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RASSEGNA STAMPA ILVA E'«colpa» degli operai. Pubblicato il dossier sullo stato dell'Ilva di Taranto, il nuovo regno dei Riva. Gli infortuni Per i padroni sono frutto dei prepensionamenti con la legge amianto. Nello stabilimento troppi in «formazione lavoro» ORNELLA BELLUCCI. TARANTO. «Puntiamo sulla sostenibilità economica, ambientale e sociale. Sarà questo il criterio di riferimento delle nostre azioni future». A parlare così è Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali del gruppo Riva. Il cuore del sistema è l'Ilva di Taranto, «lo stabilimento più grande d'Italia», spiega Giorgio Zambeletti, responsabile delle relazioni esterne che aggiunge: «Merito nostro, ma anche della deindustrializzazione degli altri». Ieri il «gotha dell'Ilva» ha presentato il bilancio sociale dello stabilimento. I dati del dossier, curato dal gruppo Comunità & Impresa, sono del 2001. Lo stabilimento tarantino produce sette milioni di tonnellate di acciaio annui per un valore aggiunto netto di 632,7 milioni di euro. Gli introiti sono così suddivisi: 58,5 per salari e stipendi, 9,9 per i creditori, 11,3 allo stato (imposte dirette), 19,2 all'impresa. I Riva hanno concentrato l'85% del totale degli investimenti sull'Ilva di Taranto, un vero regno dell'acciaio. A produrre lamine e tubi sono impiegati tredicimila dipendenti, metà dei quali assunti con contratti a termine. Dopo la privatizzazione del 1995 il turn over è stato impressionante. «Colpa dei prepensionamenti per amianto», dice Alberto Martinelli del gruppo Comunità & Impresa, etichettando quindi come una «colpa» il fatto di potersi ammalare lavorando in fabbrica. E De Biasi rincara la dose: «In nessuno stabilimento italiano la legge sull'amianto è stata applicata tanto massicciamente. Usciti i cinquantenni, ci siamo ritrovati con una fabbrica di contratti di formazione lavoro. Questa è la principale causa degli infortuni». L'Ilva cita di sfuggita che i pensionamenti per amianto pesano sulla previdenza statale. Ma omette che, con ottomila contratti a termine, ha beneficiato di una feroce contrazione del costo del lavoro, e di un'enorme arma di ricatto nei confronti dei nuovi assunti, chiamati con un bell'eufemismo stakeholder. Il piano industriale 2003-2007 prevede lo stanziamento di 1.088 milioni di euro per la bonifica dello stabilimento. Perché i lavori comincino è necessario che il ministero dell'Industria recepisca le «Bat», norme europee che stabiliscono l'ecocompatibilità degli impianti. Ma il decreto ancora non c'è, così Riva può continuare a temporeggiare su quei punti dell'accordo di tutela ambientale siglato l'8 gennaio con sindacati e enti locali. Ma perché il governo temporeggia sulle «Bat»?«Perché ogni regolamentazione non è vista di buon occhio», spiega Riccardo Nencini, segretario nazionale della Fiom: «L'arretratezza culturale dell'esecutivo

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RASSEGNA STAMPA ILVA

E'«colpa» degli operai. Pubblicato il dossier sullo stato dell'Ilva di Taranto, il nuovo regno dei Riva. Gli infortuni Per i padroni sono frutto dei prepensionamenti con la legge amianto. Nello stabilimento troppi in «formazione lavoro»

ORNELLA BELLUCCI. TARANTO. «Puntiamo sulla sostenibilità economica, ambientale e sociale. Sarà questo il criterio di riferimento delle nostre azioni future». A parlare così è Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali del gruppo Riva. Il cuore del sistema è l'Ilva di Taranto, «lo stabilimento più grande d'Italia», spiega Giorgio Zambeletti, responsabile delle relazioni esterne che aggiunge: «Merito nostro, ma anche della deindustrializzazione degli altri». Ieri il «gotha dell'Ilva» ha presentato il bilancio sociale dello stabilimento. I dati del dossier, curato dal gruppo Comunità & Impresa, sono del 2001. Lo stabilimento tarantino produce sette milioni di tonnellate di acciaio annui per un valore aggiunto netto di 632,7 milioni di euro. Gli introiti sono così suddivisi: 58,5 per salari e stipendi, 9,9 per i creditori, 11,3 allo stato (imposte dirette), 19,2 all'impresa. I Riva hanno concentrato l'85% del totale degli investimenti sull'Ilva di Taranto, un vero regno dell'acciaio.A produrre lamine e tubi sono impiegati tredicimila dipendenti, metà dei quali assunti con contratti a termine. Dopo la privatizzazione del 1995 il turn over è stato impressionante. «Colpa dei prepensionamenti per amianto», dice Alberto Martinelli del gruppo Comunità & Impresa, etichettando quindi come una «colpa» il fatto di potersi ammalare lavorando in fabbrica. E De Biasi rincara la dose: «In nessuno stabilimento italiano la legge sull'amianto è stata applicata tanto massicciamente. Usciti i cinquantenni, ci siamo ritrovati con una fabbrica di contratti di formazione lavoro. Questa è la principale causa degli infortuni».L'Ilva cita di sfuggita che i pensionamenti per amianto pesano sulla previdenza statale. Ma omette che, con ottomila contratti a termine, ha beneficiato di una feroce contrazione del costo del lavoro, e di un'enorme arma di ricatto nei confronti dei nuovi assunti, chiamati con un bell'eufemismo stakeholder.Il piano industriale 2003-2007 prevede lo stanziamento di 1.088 milioni di euro per la bonifica dello stabilimento. Perché i lavori comincino è necessario che il ministero dell'Industria recepisca le «Bat», norme europee che stabiliscono l'ecocompatibilità degli impianti. Ma il decreto ancora non c'è, così Riva può continuare a temporeggiare su quei punti dell'accordo di tutela ambientale siglato l'8 gennaio con sindacati e enti locali.Ma perché il governo temporeggia sulle «Bat»?«Perché ogni regolamentazione non è vista di buon occhio», spiega Riccardo Nencini, segretario nazionale della Fiom: «L'arretratezza culturale dell'esecutivo non coglie l'urgenza di definire standard per l'industria. Sarebbe un modo serio per irrobustire le imprese». Patron Riva, però, pone un'altra pesante condizione: «che gli impianti siano liberi da vincoli amministrativi e giudiziari». Il riferimento è alla magistratura tarantina che ha già imposto la chiusura di 4 batterie e ha sequestrato i parchi minerari. Il cruccio dei Riva è solo economico. La crisi del mercato siderurgico sembra aver violato anche i bilanci dell'ottavo produttore mondiale d'acciaio. Romolo Vescovi, responsabile delle relazioni istituzionali del gruppo, parla di perdite per 81 milioni di euro nel 2001, e di trend in discesa dal 2002: «Se a livello internazionale non si punta alla ripresa dell'economia andrà sempre peggio». Sul disastro ambientale è silenzio. Al massimo per l'Ilva «le emissioni di polveri producono disagi agli abitanti delle aree limitrofe alla fabbrica». Poco se si considera che a Taranto, area ad elevato rischio di crisi ambientale dal `94, le morti per tumore dal `71 al `98 sono raddoppiate (da 124 a 244). Decessi nel 40% dei casi attribuibili all'inquinamento industriale. Sulle emissioni il dossier è vago. L'unico dato che l'Ilva si lascia sfuggire riguarda le polveri: 14 mila tonnellate prodotte nel solo 2001.

Il Manifesto 31/07/03

Ilva, la rivincita degli emarginati 'Risarciti dopo anni di mobbing'

«Alla fine, abbiamo vinto noi: i negri con l' anello al naso, così come ci chiamava Emilio Riva. è una soddisfazione, dopo che il padrone dell' Ilva ci aveva umiliato. Del sottoscritto diceva che ero

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un vagabondo, un fannullone, uno stupido, che per entrare nell' azienda siderurgica più grande d' Europa mi avevano raccomandato. Contento lui... La realtà è che questo sciocco, andato in pensione, gli ha fatto avere una condanna a due anni e tre mesi. Adesso l' Inail ha anche concesso a me ed altri sei ex dipendenti, un vitalizio: il mobbing di cui siamo stati i bersagli preferiti è considerata una malattia professionale e, come tale, da risarcire. Un segnale positivo, questo, per tutte le "palazzine Laf" che esistono in Italia, ma che non sono ancora saltate fuori». Vincenzo ha 54 anni di cui più della metà passati a sgobbare nella "città dell' acciaio", una moglie, due figli. Per la prima volta in Italia, a Taranto, gli ispettori dell' Istituto nazionale contro gli infortuni sul lavoro indennizzano sette impiegati della vecchia Italsider che erano stati terrorizzati psicologicamente da chi avrebbe dovuto tenerli in "servizio permanente effettivo". Li teneva chiusi, invece, nell' ormai nota quanto triste palazzina Laf (Laminatoio a freddo): con le mani in mano. «Un reparto punitivo» racconta Marisa Lieti, una psichiatra che dirige per conto dell' Asl Taranto 1 il centro destinato a curare le malattie legate allo stress da lavoro e al disadattamento lavorativo. In pratica, l' unico centro del Sud Italia dove è possibile diagnosticare casi di mobbing. è la stessa dottoressa Lieti che a novembre del 1998, denuncia sulle pagine di Quotidiano lo "scandalo Laf": «Molti dipendenti confinati nella palazzina si sono rivolti a me, quasi tutti soffrono di malattie mentali, almeno una volta hanno pensato di uccidersi... Nella città in cui abito, dove non è mai esistito un ospedale psichiatrico, esiste addirittura un lager: per tutti quelli che non hanno accettato "volontariamente" il passaggio dalla qualifica d' impiegato a quella d' operaio oppure di cambiare orario di lavoro... Settanta fra tecnici, laureati, quadri e dirigenti sono tenuti in un posto dove ci sono solo scrivanie, ma non c' è un computer né una macchina per scrivere, un telefono o un fax... So per certo che i dirigenti dell' Ilva (tutti del Nord) vengono a Taranto il lunedì mattina, dormono nella foresteria e vanno via il mercoledì, senza avere il minimo rapporto con i tarantini. Del resto, considerandoci albanesi, perché dovrebbero?». Una bomba ad orologeria, la "lettera aperta" della Lieti. Ad esplodere è un' inchiesta della Procura sul "reparto della vergogna". Finirà tre anni dopo con undici imputati, tra cui il presidente dell' Ilva, condannati per tentativo di violenza privata. «Dovevo fare qualcosa» ricorda con i tempi che corrono, la Lieti. Alla fine di quest' estate, poi, l' assegno dell' Inail a sette dei settanta "reclusi": un altro successo, per la Signora anti-mobbing. Vincenzo è uno dei "reduci" usciti vittoriosi dalla guerra, legale e morale. «Mi avevano assunto all' Ilva nel 1972, come manovale. Ma un mese e mezzo più tardi, ero diventato operaio specializzato. Nel 1994 privatizzano l' azienda. L' anno successivo avevo la responsabilità del parco automezzi, della manutenzione delle macchine da scrivere computerizzate, della lavanderia, della mensa per 12 mila dipendenti, della cassa destinata alle piccole spese quotidiane, biglietti aerei e quant' altro. Però nel 1997, senza alcun motivo, mi propongono la "novazione": di passare, cioè, da impiegato tecnico d' ottavo livello ad operaio. Rifiuto e mi ritrovo, con altri colleghi, a non fare nulla all' interno della palazzina Laf, tra scrivanie sgangherate, poche sedie, finestre che non si chiudevano, fili elettrici a vista... Mi riducevo a passeggiare nel corridoio, come succede negli ospedali psichiatrici, ho assistito a tre tentativi di suicidio, ho cominciato a soffrire di claustrofobia, quando andavo alla mensa nessuno mi rivolgeva la parola: avevano paura di fare la mia stessa fine, erano minacciati, non dovevano avere nessun tipo di rapporto con noi della palazzina Laf. Ogni quindici giorni ero convocato nell' ufficio del personale dove mi riproponevano la "novazione". Sono andato avanti così fino al 3 dicembre del 1999: "O accetti d' essere retrocesso ad operaio o ti dimetti spontaneamente o finisci in cassa integrazione". Fui messo in cassa integrazione». A distanza di quattro anni - «Prima d' essere destinato alla palazzina Laf non avevo disturbi di natura psichica» - la rivincita. «Spesso la disperazione ha vinto le battaglie. Com' ero disperato io e quelli nelle mie stesse condizioni. La speranza è che gli organi di vigilanza tengano gli occhi sempre bene aperti sul mondo del lavoro. D' altra parte il mobbing, per le aziende, è un boomerang: chissà se l' hanno capito».

La Repubblica - 4 settembre 2003

'Sicurezza non garantita' e all' Ilva sale la tensione

TARANTO - Per l' Ilva è stato un flop, per i sindacati un successo. Lo sciopero, indetto dalle sigle dei metalmeccanici, ha bloccato la grande fabbrica tarantina. L' azienda parla di un' adesione

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attestata intorno al 16 per cento del personale. Non è d' accordo il sindacato che invece sfoggia un 60 per cento, escludendo le unità "comandate", ovvero precettate a non disertare i reparti. Un dato flessibile, spiegano le organizzazioni dei lavoratori, visto che hanno incrociato le braccia operai sui tutti e tre i turni. Ieri intanto il sindaco Rossana Di Bello ha inviato una lettera al neo presidente della Confindustria Montezemolo per invitarlo a Taranto: città emblematica della scolta che il nuovo capo degli industriali invoca. Sullo sciopero di ieri al di là della solita guerra delle cifre, Fim, Fiom e Uilm pongono l' accento sul tema dell' agitazione: la sicurezza. Gli incidenti sono la spia di un malessere crescente con la proclamazione di una raffica di scioperi che minacciano di rallentare la produzione di acciaio. Nel periodo pasquale l' ultima morte bianca. Un operaio, Saverio Paracolli, fu ucciso da un tubo sbalzato dalla macchina cianfrinatrice sulla quale stava lavorando. Venerdì 21 maggio, invece un altro infortunio avvenuto nella Acciaieria 1. Silvio Murri, 40 anni, è precipitato da un ponteggio ed è tuttora ricoverato nell' ospedale di Taranto in gravi condizioni. Immediata la risposta dei metalmeccanici che hanno dichiarato aperta la mobilitazione e chiamato a raccolta le maestranze su iniziative di lotta finalizzate a mettere spalle al muro i vertici aziendali per investimenti più massicci nel campo della sicurezza. Migliorare le condizioni di lavoro, applicare le precise pratiche operative previste dalle normative, legge 626 in primis, impiegare risorse crescenti per aggiornare e informare i lavoratori, secondo i sindacati, possono evitare che il colosso dell' acciaio diventi fabbrica di morte. "Dobbiamo debellare questo triste primato - attacca Rocco Palombella, segretario generale della Uilm -. Un programma di scioperi così intenso e concentrato in un brevissimo periodo di tempo, non si è mai verificato nella storia dello stabilimento». Parla di "partecipazione di massa dei lavoratori" Franco Fiusco, segretario della Fiom/Cgil: "è cresciuta in fabbrica la sensibilità degli operai sui temi dell' infortunistica ". ANGELO LONGO

La Repubblica 29 maggio 2004

Lavorare all’inferno! Solidarieta’ agli operai dell’Ilva di Taranto

Le perdite d’acqua sotto il forno sono di gran lunga superiori alla soglia di sicurezza , la reazione tra acqua e ghisa provoca esplosioni in acciaieria, dove lavorano 2.500 operai su 13.500 occupati nella fabbrica.Sul campo di battaglia, dove si combatte la quotidiana guerra per un pezzo di pane, restano morti, corpi mutilati, feriti gravi che per mesi poi languono tra la vita e la morte in ospedale, chi sopravvive rimane pesantemente invalidato per sempre.Per il padrone Riva e i suoi “fiduciari” nei reparti, addetti al controllo a vista degli operai, è tutto regolare. Nonostante la totale mancanza di sicurezza, il forno non si può fermare, anzi gli ordini sono di caricarlo all’inverosimile per la massima resa, il profitto non ammette pause o deroghe, al consumo degli operai.

Bollettino morti e feriti

200421 gennaio infortunio zona Siviere22 gennaio operaio perde un dito in acciaieria26 gennaio infortunio in acciaieria e 1 FNA 227 gennaio infortunio AFO 5 MNA con frattura di tibia e perone17 febbraio un lavoratore si spezza un braccio in un nastro10 marzo un lavoratore si frattura 4 dita11 marzo un lavoratore si frattura il polso, 1 il bacino e 1 si procura contusioni varie 17 marzo 2 operai inalano gasAprile muore Silvio Paracolli al TUB 1 (nel 2003 analogo incidente; un altro operaio perde la gamba)30 maggio muore Silvio Murri, ponteggiatore, cade da 7 metriGiugno 3 ustionatiDa giugno a dicembre decine d’infortuni più o meno gravi

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Inizio 2005 lo stesso. E mentre stiliamo questa mozione la mattanza continua: 5 sett. operaio ustionato, 6 sett. operaio lesionato alla gamba, 9 sett. operaio di 24 anni muore schiacciato da una trave d’’acciaio.In totale gli operai ustionati sono una decina, qualcuno è ancora in pericolo di vita, un operaio ha perso le gambe e si potrebbe continuare. Dei tanti infortuni mortali, ricordiamo per tutti il giugno 2003, quando morirono 2 ragazzi operai.

“Codice 3”,  elemento da eliminare.Operai e delegati che cercano di far qualcosa sono pesantemente minacciati dai responsabili, con pretestuose misure disciplinari per farli desistere, dicono che tutto è concordato col sindacato e purtroppo quasi sempre è vero. L’azienda fa di tutto per zittire ed emarginare il minimo sussulto incontrollato, ricorre anche ad accuse e maltrattamenti, trasferimenti e sospensioni sono all’ordine del giorno. Tenta di screditare e isolare dai compagni di lavoro gli “elementi scomodi”, che vengono schedati nelle liste nere: “codice 3”, significa elementi da licenziare con qualche pretesto, mentre chi fa malattia o infortunio viene schedato come elemento “sensibile” e messo anche lui in lista di “allontanamento” dalla fabbrica.

Basta col sindacalismo compiacente!I sindacati collaborazionisti e i loro delegati nelle Rsu, come l’azienda si preoccupano di non interrompere il ciclo produttivo, lasciano consumare gli operai in questo inferno! Proclamano sporadici scioperi, evitano di mobilitare anche altre realtà locali e non; anzi concedono al padrone Riva l’accordo per ristrutturare l’Ilva di Genova, senza unire le 2 fabbriche e mettere sul tappeto l’inferno di Taranto. Più i dirigenti sindacali sono compiacenti, più l’Ilva ne approfitta: a Taranto mette sul tavolo nove lettere di licenziamento di cui 2 sono delegati, delegati della Fiom, come ritorsione all’intervento dell’Asl, che ha fermato l’impianto e fatto intervenire la magistratura.

Sindacalismo operaio per organizzare la resistenza.Tra mille difficoltà all’Ilva si cerca di alzare la testa. La prepotenza di Riva và ridimensionata, è durata a lungo, ed è costata la vita a troppi operai. Sono gli operai che mandano avanti alti forni, acciaierie, laminatoi, sono loro che possono fermare la produzione in qualunque momento. Non c’è bisogno di aspettare che qualche burocrate sindacale dia il permesso per scioperi fiacchi e festaioli. Operai e delegati più coscienti e coraggiosi in contatto coi punti nevralgici dei reparti, lavorano insieme per preparare una risposta adeguata. Non lasciamoli soli! Viva il sindacalismo operaio.Operai e delegati delle fabbriche

Nuova Unità – 15/09/05

ANCORA UNA VITTIMA INNOCENTE PER IL LAVORO ALL’INTERNO DELLO STABILIMENTO ILVA

Non ce l’ha fatta, purtroppo, Andrea D’Alessano l’operaio della ditta di appalto Modomec che il 2 giugno scorso era stato vittima dell’ennesimo infortunio avvenuto all’interno dell’Ilva mentre nei pressi dell’altoforno 4, in attesa di prendere l’ascensore, veniva colpito alla testa da un pesante martello caduto dall’alto.Dopo una settimana di ricovero all’Ospedale di Taranto, sempre rimasto in coma, il giovane operaio di 19 anni, nella giornata di sabato è morto.Il sindacato e tutti i lavoratori partecipano al dolore della famiglia e si augurano che questo stillicidio abbia fine. Per questo si invitano tutti i lavoratori a tenere alta la guardia sui temi della Sicurezza in fabbrica e si chiede con forza agli Enti preposti un maggior impegno per la salvaguardia della salute e della sicurezza su tutti i posti di lavoro.

Punto FIOM – 11/06/07

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Parla la vedova dell’operaio Ilva di Taranto Silvio Murri: voglio giustizia per le morti bianche«La città non dimentichi»La forza di raccontare Patrizia Perduno la trova nel sorriso: «La mattina del 21 maggio 2004 mio marito è uscito di casa prestissimo per andare al lavoro. Non è più tornato. Lavorava su un ponteggio che è crollato. Dopo tre anni inizia il processo»

Fulvio Colucci -La forza di raccontare Patrizia Perduno la trova nel sorriso. «Si chiamava Silvio Murri, aveva 38 anni. Era un operaio dell’Ilva, soprattutto era mio marito. La mattina del 21 maggio 2004 uscì di casa prestissimo per andare al lavoro. Non è più tornato». L’incidente si verifica su un ponteggio nelle acciaierie. Murri ci lavora con altri tre operai (per loro nessuna conseguenza grave). Turni pesanti, impegnativi. Montare impalcature, smontarle, fare manutenzione. «Silvio diceva sempre di sì. Sperava nel contratto a tempo indeterminato e, intanto, dava l’anima per il lavoro. Anche sedici ore appresso al caposquadra. Mi chiedo però quanto possa rendere un uomo dopo una giornata così estenuante». Improvvisamente la struttura cede e Murri precipita al suolo battendo la testa su un oggetto metallico. «Per lui fu subito grave», racconta Patrizia Perduno, sgranando lentamente le parole. La sua figura minuta si tende come un arco, mentre le mani cercano di afferrare qualcosa che nel vuoto non esiste. Per un secondo, un secondo solo, cede al dolore: «Silvio diceva che entrare nella grande fabbrica significava riscattare anni e anni di lavoro nero. Sarebbe stata la soluzione dei nostri problemi. Invece lì ha trovato la morte». Il ritmo del racconto riprende a salire: «Alle 14,30 ricevetti una telefonata, non ho mai saputo da chi, non ricordo nemmeno le parole: fu il tono a farmi capire che era successo qualcosa a mio marito». Poi, la sequenza rapidissima che impasta al ricordo i colori delle emozioni più dure: «Vidi uscire Silvio dalla sala Tac, su una barella, sembrava dormisse. Era sporco di nero sul viso, su tutto il corpo, come se l’avessero estratto da una miniera. Sembrava dormisse, ma non era addormentato. Lo chiamavo, gridavo il suo nome. Non mi rispondeva». La disperata corsa all’ospedale SS. Annunziata è vana: «I medici mi dissero che era in coma profondo a seguito della caduta. Non si è più risvegliato. Nove giorni di agonia nel reparto di rianimazione. Senza potergli nemmeno tenere la mano». Ma perché raccontare? E soprattutto per chi raccontare? «Lo devo a nostro figlio. Quel giorno di maggio, aveva otto anni, capì tutto. Era alle prese con i compiti. Gettò i libri per terra e pianse di rabbia. Oggi mi dice: cerco la voce di papà, faccio fatica a ricordarla...». Patrizia Perduno ricorda quei giorni, per lei sempre vicinissimi: «Era ieri. Sono passati tre anni. Già, perché raccontare? Perché chiedo giustizia, ma non è solo questo». Il prossimo dieci dicembre la prima udienza del processo per l’incidente in cui è morto Silvio Murri. Quanto vale la vita di un uomo? «La giustizia, la giustizia certo. Ma anche la città, la città che deve sapere, anzi: non deve dimenticare». Nelle parole di Patrizia un sussulto lieve, quasi una increspatura a sollevare il velo che cinge la grande rabbia: «Per l’incidente in sé - spiega - ma anche perché dopo la morte di Silvio non sono stata avvicinata più da nessuno né per un conforto né per una spiegazione di quanto accaduto. Nessuno dell’Ilva; nessuno di quelli che in quei giorni dicevano “con Silvio eravamo amici” e si mostrava solidale. Spariti tutti. Eppure i ritagli stampa raccontano di commozione e rabbia ai funerali di Silvio, il 31 maggio del 2004. In tanti accompagnarono il lavoratore nell’ultimo viaggio. «L’Ilva difenda i suoi operai» ammonì il parroco di San Giovanni Bosco, celebrando le esequie. Quasi profetico, il sacerdote esortò a non dare alla famiglia «una solidarietà di facciata». «Vivo della pensione lasciatami da mio marito ed è dura», riprende a raccontare Patrizia Perduno. «I miei cari sono sempre stati vicini a me e a mio figlio, ma quando restiamo soli a casa i ricordi pesano, specie quando scende il silenzio». Della memoria di Silvio Murri, la moglie non desidera essere vestale solitaria: «La città deve ricordare». Una esortazione che la giovane donna vuol trasformare in dovere civile. Scrisse nei giorni della morte di Silvio un suo collega tramite e-mail: «Ma a chi importa dei nostri scioperi? Non provocano disagio a nessuno e nessun danno alla società». Solo pochi mesi fa giovani operai dell’Ilva hanno denunciato, alla “Gazzetta”, la lontananza della città: «Non sanno cos’è la paura di non tornare a casa.

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Non sanno di noi, delle nostre ansie, delle mogli a casa, appese al filo del Televideo col timore di veder comparire la notizia: incidente mortale all’Ilva» . Patrizia Perduno riprende il cammino: «Il momento peggiore - spiega - è quando al risveglio mi rendo conto che mio marito non è più qui. Al suo posto, ora, c’è nostro figlio. Lui mi ha ridato un motivo per vivere. Ricordo cosa mi diceva sempre Silvio: stai attenta al bambino. Non posso deluderlo. Un grande aiuto morale l’ho trovato nell’associazione “12 giugno” che riunisce i familiari delle vittime sul lavoro. Insieme condividiamo il dolore». «Una cosa mi rende più tranquilla - dice Patrizia mentre le parole tornano a scivolare sul crinale di un sorriso mite - ed è il fatto che in qualche modo mio marito Silvio vive ancora. In quel tragico momento presi la decisione di donare i suoi organi». Una vita dalla quale sono germogliate altre vite. A Silvio Murri sono stati espiantati cuore, reni, cornee e fegato come narrano le cronache. Il seme del dolore. Giustizia e memoria: «Perché quella delle morti bianche è una guerra - spiega ancora Patrizia - con i suoi bollettini quasi giornalieri. L’ultimo incidente mortale all’Ilva risale alla scorsa estate, un ragazzo di 26 anni di Palagiano. Solo 26 anni... Se la magistratura accerta responsabilità penali, chi ha sbagliato deve pagare». Il tono del racconto diventa improvvisamente più aspro, parole scagliate come sassi. Tornano alla mente le sensazioni che provò a trasmetterci un giovane operaio, intervistato dalla “Gazzetta” lo scorso agosto: «L’infortunio mortale è come il mare. Non fa differenza tra la tempesta ed una bella giornata di sole. Ti prende e ti porta via con sé». «Come si fa a spiegare ad un bambino che non rivedrà più suo padre solo perché è andato a lavorare? Ecco io vorrei girare questo interrogativo ai tarantini. Desidererei ottenere una risposta», chiosa Patrizia Perduno mentre getta uno sguardo alla città, la città distratta e indaffarata, che corre, cieca, nel mattino appena rischiarato da una pallida luce. «L’operaio è una persona, non una macchina. Ma l’industria, oggi, e soprattutto chi la dirige, non sembra ricordarselo. Non si può pensare solo alla produzione». Patrizia Perduno cerca giustizia, ma non punta l’indice. Vuol solo sapere, capire. «Mio marito aveva 38 anni - ripete - ed è assurdo morire così. Di lui mi resta un bacio all’alba e la sua preoccupazione per quel mal di testa che la mattina dell’incidente lo tormentava. Gli dissi di non andare al lavoro, ma lui non mi ascoltò». «Ai sindacati rimprovero di non impegnarsi abbastanza per garantire la sicurezza degli operai», chiude Patrizia senza emozione. Sembra ritrovarsi, nelle sue parole, l’anello mancante della profezia che trent’anni fa formulò sulle colonne del “Corriere della Sera” Walter Tobagi: «Vista da quaggiù, l’autonomia del sindacato sembra indefinibile come un’araba fenice». Tobagi parlava del suo presente, ma guardava al futuro. Non sapeva che un giorno di molti, troppi, figli dei «metalmezzadri», sarebbe rimasta traccia in quell’arcobaleno che al mattino sale dai parchi minerali irrorati d’acqua.

Gazzetta del Mezzogiorno 24/11/07

'Il lavoro non può costare la vita' a migliaia in piazza a Taranto

TARANTO - Taranto ha celebrato con una tavola rotonda al mattino e la sera in piazza Garibaldi la giornata in memoria delle vittime del lavoro. Una data, il 12 giugno, tristemente nota nella città: cinque anni fa, morivano Paolo Franco e Pasquale D' Ettorre, in un incidente all' Ilva. Presente don Luigi Ciotti, presidente dell' associazione Libera.I sei morti in Sicilia, le cinque vittime di Molfetta. Il 2008 è iniziato in modo drammatico sul fronte della sicurezza sul lavoro. Taranto segnata dallo stillicidio delle morti bianche è stata ieri la capitale della rivolta contro questa catena di sciagure. Una tavola rotonda al mattino, nella biblioteca comunale. Poi, la sera, in piazza Garibaldi, le parole di don Luigi Ciotti, presidente dell' associazione Libera, alla presenza del sindaco Ippazio Stefàno, del presidente della Provincia Gianni Florido e del prefetto, Alfonso Pironti. Così ieri Taranto ha voluto ricordare, e celebrare, i morti sul lavoro. Non a caso il 12 giugno: perché era il 12 giugno di cinque anni fa, quando morivano Paolo Franco e Pasquale D' Ettorre, in un incidente all' Ilva, acciaieria più grande d' Europa e teatro di tante morti bianche. E "12 Giugno" ha scelto di chiamarsi l' associazione che questa iniziativa ha fortemente voluto ed organizzato. Sono 53, tra città e provincia, i soci raggruppatisi sotto questo nome, che hanno scelto l' urlo silenzioso del celebre dipinto di Munch come proprio simbolo. Tutti familiari di vittime del lavoro. A loro ha scritto anche il presidente della

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Repubblica, Giorgio Napolitano: in un telegramma letto in serata dal gazebo al centro della piazza, Napolitano ha espresso "vivo apprezzamento per il sostegno offerto alle vittime di incidenti sul lavoro e alle loro famiglie, e per l' importante opera di sensibilizzazione che il sodalizio promuove sul tema della sicurezza sui luoghi di lavoro, nel doveroso ricordo dei due giovani operai che cinque anni fa persero tragicamente la vita a Taranto, nello svolgimento delle loro funzioni". In piazza ci sono, gli uni vicini agli altri, i bersaglieri nelle loro divise ed i ragazzi del centro sociale Cloro Rosso, i gonfaloni di Comune e Provincia e gli striscioni degli ambientalisti. C' è pure Alessandro Sortino, ex delle Iene oggi con la telecamera de La7, che fa arrabbiare il sindaco Stefàno. Prima dell' inizio della celebrazione Sortino gli chiede se sulla vertenza ambientale l' Ilva possa far pesare gli oltre 10.000 lavoratori che sfama, e Stefàno risponde che "non si faranno sconti" sul tema ambientale e che lui "sono quarant' anni, da medico prima che da politico" che si occupa di queste tematiche. Non c' è il presidente della Regione, Nichi Vendola. Al suo posto l' assessore Barbieri. Don Luigi Ciotti, nel suo intervento, ha sottolineato come "non si possa morire per il lavoro, per la mancata manutenzione di un impianto, perché non si fanno le necessarie verifiche. Ma non si può neppure essere costretti a vivere male per il lavoro, senza garanzie. L' Italia è l' ultimo Paese d' Europa in tema di sicurezza sui posti di lavoro. Non ci sono parole da dire a chi ha perso un figlio in questo modo. Bisogna solo stargli vicino, dimostrargli che si condivide con lui un dolore così grande". A Taranto, don Ciotti è venuto per "ricordare tutti i lavoratori che hanno pagato con la loro vita l' insicurezza sul posto di lavoro". La piazza, però, non è riuscita a riempirsi. Quella stessa piazza che mercoledì aveva fatto da palcoscenico all' opera portata in scena dall' attore tarantino Alessandro Langiu, "25.000 granelli di sabbia", storia di lavoro e di morte ambientata nel rione Tamburi, quello dei palazzi diventati rossi per la sabbia sporca dei parchi minerali del Siderurgico. La rappresentazione ha fatto da prologo alla giornata di ieri. Le immagini del lavoro e della fabbrica, in una mostra fotografica a cura della Scuola Edile, sono state esposte .

La Repubblica 13 giugno 2008

Nuova tragedia nello stabilimento pugliese: il lavoratore travolto da un gancioL'altra vittima è un giovane precipitato da venti metri: riparava un tetto Due operai morti sul lavoro in Umbria e all'Ilva di Taranto

TARANTO - Sale il conto delle vittime delle morti bianche. A Taranto un operaio di 45 anni, Antonio Alagni, è morto schiacciato da un gancio dal peso di un quintale. In Umbria un giovane operaio di Città della Pieve è precipitato dal tetto di un'antica costruzione di parrano. Un volo da 20 metri di altezza che non ha lasciato scampo al giovane. Il ragazzo sarebbe salito sul tetto per aggiustare qualcosa sulla copertura della costruzione anche se ufficialmente il suo lavoro era quello di rimettere in sesto la vecchia rete idraulica. Nel pomeriggio l'altro incidente mortale nello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto. La vittima era originaria di Casoria (NA) e lavorava per la 'P&P', una ditta appaltatrice che si occupa della manutenzione. Alagni era impegnato con altre due persone nella movimentazione di due grosse lastre d'acciaio della lunghezza di 15 metri, imbragate su una gru quando improvvisamente la gru ha ceduto provocando la caduta di un pesante gancio detto 'bozzello'. Secondo quanto reso noto dall'azienda in un comunicato, l'incidente è stato causato dallo staccamento del bozzello che ha colpito l'operaio alla testa. "Il distacco del bozzello - spiega la nota - è accaduto per la recisione delle funi che lo legavano alla struttura del macchinario per cause al momento in fase di accertamento". L'uomo è morto sul colpo. Sul posto si è recato il procuratore della Repubblica aggiunto di Taranto Franco Sebastio che ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo. L'Ilva, che ha espresso il proprio cordoglio alla famiglia dell'operaio, "sta investigando sull'incidente e continuerà a farlo sino a quando non si avrà un quadro chiaro e completo dell'accaduto e saranno accertate le cause". I delegati Fiom, Fim, Uilm hanno chiesto subito un incontro con la direzione ma nel frattempo hanno già avviato alcune iniziative: dalle 15 sono in sciopero gli operai dell'acciaieria 1 e dalle 23 di questa sera, al cambio del turno, inizierà uno sciopero di tutto lo stabilimento che durerà 24 ore.

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Non si sono fatte attendere le reazioni. Per Dino Tibaldi, responsabile lavoro del Pdci, "grandi aziende - prosegue - seguitano a violare le leggi in materia di sicurezza sul lavoro ed il governo sta a guardare. Gli strumenti per contrastare questa strage quotidiana ci sono, basterebbe utilizzarli e stare al fianco dei lavoratori che chiedono tutele e sicurezza". Il governatore della Puglia Nichi Vendola ha ricordato che "la Regione aveva segnalato sin dalla prima riunione ministeriale del maggio 2007 che l'area degli appalti in Ilva poneva i problemi più seri". Lo stabilimento pugliese era stato teatro di un incidente mortale appena due mesi fa quando un operaio albanese di 47 anni, Gjioni Arjian, anche lui di una ditta esterna, aveva perso la vita cadendo da una passerella. Dal 1993 sono oltre quaranta le persone morte all'Ilva di Taranto: otto solo negli ultimi due anni.

La Repubblica - 1 luglio 2008

Taranto operai morti all'Ilva. 6 condanne, assolto Emilio Riva

TARANTO - Un'assoluzione, per il presidente del Cda dell’Ilva Emilio Riva, e sei condanne – per tre dirigenti del siderurgico tarantino e per altrettanti dirigenti della ditta appaltatrice Cemit – al processo per l’incidente in cui morirono Paolo Franco, di 24 anni, di San Marzano di San Giuseppe (Taranto), e Pasquale D’Ettorre, di 27, di Fragagnano (Taranto), gli operai dell’Ilva schiacciati da una delle gru usate per movimentare le materie prime del parco minerali del siderurgico. L’incidente risale al 12 giugno 2003.La sentenza è stata emessa dal giudice monocratico Valeria Ingenito, che ha assolto «per non aver commesso il fatto» Riva, e ha condannato a pene comprese tra un anno e quattro mesi e un anno di reclusione gli altri sei imputati. La pena più alta è stata inflitta a Luigi Capogrosso, direttore dell’Ilva; un anno di reclusione ciascuno invece per i dirigenti dell’Ilva, Salvatore Zimbaro e Giancarlo Quaranta, e per i dirigenti della Cemit Gerardo Pappalardo, Antonio Pinto e Giuseppe Bruno.Il pm contestava il concorso in omicidio colposo plurimo e violazioni alla normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. E’ stato anche disposto il risarcimento dei danni ai familiari delle vittime, da liquidarsi in separata sede.

La Gazzetta del Mezzogiorno - 18 ottobre 2008

ILVA TARANTO . «Omicidio colposo» Arriva la condanna per sei dirigenti

ORNELLA BELLUCCI, TARANTO. Da ieri la morte di Paolo Franco e Pasquale D'Ettorre, i giovani operai Ilva caduti sul lavoro il 12 giugno del 2003, ha dei responsabili. Il giudice Valeria Ingenito, in primo grado, ha riconosciuto colpevoli di omicidio colposo plurimo e violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni, tre dirigenti dell'Ilva e altrettanti della Cemit, una delle tante ditte dell'indotto siderurgico. La pena più alta è stata inflitta a Luigi Capogrosso, direttore dello stabilimento, condannato a un anno e quattro mesi di reclusione; mentre gli altri - Salvatore Zimbaro e Giancarlo Quaranta per l'Ilva, Gerardo Pappalardo, Antonio Pinto e Giuseppe Bruno per la Cemit - sono stati condannati a un anno, pena sospesa. L'accusa ne aveva chiesti due per tutti, compreso Emilio Riva, presidente dell'Ilva, che invece è stato assolto «per non aver commesso il fatto». Per le spese processuali, i responsabili dovranno versare duemila euro a ciascuna parte civile - gli eredi di Paolo, padre madre e due sorelle, e l'Inail - mentre il danno civile sarà quantificato e risarcito in separata sede.L'infortunio che è costato la vita a Paolo e Pasquale e il ferimento di altri 12 operai, si è verificato nel parco minerali dell'Ilva. Sono rimasti schiacciati dal braccio della gru su cui stavano facendo manutenzione insieme ad altri lavoratori della Cemit e dell'Insider, le ditte dell'appalto incaricate della messa in sicurezza. La macchina, usata per movimentare le materie prime, quel giorno era ferma. A provocare il crollo sarebbe stato l'eccessivo contrappeso della gru. Le motivazioni della sentenza emessa ieri si conosceranno tra 90 giorni. Certo nel corso del processo il gioco al rimpallo delle responsabilità tra le parti sotto accusa non è mancato. Difesa della Cemit e difesa dell'Ilva hanno ribadito l'estraneità dei propri assistiti ai fatti. Mentre l'accusa era ferma nel dire

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che Riva, Capogrosso e Pappalardo, data l'eccezionalità dell'intervento che i lavoratori si apprestavano a fare, non avrebbero predisposto «un conveniente assetto organizzativo».Nella sua requisitoria finale l'avvocato Cesare Mattesi, che da sempre rappresenta l'Ilva nei processi penali, si è lamentato per la presenza in aula di un assessore dell'attuale giunta comunale (di centrosinistra). «Ha detto che avrebbe potuto condizionare la decisione del giudice» - riferisce Angelo Franco, padre di Paolo, trent'anni di lavoro in fabbrica e ora una croce sulle spalle. È stato lui a volere il processo, e arrivarci non è stato semplice. «A me sai che ha detto Mattesi?», continua, «che gli dispiace per la morte di mio figlio ma che il dolore materno, così ha detto, dovevo piangerlo per i fatti miei. Che il mio è un dolore improprio e strumentale». Quanto alla sentenza, Angelo Franco è deluso. «Deluso per l'assoluzione di Riva. Deluso per l'assenza dei lavoratori». Nell'aula semivuota del tribunale, c'erano varie associazioni e la Fiom Cgil. E sparsi qua e là i componenti dell'Associazione 12 giugno, che riunisce i familiari delle vittime del lavoro, la più numerosa.

Il Manifesto 18/10/08

Morte dell'operaio Ilva, tre condanne per omicidio colposo.Morti bianche Ieri emessa la sentenza di primo grado. Coinvolti un capo reparto e due tecnici Silvio Murri, nel 2004, stava smontando con altri due colleghi un ponteggio quando precipitò da circa otto metri

Vittorio Ricapito TARANTO — Il ponteggio che causò la morte di Silvio Murri era montato male. Lo ha stabilito la sentenza di primo grado emessa ieri dal giudice Francesco Cacucci. Condannati per omicidio colposo il caporeparto Luigi Buzzerio, un anno e quattro mesi ed i tecnici Giovanni Ritelli, un anno e due mesi e Giuseppe D'Aniello, un anno di reclusione.Per tutti la pena è stata sospesa. Loro, secondo il giudice, la responsabilità dell'incidente mortale, verificatosi nel maggio del 2004. Tre anni e sei mesi in tutto che si vanno a sommare con la pena del quarto imputato, il capo squadra Leonardo Contento, che aveva chiuso anzitempo il conto con la giustizia, con il patteggiamento ad un anno e quattro mesi.L'incidente si verificò all'interno dell'Ilva. Silvio Murri, operaio tarantino di 38 anni, stava lavorando ad un ponteggio, montato con un'inclinazione irregolare. Mancati controlli operativi e di sorveglianza, le cause alla base dell'incidente mortale. Silvio Murri morì dopo nove giorni di coma, per la commozione cerebrale rimediata col terribile impatto contro un oggetto metallico, dopo che il ponteggio al quale stava lavorando era rovinosamente crollato. «E' come se mio marito fosse qui oggi - ha commentato la moglie, Patrizia Perduno ascoltando la sentenza - era proprio il 22 dicembre del 2003 quando festeggiammo alla notizia della sua assunzione in Ilva. Non potevamo immaginare che, solo pochi mesi dopo quella maledetta mattina, sarebbe uscito di casa per non tornare più».Alla donna ed a suo figlio, costituiti parte civile con gli avvocati Petrone e Murianni, il giudice ha stabilito un risarcimento provvisionale di 20 mila euro ed un altro che verrà deciso dal giudice civile. Ad attendere la sentenza, dopo l'ennesima "morte bianca", non c'era il solito, triste, silenzio assordante.In tanti, ieri, si sono mossi per circondare d'affetto e solidarietà Patrizia Perduno che per quattro anni ha atteso quella sentenza in modo composto e dignitoso dichiarandosi fiduciosa nella giustizia. I primi a mobilitarsi sono stati i militanti dell'associazione «12 giugno», con il presidente Cosimo Semeraro presente a tutte le udienze. Avevano anche tentato di costituirsi parte civile, ma la richiesta non era stata accolta.In aula anche Angelo Franco che in Ilva ha perso il figlio Paolo, morto insieme ad un altro ragazzo, Pasquale D'Ettorre il 12 giugno del 2006, schiacciati da una gru. Insieme a loro tanti militanti ambientalisti, come Alessandro Marescotti, giunti in tribunale per confermare che le battaglie per l'inquinamento e per la salute passano anche per la sicurezza sui posti di lavoro.Un problema di grande attualità, come ricorda il segretario provinciale della Uilm, Rocco Palombella, che intervenendo sul blocco della metà degli impianti ha ricordato come tale decisione rischi di provocare un gran numero di esuberi anche fra i lavoratori dell'appalto, quelli meno tutelati e più a rischio infortuni perché meno preparati sulle norme di sicurezza.

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Corriere del Mezzogiorno - 23 dicembre 2008

L’Ilva e la città dei veleni dove la diossina arriva direttamente sulle tavole dei cittadini A Taranto si vive ancora nell'incubo. Sono già state abbattute 1.200 pecore, altre mille moriranno. Ma ad essere inquinati sono anche le cozze

Antonio Massari. C’è qualcosa che a volte, nella città di Taranto, accomuna uova e lumache, cozze e formaggio: un’alta percentuale di diossina. Quando nel 2008 Alessandro Marescotti, dell’associazione Peacelink, scoprì la percentuale di diossina nel pecorino prodotto alla periferia di Taranto, si allarmarono in parecchi. Era tre volte oltre i limiti di legge: 2 grammi di quel pecorino superavano la dose di diossina giornaliera tollerabile da un bambino di 20 chili. L’Asl confermò le sue denunce: da allora sono state abbattute 1.200 pecore, altre mille sono condannate a morte ed è stato interdetto il pascolo libero, nei terreni incolti, nel raggio di 20 km dall’area industriale.C’è da credergli, quindi, se oggi dice: “Le cozze andrebbero abbattute, oltre le pecore: in 100 grammi di cozze – spiega – si possono trovare anche 200 picogrammi di diossina: ben più dei 120 che si potevano ‘ingoiare’ mangiando 100 grammi della carne d’agnello che hanno abbattuto. La legislazione vigente, però, riserva a mitili e pesci un trattamento più blando. E le cozze di Taranto sono a norma”.  Nel 2008, quando fu trovato il pecorino contaminato, l’Arpa valutò che a Taranto ben 172 grammi di diossina, in un solo anno, venivano fuori dal camino “E312” dell’Ilva: la più grande acciaieria d’Europa.Nel 2004, l’intera industria della Spagna aveva prodotto 75 grammi di diossina, nel Regno Unito 68, in Svezia 20, in Austria appena 1,5. Quando il vento soffia, dall’area industriale verso il rione Tamburi, la concentrazione di diossina nell’aria è 14 volte superiore rispetto a quando il vento va in direzione opposta, dalla città verso l’Ilva. Oggi la situazione è migliorata del 90 per cento, una legge regionale sta fissando il limite delle emissioni a un massimo di 10 grammi l’anno, corrispondenti a 0,4 nanogrammi a metro cubo: il limite europeo, quindi, è recepito nella legge regionale. Ma non in quella nazionale.La strada da percorrere è ancora lunga: non di sola diossina, s’ammala Taranto, ma anche di benzo(a)pirene. E anche in questo caso, l’Ilva ha un ruolo ben preciso. Certo, parliamo di una grande realtà industriale, che porta lavoro e stipendi, che ingrossa il Prodotto interno lordo tarantino e italiano. E il Pil è considerato – a torto – il principale indice di benessere di un’economia. Ma quanto peserebbe, se venisse considerato alla stregua del Pil, l’allarme dell’organizzazione mondiale della Sanità: l’aumento di ogni singolo nanogrammo di b(a)p per metro cubo, in media, può provocare 9 casi di cancro su 100 mila persone. È dal 1994 che un decreto legge ha fissato, nel limite massimo di 1 nanogrammo per metro cubo, l’emissione di b(a)p: doveva essere rispettato sin dal 1999. Ad agosto di quest’anno, un nuovo decreto legislativo ha rinviato il rispetto del limite al dicembre 2012. Altri due anni di attesa. Altri due anni concessi per sforare il tetto delle emissioni.E a causa della cokeria, l’Ilva è considerata, da Arpa Puglia, responsabile del 98 per cento del b(a)p nel rione Tamburi: in via Machiavelli viene riscontrata una media, tra il 2008 e il 2009, di 1,3 grammi l’anno. Non solo. I vertici dell’Ilva vengono indagati dalla Procura di Taranto (poco prima del decreto che rinvia di 2 anni il rispetto dei limiti) per “disastro doloso”, “getto e sversamento di sostanze pericolose” e “inquinamento atmosferico”. A ottobre è stato disposto un incidente probatorio per “accertare se i livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti e accertati nei terreni circostanti l’area industriale di Taranto siano riconducibili alle emissioni di fumi e polveri dello stabilimento Ilva di Taranto”.Ecco: se fosse accertato, quanto peserebbe nell’economia tarantina e nazionale la produzione di un “fegatino”, piatto tipico di Taranto, contaminato dalla diossina? Quanto peserebbe la produzione del pecorino inquinato? È la domanda che si pone Report in onda questa sera. Che a Taranto ha dedicato un ampio spazio. E quanto pesi, nella vita di tutti i giorni, l’invasione di diossina e benzo(a)pirene, lo sanno bene i cittadini tarantini. Peacelink si sta battendo perché il decreto legge che rinvia di due anni il rispetto del limite d’emissione di b(a)p possa essere modificato. Il b(a)p è

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un agente cancerogeno genotossico: può trasmettersi di generazione in generazione. Provoca la riduzione del quoziente intellettivo dei neonati e pericolose malattie respiratorie. “Una nostra legge regionale, già passata in Giunta, impone il rispetto dei limiti prima del 2012”, dice l’assessore all’Ambiente Lorenzo Nicastro. Ora c’è un monitoraggio più attento delle aree industriali tarantine: “Cementir ed Eni partecipano al monitoraggio con centraline acquistate a proprie spese”. L’Ilva no: “Ha revocato la propria disponibilità”, conclude Nicastro, “visto che è sotto inchiesta. Ma abbiamo posizionato centraline della Regione nell’area esterna più vicina alla cokeria”. Misure di controllo, che però non impongono né sanzionano nulla, grazie al decreto legislativo di quest’estate.

Il Fatto quotidiano - 12 dicembre 2010

'Fanghi sversati in mare', nuovo filmato nelle mani della Digos

Una chiazza scura e minacciosa. E’ quella filmata dall’ambientalista tarantino Fabio Matacchiera in mar Grande nei pressi degli scarichi Ilva, la stessa zona in cui il presidente del fondo antidiossina ha immortalato dei campioni neri del fondale. Matacchiera ha pubblicato un nuovo video (dopo quello della settimana scorsa, già all'attenzione della Procura) e ha depositato negli uffici della Digos della questura di Taranto un esposto (corredato da filmati e fotografie) indirizzato ai magistrati nel quale si denunciano gli episodi che si sarebbero verificati a più riprese a ridosso della rada di mar grande, di fronte agli sbocchi delle acque di raffreddamento dei canali 1 e 2 dell'Ilva. "Ho riscontrato in momenti diversi - dice Matacchiera - che nell'area indicata si propagavano fanghi e sostanze verosimilmente oleose, nonché schiumose di colore giallo bruno, marrone intenso ed addirittura 'nero pece' per diverse centinaia di metri nelle immediate vicinanze degli sbocchi dei canali. A tale riguardo ho consegnato una corposa ed esaustiva documentazione alle autorità di polizia giudiziaria per farla giungere in tempi brevissimi nelle mani del magistrato competente"Il video: http://video.repubblica.it/dossier/ilva-taranto/fanghi-sversati-in-mare-nuovo-filmato-nelle-mani-della-digos/99315/97697

La Repubblica - 6 giugno 2012

Videodenuncia: 'Il fondale davanti all'Ilva nero come la pece'

Un fondale dall’inquietante color catrame. E’ quello mostrato dagli ambientalisti del fondo antidiossina dinanzi agli scarichi a mare delle acque di raffreddamento dell’Ilva di Taranto. Il presidente del fondo, Fabio Matacchiera, è tornato nello specchio di mar grande in cui vengono scaricate le acque utilizzate dalla grande fabbrica dell’acciaio per raffreddare i giganteschi impianti. Lui stesso solo dieci giorni prima aveva filmato una scia oleosa a pelo d’acqua nella stessa zona. Matacchiera ha prelevato dei campioni dal fondo. La sabbia è color pece ed ora saranno le analisi a spiegare quali sostanze sono depositate sul fondo di quello specchio d’acqua nei pressi della rada di mar Grande. L'Ilva da parte sua ha diffuso un comunicato con cui smentisce "categoricamente qualsiasi addebito riferito ad essa" e annuncia azioni legali contro Mattacchiera e i giornalisti che hanno ripreso il video

La Repubblica - 20 giugno 2012

Taranto, in procura il video shock. Arpa: "Sito superinquinato"Le immagini dei campioni neri prelevati dal fondale davanti all'Ilva all'attenzione dei magistrati e dei vertici dell'Agenzia regionale per l'ambiente. Bonelli: "Andrò anch'io a fare i prelievi"

Si accendono i riflettori della procura sul video shock girato dall’ambientalista tarantino Fabio Matacchiera. Il presidente del fondo antidiossina ha diffuso le immagini dei prelievi effettuati in mar grande, proprio sul fondale dello specchio d’acqua di fronte agli scarichi dai quali fuoriescono le

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acque utilizzate dall’Ilva per il raffreddamento degli impianti e a poca distanza da quelli della raffineria Eni di Taranto. Le immagini dei campioni neri e fangosi hanno spopolato su internet e chiaramente non potevano passare inosservati. Da palazzo di giustizia non ci sono prese di posizione ufficiali, ma il video sarà acquisito. Così come è da mettere in preventivo l’avvio di una attività specifica per verificare la natura e quindi accertare anche l’origine di quei fanghi neri. 

Peraltro la procura di Taranto, guidata dal procuratore capo Franco Sebastio, ha già mostrato grande attenzione ai problemi dell’inquinamento del capoluogo pugliese. Basti pensare che uno dei primi atti del procuratore Sebastio, all’indomani del suo insediamento, fu quello di creare la sezione specializzata per indagare sui reati ambientali. Il video di Matacchiera è anche all’attenzione del professor Giorgio Assennato, direttore di Arpa Puglia. “Ho visto le immagini – dice - e le ho subito girate alla direzione scientifica. Mi hanno risposto che si tratta di un sito superinquinato, da tempo noto alla luce dei risultati delle analisi. E per questo lì è interdetta la balneazione e la pesca. In passato – spiega ancora Assennato – è stata effettuata una campionatura anche sui mitili rinvenuti sul fondale. Quei test hanno confermato l’inquinamento. Peraltro le immagini, decisamente di impatto, non vanno messe necessariamente in connessione con la presenza degli inquinanti. I cui livelli elevati, come mi hanno riferito proprio ieri, sono certificati dagli esiti delle analisi”.

Sulla vicenda è intervenuto anche il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli. "Fabio Matacchiera non è solo, dietro di lui - dice Bonelli - c'è un'intera città che non ne può più dell'inquinamento che condiziona pesantemente la vita ed il futuro di Taranto dove siamo in presenza di una situazione di emergenza ambientale ed economica di una gravità inaudita rispetto alla quale continua il silenzio delle istituzioni e del governo".  "Le minacce di azioni legali nei confronti di chi si batte contro l'inquinamento e per la tutela della salute di Taranto - prosegue Bonelli - sono semplicemente vergognose. Nei prossimi giorni prenderò una barca e farò prelievi e sondaggi nello stesso punto dove li ha fatti Matacchiera: quindi, se c'è qualcuno che pensa di poter denunciare Fabio, a cui va tutta la mia solidarietà, si prepari già da adesso a denunciare anche me". "La gravità dell'inquinamento nella zona in cui Matacchiera ha prelevato il campione è gravissima - conclude Bonelli - ed è attestata da una relazione scientifica del 2009 secondo la quale complessivamente "verrebbero scaricati ogni ora 13,2 chilogrammi di idrocarburi alifatici (definiti anche come 'grassi') di cui il 7% proviene dagli scarichi Eni e il 93% dagli scarichi Ilva".

La Repubblica - 22 giugno 2012

Ambiente, la battaglia dei video "Una nuova chiazza in mare"Un esposto con le immagini del 21 giugno, quando è intervenuta anche la Capitaneria. Sono state girate da Fabio Matacchiera del Fondo antidiossina dopo quello sul fondale nero come la pece. E' realizzato a ridosso della rada di mar Grande, di fronte agli sbocchi delle acque di raffreddamento dell'Ilva

di MARIO DILIBERTOUna chiazza scura e minacciosa. E’ quella filmata dall’ambientalista tarantino Fabio Matacchiera in mar Grande nei pressi degli scarichi Ilva, la stessa zona in cui il presidente del Fondo antidiossina ha immortalato dei campioni neri del fondale. Matacchiera ha pubblicato un nuovo video - dopo quello della scorsa settimana già all'attenzione della Procura - e ha depositato negli uffici della Digos della questura di Taranto un esposto (corredato da filmati e fotografie) indirizzato ai magistarti nel quale si denunciano gli episodi che si sarebbero verificati a più riprese a ridosso della rada di mar Grande, di fronte agli sbocchi delle acque di raffreddamento dei canali 1 e 2 dell'Ilva. L'episodio si è verificato il 21 giugno come confermano dalla capitaneria di porto, giunta sul posto intorno alle 8 di quel giorno. "Abbiamo anche chiesto l'intervento della Ecotaras, società specializzata nei casi di inquinamento marino", raccontano dalla capitaneria. La chiazza sospetta è stata circoscritta e gli esperti della società hanno escluso lo sversamento di idrocarburi, parlando invece di sostanze di natura vegetale. L'allarme peraltro era stato lanciato proprio dall'Ilva.La battaglia ambientalista di Matacchiera, però, non si ferma. Dopo le minacce di azioni legali da

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parte del colosso della siderurgia, stamattina ha presentato un esposto dettagliato alla Digos riguardo agli episodi di cui è stato testimone. "Oggi  -  spiega l'ambientalista  -  sono andato in Questura per depositare un esposto su alcuni episodi, da me documentati, che si sono verificati a più riprese a ridosso della rada di mar Grande, esattamente di fronte agli sbocchi delle acque di raffreddamento dei canali 1 e 2 dell'Ilva di Taranto. Ho riscontrato  -  continua Matacchiera  -  in momenti diversi che nell'area indicata si propagavano fanghi e sostanze verosimilmente oleose, nonché schiumose di colore giallo bruno, marrone intenso ed addirittura "nero pece", per diverse centinaia di metri nelle immediate vicinanze degli sbocchi dei canali sopramenzionati, come si può facilmente evincere dalle foto e dai video effettuati che testimoniano la veridicità di quanto da me asserito. A tale riguardo  -  conclude  -  ho consegnato una corposa ed esaustiva documentazione video e fotografica alle autorità di polizia giudiziaria per farla giungere in tempi brevissimi nelle mani del magistrato competente".

Il video : http://video.repubblica.it/dossier/ilva-taranto/videodenuncia-il-fondale-davanti-all-ilva-nero-come-la-pece/98876/97258

La Repubblica - 26 giugno 2012

Bonelli analizza le acque davanti all'Ilva. "Porterò i campioni al ministro Clini"Dopo i video shock dell'attivista di fronte agli scarichi del colosso siderurgico, il leader dei Verdi preleva altro materiale: "Non può esistere il diritto a inquinare". I dati della relazione chiesta all'Arpa sulle concentrazioni di inquinanti nelle acque davanti allo stabilimento siderurgico cariche di idrocarburi, metalli pesanti e Pcb

di MARIO DILIBERTO. "Consegnerò la boccetta con il materiale prelevato davanti agli scarichi Ilva al ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, affinché si renda conto dell'emergenza che vive Taranto". Il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, come annunciato, ha prelevato alcuni campioni nel tratto di mare antistante agli scarichi dell'Ilva dove verranno fatti carotaggi nei fondali che - secondo il leader dei Verdi - "sono saturi di oli, solventi, petrolio ed inquinanti vari: un vero disastro ambientale". Il consigliere comunale, già candidato sindaco, è voluto tronare sul luogo dove nei giorni scorsi sono stati girati i video denuncia da parte dell'attivista Fabio Matacchiera; filmati già all'attenzione della procura e consegnati alla Digos. "Il tratto di mare di fronte agli scarichi del polo siderurgico - ha aggiunto Bonelli - risulta estremamente inquinato, come ha reso evidente l'azione di Matacchiera. L'Ilva dice che lo stato dei sedimenti marini davanti agli scarichi sono noti? Interessante questa affermazione. Siccome è inquinato allora dobbiamo accettare che ci sia il diritto naturale a morire per l'ambiente marino. Sono francamente affermazioni incredibili e anche vergognose". "Non c'è nessun diritto - ha aggiunto - a inquinare il mare di Taranto, che è il mare di tutti gli italiani. Le istituzioni devono intervenire perché questo silenzio sta provocando una situazione di disastro ambientale e sanitario che non ha precedenti nel nostro paese e forse in Europa"

La Repubblica - 28 giugno 2012

Mar Grande, la discarica dei veleni

TARANTO – Mario Diliberto. Idrocarburi, metalli pesantie Pcb. Sembra esserci un po' di tutto sul fondale di Mar Grande, nello specchio d' acqua al centro di una violenta polemica, dopo i filmati diffusi su Youtube dall' ambientalista Fabio Matacchiera. Ma a certificare la criticità di quella zona ad ovest di punta Rondinella, dove si affacciano i canali di scarico dell' Ilva, non sono le immagini delle chiazze nerastre indubbiamente di impatto. Il timbro arriva da Arpa Puglia. Dopo le immagini shock di Matacchiera, che ieri ha presentato un esposto consegnando i filmati alla Digos, il direttore di Arpa Giorgio Assennato ha chiesto chiarimenti alla direzione scientifica. Gli è stato assicurato che l' intera zona, che rientra nel Sin (sito di interesse nazionale) Taranto, è stata al centro di una massiccia attività di caratterizzazione. E i risultati di quella campionatura sono giunti sulla scrivania del professor Assennato, sottoscritti dal direttore scientifico Massimo Blonda e dal

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dirigente Nicola Ungano. Proprio quegli esiti hanno spinto il professor Assennato a battezzare la zona come "sito superinquinato". Ed ecco cosa è riportato nel documento. "I sedimenti caratterizzati in quest' area - si legge - hanno evidenziato più di una criticità, risultando contaminati da rilevanti concentrazioni di IPA (rappresentati da alti valori di benzo-a-pirene) e Idrocarburi (pesanti e totali), soprattutto tra il Molo V ed il primo scarico Ilva e nella parte interna della Darsena Polisettoriale. Anche i metalli pesanti quali Mercurio, Rame ed Arsenico, nonché Piombo, Cadmio e Zinco - si aggiunge - hanno sovente superato i valori di interventoe quelli tabellari. La contaminazione è anche attribuibilea composti organici quali Pcb, pesticidi organo clorurati e composti organostannici". Nella stessa relazione si sottolinea che la capillare attività di screening, tra il 2008 e il 2011, ha riguardato anche i mitili trovati sul fondale, nei quali sono stati riscontrati sforamenti dei livelli di benzoapirene. E si ribadisce che "l' intera area in questione è preclusa alla pesca, a qualsiasi attività di raccolta o allevamento e che tutta la zona è inibita alla balneazione. Le criticità ambientali di questo settore marino costiero - si spiega - sono comunque note agli organi competenti e questa agenzia le ha sempre evidenziate". Sui filmati di Matacchiera, poi, si esprimono riserve sulla campionatura della poltiglia nerastra. "Tale tipo di sedimento - si legge - è riscontrabile anche in ambienti acquatici non sottoposti a pressioni antropiche, e pertanto non può essere considerato indicatore di contaminazione massiccia da idrocarburi o altro, riscontrabile solo a seguito di accurate analisi chimiche. Da ultimo si ritiene superfluo procedere ad una nuova campagna di rilievi: "Ulteriori controlli - si chiosa - non aggiungerebbero nulla a quanto già noto".

La Repubblica - 27 giugno 2012 Sez. BARI

Riva jr si dimette, terremoto all' Ilva

LA PRIMA notizia è che le due maxi perizie sullo stabilimento dell' Ilva sono finite sul tavolo del procuratore capo, Franco Sebastio. E sono diventate un' integrazione fondamentale al fascicolo d' indagine trasformandosi in un atto d' accusa devastante, forse decisivo, nella storia giudiziaria dello stabilimento siderurgico. La seconda è che nel giro di pochi giorni i quadri dirigenti dell' Ilva sono cambiati: ufficialmente per ragioni industriali ma in realtà dietro le scelte si intravede proprio la nuova inchiesta giudiziaria che potrebbe creare un terremoto già prima dell' estate. I tempi dell' indagine condotta da Sebastio - il reato contestato è quello di disastro colposo - sono infatti strettissimi. Le due perizie hanno dato un' accelerata all' inchiesta: le parole dei periti Annibale Biggeri, docente ordinario all' università di Firenze, Maria Triassi, epidemiologa della università Federico II di Napoli, e Francesco Forastiere, direttore del dipartimento di Epidemiologia dell' Asl di Roma - tutti nominati dal gip Patrizia Todisco nell' ambito dell' incidente probatorio nell' udienza in corso al tribunale di Taranto - sono le prime che mettono in correlazione l' inquinamento dello stabilimento con i picchi di alcune malattie registrate a Taranto e nei dintorni. In quel procedimento sono indagati Emilio Riva, il patron delle acciaierie, suo figlio Nicola, l' ormai ex direttore dello stabilimento Luigi Caporosso e Angelo Cavallo, responsabile dell' area agglomerato. A loro carico sono ipotizzate le contestazioni di disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di cose pericolose e inquinamento atmosferico. Un quadro duro che probabilmente ha spinto ieri Nicola Riva a dimettersi da presidente consiglio di amministrazione dell' Ilva. Al suo posto arriva Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano e sfidante dell' ex sindaco di Milano, Letizia Moratti, alle penultime elezioni comunali. Ilva non dà spiegazioni ufficiali sulla decisione ma a tutti, non fosse altro che per la tempistica, appare legata all' inchiesta giudiziaria in corso. La svolta è infatti epocale. È la prima volta che la guida della più importante società del gruppo non sia affidata a un esponente della famiglia Riva: Nicola nel luglio scorso aveva sostituito il padre Emilio. Non solo. Non sembra un caso nemmeno che nei giorni scorsi Luigi Capogrosso si era dimesso da direttore dello stabilimento di Taranto, incarico che aveva tenuto per quindici anni. Due dimissioni che sembrano essere dettate proprio dalla paura di provvedimenti giudiziari che potrebbero essere anestetizzati con le dimissioni, non potendo più i soggetti continuare a compiere eventuali reati. A essere preoccupati di quello che potrà accadere sono anche i lavoratori e i sindacati: temono che i provvedimenti dell' autorità giudiziaria collegati all' inchiesta possano determinare effetti negativi sulla produzione e quindi sugli assetti

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occupazionali. Una storia questa che Taranto conosce bene e sembra rimandare indietro negli anni, quando la dicotomia tra il diritto al lavoro e il diritto della salute sembrava irrisolvibile. La nuova legislazione regionale, l' intervento dei tecnici sembravano invece aver sciolto il nodo, spingendo l' Ilva a investimenti sull' ambientalizzazione. Oggi invece sembra essere tornati a dieci anni fa.GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica - 11 luglio 2012  sez. BARI

Duecento milioni per salvare Taranto e l' Ilva

DUECENTO milioni di euro per salvare Taranto e l' Ilva. La Regione Puglia è disposta a metterne la metà. Gli altri cento dovrebbe garantirli il governo. Quello finanziario è uno degli aspetti più delicati affrontati alla riunione di ieri, al ministero dell' ambiente al quale ha partecipato il ministro dell' ambiente, Corrado Clini. Su tutto pende l' inchiesta della magistratura in cui si accusa l' Ilva di disastro ambientale, la possibilità che si arrivi al sequestro dello stabilimento che potrebbe anche comportare la chiusura. «Non conosco tutti i dettagli», ha detto il ministro, impegnato a disegnare una road map che dovrebbe essere "la traccia da seguire" dal 19 luglio in poi, quando è previsto il tavolo istituzionale a Palazzo Chigi sull' insediamento industriale. Nel Piano che si sta mettendo a punto saranno "coinvolti anche i ministri Corrado Passera e Fabrizio Barca", soprattutto per la parte relativa "all' inquinamento, al risanamento e alla bonifica" dell' area. Con il documento che è stato deciso di redigere si vorrebbe giungere "a un percorso condiviso" per l' Ilva. Sarà questo, infatti, uno dei temi del prossimo incontro con il governo. A Bari, invece, il governatore Nichi Vendola ha provato a rassicurare i sindacati, preoccupati per i risvolti occupazionali che potrebbero esserci dopo il blitz ai vertici dello stabilimento con le dimissioni dell' ad Nicola Riva e l' arrivo dell' ex prefetto Bruno Ferrante. A rischio sono cinquemila posti di lavoro se si dovesse chiudere l' area a caldo. «Noi stiamo lavorando con i sindacati - ha detto Vendola - condividendo pienamente il principio secondo il quale occorre coniugare il diritto al lavoro con il diritto alla salute e, tenendo in equilibrio ambiente e industria, traghettare Taranto verso il futuro. Nella contrapposizione radicale infatti rischia di morire la prospettiva di sviluppo di un territorio. L' eventuale fermata del siderurgico - ha aggiunto il governatore- produrrebbe immediatamente un effetto a Genova e immediatamente dopo anche a tantissime altre aziende italiane. La dimensione del problema è enorme. Siamo impegnati con serietà - ha insistito Vendola - nel più totale rispetto dell' azione della magistratura che ha il compito di accertare reati specifici. Il nostro compito è di traghettare quel pezzo di mondo verso il futuro». All' incontro con i sindacati, hanno partecipato l' assessore al bilancio, Michele Pelilloe quello all' ambiente, Lorenzo Nicastro. «L' insediamento del tavolo tecnico a Roma con al centro della discussione la questione ambientale che riguarda Taranto è il secondo step di un percorso iniziato alla fine di aprile scorso con l' incontro politico convocato dal presidente del Consiglio su sollecitazione del presidente della Regione Puglia. Il prossimo 18 luglio un nuovo aggiornamento del tavolo tecnico alla vigilia dell' incontro politico fissato per il 19: la marcia sembra finalmente quella giusta e auspico che si possa dare il via alle bonifiche e mettere in campo tutti gli interventi che possano garantire ai tarantini una migliore qualità della vita». Intanto, il ministro Clini, ieri, ha trasmesso alla Regione Puglia le osservazioni tecniche alla bozza della legge antinquinamento approvata alla unanimità in quinta commissione consiliare il 23 maggio scorso che introduce una sorta di valutazione di impatto sanitario per gli insediamenti in aree altamente inquinate. Il presidente Vendola - si legge in una nota della Regione - ha assicurato il recepimento delle osservazionie ha condiviso le informazioni con la delegazione parlamentare presente al tavolo Taranto del 17 aprile scorso. Vendola ha anche chiesto al presidente del Consiglio regionale, Onofrio Introna di convocare il Consiglio, quanto prima, per l' esame e l' approvazione della proposta di legge emendata secondo le osservazioni ministeriali.PIERO RICCI

La Repubblica - 14 luglio 2012  sez. BARI

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Ilva, legge in extremis contro lo stop

EGGE antinquinamento per salvaguardare Taranto e, soprattutto, per cercare di scongiurare il sequestro dell' Ilva, sotto processo con l' accusa di disastro ambientale, da parte della magistratura. Le nuove norme saranno approvate oggi dal consiglio regionale, all' unanimità. Giovedì, poi, riunione a Palazzo Chigi per decidere la bonifica dell' area industriale ionica. Il governatore Vendola: «Occorrono 300 milioni di euro».LELLO PARISE

La Repubblica - 17 luglio 2012  sez. BARI

'L' Ilva non si spegne con un telecomando'

«NON credo ci sarà un telecomando che spegnerà la fabbrica» fa notare il governatore Nichi Vendola, rientrato a Bari da Roma dopo il faccia a faccia col ministro dell' Ambiente Corrado Clini nel giorno in cui a Taranto l' ansia all' interno dello stabilimento siderurgico più grande d' Europa è a mille. La notte di giovedì si era diffusa la voce secondo cui il gip del tribunale ionico - sotto processo con l' accusa di disastro ambientale ci sono cinque dirigenti dell' ex Italsider tra cui Emilio Riva, che è il padrone dell' acciaieria dal 1995, quando la acquisì dalle Partecipazioni statali - aveva disposto il sequestro della cosiddetta area "a caldo". Una voce che, però, risulta priva di fondamento. Faceva il paio con altri rumors in base ai quali quello stesso ordine di sequestro era stato notificato, ma non eseguito. Ma pure questa indiscrezione, alla fine, lascia il tempo che trova. Il fatto è che la paura di perdere il posto di lavoro da parte di migliaia di operai, fa salire la tensione alle stelle. Soprattutto perché presto o tardi inevitabilmente un provvedimento giudiziario si materializzerà all' indomani della perizia epidemiologica disposta dalla procura e che non lascia spazio ai dubbi: per colpa delle «emissioni industriali», si registrano 386 decessi e «negli ultimi sette anni, 178 sono stati i morti per colpa del Pm10 (polveri, ndr )». È la ragione per cui Vendola sceglie di parlare: «Capisco l' apprensione, la condivido. Tuttavia faccio un appello perché tutti restino sereni». Il presidente più di una volta nei giorni scorsi aveva invitato i rappresentanti dei partiti e delle forze sociali a «non entrare con la gamba tesa nel recinto della giurisdizione». Sì, insomma, lasciamo che i giudici decidano senza essere tirati per la giacca. Le cose da fare, del resto, le stabiliscono sulla base di dati scientifici (il parere degli epidemiologi di chiara fama Francesco Forastiere, Annibale Biggeri, Maria Triassi) e non di pettegolezzi da cortile. Confessa, Vendola, di non riuscire a pronosticare quale sarà l' esito di questa partita: «No, non riesco a ipotizzare un qualsiasi risultato. Ci avventureremmo in un campo in cui è meglio non avventurarsi». Subito dopo, comunque, una previsione, ancorché timida, il rivoluzionario gentile in qualche modo la azzarda: «Non riesco a immaginare che siamo alla vigilia della chiusura dell' Ilva». La domanda, a quanto pare, non è se scatterà il sequestro oppure no. Ma, piuttosto, un' altra: il giudice delle indagini preliminari concederà la facoltà d' uso all' interno di quella zona che sarà interdetta in nome del popolo italiano o impedirà il prosieguo di ogni attività? In questo caso, avvertono i sindacalisti dei metalmeccanici, ci sarebbero «ripercussioni occupazionali devastanti». Lungo il fronte politico-istituzionale sono al lavoro, nel frattempo, perché si arrivi giovedì 26 a Palazzo Chigi, alla sottoscrizione dell' accordo di programma per «assicurare rapidamente l' avvio di opere di bonifica e recupero ambientale». Sarà lo stesso giorno in cui a Bari gli assessori all' Ambientee alla Sanità, Lorenzo Nicastro e Ettore Attolini, con i dg delle Asl metteranno a punto i criteri attraverso cui sarà possibile valutare il danno sanitario, quello introdotto dalla legge regionale approvata martedì 17 che impone alle aziende delle aree industriali di Taranto e Brindisi di pagare per i guai procurati alla salute dei cittadini.LELLO PARISE

La Repubblica - 21 luglio 2012  sez. BARI

Legge che tutela lavoro e ambiente

IL CONSIGLIO regionale approva all'unanimità la legge antinquinamento. E spera di scongiurare che entro questa settimana i giudici di Taranto sequestrino l'area "a caldo" dell'Ilva e facciano scattare la cassa integrazione per almeno 5mila lavoratori. Il governatore Nichi Vendola avverte:

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«La classe dirigente deve evitare l'irruzione a gamba tesa nel recinto della magistratura. Non vorrei che ci sentissimo animati da sentimenti sbagliati nei confronti degli inquirenti». Bruno Ferrante, nuovo presidente dell'Ilva, non si sbilancia: «Guardiamo con favore alle iniziative di tutte le forze politiche. Per quanto concerne i contenuti della legge, dobbiamo approfondire nel dettaglio ogni elemento». LELLO PARISE

La Repubblica - 18 luglio 2012  sez. BARI

Centrale Enel, Eni e Cementir ecco gli altri colossi nel mirino

NON solo Ilva, non solo a Taranto. Il via libera del consiglio regionale alla legge antinquinamento - le polveri sottili che procurano non pochi grattacapi di salute ai cittadini, condannati a respirare un' aria irrespirabile e, peggio, il più delle volte avvelenata - con l' introduzione di una sigla destinata a trasformarsi in un incubo per i primi attori della grande industria - è Vds, la valutazione del danno sanitario -, non riguarderà l' impianto siderurgico e basta. Sono almeno quattro i pachidermi della produzione, destinati a finire nel mirino della Vds. A cominciare dalla "Federico II", la centrale termoelettrica di Enel a Cerano, in provincia di Brindisi. È la seconda d' Italia. Nel Dirty Thirty, il titolo di un documento pubblicato a maggio del 2007 dal Wwf, è la venticinquesima peggiore centrale d' Europa a proposito di emissioni di Co2. A dicembre dell' anno scorso, precipita perfino più in basso: al diciottesimo posto. Nel capoluogo ionico invece, insieme con l' acciaieria di cui tutto il mondo parla (male) e che vede nei panni degli indagati con l' accusa di disastro ambientale il patron Emilio Riva, suo figlio Nicola, l' ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, i responsabili di Cokerie e Agglomerati, Ivan Di Maggio e Angelo Cavallo, sembrano condannati a sborsare un bel po' di quattrini per rispettare le nuove regole del gioco imposte dalla giunta Vendola, pure Cementir e Eni. La cementeria (ex Iri) ceduta nel 1992 al gruppo Caltagirone, è uno dei quattro quartier generali italiani di Francesco Gaetano Caltagirone, che detiene il 62,4 per cento della società per azioni. L' Eni all' ombra della zona industriale possiede una raffineria dove ha la capacità di sfornare ogni giorno qualcosa come 120mila barili. Lavora nella maggior parte dei casi il greggio che la stessa Eni fa venire alla luce dai giacimenti della Val d' Agri, in Basilicata. A sentire Alfredo Cervellera, consigliere di Sel, il movimento del governatore,e primo firmatario delle norme che mettono in riga «i padroni delle ferriere», come li chiama, esclusivamente Enel in quel di Brindisi «già sta provvedendo alla copertura del parco minerale». Una spesa per milioni di euro, non bruscolini. Ma inevitabile, come stanno le cose, perché adesso il rischio è quello della «sospensione dell' esercizio». Cervellera, in aula, «profondamente emozionato» ricorda quando era vicesindaco di Taranto: «Mi sono dovuto occupare del martoriato quartiere Tamburi, assediato dalle industrie più inquinanti e con una popolazione falcidiata da un numero elevatissimo di morti e da patologie tumorali nonché cardiovascolari. Una popolazione eroica, che non si è voluta allontanare da quel campo di sterminio per l' attaccamento al luogo di nascita. Nonostante le polveri quotidianamente imbrattano i muri delle loro case, si depositano sui loro balconi, si sollevano e si infiltrano proditoriamente nel loro sangue». Dal 2010 poi, avrebbe cominciato a prendere forma la legge che «non ammazza la speranza».

La Repubblica - 18 luglio 2012  sez. BARI

lva, anche i sindacati al vertice . "A rischio è l'intero Gruppo"I leader di Cgil, Cisl, Uil all'incontro a Palazzo Chigi con il premier Monti sul futuro dell'intera città e dell'acciaieria, su cui incombe l'incubo del sequestro e l'effetto contagio sugli stabilimenti di tutta Italia. L'azienda: "Non siamo contro Taranto". Varato il piano per il quartiere Tamburi. Il ministro Clini sull'autorizzazione d'impatto ambientale: "Non solo emissioni, problemi anche dai depositi dei materiali"

Il problema ambientale, i rischi per la salute, lo spettro del sequestro che getta nel panico 11.634 operai a Taranto e la possibilità che il blocco dello stabilimento pugliese paralizzi l'attività di tutti gli

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impianti d'Italia, che dipendono dalle produzioni joniche. La crisi dell'Ilva rischia di contagiare l'intero Gruppo e i lavoratori tremano.

Per questo, con il premier Monti, nell'incontro decisivo per il futuro dello stabilimento e dell'intera città, ci saranno anche i leader nazionali dei sindacati Cgil, Cisl e Uil, oltre al presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, dopo il varo della legge regionale finalizzata ad abbattere l'inquinamento e a salvare l'acciaieria dai sigilli giudiziari, visti i risultati delle perizie che associano le malattie alle emissioni. Ma non sono solo i fumi dell'Ilva a preoccupare, c'è anche la questione delle barriere per le montagne di minerali che oggi come oggi non esistono, nonostante le promesse. Sulla questione è intervenuto anche il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, ricordando come in discussione ci sia ancora l'autorizzazione di impatto ambientale (l'Aia) concessa un anno fa, la cui pratica è stata riaperta. Nel frattempo, si pensa ai cittadini. Con il piano di risanamento del quartiere Tamburi, a ridosso del gigante, dove i bambini - visti i livelli di inquinamento - non posso, da ordinanza del sindaco, neanche giocare per strada

I segretari di cgil, cisl e uil hanno ricevuto una convocazione per le 11, inviata dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Antonio Catricalà. L'attenzione per il siderurgico di Taranto è ora tutta spostata sul vertice con il premier Mario Monti, la Regione, enti locali di Taranto, parlamentari pugliesi e i ministeri dell'Ambiente, dell'Economia, dello Sviluppo economico e della Coesione territoriale. Con loro, ci saranno dunque anche i leader sindacali, vista la delicatezza del momento, con 11.634 operai che rischiano il posto di lavoro. 

IL DILEMMA SALUTE E LAVORO - Bonifica del territorio tarantino e riduzione degli inquinanti attraverso una nuova legge, quella approvata con voto unanime dal consiglio regionale, che introduce la valutazione del danno sanitario (Vds): questa la strategia messa in campo a livello istituzionale e politico pugliese per mandare un segnale alla magistratura, pur senza interferire nell'attività. L'obiettivo è cercare di evitare quella prospettiva che in molti a Taranto ritengono ormai imminente, ovvero il sequestro di una serie di impianti dell'Ilva a conclusione dell'inchiesta della Procura per disastro ambientale colposo e doloso che vede indagati i vertici della aziendali, fra cui gli ex presidenti dell'Ilva, Emilio e Nicola Riva, e l'ex direttore del siderurgico tarantino, Luigi Capogrosso (Nicola Riva e Capogrosso si sono dimessi dagli incarichi nei giorni scorsi). Molta importanza viene data a Taranto all'aspetto delle bonifiche ambientali in quanto, si osserva, l'inquinamento evidenziato anche dalle perizie della magistratura deriva da oltre 50 anni di industrializzazione pesante e l'Ilva, prima di essere privatizzata dall'Iri nel 1995 e ceduta al gruppo privato Riva, è appartenuta allo Stato attraverso l'Iri e la Finsider. Cento milioni è la dote che la Puglia ha dichiarato di mettere a disposizine per le bonifiche di Taranto: l'impegno è stato assunto dal presidente Vendola nei giorni scorsi. Regione e parlamentari pugliesi chiedono ora al Governo di stanziare altri 200 milioni in modo da fornir al piano delle bonifiche una prima dote finanziaria.

