - StudiNederlandesi. Nuova Serie, XI (2001), 1-2SaggiPatrizia Lendinara, La poesia anglosassonealla fine del X secolo e oltre; Fabrizio D.Raschellà, Le prime traduzioni della Bibbiain Scandinavia; Gianna Chiesa Isnardi,Mythology as Literature – Mythology andLiterature. Some Observations onScandinavia; Reinhold Grimm, ChristlicheSonnenbildlichkeit im Barock: einigeHinweise; Matteo Galli, “Man könnte wohlmit großem Nutzen einige Zeit hierverweilen”. Goethe in/und Florenz; BarbaraDi Noi, Le rivoluzioni dell’invisibile: sullaMeravigliosa fiaba orientale diWackenroder; Luca Zenobi, Notturnirilkiani. I Neue Gedichte e i Gedichte andie Nacht: un confronto; RobertaBergamaschi, La leggenda del buonpeccatore fra medioevo e modernità; FlaviaArzeni, Paul Nizon: Ein Steppenwolf inRom; Barbara Häußinger, Per un’analisidegli errori sintattici nella traduzionedall’italiano (L1) al tedesco (L2)

Traduzioni

Anonimo, Una donna a Berlino, trad. diPalma Severi, introd. di Hans MagnusEnzensberger, Torino, Einaudi, 2004, pp.259, € 14,50

Ingeborg Bachmann, Non conosco mondomigliore, trad. di Silvia Bortoli , testo ted. afronte, Milano, Guanda, 2004, pp. 294, €18

Walter Benjamin, Opere complete. V. Scritti1932-1933, a cura di Rolf Tiedemann,Hermann Schweppenhäuser, Enrico Gannie Hellmut Riediger, Torino, Einaudi, 2003,pp. XVII-610, € 90

Heinrich Böll, Croce senza amore, trad. diSilvia Bertoli, Milano, Mondadori, 2004, pp.332, € 17

42OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG19

Friedrich Dürrenmatt e Sergio Toppi, AbuChanifa e Anan Ben David, trad. diUmberto Gandini, Milano, StudioMichelangelo, 2003, pp. 47, € 15

Imre Kertész, Essere senza destino, trad. diBarbara Griffini, Milano, Feltrinelli, 2004,pp. 223, € 7,50

Philipp Hafner, Cuordiconiglio – DerFurchtsame, a cura di Roberta Caruzzi,prefaz. di Claudio Magris, Napoli, Liguori,2003, pp. 223, € 13,50

Hugo von Hofmannsthal, Le parole nonsono di questo mondo. Lettere alguardiamarina E. K. 1892-1895, Macerata,Quodlibet, 2004, pp. 127, € 12

Johannes Hösle, Prima di tutti i secoli, trad.di Antonello Borra e Adriana Hösle Borra,nota di Luisa Adorno, Padova, MeridianoZero, 2003, pp. 172, € 12

Gottfried Keller, Sette leggende, a cura diAnna Rosa Azzone Zweifel, Venezia,Marsilio, 2004, pp. 248, € 13

Cristiane Kohl, Villa Paradiso. Quando laguerra arrivò in Toscana, trad. di LouisetteDi Suni, Milano, Garzanti, 2003, pp. 256, €14

Heiner Müller, Filottete, trad. di PeterKammerer e Graziella Galvani, Genova, IlMelangolo, 2003, pp. 139, € 15

Friedrich Schiller, La passeggiata. Scritti sunatura, poesia e storia, Rende, Universitàdella Calabria, 2004, pp. 70, € 7

Hilde Spiel, Mirko e Franca, trad. di FlaviaForadini, postfaz. di Cesare Cases, Trieste,Mgs Press, 2003, pp. 118, € 11,50

Martin Suter, Un amico perfetto, trad. diSilvia Bini, Milano, Feltrinelli, 2003, pp.241, € 15

Uwe Timm, La scoperta della currywurst,trad. di Matteo Galli, Firenze, Le Lettere,2003, pp. 201, € 14

Markus Werner, Di spalle, trad. di DanielaIdra, Bellinzona, Casagrande, 2003, pp. 148,€ 15

Leo Perutz, Dalle nove alle nove, trad. diMarco Consolati, Milano, Adelphi, 2003, pp.206, € 14

Stefan Zweig, Amok, trad. di Emilio Picco,Milano, Adelphi, 2004, pp. 80, € 7

Altro

Silvia Di Natale, Il giardino del luppolo,Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 300, € 16

Helga Schneider, L’usignolo dei Linke,Milano, Adelphi, 2004, pp. 155, € 14

Helga Schneider, Lasciami andare, madre,Milano, Adelphi, 2004, pp. 130, € 7r

43OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

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44OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

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57. Zehn Jahre nachher. Poetische Identität und Geschichte in der deutschenLiteratur nach der Vereinigung. Fabrizio Cambi und Alessandro Fambrini (Hrsg.),

2002, 370 pp., ISBN 88-8443-018-6, € 16

Il volume raccoglie gli atti del Convegno su “Identità poetica e storia nella letteratura tedescadopo l’unificazione”, tenutosi a Trento nel maggio 2000. In occasione del decennale dellacaduta del Muro germanisti di vari paesi e gli scrittori Volker Braun e Richard Pietraß hannocompiuto un primo bilancio del panorama letterario tedesco contemporaneo non disgiunto dauna rivisitazione critica del recente passato della Repubblica Democratica tedesca.

45OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG19

XIV. Cesare Cases, Saggi e note di letteratura tedescaa cura di Fabrizio Cambi, 386 pp. € 15.50

Il volume, da tempo irreperibile, raccoglie scritti, composti fra gli anni Cinquanta e i primi anniSessanta, che spaziano dalla Aufklärung alla letteratura contemporanea e alla critica letteraria,in un’esplorazione dei processi culturali dettata dalla militanza delle idee e dalla ricerca di unaprospettiva interpretativa. La ristampa è corredata da una recente intervista all’autore.

46OSSERVATORIO CRITICO

della germanistica

CG19

Osservatorio Critico della germanisticaanno IV, n. 19Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche - Trento 2001

Direttore Responsabile: Massimo Egidi

Redazione: Fabrizio Cambi, Alessandro Fambrini, Fulvio FerrariComitato esterno: Luca Crescenzi, Guido Massino, Lucia Perrone Capano, Grazia Pulvirenti,Aldo Venturelli, Roberto VenutiProgetto grafico: Roberto MartiniImpaginazione: C.T.M. (Luca Cigalotti)Editore: Maria Pacini Fazzi Editore - Lucca

Periodico quadrimestrale (febbraio, giugno, ottobre)Abbonamento annuale (tre numeri): € 12,91Abbonamento estero: € 18,59Numero singolo e arretrati: € 5,16

Modalità di abbonamento: versamento sul conto corrente postale numero 11829553 intestatoa: MARIA PACINI FAZZI - LUCCA, specificando nella causale sul retro ABBONAMENTOANNUALE A ‘OSSERVATORIO CRITICO DELLA GERMANISTICA’, e indicando nome,cognome, via e numero, c.a.p., città, provincia e telefono, oltre al numero di partita i.v.a. per glienti, istituzioni, aziende che desiderano la fattura.

Manoscritti di eventuali collaborazioni e libri da recensire vanno indirizzati ai componentidella redazione presso il Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche,via S.Croce 65, 38100Trento (tel. 0461/881718, 0461/882709 o 881739; fax. 0461/881751; [email protected]).

Amministrazione e pubblicità: MARIA PACINI FAZZI EDITORE S.R.L., piazza S. Romano16 - casella postale 173 - 55100 Lucca; tel. 0583/440188 - fax 0583/464656; [email protected]

Stampa: Tipografia Menegazzo - viale S. Concordio 903 - LuccaLuglio 2002

periodico in attesa di registrazione presso il Tribunale di Lucca

ISSN

OSSERVATORIO CRITICOdella germanistica

Università degli Studi di Trento

III - 8€ 5,16

VII - 19

INDICE

Anna Maria CarpiHeinrich von Kleist, Michael Kohlhaas, a cura di Hermann Dorowin 1

Elena AgazziMaurizio Pirro, Anime floreali e utopia regressiva. Salomon Geßner e la tradizionedell’idillio 2

Mario ZanucchiGiovanni Sampaolo, Proserpinens Park. Goethes „Wahlverwandtschaften“ als Selbstkritikder Moderne 5

Maurizio PirroMax Kommerell. Leben – Werk – Aktualität. Hrsg. von W. Busch und G. Pickerodt 9

Gabriella RovagnatiElena Agazzi, La memoria ritrovata. Tre generazioni di scrittori tedeschi e la coscienzainquieta di fine Novecento 12

Gabriella RovagnatiW. G. Sebald. Text+Kritik. Zeitschrift für Literatur. Hrsg. Heinz Ludwig Arnold 14

Beate BaumannKonrad Ehlich, Angelika Steets, Wissenschaftlich schreiben – lehren und lernen 16

Marina FoschiClaudio Di Meola. La linguistica tedesca. Un’introduzione con esercizi ebibliografia ragionata. 19

Federica Ricci GarottiManfred Wildhage und Edgar Otten (Hrsg.), Praxis des bilingualen Unterrichts 21

Eva-Maria ThüneSusanne Even, Drama Grammatik. Dramapädagogische Ansätze für denGrammatikunterricht Deutsch als Fremdsprache 24

Eva-Maria ThüneClaus Ehrhardt, Beziehungsgestaltung und Rationalität 26

Sabine StrickerDas europäische Sprachenportfolio (ESP) 32

SCHEDE 37

INTERVENTI 39

SEGNALAZIONI 40