IL RISCHIO CONTAGIO - Non solo. "Il blocco dell'area a caldo del sito Ilva di Taranto metterebbe a rischio il futuro dell'intero Gruppo siderurgico in Italia e non solo quello inerente allo stabilimento pugliese". E' questa la posizione inequivocabile del "management" dell'Ilva espressa a Milano ai sindacati metalmeccanici come riferiscono Mario Ghini ed Antonio Talò, rispettivamente segretario nazionale e di Taranto della Uilm. Nel capoluogo lombardo le segreterie nazionali dei metalmeccanici di Uil, Cisl e Cgil hanno incontrato Bruno Ferrante e Fabio Riva, presidente e vicepresidente del gruppo siderurgico per esaminare le conseguenze derivanti dalle decisioni in itinere della magistratura sull'attività produttiva dello stabilimento Ilva di Taranto. "La Uilm - hanno ribadito Ghini e Talò - ha espresso una forte preoccupazione sul fatto che una decisione fortemente invasiva della magistratura possa avere ripercussioni occupazionali devastanti non solo nell'area tarantina ma in tutto il territorio nazionale. Sosterremo la necessita di coniugare attività industriale con la prevenzione e sicurezza ambientale attraverso regole chiare e trasparenti per salvaguardare una parte del settore industriale fondamentale per l'intero sistema economico del Paese".

I SINDACATI - In una nota, Cgil, Cisl e Uil, le tre sigle nazionali esprimono forte preoccupazione per le prospettive del sito industriale tarantino e per le possibili ripercussioni su tutto il gruppo.

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"Abbiamo chiesto all'azienda  -  scrivono i sindacati - di dare continuità al confronto con le organizzazioni sindacali di categoria, affidando a quest'ultimo un ruolo preventivo rispetto a decisioni aziendali che potrebbero essere assunte. Riteniamo importante e strategico l'impianto ionico per il sistema industriale. Per questo è indispensabile che, a partire dal tavolo convocato dalla Presidenza del Consiglio, il Governo coordini tutte le iniziative finalizzate al consolidamento e allo sviluppo del settore siderurgico, strategico per ogni ragionamento di politica industriale. Cogliamo  -  concludono - con favore l'approvazione unanime della nuova legge regionale con le norme antinquinamento in caso di rischi per la salute". 

L'AZIENDA: "l'ILVA NON E' CONTRO TARANTO"- "Il momento economico è difficile - ha commentato invece Fabio Riva - e le incertezze legate alla situazione di Taranto rendono il momento estremamente delicato. L'incontro con i sindacati è servito per condividere i possibili scenari che riguardano il futuro dell'Ilva. Un incontro schietto che, mi auguro, possa aiutarci a trovare le soluzioni migliori". "Vogliamo che il lavoro con i sindacati - ha aggiunto Bruno Ferrante - non sia occasionale ma un metodo di lavoro nell'ambito delle rispettive prerogative e responsabilità. E siamo già d'accordo che ci rivedremo quando le decisioni dell'autorità giudiziaria saranno note. Viviamo una fase difficile e abbiamo bisogno di lavorare con equilibrio e chiarezza di obiettivi. L'Ilva non è contro Taranto - ha spiegato il Presidente Ferrante - ma appartiene alla storia della città e questa storia va protetta perché è l'unica via per tutelare il territorio, i lavoratori dell'Ilva, a Taranto, a Genova e negli altri stabilimenti, e naturalmente l'ambiente e la salute. È il momento dell'assunzione di responsabilità da parte di tutti. Per noi significa responsabilità, oggi e domani, nel fare impresa, nel tutelare i posti di lavoro e nell'essere presenti nella vita delle comunità in cui opera Ilva. I sindacati ci hanno chiesto quali saranno le conseguenze qualora la procura decidesse di sequestrare alcuni impianti a Taranto - ha concluso Ferrante - ma oggi è presto per dare delle risposte. Certo l'avverarsi di alcuni scenari potrebbe mettere in dubbio l'esistenza dell'Ilva. Io mi auguro che le recenti azioni della società siano un segnale di serenità per tutti a garanzia della continuità della collaborazione con le istituzioni e con Taranto". 

IL MINISTRO CLINI: "AUTORIZZAZIONE ANCORA IN DISCUSSIONE" - "Ci sono state informazioni aggiuntive sulle emissioni degli impianti per questioni che erano rimaste aperte nella procedura" di Via (valutazione dell'impatto ambientale) "e di conseguenza abbiamo riaperto la procedura per affrontare queste tematiche". Lo ha spiegato il ministro dell'ambiente, Corrado Clini, al termine dell'audizione in commissione ambiente alla Camera. Si tratta, ha aggiunto Clini, "di un'integrazione" perché "lì c'è un problema aperto che riguarda valutazioni diverse che si leggono sui giornali sulla procedura di Aia (autorizzazione integrata ambientale) e qui lo verifichiamo nel merito". Le problematiche di Taranto, ha concluso il ministro "non sono connesse solo agli impianti ma anche ai depositi di materiali che al momento non sono regolamentati al livello europeo". In pratica, nella sua audizione, Clini ha puntato l'attenzione su problematiche come quelle dei parchi minerali, messi più volte sotto accusa per le polveri che piovono sul centro abitato e in particolare sul rione Tamburi, il quartiere di Taranto che convive con le ciminiere della grande fabbrica dell'acciaio. In ragione di queste problematiche il ministro ha fatto riferimento alla riapertura della procedura Aia concessa al gigantesco impianto siderurgico il 4 agosto dello scorso anno. 

IL PIANO PER IL QUARTIERE TAMBURI - Per tre anni consecutivi nel popoloso rione sono stati superati i limiti di concentrazione per il benzo(a)pirene ed è stato oltrepassato il numero di superamenti ammissibili di concentrazione massima giornaliera di pm10. Il piano prevede una riduzione delle emissioni e delle attività dello stabilimento nei giorni critici, dovuti alle condizioni metereologiche. "Nei cosiddetti 'Wind Days' - è stato spiegato dal direttore dell'Arpa Puglia, Giorgio Assennato - dovranno essere ridotte le operazioni di caricamento, sfornamento e spegnimento di un 10% dell'attività di cokeria Ilva e ridotta la movimentazione dei materiali stoccati all'esterno, filmare o bagnare in maniera doppia rispetto al solito le materie prime, ridurre del 50% la velocità dei mezzi su pista all'interno degli stabilimenti e, infine, di ridurre del 10% il flusso di massa di emissioni in aria per gli inquinanti. Il piano prevede che le aziende provvedano alla completa copertura degli stoccaggi esistenti all'aperto". "In attesa che ciò avvenga - ha aggiunto Assennato - gli accumuli di materiale dovranno essere delocalizzati in zona lontana dal centro abitato e dalla strada che separa il rione Tamburi dallo stabilimento Ilva o ridotti del 19% rispetto alla giacenza

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media del 2011 allo scopo di limitare l'altezza massima dei cumuli e la conseguente asportazione di polveri per l'azione del vento". Ulteriori interventi - è stato spiegato - sono previsti sulla circolazione dei veicoli pesanti nell'area. Previste misure anche per le emissioni relative alle attività portuali per la cui riduzione si è auspicata l'elettrificazione delle banchine per il funzionamento dei sistemi a navi ferme.

GLI INDUSTRIALI -  Si muove anche Confindustria Taranto che ha tenuto una riunione straordinaria della giunta. Il presidente Enzo Cesareo ha chiesto l'intervento del presidente nazionale di Confindustria, Giorgio Squinzi, evidenziando la preoccupazione degli imprenditori pugliesi per un sequestro giudiziario dell'Ilva che avrebbe gravi ripercussioni economiche e occupazionali qualora venisse attuato, essendo l'Ilva di Taranto il 20% dell'export pugliese e rappresentando, con i suoi 12mila occupati diretti, una delle piu grandi aziende industriali italiane.  Confindustria Taranto ha anche chiesto un coinvolgimento della rappresentanza imprenditoriali ai diversi tavoli che n questi giorni si stanno occupando dell'Ilva di Taranto.

La Repubblica - 18 luglio 2012  sez. BARI

Sì bipartisan alla legge salva Ilva

LA MADRE di tutte le battaglie ha un'arma in più per combattere la guerra alle grandi industrie che a Taranto e Brindisi spargono polveri inquinanti come panna montata su un cono gelato. Il consiglio regionale approva all'unanimità la legge e dà «scacco matto all'inquinamento». Dicono che si tratti di regole del gioco messe insieme frettolosamente per scongiurare che un giudice, nel capoluogo ionico, ordini entro questa settimana il blocco della cosiddetta area "a caldo" di Ilva e, in nome del popolo italiano, condanni alla cassa integrazione qualcosa come 5mila lavoratori. Ma è il governatore Nichi Vendola, che più di tutti quanti gli altri aveva lavorato per materializzare queste norme giudicate «profondamente innovative» (Donato Pentassuglia, Pd), a gettare acqua sul fuoco dei sospetti: «La classe dirigente deve evitare l'irruzione a gamba tesa nel recinto della magistratura».Non appare casuale il riferimentoa Confindustria Taranto, che l'altro giorno aveva tagliato corto: «Un eventuale provvedimento giudiziario drastico, provocherebbe una sorta di effetto domino per la miriade di attività legate all'acciaio».Vendola non ha dubbi: «Credo siano sbagliate le reazioni di talune forze sociali che provano a interdire l'operato di chi ha fotografato una situazione che sollecita la nostra coscienza.Siamo spaventati, è vero, perché al danno potrebbe aggiungersi la beffa, le morti per cancro e la perdita secca di migliaia di occupati, però non vorrei che ci sentissimo animati da sentimenti sbagliati nei confronti degli inquirenti».Sì, insomma, non è una lotta fra i poteri legislativo e giudiziario, quella che si gioca in queste ore. E che domani vedrà lo stesso Vendola protagonista a Palazzo Chigi del faccia a faccia col premier Mario Monti, a cui il rivoluzionario gentile chiede di saldare il conto nei confronti di una città devastata da «decenni di irresponsabilità e di furbizia» con 200 milioni di euro perché possano cominciare le bonifiche. Patrizio Mazza (Idv), con un ordine del giorno, aveva provato a fare il colpo grosso: domandava che entro i prossimi cinque anni la Regione presentasse un «progetto di economia alternativa alle industrie inquinanti». Era come dare lo sfratto all'Ilva, peraltro da parte di consiglieri il cui mandato scade fra tre anni. Il presidente dell'assemblea Onofrio Introna, si accorge che non tutto quadra e convince Mazza a tirarsi indietro.È, questo, l'unico sussulto di una giornata senza emozioni. Il sì bipartisan al provvedimento, appiattisce tutto e tutti: dibattito stanco e scontato. Alla fine i rappresentanti delle associazioni Donne per Taranto e Taranto respira, vanno via mormorando: «E' meglio che chiudano l'area a caldo». Mentre Bruno Ferrante, il nuovo presidente dell'Ilva, non si sbilancia: «Guardiamo con estremo favore alle iniziative intraprese da tutte le forze politiche. Per quanto concerne i contenuti della legge, una volta conosciuto il testo avremo modo di approfondire nel dettaglio ogni elemento».LELLO PARISE

La Repubblica - 18 luglio 2012  sez. BARI

Page 21: illavorodebilita.files.wordpress.com · Web viewPatrizio Mazza (Idv), con un ordine del giorno, aveva provato a fare il colpo grosso: domandava che entro i prossimi cinque anni la

Clini rassicura sul futuro dell'Ilva. "Garantiremo produzione e salute"Il ministro: lavoriamo a un protocollo d'intesa che salvaguardi l'attività dello stabilimento e avvii le bonifiche. Speriamo che sia sottoscritto dall'azienda. Si tratta sui quasi 190 milioni di euro che l'esecutivo potrebbe mettere a disposizione per le bonifiche. La prossima settimana l'intesa

"Il Governo sta lavorando per assicurare la continuità industriale dell'area dell'Ilva di Taranto nel quadro delle compatibilità ambientale". E' l'impegno indicato dal ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, alle parti sociali nell'incontro conclusosi a Palazzo Chigi. "La strada - sottolinea Clini - è un accordo di programma sul mantenimento delle produzioni e sul risanamento ambientale. Il 26 luglio sarà finalizzato questo protocollo d'intesa che speriamo sarà sottoscritto dall'azienda". 

LE IMMAGINI DELL'INCONTRO

Governo, regione, parlamentari ed enti locali si sono riuniti per concordare le misure necessarie ad assicurare in tempi rapidi l'avvio di opere di bonifica e recupero ambientale. Già la settimana prossima sarà siglata un'intesa quadro che individuerà nel dettaglio le risorse finanziare, i progetti e le modalità attuative. Il ministro dell'ambiente incontrerà l'Ilva per illustrare i risultati dell'incontro e verificare la disponibilità dell'impresa a concorrere agli obiettivi emersi.Quella di oggi, ha spiegato Clini, è stata una discussione molto approfondita sullo stato dell'arte". "Abbiamo concordato, le amministrazioni centrali e la Regione, di lavorare insieme - ha spiegato Clini - anche con le amministrazioni locali avendo tre obiettivi: la piena utilizzazione delle risorse già disponibili, attraverso anche la rapida finalizzazione di tutte le procedure in corso che riguardano le bonifiche ambientali; l'individuazione di obiettivi e progetti per ampliare il campo degli interventi (anche tecnologici) per il risanamento ambientale dell'area di Taranto anche con progetti aggiuntivi con il finanziamento di risorse attraverso i fondi strutturali e il piano operativo nazionale ricerca e competitività; ci siamo  onfrontati sulla possibilità di coinvolgere l'azienda Ilva, le altre imprese del territorio e le organizzazioni sociali e sindacali per questo programma di riqualificazione area". "Entro la prossima settimana - ha detto Clini - elaboreremo un protocollo d'intesa o un accordo quadro che identifichi gli obiettivi e i programmi, che venga sottoscritto dalle amministrazioni centrali, dalla Regione e dagli enti locali, che identifichi nella Regione e cioè nel presidente della Regione la cabina di regia delle operazioni condivise. Lavoreremo - ha assicurato - perché questo accordo sia condiviso da Ilva e dalle imprese in maniera tale che gli obiettivi di risanamento e riqualificazione ambientale del territorio facciano parte anche della strategia di questo grande gruppo industriale.

A Palazzo Chigi si è discusso dell futuro dello stabilimento e quello dell'intera città. Sull'attività incombe lo spettro del sequestro dell'area a caldo dopo i risultati delle due perizie che mettono in relazione le malattie record e le emissioni dell'Ilva. Ma non tremano solo i quasi 12 mila operai di Taranto. L'effetto domino sul blocco delle produzioni metterebbe a rischio, hanno spiegato i vertici dell'azienda, tutti gli stabilimenti del colosso siderurgico italiani. La questione ambientale, però, non è più rinviabile. La Regione Puglia ha varato due giorni fa una legge anti-inquinamento nella speranza di evitare i sigilli della magistratura - che tra l'altro ha introdotto la valutazione del danno sanitario (Vds) - e gettato sul piatto qualcosa come 100 milioni di euro per le bonifiche. Il governatore Vendola, anche lui a Roma insieme a una delegazione di parlamentari pugliesi e rappresentanti delle istituzioni locali, chiede al governo altri 200 milioni. 

LEGGI   ECCO LA LEGGE. "ORA 300 MILIONI PER LE BONIFICHE"

A questo proposito, il deputato pugliese dell'Udc Salvatore Ruggeri, dice che il governo "è disponibile, e pensa di poter prevedere 95 milioni di euro dal Pon e altri 92 milioni da altri fondi stanziati dal Cipe". Si tratterebbe di quasi 190 milioni di euro per risanare la città. "Questo però sarebbe solo l'inizio", ha sottolineato. Al tavolo istituzionale erano presenti il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà, il ministro dell'Ambiente Clini, il sottosegretario del ministero sviluppo economico Claudio De Vincenti, il presidente della Regione Puglia Vendola, il presidente della provincia di Taranto Giovanni Florido, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, i

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parlamentari Raffaele Fitto, Nicola Latorre, Ludovico Vico, Antonio Nessa e Ruggeri.

La riunione odierna segue l'iniziativa intrapresa dal Presidente del Consiglio, Mario Monti, che nel vertice dello scorso 17 aprile con le istituzioni locali aveva espresso la volontà del Governo di seguire con attenzione particolare le problematiche relative alla città di Taranto, costituendo un apposito tavolo con le amministrazioni competenti e con il coordinamento del ministro Clini. La Regione, dal canto suo, ieri, sul fronte della tutela ambientale, ha varato il piano per il rione Tamburi, il popoloso quartiere a ridosso del colosso. Un piano che consiste nella limitazione delle emissioni e nel rallentamento delle attività nei giorni di vento, con lo stop parziale al traffico dei mezzi pesanti e la riduzione della movimentazione dei materiali. Quello dell'inquinamento prodotto dalle depositi di materie prime, infatti, è un altro punto da affrontare. E lo ha ricordato lo stesso ministro Clini parlando della procedura per il rilascio della Via, la valutazione di impatto ambientale, riaperta e ad oggi ancora in discussione. 

La Repubblica - 19 luglio 2012  sez. BARI

Sfratto dei parchi minerari e stop ai tir via al piano per risanare il rione Tamburi

C' È UN piano per il risanamento del quartiere Tamburi a Taranto, quello a ridosso dell' Ilva. Lo mettono a punto l' assessore regionale all' Ambiente Lorenzo Nicastro e il direttore dell' Arpa Giorgio Assennato. Perché tra il 2009 e il 2011, i valori relativi al benzoapirene e alle polveri sottili superano i livelli di guardia. «Si tratta di "sforamenti" - spiega Nicastro - provocati dalle polveri che si alzano dai parchi minerali dello stabilimento siderurgico, mentre, per quanto riguarda il benzoapirene, il problema è legato alle cokerie. Ma si sono registrati altri "sforamenti" anche nell' ambito di insediamenti civili». Tamburi è il rione dove il sindaco Ippazio Stefàno a giugno del 2010 vietò ai bambini di giocare nelle aree verdi, che risultavano contaminate da idrocarburi e metalli pesanti. I dati sull' inquinamento che portarono all' ordinanza del primo cittadino, peraltro mai revocata, emergevano da una relazione tecnica commissionata dal Comune. Il piano prevede, come fa sapere Assennato, la riduzione del 10 per cento di tutte le operazioni che ruotano attorno alle cokerie, lo spostamento del parco minerale, destinato a essere allontanato di quattro chilometri dai Tamburi, la copertura degli stoccaggi all' aperto, una diminuzione degli stessi stoccaggi pari al 19 per cento perché sia limitata l' altezza massima dei cumuli, il divieto per i veicoli pesanti, quelli superiori ai trentacinque quintali di tipo Euro 0, 1 e 2, di circolare nel quartiere. Le aziende dovranno presentare una relazione, la cui validità sarà esaminata da Arpa, che descriva le modalità di adeguamento entro un termine specificato. Scatteranno misure pure per le emissioni rilevate lungo le banchine del porto: le navi attraccano e restano con i motori accesi perché le macchine continuino a funzionare. L' obiettivo è quello di installare all' interno dello scalo l' alimentazione elettrica, come nei porti turistici. La prima verifica dopo l' entrata in vigore del piano, definito «corposo e puntuale», sarà a settembre.La Repubblica - 19 luglio 2012  sez. BARI

Patto da 350 milioni di euro 'Così salviamo Ilva e Taranto'

IL "patto per Taranto" sarà siglato giovedì 26 da governo Monti, amministratori regionali, locali, parlamentari, sindacalisti, industriali, che ieri si sono confrontati a Palazzo Chigi. Gli obiettivi: «Interventi tecnologici sugli impianti» e «risanamento di zone del territorio». Dice il ministro dell' Ambiente, Clini: «Taranto è una priorità nazionale». I soldi: ammonterebbero complessivamente a 350 milioni di euro, compresi i 100 milioni già messi a disposizione dalla Regione Puglia. Prevista la nomina di un commissario per l' emergenza. Vendola: «Conciliamo le ragioni dell' industria e quelle dell' ambiente». Ansia nell' attesa della decisione della magistratura sul sequestro dell' area "a caldo" dell' Ilva.C' È UNA tabella di marcia, ci sono i soldi, tanti soldi, l' orientamento è quello di farli gestire da un commissario per l' emergenza perché «dobbiamo impedire che le risorse siano finanziate e non spese» avverte Nichi Vendola, quale capo protempore dell' amministrazione regionale potrebbe essere affidato questo incarico. Nessuno, tuttavia, conosce né può conoscerla giacché «non

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vogliamo ficcare il naso nel recinto della magistratura», quale sarà la scelta dei giudici, che potrebbero ordinare il sequestro dell' area "a caldo" dell' Ilva senza facoltà d' uso poiché in quel di Taranto «si muore a causa dell' inquinamento, come sostiene la perizia epidemiologica disposta dal gip Patrizia Todisco» ricorda il leader dei Verdi Angelo Bonelli. Questo provocherebbe «ripercussioni occupazionali devastanti», secondo il pronostico dei sindacalisti. E quello degli industriali, che non nascondono di essere «preoccupati per i provvedimenti giudiziari» destinati a saltare fuori perfino da un momento all' altro, come fa notare il vicepresidente di Confindustria, Alessandro Laterza. Tra "se" e "ma", il governo Monti vuole materializzare quello che definisce «il patto per Taranto» e «concordare le misure necessarie ad assicurare in tempi rapidi l' avvio di opere di bonifica e recupero ambientale». Regista dell' operazione è il ministro dell' Ambiente Corrado Clini, che ieri a Palazzo Chigi incontra il governatore, gli amministratori locali (il presidente della Provincia Gianni Florido e il sindaco Ippazio Stefàno), parlamentari bipartisan (i pidiellini Fitto e Nessa, i riformisti Latorre e Vico, l' udc Ruggeri) e poi i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. Vendola aveva reclamato dallo Stato almeno 200 milioni di euro per cominciare le "grandi pulizie" nel capoluogo ionico. Saranno anche di più: 250 milioni. Clini fa i conti: 62 milioni già sono disponibili, altri 94 milioni dovrebbero essere sbloccati «prossimamente» dal Cipe e 98 milioni sarebbero prelevati dalla cassaforte del Pon (Programma operativo nazionale). A questi quattrini si aggiungerebbero i 100 milioni messi a disposizione dalla Regione Puglia. Il "tesoretto" ammonterebbe a qualcosa come 350 milioni di euro. La cifra esatta sarà scritta nell' accordo di programma che Clini e Vendola vogliono siglare prima delle fine di questo mese: giovedì 26. Vogliono pure che l' Ilva sia della partita: il titolare dell' Ambiente, martedì 24 parlerà con i vertici della multinazionale e «speriamo che condividano questo percorso». Quello da predisporre nei dettagli in queste ore, tra «interventi tecnologici sugli impianti» e «il risanamento di zone del territorio». Vendola non ha dubbi: «L' Italia si deve caricare sulle proprie spalle, Taranto. Nel segno della conciliazione tra le ragioni dell' industria e le ragioni dell' ambiente. Per evitare una tragedia sociale che non avrebbe precedenti. L' idea che 20mila famiglie siano buttate per strada, fa rabbrividire». Gli fa eco Clini: «Taranto è una priorità nazionale». Ma il fantasma del sequestro annunciato, non svanisce. Dice il deputato del Pd, Ludovico Vico: «Devi far capire agli inquirenti che vuoi risanare veramente ».LELLO PARISE

La Repubblica - 20 luglio 2012  sez. BARI

'Legge sulle diossine e investimenti così abbiamo fermato la strage silenziosa'

PROFESSOR Giorgio Assennato, cosa rischiano oggi i tarantini? «La domanda più corretta è che cosa hanno rischiato. Oggi non sappiamo dire quanto, ma rischiano molto meno di prima». Il direttore regionale dell' Arpa ha chiamato a raccolta il 23 e 24 luglio a Taranto i migliori esperti italiani per parlare di inquinamento atmosferico. Oggi per la prima volta parla del caso Taranto come di qualcosa che si sta per risolvere. Eppure le perizie depositate dai giudici dicono il contrario. «Come già avevo detto a marzo, quei due lavori sono di assoluto livello scientifico, parliamo dei migliori esperti europei del settore. C' è però un fattore importante da valutare: quella fotografia è scattata prima della legge regionale sulle diossine e prima degli investimenti importanti dell' Ilva. Da allora molto è cambiato». Nessun rischio quindi? «Questo non lo possiamo dire. Una risposta scientifica noi contiamo di darla entro la fine dell' anno depositando una nuova perizia epidemiologica contestualizzata con i nuovi dati. Certo c' è stato un importante miglioramento. Per analizzarlo bisogna partire dalle parole dei periti del tribunale e dal dato secondo me più importante da un punto di vista scientifico: c' è una differenza, nell' incidenza delle malattie, tra chi risiede nei quartieri a ridosso dello stabilimento e chi invece vive in altre parti della città». Per gli esperti a Taranto in 13 anni (dal 1998 al 2010) sono morte 386 persone per colpa delle emissioni industriali. Negli ultimi sette anni 178 sono stati sono stati i morti soltanto per colpa del pm 10. Novantuno abitavano i quartieri Borgo e Tamburi, dove ci si ammala fino al 130 per cento in più del resto della città. Sono numeri che assomigliano a una strage. «E' vero. Ora però abbiamo definitivamente controllato il pericolo delle diossine, grazie alla legge regionale. Gli attuali problemi sono le emissioni del parco minerario e le batterie delle cockerie. Sono troppo vicine al centro abitato e rappresentano un rischio troppo alto per la gente del quartiere Tamburi». Evacuiamo il quartiere? «No, basta rispettare gli impegni presi. Quello del parco minerario è un problema legato

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alle polveri sottili, che rappresentano una criticità misurata al Tamburi. Per le emissioni di benzoapirene invece la responsabilità è delle cockerie: al momento i dati sono superiori al valore obiettivo che entrerà in vigore con la nuova legge tra qualche mese. Bene, i due dati possono rientrare nelle norme». Come? «La Regione ha assunto un piano di intervento su questi due problemi. Sul parco minerario l' obiettivo finale è la copertura. Un obiettivo raggiungibile, ma c' è bisogno di tempo e soldi. La seconda possibilità è lo spostamento di quattro chilometri dei minerali. Il terzo, che si può fare da domani, è una giacenza media dei minerali inferiore al 19 per cento rispetto a quella attuale. In questa maniera diminuirebbero in maniera importante i rischi per la gente del Tamburi e i dati tornerebbero nella norma». Con il benzoapirene come si fa? «L' analisi dei dati ci dice che ci sono picchi molto alti in giorni precisi, quando c' è vento da nord. Sono gli wind days, come accade alle acciaierie di Hamilton in Ontario. Parliamo del dieci per cento in un anno. Si deve ridurre in quei giorni la produzione del dieci per cento. Voglio dire una strada c' è, la situazione è incomparabilmente migliore rispetto a cinque anni fa. Basta avere tenacia e coraggio per continuare a percorrerla». GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica - 20 luglio 2012  sez. BARI

Il ministro Clini: "Bloccare l''Ilva ora sarebbe una contraddizione"A Taranto attesa nelle prossime ore la decisione del gip sull'acciaieria: "Negli ultimi cinque anni l'azienda ha sostenuto investimenti importanti per migliorare produttività e impatto ambientale. Certo, molto rimane da fare"

Un blocco degli impianti attuali dell'Ilva che sono in fase di risanamento ambientale, avendo in mente l'effetto di quelli che c'erano prima, "sarebbe una contraddizione". Lo ha detto il ministro dell'Ambiente Corrado Clini intervenendo all'Intervista della domenica di Alessandro Banfi su TgCom24, in riferimento all'acciaieria di Taranto che rischia la chiusura. "L'acciaieria di Taranto, che è la più grande d'Europa, per effetto delle normative ambientali nazionali ed europee - ha spiegato Clini -, negli ultimi 5 anni ha sostenuto investimenti importanti che ne hanno migliorato la produttività, riducendone l'impatto ambientale. C'è ancora molto da fare, c'è un ultimo miglio di investimenti che va accompagnato con le norme e sostenuto con investimenti. La magistratura sta intervenendo sull'attuale acciaieria avendo però in mente gli effetti dannosi degli impianti precedenti. L'intervento si basa su una valutazione epidemiologica dei danni per la salute provocati da 15 anni di attività. La contraddizione potrebbe essere un blocco degli impianti attuali in fase di risanamento ambientale, avendo in mente l'effetto degli impianti che c'erano prima".

Il ministro dell'Ambiente ha aggiunto che sta lavorando con la Regione Puglia e con le amministrazioni locali per fare tutto il possibile per sostenere il miglioramento tecnologico ma anche per chiarire i termini dell'impatto  attuale

La Repubblica - 22 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, al via tavolo di lavoro  riparte un impianto di trasportoDeciso un gruppo di lavoro tra i ministeri e Ilva per analizzare le problematiche relative alle procedure di autorizzazione ambientale e di bonifica

Ha preso il via il lavoro tra i ministeri dell'Ambiente e dello sviluppo e l'azienda per la riqualificazione ambientale e produttiva dell'Ilva di Tarando. Lo annuncia una nota del ministero dell'Ambiente, secondo cui il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, il sottosegretario allo Sviluppo economico, Claudio De Vincenti e il capo di gabinetto del ministro Barca, Alfonso Celotto, hanno incontrato stamattina l'amministratore delegato dell'Ilva Bruno Ferrante. "L'incontro - si legge nella nota - è stato l'occasione per sollevare le problematiche ambientali e industriali dell'Ilva di Taranto, anche in vista del protocollo d'intesa per il risanamento ambientale e il rilancio produttivo dell'area di Taranto che verrà sottoscritto nei prossimi giorni tra i ministeri dell'Ambiente, dello Sviluppo economico e della Coesione territoriale, la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto"..A conclusione dell'incontro, prosegue la nota, "è stato concordato di avviare nei prossimi giorni un gruppo di lavoro tra i ministeri e Ilva per analizzare le problematiche .

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Valutiamo positivamente l'incontro avuto oggi con il Governo e siamo convinti che possano aprirsi prospettive interessanti con l'obiettivo di coniugare lavoro, ambiente e impresa", afferma in una nota il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante. "L'Ilva è una risorsa strategica ed essenziale per il sistema Paese e per l'economia italiana - continua Ferrante - e l'aver registrato questa consapevolezza da parte del governo nazionale e di quello regionale è motivo di conforto per l'Ilva che, lo ricordo, ha già investito ingenti risorse per garantire sostenibilità e competitività al polo siderurgico di Taranto". "I prossimi incontri tecnici - conclude Ferrante - potranno essere occasione migliore per raggiungere obiettivi condivisi nell'interesse del Paese, dei lavoratori, dei cittadini e dell'impresa".

Nel frattempo, mentre circolano voci di un imminente sequestro degli impianti dell'area a caldo da parte della magistratura in seguito ai risultati delle perizie sull'inquinamento, la direzione dello stabilimento ha comunicato alle segreterie territoriale di Fim, Fiom e Uilm la ripartenza del 'Treno Nastri 1' con decorrenza nel mese di settembre. L'impianto, che trasporta materie prime e che era stato costretto ad una fermata lo scorso 10 giugno a causa di mancanza di commesse, tornerà a marciare "al massimo della sua potenzialità - precisa l'Ilva - con 21 turni settimanali già a partire dai primi giorni del mese di settembre, con le sue 232 unità lavorative necessarie alla marcia". Giovedì 26, a Roma, è previsto il Tavolo istituzionale per Taranto per definire un accordo di programma da sottoporre a Gruppo Riva in relazione alle aree da bonificare a ridosso del Siderurgico e le fonti di finanziamento

La Repubblica 23 luglio 2012

Ilva, città blindata per il verdetto. Fabbrica e tribunale "sotto tutela"Tensione a Taranto per la decisione del gip sul sequestro dell'area a caldo dello stabilimento che metterebbe a rischio migliaia di lavoratori. Si teme per l'ordine pubblico, rafforzati gli organici di polizia e carabinieri

di MARIO DILIBERTO.TARANTO  -  Tensione alle stelle. Nelle acciaierie dell'Ilva, ma anche a Palazzo di giustizia. Rinforzi per gestire l'ordine pubblico. E tanta paura per migliaia di posti di lavoro a rischio. Così si vive a Taranto una snervante e lunghissima vigilia. È imminente la decisione del gip Patrizia Todisco sul sequestro dell'area a caldo del gigantesco stabilimento siderurgico. Da quei reparti si sprigiona l'inquinamento che avvelena la città. Due perizie inchiodano l'Ilva e i cinque indagati, tra i quali spiccano Emilio e Nicola Riva. L'accusa mossa dalla procura è di disastro ambientale. Quegli impianti viaggiano verso la chiusura, con l'incognita della licenza d'uso. Ma questa mossa potrebbe significare la fine della siderurgia ionica. Perché azzerare l'area a caldo significa svuotare la grande fabbrica che solo nell'ultimo anno ha sfornato sette milioni di tonnellate di acciaioAlle produzioni record fanno da contraltare le conclusioni degli esperti che indicano i fumi e le polveri industriali come fonti di malattia e morte. I sigilli sembrano inevitabili. La conseguenza può essere la messa in libertà di migliaia di lavoratori. Proprio nella fabbrica si vivono ore tensione. "Siamo operai e sul nostro lavoro abbiamo costruito un progetto di vita  -  racconta Gino Marasco, rsu della Uilm, impiegato nelle batterie della cokeria, uno dei reparti più discussi - Siamo a un passo dal panico. C'è chi corre a chiedere l'anticipazione del tfr e chi si dispera per il prestito  o per il mutuo. Il nervosismo è palpabile perché noi non possiamo accettare la morte della fabbrica. Siamo tutti d'accordo a scendere in strada per difendere la nostra vita".Nelle acciaierie e nei tubifici da giorni non si parla d'altro. "Non siamo mai stati così compatti "  -  continua Marasco. L'onda d'urto di migliaia di lavoratori in piazza è già stata sperimentata da Taranto lo scorso 30 marzo. Questa volta, però, le eventuali manifestazioni sarebbero avvelenate dall'esasperazione. Per questo sono già arrivati rinforzi. Più carabinieri e poliziotti. Da oggi saranno intensificati i controlli sulla fabbrica. La Digos non trascura il minimo segnale. Anche gli strali su facebook non passano inosservati. E in via preventiva è stata stretta la sorveglianza sui magistrati, pm e gip, che stanno seguendo l'inchiesta.Sotto il paravento di una calma apparente nei corridoi della procura serpeggia disagio per le prese

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di posizione della politica. E imbarazzo hanno provocato le dichiarazioni del ministro Clini. A cui fanno eco quelle dei sindacati. "Nel rispetto delle prerogative della magistratura e delle sue decisioni, nessuno potrà scrivere la parola fine delle attività siderurgiche in Ilva', scrivono i segretari di Fim, Fiom e Uilm di Taranto riferendosi al possibile sequestro penale degli impianti dell'area a caldo dell'Ilva. E continuano: "È sempre più crescente la preoccupazione per il destino dell'Ilva di Taranto, per le migliaia di persone che vi lavorano, per il futuro dell'intera città. Abbiamo già affermato - scrivono i sindacalisti - quanto sia importante e strategico il centro siderurgico tarantino per l'intero sistema industriale italiano. La sua messa in discussione innescherebbe un effetto domino sugli altri stabilimenti Ilva, a cominciare da quello di Genova. Mantenerne le attività significa invece accelerare il percorso per coniugare l'intero ciclo integrale della fabbrica con la sua sostenibilità ambientale, senza della quale non c'è futuro".

La Repubblica 24 luglio 2012

Sull' Ilva si rischia la rivolta sociale

IL SEQUESTRO annunciato dell' area "a caldo" di Ilva perché c' è una perizia epidemiologica che fa accapponare la pelle - le emissioni industriali seminano ogni anno decine di morti - diventa come il gioco della roulette russa: tutti sanno che presto e tardi, i giudici premeranno il grilletto, ma nessuno conosce quando il proiettile sarà esploso. L' attesa è snervante, in una città già in ginocchio per la crisi economica. Là dove per domani Cgil, Cisl e Uil mobilitano la gente contro la spending review del governo Monti che rende «particolarmente gravi e insostenibili» i tagli relativi a giustizia, istruzione, sanità, e organizzano un paio di volantinaggi davanti all' ospedale Santissima Annunziata e al tribunale. L' idea poi che dalla sera alla mattina migliaia di operai del siderurgico possano restare senza un' occupazione all' indomani del provvedimento giudiziario, rischia di far saltare i nervi a tutti. «Sì, corriamo il pericolo della rivolta sociale» dice il segretario generale della Cgil, Gianni Forte. «I lavoratori si organizzano spontaneamente oppure più o meno spontaneamente, all' interno dell' azienda. Ecco perché non è chiaro quello che succederà. Sarebbe ingaggiata la classica guerra fra poveri, con i dipendenti dell' acciaieria che difendono l' impiego a denti stretti, e con i cittadini che reclamano di essere tutelati dal punto di vista sanitario». La storia si ripete. Forte ricorda che «nel 2002 avevamo vissuto una situazione del genere. Erano state poste sotto sequestro le cokerie, ma i magistrati ordinarono che gli impianti potevano continuare ad essere utilizzati». Potrebbe accadere la stessa cosa, dieci anni più tardi. «Bisogna comunque rispettare quelle che saranno le scelte di pme gip» avverte Forte. Nel frattempo «le istituzioni hanno fatto quello che si poteva fare: va bene la legge regionale varata per introdurre la valutazione del danno sanitario e il principio secondo cui chi avvelena il territorio, deve pagare, va bene l' iniziativa dell' esecutivo nazionale destinata alla sottoscrizione di un accordo di programma perché la zona industriale del capoluogo ionico sia bonificata. Ma lo sapete che proprio la mancata bonifica è un freno a nuovi investimenti? Ci sono migliaia di ettari inservibili perché infetti. Speriamo piuttosto che le risorse economiche non siano poche». E' un fiume in piena, Forte: «Va bene anche la maggiore disponibilità dimostrata dai manager dell' Ilva, a cominciare dal presidente Bruno Ferrante, perché l' ambiente non sia devastato.A meno che Ilva non voglia ritirarsi da Taranto, e io non lo credo, adesso alle parole dovranno fare seguire i fatti. Ne sapremo di più nel momento in cui i vertici della multinazionale incontreranno, martedì, il ministro dell' Ambiente Clini». A Statte, l' ex frazione che dal 1993è il più giovane comune del Tarantino, a ridosso della fabbrica, intanto si danno da fare: dichiarano la lotta all' amianto. L' amministrazione comunale finanzierà a fondo perduto il cinquanta per cento del costo che sarà sostenuto dagli stattesi «per liberare le abitazioni private dalla terribile fibra, causa di asbestosi e mesotelioma» spiega l' assessore all' Ecologia, Vincenzo Chiarelli. Il termine per la presentazione delle "manifestazioni d' interesse", scade venerdì 3 agosto.LELLO PARISE

La Repubblica - 22 luglio 2012  sez. BARI

Anticipato il vertice a Roma con Clini l' acciaieria nella partita del risanamento

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IL GOVERNO Monti e l' industria siderurgica leader in Europa si annusano, ma non si respingono. Decidono di mettere in piedi un gruppo di lavoro tra i ministeri di Ambiente, Sviluppo economico, Coesione territoriale e l' Ilva «per analizzare le problematiche relative alle procedure di autorizzazione ambientale e di bonifica dei suoli oggetto di contenziosi al fine di individuare un percorso condiviso». L' obiettivo è quello di «proseguire le iniziative già adottate da Ilva, per la riqualificazione ambientale dello stabilimento di Taranto». È la conclusione del faccia a faccia, ieri a Roma, fra il titolare dell' Ambiente Corrado Clini e il presidente dell' acciaieria Bruno Ferrante. All' incontro c' erano anche il sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti e il capo di gabinetto del ministro Fabrizio Barca, Alfonso Celotto. Incontro anticipato di ventiquattr' ore: era stato programmato per oggi, quando mancano due giorni alla firma del protocollo d' intesa finalizzato al risanamento della zona industriale del capoluogo ionico. Quello che sarà sottoscritto da Palazzo Chigi, Regione e enti locali tarantini. Ma, a quanto pare, la partita che vale non meno di 300-350 milioni di euro, sarà giocata pure da Ilva. Che «valuterà le condizioni per la migliore utilizzazione delle risorse finanziarie disponibili». Sale di ora in ora, nel frattempo, la tensione nella città dei due mari aspettando il sequestro (annunciato) della cosiddetta area "a caldo" dell' ex Italsider, acquisita nel 1995 dal gruppo Riva, descritta dai magistrati come la fonte di guai seri per la salute dei cittadini. Il provvedimento giudiziario sarebbe destinato a fare rimanere con le braccia incrociate almeno 5mila dei quasi 12mila lavoratori della fabbrica. Sei giorni fa, Ferrante raccontava: «I sindacati ci hanno chiesto quali saranno le conseguenze qualora la magistratura ordinasse di sequestrare alcuni impianti.È presto per dare delle risposte, ma l' avverarsi di uno scenario del genere potrebbe mettere in dubbio l' esistenza stessa dell' Ilva». Ieri la direzione dell' azienda annuncia che a settembre ripartirà il "treno nastri numero 1", fermo da giugno perché mancavano commesse: 232 operai ritornano in campo. Il segretario di Fim Cisl Vincenzo Castronovo, parla di «un segnale di distensione importante che rimarca la volontà dell' Ilva di mantenere saldo ogni livello occupazionale». Ma Legambiente, con Lunetta Franco e Leo Corvace, definisce «inaccettabile e controproducente l' atteggiamento dell' Ilva», che «non ritira il suo ricorso al Tar teso a bloccare la procedura per la riapertura dell' Aia, l' unico strumento in grado di imporre interventi di drastica riduzione dell' inquinamento». Tuttavia l' assessore regionale all' Ambiente Lorenzo Nicastro, avverte: «No alla delocalizzazione delle produzioni ambientalmente più impattanti, verso altri paesi. Il tema, a Taranto più che altrove, è quello della sostenibilità di un insediamento industriale. Un risultato da raggiungere grazie a una rete di dati scientifici che è sempre più capace di offrire a chi deve scegliere, uno straordinario supporto tecnico». Ricorda poi l' ultima legge approvata dall' assemblea pugliese, attraverso cui «si valuta il danno economico degli effetti sanitari dell' inquinamento. Questo soprattutto per disarmare la mano di chi lavora alla demolizione delle protezioni sociali»

La Repubblica 24 luglio 2012

Inquinamento llva, i comitati all'Aja "Genocidio e crimini contro l'umanità"Una denuncia al tribunale penale internazionale per un'inchiesta che accerti le responsabilità dei vertici vertici dell'azienda e di politici e amministratori

Il Comitato 'Taranto Futura', che ha già proposto il referendum sulla chiusura totale o parziale dell'Ilva, presenterà una denuncia al procuratore del Tribunale penale internazionale per chiedere l'apertura di un'inchiesta nei confronti della classe dirigente tarantina, regionale e nazionale, in concorso con i vertici dell'Ilva, per la violazione degli articoli 5, 6 e 7 dello statuto della Corte penale internazionale, genocidio e crimini contro l'umanità in relazione all'inquinamento prodotto dallo stabilimento siderurgico e ai mancati controlli da parte delle istituzioni.Lo annuncia in una nota l'avvocato Nicola Russo, coordinatore del Comitato cittadino, sottolineando che l'esposto si baserà sugli ultimi dati e accertamenti sanitari forniti dai Periti del Tribunale nel procedimento per disastro ambientale nei confronti dei responsabili dell'Ilva. "Dai dati - osserva Russo - risulta che un totale di 637 morti (in media 91 morti all'anno) è attribuibile ai superamenti dei limiti di PM10 e un totale di 4536 ricoveri (con una media di 648 ricoveri all'anno) solo per malattie cardiache e malattie respiratorie, è sempre attribuibile ai suddetti superamenti. Secondo i periti nominati dalla Procura, la situazione sanitaria a Taranto è molto critica, anzi unica in Italia"

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l Comitato 'Taranto Futura' chiederà al Procuratore del Tribunale Penale Internazionale di indagare "su chi avrebbe dovuto controllare - conclude Russo - e non ha controllato o ha fatto finta di controllare tra la classe dirigente tarantina, regionale e nazionale, oltre a chi ha sostenuto moralmente dette gravi omissioni in materia ambientale, violando ogni forma di tutela della salute nei confronti dell'intera popolazione tarantina e della Provincia, perchè, ai sensi dell'art. 40 del codice penale 'non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".

La Repubblica - 24 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, città blindata per il verdetto fabbrica e tribunale 'sotto tutela'

TARANTO, città blindata. Aspettando la sentenza della magistratura che dovrebbe fare scattare il sequestro per l' Ilva, le forze dell' ordine temono disordini e si schierano a protezione sia dello stabilimento, sia del tribunale. Ieri a Roma aperto il dialogo tra il ministro dell' Ambiente Corrado Clini e il presidente dell' azienda siderurgica, Bruno Ferrante. Giovedì, sempre a Roma, la firma del protocollo d' intesa fra governo, Regione ed enti locali tarantini per la bonifica.Tensione alle stelle. Nelle acciaierie dell' Ilva, ma anche a Palazzo di giustizia. Rinforzi per gestire l' ordine pubblico. E tanta paura per migliaia di posti di lavoro a rischio. Così si vive a Taranto una snervante e lunghissima vigilia. È imminente la decisione del gip Patrizia Todisco sul sequestro dell' area a caldo del gigantesco stabilimento siderurgico. Da quei reparti si sprigiona l' inquinamento che avvelena la città. Due perizie inchiodano l' Ilvaei cinque indagati, trai quali spiccano Emilioe Nicola Riva. L' accusa mossa dalla procuraè di disastro ambientale. Quegli impianti viaggiano verso la chiusura, con l' incognita della licenza d' uso. Ma questa mossa potrebbe significare la fine della siderurgia ionica. Perché azzerare l' area a caldo significa svuotare la grande fabbrica che solo nell' ultimo anno ha sfornato sette milioni di tonnellate di acciaio. Alle produzioni record fanno da contraltare le conclusioni degli esperti che indicano i fumi e le polveri industriali come fonti di malattia e morte. I sigilli sembrano inevitabili. La conseguenza può essere la messa in libertà di migliaia di lavoratori. Proprio nella fabbrica si vivono ore tensione. «Siamo operai e sul nostro lavoro abbiamo costruito un progetto di vita - racconta Gino Marasco, rsu della Uilm, impiegato nelle batterie della cokeria, uno dei reparti più discussi - Siamo a un passo dal panico. C' è chi corre a chiedere l' anticipazione del tfr e chi si dispera per il prestito o per il mutuo. Il nervosismo è palpabile perché noi non possiamo accettare la morte della fabbrica. Siamo tutti d' accordo a scendere in strada per difendere la nostra vita». Nelle acciaierie e nei tubifici da giorni non si parla d' altro. «Non siamo mai stati così compatti» - continua Marasco. L' onda d' urto di migliaia di lavoratori in piazza è già stata sperimentata da Taranto lo scorso 30 marzo. Questa volta, però, le eventuali manifestazioni sarebbero avvelenate dall' esasperazione. Per questo sono già arrivati rinforzi. Più carabinieri e poliziotti. Da oggi saranno intensificati i controlli sulla fabbrica. La Digos non trascura il minimo segnale. Anche gli strali su facebook non passano inosservati. E in via preventiva è stata stretta la sorveglianza sui magistrati, pm e gip, che stanno seguendo l' inchiesta. Sotto il paravento di una calma apparente nei corridoi della procura serpeggia disagio per le prese di posizione della politica. E imbarazzo hanno provocato le dichiarazioni del ministro Clini. A cui fanno eco quelle dei sindacati. "Nel rispetto delle prerogative della magistraturae delle sue decisioni, nessuno potrà scrivere la parola fine delle attività siderurgiche in Ilva", scrivono i segretari di Fim, Fiom e Uilm di Taranto riferendosi al possibile sequestro penale degli impianti dell' area a caldo dell' Ilva. E continuano: "È sempre più crescente la preoccupazione per il destino dell' Ilva di Taranto, per le migliaia di persone che vi lavorano, per il futuro dell' intera città. Abbiamo già affermato - scrivono i sindacalisti - quanto sia importante e strategico il centro siderurgico tarantino per l' intero sistema industriale italiano. La sua messa in discussione innescherebbe un effetto domino sugli altri stabilimenti Ilva, a cominciare da quello di Genova. Mantenerne le attività significa invece accelerare il percorso per coniugare l' intero ciclo integrale della fabbrica con la sua sostenibilità ambientale, senza della quale non c' è futuro". © RIPRODUZIONE RISERVATA MARTEDÌ 24 LUGLIO 2012 la RepubblicaMARIO DILIBERTO

La Repubblica 24 luglio 2012  sez. BARI

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Vivere e morire in quella fabbrica'

SONO storie che hanno perso i capelli. Che hanno il rumore della tosse, entrano nella carne come gli aghi di una flebo. LE STORIE si chiamano Vincenzo e Anna, Franco e Rosalba, portano cappelli sino alle sopracciglia oppure parrucchee poi primao poi finiscono, come tutte le storie, ma queste finiscono troppo presto e fanno troppo male. Taranto. Quartiere Tamburi. Ilva. Malattia. Operai. Inquinamento. Tumori. Leucemia. Lavoro. Protesta, Salute. Oggi i fatti si raccontano attraverso "tag cloud", le etichette che si attaccano sotto i blog o si spargono sullo schermo dei tablet un po' per poter saltare da una parte all' altra un po' per sintetizzarle. Ecco, i bollini di questa storia sono un po' queste parole lunghe cinquant' anni e sparse qui e là, sciolte un po' nell' indifferenza, un po' nella retorica, a tratti negli affari, comunque annegate nella sofferenza. Tutte però galleggiano nell' assurdo equivoco che si debba scegliere da che parte stare: se da quella di chi vuole difendere un lavoro o di chi vuole difendere la salute, come se le due cose alla fine non fossero le stesse. Vincenzo ha lavorato per 35 anni nello stabilimento Ilva di Taranto. E sei mesi dopo esserne uscito, dopo aver buttato giù un sorso d' acqua tutto di un sorso ha sentito più freddo del solito. Si è infilato in un letto. E praticamente non ne è uscito più. Leucemia, gli hanno detto i medici. Il senso della parola non l' ha ancora compreso se non che da quando gliel' hanno detto ha cominciato a fare su e giù da un ospedale, le sue braccia sono diventate una sorta di campo minato, sì perché gli aghi di oggi li chiamano anche farfalline, ma bucano. E quello che fanno passare attraverso fa così male che ti costringe quattro, cinque giorni in un letto. «Mi hanno detto che mi sono ammalato soltanto per il fatto di essere tarantino, per aver lavorato una vita nella mia città, a un passo dal mio quartiere: che colpa sto pagando?». La colpa è la stessa che pagano centinaia di persone accanto a lui: «Taranto tra il 1995 e il 2002 ha registrato un aumento della mortalità tra il 7 e il 9 per cento, per i tumori tra il 13 e il 15 per cento nello specifico esiste una più alta mortalità per i tumori polmonari con un 19 per cento in più per tumore alla pleura, per malattie del sistema cardio-circolatorio, malattie ischemiche, malattie dell' apparato respiratorio e malattie respiratorie acute. Il quadro testimonia una più alta mortalità per i cittadini di Taranto e Statte sia negli uomini che nelle donne» dicono i periti. Che significa? «Significa che se io non fossi nato a Taranto avrei avuto praticamente il 10 per cento in più di vivere una vita migliore». Marco dice che la sua ora non è una bella vita. E non lo è da un po' , da quando troppo giovane è morta sua moglie per un tumore. «Non ho paura di ammalarmi, non mi sposto di un centimetro da casa, io ho la mia strada già ben segnata. E poi a me è successo già tutto: quando si soffre, ma quando si soffre veramente alla fine non può accadere più niente. Ogni mia cellula sa cos' è il dolore, lo conosce, non lo controlla ma quasi lo aspetta. Ed è una sensazione paradossalmente benefica: non mi fa paura più nulla, so di poter affrontare tutto. A me basta andare, vedere le fotografie al mare, i sorrisi, lei con quell' elastico fucsia che le tirava su i capelli, a me bastano i particolari per continuare a sopravvivere». Qualche anno fa la Regione pubblicò un libro dei bambini di Taranto che chiedevano banalmente di avere un cielo azzurro, «Sognando nuvole bianche» si chiamava. Chiedevano che non gli sporcassero di nero Hello Spank. Non è cambiato molto: ieri hanno mandato al macero qualche tonnellata di cozze alla diossina. Un paio di anni fa fecero scalpore e lacrime gli agnelli alla diossina sacrificati perché ammalati. «Piangono per gli animali e girano la testa davanti agli uomini» dissero. «A Genova - dice Alessandro Marescotti, il professore ambientalista presidente di Peacelink - hanno chiuso le cokerie e il benzoapirene è letteralmente crollato. Quello è l' obiettivo che condivido e a cui anche Taranto ha diritto, non meno di Genova, per par condicio e per pari rispetto alla salute dei cittadini. Far vedere che si è sotto il limite per uno 0,1 è come fumare 19 sigarette quando il dottore dice al paziente: "Non devi fumare un pacchetto al giorno, ti fa male!». Far fumarei non fumatori. Questo ha sempre Taranto. Ora sono tutti preoccupati che la procura possa sciogliere l' equivoco, provare a fare qualcosa dopo che per anni (con l' eccezione degli ultimi quattro-cinque con la legge sulla diossina e i campionamenti) si è guardato sempre dall' altra parte, sempre da quella sbagliata. GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica 24 luglio 2012 – sez. Bari

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Rischio infiltrati tra gli operai, i giudici decidano'

L' INCUBO non ha né volti, né nomi. È quello legato agli infiltrati, che potrebbero mescolarsi a qualcosa come 12mila operai e «soffiare sul fuoco». L' ipotesi, che fa rabbrividire, è del segretario nazionale della Uilm, Rocco Palombella, la vecchia guardia dell' Ilva, in cui lavora per quasi quarant' anni prima di tirare i remi in barca. Assicura di non avere notizie a proposito di "cavalli di Troia" che dovrebbero essere attrezzati perché si intrufolino all' interno dell' acciaieria e alimentino la rabbia. «Ma l' esperienza del passato e, soprattutto, lo stato di crisi in cui versa questo Paese, raccontano che più passa il tempo nell' attesa di un provvedimento giudiziario e più aumenta il rischio di infiltrati, appunto, pronti a tutto pur di provocare disordini» fa sapere il sindacalista. Il pericolo della «rivolta sociale» era stato agitato non più tardi di tre giorni fa dal leader della Cgil pugliese Gianni Forte, in un' intervista a Repubblica: questo perché «i lavoratori si organizzano spontaneamente oppure più o meno spontaneamente». La tensione si taglia a fette. Cgil, con Cisl e Uil, da ieri presidia la fabbrica: bandiere, striscioni... «Non siamo contro qualcuno» avverte il segretario della Fiom Donato Stefanelli «ma chi pensa che la soluzione sia la chiusura dell' Ilva, è fuori dalla realtà». Rincara la dose il numero uno di Fim Cisl, Mimmo Panarelli: «Se c' è chi immagina di risolvere i problemi bloccando l' area a caldo, è sicuramente fuori pista. Ilva, in quel caso, non avrebbe più motivo di esistere». Ogni riferimento alla sentenza (annunciata) del giudice delle indagini preliminari che dovrebbe mettere sotto chiave proprio l' area "a caldo", non è casuale. Ma il leader dei Verdi Angelo Bonelli che nel capoluogo ionico è consigliere comunale, non ci sta: «In questi giorni sono state usate parole fortissime per condizionare la magistratura sulla vicenda Ilva, mentre la tragedia sanitaria è come se fosse scomparsa. Eppure la situazione a Taranto è drammatica: stiamo parlando di una città dove si muore di inquinamento». Alessandro Marescotti, di Peacelink, cita i dati di una ricerca presentata a Oxford: «Nelle urine dei tarantini è stata riscontrata la presenza del piombo, sostanza neurotossica e cancerogena». Il coordinatore del comitato "Taranto futura", Nicola Russo, vuole denunciare al tribunale penale internazionale «la classe dirigente regionale e nazionale, in concorso con i vertici di Ilva, per genocidio e crimini contro l' umanità». La questioneè sempre la stessa: come si fa a conciliare occupazione e ambiente? Possono essere le facce di una medaglia o per guadagnare uno stipendio bisogna essere disposti perfino a perdere la vita? «Si tratta di una questione che merita i dovuti approfondimenti» insiste il "cislino" Panarelli. Ecco perché per venerdì di questa settimana Fiom, Fim e Uilm vogliono incontrare i dipendenti del siderurgico: l' appuntamento è dalle 7 alle 9 del mattino, portineria (l. p.)

La Repubblica - 25 luglio 2012  sez. BARI

Taranto sulle barricate, Ilva a rischio chiusura la polizia manda i rinforzi: È una polveriera

TARANTO - Quindici anni fa all' incirca, quando il patron dell' Ilva Emilio Riva ebbe la sua prima condanna per un reato piccolo, "gettito pericoloso di cose", ad ascoltare la sentenza c' erano soltanto due persone: il giudice e quello che allora si chiamava pretore. Tutti gli altri (operai, ambientalisti, professori, studenti, la società civile) erano rimasti a casa. Quel pretore si chiamava Franco Sebastio e oggi è il procuratore capo del tribunale di Taranto. Da qualche giorno, insieme con i suoi pm, è sotto l' assedio della politica, le minacce degli operai e la tutela della polizia: la nuova inchiesta sull' inquinamento sta per esplodere eppure sembra che invece di salvarla, l' abbiano inquinata i giudici, Taranto. E così mentre i magistrati rimangono, soli, all' ultimo piano di palazzo di giustizia, tutti gli altri sono in piazza, da avversari: da una parte c' è chi difende il diritto al lavoro, dall' altro il diritto alla salute. Ci sono gli ambientalisti che chiedono di chiudere il maxi

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stabilimento siderurgico (grande più di due volte Taranto) e gli operai che, spaventati dalla chiusura, promettono di mettere la città a ferro e fuoco. Ieri hanno bloccato per più di due ore il traffico d' ingresso in città, temendo arrivassero i carabinieri a notificare il sequestro dell' impianto. «Diciamo che comunque vada c' è un solo risultato possibile: abbiamo perso tutti» dice Mario Desiati, scrittore, tarantino. Niente da fare. Taranto sembra in guerra. Ma che è successo a Taranto? È accaduto che dopo 15 anni di indagini penali, lunghe distrazioni politiche (prima che la Regione di Vendola nel 2009 approvasse una legge sulle diossine, le norme italiane avevano limiti per l' inquinamento alti soltanto come quelli dell' Ucraina, anche in India erano più bassi) e analisi scientifiche inascoltate (lo sapevate che Taranto in alcuni giorni è inquinata come Chicago? Più di Londra o Parigi?), è accaduto che a marzo scorso alcuni luminari italiani scelti dal gip Patrizia Todisco («Sei la nostra salvezza» scrivono gli ambientalisti, «Todisco ce lo dai tu un lavoro?» rispondono gli operai) hanno presentato una perizia scientifica sul caso Taranto. In questa perizia per la prima volta si dice che l' inquinamento è prodotto principalmente dall' Ilva. E che per colpa di quell' inquinamento in città si muore più che nel resto d' Italia: in 13 anni (dal 1998 al 2010) 386 decessi da emissioni industriali. Si ammalano troppo le donne, gli uomini e i bambini. E nei quartieri Borgo e Tamburi, quelli più vicini allo stabilimento, ci si ammala fino al 130 per cento in più del resto della città. Insomma, la fotografia di una strage. Dopo aver letto quelle parole il procuratore Sebastio aveva chiesto l' aiuto di Ministero, Regione, Comune, Provincia eccetera eccetera. «Dal contenuto della relazione - scriveva in una lettera - si desumono elementi conoscitivi tali da destare particolare allarme che possono e debbono essere valutati dagli entii quali sono titolari di specifici poteri-doveri di intervento: c' è da tutelare il diritto alla salute e quindi alla vita, unico di tali diritti che, oltre ad essere assoluto e valido erga omnes, non tollera alcun contemperamento». Questa lettera non ha avuto alcuna risposta se non negli ultimi 15 giorni quando Regioni, governo e tutti gli altri hanno approvato una nuova legge e messo sul piatto circa 200 milioni di euro (oggi un nuovo incontro a Roma). A spingerli non le parole di Sebastio ma le voci di un possibile sequestro dell' impianto, le stesse voci che avevano fatto dimettere dai vertici dell' azienda tutta la famiglia Riva che aveva lasciato il posto a un nome di garanzia, l' ex prefetto Bruno Ferrante. Quelle voci hanno anche allarmato gli operai: se l' Ilva chiude vanno per strada da quattromila a 11.634 persone. Che non ci stanno. Ieri hanno bloccato la statale ma, dice la Uil, «è stato soltanto l' inizio». Per questo è arrivata la polizia in grande numero. Paura, sussurrano, «tensione sociale». Alcuni dipendenti stanno picchettando l' azienda giorno per bloccare i carabinieri (a proposito: per spegnere l' Ilva serve più di un anno). Dall' altra parte della strada si vedono i balconi rosa del quartiere Tamburi, rosa come le polveri di minerale che tuttii giorni arrivano dall' Ilva. La notte la passa su quei balconi anche Marco, dorme poco da quando un anno e mezzo fa ha perso la moglie. Tumore. «Nessuna rivincita, nessuna vendetta. Nessuna paura. Ogni mia cellula sa cos' è il dolore, lo conosce, non lo controlla ma quasi l' aspetta. Ed è una sensazione paradossalmente benefica: non mi fa più paura nulla, so di poter affrontare tutto. Anche la guerra, sotto casa mia».

La Repubblica - 26 luglio 2012  sez. BARI

Montagne di minerale e clima d'inferno viaggio nel cuore del mostro d'acciaio

TARANTO - Cinquantasette ettari di montagne di minerale che sbucano dai muri di cinta.Così comincia la temutissima area a caldo dell'Ilva di Taranto.Il cuore dell'imponente complesso siderurgico che ora l'inchiesta della procura intende colpire. Quel cuore sconfinato, secondo i magistrati e gli esperti, è anche molto pericoloso.Perché sputa polvere e pompa fumi che inquinano, avvelenano, fanno ammalare e uccidono. I parchi sono una delle immagini che il colosso dell'acciaio regala all'esterno. Già in passato furono sequestrati puntando alla confisca. Ma quell'assalto giudiziario si infranse in Cassazione. Sono in una posizione infelice, proprio al confine con la città. Le folate di polvere che partono di lì regala alle cappelle del vicino cimitero un caratteristico color rossiccio. Da quei parchi si sbuca nell'agglomerato dinanzi al quale si alzano le 9 batterie operative delle cokerie.Impianti nuovi. Di ultima generazione. Anche qui i giudici hanno colpito in passato. Ora sono Bat, ovvero impianti realizzati con le migliori tecnologie. Nei pressi ci sono i resti delle prime batterie. Quelle dell'Italsider di Stato spente vent'anni fa e mai più riavviate.

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Nella raffica di 95 forni viene cotto il fossile che diventa coke.Le bocche si aprono e si chiudono a ripetizione. Qui i lavoratori indossano tute ignifughe, mentre sotto i loro piedi la temperatura arriva anche a mille gradi. In questa zona in cui tutto è scuro, si lavora a ritmo incessante.Le tute verdi si muovono in un paesaggio spoglio, dove però tutto è grande. Tutto è maxi.Nelle cokerie si fabbrica il coke che insieme al prodotto dell'agglomerato alimenta i quattro altoforni attualmente in attività. Il più grande è l'Afo 5. Un colosso inespugnabile. Gli altri tre sembrano i fratelli più piccoli di una famiglia di silos giganteschi.Fanno paura e sfornano tonnellate di ghisa liquida. Sui piani di colata il caldo è infernale. Si arriva anche a 1.500 gradi e anche qui i lavoratori indossano le protezioni ignifughe.La ghisa viene spillata e convogliata nei cosiddetti carri siluro. Viene trasportata ancora incandescente, su quei convogli ferroviari imponenti. Viaggiano sino alle due acciaierie, ognuna delle quali è dotata di tre convertitori. Qui si produce l'acciaio. L'acciaio bollente salta fuori dalle cinque colate continue. Un mare ribollente destinato a diventare bramma. E infine coils, i nastri di laminato, e i tubi d'acciaio che sono l'orgoglio dell'Ilva di Taranto.

La Repubblica 26 luglio 2012  sez. BARI

Ilva: sigilli e 8 arresti, è sciopero a oltranza. Il gip: "Dagli impianti, malattia e morte""Inquinamento dettato dalla logica del profitto". Disposti i sigilli a sei reparti a caldo dell'acciaieria, ordini di custodia ai domiciliari per i dirigenti. L'indagine è per "disastro ambientale". Cinquemila i dipendenti in corteo, paralizzata la città. A Roma firmato il patto per il risanamento: sul piatto 336 milioni. Passera: "Garantire la continuità operativa". L'azienda: "Momenti drammatici, lavoratori in lacrime nello stabilimento". Il procuratore: "Non siamo pazzi"

TARANTO  - Dal gip di Taranto Patrizia Todisco un provvedimento di sequestro senza facoltà d'uso dell'intera area a caldo dello stabilimento siderurgico Ilva. Perché l'impianto ha causato e continua a causare "malattia e morte", anche nei bambini, e "chi gestiva e gestisce l'Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza". 

LEGGI   L'ORDINANZA DEL GIP

Disposti i domiciliari per otto dirigenti, tra cui il patron Riva e suo figlio, per disatro ambientale; i sigilli per sei reparti dell'area a caldo: ai parchi minerali, le cokerie, l'area agglomerazione, l'area altiforni, le acciaierie e la gestione materiali ferrosi. Gli operai, nel giorno della notifica dei provvedimenti nell'inchiesta sul colosso siderurgico, sono usciti dallo stabilimento e hanno dato vita a una manifestazione. Per proi proclamre, a sera, lo sciopero a oltranza. "Non siamo pazzi sconsiderati - dice il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio - cerchiamo di lavorare con la schiena dritta, ragionando"

Sono momenti davvero drammatici e carichi di emozioni - scrive però l'ex prefetto Bruno Ferrante, ora presidente dell'Ilva, in una nota - ho visto persone in stabilimento commosse e in lacrime, il cui stato d'animo comprendo e condivido. Voglio esprimere la grande amarezza per le persone arrestate, voglio però dire che non mancherà l'impegno, come non è mai mancato in questi anni, per tutelare in tutte le sedi opportune l'occupazione e il futuro dell'Ilva, che è patrimonio dell'intero Paese". 

Il governo cercherà di impedire lo stop. "Chiederò che il provvedimento di riesame avvenga con la massima urgenza", fa sapere il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, che nel frattempo a Roma ha firmato a Roma il patto per le boniche e il risanamento di Taranto: un accordo da 336 milioni di euro. "L'iniziativa della magistratura incide sulla vita di 15mila persone. Non è detto che l'impianto venga chiuso, anche perché non si tratta di impianti che si chiudono con un bottone". "Governo e istituzioni locali - ha aggiunto il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera - faranno tutto il possibile

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non fermare la produzione. E' necessario avviare e portare avanti, una volta per tutte, il superamento strutturale delle motivazioni che hanno portato al sequestro. Si tratta di uno dei più importanti impianti del Paese, fondamentale per diversi comparti del nostro sistema industriale". 

LE MOTIVAZIONI DEL GIP - "La gestione del siderurgico di Taranto è sempre stata caratterizzata da una totale noncuranza dei gravissimi danni che il suo ciclo di lavorazione e produzione provoca all'ambiente e alla salute delle persone", scrive il gip nell'ordinanza di sequestro. E poi. "Ancora oggi" gli impianti dell'Ilva producono "emissioni nocive" che, come hanno consentito di verificare gli accertamenti dell'Arpa, sono "oltre i limiti" e hanno "impatti devastanti" sull'ambiente e sulla popolazione. La situazione - si legge ancora - "imponel'immediata adozione, a doverosa tutela di beni di rango costituzionale che non ammettono contemperamenti, compromessi o compressioni di sorta quali la salute e la vita umana, del sequestro preventivo". Nella popolazione residente a Taranto si sono osservati "eccessi significativi di mortalità per tutte le cause e per il complesso delle patologie tumorali, per singoli tumori e per importanti patologie non tumorali, quali le malattie del sistema circolatorio, del sistema respiratorio e dell'apparato digerente, prefigurando quindi un quadro di mortalità molto critico", spiega la Todisco nell'ordinanza. E i tumori in età pediatrica (0-14 anni) sono "significativamente in eccesso". 

I SIGILLI E GLI ARRESTI - Sono 8 gli indagati, tra dirigenti ed ex dirigenti dell'Ilva, per i quali il gip ha disposto i domiciliari. Sono accusati, a vario titolo, di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose. Cinque di questi erano già inquisiti. Sono il patron Emilio Riva, presidente dell'Ilva Spa fino al maggio 2010, il figlio Nicola Riva, che gli è succeduto nella carica e si è dimesso un paio di settimane fa, l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, il dirigente capo dell'area del reparto cokerie, Ivan Di Maggio, il responsabile dell'area agglomerato, Angelo Cavallo. A loro si sono aggiunti, altri tre dirigenti che hanno assunto incarichi in tempi più recenti: Marco Andelmi, capo area parchi, Salvatore De Felice, capo area altoforno e Salvatore D'Alo, capo area acciaieria 1 e 2 e capo area Crf. Diversi di loro vivono a Milano. Per quanto riguarda i sigilli agli impianti, il provvedimento è stato notificato all'avvocato Egidio Albanese, uno dei legali del gruppo Riva. Sono state individuate tre figure tecniche (due funzionari dell'Arpa Puglia e uno dei Dipartimenti di prevenzione dell'Asl di Bari) che dovranno sovrintendere alle operazioni e garantire il rispetto delle norme di sicurezza. Della gestione delle fasi che attengono al personale si occuperà un commercialista e revisore contabile. "Il sequestro non si può concludere in 24 ore - ha spiegato il procuratore Sebastio -  si tratta di procedure molto particolari vista l'imponenza della struttura. Occorrerà fare un progetto di lavoro: per questo sono stati nominati i tre ingegneri".LA PROTESTA - Circa 5.000 operai in strada, 200 quelli in sit-in davanti alla Prefettura. Un fiume quelli che hanno invaso il ponte girevole. I sindacati di categoria Fim, Fiom e Uilm hanno organizzato la mobilitazione avendo avuto sentore dell'imminente la notifica del provvedimento da parte dei carabinieri, poi hanno proclamato lo sciopero a oltranza. Un assembramento di 3-4000 persone si è formato sulla statale 7 Appia, all'altezza della direzione aziendale, ed è partito in corteo verso il centro della città. Altre 3000 persone, dipendenti del 2° turno, si sono uniti alla manifestazione. Un nuovo blitz dopo quello di ieri, chiamato dai lavoratori stessi 'sciopero preventivo'. Il rincorrersi di voci sul  sequestro, la tensione alle stelle, la città blindata: i lavoratori stremati dall'attesa hanno deciso di dare vita al corteo e di arrivare fino alla Prefettura. "L'azienda ecocompatibile va bene - dice un operaio - ma bisogna dare tempo all'azienda. Noi dobbiamo continuare a lavorare, altrimenti dove si va?". "In questa città - gli fa eco un collega - le prospettive sono quasi zero. La chiusura dell'Ilva manderebbe in crisi le nostre famiglie. Sarebbe una decisione traumatica". 

IL 'PATTO PER TARANTO' - Nel frattempo a Roma il governo, gli enti locali e le parti sociali firmavano l'accordo sulle bonifiche e per il risanamento della città jonica. Una manifestazione si è svolta anche nella capitale, sotto al ministero dell'Ambiente. Le risorse per "interventi urgenti di riqualificazione ambientale" a Taranto saranno pari a "un importo complessivo di 336 milioni di

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euro", ha spiegato Clini. L'accordo prevede una "cabina di regia" presieduta dal presidente Vendola. Ma l'intesa, ha sottolineato il ministro, "non è una risposta alle iniziative della magistratura ma un impegno per andare avanti in tempi rapidissimi. Le autorità daranno le prescrizioni per gli interventi che saranno a carico dell'impresa". Secondo il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, si tratta di "una terapia d'urto per sanare una malattia nata 52 anni fa". 

REGIONE PARTE CIVILE - Se si dovesse arrivare al processo, la Regione Puglia si costituirà parte civile, annuncia Vendola. "Se la magistratura - dice - avesse indicato delle prescrizioni, l'Ilva avrebbe il dovere di adempierle". "In tutte le vicende in cui c'è la lesione di un danno collettivo - prosegue Vendola - normalmente ci costituiamo parte civile. E penso che lo faremo anche in questo caso". In questo momento, osserva però il governatore della Puglia, "il pensiero è per gli operai e le loro famiglie, a cui va tutta la solidarietà di chi vive con grande apprensione quello che sarebbe disastroso per Taranto, la Puglia e l'economia italiana".

La Repubblica - 26 luglio 2012  sez. BARI

Quel cielo sopra Taranto diviso a metà . Così paghiamo gli errori di decenniIl bisogno di semplificare ha generato facili estremismi: ambiente contro lavoro. E comunque vada la città sarà sconfitta

di MARIO DESIATI. Sabato mattina Taranto aveva due cieli. Ho scattato una foto mentre ero lungo l’Orimini, una banale foto con cui ho tentato di immortalare l’orizzonte del mio capoluogo che ho visto e rivisto, ma che in quel giorno si portava dietro sentimenti inediti. Quasi un presagio. Il cielo era frazionato in due linee, da una parte l’azzurro che il mondo conosce, un azzurro che volge al turchese come soltanto certe mattine di estate sullo Jonio.

E poi in basso una striscia grigia, la cappa che si alza sulla città dei due mari e divide i suoi abitanti dal sole. In realtà quelle due volte dell’orizzonte visivo che appaiono a chi arriva dalla ss172 sono lo stesso cielo. È troppo facile in queste ore in cui si stanno giocando le sorti del più grande complesso siderurgico del Mediterraneo, stilare gli schieramenti. Ambiente versus lavoro, abitanti esasperati dalle polveri contro operai a rischio povertà e via “ campanilizzando” nell’arte maestra dell’Italia. Gli ambientalisti non sono degli irresponsabili che vogliono mandare in mezzo alla strada diciottomila persone (e le loro famiglie, perché molti di quei 18 mila sono nuclei familiari monoreddito). 

Gli operai non sono dei pazzi che vogliono distruggere la loro città per mantenere il proprio lavoro. Il bisogno di semplificare ha creato contrapposizioni degenerate in estremismi che si pongono soltanto in un’ottica di soluzioni drastiche nell’uno o nell’altro senso, si respira un clima che sembra sfociale nella più grande tensione sociale che ha mai vissuto una città italiana nel dopoguerra. Lo stato dell’opinione pubblica tarantina è frammentato e incline a incendiarsi, lo spettro copre tutte le posizioni basta leggere sui muri di Salinella, Tamburi e Paolo VI per capire che aria tira: dalle scritte contro Riva a quelle contro i giudici.

Andrebbe sfatato un luogo comune, quello che esalta sempre il partito dei passatisti, de “erano meglio i politici di un tempo”. I problemi ambientali sono figli di quando l’Ilva era Italsider, quelli strutturali invece dei politici locali e nazionali di sessant’anni fa, coloro che erano apparentemente più illuminati secondo i canoni della reputazione riservata ai governanti attuali. I discendenti della guerra, allevati nella pre partitocrazia italiana quando la città jonica era soprattutto l’arsenale e si arrivava a dire che pur di avere lavoro si sarebbe costruito l’impianto a Villa Peripato.

Taranto paga errori che affondano ad allora. All’assenza di quel concetto che oggi si fa massima nell’aforisma di De Gasperi che tutti citano (compreso il nostro premier), il politico pensa alla prossime elezioni, lo statista alle prossime generazioni. L’aver pensato nei decenni precedenti alle elezioni ha fatto il mostro. La decantata classe dirigente del dopoguerra ha commesso errori capitali individuando in Taranto una città che poteva diventare industriale in pochi anni,

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sottovalutando che la classe operaia qui sarebbe diventata molto diversa dal resto del mondo. Un ceto sui generis in una terra di masserie, ulivi e pascoli. 

Gli operai italsiderini erano chiamati per la loro origine meticcia che mischiava sangue contadino e sangue metropolitano, i metal mezzadri. Ciò che sta accadendo in queste ore può diventare una sconfitta storica, in cui perdono soprattutto le generazioni che hanno progettato la vocazione industriale di questo territorio, che hanno dimenticato presto da dove venivano, non hanno avuto remore a buttar giù masserie e sradicare ulivi per costruire un’ambizione industriale che però non aveva struttura. E poi c’è un altro aspetto che rende ancora più complesso il corso dei prossimi eventi: si tratta della vicenda umana. 

Chi è nato e cresciuto qui porterà sempre in dote una sorta di identità spartana fedele allo spirito dei suoi fondatori, una devozione quasi fatale al proprio lavoro e che diventa tale anche nella vita. La morte niente altro che un’eventualità del lavoro/ missione.Ripartire da quell’orizzonte spezzato a metà, dove le due parti di colore diverso altro non sono che le medesime dello stesso cielo. Tener conto della complessità sarebbe l’auspicio per ricominciare con o senza Ilva, anche se ad oggi non sembrano essercene i segnali.

La Repubblica - 25 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, il ministero stanzia 336 milioni di euro. Vendola: "Salari di 20mila famiglie a rischio"

Sottoscritto al ministero il "Protocollo d'intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto". Un documento che identifica gli interventi da compiere per un importo complessivo di 336 milioni di euro. Fassina, Pd: "Occasione di innovazione". Legambiente: "No a soluzioni frettolose"

ROMA - Non si tratta di una risposta alle "iniziative della magistratura". Ma un impegno per risolvere la questione in tempi rapidi. E per sostenere "la vita dello stabilimento" nonostante il sequestro dei reparti. Il versante romano del caso Ilva   1  si chiama "Protocollo d'intesa per interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto". Un documento che identifica "in maniera puntuale gli interventi da compiere per un importo complessivo di 336 milioni di euro". Così il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini. Che precisa: "l'attuazione degli interventi è affidata a una cabina di regia coordinata dal presidente della Regione Puglia". 

Il protocollo è stato siglato anche dai ministeri delle Infrastrutture, dello Sviluppo Economico e per la Coesione Territoriale, nonchè da Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto. "Abbiamo rastrellato queste risorse in una situazione di enorme penuria, ma sono solo l'inizio di un ciclo che porterà risorse molto più cospicue: lo Stato e gli enti locali stanno dando un segnale di serietà, speriamo di poter dare pesto speranza di vita alla fabbrica". 

Passera: "Garantire continuità operativa". Governo e istituzioni locali faranno tutto il possibile per individuare soluzioni che tutelino occupazione e sostenibilità produttiva" dell'Ilva di Taranto. Lo afferma in una nota il ministro dello Sviluppo Corrado Passera, secondo cui è fondamentale che, nel pieno rispetto delle procedure di legge, si garantisca la continuita.

Vendola: "Riesame del provvedimento". Il governatore della regione Puglia formula un auspicio: "un altro giudice riesamini quegli atti e provvedimenti giudiziari". E in particolare "quelli cautelari di sequestro: vanno letti puntualmente, perchè non significano automaticamente lo spegnimento della fabbrica". Il punto è tenere insieme la vita della fabbrica e la questione ambientale. Ancora Vendola: "Non possiamo immaginare che uno degli elementi sia soverchiante rispetto all'altro: appartiene a una cultura ecologista anche la difesa della continuità del reddito per 20mila famiglie".

Fassina: "Il governo segua la questione". Il sequestro degli impianti senza possibilità d'uso "è un fatto drammatico". Perchè l'Ilva e il relativo indotto sono "una realtà industriale ed occupazionale imprescindibile per il territorio tarantino, per il Mezzogiorno e per l'Italia". Stefano

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Fassina, responsabile Economia del Pd, è netto. Sottolinea che "vi sono tutte le condizioni per la revoca del provvedimento: i miglioramenti tecnologici già attuati, le recenti normative approvate dalla regione Puglia su standard ambientali e salute. Da ultimo, proprio oggi, la firma di governo, istituzioni territoriali, proprietà e sindacati del protocollo d'intesa e lo stanziamento di 330 milioni di euro per le bonifiche". Poi la richhiesta al governo: "Chiediamo di seguire attivamente il problema". Ancora: "L'Ilva di Taranto da problema può diventare una straordinaria occasione di innovazione per la sostenibilità ambientale delle produzioni pesanti".

Legambiente. Il sequestro è il risultato di anni di politiche industriali "davvero irresponsabili". Legambiente esprime "la più profonda preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare a Taranto". Perchè agli "annosi e drammatici problemi ambientali e sanitari" ora si aggiunge quello "occupazionale". Un vicolo cieco da cui "si rischia di uscire con soluzioni frettolose che non risolverebbero i problemi che hanno portato a questo sequestro". 

I sindacati. "Cgil, Cisl e Uil sono a fianco di tutti i lavoratori coinvolti, sia diretti che dell'indotto. Perché il diritto al lavoro, pur nel rispetto delle prerogative della magistratura, non può essere messo in discussione in un Paese già così colpito dalla crisi economica ed occupazionale". I segretari generali Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti si esprimono così sulla vicenda dell'Ilva. E aggiungono che già a partire da domani nelle assemblee convocate dalle organizzazioni verranno attivate tutte le iniziative utili al sostegno della vertenza, con lo scopo di difendere e tutelare il lavoro".

"La drammatica situazione occupazionale dell'Ilva di Taranto rischia di compromettere anche gli altri siti di Genova e Novi Ligure - sottolineano i tre leader sindacali - e per questo desta la nostra preoccupazione. Il protocollo sottoscritto oggi da Governo, Regione ed Enti Locali è un atto importante che segna la volontà di impegnare risorse pubbliche per la bonifica e il riassetto del territorio sull'intera area tarantina".

La Repubblica - 26 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, il giorno della verità gli operai bloccano Taranto

TARANTO - A TARANTO è il giorno della verità e della rabbia. Con i dipendenti dell' Ilva pronti ad alzare il livello dello scontro. Ieri hanno dato un assaggio: in quattromila hanno bloccato le statali 100 e 106, paralizzando la città.I sindacati rincarano la dose: "Questo è solo l' inizio, per difendere i posti di lavoro faremo le barricate". Osservato speciale è il tribunale che potrebbe decidere da un momento all' altro la chiusura parziale dell' acciaieria. È l' area a caldo dello stabilimento la madre di tutte le battaglie: il nostro viaggio tra le montagne di minerali, i quattro altiforni e le 94 bocche dei forni. "Siamo disposti a tutto": la parola d' ordine passa di bocca in bocca tra gli operai dell' Ilva. È un fiume di 4mile persone in tuta da lavoro. All' appello di Fim, Fiom e Uilm hanno risposto tutti. In pochi minuti hanno svuotato il primo turno della grande fabbrica. Sugli impianti sono rimasti solo quelli di "comandata", quelli che proprio non si possono allontanare. Così gli operai ieri mattina hanno dato vita al primo sciopero preventivo della storia. Sono gli stessi che il 30 marzo invasero la città. Quella volta erano il doppio e sfilarono nel giorno in cui venivano consacrate in incidente probatorio due perizie che accusano Ilva di produrre, oltre all' acciaio, malattia e morte. Ma loro non sentono ragioni e il ventilato e imminente sequestro degli impianti incriminati, richiesto dalla procurae al vaglio del gip Todisco, non li fa dormire. Di qui la protesta. Preventiva, appunto, perché il sequestro è ancora un' ipotesi, anche se piuttosto concreta.E tutte da decifrare sono soprattutto le modalità con le quali sarà eseguito. Quel verdetto, però, è un fantasma che agita gli animi e avvelena il cuore di chi è abituato a tirare avanti con 1.200 euro al mese. E che riflette il proprio futuro in quello della grande fabbrica. Lo scenario più temuto è quello di un rompete le righe di massa. Il sequestro è annunciato da giorni e tra gli operai la tensione è alle stelle. Così ieri mattina hanno fornito una prova muscolare. Due ore di sciopero, si vedrà se l' azienda tratterrà in busta paga la quota del salario, data la coincidenza tra interessi del padrone e rimostranze degli operai. Le tute blu dalle 10 alle 12 hanno bloccato le statali 100 e 106. Poi la fiumana di gente è rientrata negli argini, ovvero in fabbrica. «È solo la prima iniziativa - spiega Mimmo Panarelli, segretario

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provinciale della Fim - ma ne seguiranno altre molto più pesanti nei prossimi giorni perché i lavoratori non reggono più questa situazione in cui viene messo in discussione il loro futuro occupazionale». Parla tra gli applausi e i commenti degli operai. «Rispettiamo i magistrati - aggiunge un lavoratore - ma non capiamo perché intervengono ora che Riva sta spendendo soldi per far sposare ambiente e fabbrica. Noi vogliamo lavorare, perché così difendiamo il futuro dei nostri figli». C' è, però, chi obietta che la salute dei loro figli e di quelli di tutta Taranto siano in gioco proprio per l' inquinamento industriale. Lo sostiene il pool di magistrati guidati dal procuratore Franco Sebastio. Hanno messo sotto accusa Emilio e Nicola Riva e tre dirigenti del siderurgico, con una sfilza di contestazioni, tra le quali svetta quella di disastro ambientale. Le accuse trovano conforto in due perizie. Per questo da giorni vivono assediati e camminano seguiti da poliziotti e carabinieri che hanno il compito di proteggerli. MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 26 luglio 2012  sez. BARI

Vendola: 'Noi parte civile nel processo' il sindaco: 'Preoccupato per le famiglie'

ÈSTATA l' Ilva, per forza di cose, a catalizzare l' attenzione del governatore Nichi Vendola durante la giornata di ieri. A cominciare dalla mattinata, quando ha incontrato a Roma il ministro dell' Ambiente, Corrado Clini, col quale ha sottoscritto un protocollo d' intesa finalizzato, agli interventi urgenti di riqualificazione ambientale per un importo di 336 milioni di euro. L' accordo prevede, in effetti, una cabina di regia presieduta dal presidente Vendola. Alla chiusura dell' incontro, poi, appresa la notizia della decisione del gip Patrizia Todisco, Vendola ha commentato: «L' auspicio è che al primo giudice possa seguire uno che ne dia un giudizio diverso al riesame. Il sequestro dell' area a caldo e del parco minerali va letto puntualmente: non significa automaticamente lo ' spegnimento' della fabbrica. Con lo stop all' impianto «le famiglie a rischio sarebbero 20.000». Famiglie alle quali il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, ha voluto esprimere preoccupato la solidarietà, sottolineando che l' accordo col ministro Clini rappresenta «una terapia d' urto per sanare una ferita iniziata 52 anni fa». Ma anche il presidente della Provincia, Gianni Florido, ha parlato del fatto che a pagare le conseguenze saranno soltanto i lavoratori. Mentre Vendola, che ha annullato tutti i suoi impegni per precipitarsi in Puglia e seguire da vicino la vicenda, rispetto all' aspetto giudiziario del caso ha detto: «In tutte le vicende in cui c' è la lesione di un danno collettivo, normalmente ci costituiamo parte civile. E penso che, se ci sarà un processo, lo faremo anche in questo caso». Un plauso all' operato del gip è giunto da Angelo Bonelli, presidente dei Verdi: «Per anni è stata nascosta la verità ai cittadini di Taranto e all' Italia: solo la perizia epidemiologica e chimica della Procura è stata in grado di squarciare la cortina di omertà e di disinformazione costruita intorno alla vicenda Taranto. La magistratura ha fatto semplicemente il proprio dovere». Un abbraccio ai lavoratori, invece, nelle parole dell' arcivescovo Filippo Santoro: «In questo momento desidero far sentire forte la mia vicinanza agli operai di Taranto: la Chiesa non vi lascerà soli». E se nel Pdl si è levato un coro di no contro la decisione del sequestro ritenuto inopportuno, il segretario regionale del Pd, Sergio Blasi dinanzi al montare della tensione sociale ha dichiarato: «La preoccupazione più grande deriva dal rischio di avere di fronte due diritti, quello alla salute e quello al lavoro, che lottano per affermarsi l' uno a scapito dell' altro. In meno di 4 annie stato fatto da questo governo regionale molto di più di quanto fosse stato fatto nei 50 anni precedenti. Questo oggi perònon può essere in contrapposizione al diritto e alla tutela del lavoro di migliaia di operai che, in corteo a Taranto, rivendicano un sacrosanto diritto». (a.d.g.)

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

Blocchi stradali, Comune occupato . Sospette mazzette. Allarme ConfindustriaClini: "In quattro anni standard europei"Taranto paralizzata. La protesta degli operai dello stabilimento dove da ieri sono sotto sequestro sei reparti dell'area a caldo. Venerdì prossimo il Riesame. Lavoratori in strada anche a Genova. Il caso in Cdm. Il pg: "Non c'era alternativa al sequestro". L'azienda: "Vogliamo garantire l'occupazione". Squinzi: "A rischio la vocazione industriale del Paese"

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ORE 21.05 - Clini: "In 4 anni standard europei""La nostra convinzione è che l'Ilva possa continuare a produrre acciaio e rapidamente allinearsi agli standard e le indicazioni dell'Ue in 4 anni". Lo ha detto il ministro dell'ambiente Corrado Clini intervenendo al programma 'In onda' su La 7

24 ore di stopDurerà fino a domattina lo sciopero dei lavoratori dell'Ilva di Taranto, la protesta avrà una pausa sabato e domenica anche per rispetto per la città che da ieri è praticamente paralizzata. Lo hanno deciso le organizzazioni sindacali, la mobilitazione, sia pure con una articolazione diversa, riprenderà lunedì. Inoltre è già stata prevista una manifestazione sindacale il 2 agosto alla vigilia della convocazione del Tribunale del riesame sul ricorso presentato dai legali dell'Ilva.

ORE 19.15 - Clini: "Chiusura avrebbe effetti devastanti"

La chiusura dell'Ilva di Taranto avrebbe conseguenze di tipo occupazionale di livello nazionale. Nessuno di noi pensa che accada". Così il ministro in una intervista a Sky Tg24. Ci sono due ipotesi, spiega: "Un sequestro che blocca le attività, che chiude gli impianti ha un significato devastante per la protezione dell'ambiente di Taranto perché blocca il processo di risanamento e lascia ferme problematiche che invece sono in fase di soluzione". E "un sequestro che, come avviene in molti casi soprattutto nel caso di questo tipo di impianti, è condizionato a un esercizio che rispetta le regole ambientali e che attua i programmi di risanamento ambientale, questa è una situazione gestibile". Nella prima ipotesi, prosegue Clini, allora "dovremo affrontare questa situazione prima di tutto dal punto di vista della sicurezza ambientale" perché "è una situazione assolutamente delicata da gestire e poi non voglio neppure immaginare gli impatti sociali di questa ipotesi". Ma "voglio anche ricordare che, se questa fosse l'ipotesi su cui si va a finire, avremo effetti economici a catena a livello nazionale perché le imprese nazionali che si approvvigionano con i prodotti di Ilva dovranno ricorrere a fornitori diversi, che sono quei produttori tedeschi, francesi, polacchi che eserciscono i loro impianti sulla base delle stessi leggi, degli stessi criteri ai quali deve corrispondere Ilva. Per cui si creerebbe anche a livello europeo una situazione che potrebbe avere effetti importanti sulla lealtàa della concorrenza".

ORE 18.50 - Il presidente Ferrante: "Decreto duro e pesante per l'azienda""E' un decreto particolarmente duro, pesante per la società, perché prevede la chiusura di alcune aree anche se si dice di voler tutelare l'integrità degli impianti perché la chiusura sarebbe irreversibile", dice Ferrante. E poi ammette. "Se fossi stato presidente all'epoca, avrei scelto strategie diverse non solo processualmente ma anche di dialogo con la città". "Se c'è una minima disponibilità al dialogo e al confronto - assicura - l'Ilva non si sottrarrà"

ORE 18.29 - Squinzi: "A rischio la vocazione industriale del Paese""Siamo molto preoccupati per lo stabilimento Ilva di Taranto. Non sono solo a rischio le sorti della prima acciaieria di Europa, di decine di migliaia di lavoratori e di un intero territorio; ad essere a rischio, proprio in un momento così delicato per l'Italia, è la stessa vocazione industriale del nostro paese", avverte il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi. "Un provvedimento di questo tipo colpisce un'azienda che ha lavorato nel corso degli anni per adeguarsi alle norme ambientali e rappresenta un segnale difficile da comprendere per gli investitori, soprattutto esteri", spiega. "Ci aspettiamo che sia garantita la continuità dei processi produttivi - dice - e difesa l'Ilva nella sua interezza".

ORE 18.28 - Parla l'ex prefetto Ferrante, operai irrompono in sala"Non c'è alcuna intenzione da parte del gruppo Riva di lasciare Taranto" lo ha affermato il presidente dell'Ilva Taranto Bruno Ferrante nel corso di una conferenza stampa in cui, pur ribadendo il rispetto per il ruolo della magistratura, ha rivendicato il pieno di diritto di tutelarsi. "Se c'è diponibilità al confronto Ilva non si sottrae - ha aggiunto - noi siamo sicuri che in questo Paese si possano coniugare ambiente, salute, sicurezza, lavoro e impresa". Durante il suo discorso, una trentina di operai e rappresentanti dei centri sociali hanno fatto irruzione in sala e la conferenza

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stampa è stata interrotta. "E' stato un provvedimento duro e pesante - ha detto ancora Ferrante - si parla anche di tutelare l'integrità degli impianti, ma penso che la chiusura o lo spegnimento di alcune attività possa essere irreversibile e che quindi sarà difficile tutelare l'integrità degli impianti". "Il fatto che il 3 agosto il tribunale del Riesame esaminerà la nostra istanza è importante e vuol dire che il tribunale ha preso atto della necessità di dare una risposta pronta: è un elemento di grande rilievo. Aspettiamo fiduciosi l'esame e speriamo in un esito positivo su tutte le misure adottate". "Se potremo lavorare e continueremo a lavorare nello stabilimento di Taranto, assicureremo i livelli occupazionali come già avvenuto in passato". 

ORE 17.01 - Occupato il municipioAlcune decine di lavoratori dell'Ilva hanno occupato la sede del municipio di Taranto. E' questa una delle manifestazioni di protesta che i dipendenti dell'Ilva di Taranto stanno mettendo in atto in difesa del loro posto di lavoro in seguito al provvedimento di sequestro degli impianti da parte della magistratura. Restano i presidi in corrispondenza delle vie d'accesso alla città e il blocco del ponte girevole. Il sindaco Ippazio Stefano ha comunicato al prefetto Claudio Sammartino l'iniziativa dei lavoratori del Siderurgico precisando di aver autorizzato la manifestazione. Gli operai si sono sistemati nel Salone degli Specchi di palazzo di città.

ORE 16.45 - Ai sindacati le rassicurazioni di FerranteIl presidente dell'Ilva, l'ex prefetto Bruno Ferrante, ha accolto con soddisfazione la fissazione a breve scadenza del ricorso dinanzi al Riesame e ha rassicurato i sindacati - con i quali ha in corso un incontro - sostenendo che l'Ilva comunque non ha intenzione di chiudere lo stabilimento di Taranto. Lo si apprende da fonti sindacali. L'incontro tra Ferrante e i sindacalisti nazionali e territoriali si tiene nella sede del centro studi Ilva, nella città vecchia di Taranto. Secondo quanto si è appreso, il presidente dell'Ilva ha sottolineato che il provvedimento del gip colpisce in maniera dura e significativa l'azienda e mette in pericolo il lavoro. Il sequestro - ha aggiunto Ferrante - secondo quanto viene spiegato da fonti sindacali, ha l'obiettivo dichiarato di fermare gli impianti. Una condizione che Ferrante giudica contraddittoria rispetto alla salvaguardia dello stabilimento. 

ORE 16.27 - Clini: "Mi auguro che l'azienda collabori""Mi auguro che l'azienda collabori con il ministero dell'Ambiente per superare i contenziosi che ci sono stati - ha fatto sapere il ministro dell'Ambiente - ho manifestato la mia disponibilità a riconsiderare le procedure. Mi auguro che ognuno faccia la sua parte: Regione Puglia e Ministero hanno il dovere di proseguire nell'esercizio delle competenze per fare in modo che venga rispettata la legge, la magistratura ha un compito diverso e mi auguro che non ci siano interferenze". 

ORE 15.38 - "Subito il Riesame, sbaglia chi lo chiede""Se qualcuno dice di auspicare un riesame immediato delle misure di sequestro, non fa una valutazione corretta e accettabile e certamente sbaglia lui non certo i giudici". Così il pg della Corte d'Appello di Lecce - sezione di Taranto, Ciro Saltalamacchia. Il magistrato ha fatto riferimento alle dichiarazioni di ieri del ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, il quale aveva per l'appunto auspicato un immediato riesame della misura di sequestro di sei impianti dell'area a caldo dello stabilimento siderurgico tarantino.

ORE 15.34 - Pg: "Non è solo con la diossina che si avvelena Taranto""Si fa riferimento a un momento particolare negli ultimi sette anni, richiamato spesso da chi ha interesse a dire che il passaggio dall'Italsider all'Ilva ha rappresentato un abbattimento delle emissioni di diossina. Questo è anche vero ma non è soltanto con la diossina che oggi stiamo avvelenando Taranto", ha spiegato il pg di Lecce, Vignola. "Ci sono le polveri sottili, i Pm10 e altri agenti patogeni - ha aggiunto - che in alcuni centinaia di casi hanno dato purtroppo quell'esito letale di cui tutti hanno sentito parlare. Vi sono ancora migliaia di persone, all'interno della stessa Ilva, e quindi parliamo degli operai, in nome e per conto della loro salute la Procura della Repubblica è intervenuta. Parliamo anche degli abitanti dei quartieri confinanti, il quartiere Tamburi, o anche che abitano anche in quartieri più lontani dove ci sono ipotesi di inquinamento e di malattie".

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ORE 15.32 - Occupazione in ComuneI lavoratori dell'Ilva sono entrati nella sala degli specchi di Palazzo di Città a Taranto. I lavoratori sono intenzionati ad occupare anche l'aula del Consiglio comunale e in municipio è atteso l'arrivo del sindaco Ezio Stefano. "Ho attraversato tutti i blocchi stradali e ho detto ai lavoratori di venire in Comune, cinque per presidio - aveva detto stamani il sindaco Ezio Stefàno -  occupate anche il Comune perché voglio che si capisca che questa è la battaglia di tutta Taranto per difendere il lavoro, l'ambiente e la salute".

ORE 15.30 - Federmeccanica: "Colpo insopportabile"Il provvedimento di sequestro all'Ilva di Taranto "desta grandissima preoccupazione in tutti gli imprenditori metalmeccanici" e "rappresenta un colpo insopportabile non solo per la siderurgia italiana, ma per tutto il manifatturiero nazionale". Lo afferma in una nota il presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi.

ORE 15.06 "Troppo pochi 320 milioni per la bonifica" "Sullo scontro tra salute e lavoro gioca in modo indegno la proprietà - scrive Oliviero Diliberto, segretario nazionale Pdci, sul profilo fb. "Si tenta di strumentalizzare la rabbia e la disperazione dei lavoratori per bloccare la sentenza della magistratura. Ma d'altra parte non appare congrua la cifra stanziata per la bonifica dello stabilimento nell'intesa raggiunta ieri da governo, istituzioni locali, proprietà e sindacati. 330 milioni di euro sono nulla di fronte alla mole di interventi necessari. Lo dimostra la bonifica attuata in Liguria per cui sono stati stanziati ben 2 miliardi di euro".

ORE 14.47 - Il procuratore generale di Lecce: non è solo la diossina il veleno di Taranto "Si fa riferimento a un momento particolare negli ultimi sette anni, richiamato spesso da chi ha interesse a dire che il passaggio dall'Italsider all'Ilva ha rappresentato un abbattimento delle emissioni di diossina. Questo è anche vero ma non è soltanto con la diossina che oggi stiamo avvelenando Taranto". Lo ha sottolineato il procuratore generale della Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola, alla conferenza stampa di stamane convocata, insieme al procuratore della Repubblca del capoluogo jonico Franco Sebastio, per chiarire alcuni aspetti del sequestro delle aree più importanti - agglomerati, cokerie, acciaierie, parchi minerali - dello stabilimento siderurgico Ilva. "Ci sono le polveri sottili, i Pm10 e altri agenti patogeni - ha aggiunto - che in alcuni centinaia di casi hanno dato purtroppo quell'esito letale di cui tutti hanno sentito parlare. Vi sono ancora migliaia di persone, all'interno della stessa Ilva, e quindi parliamo degli operai, in nome e per conto della loro salute la Procura della Repubblica è intervenuta. Parliamo anche degli abitanti dei quartieri confinanti, il quartiere Tamburi, o anche che abitano anche in quartieri più lontani dove ci sono ipotesi di inquinamento e di malattie".

ORE 14.34 - Federacciai condanna il sequestro: "Disposto in base a valutazioni opinabili""Se un impianto in regola con le norme ecologiche", "può essere chiuso da un magistrato sulla base di opinabili correlazioni tra l'esistenza dell'impianto industriale e la salute, non vi è più alcuna certezza del diritto". Lo afferma la Federacciai, in una nota. "In Europa - si legge ancora - vi sono molti impianti come l'Ilva di Taranto. Ovunque istituzioni, imprese, parti sociali hanno lavorato di comune accordo per migliorare l'impatto ambientale e per raggiungere un equilibrio virtuoso tra ambiente e lavoro; così come si è fatto in questi anni per Taranto (...). Mai è avvenuto in Europa che provvedimenti unilaterali della magistratura bloccassero questo processo". "La siderurgia italiana - si legge ancora - reagirà duramente a ogni tentativo di mettere in discussione, per una distorta ideologia ambientalista, la presenza dell'industria sul territorio e si batterà con tutte le energie di cui dispone per la salvaguardia di attività che rispettano la legge e che come tali vogliono continuare a operare".

ORE 14.33 - "Le conclusioni dei periti terrificanti, non c'era alternativa al sequestro""Le conclusioni dei periti incaricati dal gip sono terrificanti", tanto che "si è parlato di disastro ambientale relativo agli ultimi sette anni. Ci si trovava di fronte a un'azione da interrompere", ha spiegato il procuratore generale di Lecce,  Giuseppe Vignola. "I magistrati non si trovavano di fronte a "un bivio tra lavoro e ambiente, non c'era possibilità di scelta o discrezionalità. Il sequestro

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era obbligato, non si poteva ignorare la conclusione delle perizie, anche se il provvedimento - ha precisato Vignola - non è stato preso a cuor leggero. I magistrati si sono mossi nella legalità. Non potevano prendere altri provvedimenti in una situazione del genere". Quindi ha affermato che "i responsabili dell'inquinamento non sono né il gip né la Procura: le responsabilità sono altre. Quelle penali le abbiamo trovate noi, quelle politiche, economiche e amministrative non spetta a noi cercarle e trovarle. Noi ci siamo mossi in un recinto, per usare un'espressione molto cara al nostro governatore è quello disegnato dalla Carta costituzionale".

ORE 14.26 - Arresti e sequestro, venerdì prossimo al RiesameE' stata fissata per venerdì prossimo, 3 agosto, la discussione dinanzi al tribunale del Riesame di Taranto del ricorso presentato dall'Ilva contro il sequestro degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento e le misure cautelari nei confronti degli 8 indagati (tra dirigenti ed ex dirigenti) da ieri agli arresti domiciliari.

ORE 14.04 - Blocchi stradali, il tilt il trasporto locale: "Servizio al 50 per cento"I blocchi stradali organizzati dai lavoratori dell'Ilva stanno provocando notevoli disagi alla circolazione e al trasporto pubblico locale. Ci sono presidi di operai in via Cesare Battisti, via Magnaghi, ponte girevole, porta Napoli. Diversi gli automobilisti che non hanno potuto raggiungere il posto di lavoro, tanti gli autobus rimasti fermi durante il servizio o in deposito. 

ORE 13.35 - Arresti, gip: "Una busta al perito". I sospetti sulle mazzetteMentre svolgeva, assieme ad altri due professionisti, una consulenza collegiale per conto della procura di Taranto sull'inquinamento da diossina e Pcb prodotto dall'Ilva, il docente universitario di ingegneria Lorenzo Liberti incontrò in un'area di servizio della A14 un dirigente dell'Ilva dal quale ricevette una busta bianca. Lo si legge nel provvedimento di arresto per gli otto dirigenti. Il giudice definisce l'incontro "sconcertante", anche perché vi è il sospetto che nella busta vi fossero 10.000 euro in contanti. L'incontro avvenne il 26 marzo 2010 in un piazzale adibito a parcheggio di autoarticolati sul retro di una stazione di servizio nei pressi di Acquaviva delle Fonti, nel Barese, ed è stato filmato dalla Guardia di finanza. Poco prima, quella mattina, il dirigente dell'Ilva si era fatto consegnare da un altro dipendente dello stabilimento Ilva con mansioni di responsabile della contabilità generale la somma di 10.000 euro (uscita di cassa imputata nei registri Ilva al conto "6120 - erogazioni liberali - omaggi e regalie"); ma prima ancora, non appena aveva saputo dal contabile che la somma era pronta, aveva telefonato a uno stretto collaboratore di Liberti "affidandogli un messaggio criptico per lo stesso docente". Liberti, interrogato sulla vicenda in qualità di indagato l'8 novembre 2011, ha ammesso le circostanze dell'incontro ma ha negato di aver ricevuto danaro "senza però fornire - annota il giudice - una spiegazione convincente né sulle circostanze nelle quali l'incontro ebbe a verificarsi né sul contenuto della busta a lui consegnata". Anche per questo motivo il giudice ha ritenuto che a carico degli indagati sia sussistente il pericolo di inquinamento probatorio, oltre a quello di fuga e di reiterazione dei reati contestati.

ORE 13.38 - Pg di Lecce: "Di giorno rispettava le leggi, di notte le violava"L'Ilva "mentre di giorno rispettava le prescrizioni imposte, di notte le violava", e questo "è confermato da rilievi fotografici eseguiti per 40 giorni nel corso dell'inchiesta". Lo ha detto il pg di Lecce, Giuseppe Vignola, nella conferenza stampa in corso a Taranto. Vignola ha aggiunto che "l'azienda non può fare una 'imbiancata' o interventi di facciata". "Ricordo i morti sul lavoro di Marghera e Genova - ha aggiunto - i nostri morti non sono di serie B, hanno diritto di essere tutelati".

ORE 13.36 - Gip: "Le misure introdotte dall'Ilva, solo abile opera di maquillage""Non vi è dubbio che gli indagati, adottando strumenti insufficienti nell'evidente intento di contenere il budget di spesa, hanno condizionato le conseguenze dell'attività produttiva per la popolazione mentre soluzioni tempestive e corrette secondo la migliore tecnologia avrebbero sicuramente scongiurato il degrado di interi quartieri della città di Taranto". Lo scrive il gip di Taranto Patrizia Todisco nel provvedimento di arresto notificato agli otto indagati nel procedimento Ilva. "Neppure può affermarsi - annota il giudice - che i predetti (indagati, ndr) non abbiano avuto il tempo necessario, una volta creato e conosciuto il problema, per risolverlo, ...". A questo proposito il

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giudice, con specifico riferimento al problema delle polveri, ricorda che con precedenti sentenze del tribunale "è stato chiaramente ribadito che tutte le misure introdotte si sono rivelate, a tutto concedere, un'abile opera di maquillage, verosimilmente dettata dall'intento di lanciare un 'segnale' per allentare la pressione sociale e/o delle autorità locali ed ambientali...". 

ORE 13.04 - "Non c'era alternativa al sequestro""Il lavoro dei periti è stato ineccepibile: non c'era altra strada se non il sequestro, non c'era possibilità di adottare altri provvedimenti". Lo ha detto il pg di Lecce, Giuseppe Vignola, parlando del sequestro di sei reparti dell'area a caldo dell'Ilva e degli otto arresti eseguiti ieri.  "Le responsabilità politiche, amministrative, economiche non spetta a noi cercarle. Abbiamo operato - ha detto Vignola nel corso della conferenza stampa in corso a Taranto - nel recinto delimitato dal Codice". "Non può esserci un bivio per la magistratura tra la tutela del posto di lavoro e la tutela dell'ambiente. Esiste - ha concluso - l'obbligatorietà dell'azione penale e la necessità di perseguire i reati".

ORE 13.02 - Cdm, Clini espone le misure adottate per TarantoIl consiglio dei ministri ha esaminato la questione delle misure urgenti per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione territoriale di Taranto. "Gli obiettivi del protocollo - si legge in una nota - verranno realizzati nelle prossime settimane attraverso appositi accordi e sotto la guida di un comitato di sottoscrittori e di una cabina di regia coordinata e gestita dalla Regione Puglia. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo è di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata".

ORE 13 - Bloccate quattro stataliSono quattro le statali bloccate dai blocchi. Sulla strada statale 7 'Appia' il traffico è fermo all' altezza di Statte, direzione Taranto, con deviazione sulla strada statale 172 in direzione Martina Franca. Sulla strada statale 7 ter 'Salentina' c'è un blocco in località Monteparano, con deviazione allo svincolo per la provinciale 104. Sulla strada statale 106 'Jonica' il traffico è bloccato all'altezza di Taranto - Raffineria Eni. Infine, sulla statale 172 'dei Trulli' un blocco è segnalato in zona Taranto-ospedale. 

ORE 12.42 - Il procuratore Sebastio: "L'impianto non chiederà, il provvedimento non è stato eseguito"Sulle voci di una possibile chiusura, il procuratore Franco Sebastio ha chiarito in conferenza stampa: "A oggi sono soltanto stati notificati i provvedimenti di sequestro dell'area a caldo, ma la fase di attuazione del provvedimento "non è ancora iniziata per due motivi, sia perché ci saranno richieste al riesame, il cui pronunciamento avverrà a brevissima scadenza e poi perché parliamo di procedure tecniche da adottare che non sono affatto facili". Si tratta di impianti - ha aggiunto - che "per essere disattivati hanno bisogno di tecnici all'altezza, di una messa totale in sicurezza e di una graduale disattivazione degli impianti che sono a ciclo continuo e marciano a temperature elevatissime. Se si dovessero spegnere di colpo - ha detto Sebastio - accadrebbe un disastro". Sulle modalità di un eventuale spegnimento degli impianti, il gip ha comunque "dato delle indicazioni che verranno perfezionate se si dovesse arrivare alla fase di esecuzione concreta del decreto. Qualunque richiesta sarà esaminata da noi con la massima attenzione e coscienza".

ORE 12.25 - Assofermet: "Sequestro Taranto colpisce intera filiera""Fortissima preoccupazione per le sorti del sistema industriale e produttivo italiano, colpito in uno dei settori strategici e portanti dell'economia nazionale". Si legge in una nota dell'associazione dei commercianti di ferro e acciaio aderente a Confcommercio. 

ORE 12.18 - Viabilità:, bloccate le statali 7, 7ter, 106 E 172Disagi alla circolazione alla viabilità dell'intera area metropolitana di Taranto. Lo comuncia l'Anas. Le arterie di accesso alla città di Taranto sono bloccate, in particolare sulla strada statale 7 "Via Appia" il traffico è bloccato in località Statte, direzione Taranto, con deviazione sulla strada statale 172 in direzione Martina Franca.

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ORE 12.10 - Landini: "No a contrapposizioni inutili""Abbiamo deciso di proseguire con la mobilitazione per tutta la giornata con presidi in tutta la città, è chiaro che per noi la strada non è chiudere l'Ilva ma dare una continuità produttiva".  Così Maurizio Landini, Fiom. "Vogliamo evitare contrapposizioni inutili, ma è importante che anche l'azienda faccia la sua parte".

ORE 12.05 - Genova, i lavoratori in prefetturaUna delegazione di Cgil, Cisl e Uil è in prefettura per un incontro con i rappresentanti del governo. Un migliaio gli operai degli stabilimenti scesi in piazza, per manifestare contro la chiusura degli impianti di Taranto. 

ORE 12.01 - Riccardi: "Sono molto preoccupato" "In Consiglio dei ministri ne abbiamo parlato. Io sono molto preoccupato, bisogna fare in modo che non ci siano conseguenze per i lavoratori e per l'economia pugliese". Così il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi sul caso Ilva. 

ORE 11.59 - "Provvedimento sofferto ma obbligato" "E' stato un provvedimento estremamente sofferto, la sofferenza è in ogni rigo. La magistratura si è mossa solo per rispondere al dettato costituzionale che impone l'obbligatorietà dell'azione penale. Non c'era possibilità di scelta. La collega gip si è impegnata con professionalità elevata sulla base del lavoro svolto dai colleghi della Procura". Sono le parole del procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola nel corso dell'incontro con la stampa cui partecipa anche il procuratore di Taranto Francesco Sebastio.

ORE 11.40 - Saccomanno (Pdl): "Governo dichiari stato di emergenza""Il governo dichiari lo stato di emergenza per Taranto. Prima di riferire in Parlamento, il governo con urgenza determini l'adozione di percorsi autorizzativi, che consentano di riprendere il lavoro agli operai. Il presidente Monti ed i ministri Clini e Passera guardino a Taranto con la stessa preoccupazione con cui ogni giorno confrontano le loro mosse con il resto d'Europa". Lo chiede il senatore Pdl Michele Saccomanno. "E' improcrastinabile - prosegue - un'iniziativa che consenta alla magistratura non di assolvere Riva, ma di riaprire l'Ilva". 

ORE 11.11 - Blocchi stradali in diversi punti della città, Taranto paralizzata "La produzione non si è fermata: noi non ci fermiamo e non ci fermeremo". Gli operai dell'Ilva stanno presidiando con dei blocchi diversi ingressi della città: ce ne sono due sulla Statale 7 Appia, prolungamento della Statale 100 per Bari; un altro davanti alla stazione ferroviaria, prima del Ponte di Pietra, e poi in città sul Ponte Girevole. Presidiate anche la strada per Statte, la 106 Ionica per Reggio Calabria e la strada per San Giorgio Ionico. E' quasi impossibile superare i blocchi: il passaggio viene consentito soltanto a chi deve raggiungere l'ospedale, ai mezzi di soccorso e ai giornalisti ma con molte difficoltà. Tensioni si registrano anche tra alcuni residenti e i manifestanti. 

ORE 11.03 - I lavoratori: "Non c'è futuro senza questa azienda""In Italia le bonifiche non vengono fatte da oltre 12 anni e a Taranto da 50 anni. E' giusto che Taranto sia risanata, ma è giusto anche che l'Ilva continui a produrre. Non c'è futuro senza questa fabbrica". E' lo sfogo di uno dei lavoratori dell'Ilva che stanno scioperando."Siamo tutti qui - commenta un altro operaio - a testimoniare la nostra disperazione. Se l'Ilva chiude come faremo, come daremo da mangiare alle nostre famiglie? Siamo ingegneri, tecnici, operai: non c'è distinzione di figure professionali. Siamo tutti nella stessa situazione. Se per loro mandare per strada tutte queste persone è una cosa giusta, io non lo so". Molti lavoratori non sono tornati a casa e la notte scorsa hanno dormito per strada. "Il posto di lavoro è la prima cosa, ma si possono conciliare occupazione, ambiente e diritto alla salutè, dice un altro manifestante. E un suo collega aggiunge: "Siamo indignati. Pensiamo che non sia corretto quello che sta avvenendo in questo momento verso i lavoratori, verso un'azienda che nel corso degli anni ha fatto passi da gigante rispetto a quella che era la gestione precedente".

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ORE 10.32 - E' cominciata la riunione del Consiglio dei ministri. Nel corso del Cdm, come ha annunciato il ministro Clini, sarà affrontata anche la questione dell'Ilva di Taranto. 

ORE 10.30 - Ambientalisti: "La magistratura è intervenuta dove la politica ha fallito""La storia di Taranto è cambiata per sempre. Nulla sarà come prima". Lo si legge in una nota dei rappresentanti delle associazioni ambientaliste 'Taranto respira'. "Dopo anni di omissioni, incuria, negligenza e connivenza sono arrivati al pettine tutti i nodi irrisolti dell'Ilva. La malapolitica a Taranto non ha protetto il suo territorio e la salute della collettività. Per anni una lobby di potere ha messo il silenziatore alla sofferenza. La verità sul tappeto è che la magistratura è intervenuta perché la politica ha fallito. In questo momento deve prevalere il senso di responsabilità per dare un futuro a tutti i lavoratori e per costruire assieme un'alternativa di sviluppo ecosostenibile".

ORE 10.26 - "Senza salvaguardia, voragine occupazionale""Senza la salvaguardia del sito dell'Ilva di Taranto si creerà una voragine occupazionale". Lo ha detto il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, intervenendo a Radio Anch'io.

ORE 9.50- Taranto bloccata dalla protesta degli operaiSi prospetta una giornata campale a Taranto praticamente bloccata dalla protesta degli operai ovviamente preoccupati sugli effetti occupazionali del provvedimento di sequestro di alcune aree produttive dell'Ilva disposto ieri dal gip Patrizia Todisco nell'ambito dell'inchiesta su inquinamento ambientale che ha portato anche agli arresti domiciliari di otto fra dirigenti e tecnici del gruppo siderurgico. Attualmente sono bloccate le statali 100, per Bari, e 106 per Reggio Calabria, un presidio è segnalato sulla superstrada che Taranto va verso Grottaglie e Brindisi, all'altezza dello svincolo per Statte a ridosso dell'area industriale.

ORE 9.46 - Il caso Ilva all'attenzione del governoIl caso dell'Ilva di Taranto "è all'ordine del giorno" del Consiglio dei ministri di questa mattina. Lo ha detto il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, ospite di Radio Anch'io su Rai Radio1. "Ci sarà uno scambio di informazioni", ha aggiunto Clini, "e illustrerò il protocollo sottoscritto ieri". Il ministro spiegherà la necessità di "sostenere la continuazione del programma di risanamento ambientale degli impianti di Taranto". 

ORE 9.30 - Sciopero anche a GenovaGli operai dell'Ilva di Genova stanno manifestando in corteo, a Cornigliano, al termine di una assemblea convocata dai sindacati dopo la notizia del sequestro, disposto dalla magistratura, dell'intera area a caldo dello stabilimento di Taranto, che mette a rischio l'attività in quello ligure, dove lavorano 1760 persone, di cui 900 con contratto di solidarietà, che scade a settembre. L'Ilva di Genova ha solo 5 giorni di autonomia dopo la chiusura dello stabilimento pugliese, l'unico in grado di produrre acciaio dalla materia prima.

ORE 9.15 - "Bloccheremo la città"Assemblea all'alba degli operai Ilva con i segretari nazionali di Fiom Fim e Uilm Landini, Bentivogli, Palombella. I lavoratori decidono di "bloccare tutto". Non si entra e non si esce dal capoluogo ionico. Landini: "Fermare lo stabilimento non permette di risanare. No alla contrapposizione tra noi e la magistratura. Il tempo delle furbizie è finito. Ilva investi nel risanamento, metta i soldi. Questo è un problema nazionale: Monti deve intervenire".

ORE 9 - Il sindaco: "Svolta per il futuro""Vorrei ringraziare la magistratura, perché se non si fa luce e giustizia non si risolvono i problemi. E adesso, dopo aver accertato che quella industria inquinava e produceva morti possiamo voltare pagina". Così il sindaco Ippazio Stefano, sottolineando che "l'accordo siglato a Roma rappresenta una svolta per il futuro" della città: 330 milioni di euro da spendere per le bonifiche, l'ambiente - spiega - non sono parole e promesse ma certezze". "E' comprensibile la tensione e la preoccupazione dei lavoratori che temono di perdere il lavoro e io mi sento di esprimere loro la massima solidarietà. Ma deve essere chiaro che la magistratura deve andare fino in fondo, accertare i fatti e fare giustizia".

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8.30 - Lavoratori in assembleaMigliaia di lavoratori in assemblea all'interno dello stabilimento Ilva di Taranto per discutere della situazione venutasi a creare dopo il sequestro degli impianti e degli otto arresti notificati ieri dalla magistratura tarantina. All'assemblea sono presenti i segretari generali di Uilm, Fiom e Fim, Rocco Palombella, Maurizio Landini e Marco Bentivoglio.

LEGGI   Sigilli all'Ilva, Taranto paralizzata

ORE 8 - Sciopero a oltranza E' sciopero a oltranza nella fabbrica, proclamato ieri e confermato stamattina durante l'incontro già convocato in precedenza, tra gli operai dello stabilimento siderurgico sotto accusa per disastro ambientale. I segretari nazionali dei metalmeccanici hanno assicurato il loro impegno affinchè il governo centrale mantenga alta l'attenzione sulla situazione dei circa 12mila operai che rischiano il posto di lavoro. L'invito è stato quello a rimanere uniti. 

FOTO   MIGLIAIA DI OPERAI IN CORTEO

Gli operai, che già da ieri hanno bloccato la statale 7 Appia, (prolungamento della statale 100 per Bari), davanti all'ingresso principale dello stabilimento, quello nei pressi della direzione, sono intenzionati ad attivare tra poco presidi e blocchi a seconda del turno sulla via per Statte, sulla statale 106 jonica per Reggio Calabria, in città sul ponte girevole e sulla strada per San Giorgio. Intanto il prefetto Claudio Sammartino ha convocato nuovamente per stamane i sindacati nella sede del palazzo di governo. Questa mattina è prevista anche la conferenza stampa del procuratore capo di Taranto Franco Sebastio per chiarire alcuni aspetti de provvedimento che, oltre a sequestrare gli impianti, ha sottoposto agli arresti domiciliari otto dirigenti dell'Ilva.

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, pg Lecce: "Non c'era alternativa ai sigilli di giorno rispettavano le leggi, di notte no""È stato un provvedimento estremamente sofferto, la sofferenza è in ogni rigo". Così il procuratore generale della Corte d'Appello nel motivare le decisioni della magistratura sullo stabilimento sotto accusa per disastro ambientale

"È stato un provvedimento estremamente sofferto, la sofferenza è in ogni rigo. La magistratura si è mossa solo per rispondere al dettato costituzionale che impone l’obbligatorietà dell’azione penale. Non c’era possibilità di scelta. La collega gip si è impegnata con professionalità elevata sulla base del lavoro svolto dai colleghi della Procura".

Ha esordito così il procuratore generale presso la Corte di Appello di Lecce, Giuseppe Vignola nel corso di una conferenza stampa che è svolta oggi presso il comando provinciale dei carabinieri a Taranto e alla quale ha partecipato anche il procuratore di Taranto Francesco Sebastio.

La giustizia per i morti. "È un’indagine a tutto campo per stabilire una volta per tutte che i morti determinati dagli inquinanti a Taranto, a Brindisi o a Lecce meritano rispetto, lo stesso rispetto, ad esempio, della Thyssen, di Marghera, di Genova. I nostri non sono morti di serie B. Sono persone, operai e cittadini che hanno lo stesso diritto costituzionalmente garantito di vedersi tutelati una volta per tutte". È l’accorata rivendicazione del procuratore Vignola, nel motivare le accuse che, a vario titolo, sono di disastro ambientale doloso e colposo, getto e sversamento pericoloso di cose, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni  pubblici. Quindi la necessità di intervenire con il sequestro nell’ambito dell’incidente probatorio con quella perizia medico-epidemiologica. Ci siamo limitati all’Ilva ma evidentemente questo si estenderà anche ad altre industrie inquinanti: Cementir, Agip o Eni e poi a Brindisi"

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Le prove di fatto. "Mentre di giorno all’Ilva si rispettavano le prescrizioni imposte, la notte ci si muoveva in maniera diversa" ha chiarito il procuratore Vignola ricordando che "dalla eloquente e impressionante documentazione filmata e fotografica del Noe sul reparto agglomerato" è emerso che di notte "venivano fuori dai camini le nubi contenenti polveri sottili. Questo è un fatto inoppugnabile ripreso fotograficamente. La perizia medico-epidemiologica è stata difficile ma ha dato risultati sui quali non penso si possa avanzare alcun serio dubbio". Infine Vignola si è augurato che presto venga istituito il registro tumori "che chiediamo da tempo" e che è previsto dalla legge regionale approvata recentemente.

Il silenzio degli indagati. "Da parte della difesa dell’azienda non è stata espletata fino ad oggi alcuna concreta attività difensiva. Ad esempio, nessuna controperizia che contestasse le relazioni tecniche". Lo ha dichiarato il procuratore Franco Sebastio, aggiungendo che eventuali richieste "devono arrivare da soggetti legittimati processualmente. Voglio vedere se finalmente si può arrivare ad una conclusione positiva e accettabile, non perfetta ovviamente, in relazione ad una attività di controllo che la magistratura ha iniziato 30 anni fa".

Il sequestro non è stato eseguito. "Nessuno ha eseguito il sequestro degli impianti, nessuno ha fermato la produzione dell’Ilva, se qualcosa sta accadendo questo non lo si deve certo all’intervento della magistratura". Lo hanno affermato, all’unisono, Vignola e Sebastio: "Il provvedimento di sequestro degli impianti sarà applicato una volta che avrà superato l’esame del Tribunale del Riesame che, ci risulta, si occuperà del caso a breve". Sollecitati sull’eventualità che l’esecuzione del provvedimento debba eventualmente attendere il pronunciamento dell’Appello o della Cassazione, i due magistrati hanno precisato "questo lo vedremo". Il procuratore Sebastio ha sottolineato ancora che se nel corso del Riesame gli indagati e l’Ilva presenteranno proposte o soluzioni che vadano lungo la strada da noi indicata "le vaglieremo con molta, molta attenzione".

L'impianto per ora non chiuderà. "L’Ilva è uno stabilimento esteso" ha insistito Sebastio "ma che ha anche un ciclo produttivo molto complesso. Non è come chiudere l’officina di un meccanico, ecco anche perché il sequestro lo abbiamo notificato ma non ancora eseguito. Abbiamo nominato degli esperti delegati a tal fine e vedremo se si dovrà arrivare al sequestro effettivo perché siamo pronti a valutare proposte dell’azienda che vadano in direzione di un miglioramento. Cosa si debba fare il gip lo ha indicato già nell’ordinanza". Lo ha detto il procuratore di Taranto Franco Sebastio a margine della conferenza stampa svoltasi stamani presso il comando provinciale dei carabinieri.

La Repubblica - 26 luglio 2012  sez. BARI

Taranto, sequestro per l' Ilva arrestati proprietari e dirigenti Colpevoli di morti e malattie

TARANTO - Emilio Riva è stato arrestato ieri sera a Milano. Mentrea più di mille chilometri, nella sua fabbrica di Taranto, la rivolta divampava già da ore per il sequestro che mette a rischio il futuro di oltre 11.000 operai dell' Ilva. Al re dell' acciaio, classe 1926, il provvedimento restrittivo è stato notificato da due ufficiali dei carabinieri. Poco dopo è toccato a suo figlio Nicola. Entrambi sono ai domiciliari su ordine del gip Patrizia Todisco. Le motivazioni dei clamorosi arresti sono spiegati in un' ordinanza di custodia cautelare di 303 pagine. Una mole di carte che racconta il dramma di una città che lotta da sempre con l' inquinamento della vicina zona industriale in cui torreggiano proprio le ciminiere dell' ammiraglia del Gruppo Riva. La procura pugliese, guidata dal procuratore Franco Sebastio (che alle polemiche risponde: «Non siamo pazzi, lavoriamo con la schiena dritta») ha inquadrato le micidiali emissioni dello stabilimento. Fumi e polveri dell' Ilva, sostengono gli esperti, producono «eventi di malattia e morte». Diossina e benzoapirene, quindi, sono i killer silenziosi dei tarantini, colpendo soprattutto i bambini. Quei veleni, dicono pm e periti, sono sprigionati dai sei reparti dell' area a caldo, Parchi, Cokerie, Agglomerato, Altiforni, Acciaierie e Grf (Gestione rottami ferrosi), che da ieri sono sotto chiave senza licenza d' uso. I pm contestano ai Riva e ad altri sei dirigenti, anche loro ai domiciliari, i reati di disastro ambientale e omicidio colposo plurimo. Nelle ordinanze il gip scrive che «non può più essere consentita una politica imprenditoriale che punta alla massimizzazione del risparmio sulle spese per le performance ambientali del siderurgico, i cui

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esiti per la comunità tarantinaei lavoratori, in termini di disastro sono sotto gli occhi di tutti». E aggiunge: «Chi gestiva e gestisce l' Ilva ha continuato in tale attività inquinante con coscienza e volontà per la logica del profitto, calpestando le più elementari regole di sicurezza». Parole dure come macigni che sgorgano anche dall' esame di anni in cui il confronto con la grande industria nonè servitoa ridurre l' impatto ambientale. Prove, analisi e documenti, però, non possono arginare l' esasperazione degli operai dell' Ilva. Da giorni erano in fermento e ieri, alle prime voci sui provvedimenti, hanno abbandonato la fabbrica. In cinquemila hanno marciato per chilometri ed hanno paralizzato il centro della città. «Il lavoro non si tocca», hanno urlato a squarciagola. A loro non importa l' idea di una nuova epoca. Sul sequestro in Ilva interviene il governo. «Lo stabilimento non deve chiudere» fa sapere da Roma il ministro dell' Ambiente, Corrado Clini, annunciando la disponibilità di oltre 300 milioni di euro per il risanamento ambientale di Taranto. Una posizione spalleggiata dal ministro per lo sviluppo economico Corrado Passera che dice: «Bisogna far di tutto per salvaguardare produzione e posti di lavoro».MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 26 luglio 2012  sez. BARI

Non lasciamo i lavoratori da soli nella tenaglia tra cancro e povertà

TARANTO - Presidente Vendola, i poteri istituzionali e politico si arrendono a quello giudiziario? «La partita non è finita. Adesso dovranno esprimersi i giudici del riesame. Ma per il gup che ha disposto il sequestro dell' Ilva, bisogna nutrire rispetto». Vada a spiegarlo agli operai, migliaia di operai, che rischiano di non lavorare più. «Loro sono le principali vittime di una industrializzazione selvaggia. L' ex Italsider, soprattutto, ha materializzato il più grande cimitero industriale d' Europa. Ma trovo sacrosanta la mobilitazione operaia di queste ore. È uno strumento per accenderei riflettori dell' opinione pubblica». Una città "cornuta e mazziata"? «Finisce un' epoca: quella in cui la salute della gente e la tutela ambientale avevano un peso marginale rispetto al dio profitto. Non è più così. È necessario trovare un equilibrio avanzato tra gli uni e l' altro. Perché la guerra dell' ambiente contro il lavoro, sconfigge tutti». Per il momento, l' impressione è che siano soprattutto gli operai a lasciarci le penne. «Ilva è stata spesso sfuggente rispetto ai doveri sociali che doveva interpretare. Ma negli ultimi dieci anni, molte cose sono cambiate. Le emissioni di diossina, per esempio, sono scese da 500 e 3,5 grammi all' anno». Alla magistratura, tuttavia, non basta. «Governo, Regione, amministrazioni comunalee provinciale, sindacati, Confindustria, diamo il massimo. È insufficiente? Ma, allora, si indichino con severità carenze e limiti. Il pericolo è che Taranto si ritrovi a combattere con il cancro e, da ieri, anche con una prospettiva di povertà. Ma non siamo alla fuoriuscita dell' industria. Entriamo, piuttosto, in un' epoca nuova, dove convivano benessere e occupazione».DAL NOSTRO INVIATO (l. p.)

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

Il durissimo atto d'accusa contro l'Ilva Disastro doloso in nome del profitto

NON distribuiscono soltanto morte. Ma anche mazzette. È il sospetto della Procura e dei giudici di Taranto che nel motivare le esigenze cautelari per i vertici del gruppo Riva raccontano una storia di presunta «corruzione in atti giudiziari» che fino a oggi era rimasta nascosta. Nel motivare l'arresto il gip Patrizia Todisco racconta come gli indagati abbiano messo in atto «iniziative tese ad avvicinare persone informate sul procedimento o che saranno prevedibilmente sentite in dibattimento nell'ipotesi dell'avvio di un processo penale». E racconta una storia incredibile: una presunta mazzetta da diecimila euro passata al preside della facoltà di Ingegneria di Taranto, Lorenzo Liberti, da un dirigente dell'Ilva nella piazzola di un'autostrada.«Si tratta - ricostruisce il giudice - di un incontro avvenuto in circostanze assai sospette (in un piazzale adibito a parcheggio di autorticolati, ubicato sul retro di un'area di servizio sull'autostrada) tra un dirigente dell'Ilva e il professor Lorenzo Liberti, consulente del pm. Nell'occasione riceveva dal dirigente una busta bianca». «L'incontro avveniva il 26 marzo - continua il gip - Poco prima, quella stessa mattina, il dirigente Ilva si era fatto consegnare la somma in contanti di diecimila euro, inserita per l'appunto in una busta bianca, da un altro dipendente dell'Ilva con mansioni di

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responsabile della contabilità regionale». La somma è stata trovata dalla Finanza nella cassa dell'Ilva come "erogazioni liberali, omaggi e regalie").Non solo. «Prima ancora, non appena saputo telefonicamente dal contabile che la somma era pronta, il dirigente aveva telefonato a uno stretto collaboratore del professor Liberti affidandogli un messaggio criptico per lo stesso docente». «Ora - prosegue il giudice - è certo che l'incontro tra Liberti e il dirigente Ilva avvenne. Ed è altrettanto certo che a Liberti venne consegnata una busta bianca.Le intercettazioni, poi, rivelano l'esistenza di consolidati rapporti tra l'Ilva e Liberti il quale, interrogato dal pm, pur ammettendo le circostanze dell'incontro, negava di aver ricevuto denaro senza però fornire una spiegazione convincente né sulle circostanze dell'incontro né sul contenuto dalla busta.A prescindere da ogni ulteriore considerazione, non può sottolinearsi il fatto, sconcertante, che l'incontro avveniva in costanza dell'espletamento di un incarico di consulenza affidato dal pm a un collegio composto tra gli altri proprio dal professor Liberti, nell'ambito di un procedimento a carico dell'Ilva». «Spregiudicatie sfrontati» dice il giudice dei dirigenti Ilva. Ma non solo nell'avvicinare i consulenti ma soprattutto nell'inquinare la città. «L'attuale gruppo dirigente - afferma infatti - si è insediato nel 1995, periodo in cui erano assolutamente noti non solo il tipo di emissioni nocive che scaturivano dagli impianti ma anche gli impatti devastanti che tali emissioni avevano sull'ambiente e sulla popolazione. Già nel 1997e poia seguire fino ad oggi gli accertamenti dell'Arpa evidenziavano i problemi per la salute che determinavano le emissioni del siderurgico». Di fronte a tutto ciò, l'intero gruppo dirigente ha sottoscritto degli «atti d'intesa volti a migliorare le prestazioni ambientali dell'impianto, ma si è trattato della più grossolana presa in giro compiuta dai vertici dell'Ilva». Quegli accordi sarebbero infatti stati sempre disattesi. «E così l'imponente dispersione di sostanze nocive nell'ambiente urbanizzato e non ha cagionato e continua a cagionare non solo un grave pericolo per la salute e a causare malattia e morte». «In tal senso - aggiunge il giudice Todisco - le conclusioni della perizia medica sono sin troppo chiare.Non solo, anche le concentrazioni di diossina rinvenute nei terreni e negli animali abbattuti costituiscono un grave pericolo per la salute pubblica ove si consideri che tutti gli animali abbattuti erano destinati all'alimentazione umana su scala commerciale e non, ovvero alla produzione di formaggi e latte. Trattasi di un disastro ambientale inteso chiaramente come evento di danno e di pericolo per la pubblica incolumità idoneo ad investire un numero indeterminato di persone"."Non vi sono dubbi sul fatto conclude - che tale ipotesi criminosa sia caratterizzata dal dolo e non dalla semplice colpa. Invero, la circostanza che il siderurgico fosse terribile fonte di dispersione incontrollata di sostanze nocive per la salute umana e che tale dispersione cagionasse danni importanti alla popolazione era ben nota a tutti. Le sostanze inquinanti erano sia chiaramente cancerogene, ma anche comportanti gravissimi danni cardiovascolari e respiratori. Gli effetti degli Ipa e delle diossine sull'uomo non potevano dirsi sconosciuti».Infine un'ultima bordata. «La salute e la vita umana sono beni primari dell'individuo, la cui salvaguardia va assicurata in tutti i modi possibili». I vertici Ilva dovevano «salvaguardare la salute delle persone», adottare «tutte le misure e utilizzare tutti i mezzi tecnologici che la scienza consente, al fine di fornire un prodotto senza costi a livello umano.Non si potrà mai parlare di inesigibilità tecnica o economia quando è in gioco la tutela di beni fondamentali di rilevanza costituzionale, quali il diritto alla salute, cui l'art. 41 della Costituzione condiziona la libera attività economica. I vertici dell'Ilva hanno invece fatto tutto il contrario». © GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

La parabola del re Mida dell' acciaio un impero di famiglia contro i colossi

MILANO - Quando si parla dell' Italia che ha perso la sua grande industria, quella che l' aveva portata tra le grandi potenze del mondo occidentale grazie al boom economico del Dopoguerra, si fa torto a un settore che - nonostante chiusure e ristrutturazioni - ancora regge nell' arena della competizione globale. Perché la siderurgia del nostro paese può vantarsi di essere al secondo posto in Europa, alle spalle della sola Germania, con oltre 28 milioni di tonnellate di acciaio prodotte, con una crescita che l' anno scorso è stata del 5 per rispetto al 2010. Nonché al primo posto nel Vecchio Continente per il riciclo del materiale ferroso. Una posizione di rilievo

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conquistate grazie ad alcune dinastie di industriali, di cui il patron dell' Ilva di Taranto, quell' Emilio Riva detto il "ragioniere dell' acciaio" (per il fatto che la laurea in ingegneria l' ha presa solo di recente e honoris causa) è il suo esponente di spicco. L' appellativo gli viene dalla sua storia: quella di un self made man, partito dalla Milano dei Navigli, assieme al fratello, negli anni ' 50 rivendendo materiali ferrosi di scarto. E che ancora oggi, pur avendo superato gli 80 anni d' età, guida il gruppo - è il caso di dirlo- con mano di ferro, assieme ai quattro figli. I maligni dicono dei Riva che si sono arricchiti grazie alle crisi. Loro direbbero che hanno saputo sfruttare il momento favorevole per comprare. Lo hanno fatto in Italia, con l' Italsider di Genova. Così come l' Ilva di Taranto, messa in vendita nel 1995 dal governo Dini, con un investimento che a detta degli esperti si è ripagato nel giro di tre anni. Ma i Riva hanno fatto lo stesso all' estero: comprando impianti in crisi o i perdita, ristrutturano e guadagnano. Qualcuno dice ottenendo dai governi benefici ricattandoli con la salvaguardia dei posti di lavoro. Oppure come in Italia con l' uso sapiente della cassa integrazione. Fino a diventare uno dei primi dieci gruppi al mondo, con un giro d' affari da dieci miliardi. Con la differenza che quello dei Riva è l' unica impresa a carattere "familiare", mentre tutti gli altri sono colossi, dai russi di Severstal agli indo-francesi di ArcelorMittal, tutti quotati in Borsa. Ma la particolarità degli industriali dell' altoforno è quella di essere lontani dai salotti "buoni" della finanza. Ma non dai giochi della finanza, fatta da società lussemburghesi e scatole off shore, con cui ha blindato il controllo del gruppo e promosso vendite tra società del gruppo che hanno fruttato nei primi anni 2000 bei quattrini. Peri Riva, il cui unico investimento fuori dal coro è stato nel 2008 l' acquisto del 10% della nuova Alitalia: ma l' hanno fatto per fare un favore a Intesa Sanpaolo, grande sponsor del progetto, da cui avevano appena ottenuto un finanziamento per la costruzione di due gigantesche navi per il trasporto di materiale ferroso. Ma è lo stesso per gli altri big del settore, dai Pasini agli Amenduni a Brescia, agli Arvedi di Cremona, per arrivare alla famiglia Marcegaglia. Di cui si sentirebbe parlare poco, se non fosse per la militanza di Emma, figlia del fondatore del gruppo Steno, ai vertici di Confindustria. Anche la siderurgia, però, ha dovuto fare i conti con le crisi degli ultimi decenni. Che ha fatto le sue vittime. Come i Falck, le cui acciaierie di Sesto San Giovanni hanno fatto la storia industriale italiana e che a vent' anni dallo loro chiusura sono solo un progetto di riqualificazione sulla carta, per quanto con la prestigiosa firma di Renzo Piano. O come i Malacalza di Genova che hanno ceduto agli ucraini di Metinvest nel 2008, per reinvestire nella Pirelli. O per finire con l' altro colosso bresciano, quelli dei Lucchini, passato a Severstal ma con scarsa fortuna: i russi hanno azzerato il valore degli impianti in bilancio e li hanno messi in vendita. Finora senza acquirenti.LUCA PAGNI

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

La rabbia degli operai paralizza la città Se chiudono l' azienda andrò a rubare

TARANTO - Barbe lunghe, facce tirate, occhi stanchi. L' avamposto della rabbia operaia è lungo la statale 100, quella che costeggia la fabbrica "commissariata" dai magistrati. Vito - «scrivi solo Vito, mi raccomando» - ha 21 anni e lavora all' interno della acciaieria da diciotto mesi: «Adesso vediamo un po' come sarà possibile sbloccarla, questa situazione». Si avvicinano Pasquale Albano, che di anni ne ha 22, e Michele Monfredi, di 25: «Dei Riva, sappiamo. Ma gli altri, chi sono?». Salta fuori un foglio dove qualcuno aveva scarabocchiato sei cognomi: De Felice, Capogrosso, Di Maggio, Andelmi, D' Alò, Cavallo. Parla Michelee ha l' aria di saperla lunga: «Li conosco, sono ingegneri. Si tratta di tecnici di fama internazionale. Trattati però come assassini. Proprio non capisco». Pasquale scuote la testa: «La verità è che da domani, anche noi dobbiamo stare a casa. Senza lo straccio di un' occupazione». Nessuno sa quello che succederà, adesso. Giosuè Peluso, 43 anni, da tredici all' Ilva: «Io ho due figlie femmine da mantenere, una ha 7 anni e mezzo e l' altra appena quaranta giorni. Vorrà dire, come stanno le cose, che mangeranno aria pulita, ma fritta. Siamo incazzati, questa è la verità». Nessuno degli automobilisti che arrivano da Bari, tenta di forzare il blocco stradale. Carabinieri e poliziotti controllano, con discrezione, che non accada nulla di irreparabile. Ma all' improvviso, un uomo mingherlino con addosso una maglietta bianca scende dalla motocicletta Tmax nera che stava guidando, si avvicina alla Fiat Punto di un amico e gli intima: «Spostati, guido io. Adesso ti faccio vedere come si passa». E pigia sull' acceleratore: investe un ragazzo, ma per fortuna non gli fa male. La reazione è tanto spontanea, quanto nervosa: spaccano il parabrezza della Punto prima che un brigadiere faccia capolino tra la

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piccola folla, calmi gli animi e trattenga la coppia di esagitati "per accertamenti". È, questo, l' unico gesto violento di una giornata che sembra non debba finire mai. Gregorio Di Cato, 35 anni, che nel siderurgico più grande d' Europa sgobba dal 2002, ha un diavolo per capello: «Non scambiate la nostra tranquillità per rassegnazione. Io devo sfamare una moglie e mia figlia, di 2 anni. Se mi butteranno fuori dall' azienda, sarò il primo che andrà a rubare per campare». Non si dà pace, Gregorio: «Perché gli ambientalisti non vengono a trovarci? Hanno fifa. Dov' è il sindaco Ippazio Stefàno? Si è preso i nostri voti, alle ultime elezioni, e addio. Ma noi non facciamo parte di questa città? Non paghiamo le tasse come tutti quanti gli altri? Il guaio ora è che non sapremo più come sbarcare il lunario. Mediamente guadagniamo tra i 1.300 e i 1.500 euro al mese. Con l' aria che tira qualcuno di quelli abituati a chiacchierare in televisione, mi spiega che fine faranno le bollette e i conti da saldare?». Lo interrompe Vito Massaro: «Sei bravo, tu. Voi, almeno, nel peggiore dei casi intascherete la cassa integrazione. Quelli come me, invece...». Non apre più la bocca, il silenzio dura un paio di minuti, è come se volesse scoppiare a piangere. Poi, però, si riprende e con un sorriso sulle labbra incartapecorite dal sole racconta: «Ho 44 anni, una famiglia a cui badare. Sono quello che voi cronisti chiamate un "indiretto". Sì, insomma, ho un contratto a tempo determinato con la Modomec di Massafra. Se l' impresa non ha più commesse dall' ex Italsider, a me danno un calcio nel sedere e arrivederci. Dovrò chiedere l' elemosina, per sopravvivere? Tutto giusto, quello che decidono i giudici. Ma una cosa proprio non riescono a comprenderla. Con questo sequestro, fanno male a noi, non al padrone. Quello non ci pensa due volte, fa la valigia e va via». Vincenzo Castronuovo, sindacalista di Fim Cisl, avverte: «Non possiamo fare finta di nulla. Vogliono mettere l' Italia in ginocchio. Non scherzo. I coils, cioè i rotoli d' acciaio, partono per le altre fabbriche di Riva, quelle di Novi Ligure, Genova, Marghera. Ma se da Taranto non parte niente, niente arriva e così la Fiat, per citare quella più conosciuta, non può più fare le carrozzerie. Siamo al disastro. Si fermerà tutto. Questo non è un luna park, che lo smonti e lo sposti altrove». Mezz' ora dopo le sette della sera, davanti alla prefettura, dove la rabbia operaia più intontita che furiosa aspetta di sapere qualcosa, piovono fischi al segretario provinciale della Uil: «Talò, vai via». Il faccia a faccia col rappresentante del governo Claudio Sammartino si era concluso da poco, tra rassicurazioni generiche e la raccomandazione che i nervi non saltassero come birilli impazziti. Talò, imperterrito: «Stiamo calmi. Perché questa storia non finisce stasera». Sembra che l' accordo di programma firmato a Roma per le bonifiche dell' area industriale, dovrebbe scongiurare i licenziamenti. Non lo ascoltano. «Andiamo ad occupare il ponte girevole». LELLO PARISE

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

Strade bloccate, sciopero a oltranza E l'azienda minaccia: Tutti a casa

TARANTO - Gli impianti sequestrati sono in marcia. Quelli non colpiti dal provvedimento della procura, invece, sono fermi per la rivolta degli operai. C'è questo paradosso nel day after della bufera che si è abbattuta sull'Ilva di Taranto. Già perché i sigilli nella sterminata area a caldo, che comincia con i parchi minerali e finisce con le due acciaierie, sono in marcia di sicurezza. Spegnerli è un'operazione piuttosto complicata. In quell'inferno di fuoco e fumi oggi, ma anche ieri mentre infuriava la tempesta, sono rimasti al lavoro le tute blu di comandata. L'area a caldo non si può fermare di botto. Farlo significherebbe distruggere impianti che valgono milioni di euro. E anche lo spegnimento rallentato è possibile ma con costi elevati.In particolare per i quattro altiforni attualmente attivi. Non sono mai stati spenti, e la loro fermata avrebbe conseguenze durissime. La grande fabbrica, invece, è ferma da 24 ore proprio nella parte sopravvissuta al ciclone giudiziario. L'area a freddo si è paralizzata immediatamente e tutti quelli che ci lavorano si sono proiettati in strada. Quei reparti resteranno congelati, ma non per decisione dei magistrati. Ma perché i lavoratori della zona a freddo resteranno piazza. Da ieri i sindacati hanno proclamato lo sciopero ad oltranza. I custodi e gli esperti dell'Arpa nominati dal gip per seguire le fasi del "blocco", quindi, da stamattina dovranno confrontarsi con i capi delle cokerie, dell'agglomerato, degli altiforni e delle acciaierie. In proposito ieri sera l'azienda ha convocato le tre sigle sindacali per comunicare i termini del sequestro. Sulla carta i sigilli vengono interpretati come una sentenza di morte per il gigante dell'acciaio. L'azienda sta valutando l'ipotesi di una messa in libertà di massa. Proprio lo scenario che si temeva alla vigilia della decisione del gip.Per questo ieri nella folla delle tute blu c'era anche chi non riusciva a trattenere le lacrime.

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Eppure il provvedimento del gip Patrizia Todisco non lascia spazio a dubbi anche se il giudice stigmatizza la necessità di salvaguardare gli impianti. Ed è che questo il ruolo dell'ingegnere Barbara Valenzano, dirigente del Servizio tecnologie della sicurezza e gestione dell'emergenza presso la direzione scientifica dell'Arpa Puglia, dell'ingegnere Emanuela Laterza, funzionario dell'agenzia regionale, e dell'ingegnere Claudio Lofrumento, funzionario presso il Servizio impiantistico e rischio industriale del dipartimento provinciale ambientale di Bari.A loro il gip affida il compito di "avviare immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazionie lo spegnimento degli impianti sopra indicati, sovrintendendo alle operazioni ed assicurandone lo svolgimento nella rigorosa osservanza delle prescrizionia tutela della sicurezza ed incolumità pubblicaea tutela della integrità degli impianti". Lo stesso magistrato, poi, ha individuato il commercialista Mario Tagarelli come l'esperto a cui delegare "tutti gli aspetti amministrativi connessi alla gestione degli impianti sottoposti a sequestro e del personale addetto agli stessi per i quali si dovranno esperire tutte le possibilità di ricollocazione lavorativa, presso altri impianti e reparti dello stabilimento ovvero in altro modo".Rassicurazioni, poi, sono giunte dal procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio che ha detto: "La nostra schiena è dritta: non siamo pazzi. E ci vorrà del tempo per il sequestro». Mentre il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante ha riconosciuto che si tratta di «momenti drammatici e carichi di emozioni. Ho visto molti operai in lacrime». MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, la preoccupazione del governo "No ricadute sui lavoratori"

Firmato un "Protocollo d'intesa per la riqualificazione ambientale dell'area" in cui si prevedono bonifiche, riqualificazione industriale e incentivi alle imprese. Stanziamenti per 336 milioni di euro. Clini: possibile l'impianto può adeguarsi in quattro anni. Federacciai: "Conseguenze sociali drammatiche"ROMA - Preoccupazione. Per i lavoratori e per l'intera economia pugliese. Il caso Ilva arriva sul tavolo del Consiglio dei Ministri. E il governo è "preoccupato" per quanto sta avvenendo. A riferirlo, il ministro per la Cooperazione Andrea Riccardi. Che delinea la strategia dell'esecutico guidato da Mario Monti: "Bisogna fare in modo che non ci siano ricadute né sui lavoratori né sull'economia pugliese". Secondo il ministro dell'Ambiente, però, l'impianto può allinearsi agli standard Ue in quattro anni. Resta alta l'attenzione sulla situazione di Taranto dopo il sequestro dell'area a caldo e la mobilitazione degli operai dell'impianto   1 . 

I fondi. E in Consiglio dei ministri, via libera a un "Protocollo d'intesa per la riqualificazione ambientale dell'area", i cui contenuti sono stati illustrati dal ministro dell'Ambiente, Corrado Clini. Gli obiettivi, tra i quali rientrano lo sviluppo di interventi infrastrutturali di bonifica, gli incentivi alle imprese locali e la riqualificazione industriale dell'area, verranno realizzati nelle prossime settimane attraverso appositi accordi. La cabina di regia sarà affidata alla Regione Puglia. E lo stanziamento complessivo previsto è di 336 milioni di euro.

Clini: "La nostra convinzione è che l'Ilva possa continuare a produrre acciaio e rapidamente allinearsi agli standard e le indicazioni dell'Ue in 4 anni", ha detto il ministro dell'ambiente Corrado Clini intervenendo al programma 'In onda' su La 7. E alla radio il ministro lancia un'esortazione all'impresa: "La situazione attuale suggerisce caldamente di assumere un atteggiamento più collaborativo con le amministrazioni e di non resistere alle prescrizioni e alle misure che sono state indicate per il risanamento dell'Ilva". Poi l'impegno a modificare "dove serve e dove è giusto, un atteggiamento, diciamo un pò barocco, dell'amministrazione che spesso, e non solo per il caso Ilva, lega le autorizzazioni ambientali a condizioni che non sono fattibili".

Landini: "Evitare contrapposizioni". Sul fronte dei sindacati, la priorità è garantire "continuità produttiva". Così il segretario della Fiom, Landini, che annuncia: "abbiamo deciso di proseguire con la mobilitazione per tutta la giornata con presidi in tutta la città, è chiaro che per noi la strada non è chiudere l'Ilva ma dare una continuità produttiva". Poi i problemi ambientali da risolvere, per tutelare la sualute dei lavoratori e dei cittadini. L'invito è "evitare contrapposizioni inutili".

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Federmeccanica: "Colpo insopportabile". Il provvedimento di sequestro all'Ilva di Taranto "desta grandissima preoccupazione in tutti gli imprenditori metalmeccanici" e "rappresenta un colpo insopportabile non solo per la siderurgia italiana, ma per tutto il manifatturiero nazionale". Così il presidente di Federmeccanica, Pier Luigi Ceccardi. Che aggiunge: "Diventa ineludibile agire con la massima urgenza per trovare soluzioni condivise che, nel riconoscere l'impegno e i progressi compiuti dall'azienda sul terreno della tutela ambientale, consentano la continuità produttiva dello stabilimento. Non solo per il dramma degli 11.000 addetti del gruppo e delle migliaia di lavoratori dell'indotto ma per garantire la fornitura della materia prima indispensabile per tutti i settori dell'industria metalmeccanica italiana".

Federacciai: "Conseguenze sociali drammatiche". Colpire Taranto significa "colpire duramente la filiera, con conseguenze economiche e sociali drammatiche". Così Federacciai, aderente a Confindustria, che chiede al Governo "ogni passo possibile per la riapertura dello stabilimento", avvisando che si pone "brutalmente" il tema della permanenza in Italia di "interi settori industriali. 

Il Wwf: "Un atto dovuto". Nella  vicenda dell'Ilva "non si ricada nell'errore di separare la questione ambientale dalla questione occupazionale". E' la richiesta del Wwf italia. L'auspicio è "stringere un patto di ferro che da una parte diminuisca l'inquinamento e  parallelamente porti avanti la riconversione industriale".  Inoltre, "la magistratura, venti anni dopo l'inizio del caso, ha attuato un atto dovuto dopo lunghissime indagini e perizie. Certamente tutto ciò doveva arrivare ben prima". 

La Repubblica - 27 luglio 2012  sez. BARI

I giudici non possono mettere in ginocchio l' economia del Paese

GENOVA - Pronti ad «azioni clamorose» per difendere l' Ilva di Taranto e ancor più per affermare il diritto a «lavorare e fare impresa nel rispetto delle regole». Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, l' associazione di Confindustria che riunisce gli operatori della siderurgia, si scaglia contro la decisione della Procura di Taranto che ha bloccato l' impianto siderurgico, definendo il provvedimento «una grave forzatura a cui reagire con decisione» arrivando addirittura a ipotizzare, in ultima analisi, una delocalizzazione delle attività in altri Paesi. Presidente, la magistratura ha detto di non aver avuto alternative. «Non sono d' accordo, l' Ilva ha investito il 24 per cento dei suoi ricavi nel miglioramento delle tecnologie per garantire il rispetto ambientale e la sicurezza. Fermarla vuol dire mettere in ginocchio l' intera economia del Paese». Quali passi farete? «Cerchiamo da subito il dialogo con il governo, i sindacati, le amministrazioni. Ma non possiamo recedere dalla difesa dei nostri diritti e dei nostri principi». E quindi? «Questa vicenda è il paradigma del futuro della siderurgia in questo Paese. Decidiamo se ci sono ancora le condizioni per fare o meno questo tipo di attività. E se verificheremo che non è possibile, ce ne andremo da un' altra parte».MASSIMO MINELLA

La Repubblica - 28 luglio 2012 

Il porto fa i conti con la chiusura di Taranto meno navi e traffici specializzati a rischio

LO STOP imposto a Taranto rischia di mettere in crisi anche il sistema economico genovese. A cominciare dal porto, collegato da un servizio di navi speciali che dal centro siderurgico di Taranto arrivano al terminal di Cornigliano, cariche di coils (rotoli d' acciaio) poi lavorati nella fabbrica del Ponente o spostati nello stabilimento Ilva di Novi Ligure. Il primo colpo ai volumi dello scalo era arrivato una decina d' anni fa, con la chiusura dell' altoforno. Il pentolone da cui fuoriusciva la colata continua per la produzione d' acciaio era infatti sempre pieno di minerale di ferro sciolto ad altissime temperature dalla combustione del carbone. Chiuso l' impianto, sono venute meno anche

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le rinfuse a esso collegate (appunto, minerale e carbone). Cornigliano ha continuato a lavorare come centro d' eccellenza per le laminazioni "a freddo", ricevendo, lavorando e smistando l' acciaio prodotto "a caldo" da Taranto. Ma anche qui, la crisi ha picchiato duro. Nel 2007, ultimo anno prima dell' inizio della lunga stagione di recessione (che non è ancora terminata),i prodotti siderurgici movimentati dall' Ilva erano arrivati a 3 milioni e 740mila tonnellate. Già l' anno successivo, però, era arrivata la prima frenata, con il dato finale fermo a 3,235 milioni. La scivolata si era fatta ancor più marcata nel 2009, con un calo del 43%, a 1,845 milioni di tonnellate. Poi l' inversione di tendenza, nel 2010, con un più 46% e un dato finale di 2,710 milioni. Lo scorso anno un ulteriore consolidamento del business, con una crescita del 23% per 3,348 milioni di tonnellate, poco distante dai volumi pre-crisi. Lo stop a Taranto, ovviamente, rischia di mettere in crisi tutto questo sistema produttivo e logistico che poggia anche sullo stabilimento di Novi Ligure, servito soprattutto via ferrovia, e che opera per contro delle grandi imprese del Paese. La prima realtàa farne le spese, infatti, potrebbe essere la Fincantieri. Le navi che escono dagli stabilimenti del gruppo sono infatti realizzate con l' acciaio dell' Ilva. E non solo di navi si deve parlare, perché Fincantieri ha appena firmato un accordo molto importante con la Costa per la costruzione dei cassoni e della piattaforma che serviranno a riportare in asse il relitto della Costa Concordia. Lavoro per tutti gli otto stabilimenti del gruppo, a cominciare da quello di Sestri Ponente.massimo minella

La Repubblica - 28 luglio 2012  sez. GENOVA

Io sindaco-pediatra così vivo il dramma delle piccole vittime

SINDACO Stefàno lei vive questo momento drammatico di Taranto da uomo politico e da pediatra. Cosa si prova nel leggere che i bimbi di Taranto muoiono di inquinamento? "La mia vita non è stata diversa da quella degli altri tarantini. Tutti siamo andati avanti con il terrore di vedere i nostri figli ammalarsi o morire per colpa di questi veleni che respiriamo ogni giorno.La sofferenza di Taranto può capirla solo uno che è cresciuto in questa città".Molti dicono che è colpa della politica se si è arrivati sino a questo punto? "Detesto le generalizzazioni.Io parlo per me. Da uomo politico vanto un impegno pluridecennale che ho cominciato dalla laurea, quando scelsi di dedicare la tesi proprio al dramma della mia città. Un impegno che non ho mai tralasciato. Agli atti di questo processo c'è la mia denuncia presentata nel maggio del 2010".Ma ora Taranto sembra non voler vivere senza Ilva... "La realtà è che questa grande città non può permettersi di perdere 11.000 posti di lavoro. Sono vicino alla lotta degli operai. Oggi li ho ospitati in Comune proprio per dimostrare che sono al loro fianco".Ma ambiente e fabbrica si possono coniugare? "Ho sentito parole di speranza.Voglia di dialogo. Sia da parte della magistratura sia da parte di Ilva.E va riconosciuto alla proprietà del siderurgico di aver fatto già molto per migliorare l'impatto ambientale. Ma è chiaro che bisogna continuare su questa strada".Il Governo ha messo sul piatto oltre trecento milioni di euro per interventi di ambientalizzazione.E' giusto questo intervento massiccio da parte del Governo? "E' sacrosanto. Non bisogna dimenticare che sino a metà degli anni '90 questa grande fabbrica era dello Stato. E che proprio in quegli anni si è inquinato senza freni. Ora il Governo deve fare la sua parte". (m.dil.)

La Repubblica - 28 luglio 2012 

Nel quartiere dei veleni Ogni mattina spazzo via due secchi di polvere nera

TARANTO - La puzza è insopportabile. Ma il signor Cesare sorride, quasi imbarazzato per quello che sta per dire: «Oggi si respira un po' meglio perché gli impianti non vanno a pieno regime». Gli impianti sono quelli dell' Ilva, le ciminiere dello stabilimento si allungano minacciose sullo sfondo di via Orsini, la via principale dei Tamburi, il quartiere dove si vive e si muore nel segno della più grande azienda siderurgica d' Europa. Dove i bambini non possono giocare nei giardini pubblici, per ordine del sindaco Ippazio Stefàno: troppo pericoloso impiastricciarsi le mani e i volti con

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quella polvere sottile che già ti entra dappertutto quando resti a casa. Sono quegli stessi bambini che un paio di anni fa avevano messo insieme pensieri e disegni in un libro con un titolo che agitava un desiderio: «Sognando nuvole bianche». Dove questo rettilineo lungo un paio di chilometri riesce a spiegare più di tanti discorsi quanto è difficile tirare a campare con, addosso, la paura di lasciarci la pelle da un giorno all' altro. Da queste parti si contano qualcosa come 18mila abitanti e in tutte le famiglie c' è un operaio dell' Ilva, un pensionato dell' Ilva, un padre che «non c' è più, l' ho perso per un tumore ai polmoni», come ricorda Eugenio, l' edicolante. La signora Antonia ascolta e racconta: «I miei polmoni sono neri. Quando il medico mi ha visitata, la prima volta, ha spalancato gli occhi per lo stupore: "Cara mia, è come se tu avessi trovato rifugio in una miniera di carbone". Eppure, sono casalinga. Al massimo con la scopa tiro via quella maledetta polvere dal balcone e tutte le mattine, riempio due secchi alti così». Martino fa il pescivendolo: «La verità è che siamo dei morti viventi. Ma che cosa fa la politica per scongiurare questo pericolo? Sostengono che arriveranno, per le bonifiche, più di 300 milioni di euro. Ma, appunto, arriveranno?». La signora Anna, che di anni ne ha 64, si avvicina: «Questo rione è il nostro destino. Dovrebbero trasferirlo da qualche altra parte, i Tamburi. Ma fino a quando abitiamo qua, non c' è nulla da fare. Sappiamo di essere condannati. Il giudice ha fatto il suo dovere, non poteva girare la testa dall' altra parte. Riva, piuttosto, si mettesse la mano sulla coscienza per aiutare i nostri ragazzi, con mogli, figli, bollette e mutui da pagare. E, comunque, meglio morire di tumore che di fame». Ivan, 28 anni, per sbarcare il lunario vende le cozze: «Adesso si sono svegliati, tutti? Respiriamo merda, lo sappiamo. Va in questa maniera, da sempre. Ecco perché devono continuare a farci lavorare». Non è della stessa opinione Antonio, 37 anni, «dal 2003 al 2010 sono stato un dipendente dell' Ilva. Ho scelto di fuggire. "Il posto fisso hai lasciato?" mi domandavano, stupiti, gli amici. Io rispondevo che non era tutto oro quello che luccicava. Là dentro perfino per guadagnare 100 euro in più, accetti di fare qualsiasi cosa, non la sai fare, non puoi essere un tuttologo, e muori. Ora faccio il contadino. Se riuscissero ad abbattere il mostro una volta per tutte, proprio con le bonifiche di quel territorio assicurerebbero un' occupazione a tutti peri prossimi quarant' anni». Va avanti in questa maniera per un paio d' ore. Solo una parola è sulla bocca di tutti, accomuna tutti: morte. Pronunciata come se fosse la cosa più naturale da dire, da pensare. È la convivenza con la rassegnazione, dipinta di nero come le facciate dei palazzi. È la scelta cromatica imposta dall' industrializzazione selvaggia. Ma la perdita dell' impiego, quella sì che fa venire i brividi a tutti. Anziani, donne e giovanotti che ciondolano in questa anticamera dell' inferno con la puzza sempre più insopportabile che entra nelle narici e non vi lascia più, non fanno altro che ripetere: «I nostri ragazzi stanno combattendo per un pezzo di pane. Ma è l' unico che hanno e per questo non possono permettersi di mollare». LELLO PARISE

La Repubblica - 28 luglio 2012 

Quali mazzette, la mia perizia contro l'Ilva

«SBALORDITO, indignato e incredulo». Il professor Lorenzo Liberti è stato per anni il preside della facoltà di ingegneria di Taranto, dove ancora oggi insegna. È indagato - la difesa è affidata all'avvocato Francesco Paolo Sisto - con l'accusa di aver ricevuto una mazzetta da 10mila euro da un dirigente dell'Ilva mentre stava svolgendo una perizia per conto della procura. L'incontro, documentato dai filmati,è avvenuto in un autogrill sull'autostrada.«Ma io in qualità di preside della facoltà di Ingegneria avevo contatti non dico quotidiani ma quasi con l'Ilva. Ho prodotto anche la mia agenda ai magistrati».L'autogrillè un posto strano per un appuntamento. C'era una busta e dalle casse dell'Ilva risulta un prelievo di 10mila euro.«Ma vi pare che in un affare da milioni, diecimila euro possano essere una cifra possibile per una corruzione? Ci siamo visti all'autogrill perché io tornavo a Bari e il dirigente arrivava a Taranto. Eravamo a metà strada. Ma soprattutto c'è un elemento che secondo me chiude la questione».Quale? «Io dovrei aver ricevuto quei soldi, secondo l'accusa, per aggiustare la perizia. Nel 2008 la Procura, con cui io collaboro da sempre, istruisce un fascicolo contro ignoti sulla diossina che contaminava le greggi. Ritenevano che quella diossina arrivasse dal camino principale. Effettuammo alcune verifiche e non era così. La fonte era un'altra forse nello stabilimento. La procura indagò Riva e noi potemmo entrare nella fabbrica per le analisi».

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Nella prima perizia, l'Ilva era salva quindi. «Perché le greggi non erano state contaminate da quel camino. Arrivammo in fabbrica, verificammo che dai camini era tutto apposto.Scendemmo però negli scantinati che non erano isolati e trovammo una situazione simile a quelle delle fabbriche di Londra nell'800. Nella perizia depositata a luglio del 2010, quindi dopo l'incontrò con Archinà, noi scrivemmo: «Sconcertante è apparsa la situazione all'interno del capannone: il pavimento era coperto da rilevanti quantità di polveri, che causava una situazione ambientale insostenibile (...) La diffusione di queste polveri concorre a determinare la contaminazione da diossine e Pcb riscontrata nei dintorni della zona industriale di Taranto". Come un giudizio del genere può favorire l'Ilva? Inoltre dopo l'avviso di garanzia, gli stessi pm che indagano su Riva mi hanno affidato altre due perizie».GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica - 28 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, la rabbia dai lavoratori 'La città rischia il collasso'

FISCHIETTI e petardi, torsi nudi istoriati da tatuaggi fantasiosi, giubbetti arancioni catarinfrangenti e calzoni grigi con la piega, scarponi antinfortunistici e mocassini: le immagini del corteo Ilva compongono un caleidoscopio sfaccettato, questa volta in strada ci sono proprio tutti, operai e impiegati, segretarie, addetti della vigilanza e capiturno, anche quelli che non hanno mai fatto una manifestazione in tutta la vita. «Scrivilo - dice Carlo Graffione, della rsu - siamo 1743 in corteo, c' è tutta la fabbrica, perché questa volta è troppo grossa, non si può chiudere così». La batosta arrivata da Taranto, dove i magistrati hanno disposto il sequestro dello stabilimento Ilva e l' arresto di Emilio e Nicola Riva, ha sconvolto Cornigliano. Ieri mattina sono stati sufficienti pochi minuti in assemblea per decidere di uscire, poco prima delle nove, dal lato aeroporto, un lungo serpentone di lavoratori che si è snodato sulle rampe di uscita dell' autostrada per imboccare via Cornigliano. «Siamo tutti nella stessa barca - ha urlato qualcuno dei lavoratori dal megafono agli abitanti della zona assiepati lungo la strada, dove qualcuno ha anche indirizzato un applauso al corteo - se chiude l' Ilva chiude tutto». Lungo la strada scorrono le immagini dei nuovi capannoni azzurro mare realizzati dal gruppo Riva a Cornigliano, immagini ancora più paradossali, visto che qui l' inquinamento è stato cancellato con un complesso accordo di programma che ha portato l' azienda ad investire 700 milioni di euro, ma se chiude Taranto non arrivano più i rotoli da lavorare e in duetre giorni chiude anche Genova. «Bisogna rendere la fabbrica compatibile con l' ambiente - prova a ragionare Armando Palombo, della rsu - i soldi ci sono, Riva ha già speso un miliardo e sette in interventi ambientali a Taranto, se non basta gli impongano di spendere un altro miliardo, ma ci vogliono anche i tempi, chiudere così significa lasciare in mezzo ad una strada 20.000 lavoratori, possibile che non se ne rendano conto?». E c' è di peggio, perché rischia di diventare una crisi a catena. «L' Ilva è fornitore della Fincantieri - ricorda Bruno Manganaro, della Fiom - le lamiere che servono per fare i cassoni per la Concordia escono da qui, se si ferma tutto rischia di andare in crisi anche la Fincantieri». Genova tra l' altro sta diventando l' incrocio di tutte le crisi, prima la cantieristica, poi la Finmeccanica, adesso anche la siderurgia. «Rischiamo il collasso - dice preoccupati Ivano Bosco, segretario della Camera del Lavoro», «manca un intervento serio di politica industriale da parte del governo», attacca Antonio Graniero, segretario Cisl. Il corteo intanto supera piazza Montano, arriva a Dinegro sotto il sole, ma non perde di grinta. «Se non cambierà, lotta dura sarà», scandiscono i lavoratori e anche: «Il governo cosa fa?» «La bonifica è possibile - commenta Armando Cipolla, della Uilm - ma è davvero difficile farla a fabbrica chiusa». Un chilometro dietro l' altro i lavoratori Ilva arrivano davanti alla Prefettura, a sostenere la loro protesta ci sono anche anche il parlamentare del Pd Mario Tuullo e il segretario Pd Lorenzo Basso, mentre una delegazione di sindacalisti sale nell' ufficio del Prefetto. Quando scendono un' ora dopo è il segretario della Fiom, Franco Grondona a prendere il megafono per spiegare i risultati dell' incontro. «Il Prefetto e il governo hanno ben chiara la gravità della situazione - dice - ci hanno fatto capire che ci sono speranze sul tribunale del riesame, anche il governo è impegnato con i fondi per la bonifica, a questo punto ci aggiorniamo a lunedì, se le notizie saranno positive bene, altrimenti facciamo dell' altro».NADIA CAMPINI

La Repubblica - 28 luglio 2012  2 sez. GENOVA

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Taranto, tregua armata dopo i blocchi ma è scontro procura-Confindustria

TARANTO - Tregua armata nella polveriera Taranto. E scontro sui tavoli della trattativa. Con in prima linea istituzioni, sindacati e Confindustria. Nella città dell' Ilva ieri è stata una giornata lunghissima. Fatta di blocchi stradali e di dichiarazioni incrociate per stemperare un clima da guerra civile. L' area a caldo della grande fabbrica sotto sequestro e gli arresti domiciliari inflitti al re dell' acciaio Emilio Riva, a suo figlio Nicola e a sei dirigenti del gruppo, hanno fatto esplodere la rabbia delle tute blu. Provvedimenti scattati per colpire gli impianti accusati di produrre l' inquinamento che fa ammalare e uccide i tarantini. E i vertici di un colosso industriale colpevoli di non essere intervenuti. Ieri migliaia di operai hanno partecipato all' assemblea in azienda, mentre anche a Genova partivano manifestazioni di solidarietà. Poi si sono riversanti nella città. E per Taranto è stato un altro incubo, dopo quello di giovedì. Tutti gli accessi alla città sono stati bloccati. In mattinata i giudici hanno spiegato le ragioni del ciclone giudiziario. «Ricordo i morti di Marghera e Genova. I nostri morti non sono di serie B» ha detto il procuratore generale di Lecce Giuseppe Vignola. Al suo fianco il procuratore di Taranto Franco Sebastio, capo del pool titolare dell' inchiesta. «Di fronte a una serie di morti e di malattie serie la magistratura non poteva non intervenire» ha aggiunto Vignola. Sebastio dal canto suo ha ribadito che per il blocco degli impianti sono necessari tempi lunghi e che nel frattempo possono intervenire novità. Ilva ha già presentato ricorso contro il sequestro.E la discussione in aulaè stata fissata a tempo di record per il 3 agosto. Ieri ha parlato anche Bruno Ferrante, da due settimane alla guida dell' Ilva. «Abbiamo ascoltato con attenzione le parole dei procuratori - ha detto Ferrante - e abbiamo percepito un' apertura al dialogo che condividiamo. L' Ilva non è contro Taranto e resterà a Taranto». I bagliori di una possibile tregua sono stati recepiti dalla piazza. I sindacati hanno revocato lo sciopero ad oltranza. La protesta riprenderà il 2 agosto, alla vigilia del Riesame. Oggi la città dovrebbe recuperare la sua vita normale. E alla normalità tornerà anche la produzione di Ilva. «I sigilli non sono operativi» hanno ribadito a distanza di poche ore Ferrante e i giudici. Il caso Ilva da giorni è una questione nazionale. Il ministro dell' ambiente Corrado Clini ha detto ieri che «Ilva può continuare a produrre acciaio e ad allinearsi rapidamente agli standard dell' Unione europea in quattro anni», mentre il consiglio dei Ministri ha ribadito il sostegno all' azienda. Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria ha espresso preoccupazione per decisioni «che mettono a rischio la vocazione industriale del paese: segnali difficili da comprendere per gli investitori, soprattutto esteri». MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 28 luglio 2012 

Ferrante: Scelte errate in passato ma l'Ilva resta qui e si difenderà

TARANTO - «Se fossi stato presidente dell'Ilva al momento dell'incidente probatorio avrei scelto una strada diversa, di dialogo con la procura, con la città e con l'opinione pubblica, In ogni caso la famiglia Riva non ha alcuna intenzione di lasciare Taranto. L'Ilva non è contro i tarantini». Così l'ex prefetto Bruno Ferrante apre al dialogo. Da poco più di due settimane è alla guida del gigante dell'acciaio. Un pachiderma che ora è ferito. «Abbiamo ascoltato con molta attenzione le parole dei procuratori - ha spiegato il presidente dell'Ilva - e abbiamo percepito un'apertura al dialogo e al confronto. Non ci sottrarremo». Il calumet della pace, però, è ancora lontano. A palazzo di giustizia si affilano le armi dopo la battaglia scatenata con il sequestro dell'area a caldo e i domiciliari inflitti al patron Emilio Riva, a suo figlio Nicola e ad altri sei dirigenti del gruppo. L'azienda ha presentato a tempo di record il ricorso al Riesame contro i provvedimenti decretati dai giudici per arginare le conseguenze delle emissioni di polveri e fumi che, a parere dei periti, producono malattia e morte.La discussione è stata fissata per il 3 agosto. «Abbiamo il diritto di difenderci e lo faremo», ha aggiunto Ferrante. Poco dopo la sua conferenza stampa è stata bloccata dall'irruzione di un manipolo di operai e di esponenti dei centri sociali. Nella piccola sala si sono vissuti momenti di tensione. Soprattutto tra gli operatori delle tv e i manifestanti.Poi si è trovato un accordo per recuperare un briciolo di serenità. Così Ferrante ha continuato a parlare della fabbrica e ha aggiunto: «Il sequestro non è ancora operativo perché i custodi nominati

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dal giudice non sono ancora venuti in azienda. Oggi la produzione è rallentata per lo sciopero proclamato dai sindacati. Ma se i lavoratori tornassero in fabbrica, riprenderebbe l'intero ciclo». Quegli operai da oltre ventiquattro ore tengono in scacco Taranto. L'assedio a Taranto sembra dover finire questa mattina. I sindacati hanno decretato lo stop alle sette, per riprendere il 2 agosto.La decisioneè arrivata nel cuore di una giornata convulsa. Dopo un incontro in prefettura, bissato a tarda sera. Anche se tra gli operai più di qualcuno è intenzionato a restare in strada. A loro poco importano le spiegazioni dei magistrati che ieri hanno illustrato le ragioni di un sequestro che non si poteva proprio evitare.«Dovevamo intervenire perché ce lo dice la carta costituzionale, il codice e la nostra coscienza di magistrati e di cittadini" - ha spiegato il procuratore generale della Corte di appello di Lecce Giuseppe Vignola. Al suo fianco Franco Sebastio, capo della procura tarantina. «Le responsabilità politiche, amministrative ed economiche non spettaa noi cercarle. Non può esserci - ha concluso Vignola- un bivio per la magistratura tra tutela del posto di lavoro e la tutela dell'ambiente». MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 28 luglio 2012 

Il Codacons: ci costituiremo parte civile Bonelli: vecchio patto politico scandaloso

NON si ferma l' indignazione verso l' Ilva. A scendere nuovamente in campo è il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, che ricorda: «Il Gruppo Riva è già stato condannato per inquinamento. Il 20 settembre del 2005 e l' 8 marzo del 2006 i giudici della cassazione condannarono Emilio Riva e i vertici del gruppo a un anno e sei mesi di reclusione: le condanne non furono scontate perché condonate dall' indulto». E non è tutto. «Quello che però è scandaloso - denuncia - è che in quella sede Regione (allora il presidente era Fitto), Provincia e Comune rinunciarono alla costituzione di parte civile. Per anni a Taranto le istituzioni non hanno difeso la legalità e la salute e hanno lasciato che la situazione producesse un disastro ambientale e sanitario di proporzioni enormi». Mentre il Codacons, che il 3 agosto terrà un sit-in dinanzi al Tribunale, annuncia la volontà di depositare una richiesta di costituzione di parte civile e che chiederà ai giudici del Riesame di «riaprire per un periodo massimo di 3 mesi gli impianti, affidandoli alla responsabilità dell' Arpa e del prefetto, a condizione che in tale periodo il ministero dell' Ambiente, l' aziendae gli enti interessati operino per sanare la situazione di danno ambientale, bonificando l' area con i fondi stanziati dal governo».E sulla vicenda interviene, attraverso una nota, anche il movimento Taranto respira: «Il mantenimento dello status quo non salverebbe lo stabilimento dal mercato globale che registra l' avanzata inesorabile della Cina e dell' India nel settore siderurgico classico. Crediamo che la difesa della salute dei cittadinie degli operai sia un principio indispensabile. Riteniamo dunque assolutamente necessaria la chiusura dell' area a caldo a tutela di tutta la cittadinanza».

La Repubblica - 29 luglio 2012  sez. BARI

LURIDI VELENI E SCELTE MIOPI

SIAMO tutti atterriti dalla chiusura dell'Ilva di Taranto.Diciamolo chiaro. Perché la chiusura di una fabbrica significa scomparsa del lavoro per uomini e donne, per nostri connazionali, per nostri simili. Ma si può concepire di tenere aperta una gigantesca officina dove, con l'acciaio, si produce morte? Se questo fosse accertato, come sembra sia, chi potrà avere il coraggio temerario di infischiarsene? Tutti noi Pugliesi abbiamo visto, per decenni, deperire e agonizzare una plaga magnifica di alberie frutti, di erbe e acque e sole e aria nella caligine fetente e mostruosa alitata da un inferno industriale che giganteggia, strangolando una città, in quella che era campagna.Il viaggiatore che si spinga nella zona industriale, in quella fetida periferia che sono i dintorni immediati di Taranto sente, un'ansia, uno sgomento, ammutolisce e non vede l'ora di sbrigare quei chilometri cupi per risorgere scendendo sulla statale verso Metaponto. NON mette ottimismo quel panorama di ciminiere e stabulari di veleni, quello spumeggiare tetro di nubi industriali, quell'immalinconirsi delle erbacce sulle prode e quel signoreggiare sinistro della polvere. La polvere è dappertutto, invadente, micidiale, che si insinua come un impalpabile orizzonte infernale

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disperso dalla chimica. Viene in mente un verso terribilmente profetico di Ovidio che, nelle "Metamorfosi", si angustiava: "Lurida terribiles miscent aconita novercae". "Terribili streghe mescoleranno luridi veleni". Una profezia di più di duemila anni fa.Quando studiavo questi versi, al liceo, lo ricordo benissimo, un'intera popolazione anelava le industrie nel Mezzogiorno: efficienti macchine propagandistiche ricevevano impulso dalla cinghia di trasmissione del sottogoverno e della "sottopposizione", tutti d'accordo, per combattere la lotta all'arretratezza col mezzo della industrializzazione. Non ci fu una cultura vera, pensata, della difesa di agricoltura e turismo: i vessilli da sbandierare erano quelli dello sviluppo attraverso le industrie e le industrie si sono fatte pagare carissimo, lo sbarco nel Sud. La nostra attuale infelicità meridiana deriva anche da quella incoscienza, dalla mancanza che segnò la politica di allora di un vero sguardo al domani, calibrato e onestamente mirato.Solo dopo la sveglia a schiaffoni del Sessantotto, una coscienza ambientale finalmente provocata attivò il dubbio che s'era fatta una devastazione per ottenere un troppo effimero boom. E le terribili streghe presentarono il loro conto affatturato. E ancora lo presentano. Come a Taranto, così a Gioia Tauro dove ancora i vecchi contadini spodestati rimpiangono agrumeti splendidi e splendidi uliveti espiantati per far posto a un porto improbabile.Ricordo ai tempi in cui studiavo Ovidio, l'unanimismo trasversale che invocava l'occupazione e la pretendeva nell'industria. Ci fu addirittura un politico pugliese con le mani in pasta, pasta d'olive, che arrivòa rassegnarsi con sfrontatezza, però: "Entro pochi anni l'ulivo sarà solo una pianta ornamentale". Chi c'era ricorda che era solo in preda a cinismo, ma ci prese, se è vero che solo ora ci stiamo accorgendo di quali malefatte abbiamo consumato ai danni dell'olivicoltura. E, intanto, ladri maledetti sradicano ulivi millenari per farli diventare piante ornamentali nelle ville degli industriali del nord.Ma nelle casematte dell'Ilva non ci sono le streghe affatturatrici e velenifere, ci sono uomini e donne che rischiano di perdere il lavoro. Sempre a quel tempo studiavo anche Tacito che, nella "Germania" fa dire dei Romani conquistatori: "Desertum fecerunt et pacem nominaverunt"."Hanno fatto un deserto e lo hanno chiamato pace". Adesso questo deserto lo hanno chiamato industria. Si deve provvedere. Assolutamente. E nessuno deve osare contrapporre la disoccupazione al rispetto della legge. Sarebbe un ricatto e un'infamia. Le leggi vanno rispettate, l'ambiente salvato, il lavoro pure. Un paese civile,e l'Italia lo è, può trovare idee e risorse per pagare il suo debito alla legge, alla natura, alla giustizia sociale. Coi soldi che già ci sono, senza nuove tasse. Ci mancherebbe. MICHELE MIRABELLA

La Repubblica - 29 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, il piano per spegnere gli altiforni ma la Procura per il momento frenaCi vogliono dai sette ai dodici mesi per completare la procedura. Tra costi altissimi e pericoli di esplosioni

di GIULIANO FOSCHINI .C’è un punto esatto dal quale parte la nuova storia dell’ILVA . Quel punto è a pagina 295, l’ultima, del provvedimento di sequestro dell’impianto firmato dal gip Patrizia Todisco. In quelle righe il giudice consegna lo stabilimento a tre custodi. Si tratta di dirigenti dell’Arpa che dovranno procedere allo spegnimento dell’impianto. Ecco, quei tecnici al momento non hanno ancora preso l’incarico. Non li ha chiamati nessuno. Evidentemente nessuno, nemmeno la Procura, vuole arrivare allo spegnimento dell’impianto. Però vuole controllarne la nuova vita, evitando che si continui a fare come si è fatto sino a oggi: «La mattina rispettavano la legge e la notte la violavano» per usare le parole del procuratore generale, Gaetano Vignola.

Ma è dal provvedimento di sequestro che bisogna partire per spiegare la nuova vita dell’Ilva. «Per tutti gli aspetti tecnico- operativi - scrive il giudice nel decreto di sequestro - gli ingegneri dell’Arpa Barbara Valenzano, Emanuele Laterza e Claudio Lofrumento i quali avvieranno immediatamente le procedure tecniche e di sicurezza per il blocco delle specifiche lavorazioni e lo spegnimento degli impianti sopra indicati, sovrintendendo alle operazioni e assicurandone lo svolgimento nella rigorosa osservanza delle prescrizioni a tutela della sicurezza e incolumità pubblica e a tutela della integrità degli impianti». Dovranno essere questi tre ingegneri quindi, almeno sulla carta, a dover

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spegnere l’impianto. Una procedura che durerebbe dai sette mesi a un anno. «Al netto dei guasti - ha spiegato il professor Carlo Mapelli, docente di Metallurgia al Politecnico di Milano, al sito siderweb. com - il tempo per rimandare a regime l’area a caldo sarebbe tra i sei e gli otto mesi».Per spegnere un’acciaieria come l’Ilva non si chiude un rubinetto. Né basta muovere una manovella. Lo stabilimento pugliese è il più grande d’Europa, si estende su una dimensione due volte Taranto. Producono acciaio per mezza Europa: come? Nella cockeria viene inserita la materia prima, il carborne fossile, che viene trasformato in carbon coke. Il coke insieme con il calcare e il minerale di ferro viene inserito nell’altoforno dal quale viene fuori la ghisa liquida. E quindi l’acciaio. Taranto produce circa 10 milioni di tonnellate di accaio, a fronte delle 29 complessive che vengono prodotte in Italia. È un terzo dell’intero mercato. Comunque, per spegnere la cokeria servono dai due ai quattro mesi, dicono i tecnici: bisogna spegnere i circa 200 che si trovano uno dopo l’altro e che compongono la batteria. Quando anni fa fu ordinato il sequestro delle cockerie, i Riva di fatto non spensero mai i forni ponendo tutta una questione di natura tecnica tant’è che la magistratura per essere sicura che si bloccasse la produzione fu costretta a sequestrare direttamente il carbone, la materia prima.

E soprattutto proprio su quel reparto i Riva avrebbero fatto i minori investimenti. Un motivo, sospettano gli investigatori, c’è. E anche in questo caso sarebbe da individuare nella volontà dei Riva a non spendere troppo denaro. Un impianto del genere ha un ciclo di vita di circa 40 anni. Non conviene intervenire quindi per ambientalizzarlo, quanto piuttosto tirare il più possibile, portarlo all’esaurimento e magari poi realizzarne uno nuovo oppure delocalizzare dove la produzione costa di meno e ha meno paletti. Un mese all’incirca servirebbe invece a spegnere ciascuno degli altiforni, che sono alti circa 40 metri e larghi 15. Lavorano tutti i giorni dell’anno, 24 ore su 24 e anche quando ci sono gli scioperi vengono comunque tenuti in funzione. Spegnerne uno può significare un impegno di spesa di circa 200 milioni di euro.

Il vero problema per un’operazione di questo tipo arriva però dalla sicurezza. Tragicamente e, paradossalmente, spegnere l’Ilva può essere anche più pericoloso che farla continuare a lavorare. Avviare le modalità di spegnimento potrebbe far collassare uno degli altiforni, provocando un’esplosione devastante. Stessa cosa nelle operazioni di spegnimento della cockeria. Tutto questo rimarrà probabilmente, però, soltanto sulla carta visto che difficilmente (al di là delle decisioni che verranno prese la prossima settimana dal tribunale del Riesame) la magistratura chiederà ai tre tecnici dell’Arpa di procedere allo spegnimento. Più possibile invece che verrà chiesto loro una serie di procedure per la riduzione della produzione o comunque per il controllo continuo, e questa volta reale, delle emissioni.

La Repubblica - 29 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, gli operai in piazza con i figli

TARANTO - Un confronto tra azienda e inquirenti. Per fare il punto sul momento critico dell' Ilva, il colosso dell' acciaio investito dalla bufera giudiziaria scatenata dal sequestro degli impianti dell' area a caldo. E dagli arresti domiciliari scattati per il patron Emilio Riva, suo figlio Nicola e sei dirigenti dello stabilimento. Il picco di un' inchiesta con la quale il pool diretto dal procuratore capo Franco Sebastio ha fotografato le drammatiche conseguenze delle sostanze inquinanti sparse su Taranto dalle ciminiere dello stabilimento siderurgico. Secondo esperti e pm, il cuore del gigante d' acciaio pompa su Taranto sostanze micidiali che provocano "malattia e morte". Domani il presidente Bruno Ferrante incontrerà gli inquirenti in quella che sembra avere i tratti di una nuova tappa del processo di raffreddamento inaugurato con le aperture al dialogo di venerdì. In realtà il presidente di Ilva potrebbe prospettare i primi interventi per limitare le emissioni inquinanti dei sei reparti finiti sotto accusa. Una sorta di approccio per giungerea un cronoprogramma per abbattere gli effetti devastanti dei provvedimenti giudiziari. Che se da un lato non sono sfociati nel blocco effettivo dello stabilimento, dall' altro hanno incrinato la tenuta del gruppo dinanzi a committenti importanti. In ballo ci sono commesse da mezzo mondo. La proprietà quindi sarebbe pronta a stilare un calendario di interventi costruito sulle emergenze evidenziate nella corposa ordinanza di sequestro firmata dal gip Patrizia Todisco. Dell' emergenza Taranto, intanto, ieri mattina c' erano

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davvero poche tracce. Niente blocchi agli ingressi della città. Niente presidi. Niente barricate. Solo cumuli di spazzatura un po' ovunque. Così il capoluogo ionico si è risvegliato da un assedio durato quarantotto ore. Un vero incubo. Le tute blu dell' Ilva sono rientrate in fabbrica, seguendo l' indicazione dei sindacati che hanno revocato lo sciopero ad oltranza. E così il colosso dell' acciaio ha ripreso la sua marcia abituale. «In queste ore la città - dice l' assessore regionale all' ambiente Lorenzo Nicastro - è tornata alla normalità grazie al senso di responsabilità dei lavoratori del siderurgico. È importante notare come una grande lezione di maturitàe consapevolezza arrivi proprio da chi ha avuto più ragioni per temere sulla sorte del proprio futuro. Dopo giorni di tensione altissima oggi il clima comincia a distendersi anche grazie alle reciproche dichiarazioni di disponibilità all' ascolto e a un individuato percorso di collaborazione di tutte le parti in causa. Dal canto nostro - continua Nicastro - riprenderemo da subito l' attività per rendere operativa sul controllo delle polveri sottili e sulla valutazione del danno sanitario». Ma i venti di guerra sono tutt' altro che sopiti. Quella alle porte si prospetta come una settimana cruciale. Venerdì è il giorno a cui tutti guardano, anche se con stati d' animo differenti. Al vaglio dei giudici del Tribunale del Riesame ci sarà il ricorso presentato a tempo di record dai legali di Ilva contro la pioggia di provvedimenti restrittivi. Alla vigilia è in programma un nuovo sciopero di ventiquattro ore, a cui si arriverà con agitazioni di due ore nei giorni precedenti. Una vera e propria veglia durante la quale gli operai torneranno in strada. E questa volta saranno accompagnati da mogli e figli. La manifestazione sarà pianificata domattina in un incontro. «Le mogli dei lavoratori vogliono scendere in piazza per stare al fianco degli operai in questo momento drammatico - rivela Mimmo Panarelli, segretario provinciale della Fim - Anche numerosi commercianti hanno manifestato il desiderio di venire in corteo con noi». Alla manifestazione, peraltro, potrebbero partecipare i segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Domattina, infine, il caso Ilva sarà al primo punto del consiglio comunale di Taranto. MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 29 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, via alle procedure di sequestro . Ferrante: "Ci difenderemo ovunque"I lavoratori in Comune per un odg sulla vicenda del siderurgico. Rinviato il faccia a faccia tra Ferrante e gli inquirenti, ma il colosso annuncia battaglia. I custodi nominati dal gip già al lavoro in fabbrica per dare seguito al provvedimento della magistratura. Preoccupazione tra gli operai, i sindacati: "Possibili mobilitazioni immediate"

TARANTO - Ilva, è iniziata la settimana più calda, con i custodi nominati dal gip in azienda per dare il via alle procedure di sequestro degli impianti. Non si escludono mabilitazioni immediate. I carabinieri del Noe hanno apposto i cartelli di sequestro in applicazione dell'ordinanza del gip Patrizia Todisco. E gli operai hanno organizzato un consiglio di fabbrica per capire il da farsi. "Il fatto che i militari stiano applicando all'interno delle aree Ilva sottoposte a sequestro i relativi cartelli - hanno precisato fonti investigative - non vuol dire che in quegli impianti e in quelle aree da ora in poi non potrà accedere più nessuno. Perché se così fosse, avremmo l'abbandono. Invece il sequestro stabilisce anche una direttiva di accesso, un accesso condizionato, prevedendo le figure tecniche e professionali dell'Ilva che possono continuare ad accedere laddove è operativo il sequestro". Torna, però, l'incubo dei blocchi.La tregua apparente decisa da lavoratori e sindacati per le manifestazioni potrebbe rompersi. A Taranto il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno, alquanto 'tiepido' secondo gli ambientalisti, seguito a una discussione sulla vicenda Ilva. Il neo presidente Bruno Ferrante, non ha incontrato gli inquirenti, come invece era stato annunciato. E l'ex prefetto fa sapere che l'Ilva "lotterà e si difenderà ovunque".

LA POSIZIONE DELL'ILVA - "Non siamo stati colti di sorpresa dall'arrivo dei custodi amministrativi all'interno dello stabilimento - si legge in una nota - anche se non ci aspettavamo questa tempistica. Vedremo quali saranno le loro decisioni nei prossimi giorni  ma quanto successo non cambia la nostra voglia di lottare e difenderci in tutte le sedi istituzionali". "Diremo

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chi siamo - ha aggiunto - cosa abbiamo fatto e rivendicheremo i successi in campo ambientale. Non abbiamo nulla da nascondere,  non abbiamo mai avuto comportamenti ambigui e alla magistratura contesteremo i dati delle perizie perché crediamo siano parziali, e illustreremo nel dettaglio come abbiamo speso più di un miliardo di euro per l'ambientalizzazione dello Stabilimento di Taranto e i risultati raggiunti". "Siamo sempre disponibili a ragionare - ha concluso - con il governo centrale e locale su soluzioni che possano coniugare ambiente e lavoro. Lo abbiamo fatto in questi giorni, lo faremo nei prossimi". L'incontro tra Ferrante e il procuratore generale di Lecce, Giuseppe Vignola, è stato spostato a data da destinarsi. Ferrante aveva chiesto di essere ascoltato come persona informata sui fatti, ma l'incontro è stato rinviato per "impegni sopravvenuti".

AL LAVORO I CUSTODI NOMINATI DAL GIP -  Sono già al lavoro i custodi nominati nello stabilimento Ilva di Taranto designati dal gip Patrizia Todisco. Si tratta di Barbara Valenzano dell'Arpa di Bari, Emanuele Laterza, dell'Arpa di Bari, Claudio Lofrumento, del Dipartimento di prevenzione di Bari, e di Mario Tagarelli, presidente dell'Ordine dei commercialisti di Taranto, e incaricato (quest'ultimo) dagli aspetti amministrativi e della gestione del personale. Il procuratore capo Franco Sebastio aveva detto in sostanza che nessuno spegnimento sarebbe avvenuto in attesa del pronunciamento del Riesame, sottolineando come il procedimento risultasse lungo e complicato. "Non è come premedere un bottone". Ma da oggi si è dato seguito al provvedimento del gip. Si tratta di un primo passo per - evenutalemente - eseguire il sequestro di 6 impianti dell'area a caldo dell'Ilva disposto dalla magistratura giovedì scorso. I tecnici sono incaricati dal gip di "avviare le procedure per il blocco delle specifiche lavorazioni e per lo spegnimento". I quattro custodi sono arrivati all'interno del siderurgico attorno a mezzogiorno e hanno incontrato la dirigenza dell'Ilva, per stabilire le procedure di chiusura degli impianti, che richiederanno tempi lunghi. I custodi giudiziari sono stati incaricati di sovrintendere a queste procedure, osservando "le prescrizioni a tutela della sicurezza e dell'incolumità pubblica e a tutela dell'integrità degli impianti".

IL LAVORATORI IN CONSIGLIO -  Una delegazione di alcune decine di lavoratori dell'Ilva ha partecipato invece alla riunione dell'assemblea cittadina in Comune. Nell'arco di due ore si sono succedute riunioni di tutti gruppi consiliari prima, e poi solo di quelli di maggioranza, per definire un documento unitario da sottoporre all'approvazione del consiglio. L'accordo non è stato raggiunto e il documento ha avuto il solo appoggio della maggioranza di centro sinistra. Dopo quattro ore di dibattito e qualche battibecco tra il sindaco Stefano e gli ambientalisti, il Consiglio comunale ha approvato un ordine del giorno riguardante la "preoccupante situazione ambientale e produttivo-occupazionale verificatasi in seguito alle vicende dell'Ilva". Nel documento si impegna il sindaco a compiere tutti gli atti necessari, tra cui l'attivazione di una "cabina di regia per Taranto", per il governo del territorio e quindi dell'ambiente in una visione equilibrata che coniughi il diritto al lavoro con quello alla salute entrambi costituzionalmente garantiti. Nel documento, che è stato approvato con 23 voti a favore, due astenuti e tre contrari (gli ambientalisti chiedevano un documento più incisivo) si esprime solidarietà umana e istituzionale ai lavoratori dell'Ilva e alle famiglie delle vittime dell'inquinamento ambientale. Si impegna inoltre il sindaco a "vigilare sul pieno e puntuale rispetto degli accordi e degli impegni pubblici oltre a quello della parte privata informando costantemente il Consiglio comunale affinchè possa seguire gli sviluppi della questione Ilva".

SCIOPERO DI DUE ORE IN FABBRICA - Dal punto di vista dell'ordine pubblico, nel pomeriggio è cominciata a salire la tensione dopo una mattinata tranquilla. La notizia dei carabinieri nello stabilimento e dell'inizio delle procedure di sequestro ha messo in allerta i sindacati che avevano convocato una conferenza stampa, poi poi disdirla. Al momento non si escludono mobilitazioni immediate. "Stiamo decidendo se far partire la mobilitazione dei lavoratori subito o da domattina", hanno fatto sapere fonti sindacali. I lavoratori avevano ripreso la normale attività in fabbrica, mantenendo solo due ore di sciopero per ogni turno.

RIUNIONE ANCHE IN CONFINDUSTRIA - Dopo i pesanti attacchi alle disposizioni della magistratura, arrivate da tutte le organizzazioni industriali dell'acciaio, preoccupate per le ricadute sull'intero comparto, e da Confindustria ("mai accaduto in Europa"), c'è grande preoccupazione nel mondo economico tarantino, tant'è che sempre oggi si è tenuta in Confindustria un'assemblea

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generale delle imprese per parlare delle ripercussioni produttive del sequestro all'Ilva.

LE PROSSIME INIZIATIVE - Lavoratori e sindacati si prepareranno intanto con una serie di iniziative, ancora non definite nel dettaglio alla luce dei nuovi sviluppi, alla manifestazione pubblica annunciata per giovedì 2 agosto, che coinciderà con uno sciopero di 24 ore a partire dalle 7. Alla manifestazione si sta pensando di far partecipare anche le famiglie dei dipendenti Ilva. L'iniziativa dovrà servire a tenere alta l'attenzione sulla vicenda del Siderurgico perché il giorno dopo, venerdì 3 agosto, dinanzi ai giudici del tribunale del Riesame si discuteranno i ricorsi presentati contro il decreto di sequestro e l'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari per otto tra dirigenti ed ex dirigenti. La decisione dovrà arrivare entro dieci giorni dal deposito degli atti da parte della Procura, che dovrebbe avvenire domani.

GLI AMBIENTALISTI - L'associazione 'Altamarea', intanto, che riunisce varie sigle ambientaliste, si dice "fiera dei magistrati tarantini che stanno facendo il proprio lavoro di servitori della giustizia nell'interesse della comunità tarantina", e "fiera dei lavoratori dell'acciaieria, dei mitilicoltori, degli allevatori e di tutti quelli che lottano per il loro presente e il loro futuro". Il Codacons, invece, ha annunciato che "denuncerà i ministri dell'Ambiente e della Salute che si sono succeduti negli anni  -  responsabili per il dissesto dell'Ilva  -  alla luce dei reati di omissione di atti dovuti e concorso in inquinamento e disastro ambientale".

ANCHE LA CHIESA SI MOBILITA - Una grande veglia di preghiera per l'Ilva: dopo l'appello di Benedetto XVI  la diocesi di Taranto si prepara a manifestare solidarietà ai lavoratori dell'Ilva e alle loro famiglie. La veglia potrebbe tenersi mercoledì primo agosto, giorno in cui il vescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, rientrerà dal Brasile. Secondo il presule "nell'ora di una delle prove più dure per la città, le parole del Santo Padre Benedetto XVI ci sono di grande conforto. Non siamo soli", scrive mons. Filippo Santoro in una nota ai tarantini diffusa dal Sir dopo le parole del Papa all'Angelus. Il vescovo auspica che all'Ilva non finisca con una "guerra tra vittime" e che ci sia l'"impegno delle Istituzioni, dei sindacati, della politica, dei media". Monsignor Santoro, che in questi giorni è in Brasile per impegni fissati da tempo, riferisce il Sir, ha annullato tutto e il primo agosto rientrerà in sede per manifestare concretamente la sua vicinanza agli operai e alla città. La Repubblica – 30 luglio 2012

Ilva, Napolitano: "Operare rapidamente, dobbiamo garantire continuità al sito"Il presidente della Repubblica risponde alla lettera dei lavoratori dell'Ilva di Taranto: "Bisogna favorire un clima di serena comprensione e di responsabile partecipazione sociale e civile"

ROMA - "Deve essere possibile - nel pieno rispetto dell'autonomia della magistratura e delle sue valutazioni ai fini dell'applicazione della legge - giungere a soluzioni che garantiscano la continuità e lo sviluppo dell'attività in un settore di strategica importanza nazionale, fonte rilevantissima di occupazione in particolare per Taranto e la Puglia, e insieme procedere senza ulteriore indugio agli interventi spettanti all'impresa e alle iniziative del governo nazionale e degli enti locali che risultino indispensabili per un pieno adeguamento alle direttive europee e alle norme per la protezione dell'ambiente e la tutela della salute dei cittadini".Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano risponde così alla lettera inviatagli dai lavoratori dell'Ilva di Taranto. "Auspico che in tale direzione - sottolinea - si operi rapidamente ed efficacemente, favorendo un clima di serena comprensione e di responsabile partecipazione sociale e civile a Taranto e in tutti i centri interessati alla scottante questione".Il Capo dello Stato si è anche definito "debitore" di una risposta al drammatico appello: "Nel lontano 1959-60 - ha detto - da giovane deputato ed esponente politico meridionale, fui convinto sostenitore della necessità - per la rinascita e lo sviluppo del Mezzogiorno - della costruzione di un impianto siderurgico a ciclo integrale nella città di Taranto. Nacque allora una grande realizzazione, una straordinaria esperienza di produzione e di lavoro, che non può cancellarsi, per quanto sia passata attraverso scelte discutibili e abbia conosciuto complessi problemi". (30 luglio 2012)

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Si muove anche l'Europa Tajani: No alla chiusura PER il caso Ilva, anche l'Europa batte un colpo.E' «importante» fare tutto il possibile per impedire la chiusura definitiva dello stabilimento tarantino. Lo dice il vicepresidente della Commissione Ue Antonio Tajani a margine di un incontro con gli industriali del settore. «Mi impegnerò a trovare soluzioni per coniugare l'attività industriale con la salvaguardia dell'ambiente».Questo, aggiunge, pure mobilitando le risorse a disposizione della Bei. Tajani sottolinea che la chiusura di Taranto rappresenterebbe «un grave danno» per l'economia italiana ed europea. E sostiene di aver già parlato con i ministri dell'Ambiente, Corrado Clini, e dello Sviluppo economico, Corrado Passera, manifestando «la mia totale disponibilità» per trovare una soluzione a questa vicenda.In particolare, il responsabile per la politica industriale Ue indicato nella Bei la possibile fonte per il finanziamento di interventi sugli impianti al fine di assicurare il rispetto delle norme ambientali.Impianti che comunque, ricorda il presidente di Federacciai, Antonio Gozi, sono già all'avanguardia dopo gli investimenti per circa 1,3 miliardi realizzati negli ultimi sei-sette anni e non hanno nulla da invidiare a molti altri impianti europei. Comunque il risanamento di Taranto, aggiunge Gozi, «non si può fare per via giudiziaria. Confidiamo in un giudizio più ragionevole e pragmatico da parte del tribunale del riesame». Agendo come si sta facendo, dice ancora Gozi, si finisce per favorire la concorrenza statunitense e cinese che deve rispettare parametri ambientali molto inferiori a quelli europei.Tajani e Gozi parlano a margine della prima riunione del gruppo di lavoro insediatosi ieri a Bruxelles con gli industriali siderurgici europei per affrontare i problemi del settore alla luce degli effetti della crisi. L'obiettivo di questo lavoro, sottolinea il vicepresidente della commissione Ue, è di arrivare entro la fine dell'anno alla stesura di un piano d'azione in cui delineare una strategia a lungo termine per l'industria siderurgica europea anche attraverso un confronto preventivo con i sindacati.

La Repubblica - 31 luglio 2012  sez. BARI

All'Ilva piombano i carabinieri apposti sigilli, arrivano i custodi

TARANTO - All'Ilva piombano i carabinieri del Noeei custodi nominati dal gip Patrizia Todisco.Così a quattro giorni dalla notifica del sequestro di sei impianti dell'area a caldo scattano i sigilli.Insieme alle procedure per bloccare i reparti che secondo la procura sprigionano i veleni che uccidonoe fanno ammalarei tarantini. E dire che quello di ieri doveva essere il giorno del primo approccio tra azienda e inquirenti.In programma c'era un incontro in cui il presidente di Ilva Bruno Ferrante puntava a mettere sul tavolo una serie di interventi. Lavori immediati per arginare le emissioni inquinanti e rispondere almeno parzialmente alle prescrizioni indicate nel durissimo provvedimento cautelare spiccato dal giudice Todisco. Così si intendeva trovare un percorso di dialogo. Un sentiero sul quale incamminarsi per evitare la morte della grande fabbrica dell'acciaio, che nel tracollo ingoierebbe qualcosa come 11.634 posti di lavoro. Il confronto tra Ferrante e magistrati alla fine è saltato "per sopravvenuti impegni".Ieri mattina, invece, alle porte del siderurgico hanno bussato i carabinieri del Noe. Sui giganteschi impianti è apparso il cartello del sequestro. Poi i tre ingegneri nominati custodi dal gip per sovrintendere alle operazioni di spegnimento hanno incontrato il presidente Bruno Ferrante.Barbara Valenzano, dirigente del servizio tecnologie della Sicurezza e Gestione dell'emergenza dell'Arpa Puglia, Emanuela Laterza, funzionario presso la stessa agenzie, e Claudio Lofrumento, funzionario presso il servizio impiantistico e rischio industriale del Dipartimento provinciale ambientale di Bari, hanno effettuato un sopralluogo di natura tecnica. Ed hanno acquisito una serie di documenti e protocolli operativi. Perché sequestrare i parchi minerali e il reparto Grf, e spegnere Cokerie, Agglomerato, Altoforni e Acciaierie non si realizza girando un interruttore o una valvola. C'è una miriade di procedure operative da rispettare che, peraltro, consentono di salvaguardare impianti dai costi stellari. Nel provvedimento della procura si legge che l'attuazione del sequestro va realizzata "evitando ogni rischio di danno o di pericolo per l'incolumità delle persone e

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adottando cautele e procedure necessarie per evitare, se tecnicamente possibile - la distruzione degli impiantie per ipoteticamente consentire la loro eventuale riutilizzazione nel caso di attuazione di misure tecniche tali da eliminare i fatti negativi riscontrati ovvero per il caso di successive diverse decisioni giurisdizionali". L'operazioneè partita dopo un summit operativo celebrato ieri mattina in procura. Misure particolari sono state disposte per i parchi minerali. Nel provvedimento della procura infatti a proposito dei parchi si specifica che: "Si provvederà alla apposizione nei vari impianti di sigilli virtuali, con l'indicazione delle operazioni vietate e di quelle consentite".Ma il blitz ribalta anche letture sbagliate di quanto sta avvenendo a Taranto, propinate con un diluvio di dichiarazioni. Una corsa a parlare che spazia dalla tirata di giacca sino a valicare i confini dell'autentica ingerenza nel lavoro dei magistrati. "C'è un sequestro del gip da eseguire e ci stiamo muovendo in tal senso seguendo quanto previsto dal codice di procedura penale" si ripeteva sino alla noia ieri dal terzo piano del palazzo di giustizia. I magistrati, quindi, stanno operando con cautela vista la particolarità del caso giudiziario, ma questo non vuol dire che il sequestro in Ilva non sarà eseguito. MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 31 luglio 2012  sez. BARI

Md scende in campo in difesa dei giudici

SONO «impropri» gli addebiti rivolti ai magistrati di Taranto, titolari dell' inchiesta sull' Ilva. Lo sostiene Magistratura Democratica, la corrente di sinistra delle toghe. «Assistiamo al ritorno nel dibattito pubblico di posizioni che addebitano ai magistrati di non seguire logiche di compatibilità economica» scrive in un corsivo sul sito della corrente il presidente Luigi Marini. E il fatto che «posizioni di tale tenore siano espresse da rappresentanti delle istituzioni rende la cosa ancora più rilevante e ci impone di ribadire che il diritto dei lavoratori e dei cittadini a vedere tutelate incolumità e salute trova riconoscimento anche in disposizioni penali, che i magistrati hanno l' obbligo di applicare».

La Repubblica - 31 luglio 2012  sez. BARI

Ilva, i Riva non rispondono al gip. I dirigenti in tribunale tra gli applausiGli interrogatori di garanzia per Emilio Riva e il figlio Nicola: sentiti a Milano scelgono il silenzio. Così, secondo indiscrezioni, dovrebbero fare anche gli altri sei ai domiciliari, cui è arrivata la solidarietà di un gruppo di lavoratori. Due ore di assemblea dei lavoratori per decidere le modalità della manifestazione di giovedì: due i cortei, operai anche da Genova. Domani fiaccolata e la veglia di preghiera della diocesi

di MARIO DILIBERTO . E' il giorno degli interrogatori di garanzia per i dirigenti ed ex dirigenti dell'Ilva di Taranto, dove nel frattempo gli operai mettono a punto la protesta. Emilio Riva, il ragioniere dell'acciaio, e suo figlio Nicola scelgono di restare in silenzio. Interrogati per rogatoria in Milano, si avvalgono della facoltà di non rispondere. Così, stando alle indiscrezioni, hanno fatto anche i sei manager del gruppo arrestati giovedì scorso. Sono arrivati in tribunale a Taranto con i cellulari della polizia penitenziaria. All'ingresso una delegazione di circa sessanta tra operai e capiturno, li ha accolti tra gli applausi. Slogan, solidarietà e applausi anche all'uscita del tribunale. "Liberi, liberi - hanno gridato i deipendenti del gruppo - libertà per chi lavora". Per il giudice, nonostante le dimissioni dai vertici, è Emilio "il vero dominus del gruppo. Era perfettamente al corrente - scrive il gip nell'ordinanza che ne ha disposto gli arresti - di tutte le gravi lacune e disfunzioni che caratterizzavano lo stabilimentoa livello di prestazioni ambientali. Eppure nonostante ciò, a parte qualche opera di maquillage, come è stato evidenziato nei processi di cui si è detto, nulla ha ritenuto di realizzare (...) Si è comportato come se il problema non esistesse. Un atteggiamento che lascia senza parole e dimostra, al di là di ogni dubbio, la volontà di continuare pervicacemente in un' attività criminale e pericolosa per la salute delle persone".Oltre ai Riva padre e figlio, che gli è succeduto nella carica e si è dimesso un paio di settimane fa, sono coinvolti anche l'ex direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, il dirigente capo dell'area del reparto cokerie, Ivan Di Maggio, il responsabile dell'area agglomerato, Angelo Cavallo. A loro si sono aggiunti, altri tre dirigenti che hanno assunto incarichi in tempi più recenti:

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Marco Andelmi, capo area parchi, Salvatore De Felice, capo area altoforno e Salvatore D'Alo, capo area acciaieria 1 e 2 e capo area Crf. Sono accusati, a vario titolo, di disastro ambientale colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose. In più si è aggiunto anche il sospetto di "corruzione in atti giudiziari" per una sospetta mazzetta versata a un perito incaricato di eseguire delle indagini sulle emissioni dello stabilimento. All'interno della fabbrica, nel frattempo, si sono svolte due ore di assemblea retribuita per informare sulle modalità dello sciopero e sulla manifestazione prevista giovedì mattina alla vigilia dell'udienza del tribunale del Riesame che dovrà valutare i ricorsi contro i provvedimenti di sequestro dei sei reparti a caldo e di arresto. Alla manifestazione di giovedì parteciperanno i segretari nazionali di Cgil-Cisl-Uil Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. I leader sindacali chiuderanno con un comizio dal palco allestito in piazza della Vittoria la manifestazione in concomitanza con lo sciopero di 24 ore. Ci saranno anche i segretari nazionali di Fiom, Fim e Uilm Maurizio Landini, Franco Bentivoglio e Rocco Palombella. Sarà presente anche l'Ugl. Due i cortei che, a partire dalle 9, raggiungeranno il centro cittadino. Un corteo partirà dal ponte di pietra, nella città vecchia, raccogliendo i lavoratori provenienti dal Siderurgico; l'altro prenderà le mosse da piazza Madonna delle Grazie-via Magnaghi, riunendo le maestranze soprattutto dell'indotto e provenienti dalla zona orientale della provincia. Previsto anche l'arrivo di lavoratori dello stabilimento di Genova e forse anche di Piombino. ''Non è una manifestazione contro la magistratura - è stato ribadito - ma un appello alla città a sostenere la lotta deilavoratori''. I segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil Luigi D'Isabella, Daniela Fumarola e Giancarlo Turi hanno insistito sulla necessità che l'Ilva investa sugli impianti per la tutela dell'ambiente, anche se sono ritenuti insufficienti gli oltre 300 milioni di lire previsti per le bonifiche con l'accordo di alcuni giorni fa a Roma.Domani, intanto, la fiaccolata e veglia di preghiera della diocesi a sostegno dei lavoratori dell'Ilva e delle loro famiglie. Il raduno è previsto alle 20 nel piazzale Democrito, nella città vecchia. La fiaccolata percorrerà via Napoli e via Orsini raggiungendo il rione Tamburi, l'agglomerato di abitazioni a ridosso del colosso siderurgico. Alle 20.45 è prevista una veglia di preghiera con un momento di riflessione dell'arcivescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, nella parrocchia San Francesco de Geronimo. L'arcivescovo, che sta rientrando in anticipo dal Brasile per partecipare all'iniziativa, ha diffuso sul sito della diocesi una lettera ai tarantini. "Invito tutti - scrive - i malati oncologici, gli operai, i parenti delle vittime del lavoro, i mitilicoltori, i pescatori, tutti gli abitanti del quartiere Tamburi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i bambini, tutte le famiglie, le associazioni che si occupano della salvaguardia dell'ambiente, le associazioni ecclesiali, le altre aggregazioni laicali, le confraternite, tutti gli uomini di buona volontà a partecipare alla fiaccolata e alla veglia di preghiera".  Seguendo l’appello di domenica scorsa del Papa durante l'Angelus, anche nella Cappella dell'Ospedale SS Annunziata, a Taranto, si svolgerà una veglia di preghiera a partire dalle 20.15.

La Repubblica - 31 luglio 2012 

Il falso dilemma tra lavoro e salute

SI CHIAMAVA ricatto occupazionale. Era il modo in cui i "padroni" trattando con i lavoratori e i loro rappresentanti, dicevano, più o meno, se volete mantenere l' occupazione tenetevi l' inquinamento. Si deve al sostanziale cedimento o a un atteggiamento "morbido" nei confronti di questo ricatto, se si contano a migliaia le vittime del lavoro. Dentro e fuori i luoghi di lavoro, nelle miniere, nelle industrie chimiche e petrolchimiche, nella siderurgia. I morti per esposizione all' amianto sono l' esempio più eclatante, ma non certamente l' unico. Per restare in Italia, basta pensare almeno all' Icmesa di Seveso. È stato così per decenni. Poi la consapevolezza che i danni all' ambiente si trasferiscono in danni alla salute; la presa di coscienza ecologista, per così dire, ha consentito di mettere nelle trattative sindacali anche le condizioni dei luoghi di lavoro. Ma non sono solo quelli che vanno tenuti sotto osservazione. È anche tutto l' intorno al di fuori delle fabbriche che può essere pericolosamente vissuto. Perciò stupisce che ancora nel 2012 si debba discutere, nei modi in cui si sta discutendo, dell' impatto su ambiente urbanoe salute di cittadini e operai dell' enorme

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stabilimento siderurgico dell' Ilva di Taranto. o visto in televisione persone che pulivano alcune superfici domestiche dalla polvere contenuta nei fumi del siderurgico e depositatasi al suolo. E ho pensato all' Itasider di Bagnoli e a Einaudi. Proprio con riferimento a Bagnoli Luigi Einaudi in una delle sue "prediche" domenicali ("Corriere della sera" 30 luglio 1961) ha scritto osservazioni particolarmente illuminanti, specialmente se si tiene conto dell' epoca abbondantemente pre-ecologista in cui le ha scritte: «Quando dimoravo ogni tanto per qualche giorno a Posillipo di Napoli - e prediligevo in quel pezzo di paradiso una minuta casina di qualche stanza a picco sul mare - mi accorsi a un tratto di una grossa nube che verso le cinque del pomeriggio, partendo da Pozzuoli e da Bagnoli, giungeva sino alla parte opposta del golfo e ne oscurava l' orizzonte. Un altro giorno, desiderando contemplare lo spettacolo, che avevo visto meraviglioso, del golfo, mi spinsi sino al convento di Camaldoli. In fondo, una nuvola di fumo oscurava l' orizzonte. Nel parco, le foglie dei mirabili alberi, essendomi parse da lontano scolorate, preoccupato andai a toccarle. Erano ricoperte da un leggerissimo strato di polvere». Einaudi continua ricordando che si prevedeva un ulteriore ampliamento degli stabilimenti siderurgici dell' Ilva e che già in passato aveva protestato per via epistolare «contro lo scempio che le nuvole di polvere vomitata dalle ciminiere degli stabilimenti siderurgici e cementizi facevano del paesaggio del Golfo di Napoli, ossia di una delle maggiori meraviglie del mondo» e contro il danno alla salute pubblica e ai prodotti ortofrutticoli. E conclude con una vera e propria invettiva: «Ma dove hanno la testa gli sciagurati che sovraintendono alla tutela delle bellezze naturali italiane? Non hanno mai riflettuto che il reato che compiono le ciminiere vomitanti fumo e polvere si chiama furto? Che la produzione del fumo e della polvere è un costo dello stabilimento produttore, che i consumatori di acciaio e di cemento sono scorrettamente avvantaggiati perché nel calcolo del costo dell' acciaio e del cemento non si tiene conto del costo di rimangiarsi il fumo e la polvere prodotti dalle ciminiere? Pare, a quanto mi assicurano uomini periti quando stavo lamentando per lettere inutili lo sconcio, che sia tecnicamente possibile far rimangiare il fumo a chi lo produce. Costa; epperciò accaiaierie e cementerie preferiscono non pagare il costo e accollarlo al pubblico, ossia agli innocenti». Quanto "pareva" allora è tanto più vero oggi e da tempo: il danno si chiama furto ed è tecnicamente possibile che quel danno chi lo produce se lo rimangi producendo pulito. Costa. Ma la riduzione del profitto che questo comporta non può essere accollata ai lavoratori che hanno già abbondantemente dato. Bensì a chi ha colpevolmente, anzi dolosamente, operato. Non è importante che chi ha fatto tutto ciò stia agli arresti, magari domiciliari, ma che intervenga per risanare l' ambiente e per non compromettere ulteriormente la salute di lavoratori e cittadini. E, intanto che il risanamento avviene, continui a pagare salari e stipendi agli incolpevoli lavoratori che sarebbero disposti a morire di cancro e altro piuttosto che far morire di fame i familiari. Napoli è ormai uscita, non indenne, da questo periodo. Per il semplice motivo che le industrie hanno chiusoi battenti. Anche il "glorioso" Italsider di Bagnoli al cui posto, nell' area dismessa in un futuro che non si sa quanto lontano, sorgerà una nuova Bagnoli. "Futura", appunto.UGO LEONE

La Repubblica - 31 luglio 2012  sez. NAPOLI

Gli arrestati: 'Non rispondiamo al giudice'

TARANTO - In silenzio davanti ai giudici. Osannati e accolti dagli applausi all' arrivo in Tribunale. Succede anche questoa Taranto, nel caos innescato dall' inchiesta sull' inquinamento dell' Ilva. Non parla Emilio Riva. Non parla suo figlio Nicola. E la comandata viene seguita anche dai sei dirigenti finiti agli arresti domiciliari insieme ai due magnati dell' acciaio. Così il rito degli interrogatori di garanzia si è consumato in pochi minuti. Ma non senza momenti di tensione. I due Riva sono stati interrogati per rogatoria a Varese. Dove tutto si è svolto con grande tranquillità. Con il patron classe 1926 che ha manifestato la volontà di avvalersi della facoltà di non rispondere prima di riprendere la via di casa con suo figlio. Discorso diverso a Taranto. I sei manager sono arrivati a Palazzo di giustizia scortati dalla Polizia penitenziaria. Ognuno a bordo di un furgone cellulare. Ad aspettarli all' ingresso secondario c' era una piccola folla di lavoratori. "Siamo qui per sostenere i nostri capi", hanno detto operai e capiturno. La vista dei cellulari ha scaldato gli animi. "Li trattano come boss di mafia", ha sbottato più di qualcuno. E a farne le spese sono stati giornalisti e cineoperatori. Su di loro un diluvio di improperi. Per gli indagati, invece, applausi e cori da stadio. "Libertà per chi lavora" hanno urlato gli operai. Luigi Capogrosso, Marco Andelmi,

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Angelo Cavallo. Ivan Di Maggio, Salvatore De Felice e Salvatore D' Alò, poco dopo, dinanzi al gip hanno firmato il verbale e sono ripartiti sempre scortati dagli agenti della polizia penitenziaria. E sempre tra le ovazioni. Il silenzio davanti ai giudici, a Varese comea Taranto, certifica ulteriormente il muro contro muro tra azienda e inquirenti. Tutto quindi è rimandato allo scontro in aula di venerdì prossimo, quando il Tribunale del Riesame vaglierà le istanze della difesa contro arresti e sequestro degli impianti. Per i quali si punta ad ottenere perlomeno la licenza d' uso. E in attesa della fondamentale tappa, in città il fuoco cova sotto la cenere. Perché il nervosismo esploso con le manifestazioni di piazza della scorsa settimana non è evaporato. I lavoratori in fabbrica hanno partecipato ad un' assemblea di due ore. Riflettori sulle nubi che si addensano sul futuro dello stabilimento dopo il sequestro dei sei impianti dell' area a caldo che mettono a rischio il futuro del siderurgico. Domani nuova assemblea, in vista dello sciopero di 24 ore con corteo in città, in programma alla vigilia dell' appuntamento al Riesame. Alla manifestazione parteciperanno Susanna Camusso, Raffale Bonanni e Luigi Angeletti, segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Al corteo prenderanno parte anche i familiari degli operai, mentre gli ambientalisti denunciano il pericolo di possibili infiltrazioni di black block. Questa sera, invece, fiaccolata e veglia di preghiera della diocesi a sostegno degli operai. La fiaccolata partirà da Porta Napoli e raggiungerà il rione Tamburi. La veglia sarà conclusa dall' arcivescovo monsignor Filippo Santoro che ha anticipato il suo rientro dal Brasile per essere in città in questi giorni difficili. E dal sito dall' arcidiocesi l' arcivescovo ha diffuso un eloquente messaggio di pacificazione e compattezza. "Invito tutti - ha scritto - i malati oncologici, gli operai, i parenti delle vittime del lavoro, i mitilicoltori, i pescatori, tutti gli abitanti del rione Tamburi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i bambini, tutte le famiglie, le associazioni che si occupano della salvaguardia dell' ambiente, le associazioni ecclesiali, le altre aggregazioni laicali, le confraternite, tutti gli uomini di buona volontà a partecipare alla fiaccolata e alla veglia di preghiera". MARIO DILIBERTO

La Repubblica 01 agosto 2012 - sez. BARI

Fumi e polveri nella fabbrica killer ecco la lista degli interventi urgenti

I RIMEDI all' inquinamento targato Ilva. E' questo il nodo su cui si gioca la partita giudiziaria che ha investito il colosso dell' acciaio. E anche, se non soprattutto, il futuro della grande fabbrica che dà lavoro a 11.634 dipendenti. Le polveri dei parchi minerali, il benzoapirene sparato dai forni della cokeria e la diossina dell' agglomerato. Sono queste le emissioni inquinanti che secondo gli esperti uccidono e fanno ammalare i tarantini. Ma esiste una batteria di interventi che potrebbe arginare i disastrosi effetti della presenza di Ilva così vicino al centro abitato. Dei rimedi si parla da sempre. A cominciare dalla copertura della sterminata area dei parchi minerali. Quelle colline brune torreggiano oltre il muro di cinta, proprio al confine con il rione Tamburi. Abbassare i cumuli di minerale e coprirli in maniera permanente è una delle misure ipotizzate per rendere meno invasiva la pioggia di polveri che tinge di marrone persino le cappelle del vicino cimitero. Ma l' inchiesta culminata nel sequestro dei sei reparti dell' areaa caldo ha fotografato altre emergenze e corrispondenti antidoti. I forni delle cokerie sono i grandi produttori del benzoapirene, sostanza micidiale per l' uomo. Secondo gli investigatori le prestazioni delle cokerie non sono in linea con le migliori tecnologie. Mattoni refrattari e bocche dei forni andrebbero ricostruiti. Discorso analogo per la zona dell' agglomerato. Qui sotto accusa è finito il sistema di gestione delle polveri. I filtri elettrostatici non rispondono agli standard richiesti e andrebbero sostituiti con quelli a tessuto. Per controllare le emissioni di diossina. La stessa, dicono i consulenti, che ha contaminato i terreni in cui pascolavano capre e pecore che sono state abbattute a migliaia dopo che è stata accertata la presenza di livelli intollerabili di diossina nelle carni. Nei grandi altiforni il problema riguarda le emissioni dai camini.I filtri adottati sono ritenuti insufficienti a limitare l' inquinamento. Di qui l' indicazione a ricorrere alle migliori tecnologie disponibili. Il nemico di Taranto nelle acciaierie si chiama slopping. E' il fenomeno di dispersione di fumi rossastri scatenato dall' ossigenazione della ghisa che serve a produrre l' acciaio. Quegli sbuffi rossi sono al centro di un' inquietante relazione dei militari del Noe che ne hanno osservati ben 200. Tutti descritti nei rapporti finiti all' attenzione

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del gip Patrizia Todisco su richiesta del pool di inquirenti guidato dal procuratore Franco Sebastio. L' ultimo reparto nel mirino è il Grf, gestione rifiuti ferrosi. Qui le dispersioni di fumi inquinanti provengono dalla pulitura delle paiole e dalle torce con le quali vengono smaltiti i gas in eccesso del ciclo produttivo. Procedure che andrebbero completamente rivisitate. (m.dil.)

La Repubblica 01 agosto 2012 - sez. BARI

Ilva, Clini: "Criticità dovute al passato" impatto su salute, ma leggi rispettate"Il ministro riferisce in parlamento, le sue affermazioni contestate da ambientalisti ed epidemiologi. A Taranto fiaccolata e veglia di preghiera. Domani la grande manifestazione. Fornero: "Trovare un equilibrio tra lavoro e ambiente"

I rischi ambientali da considerare all'Ilva di Taranto "sono quelli dei decenni passati, mentre è più difficile identificare una correlazione causa-effetto" sull'eccesso di mortalità per tumori nell'area "con la situazione attuale che, per effetto di leggi regionali e nazionali e misure ad hoc hanno avuto una evoluzione delle tecnologie con significative riduzioni delle emissioni, particolarmente della diossina e delle polveri". Lo sostiene il ministro dell'Ambiente Corrado Clini che alla Camera ha parlato della situazione del siderurgico finito nel mirino della migistratura per disastro ambientale.

Un'affermazione contestata dagli ambientalisti e da un gruppo di epidemiologi, che definiscono "non corrette da un punto di vista tecnico-scientifico" le dichiarazioni del ministro. Clini ha riferito in parlamento, e domani sarà a Bari per un vertice in Regione. Ma sulla vicenda è intervenuta anche il mnistro del Lavoro Elsa Fornero: "Non possiamo cancellare l'Ilva come se fosse niente perché forse continua ad inquinare ambiente ed acqua. Dobbiamo avere risposte scientifiche. La magistratura deve fare il suo corso". Il governo deve tenere l'equilibrio "tra l'esigenze delle persone - ha aggiunto - dei lavoratori, e la necessità di preservare l'ambiente. Ma non possiamo non ricordarci che l'Ilva e Taranto erano il sogno del Mezzogiorno, dell'industrializzazione che non era più solo al nord ma anche al sud". Continua la mobilitazione all'interno dello stabilimento, dopo il sequestro dei sei impianti dell'area a caldo che mettono a rischio il futuro dell'impianto. Oggi sciopera l'area a caldo, invista della mobilitazione di 24 ore di domani.

IL MINISTRO DOMANI A BARI - Clini sarà domani a Bari per partecipare ad una riunione convocata per fare il punto sulla vicenda del siderurgico. L'Ilva di Taranto - ha sottolineato - "è un impianto strategico per la siderurgia in Italia e molto importante a livello internazionale. I competitori sono francesi e tedeschi. Io credo che queste considerazioni debbano essere tenute presenti". L'incontro si terrà nella sede della presidenza della Regione Puglia, dove il ministro incontrerà prima i rappresentanti istituzionali, poi l'azienda e successivamente i sindacati. Il vertice alla Regione Puglia si terrà in concomitanza con la manifestazione indetta dai sindacati.

"IMPATTO SU SALUTE E AMBIENTE, NEL RISPETTO DELLE LEGGI" - In aula alla Camera il ministro ha spiegato: "La situazione dell'Ilva di Taranto ha evidenti impatti ambientali e probabili impatti sulla salute che vanno messi in relazione alle normative del tempo e alle autorizzazioni nel tempo ricevute dagli impianti, come è accaduto per tutti gli impianti del genere in Europa". Clini ha ricordato che l'impianto tarantino è "il più grande impianto siderurgico d'europa, tra i più grandi del mondo" e ha una "importanza strategica" per il paese e non solo per la provincia di Taranto nella quale rappresenta il 75% del Pil.  Clini ha osservato che la fabbrica è stata "progressivamente autorizzata nelle sue diverse fasi secondo le leggi vigenti, per cui parte delle problematiche rilevate dalle indagine epidemiologiche danno conto di uno stato della salute della popolazione, con evidenti eccessi di mortalità, che fanno riferimento presumibilmente a contaminazioni derivanti da impianti che operavano nel rispetto delle leggi". Il parallelo proposto da Clini è con i motori diesel di vent'anni fa che sono stati "causa o concausa di malattie dovute all'inquinamento ambientale" ma quei motori "rispettavano gli standard dell'epoca".

IL PESO DELLA BUROCRAZIA - In italia le procedure di valutazione ambientale sono "molto lunghe, troppo se comparate con altri paesi europei e rischia di essere fuori fase rispetto a investimenti in tecnologie", ha detto il ministro. Anche le bonifiche dei siti industriali prevedono

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"procedure complesse, non molto lineari", basti pensare che il processo sull'area dell'ilva "è iniziato nel 2003 e la procedura non è ancora conclusa". Queste procedure, ha osserva Clini, "non danno grandi risultati". Il dato generale: "Su 57 siti da bonificare sono 3 o 4 casi di bonifiche avviate e 2 quelle realizzate".

LA POSIZIONE DELL'AZIENDA - "Ilva sta lavorando sul piano ambientale da diversi anni ed ha investito moltissime risorse, oltre un miliardo negli ultimi anni per l'impatto ambientale e l'Ilva ha una straordinaria sensibilità nei confronti dell'ambiente e della salute dei cittadini e dei lavoratori, anche su questo si è fatto molto". Così il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, sentito in radio. "Nessun contatto tra procura a azienda - ha assicurato - se non quelli formali. Io rispetto moltissimo il lavoro dei magistrati e il ruolo dei magistrati. Non esiste una trattativa e non è possibile alla luce delle regole del nostro ordinamento trattative con l'autorità giudiziaria". "Certamente però - ha proseguito Ferrante - noi dobbiamo comunicare meglio, far sapere loro cosa abbiamo fatto, cosa l'Ilva ha fatto per il lavoro, l'ambiente e la salute. Dobbiamo far conoscere meglio queste cose perchè evidentemente non le abbiamo comunicate bene".

LE VALUTAZIONI DELL'ARPA - L'Ilva di Taranto "formalmente è in regola" - ha spiegato rigaurdo ai valori delle emissioni e dei livelli d'inquinamento prodotti dalla stabilimento il direttore dell'Arpa, Giorgio Assennato, che ha anche lui parlato in radio - ma ci sono alcuni valori, rispetto all'inquinamento che produce, che devono essere abbassati. Le acciaierie di Taranto rispetto al resto dell'Europa siano in regola? "Da un punto di vista formale - ha risposto Assennato - rispettano i parametri previsti dall'autorizzazione ambientale e dalle normative. Però alcuni di questi parametri sono assolutamente insensati". "Noi - ha aggiunto - abbiamo nella legislazione nazionale un valore limite per le emissioni di diossine di origine industriale assolutamente privo di senso, altissimo, e per il quale è stato necessario coraggiosamente attivare la legislazione regionale e quel limite rimane ancora attivo, non è stato modificato da nessun provvedimento e quindi pur essendo formalmente in regola sotto molti punti di vista, ci sono alcune criticità, come quelle ben note delle polveri, come il benzopirene, che devono essere assolutamente ricondotte a valori più bassi".   

EPIDEMIOLOGI, AFFERMAZIONI CLINI NON CORRETTE - In una nota, tre epidemiologici, contestano le affermazioni del ministro. Sono Benedetto Terracini, dell'Università di Torino, decano dell'epidemiologia italiana ora in pensione e Consulente del Comune di Taranto in occasione dell'incidente probatorio che ha avuto luogo il 30 marzo nell'ambito del processo all'Ilva, assieme alla dottoressa Maria Angela Vigotti dell'Università di Pisa, Consulente del Comune di Taranto e al dottor Emilio Gianicolo dell'IFC-CNR, Lecce, Consulente degli allevatori. Clini sostiene - hanno spiegato i tre - che gli effetti sulla salute riscontrati sono solo il risultato dell'inquinamento del passato, ma se è vero che gli eccessi tumorali attuali riflettono esposizioni avvenute circa 20-30 anni prima, il ministro ignora completamente i risultati dello studio sugli effetti a breve termine condotto dai consulenti del GIP che ha dimostrato l'effetto deleterio delle emissioni degli anni 2004-2008. Si tratta quindi di una cattiva interpretazione dei dati epidemiologici presentati nella perizia consegnata al GIP di Taranto, a totale beneficio, economico e giudiziario, degli interessi attuali della società Ilva".

LAVORATORI IN AGITAZIONE - Nuova assemblea dei lavoratori oggi in fabbrica, dopo quella di ieri, in vista dello sciopero di 24 ore con corteo in città, in programma alla vigilia dell'appuntamento al Riesame. Alla manifestazione parteciperanno Susanna Camusso, Raffale Bonanni e Luigi Angeletti, segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil. Al corteo prenderanno parte anche i familiari degli operai, mentre gli ambientalisti denunciano il pericolo di possibili infiltrazioni di black block.

FIACCOLATA E VEGLIA DI PREGHIERA - Questa sera, invece, fiaccolata e veglia di preghiera della diocesi a sostegno degli operai. La fiaccolata partirà da Porta Napoli e raggiungerà il rione Tamburi. La veglia sarà conclusa dall'arcivescovo monsignor Filippo Santoro che ha anticipato il suo rientro dal Brasile per essere in città in questi giorni difficili. E dal sito dall'arcidiocesi l'arcivescovo ha diffuso un eloquente messaggio di pacificazione e compattezza. "Invito tutti  -  ha scritto  -  i malati oncologici, gli operai, i parenti delle vittime del lavoro, i mitilicoltori, i pescatori,

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tutti gli abitanti del rione Tamburi, i sacerdoti, i religiosi e le religiose, i bambini, tutte le famiglie, le associazioni che si occupano della salvaguardia dell'ambiente, le associazioni ecclesiali, le altre aggregazioni laicali, le confraternite, tutti gli uomini di buona volontà a partecipare alla fiaccolata e alla veglia di preghiera".

La Repubblica 01 agosto 2012

Lavoro sporco / 1

TARANTO C'È una piazza a Taranto, nel rione Tamburi. È modesta, ma ha tre monumenti. Il primo è un'edicola con una Madonnina, bisogna spolverarla ogni giorno. Il secondo è una grossa targa di ferro, corrosa e smangiata. Dice: Nei giorni di vento nord-nordovest Veniamo sepolti da polveri di minerale E soffocati da esalazioni di gas Provenienti dalla zona industriale "Ilva" Per tutto questo gli stessi "maledicono" Coloro che possono fare E non fanno nulla per riparare.Maledicono è inciso in caratteri più grandi.Fra coloro che eressero l'edicola e affissero la targa c'era Giuseppe Corisi, operaio dell'Ilva, comunista e cattolico, consigliere di circoscrizione e animatore del Comitato per l'ambiente. Il 14 febbraio scorso ha saputo di avere un cancro ai polmoni, l'8 marzo è morto. Prima ha dettato il testo del terzo monumento, una targa murata sulla facciata di casa sua, al terzo piano, appena sotto la finestra del salotto. Dice: "Ennesimo decesso per neoplasia polmonare. Taranto (Tamburi) 8 marzo 2012". A quella finestra sono affacciate la sua vedova, Graziella, sua figlia, moglie anche lei di un operaio Ilva, e la nipotina che Corisi non ha visto, si chiama Gaia. Sono gentili e pazienti, e accettano ogni volta di nuovo di portarvi a vedere il terrazzino di casa, e a passare il dito sullo strato di polvere nera e rossastra. Dove mettereste l'"ennesimo" Corisi nelle chiassose categorie di questi giorni, "gli operai contro gli ambientalisti"? Corisi aveva 64 anni. Ma l'età media degli operai dell'Ilva è di 31. Dodicimila uomini, una comunità incredibilmente giovane e pressoché di soli maschi. "Le donne dell'Ilva" sono importanti, ma sono mogli e madri e fidanzate e sorelle.(segue dalla copertina) TARANTO Alcune lavorano nella seconda fabbrica tarantina, che è un call-center di duemila persone, Teleperformance, minacciata da una dislocazione in Albania e in cassa integrazione a rotazione.Si sono molto sentiti, in questi giorni, mariti dell'Ilva e mogli del call-center.Fra le infamie dell'Ilva ci fu la Palazzina Laf, in cui alla fine degli anni '90 decine di operai venivano confinati in cameroni nudi, a non far niente e a impazzire di mortificazione: nel 2001 Emilio Riva e altri dirigenti dell'Ilva privatizzata furono condannati. Gli domandarono come facesse a sapere quali operai fossero "facinorosi", Riva rispose che aveva ereditato le schedature della gestione Iri. Aneddoto da ricordare, quando ci si chiede perché anche lo Stato debba pagare per le bonifiche. Un così brusco trapasso di generazione doveva interrompere la memoria delle lottee assicurare gente robusta e poco incline ai pensieri di morte: i giovani però fanno presto a imparare, possono bastare i cortei e i blocchi stradali di un'estate calda.Gli operai con cui parlate hanno voci diverse: non ne troverete uno che non vi dica prima di tutto che fumi e polveri, «quella merda», lui le respira ogni giorno. Ora c'è chi deplora che, in nome del posto di lavoro, gli operai si siano alleati col padrone. La storia si giocherebbe lungo la nuova trincea: padroni e operai di qua, ecologisti e magistrati di là. Una fesseria, direi, anzi due. Un plotone di capi che fischiano i magistrati l'Ilva lo troverà sempre.Gli operai sono attaccati alla fabbrica e al lavoro che vi svolgono e che sanno fare, non al padrone. Si fa come se gli operai passassero e i padroni restassero. Ma nella storia ormai antica dell'Italsider-Ilva è successo anche il contrario: sono passati tanti padroni, e la fabbrica è lì.L'altra notte, quando hanno tolto i blocchi, mi hanno portato a fare il lungo giro dello stabilimento, due volte e mezza Taranto, raccontando con raccapriccio e orgoglio un luogo in cui tutto è grandioso, i nastri e l'acciaieria e le montagne velenose dei parchi minerali e i magazzini di tubi e rotoli e gli spogliatoi, piani e piani illuminati di spogliatoi.Gli operai vogliono che la fabbrica non chiuda e che smetta di avvelenare,e credono che sia possibile. Forse non lo è: a Piombino il miglioramento decisivo è stato l'abbandono della cokeria, e quella di Taranto è la più grande del mondo. Si dovranno almeno limitare i danni. Le persone che abitano ai Tamburi possono avere case più sane e decenti da un'altra parte. Gli infortuni si sono fortemente ridotti, le ultime due morti di lavoro risalgono a tre anni fa: il penultimo fu un albanese,

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l'ultimo, Zygmuntjan Paurowicz, un polacco. Era al suo ultimo giorno di lavoro all'altoforno. Gli ultimi italiani, due ragazzi degli appalti, morirono il 2 giugno 2003. I lavoratori degli appalti fanno le fatiche peggiori, "nella caloria". Ditte dai nomi sdoppiati assumono per due trimestri, poi riassumono col secondo nome, per scansare il tempo indeterminato.Si aspetta ora che i giudici del riesame - il 3 agosto, ma la decisione arriverà giorni dopo- modifichino l'ordinanza della signora Todisco concedendo l'uso degli impianti. La pressione per questo compromesso è imponente. Soprattutto, nessuno può prevedere la risposta operaia nel caso opposto. Nei giorni scorsi, operai e poliziotti fraternizzavano, e i carabinieri scherzavano sui loro panini d'ordinanza che non arrivavano. Non sarà sempre così.L'idea che gli operai facciano da massa di manovra per il padrone (agli arresti domiciliari) ha il suo complemento nel vagheggiamento dell'alleanza opposta, fra ambientalisti e una magistratura che realizzi la conversione ecologica per via giudiziaria. La procura di Taranto ha dalla sua un impegno tenacee non vanitoso contro le ecomafie, la prima condanna dell'Italsider risale al 1982. E non c'è dubbio che senza l'azione degli ambientalisti (ce n'è uno, Fabio Matacchiera, che è partito dalle sue immersioni subacquee per misurare i veleni, e ne è risalito sulla terraferma fino ai fumi del camino E312, la più alta, dicono, ciminiera del mondo) e senza la decisione drastica della giudice Todisco, le cose sarebbero andate avanti nell'inerzia.Qualcuno lamenta l'intempestivo sequestro dell'area a caldo dell'Ilva proprio quando si era intrapresa la strada delle bonifiche."Proprio quando" è la parola d'ordine del senno di poi, di cui sono pieni i parchi minerali. Se le cose davvero cambieranno, lo si dovrà al sequestro.E se non cambieranno, non lo si dovrà al sequestro. Ma la contrapposizione fra lavoro e salute è una truffa, e il più irreparabile fallimento dell'ecologismo italiano.Poi c'è Taranto, con una popolazione che si riduce - 190 mila persone, più o meno - e una demoralizzazione universale. Ha subito una serie di rovesci impressionante - una Grecia prima della Grecia, dice il mio amico Fulvio. In democrazia i rovesci la gente se li cerca votando male, ma qui il castigo ha infierito. Venne Cito, energumeno del controleghismo meridionale,e finì nelle condanne per mafia e bancarotte: oggiè un poveruomo che piange nell'infermeria del carcere.Venne un'esperienza berlusconiana dalla finanza allegrissima, e finì nel 2007 con la dichiarazione ufficiale del dissesto del Comune (non si chiamava ancora default), che ancora limita le risorse della nuova giunta. Nel cuore della città c'è il palazzo del glorioso liceo Archita, transennato da quasi dieci anni, coni finestroni dai vetri rotti, e l'ailanto che infesta il balcone d'onore del secondo piano. Nella Città vecchia, l'anno scorso un fico crebbe fino a far crollare la chiesa di San Paolo alle Pentite, rovinando su un poveretto che dormiva in auto.Sono ancora là,i ruderi della chiesa e, trionfatore, il fico. (Del ferito spero che abbia trovato un tettuccio più sicuro). Adesso c'è un fico che cresce spavaldo sulla mia scuola elementare, la 25 luglio.Taranto ha una raccolta archeologica meravigliosa (alla sua origine fu Luigi Viola, avo di Sandro), e un museo rinnovato ma chiuso per metà. Visitatori pochi; in compensoi pezzi vanno in prestito a mostre sontuose in tutto il mondo. Taranto stessaè la copertura della città antica, e se invece di smantellare l'Ilva si smantellasse la città in favore della necropoli, si completerebbe l'opera. Ci penseranno magari i cinesi, che sono la principale comunità straniera della città, benché nessuno li sappia contare. La marina militare cinese è approdata, il porto mercantileè in mani cinesi, come il Pireo. A loro piace che Taranto sia equidistante da Suez e da Gibilterra, e che le sottofatturazioni siano lucrose. Il deputato del Pd Vico parla di Gomorra cinese. In cambio, dal bordo della stazione torpediniera, all'inizio del mar Piccolo, i pescatori con la canna sono cinesi, e i loro bambini parlano tarantino.I tarantini con cui parlate vi dicono, come se si fossero messi d'accordo, che Taranto «è morta»: una necropoli, appunto. Naturalmente non è vero, e la città è spesso bella, le persone impegnate sono tante, e nei bar se ordinate un caffè vi portano subito un bicchiere d'acqua - come in Grecia. Ma perfino la squadra di calcio sta agonizzando, e ha anche lei la sua data fatidica, il6 agosto:o saranno versati 350mila euro,o niente iscrizione alla serie D.Giuse trova pertinente la scritta murale: "Siamo dei professionisti della sconfitta". Alfonso Musci, eminente giovane studioso e militante in proprio, cita un Filippo d'Angiò che regalava cesti di pesci ai sudditi, e quando morì e chiesero a una vecchietta perché piangesse lacrime così calde, lei

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rispose: «Amo perso a Filipp cu' tuttu lu panaro» - abbiamo perduto Filippo e tutto il cesto. Così si sentono i tarantini oggi, dice Alfonso: «Amo perso a Filipp cu' tuttu lu panaro».ADRIANO SOFRI

La Repubblica 01 agosto 2012

Ma il gigante così prepara la controffensiva

«ERRORI macroscopici», «scarsa attendibilità», «fuorvianti e errate conclusioni». Dalle centinaia di pagine giudiziarie che raccontano il caso Ilva, salta fuori una traccia della linea difensiva del patron Emilio Riva, di suo figlio Nicola e dei sei dirigenti sotto inchiesta per disastro ambientale. Gli otto indagati agli arresti domiciliari, ieri rimangono con la bocca cucita davanti al gip Patrizia Todisco nel corso degli interrogatori di garanzia. Ma quella traccia, per lo più inedita, già si materializza nel ricorso di quattro mesi fa chea nome della multinazionale gli avvocati milanesi dello studio legale Perli firmano per opporsi alla ordinanza datata 25 febbraio del sindaco Ippazio Stefàno attraverso cui «entro e non oltre trenta giorni» si imponevano misure destinate ad evitare la «dispersione incontrollata di fumi e polveri» dalla fabbrica. Entravano in gioco per la prima volta le due perizie disposte dal giudice e che poi, giovedì 26, spingono lo stesso giudice a fare scattare il sequestro dell' area "a caldo" del siderurgico. E, sempre per la prima volta, prende forma il commento impietoso di Ilva. Un commento del tipo "tutti colpevoli, nessun colpevole". Perché, innanzi tutto, si sottolinea «l' errore più macroscopico»: avere puntato il dito contro l' acciaieria, ma allo stesso tempo «sottostimato» altre «fonti emissive» quali «la raffineria Eni, lo stabilimento Cementir, l' inceneritore municipale Amiu, quello per i rifiuti ospedalieri»; inoltre «clamorosa è l' omessa valutazione» a proposito di altri due stabilimenti, «l' ex Matra e Euroecology», a quanto pare non proprio al di sopra di ogni sospetto. Ma «neppure la seconda perizia», insistono i portavoce legali dell' Ilva, «è utile per invocare un' emergenza sanitaria». IL RAGIONAMENTO è questo: «La situazione di Taranto per quanto riguarda le polveri in atmosfera, è molto migliore» di quella che si registra in altre città italiane, a cominciare da Milano e Roma, dove i dati relativi alla esposizione al Pm10 sono ben al di sopra della media. Ecco perché da queste parti «i giudizi catastrofici e l' allarme sociale non appaiono giustificati e, forse, potrebbero essere ricondotti a polemiche politiche esasperate». Visto che i valori del capoluogo ionico «sono ampiamente entro il limite di legge». Del resto, come aveva ricordato non più tardi di qualche giorno fa il nuovo presidente Bruno Ferrante, dall' anno dell' acquisizione di Ilva, nel 1995, al 2011, la spesa dedicata alla tutela ambientale da parte di Riva ammonta a 1 miliardo 100 milioni di euro. Dal 2008, tuttavia, si assottiglia la quantità di quattrini impiegata perché cokerieo agglomerato, reparto per la produzione dell' acciaio o tubifici non sputassero dosi gigantesche di veleni: da 116 milioni a 27 milioni, mancano all' appello 89 milioni di euro. «Meno che negli anni precedenti» ammettono all' ex Italsider «ma comunque dal 2009 abbiamo investito per l' ambiente circa 200 milioni. Si tratta di una misura importante, soprattutto tenendo conto dell' attuale fase recessiva». LELLO PARISE

La Repubblica 01 agosto 2012

Taranto, Legambiente agli operai "Siamo con voi, un'altra Ilva si può"Opinione pubblica divisa sul destino dell'impianto siderurgico. Gli ambientalisti scrivono ai lavoratori per dire che salvare sia il lavoro che la salute non è un'utopia, ma non bisogna accusare la magistratura. Posizione condivisa anche dal Pd. Intanto i Verdi attaccano il ministro Clini

TARANTO - Taranto, la città che muore. Sembra questo il suo destino, divisa tra i tumori e la disoccupazione, dopo la decisione della magistratura di chiudere sei impianti a caldo dell'Ilva, il complesso siderurgico che sostiene l'economia cittadina e dà lavoro a circa 17mila operai, tra diretti e indotto, con l'accusa di avvelenare l'aria con sostanze inquinanti e causare "malattia e morte". Ma salvare lavoro e salute si può, assicura Legambiente. "Un'altra Ilva è possibile", scrive Vittorio Cogliati Dezza, presidente dell'associazione ambientalista, in una lettera aperta agli operai.

I lavoratori e le loro famiglie paralizzeranno domani la città con uno sciopero di 24 ore, mentre il ministro dell'Ambiente Corrado Clini incontrerà a Bari i rappresentanti istituzionali, l'azienda e i

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sindacati per decidere il destino dell'impianto. Legambiente ha voluto quindi esprimere la sua solidarietà ai lavoratori senza però dimenticare le colpe dell'industria siderurgica: "C'è una realtà incontrovertibile: l'Ilva inquina in maniera intollerabile per la salute dei cittadini e per l'ambiente di questa città ed ha reiterato per anni il reato". Come dimostrano le condanne in Cassazione per inquinamento atmosferico di Emilio Riva e alcuni dirigenti dell'azienda.Legambiente si propone alleata dei sindacati nella lotta per la difesa dell'occupazione e per costruire nuove prospettive di sviluppo pulito. "Per dimostrare che salute, ambiente e lavoro possono coesistere in modo sano e duraturo". Con la tecnologia moderna si possono adeguare gli impianti, assicura Cogliati Dezza. E invita gli operai al confronto con l'azienda, vera controparte nella lotta al mantenimento dello stabilimento aperto.Una concezione condivisa anche da Ermete Realacci, deputato e responsabile green economy del Pd. "Chi mette sotto accusa la magistratura si comporta come lo sciocco che, mentre il saggio indica la luna, guarda il dito", afferma Realacci, che riconosce i ritardi politici e di gestione aziendale, che si sono accumulati nel corso dei decenni e che hanno portato alla situazione attuale. "Tuttavia - continua - la chiusura dell'impianto non è una soluzione, anzi provocherebbe enormi problemi sociali ed economici. Oltre alla bonifica dell'area, è necessario mettere in atto con la massima urgenza politiche che consentano all'impianto di operare con le migliori tecnologie possibili e di ridurre drasticamente l'impatto su salute e ambiente".Si rivolge a Clini anche il Wwf, con la richiesta di ritiro dell'Autorizzazione Integrata Ambientale (Aia) rilasciata dal Governo precedente allo stabilimento. "Le attività possono riprendere solo alla luce di un serio rispetto dei limiti di emissioni e comunque nell'ottica di una bonifica e riconversione dello stabilimento", dichiara l'associazione.E intanto i Verdi puntano il dito verso il ministro dell'Ambiente, accusato di pensare più agli interessi industriali ed economici che alla salute dei cittadini. "Come si fa - ha dichiarato il leader del partito Angelo Bonelli - ad affermare che i veleni, come la diossina, emessi dalle ciminiere dell'Ilva sono diminuiti se ancora oggi non ci sono i monitoraggi in continuo delle emissioni?".

La Repubblica 01 agosto 2012

Diretta / Ilva, tensione in piazza a Taranto . Clini: "Misure urgenti per le bonifiche"L'azienda: "Stop ai ricorsi sulle autorizzazioni"Bloccata la manifestazione, dopo l'irruzione di un gruppo di 200 contestatori. Circa 5mila di operai che hanno sfilato a Taranto. Botta e risposta tra siglie sindacali sulle responsabilità dei disordini. Da Bari, il ministro assicura "un provvedimento d'urgenza" per le bonifiche già domani in consiglio dei ministri. Ferrante: "Basta conflittualità, ritirimo le contestazioni  su autorizzazioni ambientali". Il plauso di Vendola

di MARIO DILIBERTO e LELLO PARISE  ORE 20 - "Domani al Cipe sbloccheremo 21 milioni"Domani il Consiglio dei ministri discuterà del provvedimento che il ministro dell'Ambiente Corrado Clini si è impegnato a presentare per lo stabilimento Ilva di Taranto. Chiudiamo l'intera programmazione del fondo coesione sviluppo e sbloccheremo 21 miliardi di euro. A chiarirlo è stato il ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca. "Quello che con il decreto Clini vuole perseguire - ha aggiunto - è una garanzia di accelerazione, dopo di che sta anche alla parte privata e all'Ilva di metterci la sua parte". Quanto alla forma dell'intervento se decreto legge o altro Barca ha risposto: "la forma la sentiremo domani da Clini".ORE 18.47 Barca: assegnati i fondi per le bonificheIl ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca ha comunicato che sono stati assegnati i fondi alla Regione Puglia per la bonifica di Taranto.ORE 17.30 - Bersani: "Situazione eccezionale, bene il decreto""L'ipotesi di un decreto legge per Taranto - emersa stamane nell'incontro istituzionale sull'emergenza Ilva tra il governo e gli enti locali a Bari - è senza dubbio la migliore opzione tra quelle emerse in questi giorni". Lo sottolinea il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani secondo il quale "ci troviamo di fronte ad una situazione eccezionale che richiede misure eccezionali".ORE 16.31 -  Riesame: Ilva presenterà controperizia

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Dissequestro degli impianti e rimessa in libertà delle otto persone dei vertici aziendali e societari dell'Ilva ai domiciliari da giovedì scorso: è l'istanza che faranno domani gli avvocati dell'Ilva nel corso dell'udienza del tribunale del riesame. I legali presenteranno anche una controperizia rispetto a quella consegnata dagli esperti medici al gip relativamente all'impatto dell'inquinamento sui casi di malattia e di morte. Contestati anche diversi passaggi dell'ordinanza del gip Patrizia Todisco soprattutto per quanto concerne la parte ambientale. "Di solito - afferma Egidio Albanese, uno dei legali dell'Ilva - il Riesame in periodo feriale non discute di provvedimenti relativi a misure reali, come in questo caso è il sequestro degli impianti Ilva, ma solo di quelli che riguardano lo stato delle persone. In quest'occasione, invece, non sta avvenendo così proprio perché si ravvisa la particolarità e la rilevanza del caso dell'Ilva di Taranto". ORE 16.22 - Vendola: "Trasformare presto l'accordo in cantieri""Abbiamo affrontato il problema di impostare in forme credibili il percorso, che possa essere fatto anche di semplificazioni procedurali, perché nel più breve tempo possibile si possa trasformare in cantieri quel protocollo di intesa sottoscritto a infine giugno col governo, proprio sul ciclo delle bonifiche e sulla riqualificazione urbana". Così il governatore pugliese Nichi vendola. "Taranto - ha sottolineato - ha fatto molto per l'Italia, Italia deve fare qualcosa per Taranto.ORE 15.58 - Alfano: "Sostegno del Pdl al decreto legge"Dopo Fitto, anche il segretario del Pdl Alfano assicura che il partito "garantirà con il suo voto in Parlamento il sostegno a un decreto legge sul caso Ilva, qualora il governo decidesse di intervenire con un provvedimento d'urgenza". ORE 15.47 - Interventi per 336 milioni di euroIl protocollo d'intesa per il risanamento di Taranto è stato firmato la settimana scorsa. Negli obiettivi rientrano lo sviluppo di interventi infrastrutturali di bonifica, gli incentivi alle imprese locali e la riqualificazione industriale dell'area. Verranno realizzati nelle prossime settimane attraverso appositi accordi e sotto la guida di un Comitato di Sottoscrittori e di una cabina di regia coordinata e gestita dalla Regione Puglia. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo è di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata.

ORE 15.20 - Vendola plaude allo 'stile' di FerrantePer il governatore Nichi Vendola, l'ex prefetto Bruno Ferrante ora alla guida del colosso siderurgico, "corregge lo stile peggiore tenuto in questi anni dall'azienda nei confronti di Regione e governo, in un atteggiamento improntato a litigiosità. L'Ilva ha dichiarato la propria disponibilità - ha aggiunto - a fotografare tutte quelle parti dell'ordinanza del gip che rivelano l'esistenza di una relazione fra inquinamento e patologie e di lavorare per rimuovere quegli elementi che sono perniciosi per la salute e per la vita dei tarantini". Per Vendola "non è la scenografia dell'unità delle istituzioni che può salvare la fabbrica, ma è l'atteggiamento di leale collaborazione e anche di rispetto delle prescrizioni che sono scritte in maniera moto chiara". "Noi - ha concluso - tutto questo lo vediamo come un passaggio stretto che, se superato, ci permetterà di scrivere una pagina di storia".ORE 15.15 -  ++ ILVA RINUNCIA A RICORSI SU AUTORIZZAZIONI AMBIENTALI++"Ilva rinuncia ai ricorsi che aveva presentato contro la riapertura del procedimento per l'autorizzazione integrata ambientale, l'Aia". Lo ha detto il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, al termine dell'incontro sull'Ilva convocato oggi a Bari presso la presidenza della Regione dal Ministro dell'Ambiente Corrado Clini. "Non più conflittualità - ha aggiunto - ma confronto e dialogo attorno a delle soluzioni che possano tutelare meglio l'ambiente, la salute, i lavoro e l'impresa"ORE 15 - Clini: "Per Taranto un provvedimento d'urgenza"'Il governo domani adotterà un provvedimento d'urgenza per fare in modo che il protocollo d'intesa dello scorso 26 luglio sia efficacemente operativo". lo ha detto Corrado Clini, specificando che "in queste ore si sta valutando se sarà una decreto legge o un'ordinanza di protezione civile". La situazione dello stabilimento Ilva rappresenta "un'emergenza nazionale", ha sottolineato. "La cabina di regia di questo protocollo - ha aggiunto - è affidato alla Regione". Clini è stato in contatto più volte, durante la mattina, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà e con il ministro dell'economia Vittorio Grilli.ORE 14.10 - Fim e Uilm contro la Fiom, è scontro su responsabilità dei disordini di TarantoBotta e risposta tutta interna ai sindacati che hanno organizzato la manifestazione dei lavoratori di Taranto sulle responsibilità di quanto accaduto con l'incursione dei contestatori. "La bella e

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partecipata manifestazione di Taranto - ha affermato in una nota Giuseppe Farina, della segreteria nazionale della Fim Cisl -  è stata disturbata nella sua parte conclusiva da stupide ed estremistiche forzature della Fiom nella gestione del comizio che ha consentito di collegare le frange più estreme di uno sparuto gruppo di Cobas con altri gruppi mercenari che si sono evidenziati nella piazza". "La vera manifestazione - ha aggiunto Farina - si è conclusa con l'intervento di Raffaele Bonanni, tutto quello capitato dopo, è solo attribuibile alle responsabilità e alle contraddizioni della Cgil e dai soliti comportamenti poco responsabili tenuti dalla Fiom nazionale, di cui peraltro è risultata essa stessa vittima". Stesso concetto ribadito dalla Uilm, per voce di Rocco Palombella, che ha parlato di "danno all'immagine di questa grande manifestazione di popolo a favore di una fondamentale realtà produttiva del comparto industriale del Paese". Pronta e polemica la risposta arrivata dalla Cgil. "Fim e Uilm farneticano - ha dichiarato seccato leader Fiom, Maurizio Landini - la Fiom, a differenza loro non ha abbandonato la piazza e ha impedito ai Cobas, a questo punto amici di Fim e Uilm, di impadronirsi di una manifestazione non sua". Alla dichiarazione è seguita anche un comunicato della Cgil: "La manifestazione di Taranto è terminata con le conclusioni del segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, e quando i lavoratori sono andati via dalla Piazza. Forse qualcuno avrebbe bisogno di un calmante e sopratutto di un buon paio di occhiali".ORE 13.50 . Fitto: "Sul decreto garantiamo pieno appoggio""Piena condivisione sullo strumento del decreto legge per Taranto individuato questa mattina dal tavolo istituzionale e pienamente condiviso dal ministro Clini e che già domani, ci auguriamo, possa andare in consiglio dei ministri. Questo per dare immediata concretezza e piena attuazione agli interventi di bonifica e tutela ambientale previsti dall’Accordo firmato il 26 luglio scorso al Tavolo romano. In questa direzione ho garantito l’impegno pieno dei gruppi parlamentari del Pdl affinché il decreto venga approvato rapidamente con il pieno appoggio del nostro partito". Lo ha dichiarato in una nota Raffaele Fitto a margine dell’incontro presso la presidenza della Regione Puglia con il ministro Clini.ORE 13.30 - Ferrante: "Gli impianti in piena attività, siamo vicinissimi ai lavoratori"Il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, ha confermato che "gli impianti di Taranto sono in piena attività, non possono essere assolutamente spenti, perchè per spegnere gli impianti come quelli occorrono interventi tecnici molto complessi, difficili e laboriosi. I custodi si sono insediati e stanno prendendo conoscenza della realtà dello stabilimento di Taranto". La dirigenza dell'Ilva "è vicinissima ai lavoratori - ha ribadito l'ex prefetto - e con loro combatteremo per far valere le nostre ragioni". "Confermo - ha proseguito Ferrante - la nostra precisa e decisa volontà di tutelare i livelli occupazionali e la vita dell'impresa". ORE 12.41 Clini, domani il decreto legge su TarantoDomani il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, in accordo con il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, presenterà al Consiglio dei ministri una proposta di decreto legge su Taranto per gli interventi di bonifica e di tutela ambientale. ORE 12.02 - I numeri della manifestazioneSecondo le forze dell'ordine, ai due cortei organizzati da Cgil, Cisl e Uil hanno partecipato poco più di 5 mila persone.ORE 12 - Tolti i presidi, riprende la circolazione a TarantoSi è conclusa la manifestazione dei sindacati e in città è tornata la calma. Gli operai hanno lasciato la piazza e anche i lavoratori delle ditte di appalto dell'Ilva che avevano bloccato il ponte girevole. La circolazione dei veicoli è ripresa ora regolarmente. ORE 12.14 - Ferrante, Ilva: "Così non si aiutano i lavoratori""Bisogna sempre conservare e usare molto buon senso, chi interviene per turbare non fa un grande servizio alle ragioni dei lavoratori e della democrazia": così il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, a Bari ha risposto sull'interruzione della manifestazione. ORE 12.12 - A Bari il vertice istituzionale con CliniNel frattempo, a Bari, è cominciato intorno alle 11 il primo incontro istituzionale della giornata sulla questione dell'Ilva di Taranto. Al tavolo, il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini: entrambi non hanno rilasciato dichiarazioni all'inizio dell'incontro. Con Vendola e Clini ci sono anche il sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, il presidente del consiglio regionale pugliese, Onofrio Introna e il parlamentare del Pdl, Raffaele Fitto (ex presidente regionale). ORE 12.02 - Bonanni: "Vergogna"

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"E' fallito il tentativo di oscurare la manifestazione", ha commentato il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni. "Chi ha organizzato questo blitz violento è contro i lavoratori dell'ilva e non vuole il futuro di Taranto. E' solo una forma di protesta violenta, figlia dell'estremismo e forse anche di infiltrazioni di mercenari". Per Bonanni "si dovrebbero vergognare perché in piazza c'erano migliaia di lavoratori pacifici con le famiglie. Ma la piazza vera era tutta con noi. Questo è quello che conta. Chi alimenta l'estremismo e l'antagonismo dovrà riflettere, perché quando si semina odio si raccoglie solo tempesta".ORE 11.55 - Conclusa la manifestazioneE' stata liberata la piazza di Taranto che ha ospitato il comizio e la contestazione. Gli operai stanno abbandonando la zona, che resta presidiata dalla polizia. Lo sciopero però continua: è stato infatti deciso per il blocco di 24 ore dei dipendenti dello stabilimento, dove comunque sono regolarmente al lavoro gli operai "di comandata" sugli impianti a funzionamento continuo. ORE 11.40 - L'amarezza di Susanna Camusso"Non è giusto e legittimo impedire lo svolgimento di una manifestazione", ha detto la Camusso quando la situazione è tornata alla normalità e dopo aver tenuto il suo comizio. "Hanno ottenuto una visibilità che altrimenti non avrebbe avuto - ha aggiunto Camusso - questa non è una gara a chi grida di più". Camusso ha sottolineato che "è sempre facile dire che si poteva fare qualcosa in più. Non è accettabile che in una vicenda così complicata si faccia del sindacato e dei lavoratori il capro espiatorio". Sull'incerto futuro dell'Ilva, Camusso ha spiegato: "Non si risana uno stabilimento semplicemente fermandolo perchè così facendo si mette una croce su uno stabilimento mentre servono interventi con l'impianto in marcia".ORE 11.30 - Uno dei contestaori: "Questi sindacati non ci rappresentano""Questi sindacati non ci rappresentano". Lo ha detto uno dei contestatori, operaio dell'Ilva, che hanno interrotto il comizio dei segretari confederali e dei metalmeccanici a Taranto. "Hanno tirato il peggio di noi, il peggio di questa città . In quella fabbrica - ha aggiunto - non ci sono diritti, non c'è dignità. C'è abbandono totale. Noi conosciamo i nostri problemi e chi ci rappresenta. Se un segretario interviene a un'assemblea manifestando solidarietà a otto persone che ci hanno sottomessi, perseguitati, minacciati e avvelenati - ha concluso il lavoratore - è un sindacato che non conosce i nostri diritti o è troppo assoggettato all'azienda". ORE 11 ++ RIPRENDE IL COMIZIO++I contestatori, dopo circa mezz'ora dal loro 'blitz' in piazza Vittoria, hanno lasciato il palco, e gli organizzatori hanno deciso di riprendere la manifestazione. Dopo Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni (più volte contestato con fischi dalla piazza), è la volta di Susanna Camusso, leader della Cgil. I contestatori appartenenti ai Cobas sono arrivati con un motocarro fino al palco accendendo anche alcuni fumogeni. A quanto pare l'automezzo si era mosso assieme a uno dei cortei, quello partito dall'Arsenale. I contestatori hanno poi preso la parola con un impianto audio montato sul 'tre ruote' giunto nella piazza e, dopo aver preso le distanze dai sindacati, hanno anche letto un comunicato per ricordare l'anniversario della strage di Bologna.ORE 10.52 - Le forze dell'ordine allontanano i contestaoriMomenti di vera concitazione in piazza della Vittoria, dove i contestatori dovrebbero abbandonare l'area. La polizia si sta 'spingendo' verso i lati esterni della piazza. Le forze dell'ordine in assetto antisommossa si sono compattate in un cordone. "Andiamocene altrimenti ci caricano", dicono al megafono i rappresentanti dei Cobas, che urlano: "Lo facciamo per i nostri figli".ORE 10.54 - Contestatori in piazza con uova e fumogeniI contestatori che hanno interrotto la manifestazione sindacale di Taranto sono giunti in piazza facendosi largo tra la folla a bordo di un Apecar. Hanno diffuso fumogeni e lanciato uova contro il palco da dove era in corso il comizio. ORE 10.50 - Leader sindacali lasciano la piazza scortati dalla poliziaI leader sindacali nazionali hanno lasciato piazza della Vittoria scortati dalla polizia. ORE 10.40 - "Siete i servi di Riva"Momenti di tensione a Taranto, dove è saltata la manifestazione. Contestati i sindacalisti. I contestatori sono arrivati in piazza gridando "Venduti". Polizia e carabinieri in assetto antisommossa, sono ai lati della piazza e stanno avanzando gradualmente. ORE 10.27 ++LA MANIFESTAZIONE E' INTERROTTA ++I contestatori bloccano il comizio, ufficialmente interrotto. Camusso: "Si è rubata la piazza ai lavoratori". Si tratta di 200 persone, che hanno fatto irruzione durante il comizio, appartengono alle

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sigle Cobas Taranto, Cobas Brindisi e Lavoratori liberi e pensanti. ORE 10.20 - Irruzione al comizioIl comizio di Raffaele Bonanni è stato interrotto dall'arrivo di un gruppo di contestatori, che si sono infiltrati e hanno raggiunto il cuore della piazza. Molti dei partecipanti si sono allontanati, raggiungendo il retro del palco.Si tratta di un gruppo di perosne su una automobile con fumo nero e rosso, a simboleggiare i fumi dell'Ilva. L'automobile avanza tra la folla. Il comizio è interrotto. Le forze dell'ordine cercano di mantenere la situazione sotto controllo. Qualcuno dei contestatori è arrivato anche sul palco. I leader sindacali non sono più sul palco. L'aria è piena di fumo.ORE 10.17 - Fischi per Bonanni segretario della CislQualche contestazione si è registrata nei confronti del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, al suo arrivo al corteo subito dopo il ponte girevole.ORE 10.05 - Angeletti: "Non accetteremo la chiusura per nessuna ragione"I leader sindacali si stanno alternado sul palco e hanno cominciato il loro comizio davanti alle migliaia di lavoratori. Il primo a parlare sul palco allestito in piazza della Vittoria, il segretario generale della Uil. "Non accetteremo per nessuna ragione la chiusura dell'Ilva". Molto spesso parlano persone che non conoscono quello che dicono". ORE 10.04 - Migliaia di lavoratori in piazzaI due cortei partiti separatamente si sono congiunti in Piazza della Vittoria dove sta per cominciare il comizio che verrà concluso dai segretari nazionali di Cigl, Cisl e Uil. La piazza è gremita da migliaia di persone. Sono circa 7milaORE 10 - Partito il corteo a Genova Almeno 2.000 manifestanti partecipano a Genova al corteo organizzato dai lavoratori dell'Ilva per protestare contro l'ipotesi di chiusura dello stabilimento di Taranto. Alla manifestazione sono presenti anche le Rsu di Fincantieri, e degli stabilimenti Ilva di Racconogi e Novi Ligure. I manifestanti sono partiti dallo stabilimento di Cornigliano e, attraverso Sampierdarena, raggiungeranno il centro di Genova. Una delegazione sarà ricevuta in Regione dal presidente, Claudio Burlando.ORE 9.36 - Camusso: "La questione Ilva riguarda l'intero assetto industriale del Paese""Il problema dell'Ilva è il problema dell'assetto industriale del nostro Paese. Dobbiamo sapere che se non si trovassero soluzioni saremmo costretti a importare acciaio dall'estero". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, che partecipa ad uno dei due cortei organizzati dai sindacati a Taranto dopo il sequestro dell'area a caldo del siderurgico. "E' essenziale che l'azienda cambi atteggiamento, perché troppo spesso ha avuto quello di chi voleva fare tutto ciò che desiderava, senza attenzione ai problemi e anche all'innovazione tecnologica fondamentale per fare produzione di qualità". "Speriamo - ha aggiunto - che i segnali di questi giorni siano positivi, perchè occorrono risorse, scelte e rispetto per tutti i soggetti in campo".ORE 9.30 - Partito il secondo corteoE' partito poco fa dal piazzale antistante l'Arsenale militare di Taranto il secondo dei due cortei organizzati. In testa campeggia un grande manifesto con la scritta: "Difendere il lavoro per tutelare salute, sicurezza e ambiente". Al corteo partecipano molte donne. Imponente il servizio d'ordine con carabinieri e poliziotti in assetto antisommossa per scongiurare possibili problemi di ordine pubblico.ORE 9.32 - "Il lavoro non si tocca"Il primo dei due cortei, quello partito dalla città vecchia con i leader sindacali di Cgil, Cisl e Uil, sta già risalendo il centro di Taranto per dirigersi in piazza della Vittoria. Il corteo è aperto da un grande striscione verde di Fiom, Fim e Uilm, con lo slogan "coniugare l'occupazione con l'ambiente". Tra gli slogan scanditi dai lavoratori, "Il lavoro non si tocca" e "la fabbrica è nostra e non si tocca".ORE 9.16 - Timore per possibili infiltrazioniImponente lo schieramento di forze dell'ordine e anche il servizio di sicurezza dei sindacati. E' proprio da uno degli addetti alla sicurezza che arriva l'allarme: "Per il momento è tutto tranquillo, ma sappiamo di possibili arrivi da Bari di gruppi di black bloc".ORE 9.05 - Già migliaia i partecipantiSono circa 5mila gli operai in strada che si stanno organizzando per far partire i due cortei.ORE 9 Traffico bloccato e cortei pronti per la manifestazioneI primi gruppi di lavoratori delle aziende appaltatrici dell'Ilva di Taranto stanno risalendo lungo la

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città vecchia, diretti al centro, dove si svolgerà la manifestazione. Il centro della città, e soprattutto piazza della Vittoria, è animato già dalle 7 di questa mattina. Un grande palco è stato installato nella piazza centrale della città, dove parleranno i vertici delle organizzazioni sindacali. Il traffico nella città vecchia è già bloccato e le aree del centro interessate dalla manifestazione sono presidiate da un imponente spiegamento di forze di polizia. Molti i negozi rimasti chiusi, con affisso all'esterno il manifesto della Confcommercio che richiama le ragioni della protestaORE 8.40 - Iniziata la mobilitazione I lavoratori sono usciti dalla fabbrica per preparare i due cortei in coincidenza con lo sciopero.ORE 8.10 - Il ministro Clini a BariSempre oggi, alla vigilia della decisione del tribunale del Riesame sul dissequestro dell'ilva, attesa per domani, il ministro dell'Ambiente Corrado Clini sarà a Bari per un vertice sulla situazione con le istituzioni locali, l'azienda e i sindacati. Oggi il ministro vedrà il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, il sindaco e il presidente della provincia di Taranto "per dare attuazione al protocollo d'intesa sottoscritto il 26 luglio" per gli interventi urgenti di bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto. Poi ci sarà un incontro con i rappresentanti dell'azienda, mentre nel pomeriggio è previsto un tavolo con le organizzazioni sindacali e confindustria.ORE 8.06 . Il rischio black blocImponente il servizio di sicurezza. Nulla viene lasciato al caso. Neanche le insistenti voci di possibili infiltrazioni da parte di gruppi black bloc. Per questo i punti nevralgici della città saranno presidiati da poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa.ORE 8.05 - I corteiSono due i cortei che, a partire dalle 9, raggiungeranno il centro cittadino. Uno partirà dal Ponte di Pietra, nella città vecchia, raccogliendo i lavoratori provenienti dal siderurgico; l'altro si avvierà da via di Palma, nei pressi dell'arsenale della Marina, raccogliendo i lavoratori dell'indotto. "Non è una manifestazione contro la magistratura - hanno spiegato i sindacati - ma un invito alla città a sostenere la lotta dei lavoratori". Anche i commercianti solidarizzeranno con gli operai. Al passaggio dei cortei Confcommercio farà abbassare le saracinesche dei propri negozi.ORE 8 - La manifestazioneA Taranto oggi sciopero di otto ore e grande manifestazione sindacale a sostegno dei lavoratori dell'Ilva e delle loro famiglie, dopo la fiaccolata e la veglia di preghiera di ieri. Saranno i leader nazionali di Cgil, Cisl e Uil a concludere con un comizio dal palco allestito nel centro della città, in piazza della Vittoria, il corteo, che si terrà in coincidenza con uno sciopero di 24 ore. Alla manifestazione parteciperanno anche lavoratori degli stabilimenti di Genova e Piombino. Sarà presente anche l'Ugl. (02 agosto 2012Camusso: ''Ilva, l'impianto non si risana fermandolo''"C'è bisogno di investimenti che devono essere fatti con lo stabilimento in marcia, chiediamo al governo investimenti e chiediamo che ciascuno faccia la sua parte". Lo ha detto il segretario della Cgil, Susanna Camusso, nell'intervento che ha concluso la manifestazione di Taranto contro la chiusura dell'Ilva. Video: http://video.repubblica.it/dossier/ilva-taranto/camusso-ilva-l-impianto-non-si-risana-fermandolo/102220/100601?ref=search

La Repubblica 02 agosto 2012

Ilva, blitz dei contestatori: tensione a Taranto . Camusso: "Rubano la piazza ai lavoratori"Un gruppo di circa 200 esponenti dei Cobas e dei centri sociali hanno interrotto il comizio del segretario Fiom Landini. "Siete i servi di Riva". Fumogeni, striscioni e polizia in assetto antisommossa. Poi torna la calma

“Venduti, venduti, siete i servi di Riva”. Hanno fatto irruzione gridando la loro rabbia nei confronti dei sindacati “incapaci di rappresentarli” i circa 200 appartenenti ai Cobas e ai centri sociali che hanno interrotto la manifestazione dei lavoratori dell’Ilva. Momenti di tensione in piazza della Vitttoria, dove circa 5mila operai, stavano assistendo al comizio dei leader di Cgil, Cisl e Uil, che hanno dato voce alle paure dei dipendenti del colosso siderurgico su cui incombe il provvedimento di sequestro esecutivo dei sei reparti dell’area a caldo. A rischio sono i posti di lavoro di quasi 12mila persone solo tra i lavoratori diretti dello stabilimento, senza considerare le ricadute

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sull’indotto. Fumogeni, slogan, striscioni, polizia in assetto antisommossa. Si è temuto che la situazione degenerasse, ma dopo circa mezz’ora i contestatori se ne sono andati. Arrivati su un furgoncino, un’Apecar, dalla quale usciva fumo nero e rosso - probabilmente a simboleggiare i fumi delle ciminiere dell’Ilva -  hanno lasciato che il comizio, annullato nei momenti di massima concitazione, continuasse. La manifestazione è poi conclusa senza incidenti dopo gli interventi dei leader sindacali nazionali, Angeletti (Uil), Bonanni (Cisl) (fischiato in più occasioni), Landini (Fiom), e Camusso (Cgil).Si sono vissuti attimi convulsi anche se non vi sono stati incidenti. Dopo la partenza attorno alle nove da due punti differenti della città, due cortei si sono riuniti in piazza della Vittoria dove dal palco hanno cominciato a parlare i leader sindacali. Prima Angeletti , poi Bonanni. Dopo pochi minuti dall'inizio dell'intervento di Landini, nella piazza hanno fatto incursione i contromanifestanti che si sono fatti largo nella piazza tentando di raggiungere il palco. Le forze dell'ordine sono riuscite a bloccarli, ma nel frattempo l'alimentazione dell'impianto di amplificazione è stata interrotta e il comizio è stato sospeso. Dopo avere letto un volantino contro i sindacati, accusati di essere troppo vicini all'Ilva, e di non difendere la salute di cittadini e lavoratori, i contestatori si sono allontanati e il comizio è ripreso con l'intervento conclusivo di Susanna Camusso: “E’ stata rubata la piazza ai lavorati”, il suo amaro commento. Tutti i leader sindacali hanno detto all'unisono che è possibile e si deve "coniugare lavoro e ambiente" e che non si può pensare di risanare una fabbrica facendola chiudere. "Non accetteremo per nessuna ragione la chiusura - ha insistito Angeletti - e se chiuderanno non staremo in silenzio ma staremo in piazza". "E' impensabile che si possano perdere ventimila posti di lavoro - ha aggiunto Bonanni - Questa manifestazione vuole richiamare l'attenzione su un'emergenza nazionale". "Non si risana un impianto chiudendolo - ha detto Camusso - e per non contrapporre lavoro a salute bisogna continuare ad investire".Sull’episodio, da Bari - dove nel frattempo si svolgeva il vertice istituzionale nel corso del quale il ministro Clini ha annunciato per domani il decreto legge per le bonifiche in città - è intervenuto anche il presidente dell’Ilva, l’ex prefetto Bruno Ferrante: “Così non si aiutano i lavoratori - ha spiegato - bisogna sempre conservare e usare molto buon senso, chi interviene per turbare non fa un grande servizio alle ragioni dei lavoratori e della democrazia”.   La Repubblica 02 agosto 2012

ACCIAIO Così tramonta un simbolo dell'industria italiana

L'acciaio è un m a t e r i a l e composto soprattutto di ferro, nonché di carbonio in misura inferiore al 2 per cento, più una dozzina di altri elementi presenti in una misura che varia da una frazione millesimale (il molibdeno) a oltre il 10 per cento (il cromo). Ha molte caratteristiche positive. Se si varia il tenore dell'uno o dell'altro elemento, si ottengono migliaia di tipi di acciaio dalle prestazioni diversissime quanto a elasticità, capacità di sopportare carichi oppure urti, resistenza alla corrosione, modalità di lavorazione. Grazie alla sua natura proteiforme, l'acciaio è presente ovunque, dalle mollette dei cellulari alle arcate dei viadotti ferroviari e stradali, dalle carrozzerie di auto ed elettrodomestici allo scafo delle navi, dagli strumenti chirurgici alle ruote dei treni. Possiede inoltre la virtù di essere riciclabile senza fine.Presenta però anche, l'acciaio, una caratteristica negativa: la sua produzione è altamente inquinante. Gli impianti siderurgici sono capaci di diffondere sia al proprio interno sia per chilometri quadrati attorno a sé grandi quantità di polveri a grana grossa oppure sottili, più ogni sorta di fumi visibili e di veleni invisibili, dal benzopirene alla diossina. Il maggior problema per l'abbattimento del grado di inquinamento deriva dal fatto che in pratica ciascuno dei tanti pezzi di un impianto contribuisce per conto suo all'inquinamento. In misura variabile diffondono polveri, fumi e veleni le cokerie quanto gli altiforni, la laminazione a caldo quanto quella a freddo, le fornaci elettriche quanto i convertitori.Al fine di ridurre l'inquinamento sono state seguite nel mondo tre strade. La prima consiste nello sviluppare tecnologie specifiche per abbattere l'inquinamento nel punto preciso dell'impianto in cui si genera. È una strada piuttosto costosa. Un'altra strada è consistita nel costruire impianti più

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piccoli, le cosiddette mini-acciaierie, che di per sé inquinano meno e costano meno in tema di prevenzione.Esse presentano tuttavia il difetto di non poter produrre molti tipi di acciaio che invece riescono bene nei grandi impianti integrati. Ampiamente praticata è poi la terza strada, in specie nei paesi emergenti, ma non soltanto in essi. In questo caso la proprietà, spesso con l'assenso del governo nazionale o locale, trasmette per vie dirette o indirette un messaggio: se volete posti di lavoroe reddito, dovete sopportare senza fare storie quel po' di inquinamento che il nostro impianto genera.A fronte di queste premesse, dal caso dell'acciaieria di Taranto si possono trarre varie lezioni. Una è locale. Che lo stabilimento sorto a ridosso della città fosse molto inquinante si sapeva da quarant'anni, cioè dal momento in cui la Italsider che lo aveva creato ne realizzò il raddoppio. Sarà vero che i successivi proprietari - l'Ilva che fa capo al gruppo Riva - hanno effettuato investimenti notevoli al fine di ridurre l'inquinamento, ma pare evidente che essi non sono bastati.L'elenco dei tipi di inquinanti e delle loro quantità diffusi negli ultimi anni dall'impianto in questione, messo insieme da varie fonti dalla magistratura di Taranto, è agghiacciante. Ci si dovrebbe spiegare come mai la Regione, il ministero dell'Industria ovvero dello Sviluppo, i governi che si sono succeduti nello stesso periodo non abbiano saputo intervenire con mezzi efficaci per rimuovere la cappa di veleni che grava sulla città.La seconda questione è nazionale. Nel 2011 l'Italia ha prodotto 29 milioni di tonnellate d'acciaio. Assai meno della Germania, ma quasi il doppio di quante non ne abbiano prodotte, a testa, Francia e Spagna, e tre volte la produzione del Regno Unito. Più o meno la metà dell'acciaio italiano proviene da Taranto. Si tratta in pratica di una delle ultime produzioni industriali su larga scala che esistano in Italia. Non si può fermarla in gran parte per un periodo indefinito, al fine di consentire alla proprietà di procedere da sola, se e quando ne avrà voglia, per introdurre le tecnologie necessarie ad abbattere sul serio l'inquinamento. Occorre procedere al più presto, d'intesa con la proprietà, a interventi radicali attuati con il massimo e il meglio dei mezzi che si possono mobilitare sul piano interno e internazionale. Senza farsi illusioni. L'impianto di Taranto, che ha il pregio ma anche il difetto di essere il più grande d'Europa, non può materialmente venire convertito in una mezza dozzina di mini-acciaierie.Né si può pensare di fargli produrre in breve acciai di varia e superiore qualità, perché ogni tipo di acciaio richiede macchinari ad hoc, che comporterebbero grossi investimenti addizionali oltre a quelli anti-inquinamento.Infine c'è la questione globale. Molti settori dell'industria, del commercio e della finanza si sono sviluppati per decenni, creando al proprio interno posti di lavoro ma infliggendo anche a gran numero di persone elevatissimi costi esterni in termini di rischio, inquinamento, distruzione dell'ambiente, condizioni di vita. Taranto è stato tristemente esemplare da questo punto di vista.È arrivato il momento di porre fine a tale scambio perverso. Per diverse vie, con diversi mezzi, i costi esterni dello sviluppo, le cosiddette esternalità, dovrebbero essere drasticamente ridotti o riportati all'interno delle imprese che li generano.LUCIANO GALLINO

La Repubblica 02 agosto 2012

Ferrante: "Collaboriamo con i pm" E spunta il trasferimento dei parchiL'ex prefetto avverte: "Sono un uomo delle istituzioni"

di nostro inviato LELLO PARISE . TARANTO  -  Il plastico dello stabilimento, grande quindici milioni di metri quadrati, da solo basta perché tutti capiscano che cosa succederebbe se il sequestro dell'area "a caldo" fosse eseguito dai tre custodi giudiziari nominati dal gip Todisco. Una per volta, le lucine cominciano a spegnersi: quelle che indicano i parchi minerali, innanzi tutto. E poi ci sono le cokerie, gli altiforni, l'agglomerato, l'acciaieria vera e propria... Il più grande impianto siderurgico d'Europa riprodotto nella scala uno a mille sembra un giocattolo che rischia di rompersi da un momento all'altro in questa simulazione che un po' mette i brividi. "Chiuderebbe tutto" scuote la testa Bruno Ferrante, presidente dell'Ilva solo da tre settimane. "Era più facile quando facevo il prefetto, a Milano" sorride. Per cominciare, l'acciaieria resterebbe al buio perché le due centrali termoelettriche funzionano con i gas prodotti proprio nell'area "a caldo". Luci spente, fabbrica in disarmo. "Gli effetti sarebbero devastanti" dice Ferrante.

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Aspettando di sapere come andrà lo sciopero generale organizzato da Cgil, Cisl e Uil per oggi  -  "potrebbero partire delle contestazioni "  -  e di conoscere quale sarà domani la decisione dei giudici del riesame a proposito degli otto arresti fra cui quello del patron Emilio Riva, e del "commissariamento" dell'azienda, Ferrante è come se facesse gli scongiuri: "Bisogna recuperare serenità. Non possiamo continuare a litigare su tutto. E' necessario difendersi 'nel'processo. Immagino, per esempio, di consegnare all'ufficio dei requirenti un memoriale per raccontare quello che abbiamo fatto in questi anni e anche quello che abbiamo intenzione di fare. Sì, insomma dobbiamo collaborare. Perché non si può stare in silenzio e poi pretendere di avere ragione". Ferrante lo ripete spesso, ai suoi più stretti collaboratori: "Io rimango sempre un uomo delle istituzioni e ho molto rispetto per la magistratura". E c'è pure il "canale politico" attraverso cui navigare, per evitare disastri sociali ed economici. Stamattina Ferrante sarà a Bari, dove incontrerà il ministro dell'Ambiente Corrado Clini e il governatore della Puglia Nichi Vendola. "Avremo le idee più chiare su che cosa vuole fare il governo, soprattutto. E su che cosa chiede all'Ilva. Ognuno deve fare la propria parte, questo è sicuro. Accapigliarsi non serve a nessuno. Taranto non ha bisogno di conflitti. Sono convinto che sia possibile coniugare lavoro e salute". Con Vendola e Clini  -  "siamo in piena sintonia " garantisce  -  Ferrante vorrebbe stabilire di dare il via a "procedure straordinarie". La soluzione ideale? "Nominare un commissario per l'emergenza". Tutto sarebbe facile e più veloce.Ferrante il Mediatore, scelto da "un vecchio amico", Riva, per inaugurare la stagione del dialogo non vuole deludere le aspettative. La premessa è obbligata: "Noi rispettiamo la legge. Sembra una banalita', sostenere questo". Ma come stanno le cose, nemmeno una battuta deve stare fuori posto. E a questo punto assicura di essere disposto a "ragionare su tutto". I parchi minerali, per dirne una: settanta ettari di polveri sottili che prima di tutto avvelenano, sporcano, rendono quasi irrespirabile l'aria dei Tamburi, conosciuto come "il quartiere dei morti viventi". Perché una strada statale, e basta, separa le fauci del mostro d'acciaio dal rione fatto di diciottomila abitanti, rassegnati al peggio "visto che dobbiamo mangiare". Ferrante, nella sala mensa di Ilva, riflette ad alta voce con un gruppo di giornalisti e tira fuori quella che per ora suona solo come una boutade: "Non è una bestemmia pensare di spostare i parchi. Lo so, si tratta di una operazione complessa. Ma niente è impossibile. Del resto ho l'impressione che sia più facile trasferirli altrove, i parchi minerali, piuttosto che coprirli. In un caso come nell'altro sarebbe una cosa talmente grossa, specie per i costi altissimi". Nel frattempo vanno avanti i lavori di costruzione della rete alta ventuno metri che in un modo o nell'altro dovrebbe contenere quelle maledette polveri. All'interno di questa città nella città, intanto tutto procede come se non fosse accaduto nulla. "Negli ultimi tre anni, non abbiamo fatto utili. Ma è stato investito più di un miliardo di euro per tutelare l'ambiente " precisa Ferrante, e va via.

La Repubblica 02 agosto 2012

TARANTO. GLI OPERAI CHE NON STANNO DALLA PARTE DEL PADRONE

RICCARDO CHIARI. Oggi sciopero di 24 ore e due cortei. In piazza della Vittoria parlano i segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil Camusso, Bonanni e Angeletti. Manifesta anche chi chiede un'altra città ILVA . Le lotte dei lavoratori denunciano da tempo le colpe degli imprenditori e dello Stato La sottile linea dell'equilibrio tra salute e lavoro che non convince chi vive in fabbricaA Taranto è il giorno dello sciopero di 24 ore. Due cortei sfilano per la città. Sul palco parlano i segretari di Cgil, Cisl e Uil, Suanna Camusso, Luigi Angeletti e Raffaele Bonanni. E la città, e gli operai della fabbrica, si dividono tra chi è pronto a tutto per difendere il lavoro e chi non vuole più morire di lavoro sporco.«Di fronte alla contestazione di reati così gravi c'è una sconfitta di tutti. Significa che non hanno funzionato a dovere la politica e gli organi amministrativi di controllo». Mette il dito nella piaga il sostituto procuratore Maurizio Carbone, segretario tarantino dell'Associazione nazionale magistrati. Invitato a una discussione sul caso Ilva a «Radio anch'io», il magistrato fotografa così quello che sta accadendo in città: «Oggi la preoccupazione di tutti noi che viviamo a Taranto è questa situazione di pericolo per la salute e per la stessa vita. Ed è molto triste vedere una cittadinanza dilaniata tra diritto al lavoro e diritto alla salute». Una realtà che ha portato i delegati sindacali di Fiom, Fim e Uilm a ripetute assemblee con i lavoratori in vista dello sciopero:

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«Abbiamo spiegato loro che dobbiamo portare avanti la linea che coniuga difesa del lavoro e difesa dell'ambiente, mantenimento della fabbrica e salvaguardia della salute». Una «linea dell'equilibrio», benedetta anche dalla chiesa e dal ministro Fornero, di fronte ad un'emergenza che impone azioni rapidissime a tutte le autorità competenti. Ma l'emergenza non c'è da oggi. C'è da anni, come raccontano le cronache delle lotte operaie all'Ilva.Solo pochi anni fa gli operai dell'acciaieria si fermarono per il rischio di una grave esplosione in un reparto. Per ritorsione, due delegati della Fiom furono licenziati. Tutta la fabbrica si ribellò. Anche in quell'occasione, così come la settimana scorsa, gli operai occuparono il ponte girevole della città. Ma il sistema dei media non dette particolare risalto alla notizia. Come non venne ripresa la notizia della decisione della magistratura di riammettere in fabbrica, con l'articolo 18, i due delegati. Quanto al presente, in una delle manifestazioni dei giorni scorsi si sono presentati lavoratori con uno striscione contro i magistrati. Ma un gruppo di operai l'ha strappato e buttato dal ponte. E nell'assemblea di ieri, quando i dirigenti della Fim e della Uilm hanno proposto la solidarietà al padrone Riva, sono stati pesantemente fischiati. Perché in fabbrica ci sono tanti operai, della Fiom e anche senza tessera sindacale, che non vogliono subire il ricatto tra salute e lavoro.Dall'assemblea che ha visto riuniti i 5mila lavoratori dell'area a caldo, quella dei sei impianti sequestrati per il loro devastante inquinamento, è uscita riconfermata la «linea dell'equilibrio». Ad alcuni operai intervenuti per dire in sostanza che il lavoro arriva prima di tutto, se ne sono contrapposti altri che hanno indicato con precisione le responsabilità dell'emergenza. Lo hanno anche scritto in un volantino distribuito neai cancelli della fabbrica e per le strade di Taranto: «Non vogliamo pagare sempre per le responsabilità dei soliti. Per le reali colpe di una classe politica superficiale, a conoscenza delle problematiche che da 50 anni affliggono Taranto e i suoi lavoratori, che ha atteso passivamente che si arrivasse al 26 luglio. Per le reali colpe di uno Stato che gestisce lo stabilimento per 36 anni, poi regalandolo e sollevandosi da ogni responsabilità sui veleni prodotti fino ad allora. Per le reali colpe del signor Riva, che ha gestito la propria azienda con la logica del profitto ad ogni costo e della persecuzione in fabbrica. Per le reali colpe del sindacato, sempre più vicino al padrone, che si è allontanato dai lavoratori».La discussione operaia andrà avanti anche dopo lo sciopero. Magari aiutata da alcune elementari puntualizzazioni. Come quella del gip che nel provvedimento di sequestro specifica che il personale in forza nei reparti e nelle aree sequestrate dovrà essere ricollocato all'interno del siderurgico. Che qualunque sia la decisione del tribunale del riesame, dovrà essere ridefinita su norme Ue, come chiede il Wwf, l'autorizzazione integrata ambientale concessa dal governo Berlusconi. Che c'è «una realtà incontrovertibile - come sottolinea Legambiente - che emerge dalle perizie approntate per questa inchiesta e dalle condanne ricevute negli anni dall'Ilva e dai suoi dirigenti: la fabbrica inquina in maniera intollerabile per la salute dei cittadini e per l'ambiente di Taranto, ed ha reiterato per anni il reato».

Il Manifesto 2/08/12

CLINI GUARDA INDIETRO PERCHÈ NON SA COME ANDARE AVANTI

GIANMARIO LEONE. TARANTO. I rischi ambientali riconducibili all'attività dell'Ilva di Taranto «sono dei decenni passati, mentre è più difficile identificare una correlazione causa-effetto sull'eccesso di mortalità per tumori nell'area con la situazione attuale che, per effetto di leggi regionali e nazionali e misure ad hoc, hanno avuto una evoluzione delle tecnologie con significative riduzioni delle emissioni, particolarmente della diossina e delle polveri». Questo è quanto affermato dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini che ieri alla Camera ha riferito sulla situazione del siderurgico, finito sotto inchiesta e sotto sequestro dopo i provvedimenti della magistratura tarantina.In tutta onestà, non si capisce in base a cosa il ministro Clini affermi tali teorie. Visto che la perizia dei chimici si basa su quanto osservato dal giugno 2011 al mese di gennaio e quella degli epidemiologi su un periodo che va dal 1998 al 2010. Inoltre, il continuo riferimento al passato rischia di trasformarsi in un clamoroso autogol, visto l'incarico ricoperto dal 1991 al 2011 dallo stesso Clini: direttore generale del ministero dell'Ambiente. Proprio quel ministero che lo scorso 4 agosto concesse quell'Aia che oggi tutti vogliono andare a rivedere e correggere. E contro la quale

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l'Ilva ha presentato ricorso al Tar di Lecce, peraltro accolto in parte dallo stesso tribunale. Dunque il vero problema è un altro. E Clini non ha timore ad ammetterlo: «L'Ilva è un impianto strategico per la siderurgia in Italia e molto importante a livello internazionale. I competitori sono francesi e tedeschi. Io credo che queste considerazioni debbano essere tenute presenti"». Ciò che appare certo, dunque, è il problema economico che scaturirebbe da un'eventuale chiusura dell'area a caldo dello stabilimento. Per quanto riguarda invece gli impatti sull'ambiente e sulla salute, per Clini si é ancora molto lontani dall'oggettività: «La situazione dell'Ilva ha evidenti impatti ambientali e probabili impatti sulla salute che vanno messi in relazione alle normative del tempo e alle autorizzazioni nel tempo ricevute dagli impianti, come è accaduto per tutti gli impianti del genere in Europa». Un ragionamento un po' contorto, con Clini che ha osservato come la fabbrica sia stata «progressivamente autorizzata nelle sue diverse fasi secondo le leggi vigenti, per cui parte delle problematiche rilevate dalle indagine epidemiologiche danno conto di uno stato della salute della popolazione con evidenti eccessi di mortalità che fanno riferimento presumibilmente a contaminazioni derivanti da impianti che operavano nel rispetto delle leggi». Il che non cambia la sostanza del problema. Perché l'Italia ha dei limiti molto al di sopra di quelli previsti in altri paesi. Dunque, lo Stato ha consentito all'Ilva di inquinare, pur sapendo le conseguenze che ciò avrebbe avuto sull'ambiente e sulla salute della popolazione. Ed è proprio quello che la magistratura vuole evitare per il futuro. Su una cosa però Clini non sbaglia: quando punta il dito contro le lungaggini della burocrazia italiana nelle procedure di valutazione ambientale che sono «molto lunghe se comparate con altri paesi europei e rischiano di essere fuori fase rispetto a investimenti in tecnologie». Stesso discorso per le bonifiche, che prevedono «procedure complesse, poco lineari», con il processo sull'area dell'Ilva «iniziato nel 2003 e non ancora concluso». Procedure, ha concluso il ministro, «che non danno risultati: su 57 siti da bonificare sono 3 o 4 casi di bonifiche avviate e 2 quelle realizzate». Intanto oggi Clini sarà a Bari per partecipare ad una riunione presso la presidenza della Regione, dove incontrerà i rappresentanti istituzionali, l'azienda e i sindacati, per fare il punto della situazione.

Il Manifesto 2/08/12

IN PIAZZA PER NON ACCETTARE RICATTI

GI. L. TARANTO. I «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» sfileranno per un'altra città Il comitato che chiede salute e reddito di cittadinanza: «Pensiamo prima all'ambiente e al bene dei nostri figli, e poi alla tutela del lavoro»«Sì ai diritti, no ai ricatti: salute, ambiente, reddito, occupazione». Questa mattina manifesteranno dietro questo striscione. Sono cittadini e operai Ilva, che lunedì scorso hanno dato vita al comitato «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti». Un qualcosa di unico per Taranto. Un atto che ha del rivoluzionario in una città da sempre indifferente nei confronti di se stessa e dei propri figli.A cominciare proprio dalle migliaia di operai che da decenni varcano i cancelli dell'Ilva, la più grande acciaieria europea, che istituzioni e media nazionali sembrano aver scoperto soltanto giovedì scorso. Da quando cioè è in bilico il futuro di una delle aziende più importanti per l'economia italiana. Solo dopo che sono state notificate le ordinanze del gip Patrizia Todisco e della Procura di Taranto, che hanno squarciato un velo di oltre 60 anni, inchiodando l'azienda, i suoi proprietari e dirigenti alle loro responsabilità. Ma ancora prima che la città, l'azione della magistratura ha liberato dalle catene del ricatto occupazionale e del silenzio, proprio loro, gli operai. I primi a respirare veleni, i primi ad ammalarsi, i primi a sapere, vedere e vivere, da sempre, i drammi del mostro d'acciaio. E sono proprio loro, adesso, a voler diventare protagonisti, bypassando quei sindacati che per decenni hanno coperto l'azienda, attraverso accordi capestro e sostenendo come, grazie al paventato investimento di oltre un miliardo di euro, l'Ilva fosse diventata un'azienda modello a livello europeo.Ma adesso che il vento della storia di Taranto ha iniziato a soffiare in senso contrario, «vogliamo far sentire la nostra voce: perché in quella fabbrica ci hanno tolto l'intelligenza, la libertà di pensiero e azione - afferma uno dei portavoce, operaio Ilva, Cataldo Ranieri - ora basta. Non possiamo più restare inermi: in ballo c'è il futuro e la salute dei nostri figli. Che non siamo disposti a barattare per nulla al mondo». Sì, perché il vero salto di qualità sta proprio nello slogan di fondo del comitato: «E'necessario superare il conflitto ambiente/lavoro, che fino ad oggi ha visto gli

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operai contrapposti ai cittadini. Il comitato nasce con questi obiettivi: tutela della salute e dell'ambiente, coniugata al reddito di cittadinanza e alla piena occupazione. Da oggi il pensiero unico sul quale ragionare sarà prima la tutela dell'ambiente e della salute, e poi tutela del lavoro». Esattamente l'opposto, quindi, di quanto sostenuto da politica, sindacati e parte dell'arco ambientalista che prosegue imperterrito sulla strada dell'eco-compatibilità, dove salute e lavoro «devono» andare di pari passo. E' chiara dunque la rottura col passato. «Siamo stanchi di dover scegliere tra lavoro e salute. Imputiamo all'intera classe politica di essere stata complice del disastro ambientale e sociale che da 50 anni costringe Taranto a dover svendere diritti in cambio del salario. Siamo stanchi di sindacalisti che invece di difendere i nostri diritti salvaguardano i profitti dell'azienda». Dunque, siamo al punto di non ritorno. E domani «saremo in piazza non per contestare la decisione della magistratura, né per difendere gli interessi della proprietà e le posizioni dei sindacati, ma per reclamare il rispetto di diritti fondamentali fino ad oggi calpestati», conclude Ranieri.Un'altra Taranto è davvero possibile. Perché questi operai, cittadini e studenti incarnano la voglia di immaginare e costruire insieme un'altra idea di città, che abbandoni le logiche del profitto e sposi la crescita di un'economia che non preveda più ricatti, ma solo diritti. Perché il bene comune da difendere, adesso, è il futuro. Fino all'ultimo respiro.

Il Manifesto 2/08/12

SCIOPERI E PREGHIERE PER LO STABILIMENTO

l'Ilva di Genova protesterà oggi contro la possibile chiusura dell'area a caldo del gruppo a Taranto. Negli stabilimenti Ilva è previsto uno sciopero nazionale dalle 8.30 di oggi alle 7 di domai. Il corteo partirà dalla portineria principale di Cornigliano alle 9, diretto verso il centro.Un fazzoletto sventolato dalle sbarre. E una preghiera per gli operai dell'Ilva. Aderendo all'invito dell'arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro, i detenuti della Casa Circondariale «Carmelo Magli» di Taranto, hanno partecipato così alla veglia di preghiera che si è tenuta ieri. A comunicarlo è stato il direttore del carcere pugliese, Stefania Baldassarri, in una nota in cui si spiega come «sono stati sensibilizzati tutti i detenuti affinché gli stessi si uniscano al momento di raccoglimento della città per la città».Legambiente scrive ai lavoratori: un'altra Ilva è possibile. Ieri l'associazio e ha inviato una letetra agli operai in cui si spiega che «c'é una realtà incontrovertibile: l'Ilva inquina. Ma sono finiti i tempi della contrapposizione tra lavoro e ambiente». Nel testo Legambiente dice di condvidere «la preoccupazione» dei lavoratori e dei sindacati sulla decisione del tribunale del riesame, che il 3 agosto deciderà sul sequestro dell'area a caldo del siderurgico decisa dal gip di Taranto: «La vostra preoccupazione è la nostra preoccupazione. Anche noi, nell'assoluto rispetto dell'autonomia della magistratura che è garantita, se ci fosse bisogno di ricordarlo, dalla nostra Costituzione, attendiamo con trepidazione questa decisione». «Ma - scrive l'associazione - tutti quanti dobbiamo essere consapevoli del fatto che, indipendentemente da quali saranno gli esiti del Riesame, cèè una realtà incontrovertibile che emerge dalle perizie approntate per questa inchiesta e dalle condanne ricevute negli anni dall'Ilva e dai suoi dirigenti in processi nei quali Legambiente è stata parte civile: l'Ilva inquina in maniera intollerabile per la salute dei cittadini e per l'ambiente di questa città»

Il Manifesto 2/08/12

"Misure urgenti per le bonifiche per Taranto subito 21 milioni di euro"Il ministro Clini a Bari per un incontro istituzionale, annuncia un provvedimento urgente in consiglio dei ministri. Barca: "Sbloccati i fondi per il risanamento della città".

Un provvedimento d'urgenza per Taranto, un decreto legge (il decreto Clini) o un'ordinanza di protezione civile. E 21 milioni di euro subito per risanare la città. "Oggi è stata una giornata importante, ma ora la palla passa all'Ilva che deve fare gol": è la sintesi trovata da Vendola della lunga giornata dell'Ilva, cominciata a Taranto con la manifestazione dei sindacati interrotta dalla contestazione di Cobas e centri sociali, e terminata a Bari, con il vertice Clini-Vendola-Ferrante che

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ha aperto una nuova pagina nei rapporti tra istituzioni e azienda. Domani il consiglio dei ministri potrebbe varare un decreto legge per "trasformare in cantieri", come si augura Vendola, i 336 milioni di euro sanciti dal protocollo d'intesa firmato la settimana scorsa. Il capoluogo pugliese, la sede della presidenza della Regione, ha ospitato tre incontri istituzionali: dalle ore 10 fino alle 17 Clini, con il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, ha incontrato gli amministratori locali e i parlamentari, la dirigenza dell'Ilva e i rappresentanti dei sindacati e di Confindustria. "un incontro molto positivo", il giudizio condiviso. Dall'azienda, per voce del neopresidente Bruno Ferrante, l'assicurazione che Ilva ritirerà i ricorsi presentati nella vertenza sulla riapertura delle procedure per la concessione dell'Aia, l'autorizzazione di impatto ambientale. "Basta conflittualità - ha detto l'ex prefetto - ora confronto e dialogo attorno a delle soluzioni che possano tutelare meglio l'ambiente, la salute, il lavoro e l'impresa".La questione Ilva di Taranto arriverà a Palazzo Chigi. Clini annuncia il "provvedimento d'urgenza". Il ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca spiega che il Cipe deciderà lo sblocco di dondi alla Regione Puglia per la bonifica. "Domani chiudiamo l'intera programmazione del fondo coesione sviluppo e sbloccheremo 21 miliardi di euro", dice. Il Presidente della Regione, i partiti, con in testa i segretari di Pd e Pdl, Pier Luigi Bersani e Angelino Alfano, e i sindacati chiedono che le misure 'urgenti' siano veicolate da un decreto legge che garantirebbe subito risorse per gli interventi di bonifica e di ambientalizzazione dello stabilimento siderurgico. Vendola ci spera "perché c'è bisogno di una risposta strutturale e non emergenziale. L'ordinanza di protezione civile è un provvedimento di emergenza, mentre il decreto legge, che è uno strumento strutturale, in modo trasparente - ha spiegato il governatore pugliese - può indicare oggetti, risorse (che sono i 3oo e passa milioni di euro previsti dal protocollo di intesa siglato lo scorso 26 luglio) e procedure abbreviate affinché nel giro di pochissimo tempo si possano aprire i cantieri". Anche dai parlamentari, per ora senza distinzioni, arriva la richiesta di un decreto legge: l'idea di Bersani e Alfano, tra gli altri, è condivisa anche da Boccia, Latorre, Vico (Pd), Fitto, Cicchitto e Mantovano (Pdl) e dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso.Domani da Palazzo Chigi arriverà la comunicazione definitiva, mentre per lunedì, a Bari, è stato convocata la riunione del tavolo tecnico: "Cominceremo a lavorare lunedì mattina insieme con la Regione e con l'azienda - ha spiegato Clini - per identificare in tempi brevissimi concretamente le azioni e gli interventi che l'azienda deciderà di fare su base volontaria e d'accordo con le amministrazioni". 

La Repubblica - 02 agosto 2012

LA PIAZZA CONTESTA I SINDACATI

GIANMARIO LEONE. Lo sciopero di 24 ore contro la chiusura dello stabilimento, le proteste ambientaliste Alcune centinaia di persone, lavoratori Ilva, precari e studenti, fischiano i comizi sindacali e conquistano il palco: «Non svendiamo diritti e salute per il salario». A Taranto va in scena la protesta nella protesta. Camusso: «Rubata la piazza ai lavoratori» E Cisl e Uil se la prendono con la FiomQuella in programma ieri a Taranto doveva essere la manifestazione dell'orgoglio sindacale. Con l'arrivo nella città dei Due Mari dei tre segretari generali nazionali di Cgil, Cisl e Uil, in occasione dello sciopero di 24 ore indetto per difendere il lavoro degli operai Ilva e per la tutela dell'ambiente, dopo i provvedimenti della magistratura di una settimana fa, che ha posto sotto sequestro sei aree dello stabilimento e mandato ai domiciliari otto tra ex proprietari e dirigenti attuali. Il tutto alla vigilia della discussione dinanzi al tribunale del Riesame di Taranto del ricorso presentato dall'Ilva contro i provvedimenti della magistratura.A stravolgere i piani ci ha pensato però il comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti, costituitosi lo scorso 30 luglio, che ha manifestato compatto dietro un enorme striscione che recava la scritta «Sì ai diritti, No ai ricatti: Salute, Ambiente, Reddito, Occupazione». Un comitato in cui sono confluiti operai Ilva, semplici cittadini, studenti, lavoratori precari. Sono stati loro a fare irruzione nella piazza in cui si stava svolgendo il comizio conclusivo al grido di «venduti, venduti», per poter affermare il proprio pensiero e provare a squarciare quella cappa in cui anche i sindacati stanno provando a richiudere una situazione ormai non più gestibile con vuoti proclami come invece

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accaduto per gli ultimi sessant'anni. Qualche istante prima dell'irruzione aveva concluso il suo discorso il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti. «Non accetteremo per nessuna ragione la chiusura dell'Ilva. Molto spesso parlano persone che non conoscono quello che dicono», aveva detto. Non altrettanto chiaro, però, chi fossero i destinatari delle parole di Angeletti, che da giorni lancia "strani" messaggi alla magistratura. Al momento dell'irruzione era invece in corso il discorso del segretario della Cisl, Bonanni, peraltro fischiato a più riprese dagli operai presenti al comizio. Alcuni rappresentati del comitato sono arrivati sul palco chiedendo, come già fatto negli ultimi giorni, la possibilità di parlare. Per tutta risposta, i segretari generali si sono rifugiati nel retropalco, protetti dalle forze d'ordine e dichiarando conclusa la manifestazione. Con gli operai presenti in piazza che si sistemavano ai lati della stessa, sorpresi e increduli per quanto stava avvenendo.A quel punto, spenta l'amplificazione della piazza, i rappresentanti del comitato sono tornati sull'Apecar che ha guidato la testa del corteo, pronunciando il loro discorso grazie al sistema di amplificazione. Un intervento duro nei toni, ma chiaro e conciso. Senza possibilità di fraintendimento alcuno. «Vogliamo far sentire la nostra voce: perché in quella fabbrica ci hanno tolto l'intelligenza, la libertà di pensiero e azione - ha affermato uno dei portavoce, operaio Ilva - Ma ora basta. Non possiamo più restare inermi: in ballo c'è il futuro e la salute dei nostri figli. Che non siamo disposti a barattare per nulla al mondo». Applausi, cori, scaletta del comizio completamente stravolta. «Siamo stanchi di dover scegliere tra lavoro e salute. Imputiamo all'intera classe politica di essere stata complice del disastro ambientale e sociale che da 50 anni costringe Taranto a dover svendere diritti in cambio del salario. Siamo stanchi di sindacalisti che invece di difendere i nostri diritti salvaguardano i profitti dell'azienda». Prima di decidere per la ritirata, visto anche il cordone delle forze dell'ordine in assetto antisommossa, c'è stato anche il tempo di leggere un breve comunicato per ricordare le vittime della strage della stazione di Bologna, di cui ieri ricorreva il 32° anniversario. Poi il comitato, formato da 3-400 persone, è uscito lentamente di scena cantando vittoria, evitando contatti con le forze dell'ordine che all'uscita dei manifestanti chiudevano l'accesso alla piazza, permettendo così ai tre segretari generali di salire sul palco e concludere il loro comizio.Ma è bastata l'accensione di qualche fumogeno per tirare in ballo la solita storia dell'estremismo, nonostante i manifestanti fossero tutti a volto scoperto e la situazione sia sempre rimasta sotto controllo e non sia mai degenerata. I sindacati hanno risposto con ira all'affronto, parlando di «solito estremismo dei centri sociali e di un gruppo di mercenari» e di «piazza rubata ai lavoratori». Finendo però col litigare tra loro, con Cisl e Uil che hanno accusato la Fiom di aver consentito l'irruzione dei manifestanti, a cui è seguita una durissima replica della Cgil. Lo sciopero, intanto, continua con il blocco di 24 ore dei dipendenti dello stabilimento, dove sono regolarmente al lavoro gli operai di comandata sugli impianti a funzionamento continuo. '77LUCIANO LAMAIl 17 febbraio del 1977 studenti, indiani metropolitani e autonomi contestarono duramente il segretario della Cgil Luciano Lama all'Università La Sapienza di Roma. I contestatori si scontrarono con il servizio d'ordine del sindacato. Il comizio fu sospeso. '90LA PANTERAIl bis arrivò nel 1990, quando al termine di una manifestazione nazionale con centomila persone a Roma, il palco di Piazza del Popolo fu occupato dagli studenti della Pantera. L'Onda Rossa Posse prese il microfono e cantò «Batti il tuo tempo», inno rap del movimento. SUL PALCOsusanna camusso (cgil)Non è giusto e legittimo impedire lo svolgimento di una manifestazione. Non è accettabile che in una vicenda così complicata si faccia del sindacato e dei lavoratori il capro espiatorio. MAURIZIO LANDINI (FIOM)Fim e Uilm farneticano. La Fiom, a differenza loro, non ha abbandonato la piazza e ha impedito ai Cobas, a questo punto amici di Fim e Uilm, di impadronirsi di una manifestazione non sua. raffaele bonanni (cisl)Chi ha organizzato questo blitz violento è contro i lavoratori dell'Ilva e non vuole il futuro di Taranto. È solo una forma di protesta violenta, figlia dell'estremismo e forse anche di infiltrazioni di mercenari. Luigi angeletti (uil)«Non accetteremo per nessuna ragione la chiusura dell'Ilva. Molto spesso parlano persone che non conoscono quello che dicono». La Uilm ha poi accusato: tra i contestatori anche ex iscritti Fiom.

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Il Manifesto 3/08/12

Durante il corteo la «rivoluzione del treruote» l’ariete che sfonda la piazza

dal nostro inviato CARMELA FORMICOLA TARANTO - Questo treruote ha la potenza di un carrarmato. Spacca la piazza in due, avanza, con la sua feroce aria di minaccia. «Antonio u’ siciliano - traslochi», è la scritta sulla fiancata, testimonianza della gloriosa militanza quotidiana a svuotare garage e cantine, a portare di qua e di là ferri vecchi e affini o casse di birra Raffo da bere quieti nei bar della città vecchia aspettando la sera. Nel vano posteriore del treruote, in piedi, arrabbiati, sudati e disperati, una decina di operai dell’Ilva. Altri compagni sono subito avanti o subito dietro. Arrabbiati, tatuati, ammalati. «Abbiamo il male che ci dorme dentro».Sembrano di celluloide, frammenti di pellicola firmata Lina Wertmuller, quando la classe operaia e il padrone si deformano e si impastano, grottesca metafora sociale. E invece sono veri, il treruote, gli operai, i gridi e il sudore. E i fumogeni. Esplodono improvvisi, a sorpresa, del tutto inattesi, tra le 10 e le 11 di un giorno di tranquilla, tranquillissima protesta. A migliaia (5 o 6mila narrano le cronache) gli operai che ieri, di buon mattino, hanno spiegato gli striscioni e le bandiere, hanno armato i fischietti e le trombe idrauliche e si sono messi in marcia, come due serpenti, l’uno da piazza Fontana, l’altro dall’Arsenale, lungo le strade di Taranto, fino in piazza della Vittoria. Grandiosa mobilitazione sindacale, manifestazione congiunta di Cgil, Cisl e Uil degna di quando si facevano chiamare, con enfasi austroungarica, Triplice. «Lavoro, salute, sicurezza»: sono sindacati, di cosa vuoi che si occupino? «Siamo qui, per il lavoro, la salute, la sicurezza», dice dal piccolo palco di piazza della Vittoria il vecchio sindacalista, fazzoletto al collo, lui sì combattente e reduce dei tempi andati della Triplice. Sole caldo, caldo intenso, umori medi. Si sfila tutti per difendere il lavoro, perché la scure della magistratura, cieca come il destino, sembra voler portare via il sogno/bisogno di migliaia di lavoratori, quelli che campano di Ilva. L’Ilva, sì, il mastodontico polo siderurgico che sfama Taranto dagli anni Sessanta. E che la uccide, sostiene qualcuno, a giudicare dal numero esponenziale di neoplasie. Questo è il nodo, drammatico: morire di fame o morire di cancro. O il lavoro o l’ambiente: ma davvero l’uno esclude l’altro? La Procura di Taranto, nell’ambito della sua inchiesta sull’ipotetico disastro ambientale causato da anni di fumi sputacchiati nell’aria, ha sequestrato - seppur virtualmente - la cosiddetta «area a caldo». Ha in sostanza avviato lo spegnimento dell’Ilva. Così si marcia. Per dire: noi il lavoro lo vogliamo. A qualunque costo. È il messaggio in arrivo dalla piazza, quando Angeletti, Bonanni e Camusso dal palco cominciano a dire: l’Ilva non si chiude, il lavoro prima di tutto, al disastro ambientale non si aggiunga anche il disastro sociale, Taranto senza industria muore e via con slogan, proclami, timidi applausi e qualche fischio. Sì, fischi perfino Landini, il compagno Landini, si becca i fischi. È a questo punto del copione che irrompe il treruote. Giunto nel cuore della piazza al grido di «lecchini, lecchini». Quando i primi fumogeni sporcano l’aria, i poliziotti si armano di manganelli e in tenuta antisommossa si parano tra il treruote e il palco. Dal quale, precipitosamente, scendono tutti: i leader, le scorte, i sindacalisti, i sindaci, gli organizzatori, i simpatizzanti. L’aria si fa pesante. Transenne, gente che spinge, qualcuno si sente in trappola. Perché il treruote avanza come un carrarmato e un piccolo megafono toglie la voce ai microfoni ufficiali. La rabbia è esplosa. Loro sono pochi, ma urlano come uno stadio. Non a caso tra loro c’è qualche ultras, gente abituata a scuotere gli animi. «No ai ricatti». lo dicono subito, quelli del treruote. L’idea di doversi tenere il cancro per tenersi il lavoro non gli va giù. «In questo momento c’è gente che sta in ospedale a fare la chemio. Vergognatevi », gridano a squarciagola contro quelli del palco, che se ne sono andati. Dai microfoni ufficiali qualcuno annuncia: «La manifestazione di Cgil, Cisl e Uil è terminata», il che accende i cuori ulteriormente. «È questa la vostra democrazia?». Gli uni contro gli altri, veleni fratricidi: è Taranto. È il 2012. È un incubo. «Abbiamo il male che ci dorme dentro e un giorno esplode». Il portavoce di questo Comitato lavoratori liberi e pensanti si chiama Cataldo (come il santo patrono) Ranieri. Tutti lo chiamano Aldo. Ha 43 anni, due figli piccoli e una moglie che lavora con un contratto a tempo a Teleperformance, il call center, l’altra più moderna grande fabbrica di sogni/bisogni della gente di Taranto. Aldo non ha più voce. E non dorme da tre giorni. Dal treruote si sposta sul palco, tra gli applausi, ed è come una conquista, un simbolo: loro, Aldo e tutto ciò che

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rappresenta, sugli scranni del potere sindacale non sono sono mai saliti. Ma da quel palco comunque non riuscirà a parlare, per via dei microfoni ostinatamente spenti. Allora Aldo torna sul treruote - mentre il cordone dei poliziotti antisommossa continua a fare la guardia - e urla, urla, urla con quel po’ di fiato che gli è rimasto. «Oggi è l’anniversario della strage di Bologna, ma anche qui a Taranto si è consumata una strage, una strage silenziosa, una strage di Stato». E giù applausi. E giù rabbia e veleno: «Nella busta paga metteteci anche i tumori». Aldo spiega di aver tentato, nel corso dei giorni scorsi, di chiedere un piccolo spazio ai sindacati. «Volevamo salire sul palco, in piazza, e pacificamente leggere il nostro comunicato. Ma ci hanno detto che per noi non c’era spazio. Allora ce lo siamo preso. Scusateci, scusatemi, ma siamo esasperati». Aldo - e quello e quelli che rappresenta - è operaio dell’Ilva come Michele e Silvestro, che invece hanno marciato placidi, da piazza Fontana lungo via Garibaldi. Lavorano in fabbrica da 15 anni, stipendio sindacale (1.200 euro circa, che con gli straordinari può arrivare a 1.700), Michele e Silvestro, e a loro - come molti molti altri - l’Ilva non gliela puoi toccare. Spaccata in due, lacerata, sfibrata dalle contraddizioni: Taranto. Sul suo bel mare, con le belle coltivazioni di cozze avvelenate dalla diossina, i locali lounge, i nuovi eleganti relais. L’odore salmastro nel quale pure, nel rutilare dei venti, puoi respirare il ferro impalpabile che la fabbrica soffia sulla città. «Se domani il Tribunale del Riesame confermerà il sequestro lo Stato si faccia garante dei lavoratori». È il messaggio finale. Il treruote lascia la piazza dopo appena un’ora. Aldo se ne va. Anche i suoi compagni. Il palco riprende la voce, i microfoni ufficiali si riaccendono e il vocabolario sindacale, quello codificato, riprende il filo del discorso: indietro non si torna, senza lavoro non si vive, non toccateci l’Ilva.L’Ilva. La Grande Matrigna. Mentre Cgil, Cisl e Uil consumavano il loro sciopero, nello stabilimento venivano colati quintali e quintali di acciaio. Ma non era sciopero? Sì, ma la fabbrica non può fermarsi. Lo sanno tutti, anche gli operai, solo la magistratura sembra non averlo capito. E non è un caso che il fiume di lavoratori, gli uni e gli altri, quelli con l’azienda, quelli contro l’azienda, quelli per i fatti loro, stamattina si riuniscano dinanzi al Palazzo di giustizia, dove i giudici del Riesame dovranno decidere se confermare o meno il sequestro dell’area a caldo. In realtà i tempi potrebbero essere più lunghi e il verdetto arrivare soltanto la prossima settimana. Nel frattempo la Grande Matrigna produce, inspira aria, espira fumi. E Taranto attende, verdetti di vario genere. Il vecchio barbiere, Pasquale, nel suo salone di via Garibaldi, tra statue di Madonnine, il volto sacro di Gesù , le forbici e la schiuma, guarda i ragazzi dell’I l va passare. «Sono qui da 40 anni, a fine anno chiudo: non ce la faccio più. Ma loro fanno bene a protestare. Loro il futuro ce lo hanno ancora davanti. Credo».

La Gazzetta del Mezzogiorno 3/08/12

Chi ci attacca vuole la fabbrica chiusa e vivere di sussidi a carico dello Stato

MAURIZIO Landini, segretario nazionale della Fiom, difende la scelta di parlare dal palco: «Era uno sciopero dei metalmeccanici. Se gli altri segretari nazionali ritenevano opportuno tacere, sono problemi loro. Posso anche capirlo perché nei giorni scorsi quelle organizzazioni sono state contestate nelle assemblee. La Fiom e la Cgil non si lasciano intimorire». Ma la vicenda di Taranto ripropone il problema del rapporto tra il sindacato, la sinistra radicale e i centri sociali. Landini, chi erano i contestatori? E perché hanno tentato di prendere il microfono? «Il gruppo che ha tentato di impedire che si tenesse la manifestazione era fatto di diverse componenti. C' erano esponenti dei Cobas, dei centri sociali, anche ultras del Taranto Calcio. C' erano, naturalmente, anche lavoratori dell' Ilva che non condividono le nostre posizioni. Ma mi sento di dire che si trattasse comunque di una minoranza». Perché ce l' avevano con il sindacato? «C' è anche tra i lavoratori una parte, non maggioritaria, che pensa che sia meglio chiudere la fabbrica e vivere di sussidi dello Stato. Io non credo che questa sia una strada da percorrere perché la Fiom e la Cgil hanno sempre lottato per aver un lavoro dignitosoe compatibile con la difesa della salute dentro e fuori la fabbrica. Sappiamo che si tratta di un percorso difficile che prevede di superare alcune contraddizioni. Ma questo è il nostro impegno e sarà la nostra battaglia». Perché a Taranto i centri sociali cercano di cacciarvi dal palco e in Val di Susa andate insieme alle manifestazioni contro la Tav? «Per diversi motivi. Innanzitutto perché noi valutiamo il merito delle questioni. Riteniamo che in Val di Susa ci siano buone ragioni per sostenere la lotta di quelle popolazioni. Noi siamo assolutamente contrari,

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e voglio ripeterlo con chiarezza, a ogni forma di lotta violenta che condanniamo. Mi riferisco anche agli episodi più recenti, quelli delle ultime settimane. Noi valutiamo però che in Val di Susa ci sia una discussione democratica e trasparente sulle ragioni del si e del no all' opera». A Taranto non è così? «A Taranto per molti anni, per responsabilità delle forze politiche ma anche, bisogna dirlo, del sindacato, tutta la discussione su lavoroe saluteè rimasta dentro i cancelli della fabbrica, come fosse una questione di cui non era bene parlare alla luce del sole. Quella di oggi (ieri, ndr) è stata la prima manifestazione dei metalmeccanici nel cuore della città. Tentare di impedirla è stato un gravissimo errore». Fim e Uilm vi accusano di avere una responsabilità in quel che è accaduto. Parlano di «divisioni interne alla Fiom». Come rispondete? «A me risulta che tra coloro che hanno tentato di impedirmi di parlare ci fosse un gruppo di ex iscritti alla Cgil ora confluito nella Fim. Non voglio nemmeno immaginare che degli iscritti alla Fim volessero togliermi il microfono per questo motivo». Come hanno pesato le divisioni sindacali nella manifestazione? «Non era così ovvio, in un periodo come questo, con le tensioni che indubbiamente esistono (basta pensare a quel che sta capitando alla Fiat) che i sindacati dei metalmeccanici organizzassero in modo unitario un corteo e si trovassero tutti sullo stesso palco. Non mi stupisce nemmeno che ci sia qualcuno che tenta di far fallire una novità certamente positiva nel clima di questi mesi». PAOLO GRISERI

Il Manifesto 3/08/12

E l'Ape dei dissidenti porta lo scompiglio L'azienda ci usa, la salute prima di tutto

TARANTO - Né black bloc, né no global. La contestazione alla manifestazione di Cgil Cisl e Uil ha le facce stanche di operai Ilva.Sono i fondatori del "Comitato di cittadini liberi e pensanti".Debuttano mezz'ora dopo le dieci e mezzo del mattino armati di microfono a cavallo di un'Ape, usata come una testa d'ariete per farsi largo all'interno di piazza della Vittoria piena come un uovo e conquistare il consenso di una folla per metà impaurita, colpa dei fumogeni bianchi e arancione, per metà incuriosita da questa incursione inaspettata, ma «sicuramente studiata a tavolino» fa notare il segretario della Fiom, Maurizio Landini.Va avanti per poco più di mezz'ora lo show di questi infiltrati, che Susanna Camusso, capo della Cgil, accusa di avere «rubato la piazza ai lavoratori». Alla fine, uno accanto all'altro, i "costituenti", sudati, però soddisfatti, si presentano: «Siamo Stefano Sibilla, 36 anni di cui dieci in Ilva, treno nastri numero due, Aldo Ranieri, 42 anni, da sette all'Ilva, reparto impianti marittimi, Massimo Battista, 39 anni, all'Ilva da quattordici, relegato al dopolavoro dello stabilimento presso la Lega navale».Fino a una settimana fa, il Comitato non esisteva. «Giovedì 26 luglio i capi dello stabilimento ci fanno sapere che l'area a caldo era stata sequestrata. Andate fuori e bloccate la città. Non era vero. Ci hanno manipolato, con la complicità dei sindacalisti di Cgil, Cisl e Uil». La cosiddetta area a caldo sarà sigillata dalla magistratura solo dopo le sei del pomeriggio, maa Taranto la tensione già era salita alle stelle. «Ci siamo guardati in faccia e abbiamo pensato: facciamola partire dal basso, questa protesta. Visto che non ci si può fidare di nessuno, ormai. Io, Ranieri, prima ero sindacalista Fiom. Da due settimane mi sono iscritto alla Fim Cisl. Ma adesso possono pure strapparla, quella tessera».Ieri Aldo sale sul tre ruotee grida alla folla: «Scusate se ci siamo introdotti così prepotentemente, ma la rabbia che abbiamo in corpo è tanta. Ilva e sindacati sono insieme, come sempre». I poliziotti in assetto anti-sommossa, immobili come statue di sale, lo controllano a vista. «Io, Battista, nel 2005 ero stato licenziato da Ilva. Riassunto nel 2007, mi hanno confinato alla Lega navale per contare le barche... Quello è il nostro dopolavoro, gestito dai sindacati, che la stessa Ilva finanzia con 600mila euro all'anno». Altri operai ascoltano, e fanno di sì con la testa. «Io, Sibilla, vi faccio sapere che oggi (ieri, ndr), giorno in cui c'è lo sciopero, la colata tre è rimasta in marcia. Vi diamo la doppia giornata se rimanete a lavorare, hanno detto, e qualcuno si è fatto convincere». Chiacchierano come quando un fiume è in piena. Aldo Ranieri, alto e magro, alla fine sbotta: «Prima del lavoro viene la salute.Ecco perché noi siamo solidali con la magistratura. La responsabilità è dello Stato. E pure di Ilva, che partecipa all'acquisto di Alitalia, ma da queste parti non tira fuori il becco di un quattrino per

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rimediare ai veleni sputati dolosamente nell'aria. Vogliono bloccare davvero gli impianti dell'area a caldo? Allora Ilva e Stato devono trovare i soldi perché Taranto non affondi».D'accordo, ma perché l'invasione? «Volevamo intervenire dal palco, avevamo trasmesso fax a Fiom, Fim Cisl e Uilm perché ce lo permettessero. Non ci hanno nemmeno risposto».Dall'Ape trasformata nella trincea di quelli che non vogliono più saperne di trattative, negoziati, accordi, Ranieri aveva strillato: «Non parlate più voi. Parliamo noi che in questi anni abbiamo subito qualsiasi cosa». Poi, una volta sceso dal carroccio verde che diventa simbolo di questa rivolta, spiega: «Non vogliamo regali per i dirigenti arrestati. Vogliamo piuttosto, essere dalla parte di chi sgobba là dentro dalla mattina alla sera. È gente che ha bisogno di qualcuno con le p..., per trovare il coraggio di reagire. Ora per il comitato troveremo una sede: ai Tamburi». È il quartiere dei "morti viventi", all'ombra del colosso dell'acciaio. «Sì, perché sia chiaro a tutti da che parte stiamo».

La Repubblica - 03 agosto 2012

Centri sociali, autonomi e qualche ultrà il giovedì di paura in una città blindata

TARANTO - Giovedì di paura a Taranto. Per le sorti dell' Ilva, ma anche per la tensione vissuta da una città blindata sin dalle prime ore del mattino. Centinaia di poliziotti in strada per sorvegliare i due cortei dei lavoratori del siderurgico, che temono di perdere il lavoro per l' inchiesta che ha messo sotto accusa il siderurgico per le emissioni inquinanti. Così i cortei sono sfilati nel centro della città, per compattarsi in Piazza della Vittoria dove era in programma il comizio di Susanna Camusso, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, segretari nazionali di Cgil, Cisl e Uil. I due lunghissimi serpentoni si sono snodati in città vecchia da un lato e in via D' Aquino dall' altro. "Il lavoro non si tocca" hanno urlato a squarciagola gli operai, alcuni accompagnati da mogli e figli nei passeggini. Il salotto buono della città si è fermato per inchinarsi al passaggio delle migliaia di tute blu. Ma molti hanno abbassato le saracinesche più per la paura di violenze che in segno di solidarietà. Centinaia di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa hanno sorvegliato la manifestazione, mentre dall' alto un elicottero della Polizia faceva da cabina di regia. Si temevano infiltrazioni di black bloc. Erano annunciati da Bari. La contestazione, invece, è arrivata da Taranto. Quando un gruppo di trecento persone ha fatto irruzione nella piazza in cui si erano concentrati gli ottomila lavoratori in sciopero. A guidarla c' erano esponenti dei centri sociali, operai delle acciaierie e anche un manipolo di ultrà. Hanno aperto come il burro il muro di operai che erano in piazza e l' hanno conquistata. Sono partite urla e insulti all' indirizzo dei rappresentanti dei sindacati. Si sono vissuti momenti di paura quando i poliziotti hanno affrontato i contestatori. Lo scontro è stato sfiorato più volte. Alla fine lo sparuto ma agguerrito gruppetto ha lasciato la piazza anche sotto la pressione dei poliziotti. L' incursione ha aperto una ferita nella manifestazione dei sindacati. Lo stesso segretario nazionale della Fiom Maurizio Landini ha detto che "non si può nascondere che esiste la necessità di recuperare il rapporto con i lavoratori". Ma quel raid ha scatenato un aspro confronto tra i sindacalisti in piazza. "Tra chi contestava" ha sbottato Rocco Palombella, segretario nazionale della Uilm - "c' erano anche ex iscritti della Fiom". E a suo dire non è casuale che il blitz sia scattato proprio mentre stava per parlare il segretario della Fiom e poco prima dell' intervento del leader della Cgil Susanna Camusso. MARIO DILIBERTO

La Repubblica - 03 agosto 2012

Le tute blu schierate con i Riva

di Paolo Bricco. Pietro Bongermano, 48 anni, lavora nell'acciaieria di Taranto dal 1985. Allora si chiamava Italsider. Oggi è Ilva. Allora era pubblica. Oggi è privata. Bongermano è uno dei duecento che, dentro allo stabilimento, hanno abbastanza capelli bianchi per avere conosciuto entrambe le gestioni. «E le dico che, quando era statale, l'Ilva era un immondezzaio». In che senso? «Nel senso che, con l'arrivo dei Riva, sono iniziati gli investimenti per le bonifiche. Altro che inquinatori da mettere agli arresti domiciliari».Nella giornata dello sciopero indetto dai sindacati a tutela del lavoro (l'adesione è stata dell'85%) Bongermano ha tutt'altro che la fisiognomica del crumiro venduto ai padroni. Ognuno ha la faccia

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che si merita. E Bongermano ha la faccia seria, a tratti dura e severa. Esattamente come Michele, 54 anni, 15 sotto lo Stato imprenditore di matrice Iri e 17 con il capitalismo privato dei Riva. «I Riva – sostiene Michele – hanno trasformato da subito gli impianti. Non c'è più un trattamento acqua che vada direttamente in fogna. Ricordo ancora, nel 1979, l'esplosione di una nostra fogna a cielo aperto: venivano versati residui delle lavorazioni, si formò una miscela gassosa che esplose. Ci furono morti e feriti». Allora il problema era la cultura organizzativa e tecnologica che, per le lavorazioni a forte impatto inquinante, non teneva conto della priorità ambientale. «Si faceva così in tutto il mondo – chiarisce Bongermano – non è che all'Italsider fosse peggio che altrove. Anzi, quella era una impresa all'avanguardia». Dal 1995, sostengono gli operai e i tecnici che sotto il sole di mezzogiorno indossano con orgoglio le tute blu di cotone ignifugo, le cose sono cambiate. «Noi non vogliamo in alcun modo adottare la logica del ricatto – riflette Antonio, 40 anni – , noi esigiamo che sia adottata la logica della verità e del buonsenso. E la verità e il buonsenso testimoniano che, qui, gli investimenti sono stati fatti. In diciassette anni i Riva hanno speso molto denaro. Negli ultimi tempi sono state accelerate tutte le forme di controllo interno. Esiste un reparto intero di ingegneri e di biochimici dell'Ilva che, dentro alla fabbrica, ogni giorno controllano numeri, indici e procedure. Che senso hanno queste accuse? E che senso hanno in questo momento?». Esiste la logica della verità e del buonsenso, a cui si appella Antonio. Ed esiste anche la logica della realtà effettuale, ossia di quell'insieme di conseguenze che vengono prodotte da un singolo gesto. «Ma si rende conto che cosa capiterebbe qui, intorno alla fabbrica, in caso di chiusura dell'Ilva?». La domanda è formulata da Vito Nigro, 61 anni, oggi in pensione dopo una vita trascorsa da manutentore nelle aziende dell'indotto. «Le piccole e le medie imprese morirebbero». Nella percezione di questi operai e di questi tecnici i Riva non sono dei criminali. «A me i Riva hanno insegnato che cosa vuol dire essere imprenditori – afferma Michele – e hanno fatto capire il significato del detto "deciso, fatto"». Dunque, nel loro racconto, alla cultura industriale della fabbrica nata con l'economia pubblica, si è aggiunta la cultura dell'imprenditoria privata. «All'Ilva io ho potuto lavorare, e mi auguro di lavorare ancora, senza chiedere la protezione di nessuno. Non devo andare a pregare il posto di lavoro. Qui non è poco».

Corriere della Sera, 3 agosto 2012

Ilva, le uova contro i sindacati

di Fabrizio Caccia. L'Ilva ormai rappresenta «un'emergenza nazionale», dichiara alla fine di un'altra giornata lunghissima il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini. La tensione in città è sempre più alta, ieri gli operai si sono divisi tristemente in piazza, i sindacati sono stati contestati da un gruppo di almeno 200 dissidenti, tra lanci di uova e fumogeni. Il governo già questa mattina adotterà «un provvedimento d'urgenza», potrebbe avere la forma del decreto legge oppure dell'ordinanza di Protezione civile. Quello che è certo è che bisogna far presto, le bonifiche non aspettano e così pure la salute dei cittadini, minacciata dalle polveri dell'acciaieria sotto sequestro dal 26 luglio.Il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca, ha annunciato che sempre oggi il Cipe sbloccherà 21 miliardi di euro, tra cui i fondi da assegnare alla Regione Puglia per occuparsi di Taranto, «dopo di che – ha proseguito il ministro Barca toccherà anche all'Ilva metterci la sua parte». E il presidente del gruppo siderurgico, Bruno Ferrante, a poche ore dall'udienza decisiva del tribunale del Riesame sugli arresti e i sequestri degli impianti, mostra la mano tesa: «Non più conflittualità da parte nostra. Lunedì prossimo si aprirà il tavolo con il governo e la Regione, ma intanto vogliamo dare già un segnale, perciò rinunceremo al ricorso contro la riapertura del procedimento per l'autorizzazione integrata ambientale richiesta dal governo». Gesti di distensione, si fa per dire, con tanti interessi in gioco e 2o mila posti di lavoro in bilico pauroso.Ieri, però, in piazza della Vittoria, nome che adesso suona beffardo, è successo un fatto davvero nuovo. I veleni di Taranto hanno finito per inquinare anche la lotta per la salute e il lavoro. Nel giorno dello sciopero proclamato dai sindacati Cgil, Cisl e Uil (secondo l’Ilva ha aderito 1'85 per cento degli operai e in piazza ce n'erano almeno 5 mila) il comizio finale è stato interrotto a metà da un gruppo di dissidenti, almeno 200 persone, tra cui anche Cobas, centri sociali e ultrà tarantini, che al grido di «Servi di Riva», «Venduti» e «Bugiardi» a bordo di un Apecar si sono fatti avanti prendendo di sorpresa quelli del servizio d'ordine e pure i numerosi agenti di polizia e carabinieri in

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assetto antisommossa. Niente cariche e nessun ferito alla fine, ma i segretari nazionali di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, hanno abbandonato il palco in tutta fretta e sono andati via scortati, mentre su di loro volavano i fischi. Maurizio Landini della Fiom e Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, hanno invece scelto di restare fino alla fine: «Questa non è una gara a chi urla di più - ha detto poi la Camusso – è una difficilissima vertenza sindacale che ha bisogno di unità del lavoro, dei sindacati e dei lavoratori». Appunto, proprio ciò che ieri a Taranto è sembrato svanire di colpo. I dissidenti, tra cui pure diverse studentesse e semplici cittadini, erano capeggiati da tre giovani lavoratori Ilva, Cataldo Ranieri, 42 anni, ex Fiom, Stefano Sibilla, 36, e Massimo Battista, 39, che a bordo del camioncino a tre ruote hanno spiegato il senso della loro protesta: «Abbiamo fondato il Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti - hanno detto - perché dei sindacati noie ci fidiamo più, sono complici dell'azienda, giovedì scorso i nostri capireparto ci hanno fatto bloccare tutta la città raccontandoci che gli impianti erano stati chiusi dalla magistratura E invece poi abbiamo scoperto che era una bugia, gli impianti malgrado il sequestro erano marcianti e noi siamo stati usati, manipolati, così è scoppiata la nostra coscienza e ora siamo qui. Avevamo mandato un fax alla vigilia per chiedere di poter intervenire sul palco dei sindacati, ma nessuno ci ha risposto. Allora il microfono ce lo siamo portati da casa...».

Corriere della Sera, 3 agosto 2012

Facebook e Ape. Le ragazze dietro la protesta

di Fabrizio Caccia. «Aspettavate i black bloc e invece siamo arrivati noi, a volto scoperto, sul nostro Apecar verde scuro, armati di niente, solo con le canzoni a tutto volume di Rino Gaetano e dei 99 Posse...». Greta Marraffa, 21 anni, ex liceo Archita studentessa di Giurisprudenza, ha gli occhi furbi che le sorridono. C'era anche lei dietro al “tre ruote” dei contestatori che ieri mattina sono entrati in piazza interrompendo il comizio dei sindacati. E come lei altre decine di ragazze tarantine, davvero un blocco rosa, non solo le mogli degli operai, ma anche Francesca, Carla, Cristina, studentesse e lavoratrici del cali center di Teleperformance, che hanno conosciuto i metalmeccanici dell’Ilva durante i blocchi della scorsa settimana sul ponte girevole e hanno deciso di far parte della lotta. «Dio che scena biblica - sospira Greta, contenta, qualche ora dopo il tumulto della mattina -. Al passaggio del nostro Apecar, la piazza s'è aperta come le acque di Mosè, a Landini della Fiom, che stava parlando sul palco, gli si è mozzato il fiato e la gente intorno alla fine ci ha lasciato parlare, hanno abbassato le loro bandiere e ci hanno ascoltato, perché hanno capito che era una manifestazione di libertà>. Anche Claudia Razzato, 19 anni, ex liceo Aristosseno di Taranto, era andata qualche giorno prima con tutti gli altri ad affittare per 100 euro da «u sicilianu», un artigiano di via Leonida, il “tre ruote” che poi ieri è servito al neonato “Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti” per debuttare platealmente sulla scena della lotta per la salute e il lavoro di Taranto.«La nostra rivoluzione - raccontano le ragazze profuma un po' di primavera araba, sembra quella dei ragazzi tunisini contro il regime di Ben Ali, infatti sta nascendo su Facebook, è un tamtam continuo, le persone oggi in piazza scattavano le foto e le mettevano subito in Rete e così altra gente man mano veniva Il social network è stato fondamentale per la nascita del Comitato liberi e pensanti, le mogli degli operai hanno creato anche loro una pagina Facebook e da tre giorni ci riunivamo tutti in piazza Vittoria sempre alle sette di sera, prima 20, 50, poi 100 persone, discutevamo liberamente in assemblea, davanti agli occhi della Digos perché non avevamo nulla da nascondere. Democrazia reale, partecipata». Ma “u trerote”, aggiungono Claudia e Greta, che a Taranto è molto diffuso tra i fruttivendoli e i raccoglitori di rottami di ferro, loro lo avevano già affittato in passato per protestare contro la riforma Gelmini, insieme ai ragazzi dei centri sociali di “Cloro rosso” e .”Città vecchia” (c'erano anche loro ieri mattina a dar manforte agli operai dissidenti e pure qualche ultrà del Taranto calcio). Sul destino dell’Ilva non hanno le idee chiare. «Noi siamo nate con la fabbrica in casa - spiegano le ragazze -, il Mostro per noi ha fatto sempre parte del paesaggio, quindi all'inizio non l'abbiamo subìto come un problema. Almeno finché qualche nostra compagna di classe non si è ammalata di leucemia». «Il guaio - è la loro conclusione - è che qui a Taranto l’Ilva si è presa ogni spazio, perciò molti ragazzi se ne vanno, c'è la fuga dei cervelli, perché l'università non funziona, le facoltà sono poche e inutili, ci sono tanti tumori e malattie rare

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tra la popolazione eppure nessuno ha pensato finora di creare qui, sul territorio, un grande polo scientifico. Ora stiamo cercando una sede,per il nostro comitato. Gli operai vogliono aprirla a Tamburi, nel quartiere che confina col Mostro e respira ogni giorno le polveri. È giusto. L'Apecar si mette in cammino».

L’Unità, 3 agosto 2012

Non si spenga l’altoforno. È una questione nazionale

di Guglielmo Epifani. La vicenda dell'Ilva di Taranto mette in contrapposizione due diritti fondamentali: il diritto alla salute e alla sicurezza di cittadini e lavoratori, il diritto al lavoro e all'occupazione di migliaia di persone dell'area interessata e dell'intera filiera della siderurgia italiana. Non deve perciò preoccupare la durezza del confronto in atto quando questo non travalica, come in parte è avvenuto, i limiti della correttezza e del rispetto che si deve alle posizioni in campo quanto piuttosto il ritardo e le modalità con cui la comunità nazionale ha preso coscienza dei rischi che stiamo correndo. Rischio da una parte di ulteriore contrazione della base produttiva del Paese, nel Mezzogiorno ma non solo, e rischio dall'altra di compromettere le esigenze di sicurezza ambientale e delle condizioni di lavoro.Arrivati a questo punto, il problema che si pone per tutti - magistratura, azienda, governo e forze sindacali è lavorare per una soluzione che provi a contemperare tutti i legittimi interessi in campo, evitando sia di considerare il tema della sicurezza come un nodo secondario della vicenda produttiva, sia di pensare che si possa staccare la spina ad una attività produttiva strategica per il Paese e soprattutto ad alta densità occupazionale.Il governo, d'intesa con le amministrazioni interessate, sta lavorando ad una soluzione che provi a dare risposte ai due bisogni fondamentali ed è necessario che tutti i soggetti in campo, a partire dall'azienda, cooperino lealmente e responsabilmente, nella stessa direzione. Anche la magistratura, a cui tocca un compito difficile dopo tanti ritardi e sottovalutazioni, è chiamata a scelte che si muovano nella stessa direzione. Evitare la chiusura dell'impianto, e definire contestualmente un piano di investimenti in grado di intervenire sui fattori di inquinamento per l'ambiente e le persone, è l'unica via razionale per provare a dare una soluzione accettabile al problema e salvaguardare livelli diretti e indiretti di lavoro e di occupazione. Ogni volta che si è provato a fare il contrario, chiudere gli impianti e poi successivamente operare il risanamento necessario, ha portato infatti ad una doppia sconfitta: aziende che non si sono più riaperte e fattori di nocività ambientali che non sono stati più rimossi.C'è poi una ulteriore questione. Siamo diventati un Paese spaventosamente disattento alla politica industriale e negli ultimi dieci anni nulla si è fatto per avere un indirizzo in grado di arrestare il declino produttivo e la marginalità tecnologica a cui stiamo andando incontro. Le aziende che ce l'hanno fatta ci sono riuscite da sole, innovando prodotti ed internazionalizzandosi verso i mercati a più alto tasso di crescita. Ma sono enormemente di più i settori in cui stiamo perdendo possibilità e futuro: l'auto innanzitutto, e il suo indotto, i settori strategici della difesa, le tecnologie della green economy e dell'Ict, le catene commerciali ed una parte di quelle agro-alimentari. Tutti presi oggi dall'altalena degli spread, abbiamo smarrito ogni altra attenzione e dedizione ai temi dell'economia reale, quasi che anche qui fosse possibile una politica dei due tempi: prima il risanamento, obiettivo ovviamente necessario e imprescindibile, e poi dopo tutto il resto.Il governo di centrodestra, che ha governato otto degli ultimi dieci anni, non ha fatto solo danni sull'aumento della spesa corrente, la riduzione della spesa in investimenti e l'aumento del debito, ma ha insieme trascurato qualsiasi progetto e strategia di sviluppo per il sistema Paese. Per questo siamo messi così male. Per questo se vogliamo provare ad uscire dalle nostre difficoltà abbiamo bisogno di farlo tenendo assieme le due prospettive: il risanamento dei conti e la riqualificazione del nostro sistema produttivo. E dalla Germania proviamo ad imparare non soltanto l'etica della responsabilità fiscale, ma anche come si fa impresa e come si sostiene l'interesse nazionale.

La Repubblica, 3 agosto 2012

E ora spunta anche la corruzione

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TARANTO - C’è una inchiesta nell’inchiesta, un faldone tra i faldoni, un fascicolo in cui spuntano mazzette, contributi e intercettazioni telefoniche e ambientali, tra le carte poste dalla Procura a fondamento della richiesta di arresto di 8 tra proprietari e dirigenti del siderurgico e al sequestro dello stabilimento. Per corruzione in atti giudiziari sono indagati, da quasi un anno, il docente universitario Lorenzo Liberti, il vicepresidente del gruppo Fabio Riva, l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso, il dirigente- portavoce Girolamo Archinà. Il pm Remo Epifani nel marzo scorso ha chiesto e ottenuto dal gip Giuseppe Tommasino altri sei mesi di tempo per indagare ma lo scorso 29 giugno quel fascicolo è confluito in quello principale. Liberti, difeso dall’avv. Vincenzo Vozza, è accusato di corruzione in atti giudiziari perché in qualità di consulente tecnico della Procura nell’ambito dell’inchiesta contro ignoti sui capi di bestiame contaminati dalla diossina e poi abbattuti, allo scopo di favorire l’Ilva, il 26 marzo del 2010 avrebbe ricevuto nell’area di servizio di Acquaviva delle Fonti, sull’autostrada Taranto-Bari, da Girolamo Archinà una busta bianca contenente 10mila euro. La vicenda è raccontata dal gip Patrizia Todisco nell’ordinanza di custodia cautelare notificata al patron Emilio Riva e agli altri 7 dirigenti finiti ai domiciliari, per motivare le esigenze cautelari soprattutto riguardo al possibile inquinamento probatorio, ed ha già provocato la replica di Liberti, che ha negato di aver ricevuto soldi o altre utilità dall’Il - va. Leggendo le carte, almeno quelle sottoposte ad una prima parziale discovery, emerge una lettura diversa della vicenda, sulla quale ha lavorato il Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza. Liberti, come detto, ha sempre respinto tutti gli addebiti, pur non potendo in alcuna maniera giustificare come e quando sia stato fissato l’appuntamento con Archinà nel retro della stazione di servizio in autostrada (incontro ripreso dalle telecamere della videosorveglianza), non essendoci traccia di telefonate tra lui e il dirigente Ilva. Ma nella memoria inviata al gip Tommasino per chiarire la sua posizione, l’ex presidente del Politecnico di Taranto allo scopo di discolparsi, aggiunge elementi scientifici tutt’altro che irrilevanti. Il docente barese in sintesi sostiene che quando fu aperta dalla Procura di Taranto una inchiesta per fare luce sulla causa dell’avvelenamento da diossina riscontrato nei terreni e negli allevamenti a ridosso della zona industriale, l’Arpa, l’Asl e le associazioni ambientaliste, attribuivano le colpe al camino E312 dell’Ilva, uno tra i più alti d’Europa con i suoi 220 metri. Quel camino, secondo Liberti, «ha il suo fall out a oltre 100 chilometri di distanza e dunque se avessimo avallato tale ipotesi, avremmo fornito un assist colossale ai consulenti dell’azienda per smontare l’accusa. Invece abbiamo dimostrato, come d’altronde hanno poi confermato i consulenti del gip Todisco, che la probabile provenienza di diossine e Pcb era da trovare tra le emissioni diffuse di polveri prodotte dagli impianti di agglomerazione dello stabilimento Ilva». Liberti fa riferimento alla consulenza depositata il 23 luglio del 2010, un mese dopo la decisione della Procura di procedere con la richiesta di incidente probatorio che ha portato agli arresti e ai sequestri del giorno dopo. Dalle carte, risulta che i 10mila euro secondo l’Ilva erano destinati all’allora arcivescovo di Taranto Benigno Luigi Papa per la Pasqua 2010 ma in questa vicenda sono ancora tanti i punti da chiarire, e le domande a cui dare una risposta. (mimmo mazza).

La Gazzetta del Mezzogiorno 3/08/12

La riapertura dell'autorizzazione Aia l'azienda rinuncia a presentare ricorso

TARANTO - Ilva rinuncia a fare ricorso contro la riapertura del procedimento per l'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale. E' il primo segno, tangibile, della politica del disgelo inaugurata dal nuovo presidente dello stabilimento, Bruno Ferrante, rientrato nel pomeriggio da Bari, dove aveva partecipato al faccia a faccia col ministro dell'Ambiente Corrado Clini e con il governatore Nichi Vendola. Predica "confronto e dialogo", l'ex prefetto di Milano prestato da tre settimane all'industria e chiamato a raffreddare una patata bollente. Incombe sullo sfondo il pericolo che Ilva chiuda i battenti, anche se a otto giorni dal sequestro dell'area "a caldo" gli impianti continuanoa essere "in piena attività" ricorda Ferrante. Che, come aveva anticipato ieri, insiste nel dire di volersi difendere "nel processo". Quello davanti ai giudici del tribunale del riesame, che oggi ascolteranno le parti in causa per decidere, alla fine, se confermare oppure no il blocco di acciaieria, altiforni, cokeria, agglomerato, parchi minerali, gestione rottami ferrosi, e gli arresti di otto indagati, ai domiciliari da giovedì 26 luglio, accusati di disastro ambientale. Sì,

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insomma, "la litigiosità deve cessare. Pure Riva è d'accordo, al riguardo" fa sapere e, per la prima volta dall'inizio di questa storia, cita il patron del siderurgico più grande d'Europa, quasi a volere sgombrare il campo dal sospetto che la "linea morbida" inaugurata da Ferrante non fosse condivisa fino in fondo dal "padrone delle ferriere", colpito da un ordine di custodia cautelare con suo figlio Nicola e sei dirigenti. Ma Ferrante la Colomba, resta abbottonato nel momento in cui qualcuno insiste per conoscere se Ilva, come Stato e Regione Puglia, metterà mano al portafoglio per rimpolpare il "tesoretto" che da oggi il consiglio dei ministri dovrebbe materializzare. Nonostante la "piena disponibilità" manifestata ogni volta che ne ha l'occasione, non si sbottona: "Quanto spenderemo? Sarà possibile saperlo quando conosceremo le iniziative di bonifica che saranno individuate per tutelare la salute dei cittadini e l'ambiente". L'ultima battuta, l'ex prefetto la riserva ai lavoratori di Ilva: "E' giusto che protestino. Con loro combatteremo per far valere le nostre ragioni".

La Repubblica - 03 agosto 2012 2 sez. BARI

IL VERTICE. Una legge per la bonifica

G. L. TARANTO. Il ministro dell'Ambiente incontra autorità locali e vertici Ilva. Oggi il Riesame L'azienda rinuncerà ai ricorsi contro l'autorizzazione ambientale. Ferrante: basta conflittualità. Vendola: bene la nuova linea dialoganteSe Taranto è stata teatro delle manifestazioni, Bari è stata la sede in cui si sono svolti ieri gli incontri istituzionali sulla questione Ilva, convocati dal ministro dell'Ambiente Clini. Alla prima riunione hanno partecipato il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, lo stesso Clini, il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, il presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, il presidente del consiglio regionale pugliese, Onofrio Introna e il parlamentare del Pdl, Raffaele Fitto. Al termine dell'incontro, è stato annunciato che quest'oggi il ministro dell'Ambiente, in accordo con il ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera, presenterà al Consiglio dei ministri una proposta di decreto legge o un'ordinanza di protezione civile su Taranto, per gli interventi di bonifica e di tutela ambientale. Un provvedimento d'urgenza per fare in modo che il protocollo d'intesa ratificato lo scorso 26 luglio diventi operativo quanto prima. Il tutto sarà seguito da un Comitato di Sottoscrittori, con la cabina di regia affidata alla Regione (lunedì prima riunione).È bene ricordare però che il protocollo d'intesa per il risanamento di Taranto, che prevede interventi infrastrutturali di bonifica, incentivi alle imprese locali e riqualificazione industriale dell'area, è un qualcosa di molto aleatorio. Lo stanziamento complessivo previsto dal protocollo è di 336.668.320 euro, di cui 329.468.000 di parte pubblica e 7.200.000 di parte privata. I 336 milioni, così suddivisi, 119 mln di "interventi per bonifiche", 187 mln per "interventi portuali" e 30 mln per "interventi per il rilancio e la riqualificazione industriale", altro non sono che una rendicontazione di progetti da anni in itinere per lo sviluppo di Taranto ed una serie di cifre prive di copertura economica a carico dello Stato. Dal Mar Piccolo ai Tamburi, dai dragaggi al potenziamento delle banchine del molo polisettoriale, vengono elencati una serie di interventi già annunciati o stanziati anni addietro. Nuovi progetti non ce ne sono: i ministeri interessati hanno infatti promesso di introdurli nella prossima delibera Cipe. Ma chi mastica la materia, sa bene quanti anni di burocrazia debbano passare prima di riuscire ad ottenere tali finanziamenti.Dopo l'incontro con le istituzioni, il ministro Clini e il governatore Vendola hanno incontrato il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante. Al termine del quale è stato annunciato che l'azienda rinuncerà ai ricorsi che aveva presentato contro la riapertura del procedimento per l'autorizzazione integrata ambientale (Aia). Il tutto, a sentire Ferrante, a dimostrazione della nuova linea che seguirà l'Ilva: «Non più conflittualità ma confronto e dialogo attorno a delle soluzioni che possano tutelare meglio l'ambiente, la salute, i lavoro e l'impresa». Questo, si spera, potrebbe essere il primo passo per una nuova Aia, che contenga prescrizioni molto più restrittive per l'azienda, rispetto a quelle contenute nell'autorizzazione rilasciata all'Ilva lo scorso 4 agosto. Anche il governatore Vendola plaude alla nuova linea del gruppo Riva, grazie alla diplomazia manifestata da Ferrante, che per il governatore pugliese «corregge lo stile peggiore tenuto in questi anni dall'azienda nei confronti di Regione e governo, di continua litigiosità. L'Ilva ha dichiarato la propria disponibilità - ha aggiunto - a fotografare tutte quelle parti dell'ordinanza del gip che rivelano l'esistenza di una relazione fra inquinamento e patologie e di lavorare per rimuovere quegli

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elementi che sono perniciosi per la salute e per la vita dei tarantini». Sugli stessi temi si è svolto l'ultimo incontro, quello tra Clini e Cgil, Cisl e Uil, che hanno apprezzato sia l'iniziativa del decreto da parte del governo sia quella dell'azienda di ritirare i ricorsi sull'Aia.Intanto, questa mattina si svolgerà l'udienza presso il tribunale del Riesame di Taranto. «Dissequestro degli impianti e rimessa in libertà delle otto persone dei vertici aziendali e societari dell'Ilva ai domiciliari da giovedì scorso»: è quanto chiederanno i legali dell'Ilva, i quali presenteranno anche una controperizia rispetto a quella consegnata dagli esperti medici al gip relativamente all'impatto dell'inquinamento sui casi di malattia e di morte. Contestati anche diversi passaggi dell'ordinanza del gip Patrizia Todisco soprattutto per quanto concerne la parte ambientale. Il tribunale del Riesame avrà tempo sino al 9 agosto per pronunciarsi nel merito di questa delicata vicenda.

Il Manifesto 3/08/12

Al lavoro sul caso dei parchi minerari la rete di protezione non più sufficiente

TARANTO - Ci sono i danni alla salute provocati da inquinanti che, silenziosamente, colpiscono e minano l’organismo umano, e ci sono quelli più immediatemente percepibili e visibili. Sono, quest’ultimi, i danni provocati dalle polveri dei minerali. Quelle che in particolari giornate di vento si sollevano dai grandi parchi dell’Ilva (70 ettari di superficie) ed inondano il vicinissimo rione Tamburi. Lo stato in cui sono le case del quartiere, come anche le tombe del cimitero di Taranto che è a ridosso dell’Ilva , testimoniano cosa queste polveri possono provocare. Un vero attentato alla qualità della vita, oltrechè alla salute. I parchi minerali, però, servono all’Ilva. E’ da qui, da questo primo anello della catena, che parte il ciclo produttivo integrale: dalla trasformazione delle materie prime attraverso la fusione ad altissime temperature all’uscita dei semilavoratori e dei prodotti finiti che poi alimentano tutta la catena del manifatturiero che è a valle dell’Ilva. 

Nel 2010 l’Ilva ha fatto arrivare 15 milioni di tonnellate di materie prime. Questo per dare l’idea di cosa si movimenta per fabbricare acciaio. E’ possibile mitigare le polveri che si alzano dai parchi? Questa è la domanda e la sfida. In un protocollo operativo approvato qualche giorno fa, dopo l’ok alla legge regionale che taglia ulteriormente le emissioni con l’introduzione della Valutazione del danno sanitario, la Regione, con l’assessorato all’Ambiente, ha indicato una serie di procedure nuove che devono essere attivate quando ci sono giornate particolarmente ventose. Fra queste c’è la riduzione della movimentazione delle stesse materie prime. Inoltre da alcune settimane l’Ilva ha avviato la costruzione di una rete antipolveri alta una ventina di metri che dovrà appunto avere un effetto di contenimento. E’ questa una delle prescrizioni dell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che l’ex ministro Stefania Prestigiacomo ha firmato proprio il 4 agosto del 2011. Un provvedimento che detta le regole per l’esercizio degli impianti che ora il ministro Corrado Clini vuole rivedere. Il passaggio ulteriore, un vero e proprio salto in avanti, potrebbe venire col trasferimento in un’altra area dei parchi minerali. Trasferimento, non copertura, che per l’Ilva non è fattibileL’altro ieri Bruno Ferrante, presidente dell’azienda, aveva detto che ragionare di trasferimento non è «una bestemmia» salvo poi chiarire che era un paradosso utilizzato per spiegare che l’Ilva è disponibile a trovare delle soluzioni. Ieri Ferrante, tornando sull’argomento, ha detto che la nuova Aia per l’Ilva potrebbe anche ragionare sulla ridislocazione dei parchi minerali. «Certo, è un progetto molto complesso, va di sicuro approfondito sotto ogni punto di vista, ma l’azienda è pronta a discutere con mente aperta. Non si tira indietro» ha aggiunto Ferrante. E uno spiraglio l’ha pure aperto Clini a Bari: progetti innovativi che tendono a soluzioni di qualità e migliorano quando dispongono le leggi, potrebbero essere finanziati con i fondi destinati all’innovazione tecnologica. «La cosa è assolutamente fattibile ma dipende dal progetto che l’impresa presenterà» ha concluso il ministro. [Domenico Palmiotti]

La Gazzetta del Mezzogiorno 3/08/12

DISOBBEDIAMO AI RICATTI

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LUCA CASARINI, GIANMARCO DE PIERI. Il Comitato operai e cittadini liberi e pensanti ha posto sul tavolo politico una scommessa straordinaria per i rischi sottesi, e consapevolmente assunti, ed enorme per l'importanza che ha ed avrà il suo esito. I compagni e le compagne di Archeotower, gli operai - a maggioranza non iscritti ad organizzazioni sindacali - i comitati per la (auto)difesa dall'inquinamento di padron Riva, i cui esposti hanno anticipato di anni il dispositivo della magistratura, ed i tanti cittadini, precari nel lavoro e nei diritti ambientali che hanno dato vita alla spezzone autonomo che ha attraversato la manifestazione confederale possono dire che hanno vinto la loro scommessa.Scegliendo di non accettare il ricatto della famiglia Riva - la cui società anche nel bilancio di esercizio di quest'anno mette ad utile diversi miliardi di euro - della quasi totalità della rappresentanza politica locale e nazionale (per inciso: mai si era visto un ministro per l'Ambiente che lotta per tenere aperta una delle peggiori fabbriche d'Europa!) e dei sindacati di fabbrica - l'egemonia incontrastata delle tessere è Uilm - questo pezzo di città ha fatto quello che pochi, fino a ieri, hanno avuto il coraggio di fare e dire: disobbedire al ricatto, ribaltando un finale scontato che finisce con il garantire la continuità del funzionamento degli impianti e lo sversamento in aria di decine di tonnellate di diossido di carbonio, ferro e via inquinando.Non vi può esser baratto tra salario e vita. Non ci sono "libere scelte" laddove esse sono determinate da padroni ed esogene alle persone che abitano i territori. Potremo dire che la giornata di oggi batte il tempo del rifiuto operaio di Pomigliano e dell'insubordinazione organizzata delle genti di Susa: respingere il ricatto, sparigliare le carte, aprire nuovi orizzonti. Fare politica, insomma.Chi, dal palco della manifestazione, ha continuato a parlare cercando di convincere gli operai a lavorare a testa bassa negli altiforni, a dimenticare che i fumi cadono sui loro famigliari, chi ha provato a isolare i cittadini in movimento dagli operai utilizzando la contraddizione ambientale, chi apostrofa il corteo per il "reddito, la salute, l'ambiente, l'occupazione" come «provocatori» ed «usurpatori della legittima manifestazione sindacale» oggi parla per sé e si chiude in un circolo vizioso - e, detto senza ironia, di certo non abita a Tamburi e non fa il doppio turno alle linee.Stupisce e ferisce vedere sindacati e padroni in unità di scopo. È splendido, invece, sentire le parole di solidarietà lette dagli operai dell'Ilva verso la città di Bologna, nell'anniversario della strage. Le alternative occupazionali ci sono, eccome: anche la sola bonifica dell'area Ilva - più grande del centro di Taranto - può impiegare tutti e per moltissimi anni. La riconversione ecologica non può essere ostaggio della rappresentanza politica e sindacale ovvero dell'austerity di Monti: è oggi il suo tempo, ora e non domani si deve e si può rifiutare il ricatto mortale e fare un progetto nuovo che coniughi diritti, ambiente e democrazia. Non si sono altre uscite. Lottiamo affinché sia solo l'inizio di un futuro senza fumi e con più diritti.

 Il Manifesto 3/08/12

Inquinamento ideologico

di Loris Campetti. Il problema può essere di principio, ma può anche non esserlo perché l'analisi marxista della realtà non è obbligatoria. Dire che la colpa è sempre del padrone a qualcuno, magari anche tra i nostri lettori, potrebbe apparire come un pregiudizio ideologico. Allora mettiamola cosi: ovunque arrivi il padrone dell’Ilva esplode la zizzania tra i lavoratori e, soprattutto, tra i lavoratori e la popolazione vittima dei fumi di Emilio Riva. Ieri è successo a Genova, oggi si ripete a Taranto. Sentire, al termine di una grandissima e difficile manifestazione chetentava di unire i diritti al lavoro e alla salute, i leader di Cisl e Uil che per difendere il diritto al lavoro si schierano al fianco del padrone, oppure ascoltare il capo dell’Ilva che "difende" i lavoratori in sciopero dalle contestazioni, dà il segno di un inquinamento ideologico che si somma a quello, devastante, ambientale. L’Ilva avvelena chi lavora e chi vive intorno al suo insediamento innanzitutto perché il profitto è stato e resta l'unico parametro di riferimento. Il profitto a tutti i costi, al massimo risparmio, è all'origine del disastro ambientale di Taranto come lo è stato precedentemente di altre città. Se si risparmia sulla sicurezza, sul risanamento dei guasti provocati al territorio nel corso di decenni, se si rinviano le ristrutturazioni del ciclo lavorativo per renderlo compatibile con l'aria che si respira, le cozze che si mangiano, l'erba di cui si nutrono

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le pecore, perché stupirsi della strage perpetrata dentro e fuori dalle lavorazioni a caldo di Emilio Riva?Quei sindacati che solidarizzano con Riva e se la prendono con la magistratura, così come coloro che ieri contestando la manifestazione di Taranto scaricavano tutte le colpe sui sindacati, hanno perso di vista il responsabile principale della tragedia.La magistratura arriva per coprire i buchi lasciati aperti dalla politica e dalle istituzioni, che rappresentano il secondo responsabile della crisi di Taranto.Esistono, certo, anche responsabilità sindacali per aver concesso troppo al padrone, per aver subito il ricatto di una scelta insensata tra diritto al lavoro e diritto alla salute, per aver accettato scambi inaccettabili con la controparte naturale. Non tutti: i delegati Fiom venivano licenziati per gli scioperi organizzati in difesa della salute e per il miglioramento del ciclo produttivo. Se una colpa esiste, ed esiste, di una parte del sindacato, è di aver rinunciato alla sua autonomia. Accusare la Fiom, come fanno Cisl e Uil, per i disordini di ieri che hanno impedito alla Fiom stessa e alla Cgil di parlare, non è un errore ma il prodotto di un imbarbarimento culturale.Difendere il lavoro e l'ambiente è possibile se si ha un progetto di riqualificazione e di riconversione della produzione, reso ancora più urgente dalla crisi. L'obiettivo sarebbe più vicino se la politica, la sinistra, si occupassero di questi problemi e se il governo si assumesse le sue responsabilità, invece di ripetere come un mantra che gli imprenditori hanno il diritto di decidere da soli come, cosa e dove produrre per fare più utili.

Il Manifesto, 3 agosto 2012

Riva risani a sue spese o se ne vada

di Giorgio Cremaschi. «Ai fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale». Articolo 43 della Costituzione.Innanzitutto bisogna dire che hanno ragione i giudici. Ad essi casomai si può solo rimproverare il ritardo nelle decisioni, non le decisioni. Quando la nocività produce morti su morti, fuori e dentro la fabbrica, e i bambini di dieci anni del quartiere Tamburi hanno nei polmoni l'equivalente di quaranta sigarette al giorno, la magistratura deve intervenire per fermare il massacro. Certo se a Taranto non ci fosse stato in campo il colossale fallimento di una politica sindacale egemonizzata da Cisl e Uil. Se le istituzioni locali, tutte, non avessero avuto un atteggiamento acquiescente e consociativo con l'azienda. Se i governi avessero fatto il loro dovere invece che piegarsi a Riva, il governo Berlusconi concedendo le deroghe sugli adempimenti prescritti dalla legge e dalgoverno Monti, con il suo ridicolo Ministro dell'ambiente, confermandole. Se l'arroganza di Riva avesse trovato quei contrappesi che, sono previsti in un paese realmente democratico, la situazione non sarebbe giunta a questo punto e gli operai non sarebbero di fronte alla scelta se morire di cancro o di fame.Gli operai dell'Ilva non sono quella plebe ottusa a difesa del padrone che ha presentato la grande informazione. Quella stessa informazione che si è innamorata del ricatto permanente di Marchionne contro chi vuol sperare di lavorare nelle sue fabbriche e che ha scambiato il medioevo per progresso. Gli operai dell’Ilva hanno lottato duramente per la salute. Ed è bene ricordare che ognuno dei tanti scioperi a difesa della la vita è stato penalizzato dall'azienda con il taglio del premio, oltre che delle ore perdute. La rappresaglia per chi fa valere i suoi diritti è sempre stata una costante di padron Riva. Dai reparti confino, al regime delle punizioni di massa e dei licenziamenti.Solo pochi anni fa gli operai dell'acciaieria si fermarono per gravi rischi di esplosione nel reparto. Due delegati Fiom furono licenziati in tronco. La fabbrica si ribellò e anche allora i giovani operai occuparono il ponte girevole della città. Fu la magistratura a riammettere con l'articolo 18 i due delegati, difesi da Massimiliano del Vecchio che oggi difende l'operato dei giudici. E anche oggi, solo una stampa ancora innamorata della marcia dei 40 mila può confondere le acque in modo così scandaloso. Quando in una delle ultime manifestazioni si sono presentati lavoratori con uno striscione contro i giudici, un gruppo di operai l'ha strappato e buttato già dal ponte. Erano capetti e

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dirigenti quelli che hanno impedito alle telecamere di riprendere il gruppo dirigente aziendale tradotto in tribunale. Nelle assemblee i dirigenti Cisl e Uil che hanno proposto la solidarietà alpadrone contro la magistratura sono stati sonoramente fischiati. In fabbrica ci sono tanti lavoratori che non vogliono subire il ricatto che contrappone lavoro a salute e diritti. Ma sta al sindacato e alla politica dare ad essi una risposta, invece che crogiolarsi nella propria subalterna impotenza.Bisogna garantire lavoro e salario agli operai dell’Ilva e procedere subito al risanamento ambientale. Questo significa che Riva ci deve mettere tutti i soldi che ha. Che sono tanti visto che in un solo anno di profitti si è ripagato il piccolo costo di aver ricevuto l'azienda dallo stato e visto che recentemente ha trovato anche danaro da spendere in Alitalia. Riva deve pagare tutto. E se continua a menare il can per l'aia come ha fatto in tutti questi anni, allora da un lato ci deve essere, come c'è, la magistratura, dall'altro il governo dovrebbe applicare la Costituzione. L'articolo 43 prevede l'esproprio di una azienda proprio per casi come questo. La politica, compresa quella di sinistra, non faccia come al solito la parte di chi parla d'altro. O Riva paga, o viene espropriato, il resto è quello che ci ha portato al disastro attuale.

L’Eco di Bergamo, 3 agosto 2012

LEGAMBIENTE «NUOVE REGOLE CONTRO I VELENI» «Per fermare l'inquinamento del suolo e delle falde è importante il provvedimento urgente di cui ha parlato il ministro Clini, ma per rispondere alle contestazioni della magistratura bisogna contrastare anche le emissioni che l'impianto continua a produrre. E questo sarà possibile solo con una nuova Autorizzazione integrata ambientale». Così Vittorio Cogliati Dezza, presidente di Legambiente, ha commentato le dichiarazioni del ministro Clini a margine dell'incontro con gli enti locali pugliesi sulla questione Ilva. Una Aia che «il ministero dell'Ambiente dovrà concedere urgentemente, in poche settimane, per obbligare l'azienda a fare interventi sugli impianti da realizzare con un rigido e rapido crono programma. Ben venga - aggiungono Francesco Tarantini, presidente di Legambiente Puglia e Lunetta Franco, presidente del Circolo di Taranto - il provvedimento urgente per rendere subito operativo il protocollo sulle bonifiche del 26 luglio scorso». «Ma - avvertono - questo servirà a ridurre l'inquinamento industriale del passato, rinvenuto appunto nelle falde, in mare, nel suolo e nel sottosuolo di uno dei 57 siti più inquinati d'Italia, nell'ambito del Programma nazionale di bonifica, ma per risanare efficacemente l'ambiente tarantino, bisogna fermare l'inquinamento attuale attraverso una nuova Aia, estremamente rigorosa nelle prescrizioni e nel piano di monitoraggio e di controllo che devono essere coerenti tra loro, diversamente da quanto previsto nella sciagurata Aia concessa dal ministro Prestigiacomo, per fronteggiare l'emergenza emersa dal meticoloso lavoro della magistratura».

Il Manifesto 3/08/12

Ilva, ecco le intercettazioni che provano la corruzione 

di MIMMO MAZZA. TARANTO - Descrive un sistema di potere ramificato. Capace di arrivare a chiunque, almeno a parole, per sistemare le faccende dell’Ilva. È ricca di spunti l’informativa redatta dal Gruppo di Taranto della Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che vede indagati Fabio Riva, per una fase presidente del siderurgico, Girolamo Archinà, potente pubblic relations man del gruppo Riva, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico Luigi Capogrosso e il consulente della Procura ed ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti. Un lavoro meticoloso, quello compiuto dagli uomini guidati dal capitano Giuseppe Di Noi, confluito ieri mattina negli atti all’attenzione del tribunale del riesame chiamato a decidere se confermare o meno gli arresti di 8 tra proprietari e dirigenti dell’Ilva e il sequestro dell’area a caldo. I pubblici ministeri hanno deciso di depositare una parte di quell’informativa allo scopo di dimostrare la capacità di inquinamento probatorio del gruppo Riva. All’attenzione dei giudici ma anche della difesa degli indagati sono finite così alcuni stralci di intercettazioni telefoniche e ambientali. La storia principale è quella raccontata ieri dalla Gazzetta, cioè della busta bianca -

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contenente 10mila euro per l’accusa, la bozza di un protocollo per la difesa - consegnata da Archinà al professor Liberti il 26 marzo del 2010 nel retro della stazione di servizio ubicata ad Acquaviva delle Fonti, sull’autostrada Taranto-Bari. Attorno a quella vicenda - tutta peraltro ancora da definire visto che ieri mattina la difesa del gruppo Riva ha depositato un verbale dell’ex arcivescovo di Taranto Benigno Luigi Papa che sostiene che quei soldi, quei diecimila euro, erano per lui - ruota ben altro. Parte ancora rigorosamente coperta da segreto istruttorio e dunque destinata ad ulteriori analisi da parte dei pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Giovanna Cannalire che un mese fa hanno ereditato il fascicolo dal collega Remo Epifani, parte invece rivelata. Il perno del sistema di potere dell’Ilva sembra Archinà, consulente del gruppo Riva per la comunicazione e le questioni ambientali. Archinà tiene i rapporti con i giornalisti ma anche con politici e organi di controllo. In una telefonata con l’allora direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso discute di un controllo annunciato da Arpa e Asl e senza mezzi termini dice al collega che «quelli, con la sedia legata al culo devono stare, altro che controlli». Poi parla con Liberti, suo co-indagato, a cui chiede spiegazioni sulla perizia che il docente stava facendo per conto della Procura. Rimprovera brutalmente il direttore dell’Arpa Giorgio Assennato, reo, a suo dire, di aver calcato la mano in una relazione sul micidiale benzo(a)pirene emesso dall’Ilva, con Assennato che cerca di giustificarsi, suggerendo la convocazione di un tavolo per trovare una soluzione. Archinà ha dimestichezza con i dirigenti, vecchi e nuovi, della Regione che si occupano di ambiente. Ma vanta conoscenze anche a Roma. Parlando, nel 2010, con un consulente del gruppo Riva, già funzionario del Cnr, discute dei componenti della commissione ministeriale che sta esaminando l’Autorizzazione integrata ambientale per lo stabilimento siderurgico di Taranto. Il discorso scivola su Corrado Clini, oggi ministro dell’Ambiente, all’epoca dei fatti direttore generale del ministero. Archinà tranquillizza il suo interlocutore, forse vantandosi forse chissà: «Clini è uomo nostro».

La Gazzetta del Mezzogiorno 4/08/12

«Ma questa inchiesta è una sconfitta non ha funzionato nessun controllo»

di MIMMO MAZZA TARANTO - Neo-segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati, titolare dell’inchiesta che nel settembre del 2001 portò al sequestro di 4 batterie dell’area cokerie dello stabilimento siderurgico, tarantino da ormai quasi 20 anni, Maurizio Carbone offre il suo punto di vista sulle polemiche sorte a seguito del sequestro dell’area a caldo dell’Ilva e all’arresto di 8 tra dirigenti e proprietari. «Di fronte alla contestazione di reati così gravi c'è una sconfitta, una sconfitta di tutti, significa che non hanno funzionato a dovere la politica e gli organi amministrativi di controllo. È un provvedimento che è stato molto sofferto, si parla di supplenza della magistratura, ma questo - dice Carbone - è dovuto al fatto che non hanno funzionato evidentemente in questi anni gli altri organi di controllo. Non c'è dubbio che quando la magistratura interviene, interviene per salvaguardare il diritto alla salute e il diritto alla vita». 

Il segretario generale dell’Anm ricorda che «La magistratura tarantina è impegnata, purtroppo, devo dire, da decenni sulla questione ambientale, dell'inquinamento e dei gravi danni alla salute che questo comporta. Nella stessa ordinanza di sequestro sono citate le tante indagini che sono sfociate ricordiamolo in processi e con sentenze definitive di condanna. Si tratta di vicende giudiziarie che sono durate anni e che hanno portato a decisioni definitive, anche una decina di anni fa ci fu un altro sequestro che riguardò una parte dello stabilimento, in particolare alcune batterie delle cokerie, con questo voglio dire - spiega Carbone - che la questione è nota da tempo, sono state già accertate responsabilità con riferimento ai diversi settori dell'azienda e devo dire che oggi tra l'altro non aiuta fare riferimenti al passato». Carbone sottolinea che «oggi la preoccupazione di tutti noi che viviamo tra l'altro a Taranto è questa situazione di attuale pericolo per la salute e per la stessa vita, così come è stato delineato nel provvedimento del giudice Patrizia Todisco ed è molto triste vedere una cittadinanza dilaniata in due tra diritto al lavoro e diritto alla salute. Spero che al più presto, ma questo è un auspicio che faccio anche come cittadino di Taranto, che la politica si occupi in maniera seria della questione. Voglio sperare che non sia crei un clima di sfiducia nei confronti dei magistrati che sono intervenuti

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sino ad ora o peggio ancora una influenza o un condizionamento nei confronti degli altri magistrati che tratteranno della questione. Ci sono in ballo dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, è giusto che la magistratura operi in piena autonomia». 

Sulla vicenda interviene anche Cosimo Ferri, segretario di Magistratura indipendente, che chiede «fiducia e serenità, anche da parte dell'opinione pubblica, nei confronti dei magistrati requirenti e giudicanti che si stanno occupando del sequestro» degli impianti Ilva di Taranto. Secondo Ferri, i magistrati «stanno lavorando con grande impegno, professionalità e senso di responsabilità, garantendo il rispetto della legge, ben consapevoli dell'effetto dei loro provvedimenti. Desideriamo esprimere - conclude Ferri - profonda stima verso questi colleghi che con sobrietà, riservatezza svolgono il loro compito. Rispetto quindi per la delicatezza e la difficoltà del loro lavoro».

La Gazzetta del Mezzogiorno 4/08/12

BONIFICA SPOT PER SALVARE TARANTO

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Slitta la decisione del tribunale del Riesame sul dissequestro degli impianti Il governo stanzia 366 milioni per risanare l'area. Ma le imprese che hanno inquinato fino a oggi potranno continuare a farlo.Dopo la ratifica di giovedì 26 luglio a Roma tra governo centrale, regionale e locale, ieri il consiglio dei ministri ha dato il via libera al decreto legge per l'Ilva di Taranto. Sono stati dunque sbloccati i 336 milioni di euro necessari per gli interventi di bonifica del sito d'interesse nazionale di Taranto. Nelle intenzioni del governo, il decreto dovrà rendere disponibili le risorse e semplificare le procedure di accesso, affinché gli interventi previsti siano attuati in tempi certi.Sempre ieri, il Cipe ha sbloccato con una delibera 21 miliardi di euro destinati al Sud: tra gli interventi di manutenzione straordinaria del territorio, sono presenti misure per il risanamento ambientale e la riqualificazione di Taranto, in particolare per quanto riguarda il quartiere Tamburi, il più esposto alle emissioni del siderurgico. Stando a quanto riportato nelle tabelle del protocollo d'intesa, i fondi sbloccati dal Cipe dovrebbero riguardare la piena copertura finanziaria sull'accordo del 2009 per la realizzazione degli interventi di dragaggio dei sedimenti nel molo polisettoriale di Taranto, la rimozione dei sedimenti contaminati da Pcb nel I seno del Mar nelle aree di mitilicoltura e la messa in sicurezza delle Aree Pip del Comune di Statte.Ora però, bisognerà vedere in che modo si sceglierà di operare, con quali tecniche e modalità. E soprattutto capire se e in che modo sarà possibile avviare la bonifica in un territorio in cui le principali sorgenti inquinanti (Ilva, Eni, Cementir) continueranno a insistere con le loro emissioni. Lo stesso ministro dell'Ambiente Clini ha spiegato come «il decreto legge non dà indicazioni specifiche nel merito, ma attiva procedure per velocizzare gli interventi». Il ministro ha anche ricordato che qualora saranno attuate dall'azienda una serie di innovazioni tecnologiche nel breve periodo, «l'Ilva potrà accedere ai fondi pubblici». Ciò detto, è bene ricordare ancora una volta come il protocollo d'intesa in questione preveda, nella maggior parte dei casi, lo sblocco di fondi per progetti già approvati da tempo e destinati all'area di Taranto.Ma ieri i riflettori erano tutti puntati sul tribunale di Taranto, dove si è svolta una lunghissima udienza del Riesame, durata dieci ore, con la discussione sulle misure cautelari scattate nell'ambito dell'inchiesta sull'inquinamento prodotto dall'Ilva. La camera di consiglio si aggiornerà questa mattina alle 9. In un tribunale presidiato all'interno ed all'esterno dalle forze dell'ordine, l'accesso è stato consentito solo da un ingresso posteriore dopo identificazione. La procura ha sollevato una eccezione sulla legittimità della fissazione del Riesame ad agosto per quanto riguarda il provvedimento di sequestro dei sei impianti dell'Ilva. Secondo la procura infatti, non ci sarebbero gli elementi previsti dal codice per rinunciare alla sospensione dei termini nel periodo feriale. Un'illegittimità che si potrebbe sollevare in qualsiasi momento del procedimento, inficiandolo. Per questo la procura riteneva legittima la discussione solo per gli arresti domiciliari, mentre per il sequestro degli impianti tutto era da rinviare a dopo il 15 settembre. Il folto collegio di difesa dell'Ilva si è ovviamente opposto a tali argomentazioni, posizione peraltro accolta dal tribunale che ha deciso di proseguire e di respinge la richiesta dell'accusa. La battaglia tra le parti, davanti al giudice e presidente del tribunale Antonio Morelli, a latere Alessandra Romano e Benedetto Ruberto, è poi proseguita con i legali dell'Ilva che in relazione al sequestro delle aree,

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hanno depositato due perizie di parte, chimica ed epidemiologica, con l'intento di ottenerne il dissequestro; i sigilli, infatti, sono stati apposti lunedì scorso senza la facoltà d'uso degli impianti. Per tutta risposta, la procura ha prodotto nuovi documenti: due anni di intercettazioni contenute in un procedimento penale con l'ipotesi di reato di corruzione in atti giudiziari, di cui è titolare il pm della procura di Taranto Remo Epifani e che ieri è stato unificato a quello di disastro ambientale colposo e doloso. Dalle intercettazioni, secondo alcune indiscrezioni, sarebbero emersi contatti con tecnici che dovevano preparare l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per conto del ministero dell'Ambiente, nonché un presunto episodio di corruzione del docente universitario ed ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti, riportato anche nell'ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari del Gip Todisco nei confronti degli otto tra dirigenti ed ex dirigenti Ilva. Nel procedimento per corruzione in atti giudiziari risulatno indagati lo stesso Liberti, il vice presidente del gruppo Riva, Fabio Riva, l'ex direttore dello stabilimento Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso, e il dirigente Ilva Girolamo Archinà. «Dobbiamo legargli il culo alla sedia»: questo il contenuto di un'intercettazione telefonica. La frase sarebbe stata pronunciata da un dirigente dell'Ilva in una conversazione con altri dirigenti in riferimento all'arrivo in fabbrica di funzionari regionali, che dovevano compiere un sopralluogo sugli impianti ritenuti a rischio ambientale. La decisione dei giudici dovrà essere depositata entro e non oltre giovedì 9 agosto.

Il Manifesto 4 agosto 2012

Il procuratore: non c'è Clini nelle registrazioni. Il ministro: grazie. La nota della Gazzetta

TARANTO – Il nome del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, non compare in alcuna intercettazione depositata dalla Procura di Taranto nell’udienza del Riesame, nella quale sono stati discussi i ricorsi sul sequestro degli impianti dell’area a caldo dell’Ilva e sull'arresto di 8 dirigenti ed ex dirigenti del Siderurgico. Lo precisa il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, in merito al contenuto di un’intercettazione pubblicata da un quotidiano regionale in cui un dirigente Ilva avrebbe definito Clini "un uomo nostro". "Con riferimento a notizie stampa - è scritto nella nota diffusa dal capo della Procura di Taranto - sul contenuto di intercettazioni telefoniche depositate nel corso dell’udienza tenutasi davanti al tribunale del Riesame nel procedimento penale relativo a ipotesi di reati ambientali a carico di dirigenti dello stabilimento Ilva spa, si precisa che in nessuna di tali intercettazioni risulta – direttamente o indirettamente – il nome del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini".

IL MINISTRO: GRAZIE AL PROCURATORE PER LA CHIAREZZA"Ringrazio il procuratore di Taranto Franco Sebastio per aver fatto chiarezza, smentendo la notizia di un riferimento a me nelle intercettazioni depositate nell’ambito dell’inchiesta sul caso Ilva, che è stata pubblicata oggi da alcuni organi di stampa". Lo ha affermato in una nota il Ministro dell’ambiente Corrado Clini che nel pomeriggio ha avuto anche un cordiale colloquio telefonico con il procuratore Sebastio. "La nota della procura – rileva Clini - sgombra il campo da insinuazioni gravi in un momento in cui il Ministero dell’Ambiente è impegnato al massimo per trovare ed attuare soluzioni che garantiscano la salute pubblica, la tutela dell’ambiente e la bonifica delle aree inquinate a Taranto". Resta da chiarire – precisa la nota – come e per quale motivo la notizia sia stata divulgata, inserendo per molte ore oggi un pesante elemento di turbativa nella delicatissima vicenda Ilva. 

NOTA DELLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO: IL NOME DI CLINI APPARE“Del corposo fascicolo relativo alle indagini solo poche pagine di sintesi sono state effettivamente depositate per questa prima valutazione dei giudici”. Lo sottolinea la Gazzetta del Mezzogiorno in riferimento alla nota del procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, il quale ha precisato che il nome del ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, non figura negli atti della Procura depositati presso il tribunale del Riesame nell’ambito dell’inchiesta sull'Ilva. “Il nome di Clini, all’epoca direttore generale del ministero dell’Ambiente – si prosegue in una nota - figura in una intercettazione di Girolamo Archinà, responsabile delle pubbliche relazioni dell’Ilva, oggi licenziato, il quale si vanta testualmente 'Clini è uomo nostrò”. La Gazzetta del Mezzogiorno – si conclude – “ha riferito nell’edizione odierna di questa intercettazione, senza per questo avanzare

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alcun sospetto sull'attuale ministro: l’articolo parla dell’inchiesta nel suo complesso e non entra nel merito degli atti di sintesi depositati al Riesame”.

La Gazzetta del Mezzogiorno 4/08/12

E l’operaio prese la parola per chiedere scusa ai malati

TARANTO - «Da operaio dell’Ilva chiedo scusa ai bambini del quartiere Tamburi, agli ammalati. E penso ai morti di tumore». Cala il silenzio a piazza Gesù Divin Lavoratore, in cielo solo un cenno d’imbrunire. Piero, operaio dell’area a caldo dello stabilimento siderurgico, prende la parola durante l’assemblea del comitato di operai e cittadini «liberi e pensanti», il giorno dopo il blitz della grande fuga sindacale dal palco di piazza della Vittoria. E in piazza della Vittoria, ieri mattina, il raduno degli ambientalisti che hanno incoraggiato la magistratura impegnata con il Riesame del provvedimento di seuqestro dell’area a caldo Ilva e con gli arresti eccellenti della dirigenza siderurgica. Piazza Gesù Divin Lavoratore, la piazza simbolo della città operaia, col Cristo delle ciminiere troneggiante sull’altare della chiesa, simbolo di un patto tra fabbrica e città corroso da gas e polveri e che pure costringe a vivere da separati in casa, chissà poi per quanto ancora. «Nel mio piccolo - attacca Piero di fronte a un centinaio di persone radunatesi alle sette di sera in piazza e circondate da un imponente schieramento di forze dell’ordine - mi sento di chiedere scusa a chi ora soffre e vive una condizione di malattia legata all’inquinamento. E chiedo scusa perché ho contribuito a inquinare». Gli uomini che guadagnano da anni il pane in fabbrica aprono le porte di se stessi e sembra di vedere dentro di loro, dentro il loro cuore, il dubbio, l’angoscia, la necessità, quasi esplosa all’improvviso, di guardare in faccia gli altri, i propri concittadini, di raccontarsi e raccontare una fabbrica chiusa finora in se stessa. «La politica ha gravi responsabilità - dice ancora Piero al microfono, nella sua narrazione che è storia a precipizio lungo un ripido crinale - perché non ha messo i paletti alle aziende dell’a re a industriale: Ilva, Eni, Cementir; per evitare l’inquinamento al quartiere Tamburi, a Statte, a Paolo VI, nel centro della città. La mia azienda dice: abbiamo investito miliardi per abbattere l’inquinamento. E allora perché si scende in piazza? Perché i Tamburi sono ancora un quartiere martoriato?». La voce di Piero s’incrina e le lacrime cominciano a scendere sul viso come le prime ombre della sera al quartiere Tamburi. Poco lontano da qui un altro operaio, Peppino Corisi, in due lapidi, aprì e chiuse la parentesi di operaio ambientalista, iscrivendo la propria tragedia personale e quella di un popolo: la maledizione per le polveri «per chi poteva fare e non ha fatto» e il suo personale testamento a futura memoria per «l’ennesimo morto» di tumore a polmone. L’ennesimo, un numero. Il numero e l’operaio, la diluizione acida di un’identità di classe che solo un riscatto di coscienza, ambientale e non ambientalista, può mutare. Piero torna a identificarsi con la piazza, le sue lacrime trascinano l’applauso. Certo facile, in questi giorni; inevitabile. Ma solo un mese fa impossibile, una bestemmia. «Ho famiglia, due figli. Uno stipendio di 1400 euro e 750 euro di mutuo da pagare. Per quello che sta accadendo penso con più rabbia alla politica. Doveva fermare l’inquinamento. E penso con rabbia ai sindacati. Loro avrebbero dovuto dire per primi che si doveva fermare l’inquinamento. Invece oggi mi ritrovo a pensare a chi lavora le cozze, al mare così inquinato, al posto di lavoro perso. E mi sento in colpa».Piero conclude mentre la sera avvolge nuvole e ciminiere. Piega un attimo la testa, trattiene il fiato e trova la forza per guardare la piazza, quegli occhi nei quali cerca sguardi e pensieri uguali al suo dolore: «Chi pagherà l’inquinamento a Taranto? Lo Stato e le aziende. È l’ora in cui la politica e le industrie si prendano la loro responsabilità. Risarcire Taranto. Chiederlo per i malati, i bambini, per chi vive in questa città». La piazza applaude. Piero non smette di piangere. Poi si riprende e si mescola di nuovo alla folla, quasi avesse bisogno del suo calore, del suo abbraccio protettivo. Sembra compiuta una specie di Apocalisse d’acciaio. Tante le strette di mano, tanti gli incoraggiamenti dei «liberi e pensanti». Per sentirsi meno solo, in una sera d’agosto al quartiere Tamburi, a Piero può bastare. [fulvio colucci]

La Gazzetta del Mezzogiorno 4/08/12

La testimonianza: «Ma Taranto ha perso la speranza»

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lSui sandali di cuoio s’arrampicano i passi di una marcia lenta e fiera, che Cecilia Mangini percorre con uniforme di fiori e di seta. Vapore nei ricci grigi e confusi, pugni stretti e parole di «sindacalismo buono, d’altri tempi» regalate agli operai riuniti in piazza in comitato. Gli occhi in cerca di un rifugio «per queste gambe stanche» e una panchina eletta a luogo della riflessione. Teatro d’essai a cielo aperto, col monumento ai caduti, una ragazza e un cane, ascoltatori sordi. Cecilia Mangini s’annuncia. Da Taranto è passata già nel 1981 insieme a Lino Del Fra, suo marito e, come lei, regista, per girare Comizi d’amore ’80: «Ci spinse il bisogno di continuare il racconto sofferto di quel Sud impresso nei Comizi d’amore di Pasolini». I giorni dell’Ilva sono l’invito a riprendere quel viaggio e quelle storie: «Torno con occhi semplici, sinceri, ma nettamente schierati: la mia lettura dei fatti è partigiana; la mia parte sono gli operai ». Sono i protagonisti di una città dolente e addolorata, specchio di una delle tante Italie arrugginite: «Taranto, come Brindisi e Manfredonia, è lo stigma di un paese che produce rifiuti che, poi, non sa smaltire. In più, c’è che Taranto è una città martire, condannata a stare abbracciata a un mostro che la uccide ogni giorno di più». Cecilia guarda il capannello d’operai a media distanza. Prova a discernere le voci. Registra gli umori: «Ho capito che molti operai dell’Ilva difendono Riva perché credono, così, di difendere il lavoro. Francamente, mi sembra una posizione stupida. Temo che dopo il danno ci sia la beffa: Riva potrebbe prendere i bagagli e andare via prima che ci sia stato il tempo di imporgli di risarcire una città che gli ha offerto tanto e che si è offerta in blocco». S’incastrano i pezzi di una storia che ha colpe pubbliche e vizi privati: «Servirebbe, allora, una soluzione globale. Gli operai non sono che la prima linea del fronte. Si soffre anche nelle retrovie: quelle del lavoro nero, dei malati di cancro e dei mobbizzati. Qui, lo Stato sociale è stato sradicato giorno dopo giorno. C’è qualcosa che Taranto aveva negli anni ottanta e che adesso ha perduto: la speranza». Un senno di poi lungo vent’anni ha chiarito il nome vero di quella suggestione. Non speranza ma illusione si chiamava: «La colpa è tutta della sinistra. Sindacati e partiti si sono liquefatti, perdendo il senso del lavoro nei loro dizionari. Così è scomparsa la classe operaia: sono rimasti gli operai, ma senza classe». Perduti dentro a una dialettica spuria, che spesso associa azienda e sindacati e che smarrisce il senso del conflitto, manipolando la genetica dello sciopero che, scriveva Giugni, «qualche disagio al padrone lo deve dare». «Ho amato il Pasolini della prima ora. Quello che prese i Ragazzi di vita e li mostrò alla nazione intera. Oggi non so cosa direbbe di questi nostri operai». Cecilia saluta con gentilezza umanistica. La marcia felpata, le mani nodose. Afferra per le spalle un operaio «non allineato», uno di quelli che hanno scelto di non stare con la casacca di Fiom, Fim e Uilm: «Tu e i tuoi amici datevi fare. Dovete diventare maggioritari». [Paolo Inno]

La Gazzetta del Mezzogiorno 4/08/12

Conversazioni che scottano «Serve pagare la stampa» l’Ilva licenzia un funzionario

di MIMMO MAZZA .TARANTO - Girolamo Archinà - sino a ieri pomeriggio super pr dell’Ilva - conosceva per mestiere tante persone ma tra il ventaglio di conoscenze, svelate impietosamente dai mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali compiute dai militari della Guardia di Finanza, non c’è il ministro dell’Ambiente Corrado Clini. Ieri la Gazzetta ha riferito di un colloquio avvenuto tra Archinà e un consulente del gruppo Riva nel 2010, chiacchierata nella quale Clini, allora direttore generale del Ministero dell’Ambiente, viene definito «uomo nostro». Clini ha però smentito con decisione qualsiasi contatto con la dirigenza dell’Ilva, lamentandosi della diffusione della intercettazione (il cui contenuto la Gazzetta conferma integralmente), dalla quale intravede «l’evidente l’intento insinuante e suggestivo, perché sfornita di qualsiasi supporto probatorio». L’ARPA - Archinà, licenziato ieri pomeriggio dall’Ilva dopo quanto emerso nel corso dell’udienza al tribunale del Riesame, conosce tante persone. Tra queste c’è il direttore dell’Arpa Puglia Giorgio Assennato che chiama il 21 giugno del 2010 per fargli le sue rimostranze verso un documento che a suo dire porterebbe alla chiusura dello stabilimento Ilva. Si tratta di una lettera dell’Arpa, firmata dai funzionari Blonda e Giua, relativa al benzo(a)pirene. Archinà è preoccupato perché all’Ilva potrebbe essere imposta una riduzione della produzione, riuscendo a trovare una soluzione. 

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ARCHINA’: Ci complica sempre la vita, porca miseria! ASSENNATO: Non si complica la vita, queste sono le nostre proposte, che d’altra parte erano già note. E dopo di che si fa una riunione tecnica con l’Ilva e si vede che cosa concretamente si riesce a definire, se si riesce a definire, se non si può definire niente non c’è problema, qual è il problema? Ma noi questo l’avevamo già detto! Cioè non, che cosa c’è di soprendente rispetto a quello che avevamo già detto? ARCHINA’: ma no di sorprendente...di sorprendente c’è parecchio, che cioè nel senso... ASSENNATO: e che cosa? ARCHINA’: allora, la riduzione...ci sono tutte le forme di riduzione produttive e a funzione dei venti che questo e per esempio... ASSENNATO: questo è quello che avevamo già anticipato che è una ipotesi se viene fuori da un tavolo tecnico o una ipotesi diversa concertata da Ilva e dall’Arpa ma trasmetteremo alla Regione dicendo che siamo d’accordo per un tavolo tecnico con Ilva che lo stesso risultato si ottiene diversamente. ARCHINA’: va bene. IL SINDACO E LA STAMPA - Tra giugno e luglio del 2010 l’Ilva vive giorni difficili. La coscienza ambientale tra i tarantini aumenta e con essa il numero di denunce. Il sindaco Ezio Stefàno firma una ordinanza con la quale vieta ai bambini di giocare in una piazza del rione Tamburi. Archinà parla al telefono con un consulente del gruppo Riva. Archinà giustifica Stefàno «si è presa la denuncia, quindi per reazione che deve fare, ti fa l’ordinanza». E all’interlocutore che lo sollecita a fare qualcosa contro gli ambientalisti, testualmente da colpire, dice. ARCHINA’: è così che bisogna fare, è così che bisogna fare più che prendersela col sindaco e interrompere i rapporti col sindaco, più che prendersela con il procuratore e che lui l’azione penale è obbligatoria, più che prendersela, cioè il problema è questo, nel momento in cui ti fanno le denunce, ti fanno le sollecitazioni, trovano una sporca stampa che fa da cassa di risonanza. Perché il problema è questo, purtroppo ancora una volta...sono costretto a dire avevo ragione! Cioè, io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliarli la lingua! Cioè pagare la stampa per non parlare! L’AVVOCATO E I CONTROLLI - Non c’è solo Archinà nel mirino degli uomini delle Fiamme Gialle. Intercettando Fabio Riva, vicepresidente del gruppo e indagato per concorso in corruzione in atti giudiziari con Archinà, l’ex direttore dello stabilimento siderurgico Luigi Capogrosso e il consulente della Procura Lorenzo Liberti, gli inquirenti svelano i rapporti esistenti tra l’avvocato Franco Perli, uno dei componenti del collegio difensivo dell’Ilva , e Luigi Pelaggi, capo dipartimento del ministero dell’Ambiente. Perli il 9 giugno del 2010 dice a Fabio Riva che Pelaggi ha dato precise disposizioni all’ingegner Dario Ticali, presidente della Commissione istruttoria per l’autorizzazione ambientale integrata su come procedere nell’immediato futuro nel corso dell’iter della trattazione. «L’avvocato Perli chiama Fabio Riva, lo avvisa che è stato contattato da Pelaggi - si legge nel brogliaccio - con il quale ha discusso della situazione dopo aver visionato la documentazione. Perli dice che adesso si incontrerà con Pelaggi per discutere della strategia da adottare, gli riferisce che Pelaggi ha dato disposizione a Ticali di parlare con Assennato. Perli gli comunica che Pelaggi gli ha anche riferito che la Commissione ha accetato il 90% delle loro osservazioni e che la visita riguarda il restane 10%. Perli aggiunge che non avranno sorprese e comunque la visita della Commissione in stabilimento va un po’ pilotata». Stralci di colloqui, una piccola goccia - 60 pagine appena - nel mare magnum di una informativa lunga 1000 pagine, in grado di svelare la fitta trama di contatti che l’Ilva aveva intessuto con i palazzi del potere, le redazioni giornalistiche, gli organi di controllo.

La Gazzetta del Mezzogiorno 4/08/12

Riesame, udienza fiume l'azienda si difende ma spuntano nuove carte

TARANTO - La procura insiste e gioca la carta delle intercettazioni. La difesa si arrocca sulle sue posizioni. Prova a parare il colpo e risponde con una montagna di documenti. Consulenze e dati per spiegare che l'Ilva agisce nel rispetto delle regole.

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Così nel chiuso della camera di consiglio è deflagrato lo scontro tra la procura di Taranto e i legali della grande acciaieria.Ieri nel blindatissimo tribunale ionico è stato il giorno del Riesame. Il giorno del confronto sul sequestro dell'area a caldo e sugli arresti domiciliari per il re dell'acciaio Emilio Riva, suo figlio Nicola e altri sei dirigenti.La campanella è suonata alle 9 e 25 e ha inaugurato un'udienza fiume che alla fine è risultata insufficiente. Perché la discussione riprenderà questa mattina alle 9 in attesa del verdetto della prossima settimana.Ieri in cattedra è salito il pubblico ministero Mariano Buccoliero per sciorinare i risultati dell'inchiesta scoppiata il 26 con i provvedimenti restrittivi impugnati dalla difesa. Il magistrato è partito dall'imputazione di disastro ambientale, pietra angolare dell'impianto accusatorio. Una contestazione che nelle parole del pm ha preso forma grazie agli esiti delle super perizie. Così il magistrato ha spiegato che le emissioni di diossina e di benzoapirene uccidono e fanno ammalare i tarantini. «Per l'80% - ha tuonato - le emissioni inquinanti sono da ricondurre all'attività a terra dei reparti e non alle emissioni delle ciminiere» . Di qui il sequestro dei sei impianti dell'area a caldo che costituiscono il cuore pulsante della grande fabbrica dell'acciaio. Il magistrato ha ribadito che l'inquinamento è un problema attualissimo e non solo il retaggio di decenni di attività dello stabilimento. Un modo per sottolineare le responsabilità degli indagati e la necessità di intervenire per stoppare un reato che appunto uccide e fa ammalare.Il folto collegio della difesa ha replicato con controperizie e otto memorie. «Lo stabilimento Ilva - si legge nei documenti della difesa- esercisce nel pieno e indiscusso rispetto di una legittima autorizzazione integrata ambientale emessa dalla competente pubblica amministrazione nell'agosto del 2011.Anche le contestazioni elevate in passato non hanno mai individuato presunti sfondamenti dei limiti di emissione. Dal 1998 al 2011 - continuano gli avvocati di Ilva - lo stabilimento ha investito solo in tecnologie finalizzate alla tutela dell'ambiente e della salute, circa un miliardo e centouno milioni di euro, pari al 24% degli investimenti totali. Le polveri? I livelli di Taranto sono considerevolmente inferiori a quelli medi annui registrati nelle aree urbane del nord Italia». In sostanza letture agli opposti. E la battaglia riprenderà questa mattina.

La Repubblica 4 agosto 2012

Leghiamo gli ispettori alla sedia'

IL DIRIGENTE Ilva è imperativo e categorico, con un altro dirigente Ilva. Il suo tono di voce, non ammette repliche: "La stampa dobbiamo pagarla tutta". I pubblici ministeri fanno capolino davanti ai giudici del riesame con un faldone pieno così, di intercettazioni telefoniche. Chiacchierate che compromettono pesantemente le posizioni degli otto indagati, da giovedì 26 luglio agli arresti domiciliari con l' accusa di disastro ambientale. E che dimostrano, secondo i requirenti, che sono ancora in grado di inquinare le prove. A cominciare da quelle relative ai dati sulla emissione dei veleni prodotti all' interno dell' area "a caldo". Ci sono registrazioni che testimoniano come da Ilva chiedono conto al capo dell' Arpa, l' agenzia regionale per la tutela dell' ambiente, Giorgio Assennato, dei risultati di una campagna di rilevamenti. Sono sempre gli scambi di battute fra dirigenti, a tenere banco. "DOBBIAMO legargli il culo alla sedia". Il riferimento è a esperti della squadra di Assennato che avrebbero dovuto fare capolino in fabbrica per sopralluoghi attraverso cui capire se le concentrazioni di qualsiasi intruglio inquinante non fossero salite alle stelle. Controlli che evidentemente erano particolarmente temuti e che, a quanto pare, dovevano in un modo o nell' altro essere esorcizzati. I racconti delle cimici che ascoltano tutto erano finiti in un altro fascicolo, quello relativo alla corruzione in atti giudiziari, seguito dal pm Remo Epifani. Conversazioni in parte stralciate perché sarebbero utili a Sebastio & C. per sottolineare la necessità di continuare a tenere chiusi dentro le mura delle rispettive abitazioni gli indagati, descritti come disposti a tutto pur di raggiungere la meta. Come quando il professore universitario Lorenzo Liberti, consulente della procura, parla con un dirigente Ilva per comunicargli il contenuto della perizia che i pm gli avevano affidato e si sofferma sugli aspetti del documento da correggere o perfino da rivedere. E' come se Cappuccetto rosso facesse amicizia con il lupo cattivo. Accade di tutto, ieri, compresa questa storia dei dialoghi inediti che suona come un vero e proprio colpo di

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scena. E' il giorno in cui il nuovo presidente del più grande stabilimento siderurgico d' Europa, Bruno Ferrante, si presenta di fronte ai giudici del riesame. Un' udienza a cui fa da sfondo l' immagine surreale del tribunale, letteralmente blindato dalle forze dell' ordine. Temevano che dovesse essere preso d' assedio dagli operai Ilva: pericolo scongiurato. Qualcun o aveva immaginato d' imbarcarsi a bordo di un pullman, che dalla fabbrica avrebbe dovuto raggiungere il Palazzo di giustizia. Ma lo stesso Ferrante aveva spento gli ardori di quelli che apparivano più agitati e intimato ai "suoi" di tirare i remi in barca. I legali dell' Ilva si presentano armati di memorie e controperizie. Centinaia di pagine per raccontare che "lo stabilimento di Taranto esercisce nel pieno e indiscusso rispetto di una legittima Autorizzazione integrata ambientale, emessa dalla competenze pubblica amministrazione nell' agosto 2011. Anche le contestazioni elevate in passato non hanno mai individuato presunti sfondamenti dei limiti di emissione. Dal 1998 al 2011 lo stabilimento ha investito, solo in tecnologie finalizzate alla tutela dell' ambiente e della salute, circa un miliardo 101 milioni 299mila euro, pari al 24% degli investimenti totali. Le polveri? I livelli di Taranto sono considerevolmente inferioria quelli medi annui registrati nelle aree urbane del Nord Italia, e anche a Firenze o Roma". (l.par.)

La Repubblica 4 agosto 2012

LA PARABOLA DI UNA CITTÀ AVVELENATA E IL RISANAMENTO IMPOSSIBILE

ANNAMARIA RIVERA. Le morti bianche, il sistema degli appalti che ha portato la mafia, uno sviluppo artificiale ed eterodirettoEra l'alba degli anni sessanta quando vidi per la prima volta un cadavere: il corpo a malapena ricomposto di un ragazzo, compagno di vacanze estive al mare. Per tragica ironia del destino, lui, campione di tuffi, era precipitato da un'impalcatura del cantiere che costruiva l'Italsider di Taranto. Era una delle prime vittime dell'acciaieria, oltre che di una bocciatura scolastica punita con l'obbligo di un lavoro estivo. Lavoro nerissimo, controlli zero e neppure il minimo rispetto della sicurezza: era il sistema, che sarebbe diventato sempre più reticolare, degli appalti e dei subappalti, favorito dalla stessa Italsider per tagliare tempi e costi dei lavori e disporre di manodopera sottomessa. Quello che ho raccontato fu solo uno dei più precoci omicidi bianchi, una lunga teoria che avrebbe scandito la vita quotidiana della città. Già altissimo nella fase della costruzione, il tasso d'infortuni, compresi i mortali, nel 1970 s'impennò a 1.694 ogni 1.000 operai: in sostanza quasi due infortuni l'anno per ogni operaio. Ben presto ai sacrificati direttamente dal profitto si sarebbero aggiunte le vittime dell'inquinamento, la cui entità mostruosa è talmente nota che sarebbe pletorico insistervi. Per dire solo della mia famiglia, all'unica di noi tre sorelle rimasta a Taranto non sono serviti a salvarla dalla morte per cancro l'attivismo ecologista e neppure la sobrietà estrema dello stile di vita. E di cancro si è ammalata buona parte dei cugini che tuttora vi risiedono.A proposito del sistema degli appalti, è grazie ad esso che nella città dei due mari esordiva e s'infiltrava la mafia che poi si sarebbe organizzata nella Sacra Corona Unita, nella Nuova Camorra Organizzata e in altre reti criminali. Insomma, la "cattedrale nel deserto" e il sistema mafioso stravolsero per sempre non solo l'ecosistema ma anche il tessuto sociale e politico della città, un tempo comunista in buona parte, e produssero alla lunga boss feroci come i fratelli Modeo e loschi figuri come il sindaco Cito, con la sua progenie tuttora sulla breccia politica. Come ha scritto Ornella Bellucci in Il mare che non c'è. Come un'industria può divorare una città (a cura di C. Raimo, 2007), «la dilatazione degli appalti e di un indotto parassitario» sono stati «il brodo di coltura dell'inferno degli anni ottanta, della connivenza tra mafia e politica, delle guerre di mala, dell'implosione del sistema delle partecipazioni statali».Certo, c'erano stati anni migliori, sul versante del protagonismo e della coscienza operaia e di conseguenza anche su quello delle istituzioni. La fase della riscossa operaia, dal 1969 alla metà degli anni '70, il ruolo svolto dai consigli di fabbrica, la capacità di saldare le rivendicazioni dei lavoratori garantiti dell'Italsider con quelle dei non garantiti dell'indotto, si riflessero poco più tardi nella famosa Vertenza Taranto, sui temi dell'occupazione e dello sviluppo, che riuscì a coinvolgere l'intero mondo del lavoro e buona parte della società tarantina.Alcuni giorni fa, in una trasmissione radiofonica, Ferrante, il presidente dell'Ilva - distintasi per una gestione talmente dispotica da avere come emblema il confino degli operai riottosi nelle palazzine

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Laf - ha parlato, non smentito da alcuno, di «uno splendido rapporto con lavoratori e sindacati». Tuttavia, le larghe intese non sono una novità dell'oggi, con forze sindacali e politiche di fatto alleate col padronato e il governo - rappresentato ora da un ministro dell'Ambiente credibile come una volpe nel pollaio - tutti a far pressione, in modo più o meno esplicito, contro l'imprudenza della magistratura tarantina. La quale in realtà è stata la sola a non dare mai tregua al Gruppo Riva, condannato per la prima volta nel 1982 grazie a Franco Sebastio, allora sostituto procuratore.Già nel 1958 - ricorda Ornella Bianchi (Il diritto dimezzato, Annali della Fondazione G. Di Vittorio, 2011) - al momento di decidere del polo siderurgico «si saldò a livello locale un'ampia intesa tra istituzioni, forze politiche di diverso colore, associazioni imprenditoriali e le stesse organizzazioni sindacali», solidali nell'ideologia ultra-industrialista, anche se non nell'intera gamma d'interessi. «Non si levò dunque alcuna voce critica - continua Bianchi - contro uno sviluppo ancora una volta artificiale ed eterodiretto, né si espressero dubbi sulla sostenibilità ambientale di una acciaieria così imponente e così a ridosso della città». Più tardi, «neppure i sindacati condannarono i troppi incidenti che cominciavano a scandire la vita dell'Italsider, assegnandogli il triste primato delle morti sul lavoro».Alle elementari si apprendeva che avevamo il privilegio d'essere nate nella capitale della Magna Grecia, la città di Archita, Liside e altri pitagorici, che conserva la più grande collezione al mondo di ori dell'antichità, la città che a quel tempo aveva la palma del primo ponte girevole, di uno dei più bei tramonti del Mediterraneo e anche del più importante allevamento di mitili al mondo, poi distrutto dall'acciaieria. Intorno alla mitilicoltura, alla pesca e all'agricoltura fioriva una rete di piccole industrie agroalimentari, certo del tutto insufficiente a compensare la disoccupazione crescente, legata alla gravissima crisi economica degli anni '50, provocata dal declino dell'Arsenale militare e di altri cantieri navali. Ma non era ineluttabile che il destino della molle Tarentum fosse d'essere ingoiata dal mostro avido di sacrifici, partorito dai sogni della coalizione industrialista. Un mostro che insieme alla città ha divorato non solo antiche masserie, reperti archeologici, immense distese di mare, spiagge e pinete, ma anche un numero incredibile di esseri umani, per non parlare dei non umani. È assai dubbio che al punto in cui si è, cioè di distruzione di un intero ecosistema, si possa inseguire la chimera di un'acciaieria compatibile, come vanno promettendo alcuni. E poiché il governo e altri decisori politici hanno scelto di destinare una somma ingentissima non già alla riconversione produttiva, bensì a un irrealistico risanamento, è improbabile che possa risolversi l'antinomia fra il lavoro e la vita.

Il Manifesto 4 agosto 2012

Ilva, il procuratore: "La politica non deve scaricare le responsabilità sui giudici"Il procuratore di Taranto, Franco Sebastio: "La magistratura non può graduare gli interventi. Come mai i Riva ricevono premi per la tutela ambientale che riescono ad assicurare in Francia e Germania e da queste parti no? Dovrebbero fare dei lavori. A ottobre, la riunificazione dei procedimenti penali per la morte di 30 operai"

LELLO PARISE . TARANTO  -  "Sono mesi che non dormiamo la notte per questa storia" racconta Franco Sebastio, procuratore della Repubblica a Taranto. La storia è quella dell'Ilva e si trascina dietro un vero e proprio incubo: quello che da un giorno all'altro per il sequestro dell'area "a caldo" dell'impianto siderurgico, migliaia di operai  -  tra i 5mila e i 20mila  -  possano ritrovarsi con le braccia incrociate perché resterebbero senza lavoro. Il capo dei requirenti, scuote la testa: "Io lo ripeto da anni, fino alla noia".Ripetere, che cosa?"Cari amministratori pubblici, non dovete scaricare questi problemi sull'autorità giudiziaria".Perché?"La risposta è semplice: la magistratura non può graduare i suoi interventi".Si muove come un caterpillar?"Facciamo quello che possiamo, ma sempre nei limitati confini dei codici. Non per questo siamo dei robot o degli animali. Capisco bene l'ansia di tanta gente, però siamo in un vicolo cieco".Come si dice in questi casi, la giustizia deve fare il suo corso?"Noi i processi li facciamo nelle aule di giustizia, non sulla base di questa o quella dichiarazione. E meno che mai di pressioni, di qualsiasi genere. E' come se a Palermo chi si occupa di criminalità

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organizzata avesse il timore di prendere qualunque decisione perché potrebbe infastidire Tizio o Caio. Intendiamoci: adesso non fatemi passare come quello che vuole paragonare il "caso Ilva" a un affare di mafia".Un brutto affare comunque, sì: qualora dovesse essere spenta la cosiddetta area a caldo, a quanto pare tutta la fabbrica andrebbe a farsi benedire."A Genova, tra il 2001 e il 2005, i Riva avevano lo stesso grattacapo, chiamiamolo in questo modo: pure in Liguria c'era stato il sequestro preventivo dell'area a caldo. Come è andata a finire? Hanno trasformato tutti i procedimenti, "a freddo". Perché a Taranto non potrebbe succedere la stessa cosa? Come mai sempre i Riva, ricevono premi per la tutela ambientale che riescono ad assicurare negli stabilimenti che hanno in Francia e Germania e, da queste parti, no?".Già, perché?"Lo sottolineava non più tardi di qualche giorno fa il procuratore generale di Lecce, Vignola: quelli di Taranto, non sono morti di serie B. Ha ragione e del resto sarebbe difficile dargli torto".E' possibile insomma percorrere un'altra strada, per il più grande gruppo siderurgico italiano?"Se facessero alcuni lavori... Sarebbe sufficiente seguire le indicazioni che sono state date dal gip".Nel frattempo davanti ai giudici del riesame, depositate un faldone di intercettazioni: telefoniche o ambientali?"Telefoniche. Ma non aggiungo una parola di più".D'accordo, tuttavia ci sarà una ragione del perché avete tirato fuori, perfino un po' a sorpresa, nuove "carte"."Esiste un pericolo d'inquinamento della prova e, dal nostro punto di vista, lo dimostriamo con la presentazione di questi documenti. Ed è la ragione per cui agli indagati non dovrebbe essere revocata la misura cautelare (ai domiciliari, ndr)".Al Riesame l'ultima parola."Devono stabilire il da farsi entro il 9 di questo mese".Avanti tutta."A ottobre, credo, riunificheremo due procedimenti penali legati a trenta operai dell'Ilva che sono morti. Abbiamo inquisito, per questi decessi, tutti i soggetti che negli ultimi trent'anni hanno avuto compiti direttivi all'interno dell'azienda".Procuratore Sebastio, subisce intimidazioni perché a testa bassa combatte contro un colosso dell'industria italiana?"Io continuo ad avere il mio nome sull'elenco telefonico".

La Repubblica 04 agosto 2012

Ilva, attesa per il verdetto del Riesame . Clini: "Nessun rapporto con i dirigenti"Entro giovedì la decisione sul sequestro e i domiciliari per i vertici del colosso: la procura deposita nuove intercettazioni, la difesa proprie perizie per dimostrare il rispetto delle regole. Quarantuno denunce per i disordi durante la manifestazione di giovedì. Spunta il riferimento al ministro dell'Ambiente. L'azienda licenzia il funzionario indagato

La prossima settimana, forse già mercoledì, il verdetto sui sigilli e gli arresti all'Ilva. Ma con le nuove intercettazioni depositate dalla procura, scoppia un caso Clini. Il contenuto è filtrato nel corso dell'udienza del tribunale del Riesame, conclusasi oggi, sui ricorsi presentati dal colosso del siderurgico contro il decreto di sequestro di sei impianti dell'area a caldo e l'arresto di otto dirigenti ed ex dirigenti. Il riferimento al ministro, e ai suoi presunti rapporti con dirigenti dell'azienda, filtra da indiscrezioni, e non risulta nelle carte depositate dalla Procura che riguardano il procedimento per disastro ambientale. Si riferisce però al procedimento per corruzione in atti giudiziari che è stato unificato a quello nei confronti dell'Ilva per disastro ambientale colposo e doloso. Il ministro dell'Ambiente prende le distanze dalle indiscrezioni che definisce: "Insinuazioni inaccettabili". L'Ilva, nel frattempo, licenza il funzionario addetto alle pubbliche relazioni del Gruppo, indagato.Gli atti depositati ieri - in cui leggono altre conversazioni tipo "la stampa dobbiamo pagarla tutta; gli ispettori, dobbiamo legargli il culo alla sedia" - riguardano solo il filone 'ambientale' della vicenda. E in una nota ufficiale il procuratore di Taranto Franco Sebastio precisa: "Nelle intercettazioni depositate dalla procura davanti al tribunale del Riesame non c'è alcun riferimento al ministro

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dell'Ambiente, Corrado Clini; in nessuna di tali intercettazioni risulta, direttamente o indirettamente, il nome del ministro". C'è però quello di Girolamo Archinà, ex pr di Ilva, protagonista di alcune telefonate agli atti, scaricato dall'azienda. "La società - ha comunicato il presidente Bruno Ferrante - ha da oggi interrotto ogni rapporto di lavoro con il sig. Girolamo Archinà che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresentare la società stessa. La decisione del presidente è stata immediatamente presa dopo quanto emerso nel corso del procedimento di Riesame". Le intercettazioni.  "La stampa dobbiamo pagarla tutta". Su quest'ultimo passaggio nelle nuove carte è intervenuto anche l'Ordine dei giornalisti della Puglia, chiedendo la documentazione alla procura per "valutare l'eventuale apertura di procedimenti disciplinari per violazioni deontologiche". Le registrazioni testimoniano anche come da Ilva chiedono conto al capo dell’Arpa, l’agenzia regionale per la tutela dell’ambiente, Giorgio Assennato, dei risultati di una campagna di rilevamenti. Sono sempre gli scambi di battute fra dirigenti, a tenere banco. "Dobbiamo legargli il culo alla sedia”, riferito agli ispettori. Nella vicenda Ilva è inoltre venuto a galla anche il presunto episodio di corruzione che figura nel procedimento per corruzione in atti giudiziari. E' Archinà il funzionario Ilva che avrebbe fatto le telefonate a esponenti dell'Arpa e delle autorità di controllo per evitare che l'azienda subisse provvedimenti restrittivi in materia ambientale nonché attivato una serie di contatti ed incontri affinché la posizione dell'azienda venisse salvaguardata. Lo stesso Archinà, secondo l'accusa, è anche il funzionario che avrebbe consegnato al docente universitario Lorenzo Liberti una busta con diecimila euro nel retro di una stazione di servizio dell'autostrada per Bari, quando Liberti faceva parte del gruppo di consulenti nominato dalla Procura nell'ambito di un'inchiesta sul colosso. In questo filone sono indagati appunto Liberti, il vice presidente del gruppo Riva, Fabio Riva, l'ex direttore dello stabilimento Ilva di Taranto, Luigi Capogrosso, e lo stesso Archinà.Il caso Clini. Il ministro Clini "non si è mai occupato della Autorizzazione integrata ambientale dell'Ilva" "né ha mai avuto rapporti con la dirigenza Ilva" in merito. Le "insinuazioni" sono state segnalate al Capo dello Stato e al ministro della Giustizia. Lo fa sapere il ministro in merito a un'intercettazione riportata su un quotidiano in cui proprio il manager dell'Ilva Archinà avrebbe detto dell'allora direttore generale del ministero dell'Ambiente 'Clini è un uomo nostro'". Sulla vicenda l'ufficio stampa del ministro ha diramato una nota. "Il deposito nel corso dell'udienza preliminare da parte dell'ufficio della Procura di una intercettazione del 2010 nella quale un dirigente Ilva allude a buoni appoggi da parte di Clini costituisce una grave violazione della deontologia processuale", si legge nel comunicato, in cui si precisa che "è evidente l'intento insinuante e suggestivo dell'uso di una intercettazione priva del minimo indizio di rilevanza nel processo, perché sfornita di qualsiasi supporto probatorio". "Clini nel 2010 - precisa la nota - era direttore della direzione generale per lo Sviluppo sostenibile, il clima e l'energia, non competente in materia di autorizzazione integrata ambientale (Aia)". Il ministro "non si è  mai occupato della procedura Aia dello stabilimento Ilva, come risulta anche dall'istruttoria pluriennale condotta dal ministero, né ha mai avuto a tal proposito rapporti con la dirigenza Ilva". "Perché - si chiede l'ufficio stampa del ministro - rendere pubblica un'intercettazione del 2010 tra un dirigente Ilva ed uno sconosciuto che parlano di Clini, evidentemente irrilevante ai fini del procedimento, nel momento in cui il ministro Clini è impegnato a nome del governo a ricercare soluzioni positive per il risanamento ambientale di Ilva, la continuazione produttiva dello stabilimento e la salvaguardia dell'occupazione?". "In questo momento - sottolinea la nota - abbiamo bisogno di senso di responsabilità, trasparenza e puntuale riscontro di fatti e dati". Il ministro comunque "ha segnalato la situazione al Presidente della Repubblica ed al  ministro della Giustizia".La decisione del Riesame. Il deposito dell'ordinanza del Riesame dovrà arrivare entro giovedì 9 agosto. "Ho chiesto di fare una dichiarazione spontanea in cui ho raccontato lo stato d'animo e ho detto in modo assolutamente chiaro che dobbiamo abbassare i toni, essere meno litigiosi, meno conflittuali". Questa la dichiarazione del presidente Ferrante, a termine dell'udienza che era cominciata ieri con le conversazioni telefoniche depositate dalla procura e la montagna di documenti della difesa che ha presentato due sue perizie, consulenze e dati per spiegare che l'Ilva agisce nel rispetto delle regole.La posizione dell'azienda. "Ho comunicato formalmente - ha proseguito Ferrante - che rinunciamo a presentare ricorso contro la riapertura dell'Aia e non impugneremo la sentenza del Tar della Puglia, che ci ha dato solo parzialmente ragione e non impugneremo le parti per noi negative di quella sentenza". "E' un segnale a nostro avviso molto importante - ha aggiunto - di

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una volontà precisa di dialogo, di confronto. Problemi gravosi, seri, complicati come quelli che stiamo affrontando, che la città e i lavoratori stanno affrontando, si risolvono soltanto se c'è da parte di tutti senso della misura, equilibrio e animo sereno". "Abbiamo questo dovere - ha concluso - nei confronti della città di Taranto e dei lavoratori dell'Ilva, dobbiamo trasmettere messaggi rassicuranti e recuperare serenità d'animo. Senza questo sarebbe difficile risolvere i problemi". ''Sapete che sono al lavoro i custodi ma al momento non c'è stata alcuna diminuzione nella produzione - ha detto ancora Ferramte - le intercettazioni depositate dalla Procura non sono un elemento decisivo e importante per lo svolgimento di questa fase del processo".Le mosse dell'accusa. Ieri in cattedra, il pubblico ministero Mariano Buccoliero, ha sciorinato i risultati dell'inchiesta scoppiata il 26 con i provvedimenti restrittivi impugnati dalla difesa. Il magistrato è partito dall'imputazione di disastro ambientale, pietra angolare dell'impianto accusatorio. Una contestazione che nelle parole del pm ha preso forma grazie agli esiti delle super perizie. Così il magistrato ha spiegato che le emissioni di diossina e di benzoapirene uccidono e fanno ammalare i tarantini. "Per l'80% - ha tuonato  -  le emissioni inquinanti sono da ricondurre all'attività a terra dei reparti e non alle emissioni delle ciminiere" . Di qui il sequestro dei sei impianti dell'area a caldo che costituiscono il cuore pulsante della grande fabbrica dell'acciaio. Il magistrato ha ribadito che l'inquinamento è un problema attualissimo e non solo il retaggio di decenni di attività dello stabilimento. Un modo per sottolineare le responsabilità degli indagati e la necessità di intervenire per stoppare un reato che appunto uccide e fa ammalare. Le controperizie. Il folto collegio della difesa ha replicato con controperizie e otto memorie. "Lo stabilimento Ilva  -  si legge nei documenti della difesa - esercisce nel pieno e indiscusso rispetto di una legittima autorizzazione integrata ambientale emessa dalla competente pubblica amministrazione nell'agosto del 2011. Anche le contestazioni elevate in passato non hanno mai individuato presunti sfondamenti dei limiti di emissione. Dal 1998 al 2011  -  continuano gli avvocati di Ilva - lo stabilimento ha investito solo in tecnologie finalizzate alla tutela dell'ambiente e della salute, circa un miliardo e centouno milioni di euro, pari al 24% degli investimenti totali. Le polveri? I livelli di Taranto sono considerevolmente inferiori a quelli medi annui registrati nelle aree urbane del nord Italia". In sostanza letture agli opposti. E la battaglia riprenderà questa mattina.Le denunce. Quarantuno persone sono state identificate e saranno denunciate per i disordini durante la manifestazione di giovedì scorso in piazza della Vittoria. L'attività degli investigatori della questura si è focalizzata in particolare sui contestatori che hanno acceso i fumogeni e abbattuto le transenne per arrivare proprio sotto il palco con un piccolo mezzo a tre ruote. Il gruppo, autodefinitosi 'comitato di cittadini e operai liberi e pensanti' ha contestato i sindacati interrompendo il comizio.

La Repubblica 04 agosto 2012

Ilva, per la bonifica stanziati 336 milioni

TARANTO - «L' Ilva riceverà fondi pubblici solo se introdurrà innovazioni tecnologiche, e non per mettersi in regola con i limiti imposti dalla legge». Il ministro dell' Ambiente, Corrado Clini, detta le condizioni al colosso dell' acciaio. Il Consiglio dei ministri che ha approvato il decreto legge sull' Ilva, stanziando 336 milioni di euro per la bonifica, si è appena concluso. Il ministro non nasconde la soddisfazione e fissa già i paletti. «Gli investimenti delle imprese per obblighi di legge e prescrizioni sono a carico delle imprese stesse - sottolinea Clini - . Solo in caso di iniziative sull' innovazione tecnologica c' è la possibilità di accedere a un cofinanziamento. Se l' Ilva ci porterà un progetto saremo lieti di esaminarlo. Spero che in una settimana il tavolo tecnico individui le soluzioni tecnologiche per ridurre le emissioni». Il decreto legge, arrivato mentre si apriva la prima udienza del Tribunale del Riesame, con un duro scontro di strategie tra procura e azienda, consente l' avvio immediato delle bonifiche nelle aree inquinate. In questo modo sono state individuate misure che, attraverso la semplificazionee l' accelerazione delle procedure, rendono rapidamente spendibili le risorse previste dal Protocollo d' intesa del 26 luglio. Il provvedimento del governoè stato accolto con un applauso bipartisan dal consiglio regionale della Puglia. «È una buona notizia - ha commentato il governatore Nichi Vendola - . Insieme, con rigore e serietà siamo stati all' altezza della drammaticità del passaggio che stiamo vivendo. La scelta del governoè stata quella di accogliere il suggerimento che la Regione Puglia, la Provincia e il Comune di Taranto, la

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deputazione parlamentare avevano avanzato ieri nel corso dell' incontro a Bari con il ministro dell' Ambiente Corrado Clini. Noi abbiamo resistito molto all' idea che ci potesse essere un' ordinanza di protezione civile che avrebbe dato la sensazione di un approccio tutto emergenziale a una questione che invece ha bisogno di un respiro strategico». Secondo Vendola, il decreto legge è lo strumento giusto, perché «svincola immediatamente risorse che possono essere subito cantierizzate e individua la figura di un commissario straordinario per la gestione di questa fase». (r. l.)

La Repubblica 04 agosto 2012

Politici, sindacalisti e anche prelati, la rete d'oro dell'uomo pr dell'IlvaUn sistema di potere impressionante messo in piedi dal dirigente del siderurgico, Girolamo Archinà. E non è finita. La Finanza spulcia nove mesi di intercettazioni. Ferrante lo licenzia

LELLO PARISE - TARANTO  -  La "repubblica indipendente dell'Ilva" tutto vedeva e a tutti provvedeva. Dagli uomini politici ai sindacalisti, dagli alti prelati ai giornalisti. Tremano gli operai, perché i magistrati sequestrano l'area "a caldo" del più grande centro siderurgico d'Europa. Ma adesso trema anche tutta Taranto, perché dalle carte di un'altra inchiesta penale tuttora coperta dal segreto istruttorio potrebbe saltare fuori l'immagine di una città più o meno compromessa col re dell'acciaio, Emilio Riva. L'indagine la coordina il pm Remo Epifani, che chiede sei mesi di proroga. Il reato è quello di corruzione in atti giudiziari. Si tratta della stessa indagine da cui il procuratore Franco Sebastio e il sostituto Mariano Buccoliero stralciano tra le dieci e le quindici intercettazioni per dimostrare che gli otto indagati accusati di disastro ambientale devono rimanere ai domiciliari perché potrebbero continuare, se fossero in libertà, a inquinare le prove. Ma ci sono altre decine di telefonate ascoltate dagli investigatori della Finanza e tuttora riservate, che raccontano della capacità di Ilva di tessere una impareggiabile rete di rapporti, ma pure dell'insistenza di chi dall'Ilva reclama piaceri, favori, un occhio di riguardo o solo un'attenzione particolare. Uomini politici che favorirebbero assunzioni, sindacalisti o ex sindacalisti che non disdegnerebbero promozioni aziendali o l'assegnazione di premi di produzione, preti altolocati che porgerebbero l'altra guancia se riuscissero a ottenere il contributo richiesto, cronisti disposti a diventare malleabili.Nei documenti nascosti di un processo destinato a prendere forma, si materializza lo spaccato di una comunità ostaggio nel bene come nel male dei "padroni delle ferriere". Tutto ruoterebbe attorno alla figura di Girolamo Archinà, da ieri ex responsabile delle relazioni istituzionali di Ilva nel capoluogo ionico. Era, perfino inevitabilmente, arruolato per chiacchierare con tutti. Ma non per questo autorizzato ad alzare la voce, come fa invece col direttore generale dell'Arpa, il professor Giorgio Assennato: protesta dopo l'uscita di un dossier dell'agenzia per l'ambiente che "a suo dire porterebbe alla chiusura dello stabilimento" annotano le fiamme gialle. La conversazione telefonica risale al 21 giugno del 2010. Dodici giorni prima, un avvocato dell'Ilva, Francesco Perli, spiegava a Fabio Riva che la visita della commissione istruttoria l'autorizzazione ambientale integrata "va un po' pilotata" e che la pignoleria di Assennato "è dettata da ambizioni politiche". Tutto parte proprio dall'eclettico Archinà, filmato mentre consegna all'ombra di una stazione di servizio di Acquaviva delle Fonti una busta bianca al professore universitario Lorenzo Liberti. Non un professore qualsiasi, ma il consulente della procura ingaggiato per mettere a nudo presunti giochi di prestigio dell'Ilva lungo il fronte della tutela ambientale. Lo sospettano tuttavia di avere intascato denaro per 10mila euro.Comincia così questa storia, tenuta insieme dalle maledette-benedette intercettazioni andate avanti per nove mesi, nel 2010. Due anni più tardi Bruno Ferrante, nuovo presidente di Ilva, taglia la testa al toro: "La società ha da oggi (ieri, ndr) interrotto ogni rapporto di lavoro con il signor Girolamo Archinà che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresentare la società stessa". E' la linea riveduta e corretta impressa alla multinazionale dall'ex prefetto di Milano: patti chiari e amicizia lunga. Con tutti. Per "abbassare i toni e essere meno conflittuali".

La Repubblica 05 agosto 2012

La strategia per addolcire i giornalisti l'Ordine chiede la carte alla procura

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L'ORDINE dei giornalisti della Puglia annuncia che chiederà «formalmente alla procura della Repubblica presso il tribunale di Taranto l'invio degli atti dai quali emergano eventuali coinvolgimenti di colleghi in comportamenti illeciti» dopo che dirigenti dell'Ilva avrebbero progettato di «pagare tutta la stampa». Spiega il presidente dell'Ordine, Paola Laforgia: «La procura faccia quanto prima chiarezza, mi auguro che le indagini possano escludere qualsiasi coinvolgimento di giornalisti in tentativi di manipolare l'informazione».

La Repubblica 05 agosto 2012 - sez. BARI

Ilva, spunta intercettazione su Clini Dobbiamo parlare con Corrado

TARANTO - Il ministro dell' Ambiente che rischia di essere schiacciato nel tritacarne delle indiscrezioni, un dirigente Ilva licenziato in tronco dal nuovo presidente dello stabilimento di Taranto, una seconda inchiesta per corruzione in atti giudiziaria proposito del siderurgico più grande d' Europa che vedrebbe coinvolti uomini politici, sindacalisti, alti prelati, giornalisti. Nella città dei due mari la tensione continua a salire, aspettando le decisioni dei giudici del riesame che entro giovedì 9, ma probabilmente già mercoledì, faranno sapere se il patron della fabbrica, Emilio Riva, insieme con altri sette dirigenti, tutti ai domiciliari con l' accusa di disastro ambientale, potranno essere liberati. E, soprattutto, se saranno tolti i sigilli all' area "a caldo", il cui blocco imposto dal gip Todisco segnerebbe la chiusura dell' acciaieria, dove lavorano 12mila operai. Ma ieri il fantasma del «disastro economico e sociale» lascia spazio a voci che circolano a ruota libera: c' è il brogliaccio di una telefonata che risale al 2010, in cui l' ormai ex capo delle relazioni istituzionali di Ilva Girolamo Archinà lascia intendere di avere un r a p p o r t o confidenziale con un tale «Corrado». In ballo c' è l' aut o r i z z a z i o n e integrata ambientale (Aia) da concedere a Ilva. E Archinà taglia corto: «Dobbiamo parlarne con Corrado». Nell' informativa i finanzieri annotano, tra parentesi, il cognome dell' amico influente: «Clini», all' epoca dg dell' Ambiente. La Gazzetta del Mezzogiorno attribuisce a Archinà anche la frase «Clini è uomo nostro». Il diretto interessato va su tutte le furie. Attacca duramente la procura per «una grave violazione della deontologia processuale», dice di avere «segnalato la situazione al presidente della Repubblica e al ministro della Giustizia», precisa di «non avere mai avuto rapporti con il gruppo dirigente dell' Ilva, né mai mi sono occupato dell' Aia» da assegnare all' impianto pugliese. Dal capoluogo ionico, il procuratore della Repubblica Franco Sebastio è netto: «In nessuna delle intercettazioni depositate nel corso dell' udienza davanti al tribunale del riesame, risulta il nome di Clini». E l' ex prefetto di Milano Bruno Ferrante, al comando della "corazzata" tarantina, mette alla porta «immediatamente» Archinà. Lo stesso che ancora nel 2010 se la prendeva con «gli "scienziati di Milano"» ingaggiati per gestire la comunicazione della multinazionale: «Purtroppo, avevo ragione. Io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliarle la lingua. Cioè pagare la stampa per non parlare». E' (o era) l' arroganza dei "made in Ilva". Tra le carte dell' operazione "Ambiente svenduto", come la ribattezzano le Fiamme gialle, spunta anche l' avvocato milanese dei Riva, Francesco Perli, che a Fabio Riva spiega: «La commissione Ipcc (per l' Aia, ndr) va un po' pilotata». Ferrante, paziente, getta acqua sul fuoco: «Ora dobbiamo abbassare i toni».LELLO PARISE

La Repubblica 05 agosto 2012

TAMBURI OPERAIO VITTIMA DELLA FABBRICA

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Dopo i fischi ai comizi di Cgil, Cisl e Uil i comitati si incontrano e discutono. L'inquinamento non è più un tabù, e i cittadini provano a reagire Un'assemblea nel quartiere popolare vicino all'Ilva con cittadini, lavoratori dello stabilimento e chi ha contestato i sindacati alla manifestazione di mercoledì. Un operaio: «Ci hanno lasciati soli, perciò non gli crediamo più»Mentre venerdì sera era ancora in corso l'udienza presso il tribunale del Riesame, al quartiere Tamburi di Taranto, davanti alla chiesa del Gesù Divin Lavoratore, il comitato Cittadini e operai

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liberi e pensanti ha svolto un'assemblea pubblica aperta agli abitanti e agli operai che vivono in quello che è uno dei rioni più inquinati della città dei Due Mari. I componenti del comitato, ancora ignari delle 41 denunce che a breve saranno notificate dalla Questura per l'interruzione del comizio dei sindacati di giovedì scorso, non hanno scelto a caso il luogo della loro assemblea. La chiesa in questione infatti, anni addietro venne interamente restaurata grazie ai soldi del gruppo Riva: una sorta di mal riuscito risarcimento per i tanti danni, materiali e morali, procurati dalle emissioni del siderurgico in 60 anni di attività. In pratica l'unico vero investimento dell'Ilva per la città. Più di un centinaio i partecipanti all'assemblea: un numero che per molti potrà sembrare risibile, ma che non lo è affatto se si pensa al fatto che è stata la prima volta per i cittadini e gli operai del quartiere di parlarsi e di comunicare tra loro. Lo scopo dell'assemblea, dunque, è ampiamente riuscito. Lontani dal voler ottenere applausi e un riconoscimento politico conquistato sul campo nella giornata di giovedì, il comitato ha lasciato che il microfono passasse di mano in mano a tutti coloro i quali avevano voglia di liberarsi, di cercare un dialogo, un confronto, per condividere drammi e sogni di una realtà che tocca inevitabilmente tutti, nessuno escluso. Il momento più toccante è stato raggiunto quando ha preso la parola un operaio del quartiere Tamburi. Padre di due figli, occupato nel reparto Acciaieria 1, dove la ghisa viene trasformata in acciaio. Uno delle aree peggiori in cui lavorare. Visibilmente commosso, l'operaio ha chiesto aiuto ai presenti, invocando unione tra i cittadini per ottenere finalmente giustizia. Manifestando sostegno totale alla magistratura, in particolar modo al Gip Patrizia Todisco: «Una donna che ha avuto grandissimo coraggio: molto più di tutte le migliaia di operai che lavorano in fabbrica». Perché il rimprovero maggiore rivolto dal comitato ai sindacati, in questi giorni, è sposato in toto da quei pochi operai che per la prima volta stanno trovando il coraggio di parlare. «Hanno lasciato la fabbrica in mano ai quadri e ai dirigenti: ci hanno lasciati soli invece di difenderci. Ecco perché non crediamo più alle loro parole: è arrivato il momento per noi di diventare protagonisti». Difficile dargli torto, del resto. Lo stesso Gip nell'ordinanza ha bollato come «la più grande presa in giro dell'Ilva i vari atti d'intesa firmati negli anni (2003, 2004, 2005, 2006), dove sono stati presi impegni rimasti soltanto sulla carta». Impegni ratificati anche dalle istituzioni (ministero dell'Ambiente, Regione, Provincia e Comune di Taranto), ma anche e soprattutto dai sindacati, che avrebbero dovuto vigilare sulla realizzazione degli stessi. Ma nel mirino dell'operaio c'è anche l'azienda. «Hanno dichiarato di aver realizzato interventi per migliorare gli impianti, anche sull'acciaieria 1: io lì ci lavoro da 20 anni e posso garantirvi che non è mai cambiato nulla». Eppure anche ieri, durante la seconda udienza del Riesame, il neo direttore dell'Ilva Bruno Ferrante ha ribadito come l'azienda abbia investito, dal '95 ad oggi, oltre un miliardo di euro per l'ambientalizzazione dello stabilimento: il 24% del proprio fatturato. Posizione da sempre sostenuta anche da sindacati e istituzioni, che lo scorso gennaio commisero il clamoroso errore di affermare come l'Ilva fosse diventata ormai «un'azienda modello a livello europeo». Poi sono state depositate le perizie dei chimici e degli epidemiologi che hanno smontato pezzo dopo pezzo le teorie e le favole pronunciate per anni. Il vero dramma, però, è quello della salute. Il quartiere Tamburi presenta la più alta incidenza di malattie e morti, anche nei bambini. L'ospedale Nord, il famoso Moscati del rione Paolo VI, esterno alla città ma tra i più colpiti perché esposto alle correnti del vento che lì portano gran parte delle emissioni del siderurgico, è il luogo del dolore, della disperazione, della speranza. Una costruzione dove politici e sindacati, oltre ai dirigenti dell'Ilva, non sono mai entrati. Perché in molti continuano a non capire che la vera svolta, oltre all'inchiesta della magistratura e ad un comitato che per la prima volta racchiude operai e cittadini, sta proprio nella voglia di cambiare il futuro e l'ambiente di questa città: non per gli adulti o gli anziani, ma per i tanti, tantissimi bambini. «Io oggi sono qui per chiedere scusa. Perché mi sento in colpa. Nei confronti dei miei colleghi. Dei miei concittadini. Ma soprattutto dei miei due figli. Perché non ho mai trovato il coraggio di denunciare l'inquinamento dell'Ilva. Perché noi sappiamo qual è la verità, sappiamo cosa succede lì dentro. Ma da oggi dobbiamo trovare il coraggio di reagire, di denunciare. Per cambiare il futuro, tutti insieme». E giù lacrime, applausi, abbracci. Per una città che soltanto oggi sembra svegliarsi da un coma durato oltre 60 anni. Dal quale si vuole uscire tutti insieme, senza più fare sconti a nessuno.

Il Manifesto 5 agosto 2012

CHIEDIAMO CONTO DELLE TANTE TARANTO NEL MONDO

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GUGLIELMO RAGOZZINO. «C' è sempre qualcuno, camorrista o semplice cittadino, che ha pensato al denaro più che alla salute, anche perché il denaro si prende subito, le malattie arrivano più lentamente». Il manifesto ha pubblicato il 29 luglio un testo di Franco Arminio che contiene la frase che precede. Essa cerca di spiegare la situazione dell'Ilva di Taranto e le scelte conseguenti. Il dilemma - salute o salario? - di cui molto si è scritto, per lo più è già sciolto prima ancora di essere messo in discussione. Chi lavora in fabbrica, lo fa per motivi molto forti che superano tutto il resto. Primo fra tutti è la paga. Spesso non manca una sorta di orgoglio per il proprio ruolo, per l'identità che ne deriva, che spinge a fare il proprio lavoro nel modo migliore che sia possibile. Quando poi si tratti di un lavoro come quello della siderurgia, con la formidabile colata che, al comando dell'operaio, insieme agli altri compagni, trasforma davvero la natura della cosa , allora è anche più difficile tirarsi via. In siderurgia, come in tanti altri settori, si è molto colpiti dall'ingiustizia. Il sapere che il padrone paga di più una fatica di un'altra, a pari orario, con uguale pericolosità, diventa spesso una questione dirimente, un obiettivo della lotta. Altri operai del gruppo Riva in Europa hanno trattamenti migliori, guadagnano di più, hanno orari più convenienti. E insieme all'esigenza di verificare se è vero, scatta il desiderio di equità che spesso vale anche in difesa dei compagni di lavoro lontani e più sfavoriti. Questa coscienza operaia mette in dubbio l'efficacia della convinzione padronale di una concorrenza generale da utilizzare sempre e comunque per dividere chi lavora da chi lavora, annunciare l'uso di crumiri, lontani anche cinquemila chilometri, spaventare operai e sindacati, descrivendo un competitore affamato e disposto a tutto. In tema di salute e ambiente, tale minaccia è davvero sordida e intollerabile. In ogni caso, una gara per l'acciaio tra chi chiede di meno, o meglio tra chi si serve di operai più docili e a prezzi scontati deve essere indicata come illegale. Non si può, il capitalismo globale non può avere modo di scegliere tra siderurgia cinese, gravata del viaggio per mare, e siderurgia europea e in particolare italiana. Sono proprio le questioni ambientali che rientrano in gioco. Il prodotto che arriva dall'esterno ha davvero tutte le caratteristiche ambientali e sanitarie che un sensato regolamento europeo - italiano a maggior ragione - rende obbligatorio, senza se e senza ma? Anni fa Francuccio Gesualdi del Centro nuovo modello di sviluppo aveva proposto una legge che imponeva alle merci, soprattutto alimentari, una targhetta con tutte le specifiche sull'origine, le caratteristiche produttive, il non uso di minori. Noi dell'Europa potremmo chiedere conto della sindacalizzazione dei lavoratori cinesi o indiani, o brasiliani, delle loro condizioni di lavoro, dei loro orari e salari; sarebbe un'attività politica e sociale molto utile per il caso-Taranto e tanti casi consimili; e anche in Cina, in India e in Brasile, tra qualche tempo, ce ne sarebbero grati.

Il Manifesto 5 agosto 2012

LE INTERCETTAZIONI. «NOI LA STAMPA LA PAGHIAMO»

G. L. TARANTO. Bufera sul braccio destro di Riva, l'Ilva lo licenzia. Giallo su CliniMercoledì 8 agosto Emilio e Nicola Riva, ex presidenti dell'Ilva, ed altri sei dirigenti dell'azienda, conosceranno le decisioni del tribunale del Riesame di Taranto, che si esprimerà sulle richieste avanzate dai legali dell'azienda in camera di consiglio nelle udienze di ieri e venerdì: ritorno in libertà per gli indagati ora ai domiciliari e dissequestro delle sei aree poste sotto sequestro (parchi minerali, agglomerato, altiforni, cokeria, acciaieria e gestione dei materiali ferrosi). Ma nel frattempo esplode la bomba intercettazioni e a farne le spese è il braccio destro di Riva, Girolamo Archinà, che si sarebbe vantato di controllare la stampa e (notizia poi smentita) perfino il ministro dell'Ambiente Clini, e per questo è stato rimosso in serata dal presidente dell'Ilva Bruno Ferrante. Davanti al collegio presieduto da Antonio Morelli, presidente del Tribunale di Taranto, la linea difensiva si è articolata su tre direttrici: sull'inquinamento, l'azienda ha dichiarato di aver sempre rispettato i limiti delle emissioni previsti dalle prescrizioni presenti nell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata proprio lo scorso 4 agosto; per questo motivo, il sequestro degli impianti e delle aree incriminate non ha ragione di esistere; terzo, Emilio Riva, leader del gruppo, non ha mai avuto intenzione di fuggire, perché in procinto di incontrare diversi rappresentanti istituzionali per parlare proprio della vicenda dell'Ilva di Taranto. Ovviamente nelle due udienze si è principalmente battagliato sulle perizie, chimica ed epidemiologica, che rappresentano l'asse portante delle ordinanze firmate dal gip Todisco. E ieri, attraverso controperizie e ben otto memorie, l'Ilva ha replicato alle accuse della Procura sostenendo come a Taranto non vi sia alcun

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eccesso di mortalità né negli adulti, né nei bambini, e che se ciò è accaduto, il tutto è da addebitare alla gestione precedente, quando l'ex Italsider era di proprietà dell'Iri. L'opposto di quanto dichiarato venerdì dalla pubblica accusa, che attraverso l'intervento del Pm Mariano Buccoliero, ha ribadito come l'inquinamento sia un problema attualissimo e non solo il retaggio di decenni di attività dello stabilimento. Sfatando anche uno dei tanti luoghi comune di questa maxi inchiesta: «Per l'80% le emissioni inquinanti sono da ricondurre all'attività a terra dei reparti e non alle emissioni delle ciminiere». Nell'udienza di ieri, anche e soprattutto nel tentativo di avvicinare le parti e stemperare i toni, è intervenuto anche Bruno Ferrante, neo presidente dell'Ilva, che ha rilasciato una dichiarazione spontanea in cui ha annunciato la rinuncia dell'azienda a presentare ricorso contro la riapertura dell'Aia e che la stessa non impugnerà la sentenza del Tar di Lecce nel merito delle parti non accolte. Un cambio radicale di atteggiamento, per un'azienda che sino all'altro giorno ha sfidato tutto e tutti, raccontando una realtà smentita dalle perizie del Gip. E, implicitamente, anche dalle tante aperture di questi giorni, specie nei confronti della magistratura e della città. Che però non cambiano la sostanza delle cose. Anche perché nell'udienza di venerdì la Procura ha calato l'asso del fascicolo d'indagine del Pm Remo Epifani, che contiene due anni di scottanti intercettazioni telefoniche. Detto del presunto episodio di corruzione del docente universitario ed ex preside del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti presente nell'ordinanza del Gip, e di quella in cui dirigenti dell'Ilva si preparavano all'arrivo in fabbrica dei tecnici della Regione per i rituali controlli, sempre previo preavviso, sullo stato degli impianti («dobbiamo legargli il culo alla sedia»), ieri è stato il turno di altre intercettazioni, ancora più clamorose e che vedono protagonista Girolamo Archinà, per anni braccio destro di Riva. Archinà Girolamo Archinà avrebbe sostenuto di potere influenzare il potere politico e i media («io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliargli la lingua, cioè pagare la stampa per non parlare»). Frasi che hanno provocato lintervento dell'Ordine dei giornalisti della Puglia, che ha chiesto la documentazione alla procura per «valutare l'eventuale apertura di procedimenti disciplinari per violazioni deontologiche». Ma nelle intercettazioni, secondo alcune indiscrezioni di stampa, sarebbe presente anche il nome del ministro dell'Ambiente Clini. «Il ministro è un nostro uomo», è la frase incriminata. Immediata la replica del ministero, che ha duramente contestato la diffusione di tale intercettazione, dichiarando come l'attuale ministro «non si è mai occupato della Autorizzazione integrata ambientale dell'Ilva, né ha mai avuto rapporti con la dirigenza Ilva». Bollando il tutto come «inaccettabili insinuazioni». Caso poi del tutto rientrato con la nota ufficiale del Procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, che ha dichiarato come «in nessuna di tali intercettazioni risulta, direttamente o indirettamente, il nome del ministro dell'Ambiente Corrado Clini». Però in serata il Presidente dell'Ilva di Taranto, Bruno Ferrante, attraverso una nota ufficiale ha comunicato che «la società ha da oggi interotto ogni rapporto di lavoro con il sig. Girolamo Archinà, che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresentare la società stessa».

Il Manifesto 5 agosto 2012

IDENTIFICATI 41 CONTESTATORI, SARANNO DENUNCIATI

Sono quarantuno le persone identificate che a breve saranno denunciate in stato di libertà all'Autorità Giudiziaria per aver turbato, a vario titolo, la manifestazione di giovedì scorso in piazza della Vittoria a Taranto, determinando la sospensione temporanea dei comizi ufficiali dei sindacati al termine dei cortei organizzati da Cgil, Cisl e Uil sulla questione del sequestro dello stabilimento siderurgico Ilva. Lo ha reso noto ieri la Questura del capoluogo ionico. L'attività degli investigatori si è focalizzata sui contestatori che si sarebbero resi responsabili di violenza sulle cose, in realtà di ben poco conto: qualche transenna posta a protezione del palco buttata giù per avvicinarsi al palco, l'accensione di alcuni fumogeni, nulla più. Il gruppo di persone, fa parte del neonato Comitato di cittadini e operai liberi e pensanti che contestano il ruolo dei sindacati e dei politici nella questione Ilva, sostenendo che in questi anni siano stati assenti e poco attivi nelle problematiche della fabbrica. La contestazione, molto rumorosa, ha coinvolto alcune centinaia di persone, i manifestanti (arrivati in piazza mentre parlava Maurizio Landini della Fiom) hanno fischiato il segretario della Cisl Raffaele Bonanni.

Il Manifesto 5 agosto 2012

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Per le tensioni in piazza via a 41 denunce

Quarantuno persone sono state denunciate dalla Polizia dopo quanto avvenuto giovedì mattina in piazza della Vittoria mentre era in corso la manifestazione sindacale per l'Ilva con la presenza dei leader sindacali Camusso, Bonanni e Angeletti. Le «41 persone - si legge in una nota stampa della Questura - sono state identificate e saranno denunciate in stato di libertà all’autorità giudiziaria per aver turbato a vario titolo la manifestazione in atto, determinando la temporanea interruzione dei comizi ufficiali. L‘attività degli investigatori si è focalizzata in particolare su coloro i quali si sono resi responsabili di violenza sulle cose, abbattendo le transenne poste a protezione del palco al fine di accedervi, e di accensione di fumogeni in luogo pubblico». 

Giovedì scorso aveva appena da poco finito di parlare, sia pure contestato dalla piazza, Bonanni (che aveva preso la parola dopo Angeletti) e si accingeva ad intervenire Camusso, quando in piazza è apparso un Apecar, un furgone a tre ruote, con a bordo alcune persone, alcune delle quali lavoratori Ilva in aperto dissidio con i sindacati. Oltre a passare col mezzo tra la folla e ad attraversare la piazza, i dimostranti hanno anche lanciato diversi fumogeni e si sono avvicinati sin sotto il palco contestando apertamente i sindacalisti. A quel punto la manifestazione è stata interrotta per oltre un'ora anche perchè la contestazione si era allargata anche ad altre persone presenti nella piazza. I dimostranti che erano sul mezzo hanno quindi spiegato le ragioni della loro protesta e detto che avevano chiesto qualche giorno prima ai sindacati di poter parlare per qualche minuto dal palco insieme ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. A questa richiesta è stato però opposto un rifiuto dei sindacati e di qui la decisione dei dissidenti di partecipare comunque. Il mezzo si è mosso in coda ad uno dei due cortei, quello che è partito dall'Arsenale della Marina, ed è arrivato sino in piazza della Vittoria giocando probabilmente sull'effetto sorpresa perchè forse non ci si aspettava che entrasse nella stessa piazza e si spingesse sin sotto il palco.

La Gazzetta del Mezzogiorno 5/08/12

Archinàstory, un grande avvenire dietro le spalle

di DOMENICO PALMIOTTI. TARANTO - L’ultima apparizione pubblica di Girolamo Archinà, il consulente dell’Ilva licenziato dopo quello che è venuto fuori dalle intercettazioni, risale a giovedì pomeriggio. Direzione Ilva, sala conferenze: Bruno Ferrante, nuovo presidente dell’azienda da meno di un mese, è appena tornato da Bari dal vertice col ministro Corrado Clini e il governatore Nichi Vendola. Un incontro nel quale Ferrante ha annunciato al ministro che l’Ilva , da quel momento, avrebbe deposto l’ascia di guerra: niente più ricorsi in Tribunale. Su tutto. A partire dalla revisione dell’Aia, l’Autorizzazione integrata ambientale. «Bisogna ridurre la litigiosità e confrontarsi serenamente » scandisce quel pomeriggio Ferrante davanti ad un gruppo di giornalisti e telecamere. Accanto a lui, i portavoce dell’azienda, Alberto Cattaneo e Andrea Rogazione, e più in là, alla punta del tavolo, c’è Archinà che ascolta in silenzio. 

Sebbene abbia già parlato a Bari in Regione, Ferrante decide di ripetere le stesse cose a Taranto per essere ancor più chiaro: l’Ilva di Ferrante è e sarà diversa da quella che avete sinora visto. Chissà cosa in quel momento avrà pensato Archinà. L’onda delle intercettazioni, che lo vedono intervenire e premere su chi avrebbe dovuto decidere sull’Ilva o valutarne la situazione, deve ancora travolgerlo. Ma basterà che quelle frasi, quei brandelli di conversazione, escano e diventino pubbliche sui giornali, che per Archinà la sorte sia segnata. Via dall’azienda. Defenestrato con una nota di poche righe che arriva sabato pomeriggio. 

Archinà ha detto che il suo licenziamento era nell’aria e che quel comunicato è stato concordato. Può darsi. Ma chissà quanto devono essergli pesate quelle parole trancianti per uno come lui che, figlio della vecchia logica democristiana, era abituato a tessere, trattare, mediare, ascoltare, esaudire. E a intervenire dove fosse necessario. Non era un uomo-ombra. Per niente. L’Ilva non l’ha mai tenuto nascosto. Tanto per fare un esempio, ogni qualvolta Emilio Riva ha partecipato alla festa dei Carabinieri era Archinà ad accompagnarlo. Lunedì scorso, quando in Confindustria a

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Taranto si è parlato dell’Ilva, per l’azienda c’era lui. E così in tante altre occasioni. Quando ci sono stati in Regione gli atti d’intesa fra l’Ilva e le istituzioni locali, Archinà era lì, nelle sale di Lungomare Nazario Sauro a Bari dove ha sede la presidenza. Da Fitto a Vendola, da Florido a Stefàno, e prima ancora la Di Bello, Archinà ha incontrato tutti e conosciuto tutti. Certo, non firmava lui gli accordi, ma di sicuro preparava la strada e accorciava le distanze fra le parti. E vi pare che se i Riva non si fidassero di lui, lo avrebbero tenuto per tanto tempo in quel posto? Tarantino, Archinà nasce democristiano. E certamente nell’animo lo è ancora. Negli anni ‘70 era consigliere di quartiere per la Dc nella Città vecchia. Vicino all’ex deputato e sottosegretario Domenico Amalfitano, Archinà non ha mai tentato il grande salto nella politica. Dopo alcuni anni nella mitilicoltura («mi dette una mano a risolvere un problema che avevamo con le cozze», ricorda Mario Guadagnolo, sindaco socialista di Taranto nella seconda metà degli anni ‘80), all’Ilva comincia a far strada e ad emergere con Giovanni Nocca, ingegnere e responsabile dell’ambiente. Nocca veniva dall’Ilva pubblica ma Riva lo confermò nel ruolo. 

Se Nocca era il tecnico, Archinà era il politico, nel senso che il primo si occupava dei progetti e degli interventi e il secondo di come metterli a conoscenza delle autorità pubbliche e di come farli passare ed approvare. Meglio: creava le condizioni perchè le parti si trovassero d’accordo. E che il confronto scivolasse senza troppi attriti. Consociativismo? Vecchia mediazione diccì? Capacità nel capire come va il mondo e soprattutto di come si tengono i rapporti? E chi puo dirlo. Un dato però è certo: se le intercettazioni evidenziano questo ruolo di pressing di Archinà sull’Arpa collocandolo temporalmente nel 2010, lui i ponti fra Ilva e mondo della politica e delle istituzioni li aveva gettati da ben prima. Per non dire poi della sua capacità di muoversi nel sociale a 360 gradi. A Taranto non è un mistero che l’Ilva anni fa si sia fatta carico di alcuni lavori alla chiesa di Gesù Divin Lavoratore nell’inquinato rione Tamburi e di come a raccogliere l’invito del vescovo sia stato proprio Archinà. E ancora: dall’intervento (poi sfumato) dell’Ilva nella crisi finanziaria del Taranto Calcio al ripristino delle fontanelle al cimitero di Taranto senz’acqua da troppi anni, Archinà è stato presente in più ambiti. Gli piaceva. Magari lui dirà che in questo modo si è reso utile a Taranto e che Taranto l’ha cercato. Chissà se stesse pensando ad altre iniziative. Ferrante però lo ha fermato. Senza dialogo. Con poche, nette righe di un comunicato diffuso nel pieno della bufera.

La Gazzetta del Mezzogiorno - 6/08/12

AMBIENTE - DOMANI LA DECISIONE DEL RIESAME. «ORDINI DI CUSTODIA CAUTELARE, UN GESTO PESANTE» «SE CHIUDE TARANTO, STOP ANCHE A GENOVA E NOVI»

L. L. ROMA. «Così si rischia il blocco di tutta la produzione». Ma il presidente della commissione Ecomafie Gaetano Pecorella non ci sta: «Dall'azienda ultimatum inaccettabile» Il patron Bruno Ferrante: «Non abbiamo scelta, gli altri stabilimenti vivono su quanto produce questo»L'immagine che offre è quella di una sorta di domino industriale in cui, caduta la prima pedina, tutte le altre seguono a ruota. Se domani il tribunale del Riesame dovesse confermare il sequestro degli impianti di Taranto allora dovranno chiudere anche gli altri stabilimenti dell'Ilva, quelli di Genova, Novi e Racconigi. Non è una minaccia quella che il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante agita davanti alla commissione Ecomafie. Anche se un po' lo sembra, al punto che il presidente della commissione, Gaetano Pecorella, alla fine definIrà le parole di Ferrante come «un ultimatum inaccettabile». Eppure l'ex prefetto di Milano ribadisce il concetto: «Possiamo solo chiudere, non abbiamo altra scelta» ripete perché, spiega, gli stabilimenti liguri «vivono su quanto Taranto produce».Era una audizione attesa quella tenuta ieri da Ferrante davanti alla commissione bicamerale. E il presidente dell'Ilva la usa per mandare quello che sembra essere un messaggio alla politica, ma anche ai giudici del Riesame che dovranno pronunciarsi sull'istanza di sequestro delle aree calde e sugli arresti di otto dirigenti disposti dal gip Patrizia Todisco. «Quella della procura di Taranto è un'iniziativa meritoria, perché ha richiamato sull'Ilva l'attenzione delle autorità e ha svegliato le coscienze», spiega Ferrante che però giudica «un gesto pesante» la scelta di arresto nei confronti dei manager. Ma è sul futuro dell'azienda che insiste, un futuro che oggi a suo parere appare messo fortemente a rischio a causa di una decisione presa dai giudici «senza che l'Ilva

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approntasse una difesa». «Ora questa documentazione c'è, sono sicuro che il tribunale ne terrà conto».Chiunque abbia seguito le vicende dell'Ilva sa che quello prospettato da Ferrante è uno scenario più che realistico. L'eventuale chiusura dello stabilimento tarantino interromperebbe tutta la filiera della produzione di acciaio. E' da quegli altoforni che escono gli enormi rotoli di acciaio che vengono spediti negli stabilimenti liguri per essere stagnati o zincati a seconda delle necessità. E' chiaro quindi che se lì c'è un blocco, si ferma tutto ovunque. E infatti a Genova le parole di Ferrante non sono affatto suonate come nuove. «E' chiaro che siamo preoccupati», spiega Francesco Grondana, segretario generale Fiom di Genova. «Quelle dette da Ferrante sono cose ovvie pe chi lavora all'Ilva. Adesso bisogna vedere cosa succede mercoledì con la decisione del Riesame, e poi cosa decide l'azienda».Nei giorni scorsi nei tre stabilimenti liguri gli operai hanno fatto otto ore di sciopero con cortei a cui ha partecipato anche il sindaco della città, Marco Doria. Come a Taranto, anche qui la preoccupazione è forte per i quasi 3.000 posti di lavoro (1.760 a Genova, 700 a Novi e 150 a Racconigi) a rischio in caso di chiusura dello stabilimento pugliese. «Sarebbe stupido affermare che non esiste un problema ambientale - prosegue Grondana - ma non si può pensare di risolverlo con un blitz chiudendo la fabbrica. Possiamo solo sperare che il Riesame prenda una decisione che consenta di risolvere il problema nel tempo».Parlando alla commissione Ecomafie Ferrante ha insistito sulla volontà della famiglia Riva di non lasciare Taranto, ma ha anche chiesto di poter accedere a finanziamenti pubblici da investire in nuove tecnologie a difesa dell'ambiente, oltre ai 336 milioni di euro già stanziati dal governo. «Ci potrebbero essere - ha detto Ferrante - nuovi finanziamenti per le tecnologie che l'impresa volesse applicare sugli impianti».

Il Manifesto 6 agosto 2012

ANTEFATTO - LA PROCURA SCRISSE ALLE AUTORITÀQUELLA LETTERA DEL 2000: «IL QUARTIERE È INQUINATO»

GIANMARIO LEONE. Lo tsunami che ha travolto l'Ilva di Taranto e che a breve rischia di spazzar via un'intera classe dirigente per via del fascicolo di oltre mille pagine di intercettazioni al vaglio del Riesame non è arrivato improvviso. Per decenni si è ignorata l'evidenza di un problema che oggi è esplosa tra le mani di chi avrebbe potuto evitare tutto questo, se solo avesse interpretato al meglio il suo ruolo. Basti pensare al dramma delle polveri che dal '64 invadono ogni giorno il rione Tamburi, le cui prime abitazioni sorgono a soli 200 metri dai confini del mostro d'acciaio. Oggi, tutti sostengono che fu un errore tecnico quello di voler posizionare le cokerie e i parchi minerali a ridosso del quartiere. Che presenta la più alta incidenza di malattie e decessi. E pensare che la prima sentenza della procura di Taranto sul problema polveri arrivò il 14 luglio del 1982. Poi, in Cassazione, i giudici dettero ragione all'allora Italsider. Nel tempo però, la polvere rossa dei parchi ha invaso ogni cosa, compreso il cimitero di San Brunone, oggi caratteristico con le sue cappelle e tombe rossastre.La procura di Taranto ci riprovò nel 2000, quando in una lettera indirizzata a governo, prefetto, Regione Puglia, presidente della Provincia e sindaco di Taranto, avvertiva che le polveri minerali rilevate nel quartiere Tamburi «risultano maggiori di quelle rilevate all'interno di una zona industriale quale quella del parco materiali del cementificio Cementir». Aggiungendo come dalle inchieste in corso emergeva «una grave situazione di inquinamento atmosferico in città e nei territori limitrofi».In pratica un intero quartiere risultava più inquinato del cementificio che sorge ad est del siderurgico. La lettera in questione, inedita, è tra le carte depositate dalla procura nelle due udienze svolte al Riesame lo scorso week end. Il testo della missiva si concludeva con un monito che già allora avrebbe dovuto far riflettere e agire di conseguenza le istituzioni. «L'esigenza di tutelare posti di lavoro in una terra che vive ancora drammaticamente fenomeni di sottoccupazione e disoccupazione è ben nota a chi scrive che se ne fa anche carico, tanto da valutare con la massima attenzione le modalità dei propri interventi, ma nel bilanciamento degli interessi, che trovano adeguata tutela nella Carta costituzionale, gli organi politico-amministrativi non possono privilegiarne alcuni a discapito di altri: la tutela dei posti di lavoro - concludeva la lettera - non può

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prescindere dal rispetto della salute degli operai e degli abitanti della città di Taranto e dei comuni limitrofi e dell'ambiente».Una lettera rimasta morta. A dimostrazione di come il problema sia ancora lo stesso ci sono le rivelazioni delle due centraline di via Machiavelli e via Archimede del rione Tamburi, che nei giorni scorsi (30-31 luglio e 1 agosto) hanno nuovamente registrato valori di Pm 10 sopra il limite di legge (50 µg/m3). I giorni di superamento del limite nel corso dell'anno finora sono 28 per via Machiavelli e 20 per via Archimede: il numero di superamenti annuali consentiti dalla legge è di 35. Limite sempre superato negli ultimi tre anni (2009/10/11). Così come quello del valore obiettivo di concentrazione del benzo(a)pirene.

Il Manifesto 6 agosto 2012

BONELLI (VERDI): DA CLINI SCONCERTANTE DIFESA DELL'ILVA

«È sconcertante che il governo ed in particolare il ministro dell'Ambiente Corrado Clini continuino a minimizzare sui livelli di inquinamento a Taranto attribuendone le cause al passato mentre la perizia chimica e quella epidemiologica della Procura di Taranto, che ha disposto il sequestro dei reparti a caldo del Polo siderurgico, si riferiscono al presente e non al passato». Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: «I Carabinieri del Noe e i tecnici della Procura hanno effettuato controlli e raccolto i dati da giugno 2011 a gennaio del 2012 mentre l'indagine epidemiologica ha analizzato un periodo che va dal 1998 al 2010: sulla base di questi elementi i magistrati hanno disposto il sequestro». «Questi elementi dovrebbero far comprendere che la minimizzazione da parte del governo del disastro ambientale e sanitario di Taranto è francamente inaccettabile - conclude Bonelli - Come inaccettabile è il fatto che, nonostante non sia dato sapere se e con quanto l'Ilva (i cui utili negli ultimi anni si aggirano intorno ai 2 miliardi di euro) contribuirà alle bonifiche, il governo sia pronto a finanziare gli investimenti dell'azienda in nuove tecnologie. Forse sarebbe il caso che quei fondi venissero usati per chi si è ammalato e per risarcire i danni subiti le famiglie tarantine».

 Il Manifesto 6 agosto 2012

"Non mi dimetto per il caso Ilva. Disastri fatti dall'industria pubblica"Clini: "Il partito della chiusura ha perso la battaglia politica e adesso mi attacca. L'inquinamento? E' giusto che paghi lo Stato"

di ANTONIO CIANCIULLO . "Dimissioni? Ma vogliamo scherzare? Si dimetta chi smercia carte false. Questa è una bufala, un attacco strumentale che il partito pro chiusura dell'Ilva sta conducendo perché ha perso la battaglia politica: attorno alla proposta del governo, quella del risanamento, si è costituito uno schieramento molto ampio che va dal Pdl a Sel". Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini risponde al telefono da Trieste. Eppure, ministro, in un'intercettazione telefonica, consegnata dalla procura di Taranto ai giudici del Tribunale del riesame dei ricorsi sul sequestro dell'acciaieria, l'ex pr dell'Ilva parla di un certo "Corrado" come di un "uomo nostro" al ministero dell'Ambiente. Non è un nome così comune e molti l'hanno associato a un cognome, il suo."A questa insinuazione ha già risposto il procuratore della Repubblica di Taranto negando che, in maniera diretta o indiretta, il mio nome risulti dalle intercettazioni".Ma lei è stato per tanti anni un dirigente importante del ministero. "Voglio precisare che all'epoca di quella telefonata io guidavo la direzione generale per lo sviluppo sostenibile che non aveva alcuna competenza nella vicenda Ilva".E quando ha cominciato a interessarsi all'acciaieria di Taranto? "Nel marzo del 2012, su richiesta del presidente della Regione Puglia che mi aveva sottoposto nuovi dati sulle concentrazioni di benzopirene nell'aria. E anche perché l'8 marzo era stato pubblicato dalla Commissione europea l'aggiornamento delle migliori tecnologie disponibili nel settore della siderurgia e bisognava verificare la possibilità di applicarle".Scusi, ma anche in una seconda intercettazione si fa riferimento a un altro esponente del ministero dell'Ambiente che avrebbe pilotato l'esito dell'autorizzazione integrata ambientale

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sull'acciaieria. Anche questa è una bufala?"Io rispondo del mio operato e di questa vicenda non so nulla. L'autorizzazione fu rilasciata dal ministro dell'Ambiente dell'epoca, Stefania Prestigiacomo, e dal presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Osservo però che sarebbe singolare che, in presenza di sospetti così gravi, non ci siano state richieste di chiarimento da parte della magistratura: non mi risulta che accertamenti di questo tipo siano stati effettuati al ministero". Lei ha parlato della necessità di usare le migliori tecnologie: in questo caso bastavano quelle sufficienti a evitare il picco di mortalità attorno all'impianto."Non ci sono dubbi sulla presenza di un impatto ambientale grave che si è andato accumulando in mezzo secolo. E non voglio fare una difesa d'ufficio di tutto quello che è stato fatto in questi anni: ad esempio la procedura di autorizzazione dovrebbe essere conclusa in 300 giorni e invece ha richiesto 4 anni e mezzo. Resta il fatto che ora, per risolvere il problema, bisogna procedere con le best technologies". E con i 336 milioni di euro stanziati dal governo: fondi pubblici per sanare danni causati dai privati. "Un momento. La gran parte dell'inquinamento prodotto dall'acciaieria risale all'epoca precedente al 1995, quando fu acquisita dal gruppo Riva. Prima di quella data l'impianto si chiamava Italsider ed era pubblico, così come erano pubblici l'arsenale militare e le altre fabbriche che nell'area hanno contribuito ad aggravare il danno. La verità è che buona parte dei disastri che oggi stiamo pagando sono stati prodotti da aziende di Stato negli anni Cinquanta e Sessanta. Questo naturalmente non vuol dire che oggi dobbiamo restare a guardare: abbiamo avviato una procedura di danno ambientale a carico di tutte le imprese dell'area che hanno contribuito all'inquinamento".In ogni caso, proprio dal confronto con le migliori tecnologie disponibili, risulta evidente che i 336 milioni non basteranno a mettere in sicurezza l'impianto."Ma quei fondi serviranno solo per risanare alcune aree: Tamburi, che è il quartiere vicino, il Mar Piccolo, il Mar Grande, la zona portuale, l'area di Statte. L'azienda dovrà poi produrre, e noi lo abbiano sollecitato, un suo piano di risanamento in cui si può ipotizzare non la copertura di tutto il parco geominerario, che con i suoi 78 ettari è probabilmente il più grande del mondo, ma di quelle aree in cui c'è più polvere e dunque più pericolo".

La Repubblica 06 agosto 2012

Quella fabbrica dev' essere chiusa e il ministro torni a occuparsi di ambiente

ROMA - Angelo Bonelli, leader dei Verdi, candidato sindaco (sconfitto) alle ultime amministrative di Taranto. Il ministro Clini ha detto a Repubblica che il disastro ambientale della città è colpa dell' industria pubblica, l' Italsider anni Sessanta-Novanta. «La tesi Italsider mi indigna. Dal 1995, quando l' imprenditore Riva rilevò l' industria pubblica, sono passati 17 anni. Diciassette. Scaricare i problemi sul passato è una strategia politica che si scontra con le perizie della procura. Ascolti. Perizia chimica, rilevazioni giugno 2011gennaio 2012: "In questo arco di tempo gravissime violazioni delle leggi sull' inquinamento". Perizia epidemiologica, rilevamenti 1998-2010: "In 12 anni per i lavoratori dell' Ilva c' è stato un aumento del 107% dei tumori allo stomaco". Siamo in piena era Riva». Il ministro avrà letto le perizie. «Il problema è che Clini, uomo favorevole agli Ogm e al nucleare, è il ministro dell' Ambiente ma fa il ministro dell' Industria. Passera non parla, è egregiamente rappresentato. Il silenzio dei ministri della Sanità e dell' Agricoltura è sconcertante: 1.700 capi abbattuti, 1.000 agricoltori esodati dalla diossina. Questo governo ha sposato la tesi Ilva ed è pronto a raddoppiare sulla stessa costa gli insediamenti Cementir ed Eni». Il ministro dell' Ambiente ha escluso di essere lui il "Corrado uomo nostro" che si ascolta nelle intercettazioni sui dirigenti Ilva. Ha detto anche che con Riva non ha mai avuto rapporti. «Corrado Clini dal 1991 e per vent' anni è stato direttore generale del ministero dell' Ambiente, il tecnico che si relaziona con il ministro. Mi pare fantascienza ascoltare che non si è mai occupato dell' Ilva. Nell' agosto 2010, da direttore del ministro Prestigiacomo, non conosceva forse il decreto 155, il "salva Ilva"? Ha aumentato di due volte e mezzo i limiti del benzoapirene». Ora arrivano 336 milioni per migliorare la produzione. «Soldi dei contribuenti a un' azienda che negli ultimi tre anni ha fatto due miliardi e mezzo di utili e neppure un euro di risarcimento per i lavoratori. Vivaddio, ora partirà un processo».

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Solo il ministro colpevole, allora? «Il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, ha fatto la sua parte. Gli riconosco due buone leggi su diossina e impatto sanitario, ma Taranto ha un registro tumori fermo al 2006». L' Ilva va chiusa o risanata? «L' area a caldo va chiusa: produce il 98% del benzopirene. Bilbao e Pittsburgh hanno fermato l' acciaio vent' anni fa e oggi sono prosperose. A Taranto si può puntare sui semilavorati a freddo e spianare i giacimenti minerali, le loro polveri fanno sanguinare il naso dei bambini del rione Tamburi».

La Repubblica – 7 agosto 2012

Ilva, Ferrante choc: 'Se chiude Taranto addio a Genova e Novi'

FINORA lo avevano un po' detto tutti, anche se nessuno era mai stato così esplicito. «Se Taranto chiude, chiudono anche Genova e Novi» annuncia il presidente dell' Ilva Bruno Ferrante. E il fatto che parole così drammaticamente limpide vengano pronunciate dal rappresentante dell' azienda rende epocale il momento che l' industria italiana sta vivendo. Il blocco imposto dalla magistratura allo stabilimento a cui il gruppo siderurgico ha affidato il compito della produzione di acciaio, Taranto appunto, rischia infatti di trascinare nell' oblio anche le attività affidate ai due poli di Cornigliano e di Novi. Come dire, impensabile che se il primo affonda, gli altri due possano salvarsi. Non sono nemmeno immaginabili le conseguenze che una simile decisione avrebbe per l' economia non solo delle due regioni, Liguria e Piemonte, ma dell' intero Paese. Perché non è in gioco il destino di 15mila lavoratori, ma quello del grande indotto che l' acciaio genera e di tutte le attività a esso collegate. Spiace solo che, per rendersene conto, ci si debba trovare di fronte alla decisione di un giudice il cui compito è quello di far rispettare le leggi. Fermare Taranto, infatti, significa fermare la produzione di acciaio e mettere in ginocchio settori-chiave come quelli dell' auto, della cantieristica, dell' hi tech (perché nella fabbrica la componente di alta tecnologia è sempre forte). Ciò non toglie che l' azienda non debba fare del rispetto delle regole ambientali e di sicurezza la sua bandiera. Le parole di Ferrante, che ha ribadito la volontà dell' azienda di procedere in questa direzione, sono chiare. Ma, si sa, le parole da sole non bastano. Servono i fatti e quelli, se la sentenza del Riesame consentirà la prosecuzione dell' attività industriale, andranno verificati ogni giorno. I guasti di Taranto, gravissimi, devastanti, hanno origini antiche, rimandano alla vecchia gestione pubblica e non sono imputabili solo al privato. Ma è il padrone di oggi che deve rispondere alle contestazioni. E farlo sgombrando il campo da mali vecchi e nuovi resta l' unica soluzione. C' è un ultimo aspetto da segnalare, l' importanza di Cornigliano nelle strategie industriali del Paese. Non è un caso se, in questi ultimi giorni, personaggi come l' ex sindaco Marta Vincenzi, il presidente della Regione Claudio Burlando, il presidente dell' authority Luigi Merlo, abbiano ribadito, con differenti sfumature, la centralità della fabbrica. Invitando ad andare oltre, consolidando l' attività produttiva e affiancando alla stessa la creazione di un polo logistico per l' acciaio in grado di servire tutta l' Europa.

La Repubblica – 7 agosto 2012 sez. Genova

Ilva, Riesame conferma sequestro "Per la messa a norma, non chiusura". La decisione del Tribunale, confermati anche i domiciliari per i Riva.  Il presidente Ferrante - nominato custode e amministratore degli impianti - assicura il monitoraggio esterno attraverso centraline di rilevamento e la videosorveglianza nelle cokerie

Il Tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti Ilva di Taranto, vincolandolo però alla messa a norma e non alla chiusura degli impianti. Domiciliari confermati per Nicola Riva, Emilio Riva e Luigi Capogrosso, mentre tornano liberi i dirigenti Andelmi, D'Alò, De Felice, Di Maggio e Cavallo. Nel sequestro dell'Ilva, come si diceva, è prevista la facoltà d'uso degli impianti finalizzata alla messa a norma. E il Riesame di Taranto ha nominato il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, custode e amministratore di aree e impianti sotto sequestro. Restano in carica, per le procedure tecnico-operative, i tre ingegneri nominati dal gip. Ferrante sostituisce il commercialista nominato  per i compiti amministrativi.Il Tribunale ha disposto che "i custodi garantiscano la sicurezza degli impianti e li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di

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pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti", confermando nel resto il decreto impugnato. I giudici si sono riservati di depositare le motivazioni dell'ordinanza. I termini non perentori per le motivazioni sono di cinque giorni.Intanto la Camera dei deputati, questa sera o domani, potrebbe essere riconvocata per l'annuncio del decreto legge ad hoc. E' quanto è emerso dalla riunione dei capigruppo di Montecitorio. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, ha chiesto ai capigruppo che la Camera fosse riconvocata per l'annuncio del decreto, varato all'ultimo Consiglio dei Ministri di venerdì scorso, ma che manca ancora della firma del Capo dello Stato. "Siamo incerti - ha spiegato Giarda - se riusciremo a presentarlo già questa sera o domani mattina". In ballo i 336 milioni di euro che serviranno per avviare gli interventi di bonifica e risanamento del territorio. La posizione dell'azienda: L'Ilva da parte sua si dice intenzionata ad attuare le misure necessarie per ridurre l'impatto ambientale, con misure adottate "spontaneamente". "Noi abbiamo accettato alcune soluzioni, le abbiamo adottate spontaneamente - ha spiegato il presidente Bruno Ferrante - questo è importante dirlo: non sono soluzioni imposte dalla legge o dall'autorizzazione di impatto ambientale". Ferrante ha parlato a Bari, dove ha incontrato il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, e l'assessore alla qualità dell'ambiente, Lorenzo Nicastro. "Insieme  con la nostra disponibilità ad adottare queste iniziative - ha continuato Ferrante - c'è anche un obiettivo che noi ci siamo posti e che, attraverso il monitoraggio del perimetro dello stabilimento, dimostra la nostra volontà di essere assolutamente trasparenti". "Noi - ha detto ancora - non dobbiamo nascondere nulla, sappiamo che esistono dei problemi che vanno affrontati e risolti. Dobbiamo essere trasparenti, comunicare con la città e con le autorità e per questo abbiamo dato la nostra piena disponibilità al monitoraggio perimetrale dello stabilimento ma non solo. E' veramente una svolta per Ilva e per il territorio tarantino". "Faremo il monitoraggio all'esterno - ha continuato Ferrante - con diverse centraline che saranno posizionate secondo accordi con l'Arpa. Abbiamo accolto l'indicazione del governo regionale e nazionale sulle giornate climatiche critiche e stiamo adottando uno studio che sarà pronto a giorni per ridurre le emissioni diffuse. Faremo rapidamente, una delle ipotesi è quella della riduzione dell'attività produttiva ma ci sono altre ipotesi tecnicamente praticabili e che hanno come obiettivo quello di ridurre le emissioni".I timori di Passera. Sulla vicenda dello stabilimento siderurgico colpito dai provvedimenti della magistratura è intervenuto anche il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera: "Occorre evitare la chiusura - ha detto - se si chiudono quegli impianti non si riaprono più: se spegni uno di questi forni non li riaccendi più, e Taranto, la Puglia e per l'Italia, sarebbe un costo veramente eccessivo".  I fondi per la bonifica e i tempi per raggiungere standard diversi "sono dati che tutti insieme portano a evitare la chiusura". L'alternativa pane-veleno "è inaccettabile", ha concluso il ministro. "Non possiamo però neppure dire che gli impianti dell'Ilva vanno  tenuti aperti a qualsiasi condizione - ha puntualizzato Passera - in quanto i criteri salute pubblica devono essere considerati". "Ci deve essere l'impegno di tutti a non chiudere, ne va di mezzo - ha detto il ministro - non solo il gruppo Riva ma tutta la filiera". Quello che l'azienda stava facendo, le risorse che il governo ha messo a disposizione per bonifiche e interventi, buona volontà e il tempo per raggiungere certi standard e non parametri estremi, "sono tutti elementi - ha aggiunto - che possono portare a evitare la chiusura".  La Repubblica - 07 agosto 2012

L' Ilva ora cede alla Regione 'Disposti a ridurre i veleni'

UNA road map in quattro punti per salvare lavoro e ambiente. Ilva, governo, Regione ed enti locali mettonoa punto un' agenda fitta di impegni per ridurre le emissioni del colosso siderurgico. Dal monitoraggio sul perimetro dello stabilimento agli interventi su cokerie e parchi minerari, l' azienda ha accettato di discutere e valutare le richieste di parte pubblica. «L' esito dell' incontro sembra confermare, nei fatti, il cambiamento dell' atteggiamento dell' impresa», ha detto il governatore Vendola. NON è mai stato un dialogo tra sordi, quello tra Ilva e gli enti pubblici. Ma il colosso siderurgico, dopo la mano pesante della magistratura, sembra ascoltare meglio. E accetta di discutere tutti le richieste di parte pubblica. Lo dimostrano le tre paginette del verbale sottoscritto ieri a Bari, nel corso delle sei ore di riunione del tavolo con Regione, Comune e Provincia di

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Taranto, ministero dell' ambiente e il sottosegretario allo sviluppo economico Claudio De Vincenti, collegato in videoconferenza. Quattro i punti sul tappeto: monitoraggio delle emissioni anche sul perimetro dello stabilimento, registrazione dei fumi rossi, videosorveglianza sulle cokerie per ridurre il benzoapirene sul rione Tamburi e interventi sui parchi minerari per ridurre le polveri diffuse. Nulla di nuovo, tranne la «voce» dell' Ilva sulle richieste. Sul monitoraggio, ad esempio, l' Ilva ha confermato che sul camino E312 stanno montando le attrezzature che saranno operative a settembre per misurare le diossine in continuo. Sul perimetro dello stabilimento, l' Ilva conferma la disponibilità a piazzare 4 nuove centraline ma ha chiesto di avere a disposizione i dati dell' Arpa sulla qualità dell' aria e 24 ore di tempo per accettare. Passa invece il sistema dei cosiddetti wind days, le giornate di vento che facilitano la diffusione delle polveri sulla città: l' Ilva l' ha accettato prendendo atto della richiesta degli enti pubblici. «A noi interessa la riduzione delle emissioni», ha detto l' assessore Lorenzo Nicastro uscendo dalla riunione. L' azienda ha preso tempo per presentare entro agosto una proposta tecnica alternativa per ridurre le emissioni senza compromettere il ciclo produttivo. Intanto entro il 2012 sarà completato il barrieramento dei parchi sul confine con i Tamburi. Con effetto immediato, l' Ilva ridurrà le polveri diffuse, raddoppiando la bagnatura delle strade e dimezzando la velocità dei mezzi di trasporto del materiale nei cosiddetti wind days. Ciò su cui l' Ilva ha chiesto tempo riguarda due punti: ridurre del 10 per cento il prelievo dalle cokerie nei giorni di vento e abbassare del 19 per cento le giacenze nei parchi. L' Ilva ha garantito che ne verificherà la sostenibilità entro agosto. E il governatore Nichi Vendola, costantemente in contatto coi tecnici regionali, alla fine ha giudicato «molto positivamente» la riunione. «Un' agenda di lavoro così intensa e stringente sembra confermare, nei fatti, il cambiamento dell' atteggiamento dell' impresa». Il matrimonio di interesse tra ambiente e lavoro resta ancora possibile. PIERO RICCI

La Repubblica - 07 agosto 2012

Assennato e le telefonate con Archinà 'Non abbiamo mai ceduto su niente'

IL PROFESSOR Giorgio Assennato, direttore generale di Arpa (l' agenzia regionale per l' ambiente) non ci sta a vestire i panni dello scienziato arrendevole ai diktat di Girolamo Archinà, l' ex capo delle relazioni istituzionali dell' Ilva. Mancavano trentaquattro minuti alle tre del pomeriggio quando, il 21 giugno del 2010, «Archinà contatta Assennato per esternare le proprie rimostranze verso un documento che, a suo dire, porterebbe alla chiusura dello stabilimento» annotano gli investigatori della Guardia di finanza. Il fatto che Assennato non sbatta immediatamente il telefono in faccia al pierre, ma cerchi di spiegargli come stanno le cose, alimenta cattivi pensieri. Che lo stesso Assennato esorcizza: «La drammatizzazione paventata da Archinà, corrispondeva a una consolidata strategia aziendale fatta di minacce di rottura delle relazioni istituzionali... Da parte mia, mentre si teneva come sempre la barra ben dritta, nelle conversazioni cercavo di promuovere una moral suasion finalizzata a conseguire un impegno dell' azienda ad accedere alle nostre proposte (non prescrizioni), senza che queste comportassero rischi di chiusura». Dunque, «nessuna cedevolezza ad Archinà». Chiunque immagina il contrario, fa «insinuazioni lesive della mia dignità professionale». Al di là delle chiacchiere spiate, «l' obiettivo di Regione e Arpa era ed è quello di ridurre le concentrazioni di benzoapirene al di sotto di un nanogrammo al metro cubo: un imperativo categorico da raggiungere con qualsiasi mezzo, condizione per il mantenimento del regime produttivo esistente» da parte della corazzata siderurgica targata Riva. Assennato conclude la lettera agli assessori della giunta Vendola e ai capigruppo dei partiti di maggioranza e opposizione, con una rassicurazione: «Arpa continuerà serenamente a portare alla luce i livelli e gli effetti dell' inquinamento ambientale a Taranto attraverso dati la cui solidità tecnico-scientifica è stata riconosciuta dai periti del gip (Patrizia Todisco, ndr) che li hanno ampiamente utilizzati». E che il 26 luglio consentono al giudice di ordinare il sequestro dell' area "a caldo". (l. p.)

La Repubblica - 07 agosto 2012

Sebastio: 'È il momento delle scelte ora l' azienda decida cosa vuole fare'

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ALLORA, procuratore Sebastio qual è l' indicazione che arriva dal Riesame? "L' impianto accusatorio è stato quasi totalmente confermato. Ne prendiamo atto e attendiamo di comprendere meglio il verdetto leggendo la motivazione". Ma in concreto cosa comporta questo pronunciamento per l' Ilva e per il suo rapporto con Taranto? "E' giunto il momento delle scelte. E vale anche per Ilva". Cosa vuol dire? "Vuol dire che ora questa grande fabbrica deve decidere una volta per tutte come agire per tutelare il lavoro, ma anche la salute e l' ambiente". Secondo lei la decisione del tribunale spinge verso un bivio decisivo? "Non c' è dubbio. E mi permetto di dire che siamo dinanzi ad una svolta di portata storica per Taranto. Ora tocca ad Ilva, alla proprietà e ai manager dello stabilimento valutare i passi da compiere per garantire anche il proprio futuro". In termini concreti? "L' azienda è chiamata a collaborare sulla strada degli accorgimenti tecnologici per ridurre le emissioni inquinanti i cui effetti sono stati fotografati con precisione da un' indagine che è costata tanta fatica". Cosa intende dire quando parla di collaborazione? "Leggo il provvedimento del Tribunale e vedo che sono stati confermati gli ingegneri nominati dal gip come custodi. Al loro fianco è stato posto il presidente di Ilva a cui spettano compiti amministrativi di fondamentale importanza. La mano tecnica quindi rimane quella indicata dall' autorità giudiziaria. Saranno quei tecnici ad approntare le innovazioni e i passi da compiere sugli impianti per ammodernarli e ridurre le emissioni di inquinanti". Quando parla di collaborazione, quindi, si riferisce alle scelte dell' azienda sugli investimenti? "Guardi non mi piace attribuire meriti al nostro lavoro. Ma uno lo voglio riconoscere. Grazie a questa inchiesta si è usciti dalle zone d' ombra, dalle ambiguità e dalle intenzioni. Ora c' è sul tavolo una strada da seguire". Che l' Ilva è obbligata a percorrere? "Mi auguro che la decida di percorrerla. Perché i rimedi da attuare sono quelli messi a fuoco dagli esperti e non ce ne sono altri. Certamente Ilva può scegliere altre strade". Per esempio? "Dobbiamo renderci conto che la batteria di interventi ha costi ingenti che vanno valutati. Di certo la questione va affrontata e non con dei palliativi" Se l' Ilva decidesse di non collaborare? "Non v' è dubbio sulle determinazioni del Riesame. E' chiaro che la conseguenza sarebbe la chiusura. La realtà inquadrata dalle nostre indagini va modificata. Così va interpretata la possibilità di utilizzo che il Tribunale ha concesso". Ci sono sei reparti da ammodernare. E si tratta del cuore della grande fabbrica. Quali sono i rimedi da mettere in campo? "Le opere da avviare sono quelle indicate nelle consulenze al centro dell' incidente probatorio. Non siamo matti e non abbiamo mai pensato a scatenare sollevazioni di piazza. Siamo certi che la tecnica offra soluzioni costose, ma idonee a centrare l' obiettivo della ecocompatibilità". Ci faccia un esempio. Per i parchi minerali cosa occorrerebbe fare? "Le soluzioni dei parchi minerali sono chiare. Si tratta solo di volerle attuare. Per arginare l' impatto dei parchi ci sono tre opzioni: la copertura totale, lo spostamento in altra zona lontana dal centro abitato oppure l' interramento. Non c' è rete, annaffiaturao barriere che tiene". Come va letta la conferma dei domiciliari per la Riva e per Capogrosso e la revoca dei provvedimenti per i manager? "Anche in questo senso è opportuno attendere le motivazioni della decisione. Mi pare chiara l' indicazione di una posizione più defilata dei manager". Intorno a questa inchiesta si è registrato un diluvio di dichiarazioni e prese di posizione. In molti hanno criticato l' iniziativa del sequestro finalizzato alla chiusura... "Il nostro è un paese democratico. In questo sistema abbiamo un ruolo ben preciso. Il nostro dovere è quello di far rispettare la legge. Anche il Riesame ha riconosciuto la bontà del nostro lavoro. Poi siamo democratici e rispettiamo il pensiero di tutti". Qualcuno l' ha delusa? "La delusione può provocartela solo un amico. Al massimo posso dire che qualcuno mi ha stupito. Ma capisco che certe dichiarazioni di circostanza sono inevitabili". Si fa un gran parlare di intercettazioni e di contenuti scottanti al centro di altri fascicoli con nomi di politici e non solo vicinissimi all' azienda... "Posso solo dire che stiamo lavorando. Come sempre". Si aspettava di finire sotto scorta per questa inchiesta? "Proprio no. Ed è una cosa molto fastidiosa. Però la scorta non te la metti da solo. La decisione è di altri e a te tocca solo accettarla".MARIO DILIBERTO

La Repubblica 08 agosto 2012 - sez. BARI

Ora sarà Taranto a controllare perché chi inquina deve pagare

TARANTO - «È tornata la serenità e la fiducia». Ippazio "Ezio" Stefàno, sindaco di Taranto, ci crede. Verrebbe da dire: tanto tuonò che piovve. Anche se, per ora e come sempre, piovono solo polveri sottili, nonché fetenti, sul quartiere Tamburi, quello più vicino all' Ilva. «Sì, ma come stanno

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le cose la città, tutta la città, avrà l' occasione di partecipare e controllare». Cioè? «Che le prescrizioni indicate dai magistrati per rimettere tutto a posto, siano rispettate. Alla lettera». Taranto 1- Ilva 0? «Tutta l' Italia ha tifato per noi: dal presidente della Repubblica al Papa. Perfino alle Olimpiadi di Londra hanno parlato di Taranto...». Ilva adesso dovrà scucire quattrini per «garantire la sicurezza degli impianti», come scrivono i giudici del riesame. «Lo farà, non ho dubbi. Dalla nomina come presidente dello stabilimento di Bruno Ferrante, è cambiata la strategia del gruppo Riva». Erano accusati di essere arroganti, i "padroni delle ferriere", ma dallo sbarco nel capoluogo ionico dell' ex prefetto di Milano adottano la linea morbida. «Io la definirei una linea saggia, corretta. Rispettare le regole è giusto e mi auguro che quelli dell' acciaieria lo capiscano fino in fondo». Acciaieria che resta sequestrata, ma che a differenza di dodici giorni fa, dopo l' ordinanza del gip, non chiude i battenti. Non è che coils e tubi andranno comunque a farsi benedire, perché bisognerà prima curare le «situazioni di pericolo»? «No, non è così. La bonifica della fabbrica avviene nel momento in cui si continua a produrre». Secondo Stefàno, il 26 luglio il giudice Patrizia Todisco aveva calcato un po' troppo la mano disponendo «lo spegnimento» dell' area a caldo? «Non a caso esiste il riesame. Io, tuttavia, ritengo che se non ci fosse stato quel provvedimento saremmo andati avanti con i palliativi. Questa, invece, è la classica storia per cui bisognava dare la classica spallata perché ci fosse il lieto fine: Taranto, malata cronica, deve essere curata con l' antibiotico, non con l' aspirina. Parola di medico». Il lieto fine? «Soprattutto gli ingegneri, prima ancora di Ferrante o del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, avevano dichiarato che l' azienda rischiava di andare in malora. Io ero terrorizzato». È il momento del sospiro di sollievo? «Il governo ha stanziato 336 milioni di euro per il risanamento di Mar Piccolo, Mar Grande, dei Tamburi...». Gli operai dell' Ilva sono ironici: con i soldi delle nostre tasse, Riva si rimette in piedi. «Eh, no. Soldi pubblici saranno spesi per realizzare opere pubbliche. Quanto a Ilva, deve investire parte degli utili per evitare di avvelenare una comunità con le emissioni diffuse, quelle sfuggite ai controlli e che devastano irrimediabilmente i terreni, fanno ammalare gli animali... Vale un principio, sacrosanto: chi inquina paga».

La Repubblica 08 agosto 2012 - sez. BARI

Partono le centraline antiveleni

A DECISIONE di confermare il sequestro degli impianti dell' Ilva ma con facoltà d' uso per consentirne l' adeguamento, arriva da Taranto nelle stesse ore in cui a Bari, nella stanza del governatore Nichi Vendola, il presidente Bruno Ferrante accetta il monitoraggio in continuo sul perimetro, con altre quattro centraline, e sulla videosorveglianza delle cokerie per individuare le polveri fuggitive. L' ultima riserva che Ferrante non scioglie riguarda la riduzione della produzione nei giorni di vento. E Vendola parla di «passaggio storico». BRUCIA i tempi il tribunale del riesame. La decisione di confermare il sequestro degli impianti dell' Ilva ma con la facoltà d' uso per consentirne l' adeguamento, matura a Taranto nelle stesse ore in cui a Bari, nella stanza del governatore Nichi Vendola, il presidente del siderurgico, Bruno Ferrante, fa cadere le ultime riserve sul monitoraggio in continuo sul perimetro dello stabilimento con altre quattro centraline e sulla videosorveglianza delle cokerie per individuare le polveri fuggitive. L' ultima riserva che Ferrante non scioglie riguarda la riduzione della produzione nei giorni di vento perché il management è convinto che ci sia un' alternativa tecnica capace di ridurre le emissioni senza rallentare il ciclo produttivo quando il vento di Nord Ovest soffia sui Tamburi. Tuttavia le parole pronunciate ieri da Vendola e Ferrante che confermano quelle scritte nel verbale della cabina di regia di due giorni fa, pesano. Pesano perché di fatto ricalcano un passaggio dell' ordinanza del gip in cui si dice che «solo la compiuta realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo individuate dai periti chimici, in uno all' attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni maggiormente inquinanti potrebbe legittimare l' autorizzazione - previa attenta ed approfondita valutazione da parte dei tecnici nominati dall' autorità giudiziaria dell' efficacia sotto il profilo della prevenzione ambientale delle misure eventualmente adottate - ad una ripresa della operatività dei predetti impianti». In quello spiraglio gli enti locali, dai ministeri alla Regione fino all' Ilva, si sono tuffati anima e corpo nelle ultime ore per strappare quella facoltà d' uso che non spegne il siderurgico di Taranto e riaccende le speranze dei lavoratori di non perdere il lavoro e dei tarantini di vedersi ridimensionato il diritto alla salute. «Il sequestro ai fini del

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risanamento dà un' indicazione positiva, che spero venga colta anche dall' impresa», afferma da Roma il ministro dell' ambiente, Corrado Clini.Ea Bari, Vendola parla di «passaggio storico»: «Oggi c' è un elemento maggiore di serenità ma contemporaneamente anche un elemento maggiore di responsabilità. E' una sfida importante per Ilva. Nessuno può pensare che siamo di fronte ad un giochino di società. Siamo dentro un passaggio storico e dobbiamo essere in grado di interpretare al meglio il nostro ruolo». Il governatore racconta anche che a Ferrante, poche ore prima, aveva detto di considerare cogenti quelle misure anche se il Riesame avesse revocato il sequestro invece di confermarlo. «Con Ferrante - rivela Vendola- abbiamo discusso proprio di questo. Abbiamo detto, al netto di quello che deciderà il riesame, al netto di quello che sarà l' iter processuale, noi pensiamo che l' Ilva debba portare sulle proprie spalle la responsabilità di dare risposte precise, chiare, forti. Oggi - ha concluso - l' Ilva ce l' ha per intero questa responsabilità sulle proprie spalle, perchè il tribunale del riesame sostanzialmente restituisce all' Ilva l' onere di dimostrare che una grande fabbrica e una grande città possono convivere». E Ferrante aveva confermato il carattere di assoluta spontaneità dell' azienda su impegni non previsti dai protocolli e non imposti dalle autorizzazioni. «Nulla potrà essere come prima - ribadisce Vendola - andranno in archivio le idee di chi ritiene il profitto e la crescita economica più importanti della difesa della vita». Anche l' ex ministro Raffaele Fitto (Pdl) sottolinea come «la concessione della facoltà d' uso degli impianti e la nomina di Bruno Ferrante come custode e garante degli interventi di bonifica e risanamento ambientale, consentono di continuarea lavorare come si è fatto finora, per giungere quanto prima ad un risultato che restituisca serenità ai lavoratori e certezze alla città di poter conciliare salute e ambiente, lavoro e sviluppo».PIERO RICCI

La Repubblica 08 agosto 2012 - sez. BARI

Landini (Fiom): 'Bonifica senza fermare gli impianti'

FIOM, Uilm e Ugl commentano la sentenza del tribunale del riesame. Secondo il segretario della Fiom Maurizio Landini si tratta di «un fatto importante perché stabilisce che per risanare l' Ilva non vanno fermati gli impianti». I giudici confermano il sequestro dell' area "a caldo", ma di fatto concedono la facoltà d' uso della stessa area "a caldo"esclusivamente per risanare gli impianti finiti nel mirino dei magistrati della procura. «Magistrati» aggiunge il sindacalista «che non abbiamo mai considerato una controparte dei lavoratori, nemmeno in questa vicenda». Soddisfatto appare pure il segretario della Uilm, Rocco Palombella: «Riteniamo positivo che il tribunale del riesame si sia pronunciato scongiurando la fermata degli impianti siderurgici di Taranto affinché siano messi a norma. E' altresì positivo che il presidente dell' Ilva Bruno Ferrante sia stato nominato custode e amministratore delle aree e degli impianti messi sotto sequestro. In questo modo gli impianti che producono acciaio possono rimanere funzionanti e si può agire concretamente per l' ambientalizzazione del sitoe del territorio interessato dalla bonifica». Adesso «aspettiamo che l' azienda faccia la sua parte, dopo l' incoraggiante decisione dei giudici» spiegano Paolo Varesi e Antonio D' Anolfo, dell' Ugl. I due sindacalisti sottolineano che «la chiusura dell' Ilva avrebbe rappresentato una doppia sconfitta per Taranto e per migliaia di operai e famiglie che hanno pagato con la propria vita e la propria salute il prezzo di un lavoro duro e usurante. E' di vitale importanza per l' industria italiana non perdere lo stabilimento e allo stesso tempo garantire la salute dei cittadini e il rispetto dell' ambiente».

La Repubblica 08 agosto 2012 - sez. BARI

ARIA PULITA E UN PO' DI CHIAREZZA SU TARANTO

Quando le industrie manifatturiere acquistano l' acciaio dell' Ilva di Riva non possono dimenticare o far finta di non sapere le continue violazioni delle norme contro gli inquinamenti perché - come si legge nell' accusa del gip del Tribunale di Taranto - questa azienda scientificamente e coscientemente non rispetta gli standard europei. Le aziende che si approvvigionano di acciaio a Taranto dovrebbero porre precise condizioni: "O ci dai un prodotto fatto nel rispetto delle norme antinquinamento oppure compriamo acciaio ad altre parti del mondo, anche se ci potrebbe costare un po' di più". I continui appelli dei politici e sindacalisti per salvaguardare comunque la produzione

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siderurgica e non chiudere lo stabilimento in quanto si danneggerebbe tutto il comparto manifatturiero fanno finta di dimenticare la storia della Nike che, quindici anni fa, fu boicottata perché sfruttava i bambini di molti Paesi asiatici. Dopo quella presa di posizione di consumatori e sindacalisti americani il marchio, leader nel mondo sportivo, ha eliminato quella vergogna e dal 2010 è rientrata tra le aziende più etiche e sostenibili del mondo. Ha salvato i posti di lavoro senza sfruttare i bambini che lavoravano in condizioni inumane. E se i nostri industriali adottassero la condotta dei consumatori Nike (che invitavano a boicottare quei prodotti di largo consumo)? Credo che far sapere all' Ilva che almeno l' industria italiana continuerà ad acquistare l' acciaio a condizione che siano rispettate tutte le norme per combattere l' inquinamento e far cessare l' esponenziale incremento di morti e malattie nel territorio tarantino (e non solo nei quartieri Tamburi e Paolo VI), sarebbe opera meritoria. Ilva la smetterebbe con il suo ricatto occupazionale e si adeguerebbe alle norme comunitarie. Cosa che Riva credo rispetti nei suoi stabilimenti all' estero: in Francia, Belgio, Germania (ha ricevuto un premio ad hoc), in Canada, Grecia, Tunisia e Spagna. Nel 2013 a Taranto ci sarà un referendum (anche se consultivo a livello comunale) che potrebbe rafforzare la richiesta della stragrande maggioranza dei cittadini che sogna di alzarsi un giorno e sapere che l' Ilva sta adeguando le sue produzioni nel rispetto della salute pubblica. Rocco Tancredi - Taranto Dalle intercettazioni depositate al Tribunale di Taranto emergono dialoghi in cui l' avvocato dell' Ilva, Francesco Perli, chiama Fabio Riva (figlio del padrone dell' Ilva), per dire che è stato contattato da Luigi Pelaggi, allora Capo segreteria tecnica del Ministro dell' Ambiente Prestigiacomo, e che Pelaggi ha dato precise istruzioni al Presidente della Commissione Aia (autorizzazione Ambientale Integrata) e che la visita della commissione a Taranto deve essere "un po' pilotata". Dunque si tratta di una autorizzazione "farlocca", cioè addomesticata. Pelaggi è peraltro coinvolto in altre inchieste giudiziarie sui rifiuti e sembra essere ancora presente al ministero dell' Ambiente con la qualifica di "consigliere giuridico" del ministro. Giuseppe Vatinno - Commissione Ambiente della Camera.

La Repubblica 08 agosto 2012 - sez. BARI

llva sotto sequestro, ma non si chiude Il tribunale: Risanate gli impianti

TARANTO - L' Ilva di Taranto non chiuderà. Ma sarà costretta a sborsare un bel po' di quattrini per finanziare la "messa a norma" dell' area "a caldo", sotto sequestro dal 26 luglio. È la principale decisione dei giudici del riesame, che con quarantott' ore di anticipo rispetto alla scadenza dei termini finiscono per concedere una via d' uscita al più grande siderurgico d' Europa "condannato" dall' ordinanza del gip Patrizia Todisco ad «avviare le procedure» perché altiforni e cokerie fossero spenti. Dodici giorni più tardi, il riesame dispone che «i custodi garantiscano la sicurezza degli impiantie li utilizzino in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti». Tra i "guardiani" dell' acciaieria, restano i tre ingegneri incaricati dal gip. E c' è pure una new entry: il presidente di Ilva, Bruno Ferrante, che vestirà i panni di «amministratore delle aree». Non fosse altro perché, come spiega il procuratore della Repubblica Franco Sebastio, tocca alla multinazionale aprire i cordoni della borsa e Ferrante, quale legale rappresentante della società per azioni, può staccare gli assegni. In nome e per conto del patron Emilio Riva, che rimane ai domiciliari come suo figlio Nicola e l' ex direttore dello stabilimento, Luigi Capogrosso. Ritornano uccelli di bosco invece, cinque dirigenti dell' azienda: Marco Adelmi, Angelo Cavallo, Ivan Dimaggio, Salvatore De Felice, Salvatore D' Alò. Tutti e otto sono indagati per disastro ambientale. Sebastio non ha dubbi: «L' impianto accusatorio è stato confermato». Sono quelle stesse accuse che, come avevano scritto i pubblici ministeri nella memoria integrativa depositata proprio al riesame, vogliono esorcizzare un vecchio andazzo: «Non si può dare licenza di uccidere a nessuna fabbrica. Neanche all' Ilva». Ilva che qualora adesso «non volesse collaborare, dopodomani dovrebbe far calare il sipario. Ma questa è una mera ipotesi» puntualizza il capo dei requirenti. Quanto a Ferrante, chiamato solo da un mese a questa parte da Riva senior a guidare quella che in tutto e per tutto è una città di quindici milioni di metri quadrati, è cauto. Prima vuole leggere «con attenzione» quelle che saranno le motivazioni del provvedimento. Provvedimento che comunque, aggiunge, «dà un segnale molto netto e preciso nei confronti della spa. Comunque, non si parla più di interruzione dell' attività». Già, ma la produzione subirà una battuta

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d' arresto? «Per ora prosegue regolarmente. Taranto è strategica per il gruppo Riva». Poi confessa una «profonda amarezza» perché continuano a negare la libertà al "padrone delle ferriere". In mattinata, a Bari, il manager aveva avuto un faccia a faccia col governatore Nichi Vendola. Ilva accetta fin da subito di controllare con l' installazione di quattro o cinque centraline, le fonti maggiormente inquinanti che si sprigionano lungo il perimetro della fabbrica; prende tempo fino alla fine di agosto prima di accogliere altre due richieste avanzate dall' amministrazione regionale, una riduzione dei coils pari al 10 per cento nei cosiddetti wind days, giorni ventosi, e l' abbassamento del 20 per cento dei cumuli, le collinette di polveri sottili all' interno dei parchi minerari, destinati a essere bagnati più spesso del solito per evitare che le maledette polveri volino dappertutto. Per il ministro dell' Ambiente Corrado Clini, i magistrati «danno indicazioni positive, sono abbastanza ottimista». Vendola, più prudente, avverte: «Non siamo di fronte a un giochino di società. Oggi la responsabilità ricade interamente sulle spalle di Ilva. Nulla potrà essere più come prima». MARIO DILIBERTO LELLO PARISE

La Repubblica 08 agosto 2012

Il caso Ilva all'attenzione dell'Ue "Tajani nel Tavolo per Taranto"Clini sposa la proposta di coinvolgere il vicepresidente della Commissione europea. Sit-in dei comitati di operai che temono la chiusura: "Gli impianti sono obsoleti, l'azienda non li risanerà mai". Il decreto legge alla Camera

"Condivido il suggerimento dell'onorevole Raffaele Fitto e del presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola di coinvolgere nel 'Tavolo per Taranto' direttamente il vicepresidente Tajani". Lo dichiara il ministro dell'Ambiente Corrado Clini. In una nota del dicastero si sottolinea che Clini è da tempo in contatto con il vicepresidente della Commissione Ue, Antonio Tajani, per valutare la possibilità di sostenere con finanziamenti europei iniziative per utilizzare anche all'Ilva di Taranto tecnologie innovative finalizzate alla protezione dell'ambiente e al miglioramento della produzione.Fitto, illustrando la proposta aveva ricordato "le dichiarazioni dei giorni scorsi del vicepresidente del responsabile per l'Industria e l'imprenditoria della Commissione europea" che "aprono - aveva sottolinulteriori spiragli: a breve periodo attraverso il possibile finanziamento, da parte della BEI, di interventi finalizzati a migliorare la compatibilità ambientale; nel lungo periodo attraverso il Piano d'azione dell'acciaio che verrà adottato dalla Commissione europea entro giugno 2013 ed ha tra i suoi punti cardine il perseguimento dello sviluppo sostenibile. In questa prospettiva - aveva aggiunto - ritengo sia utile che, quanto prima, alla prossima riunione del Tavolo istituzionale, sia invitato Tajani che, peraltro, ho avuto modo di sentire e che mi ha garantito la sua piena disponibilità affinchè, insieme con il ministro Clini, il Presidente Vendola e gli altri componenti del Tavolo, si possa aprire un confronto per valutare nel merito le opportunità di sostegno al lavoro che stiamo portando avanti, attivando questa ulteriore sinergia anche con la Commissione Europea". Vendola aveva definito "estremamente opportuna l'iniziativa dell'onorevole Fitto, che ha inteso sottoporre al vicepresidente della Commissione Europea e commissario all'Industria, on. Tajani, la possibilità di un suo diretto coinvolgimento". Il ddl per Taranto alla Camera. Il governo ha presentato alla Camera il decreto legge per il risanamento ambientale e la riqualificazione del territorio dd Taranto. Lo ha comunicato in aula il presidente di turno Maurizio Lupi, in una breve seduta prima della pausa estiva. Il provvedimento, varato dal consiglio dei ministri il 3 agosto, è stato assegnato alle commissioni riunite Ambiente e Attività produttive.Il sit-in del comitato. "L'ordinanza del Riesame è solo ossigeno per l'azienda. Gli impianti sono obsoleti, l'Ilva non li risanerà mai". Questo lo stato d'animo di un gruppo di aderenti al neo-costituito 'Comitato di cittadini liberi e pensanti' che nel pomeriggio ha tenuto un presidio in piazza Garibaldi, in centro a Taranto, criticando l'ordinanza con la quale ieri il tribunale del Riesame ha confermato il sequestro di sei impianti dell'area a caldo dell'Ilva, finalizzandolo alla messa in sicurezza e al risanamento degli stessi. Del comitato fanno parte anche esponenti Cobas e ex iscritti ai sindacati dei metalmeccanici, come quelli che hanno interrotto il 2 agosto scorso il comizio organizzato al termine della manifestazione dei sindacati. Il comitato ha in programma un'assemblea pubblica al rione Tamburi, la zona della città a ridosso del Siderurgico e maggiormente colpita dall'inquinamento.

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Il vertice in Procura. Negli uffici della Procura di Taranto si è tenuta una riunione tra i pm del pool che si occupa di reati ambientali e i vertici locali delle forze dell'ordine. Nelle prossime ore il provvedimento dovrà essere notificato alle parti poiché contiene, rispetto al precedente decreto di sequestro preventivo firmato dal Gip, Patrizia Todisco, la variazione della nomina del presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, a custode e amministratore delle aree sequestrate, insieme a tre ingegneri già nominati dal Gip, al posto del presidente dell'Ordine dei commercialisti, Mario Tagarelli, che avrebbe dovuto occuparsi delle questioni amministrative. Nel corso dell'incontro è stato deciso per un cronoprogramma che chiarisca i tempi degli interventi già annunciati dall'Ilva. 

La Repubblica - 08 agosto 2012

Ma la procura non s' arrende 'Subito i tempi delle opere'

TARANTO - All' indomani della decisione del Riesame, i pm chiedono ai custodi dello stabilimento una relazione sugli interventi da effettuare. Una tabella di marcia da seguire per abbattere le emissioni di polveri e veleni dal siderurgico. L' alternativa è la chiusura. Un cronoprogramma per ridurre l' impatto ambientale dell' Ilva. La nuova mossa della procura nell' inchiesta sull' inquinamento provocato dalla grande fabbrica giunge all' indomani della decisione del Riesame. Il pool inquirente, infatti, ha firmato un ordine di esecuzione del sequestro dei sei impianti dell' area a caldo, confermato dal Tribunale. L' indicazione è diretta ai custodi, ai quali il collegio ha affiancato il presidente di Ilva Bruno Ferrante. Nell' ordine di esecuzione i pm chiedono una relazione sugli interventi da effettuare. E in più un cronoprogramma del risanamento degli impianti inquinanti. Una tabella di marcia da seguire per abbattere le emissioni di polveri e veleni dal siderurgico. Così la procura sgombera il campo da dubbi sulla tenuta dell' inchiesta al varco del riesame. Il tribunale non ha concesso alcuna facoltà d' uso. Ma bensì un percorso obbligato per ammodernare l' areaa caldo. L' alternativa è la chiusura. Ora spetterà ai custodi redigere la mappa dei lavori che dovranno partire dai parchi minerali. I rimedi da adottare ricalcheranno le indicazioni già emerse nel decisivo incidente probatorio. Per i parchi la soluzione è quella della copertura, in alternativa dell' interramento o dello spostamento. Poi si passerà all' agglomerato, alle cokerie, agli altoforni, alle acciaierie e al reparto Grf. Il cuore dell' Ilva che, secondo i periti, pompa all' esterno killer micidiali come benzoapirene e diossina, che uccidono e fanno ammalare i tarantini. Il nodo da sciogliere è quello della percorribilità economica. Una valutazione che spetta alla famiglia Riva alla luce delle reiterate dichiarazioni di "strategicità dell' impianto ionico per il gruppo". Su questo piano si incastra l' iniziativa dell' ex ministro Raffaele Fitto sulla opportunità di allargare il tavolo istituzionale sulla questione Taranto al vicepresidente della commissione europea Antonio Tajani, per accedere a fondi europei per il risanamento ambientale. "Ho avuto modo di sentire Tajani - ha detto Fitto - e mi ha garantito piena disponibilità". Un' iniziativa che il governatore Nichi Vendola non esita a definire "estremamente opportuna". "Ho contattato il ministro Clini e il prefetto Ferrante - ha detto Vendola - preannunciando una specifica sessione del tavolo allargata al vicepresidente Tajani e alla deputazione parlamentare ed europarlamentare pugliese". MARIO DILIBERTO

La Repubblica 09 agosto 2012

La delusione degli operai 'Noi non ci fidiamo di Ilva'

TARANTO - Sono le sette della sera e fa ancora un caldo pazzesco a piazza Masaccio, nel cuore dei Tamburi, il quartiere più vicino all' Ilva. Ve ne accorgete perché i camini dell' acciaieria più grande d' Europa occupano, impietosi, l' orizzonte. E perché, come al solito quando capitate da queste parti, la puzza di chissà che cosa entra nelle narici, vi fa respirare a fatica. Ma il "Comitato dei cittadini liberi e pensanti", fatto soprattutto da operai dello stabilimento, continua a scegliere il rione-simbolo della protesta «contro lo Statoe l' azienda», per le sue assemblee pubbliche. Gli Indignati sono duecento, forse di più: si erano presentati al mondo giovedì 2, avevano interrotto platealmente a bordo di un "tre ruote" e armati di fumogeni colorati, il comizio di Cgil, Cisl e Uil a piazza della Vittoria. «Non ci fidiamo». La colonna sonora di sfoghi, ragionamenti, arrabbiature non cambia all' indomani della sentenza dei giudici del riesame, che confermano il sequestro del siderurgico, ma consentono al gruppo Riva di «eliminare le situazioni di pericolo». Il punto è questo

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e Massimo Battista, 39 anni, uno dei tre fondatori del Comitato, non fa niente per nascondere lo scetticismo che gli si legge in faccia: «Non so se l' Ilva si atterrà a tutte le prescrizioni del tribunale. Noi dubitiamo. Ci volevano i magistrati perché la società facesse quello che non ha mai fatto fino a oggi e che tutti le domandavano di fare? Troppo facile» scuote la testa Battista.E aggiunge, rabbuiandosi: «Io, piuttosto, credo che Riva chiuderà la fabbrica da un giorno all' altro. Non ha nessuna intenzione di sostenere una spesa milionaria in nomee per conto della tutela ambientale». L' ipotesi suona agghiacciante. «Ecco perché non dobbiamo mollare, la nostra battaglia deve andare avanti. E lo Stato, che nel 1995 ha svenduto l' ex Italsider proprio ai Riva, adesso deve recuperare il tempo perduto e intervenire per evitare che dodicimila famiglie, quelle dei dipendenti, si ritrovino a chiedere l' elemosina agli angoli delle strade». Sì, insomma, il "giorno dopo" non è tutto oro quello che luccica. «A me sembra di stare su Scherzi a parte» racconta Aldo Ranieri, un altro portavoce dei "Cittadini liberie pensanti": «Sono felice perché mantengo il mio posto di lavoro. Poi torno a casa, guardo i miei due figli e temo che un giorno malediranno la mia indifferenza. Io so quello che succede là dentro, dove i diritti sono solo una speranza, e non faccio nulla per cambiare le cose». Ranieri è un fiume in piena: «L' intervento del gip Todisco ci aveva fatto immaginare che qualcosa potesse accadere, che saltassero fuori delle soluzioni alternative perché lavoro e salute fossero in grado di non fare a pugni. Macché. Ilva ricatta Taranto, pensa a produrre e basta, non si preoccupa della sicurezza. Diamogli le chiavi della città,a Riva,e facciamo comandare lui». La delusione è disegnata sui volti della gente dei Tamburi, l' impressione è che si senta vittima innanzi tutto dell' indifferenza degli altri tarantini. Ranieri, 42 anni, reparto Impianti marittimi, spiega per metà disincantato e per metà avvilito: «Trionfa per l' ennesima volta la cultura del che me ne fotte a me. Purtroppo, siamo fatti così. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: questo resterà un territorio da sacrificare per il bene dell' Italia. Mi aspettavo una svolta nel momento in cui erano entrati in campo i pubblici ministeri, invece è più importante il profitto. E noi moriremo poveracci».DAL NOSTRO INVIATO LELLO PARISE

La Repubblica 09 agosto 2012

Ilva, il 4 settembre il decreto in aula. Vendola: "Ora lavorare sui fondi"Approderà dopo l'estate alla Camera il ddl per Taranto. Il governatore: "Bene, ma altri finanziamenti sono ancora da reperire". I pm dettano i tempi per gli interventi per abbattere le emissioni di polveri e veleni dal siderurgico

"Considero il decreto legge su Taranto un passaggio importantissimo, ha un enorme valore politico, ma è tutt'altro che un punto di arrivo. Ora, il Parlamento deve continuare ad affrontare il tema delle risorse, occorre impegnare somme non simboliche per bonificarne quartieri, suoli, falda e mare". Così il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, commenta il decreto legge su Taranto che è in vigore da oggi. Il 4 settembre approderà alla commissione Attività produttive della Camera. Relatore del provvedimento che riguarda anche le bonifiche ambientali dell'area jonica sarà il parlamentare tarantino Ludovico Vico del Pd che sull'iter del decreto annuncia "tempi celeri". "Esiste già un pronunciamento da parte dei gruppi di maggioranza sia della X Commissione ambiente affinché quelle disposizioni vengano immediatamente approvate - dice Vico - e stimo che si potrà procedere in direzione di una accelerazione generale anche in termini di disponibilità di risorse economiche", annuncia riferendosi ai 336 milioni di euro per gli interventi del Procollo del 26 luglio scorso. I fondi per il risanamento. A questo proposito il governatore Vendola richiama alla necessità di reperire altri fondi. "Devo ricordare - ha spiegato - che gli importi previsti dal Protocollo per l'avvio delle bonifiche ammontano a 119 milioni. Dei quali 58 sono finanziati dalla Regione con risorse Fas. Del residuo (61 milioni euro), spettante allo Stato, il decreto sblocca oggi 20 milioni. Ci sono quindi 78 milioni di risorse fresche e disponibili. Parecchie da reperire per rispettare il Protocollo (41 milioni euro), molte, molte di più da programmare e stanziare per rispondere al bisogno di bonificare il territorio di Taranto, ferito dalla siderurgia e da tanta industria di Stato". "Ci attendiamo che il parlamento, già in sede di conversione del decreto - ha concluso Vendola - sappia continuare la faticosa opera di ricucitura avviata in questi giorni tra l'azione del Governo e i bisogni dei cittadini, nell'unico modo di cui oggi Taranto ha bisogno, impegnare somme non simboliche per bonificarne quartieri, suoli, falda e mare". 

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Il cronoprogramma. Un cronoprogramma per ridurre l'impatto ambientale dell'Ilva. L'indicazione è diretta ai custodi, ai quali il collegio ha affiancato il presidente di Ilva Bruno Ferrante. Nell'ordine di esecuzione i pm chiedono una relazione sugli interventi da effettuare. E in più i tempi del risanamento degli impianti inquinanti. Una tabella di marcia da seguire per abbattere le emissioni di polveri e veleni dal siderurgico. Così la procura sgombera il campo da dubbi sulla tenuta dell'inchiesta al varco del riesame. Il tribunale non ha concesso alcuna facoltà d'uso. Ma bensì un percorso obbligato per ammodernare l'areaa caldo. L'alternativa è la chiusura. Ora spetterà ai custodi redigere la mappa dei lavori che dovranno partire dai parchi minerali. I rimedi da adottare ricalcheranno le indicazioni già emerse nel decisivo incidente probatorio. Per i parchi la soluzione è quella della copertura, in alternativa dell'interramento o dello spostamento. Poi si passerà all'agglomerato, alle cokerie, agli altoforni, alle acciaierie e al reparto Grf. Il cuore dell'Ilva che, secondo i periti, pompa all'esterno killer micidiali come benzoapirene e diossina, che uccidono e fanno ammalare i tarantini. Il nodo da sciogliere è quello della percorribilità economica. Una valutazione che spetta alla famiglia Riva alla luce delle reiterate dichiarazioni di "strategicità dell'impianto ionico per il gruppo".

La Repubblica 09 agosto 2012

Bonifica Ilva, ci mancano i soldi

PER Taranto e la sua Ilva servono soldi. Soldi veri. Lo dice il governatore pugliese, Nichi Vendola, commentando la firma del decreto sul capoluogo jonico. Ma il destinatario, questa volta, non è l' azienda, ma il governo che ha reso disponibili "solo" 20 dei 61 milioni di euro di sua competenza per le bonifiche previsti dal protocollo d' intesa siglato il 26 luglio scorso. «Devo ricordare - attacca Vendola - che gli importi previsti dal protocollo per l' avvio delle bonifiche ammontano a 119 milioni. Dei quali 58 sono finanziati dalla Regione con risorse Fas. Del residuo (61 milioni euro), spettante allo Stato, il decreto sblocca oggi 20 milioni. Ci sono quindi 78 milioni di risorse fresche e disponibili. Parecchie da reperire per rispettare il Protocollo (41 milioni euro), molte, molte di più da programmare e stanziare per rispondere al bisogno di bonificare il territorio di Taranto, ferito dalla siderurgia e da tanta industria di Stato». Non è un appunto polemico, ma il governatore pugliese preferisce tenere alta l' attenzione sulla vicenda. «Il decreto legge su Taranto è un passaggio importantissimo, ma è tutt' altro che un punto di arrivo. Ora, il Parlamento deve continuare ad affrontare il tema delle risorse, occorre impegnare somme non simboliche per bonificarne quartieri, suoli, falda e mare». Per Vendola, il decreto entrato in vigore ieri, «ha un enorme valore politico per la unanimità di richieste che lo ha promosso, la sensibilità mostrata dal Governo che lo ha scritto d' urgenza ed il consenso diffuso che esso raccoglie». «Ma l' importanza della vicenda - insiste Vendola - ci impone di dire sempre la verità: il Decreto Legge è tutt' altro che un punto di arrivo è vero, esso consente di cominciare a mettere in cantiere gli interventi del protocollo che valgono nel complesso 396 milioni di euro. E tuttavia proprio il protocollo suggerisce il tema delle risorse messe a disposizione delle bonifiche pubbliche». A Montecitorio, il decreto approderà il 4 settembre. Relatore del provvedimento, in commissione Attività Produttive, sarà il deputato tarantino, Ludovico Vico (Pd) che annuncia «tempi celeri». «Esiste già un pronunciamento da parte dei gruppi di maggioranza e stimo che si potrà procedere in direzione di una accelerazione generale anche in termini di disponibilità di risorse economiche». Dalla Regione Puglia, il capogruppo del Pdl, Rocco Palese non si stanca di ripetere che «la collaborazione istituzionale è ancor più necessaria in sede di conversione del decreto per essere integrato e migliorato in modo da dare con urgenza il via agli interventi». «Il terremoto che abbiamo vissuto - osserva l' arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro - spero sia servito a rendere la questione di Taranto una questione nazionale. Taranto ha un' occasione storica che non può mancare nella difesa della vita, dell' ambiente e del lavoro. La partita è ancora aperta e tutta da giocare».(p.ri.)

La Repubblica 10 agosto 2012 – sez. Bari

Il provvedimento del gip di Taranto che prevede lo stop alla produzione . Ilva, arriva lo stop alla produzione. Ferrante impugna l'ordinanza.

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Il giudice Todisco ha fatto notificare al siderurgico un'ordinanza aggiuntiva interpretativa del provvedimento che esclude il presidente del gruppo dalla gestione delle aree a caldo sotto sequestro. Immediata la reazione del presidente: "Seri problemi per l'azienda"

di MARIO DILIBERTO . L'Ilva dovrà risanare gli impianti dell'area a caldo sequestrati per disastro ambientale ma “senza prevedere alcuna facoltà d’uso” degli stessi "a fini produttivi". Lo ha ribadito il gip di Taranto Patrizia Todisco in un provvedimento notificato ieri all'Ilva nel quale si specifica anche il ruolo dei custodi giudiziari. Una decisione contro cui si scagliano Pd e Pdl, e su cui interviene anche il ministro dell’ambiente Corrado Clini.La nuova ordinanza di sequestro che assegna le funzioni ai quattro commissari e in particolare esclude Bruno Ferrante, presidente dell'Ilva, dalla gestione delle attività delle aree a caldo, poste ai sigilli, limitandolo invece alle sole questioni che riguardano il personale e l'ammnistrazione. Immediata la replica dell'azienda che ha impugnato il provvedimento e convocato il cda. Ferrante, ha dato mandato ai propri legali di impugnare il provvedimento: l'ordinanza interpretativa impone, secondo l'azienda, lo stop alla produzione per consentire la messa in sicurezza degli impianti. "Una scelta insostenibile" secondo l'Ilva che ha contestato seduta stante il decreto. E il presidente in serata insiste: "Dal provvedimento del gip nasceranno seri problemi per l'azienda".In particolare, nel provvedimento, il gip sollecita i custodi ad adottare "tutte le misure tecniche necessarie a scongiurarsi il protrarsi delle situazioni di pericolo e a eliminare le stesse, situazioni in ragione delle quali il sequestro preventivo è stato disposto e confermato", ricordando che il Riesame non ha previsto "alcuna facoltà d'uso degli impianti a fini produttivi". "Il sequestro preventivo delle aree e degli impianti indicati nel decreto emesso il 25 luglio 2012" - ha ribadito il gip - "non può che essere funzionale alla tutela delle esigenze preventivo-cautelari indicate dalla legge". Questo perché, spiega Todisco, è "grave e attualissima situazione di emergenza ambientale e sanitaria in cui versa il territorio di Taranto imputabile alle emissioni inquinanti (convogliate, diffuse e fuggitive) dello stabilimento Ilva e segnatamente di quegli impianti e aree sottoposte a vincolo cautelare)". Divisi anche i compiti del commissari: Barbara Valenzano è responsabile delle misure tecniche "necessarie a eliminare le situazioni di pericolo e dell'attuazione dei monitoraggi con potere di spese (previa approvazione dell'autorità giudiziaria) relativamente alle aree sottoposte a sequestro, nonché a quelle tecnicamente connesse". Bruno Ferrante, invece, è individuato dal gip come "datore di lavoro" ed è quindi "responsabile dell'attuazione delle prescrizioni e procedure impiantistiche che si renderanno necssarie in attuazione del provvedimento di Aia per gli impianti non interessati in alcun modo del provvedimento di sequestro preventivo". Oltre a loro, custodi giudiziari sono stati nominati anche Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento.Nei giorni scorsi, in Procura a Taranto si era riunito il pool investigativo, diretto dal procuratore Franco sebastio . Al termine del summit era stato adottato un ordine di esecuzione consequenziale alla decisione del Riesame. Nel dettaglio, i magistrati avevano disposto che i custodi si adoperassero per l'individuazione di un cronoprogramma di interventi sui sei impianti di area a caldo sequestrati a cominciare dai parchi minerali e il percorso da seguire per abbattere lòe emissioni di veleni dalla grande fabbrica.   La Repubblica - 11 agosto 2012

Pd e Pdl: "Preoccupa decisione del gip". Mentre l'Idv difende la magistraturaIl ministro Clini auspica che prosegua "il percorso di risanamento degli impianti". Fassina: "Fare chiarezza al più presto. In gioco le prospettive dei lavoratori". Napoli: "Non c'è logica nella decisione". Zipponi: "Fassina ha preso un colpo di sole. I giudici applicano la legge". Bonelli attacca l'azienda

E' polemica dopo la decisione del gip di Taranto Patrizia Todisco, sul caso Ilva. Il magistrato ha stabilito che l'azienda dovrà risanare gli impianti dell'area a caldo sequestrati per disastro ambientale, ma "senza prevedere alcuna facoltà d'uso" degli stessi "a fini produttivi". Clini. Sulla questione interviene il ministro dell'Ambiente, Corrado Clini, auspicando che prosegua "il percorso di risanamento degli impianti" dell'Ilva.  "La decisione di interrompere le attività di produzione dovrebbe essere guidata dalla tipologia degli interventi da realizzare che in alcuni casi

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richiedono la fermata di parti degli impianti e in altri casi suggeriscono invece il contrario", ha detto Clini. Vendola. "Credo che la drammaticità del momento imponga a tutti gli attori di questa vicenda di dare un contributo di chiarezza e di responsabilità", ha detto in una nota il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. "Credo che non corrisponda al comune sentimento di preoccupazione - prosegue Vendola - non poter comprendere in modo univoco quale sia, secondo la magistratura, il destino dell'Ilva. Se siamo dinanzi ad un provvedimento irreversibile di spegnimento della fabbrica oppure se siamo invece dinanzi ad un percorso di prescrizioni da rispettare". Per Vendola "è paradossale che un'intera città, e tutte le istituzioni dello Stato, non possano sapere se la soluzione che sia di svolta ambientale ma insieme di salvezza dell'azienda risulti interdetta per via giudiziaria".Pd. La decisione del gip non piace al responsabile economico del Pd, Stefano Fassina. "E' irrituale e molto preoccupante il provvedimento del gip di Taranto dopo la decisione del Tribunale del Riesame, dopo gli impegni assunti dall'azienda per la realizzazione degli interventi necessari alla salvaguardia della salute e dopo il Decreto del Governo sull'avvio delle bonifiche", si legge in una nota Stefano Fassina, responsabile Economia e Lavoro del Pd. "E' necessario fare chiarezza al più presto", spiega  Fassina, "Sono in gioco le prospettive di un'azienda strategica e il futuro di decine di migliaia di lavoratori". Pdl. Critico anche Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl. "La decisione del gip di Taranto è grave, illogica e contraddittoria - ha detto Napoli - . Si comprende la necessità di tutelare un bene come l'ambiente, interesse generale e di tutti. Si comprende meno invece l'insistenza sul blocco produttivo dell'Ilva che lesiona un interesse non meno generale, visto che riguarda il lavoro di migliaia di operai oltre che gli interessi dell'Italia nel settore dell'acciaio". Gli fa eco Maurizio Sacconi del Pdl: "E' allarmante la decisione del Gip di bloccare la produzione dell'impianto di Taranto paralizzando il più grande sistema siderurgico europeo. La produzione è infatti compatibile con gli obiettivi di risanamento ambientale".Idv. Scende in campo per difendere la scelta del gip invece l'Italia dei Valori. "E' incomprensibile la posizione del Pd che attacca il gip di Taranto, forse Fassina ha preso un colpo di sole in quanto parla, inoltre, di un piano aziendale che a nessuno è dato conoscere - ha detto il responsabile Welfare e Lavoro dell'Italia dei Valori, Maurizio Zipponi. "La magistratura di Taranto, in tutte le sue istanze - aggiunge - sta tentando di applicare la legge italiana anche dentro l'Ilva, permettendo all'azienda di ristrutturarsi, mettendo in sicurezza gli impianti con la cessazione dell' inquinamento dell'aria, della terra e del mare. Sin dall'inizio la magistratura ha sopperito alla totale assenza delle istituzioni sul dramma che oggi stanno vivendo i lavoratori dell'Ilva e le loro famiglie".Verdi. Sulla questione intervengono anche i Verdi che criticano invece il comportamento dell'azienda. "La scelta di Ilva di impugnare la decisione del gip è gravissima e dimostra che l'azienda è alla ricerca di una scorciatoia per evitare le prescrizioni della Procura e confermate dal Tribunale del riesame", ha detto il presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "La più volte manifestata volontà dell'Ilva di collaborare con le istituzioni (a cui noi non abbiamo mai creduto) si è già esaurita? Su questo aspetto il governo dovrebbe riflettere attentamente visto che al comma 8 dell'articolo 1 del decreto su Taranto ha addirittura deciso di mettere a disposizione dei fondi per gli investimenti dell'azienda".

La Repubblica - 11 agosto 2012

L'INCHIESTA DI TARANTO . Patrizia Todisco, gip: la zitella rossa che licenzia 11mila operai Ilva

Patrizia Todisco, il giudice per le indagini preliminari che sabato 11 agosto ha corretto il tiro rispetto alla decisione del Tribunale di Riesame decidendo di fermare la produzione dell'area a caldo dell'Ilva si Taranto lasciando quindi a casa 11mila operai, è molto conosciuta a Palazzo di giustizia per la sua durezza. Una rigorosa, i suoi nemici dicono "rigida", una a cui gli avvocati che la conoscono bene non osano avvicinarsi neanche per annunciare la presentazione di un'istanza. Il gip è nata a Taranto, ha 49 anni, i capelli rossi, gli occhiali da intellettuale, non è sposata, non ha figli e ha una fama di "durissima". Come scrive il Corriere della Sera, è una

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donna che non si fermerà davanti alle reazioni alla sua decisione che non si aspetta né la difesa della procura tarantina né di quella generale che sulle ultime ordinanze non ha aperto bocca. Patrizia Todisco è entrata in magistratura 19 anni fa, e non si è mai spostata dal Palazzo di giustizia di Taranto, non si è mai occupata dell'Ilva dove sua sorella ha lavotato come segretaria della direzione fino al 2009. Non si è mai occupata del disastro ambientale dell'Ilva ma, vivendo da sempre  a Taranto, ha osservato da lontano il profilo delle ciminiere che hanno dato lavoro e morte ai cittadinini. La sua carriera è cominciata al Tribunale per i minorenni, poi si si è occupata di violenze sessuali, criminalità organizzata e corruzione. Rigorosissima nell'applicazione del diritto, intollerante verso gli avvocati che arrivano in ritardo, mai tenera con nessuno. Sempre il Corriere ricorda quella volta che, davanti a un ragazzino che aveva rubato un pezzo di formaggio dal frigorifero di una comunità. Fu assolto, come come dice un avvocato "lo fece così nero da farlo sentire il peggiore dei criminali". 

Libero 13 agosto 2012

Finanziamento ai partiti, dal patron dell’Ilva soldi a Forza Italia e Bersani

L'imprenditore definito come antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. Tra il 2006 e il 2007 ha staccato un assegno di 245mila euro per il partito di Berlusconi, altri 98mila euro sono andati a finanziare il segretario del Pddi Vittorio MalaguttiLe biografie ufficiali e anche decine di articoli di giornale lo descrivono come un imprenditore tutto casa e fabbrica. Un tipo che punta dritto all’obiettivo e quando c’è da menar le mani, in senso figurato, non rinuncia allo scontro. Insomma, Emilio Riva, non si ferma davanti a niente e a nessuno. E mezzo secolo di carriera costellata da processi per comportamento antisindacale o per violazioni della normativa ambientale suonano come la conferma migliore di questo ritratto da duro e puro. In realtà, chi lo ha frequentato a lungo, ci restituisce un’immagine un po’ diversa da quella del macho che lo stesso Riva, classe 1926, cerca da sempre di accreditare.Il patron dell’Ilva, come spiegano manager e colleghi imprenditori, ha sempre dimostrato una straordinaria abilità da pokerista. E come tale sa alzare la posta quando è il caso, ama bluffare oppure lasciare il tavolo per poi intavolare trattative nella stanza accanto alla ricerca di nuovi alleati. Per esempio, la sua esibita estraneità alla politica, ai partiti e allo statalismo in genere è diventata una specie di fiore all’occhiello per un imprenditore come Riva che afferma di essersi fatto tutto da sé. Le cose cambiano se si fa il conto delle centinaia di migliaia di ore di cassa integrazione a spese del bilancio pubblico che negli anni difficili hanno tenuto in piedi i suoi stabilimenti, a Taranto come a Genova. Di più: quando il gioco si fa duro, Riva l’antipolitico non perde tempo ad aprire il portafoglio per dare una mano ai partiti. Un aiuto cash, in contanti. E così consultando i resoconti sui contributi privati alle formazioni politiche, si scopre che tra il 2006 (anno di elezioni politiche) e il 2007 il patron dell’Ilva ha staccato un assegno di 245mila euro per Forza Italia, mentre altri 98mila euro sono andati a finanziare personalmente Pier Luigi Bersani. Tutto regolare, per carità. Tutto denunciato dai beneficiari delle donazioni così come prevede la legge in materia. L’episodio però la dice lunga sul metodo Riva: una mancia destra e una a sinistra, tanto per dimostrarsi equidistante, o forse sarebbe meglio dire equivicino, alle opposte sponde politiche.L’industriale siderurgico, da sempre descritto come un falco liberista, non si è fatto problemi a versare un obolo anche all’esponente del Pd destinato a diventare nel 2006 il ministro dello Sviluppo economico del governo Prodi. Una scelta azzeccata. A suo tempo Riva ha infatti finanziato anche il massimo responsabile della politica industriale del Paese, un ministro che, ovviamente, è chiamato a occuparsi anche di un settore strategico come l’acciaio. Nel 2008 cambia il vento. Silvio Berlusconi torna a palazzo Chigi e il gran capo dell’Ilva si fa trovare pronto. Eccolo in prima linea nella cordata per salvare quel che resta di Alitalia, un intervento, come noto, sollecitato dal capo del Pdl in persona. Riva mette sul piatto 120 milioni e, intervistato dal Sole 24 Ore nel 2009, non ha problemi ad ammettere che “sappiano bene che non ci guadagneremo”, ma un grande Paese come l’Italia “non può non avere una compagnia di bandiera”. Insomma, ecco a voi Riva il patriota. Mutazione sorprendente per un imprenditore che, oltre a controllare il suo gruppo attraverso holding in Lussemburgo e Olanda per minimizzare il carico fiscale, ha sempre affermato di badare sempre e solo agli affari suoi. I maligni, che però spesso ci azzeccano, fanno

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notare che tra il 2008 e il 2009 si apre la crisi economica senza precedenti di cui ancora stiamo subendo le conseguenze. E il capo dell’Ilva sa bene che un settore ciclico come la siderurgia è il primo a risentire degli effetti di un rallentamento economico. Del resto basta dare un’occhiata agli ultimi bilanci del gruppo. Nel 2007, prima del crollo, i profitti erano arrivati a quota 877 milioni su circa 10 miliardi di giro d’affari. Poi la musica cambia, eccome. Nel 2009 (rosso di 411 milioni) e nel 2010 (meno 71 milioni), l’impero di Riva ha perso soldi a rotta di collo e, nonostante una timida ripresa, nel 2011 i conti hanno chiuso in utile di 88 milioni grazie a poste straordinarie e fiscali per quasi 400 milioni. E allora l’industriale tutto d’un pezzo, un lumbard che si descrive orgogliosamente come “milanese di piazza San Marco” (in pieno centro città), tenta di riprendere quota con l’Alitalia mentre le sue aziende perdono soldi.Il caso ha poi voluto che Riva abbia ritrovato come ministro dell’Industria proprio Corrado Passera, cioè l’ex banchiere che come capo di Intesa si distinse come il grande sponsor del salvataggio della disastrata compagnia aerea. Tra tanti amici al governo, però, il capo dell’Ilva ha finito per trovarsi un nemico in casa. Già, perchè Riva non è l’unico proprietario del gruppo siderurgico, di cui pure controlla il 90 per cento. A libro soci con una quota del 10 per circa trova gli Amenduni, un’altra famiglia di imprenditori siderurgici che nel 1995 partecipò alla privatizzazione dell’Ilva. Ebbene, due mesi fa il rappresentante degli Amenduni ha votato contro il bilancio del gruppo chiedendo informazioni su alcuni affari che hanno trasferito denaro dal colosso siderurgico ad alcune finanziarie personali dei Riva. Tra gli addetti ai lavori c’è chi spiega questo atteggiamento battagliero come un’azione di disturbo con l’unico scopo di convincere i Riva a ricomprare le azioni Ilva di cui i soci di minoranza vorrebbero disfarsi. Michele Amenduni, contattato al telefono si schermisce. “Mi trovo all’estero – racconta – e non so che cosa stia succedendo a Taranto”. Davvero, ha detto proprio così. Forse è una battuta, ma non fa ridere.

Il Fatto Quotidiano - 14 agosto 2012Ilva, Clini: “No scontro, ma è evidente divergenza tra governo e gip” Audizione alla Camera: "In Italia nessuna legge attribuisce il compito di monitoraggio ambientale e di rilascio delle autorizzazioni all’autorità giudiziaria. Questo deve essere molto chiaro perché senno' si rischia di creare l'incertezza sull'affidabilità dell'Italia nei confronti degli investimenti esteri". Per il ministro è "a rischio il sistema industriale italiano"

E’ il giorno dell’audizione in commissione alla Camera, sulla vicenda dell’Ilva di Taranto, del ministro dell’Ambiente Corrado Clini dopo le polemiche infuocate degli ultimi giorni. ”E’ evidente ladivergenza tra il programma avviato dal governo e le amministrazioni locali, con il coinvolgimento dell’azienda, dalla decisione del Gip” ha spiegato il ministro riferendosi all’ultima decisione del gip Patrizia Todisco con il blocco della produzione e la revoca della nomina a custode del presidente   Bruno Ferrante . “La linea del governo è molto semplice. Noi proseguiamo nella procedura per il riesame dell’autorizzazione integrata ambientale, che intendiamo concludere entro il 30 settembre 2012”. Il 3 agosto scorso il Consiglio dei ministri ha approvato d’urgenza un decreto della bonifica con lo stanziamento di 336 milioni di euro. ”Nell’istruttoria è coinvolta la Regione Puglia – ha spiegato – ma anche l’Ilva. Gli obiettivi riguardano da un lato l’integrazione del 4 agosto, con il monitoraggio delle emissioni e dei fenomeni di slopping (nube rossastra), gli interventi sulle cokerie e sui parchi geominerari che sono la sorgente della polverosità diffusa”. Per il responsabile del dicastero dell’Ambiente sostiene che non ci siano conflitto con il Tribunale di Taranto. Nessuno scontro con la magistratura, ma deve essere chiaro che “in Italia nessuna leggeattribuisce il compito di monitoraggio ambientale e di rilascio delle autorizzazioni all’autorità giudiziaria. Va detto con estrema chiarezza che in Italia come in tutta Europa le autorità competenti nel dare le autorizzazioni” alle attività produttive e “nel monitoraggio ambientale e sono identificate dalle leggi e dalle direttive europee e nessuna di queste, dico nessuna, attribuisce tale compito all’autorità giuidiziaria, questo deve essere molto chiaro perché senno’ si rischia di creare l’incertezza sull’affidabilità dell’Italia nei confronti degli investimenti esteri”. La Presidenza del Consiglio sta valutando se sollevare il conflitto di attribuzione alla Corte Costituzionale (come ipotizzato solo ieri dal sottosegretario Antonio Catricalà), ma la finalità è chiarire i termini dei ruolinon aprire un conflitto con la magistratura. “Non è un tema riconducibile allo scontro ma –

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argomenta il ministro –  a fare chiarezza sui ruoli, responsabilità e competenze”. Con l’incertezza sui ruoli generata dall’azione della procura “è a rischio l’intero sistema industriale italiano. La finalità dell’azione del Governo verso la magistratura, con il possibile ricorso alla Consulta che stiamo valutando, è stabilire i ruoli rispettivi, non di aprire un conflitto. Infine l’auspicio: “Ci incontreremo con il 17 agosto con le autorità locali, le imprese e la Regione Puglia e mi auguro anche con la Procura mentre il 20 agosto a Roma ci sarà la riunione della commissione istruttoria per concordare il calendario dei lavori da qui alla fine del mese di settembre”. L’audizione di Clini ha anche una scia politica poemica. La Lega Nord ha diserta l’audizione e ha accusato il governo di essere “meridionalista” , mentre l’Idv con il senatore Felice Belisario ne chiede le dimissioni. “Clini non è il ministro dell’Ambiente, è il ministro contro l’ambiente. I disastri ambientali italiani degli ultimi 20 anni, Ilva compreso, hanno tutti il suo nome e cognome”.Intanto il 4 settembre prossimo partirà l’esame in commissione ambiente della Camera del decreto legge sull’Ilva. Ad annunciarlo il presidente della Commissione. Ci saranno dunque due mesi di tempo per convertire il legge il provvedimento del governo

Il Fatto Quotidiano - 14 agosto 2012

“L’altoforno deve chiudere”. Quando Clini voleva fermare l’Ilva (di Genova) Nel 2000, l'attuale ministro dell'ambiente - nel ruolo di direttore generale del ministero - chiedeva il blocco "urgente" dell'impianto di Cornigliano. Nel 2001 arriverà l'ordinanza del gip. E solo nel 2005 la definitiva serrata. Seguita da polemiche (e indagini) sulla bonifica dell'area, segnata dall'inquinamento e dall'alta incidenza di tumori

Andrea Palladino. “La chiusura dell’altoforno e della cokeria delle Acciaierie è una questione urgente. Sul piano dei danni ambientali, dell’inquinamento e della salute dei cittadini siamo già in ritardo”. A pronunciare queste parole sugli impianti dell’Ilva di Cornigliano (Genova) dodici anni fa, era l’attuale ministro dell’ambiente Corrado Clini, in veste decisamente più green. Una sorta di alter ego ambientalista, più vicina alla sua origine professionale di medico responsabile dell’igiene pubblica, ruolo svolto fino al 1990 in un altro sito sfortunato, Porto Marghera. Quando chiedeva con decisione la chiusura degli stabilimenti Ilva nella periferia di Genova Clini occupava già da diversi anni il posto di rilievo di direttore generale negli uffici in via Cristoforo Colombo a Roma e, sull’emergenza, in tutto e per tutto gemella di quella di Taranto, non aveva dubbi: “Non sono un politico, so, però, che sul piano ambientale occorre intervenire subito, alla luce anche dei dati emersi oggi dal seminario sul piano della qualità dell’aria”.Nel quartiere di Cornigliano alle porte di Genova funzionava un impianto di produzione a caldo di acciaio fin dagli anni ’50. Nel 1999, dopo una serie di studi epidemiologici, fu raggiunto un accordo per la chiusura della produzione a caldo. Troppi i morti nel quartiere limitrofo agli impianti Ilva, fu la conclusione delle analisi sull’elevata incidenza di tumori a Cornigliano. A volere con decisione il fermo dell’altoforno c’era in prima linea l’allora ministro dell’ambiente Willer Bordon, sostenuto senza tentennamenti dal direttore generale Corrado Clini. Alla decisione del governo era seguita un’estenuante contrattazione con l’azienda, dove la famiglia Riva riproponeva il ricatto sull’occupazione seguendo lo stesso copione rivissuto in questi giorni a Taranto. Nel 2001 una sentenza del Tar blocca anche l’alternativa, proposta da Riva, di sostituire il vecchio impianto con un forno elettrico, perché non era possibile proseguire nessun tipo di attività inquinante su quel sito, ormai compromesso. Subito dopo avvenne quello che oggi appare una sorta di miracolo: tutti, dal Comune, alla Provincia, alla Regione, fino al governo guidato all’epoca da Giuliano Amato, si trovarono d’accordo su un punto fermo: l’impianto va chiuso, troppi i morti dovuti all’inquinamento.E’ il 12 giugno del 2001. Il Gip di Genova Vincenzo Papillo firma il decreto di chiusura della cokeria di Cornigliano, dopo aver valutato uno studio approfondito firmato da un gruppo di epidemiologi. Occorrerà aspettare due anni per avere la conclusione della complessa trattativa tra il governo e il gruppo Riva, che puntava a mantenere a Genova la lavorazione a freddo – molto meno inquinante – avviando nel contempo il risanamento dell’area della cokeria e dell’altoforno, ormai dismesso.Un’inversione di tendenza nel rapporto tra il governo e la famiglia Riva si scorge durante le prime udienze del processo contro la proprietà dell’Ilva, davanti al giudice monocratico di Genova. Inizialmente l’avvocatura dello Stato presenta l’istanza per la costituzione di parte civile; quindici giorni dopo – ricordano le agenzie dell’epoca – arriva una lettera di Gianni Letta al ministero

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dell’Ambiente e iniziano a circolare con insistenza le voci di una revoca del mandato agli avvocati dello Stato. Ma le sorprese non sono finite. Durante un’udienza un gruppo di abitanti di Cornigliano denuncia che l’altoforno è in realtà ancora in funzione, facendo scattare nuove indagini e un nuovo capo d’accusa contro la dirigenza dell’Ilva. La chiusura definitiva della produzione a caldo arriverà dopo qualche mese, il 29 luglio del 2005.Mentre i tanti reati contestati finiscono in prescrizione nuove indagini si aprono sulla fase della bonifica, un boccone ghiotto finanziato in gran parte della Stato. Il 18 giugno del 2009 il pm di Genova Francesco Pinto ordina una serie di perquisizioni per una storia di fatturazioni sospette. Tra gli indagati c’è il re delle bonifiche della Liguria Gino Mamone, titolare della EcoGe, la società incaricata del recupero ambientale di Cornigliano. Le ipotesi di reato contestate riguardavano la turbativa d’asta, la corruzione e l’emissione di fatture false, con un’ombra che appare in una delle tante informative della Guardia di finanza pubblicate all’epoca delle indagini dal Secolo XIX: “Gino Mamone è stato segnalato dalla Dia (Direzione investigativa antimafia) per i suoi legami con la cosca della ‘ndrangheta calabrese dei Mammoliti (…) E dalle telefonate emergono inequivocabilmente i rapporti con Vincenzo Stefanelli, detto Cecé, esponente della criminalità organizzata di stampo mafioso, titolare di un’impresa edile”.

Il Fatto Quotidiano - 14 agosto 2012

Ilva, Nichi Vendola e il doppio binario. Il presidente della Regione Puglia nel 2011 disse: "Sulla diossina dati straordinari, la miglior buona pratica in Europa"

“Io penso che abbandonare l’acciaio sarebbe una sconfitta, bisogna mettere in equilibrio il lavoro e la salute. Nelle carte dei magistrati c’è il percorso. L’ambientalizzazione della fabbrica può essere fatta solo a impianti accesi”. Peraltro, “L’Ilva rispettava i limiti e si è adeguata alla legge regionale sulla diossina, ma l’Ilva è anche una metropoli che per 60 anni è stata un propagatore di veleni”.LA POSIZIONE di   Nichi Vendola   sull’acciaieria di Taranto , com’è naturale per un uomo che rifiuta le facili semplificazioni, è un po’ complessa: hanno ragione i giudici che chiedono all’Ilva di non inquinare e prescrivono la chiusura della fabbrica, però hanno pure torto perché l’Ilva adesso rispetta i limiti e quindi la fabbrica deve rimanere aperta. Il governatore è confuso? No, più che altro si muove sul doppio binario su cui ha sempre viaggiato in questi anni: ufficialmente lui ha risolto la situazione, in pratica non può far finta che non esistano le perizie ordinate dalla magistratura che dimostrano che non è vero.Basti vedere quanto lo stesso Vendola diceva in uno dei suoi videomessaggi nel dicembre del 2011, otto mesi fa: “Ho i dati degli ultimi rilevamenti dell’Arpa sulle emissioni di diossina e furani a Taranto: siamo a quota 0,2 nano-grammi per metro quadrato. Vorrei ricordare a tutti che nel 2005 l’Ilva sputava in atmosfera fino a 10 nano-grammi di veleni. Questo dato è straordinario, è una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo”. Non che fosse la prima volta che il nostro parlava degli straordinari progressi di Taranto. Basta rileggere un paio di numeri della rivista della stessa Ilva, Il Ponte. Ecco cosa diceva Vendola in un’intervista del novembre 2010: “Gli investimenti dal punto di vista ambientale sono stati notevoli, sebbene rimanga ancora molto da fare. In moltissimi settori sono state applicate le migliori tecnologie disponibili, come previsto dalla legislazione europea, e a breve il cronoprogramma per l’ambientalizzazione completa dell’Ilva sarà attuato al 100%”. A maggio 2011, invece, fornì al periodico pagato dai Riva una dichiarazione contro la consultazione popolare promossa dai movimenti tarantini per la chiusura dello stabilimento: “Chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi. La stessa che mi ha fatto scendere in campo contro il referendum per la chiusura del ‘polmone produttivo’ della Puglia”. Sul polmone produttivo della Puglia poi sono arrivate le analisi della Procura, compresa quella che rileva livelli di diossina intollerabili, e i toni sono un po’ cambiati.SOLO CHE NON solo di parole ha peccato Vendola, ma pure in opere e omissioni. La famosa legge sulla diossina del 2008 che ha risolto tutto secondo lui, per dire, prevede non controlli in continuo (“assolutamente indispensabili”, scrive Todisco nella sua ordinanza) ma sulla media

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aritmetica di rilevazioni discontinue e casuale. Per di più i numeri trionfali forniti dal governatore – ed è sempre il gip che lo sancisce – avvenivano andando a fare gli esami nel camino sbagliato.ANCHE L’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) firmata da Vendola nell’agosto di un anno fa, all’ingrosso, consentiva il raddoppio della produzione, non prevedeva controlli in continuo, né la copertura del parco minerale da cui si alzano molte delle polveri che infestano Taranto . Festeggiò allora l’assessore all’Ambiente Nicastro: “Siamo riusciti a tenere insieme le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto alla salute con il diritto al lavoro. Un passaggio storico”. Poi a marzo la giunta Vendola cambiò idea e chiese al ministro Clini di procedere al riesame dell’Aia. Se si volesse risalire al 2005, si potrebbe ricordare anche che, Provincia e Comune ritirarono la loro costituzione di parte civile nel processo che portò alla prima condanna dei Riva. Contestualmente firmarono un protocollo in cui la Regione si impegnava a stanziare 50 milioni per il risanamento del quartiere Tamburi e altri 25 milioni per il Mar Piccolo. Che ne è stato di quei soldi? C’è una certezza: a Taranto non li hanno visti.Ci sono, infine, le omissioni, il cui peso si può apprezzare solo adesso che tutti parlano della mancanza di dati certi su cui basare un’analisi credibile. I dati non ci sono anche perché Vendola, pur avendone la competenza istituzionale, s’è sempre rifiutato di disporre un’indagine epidemiologica e pure di avviare il monitoraggio di sangue e urine nonostante gli sia stato chiesto più volte dai movimenti tarantini e da forze politiche dello stesso centrosinistra (i Verdi).Finito? Quasi: il “Registro tumori” a Taranto è fermo al 2005, quindi sarà difficile stabilire il numero esatto dei morti per inquinamento. Fortuna che ci pensa Nichi   via Facebook   a spiegarci tutto : “Lo sguardo di chi governa deve pesare ciascuno dei beni da tutelare, deve custodire tutte le promesse di futuro , ma soprattutto deve sentire la responsabilità di evitare che vinca il caos, e che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato”.

Il Fatto Quotidiano - 15 agosto 2012

Ilva, Riva al telefono: “Ho visto Vendola, vendiamo fumo”

Nel luglio 2010 dopo un nuovo e preoccupante rilevamento ambientale, i vertici dell'acciaieria incontrano il presidente della Regione. Una volta fuori si accordano sulla strategia: dire che tutto va bene e che l'azienda collabora con le istituzioni. Nell'indagine emerge la rete di contatti per "tenere tutto sotto coperta" e "distruggere" i dirigenti Arpa che non collaborano “Siamo stati da Vendola… e con Vendola avevamo concordato… però non sapevamo di quest’azione… avevamo concordato un certo discorso, in pratica che dovevamo fare con questo tavolo tecnico… ehm… che aveva più obiettivi. Uno di quelli in ordine di tempo, uno di quelli, il primo, sconfessare i lavori di ehm dell’Arpa Puglia”. È il 16 luglio 2010, Girolamo Archinà, ex dirigente dell’Ilva, silurato dopo il deposito delle intercettazioni della Procura nell’udienza di riesame per il sequestro dell’area a caldo dello stabilimento tarantino, manifesta al telefono il suo disappunto per la nuova iniziativa della magistratura.La Procura ha infatti aperto un nuovo fascicolo dopo i dati sul monitoraggio del benzo(a)pirene realizzato da Arpa Puglia. I livelli di emissione nel periodo gennaio-maggio sono triplicati. Archinà lo sapeva: “in via confidenziale” è stato il capo di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, a inviargli con una mail con i dati ancora ufficiosi. Forse l’ex collaboratore della siderurgia ionica sperava che rimanessero tali. La notizia, però, trapela: il sindaco Ippazio Stefànoemana un’ordinanza, l’onda ambientalista cresce, l’opinione pubblica chiede misure. L’ex capo delle relazioni istituzionali dell’Ilva attiva il “sistema Archinà”: il giorno seguente, con Fabio Riva, vice presidente del gruppo dell’acciaio, è già in riunione con Vendola. All’uscita Riva chiama il figlioEmilio e gli comunica che il nuovo piano d’azione è basato sul “vendere fumo”: l’azienda comunicherà di essere disposta a collaborare con la Regione e questa spiegherà che il rapporto instaurato con l’Ilva è l’esempio da seguire anche con le altre grandi realtà industriali del territorio. Intanto Archinà ha raggiunto anche un obiettivo esemplare: “…convocato Assennato… Assennato è stato fatto venire al terzo piano però è stato fatto aspettare fuori…”.Quell’attesa, secondo lui, è “come un segnale forte” che poi si manifesta chiaramente nelle parole che, secondo il racconto di Archinà, Vendola avrebbe rivolto al dirigente Antonicelli: “Esci fuori vai a dire ad Assennato… vai a dire ad Assennato che lui i dati non li deve utilizzare come bombe di

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carta che poi si trasformano in bombe a mano!”. Il sistema Archinà non conosce sfumature: i nemici vanno distrutti. È lui stesso a dirlo senza timore di chi lo ascolta. Anzi è una dimostrazione di forza. Come quando nello studio del consigliere regionale del Pd Donato Pentassuglia, appena nominato presidente della commissione ambiente, risponde alla chiamata di Alberto Cattaneo, responsabile della comunicazione dell’Ilva, e detta legge: “…Non ho timore di dirti, che mi trovo in ferie, ma mi trovo nell’Ufficio del presidente della commissione Ambiente della Regione, il Dott. Pentassuglia, per cui mi sta sentendo in diretta che dobbiamo distruggere Assennato”.Così tesseva la rete di protezione della fabbrica. Con rapporti non proprio istituzionali che permettevano, come lui stesso spiega, di “tenere tutto sotto coperta”. Trema oggi la politica tarantina e pugliese. Trema anche la stampa: nell’informativa completa che appartiene all’indagine denominata “ambiente venduto” la rete di contatti dell’ex braccio destro di Emilio Riva potrebbe trasformarsi in un vero e proprio terremoto.INTANTO a Taranto la tensione non si allenta. L’Ilva ha depositato il ricorso per annullare i due ultimi provvedimenti del gip Patrizia Todisco che «nega la realtà» dato che il Riesame ha convertito “la cautela reale in un sequestro con facoltà d’uso”. L’azienda attacca a testa bassa il gip Todisco che sarebbe intervenuto “sua sponte” perchè non avrebbe “digerita la profondissima riforma del Riesame” che avrebbe ribaltato il suo provvedimento di sequestro “incontrovertibilmente concepito per conseguire” in fretta “la chiusura definitiva dello stabilimento”. Ma proprio in quel provvedimento lo stesso gip Todisco scrive che “solo la compiuta realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo individuate dai periti chimici e l’attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni” potrebbe permettere all’azienda di produrre ancora. Un passaggio che sembra essere sfuggito a tutti: azienda e sindacati, avvocati e politici. Forse il sistema Archinà l’avrebbe sfruttato meglio.

Il Fatto Quotidiano - 15 agosto 2012

Ilva, autorizzazioni pilotate e corruzioneadesso la Finanza indaga sull'aziendaL'inchiesta della Guardia di Finanza gira intorno all'Aia, l'autorizzazione che nel 2011 fu rilasciata dal governo Berlusconi. In alcune foto il passaggio di 10 mila euro al perito del tribunale. Il figlio del patron accusato di corruzione di MARIO DILIBERTO e GIULIANO

TARANTO - Il fumo non c'è solo nell'aria di Taranto. Gira fumo anche attorno alle autorizzazioni, alle perizie, ai comunicati stampa che l'Ilva dei Riva ha perpetrato per anni. Anche su questo fumo la procura di Taranto ha da tempo aperto un'inchiesta: l'indagine è per corruzione in atti giudiziari e al centro ci sono i vertici dello stabilimento. Un'inchiesta delicata tanto quella sull'inquinamento. Perché racconta chi e come in questi anni ha fatto finta di non vedere. E soprattutto per quanto lo ha fatto, come emerge da una informativa delle Fiamme Gialle.

L'AIAIl centro dell'inchiesta della Guardia di finanza gira attorno all'Aia, l'autorizzazione integrata ambientale che il 4 agosto del 2011 il governo Berlusconi rilasciò dopo quasi otto anni di discussione. Bene, il sospetto delle Fiamme gialle è che in quel documento (che ora il ministro Clini vuole rivedere al più presto) i limiti di inquinamento siano stati disegnati appositamente sulle emissioni dell'Ilva. E' un fatto, viene ricostruito in un'informativa, che l'allora capo delle relazione esterne dell'azienda, Girolamo Archinà (rimosso ora dal prefetto Bruno Ferrante) fosse in rapporti con i membri di quella commissione. "L'effettiva e la buona riuscita dei contatti - annota la Finanza - si rileva, come si accennava in precedenza, dai costanti aggiornamenti che egli fornisce ai vertici aziendali, con i quali ovviamente condivide le strategie da porre in atto, recependo le direttive che di volta in volta vengono 

impartite. Nello specifico emerge come anche a livello ministeriale fervano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione IPCC AIA; con i predetti le relazioni vengono mantenute da tale Vittoria Romeo e in parte anche dall'avvocato Perli"", entrambi consulenti dell'azienda. Ed è un fatto che l'avvocato milanese Franco Perli parlando con Fabio Riva dice: "La Commissione ha già accettato il 90% delle loro osservazioni e che non vi

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saranno sorprese, anche se la visita va un po' pilotata".

Vittoria Romeo parla al telefono con Fabio Riva e spiega le loro modalità di movimento.R.: "Allora dicevo ad Archinà, se Palmisano che è quello della Regione, tira fuori l'argomento in Commissione, siccome l'Arpa deve ancora dare il parere sul barrieramento e a noi serve un parere positivo per continuare a dimostrare che non dobbiamo fare i parchi...". Riva: "E' chiarissimo. Però siccome noi non possiamo assolutamente coprire i parchi perché non è fattibile... tanto vale rischiarla così".R.: "Valutiamo se la cosa in questi giorni la teniamo al livello di Ticali, Pelaggi, Mazzoni (ndr, presidente e membri della commissione) oppure...". Riva: "No, picchiamo.... picchiamo duro....".

Fabio Ticali era il presidente di quella commissione Aia. La sua nomina destò un certo scalpore: proprioRepubblica raccontò che furono fatti fuori esperti e messi nella commissione Aia signori nessuno, quasi tutti siciliani, come l'allora ministro Stefania Prestigicomo. E che fu scelto il trentenne Ticali a capo della commissione che aveva come pubblicazione più importante una sul ravaneto stradale.

LA CORRUZIONEL'attenzione della Finanza si è concentrata prima sull'incontro tra Archinà e il perito del pm, il professor Lorenzo Liberti. Secondo l'accusa ci fu un passaggio di diecimila euro (documentato da alcune fotografie) per ammorbidire una perizia. Secondo gli investigatori anche Fabi o Riva sapeva, tanto da essere ritenuto responsabile di concorso morale nella corruzione.

Riva: "Ieri come è andata?".A.: "E' andata secondo le aspettative...". 

Archinà, appunta la Finanza, "dice al Fabio Riva che consegnando in anteprima le analisi, potrà iniziare a lavorare (sul Liberti) affinché non nasconda che il profilo è identico, bensì che attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all'esterno".I Riva quindi vogliono addomesticare le perizie. E forse lo fanno con il denaro. Capita anche che conoscano i risultati in anticipo. Al telefono parla ancora una volta Fabio Riva. 

Riva: "La perizia tecnica sembrava andasse tutto bene... non lo so che caz... è successo... Però è succulenta la cosa di beccare un Riva giovane.. eh papà...". 

FUMO NEI COMUNICATIAgli atti c'è anche un incontro tra Nichi Vendola, Fabio Riva, Girolamo Archinà e il direttore dell'Ilva Capogrosso. Proprio Fabio Riva ne parla con il figlio Emilio (omonimo del nonno) che suggerisce: "Facciamo un comunicato stampa fuorviante, tanto per vendere fumo dicendo che va tutto bene e che Ilva collabora con la Regione". Proprio i giornalisti sono un problema per l'azienda. Tanto che ci sarebbero rapporti "pericolosi" (la Procura sta inviando gli atti all'ordine). Archinà è molto seccato delle notizie sui giornali. "Mi sto stufando perché fino a quando io sò stato accusato di mantenere tutto sotto coperta, però nulla è mai successo... nel momento in cui abbiamo sposato la linea, la trasparenza, non ci raccogliamo più.... La situazione è complicata e se non si ha l'umiltà di dire ritorniamo tutti a nascondere tutto.

La Repubblica online 15 agosto 2012

Ilva: la roulette russa della vita. La storia di Francesco Maggi

di Elisabetta Reguitti . Che destino attenderà gli addetti delle numerose ditte che lavorano in appalto all’interno l’Ilva di Taranto? Uomini che ogni giorno varcano regolarmente il cancello, lavorano e si ammalano di malattie che sulla carta neppure esistono. Perché a Taranto non esiste nessun registro delle patologie professionali. Lo spiega Francesco Maggi con la sua voce debole

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perché il male che lo accompagna da qualche anno gli sta togliendo le forze ma non la speranza di ottenere giustizia. Francesco ha 39 anni, 5 figli e la vigilia di ferragosto l’ha trascorsa in ospedale, attaccato alla flebo. Dal 2005 Francesco era stato assunto nell’esercito dei lavoratori delle ditte in appalto all’Ilva di Taranto come operaio alla manutenzione dei reparti produttivi. Il 5 dicembre del 2009 ha saputo di essere malato di morbo di Hodgkin. Dopo 9 mesi di chemioterapia, un autotrapianto ed un trapianto di cellule staminali periferiche dal fratello, l’azienda per la quale lavorava nello stabilimento di Taranto gli ha spedito la lettera di licenziamento. Da due anni Francesco e la sua famiglia vivono con un assegno di mille euro, in attesa del risultato della causa avviata contro l’ Inail per il riconoscimento della sua malattia professionale. “Ho deciso di raccontare la mia storia per quelli che ancora non sanno di essere malati e perché casi come il mio non dovrebbero pesare sulle tasche degli altri lavoratori che pagano le tasse ma su quelle delle aziende. Il mio assegno da mille euro dovrebbero addebitarlo ai politici di ogni colore e che solo ora scoprono come a Taranto, per anni, tutti hanno mangiato senza preoccuparsi di altro. Meno che meno della salute”. Francesco Maggi abita a Martina Franca, una sorta di distaccamento abitativo per tantissimi degli oltre 10 mila lavoratori dell’enorme stabilimento che se da un lato garantisce uno stipendio, dall’altro rappresenta un pericolo per la salute e non certo da oggi. Già 15 anni fa, infatti, secondo i dati esaminati dal Centro Europeo Ambiente e Salute dell’organizzazione mondiale della salute attestavano – dal 1980 al 1987 -, un eccesso di mortalità per tumore del 10 per cento con punte per alcuni tipi, anche del 39%. Francesco Maggi ogni mattina entrava dal cancello principale e cominciava a lavorare a contatto con piogge acide, emissioni di ogni tipo, in spazi in cui l’ossigeno si riduce in modo insopportabile. Faceva manutenzione agli impianti, senza orari, giorno o notte. “Si interveniva nelle emergenze così come sulla manutenzione programmata. Ricordo di aver lavorato anche fino a 12 ore di seguito una volta anche per 36”. Il suo calvario è iniziato la mattina del 28 novembre del 2009 con alcuni normali controlli medici. “La sera stessa il titolare dell’azienda mi ha chiamato dicendomi che i miei valori non erano buoni e quindi dovevo ritornare in ospedale per accertamenti”. Una lunga pausa interrompe la conversazione. Poi l’uomo riprende il suo racconto: “A Martina Franca mi hanno sottoposto ad una serie di esami e il 5 dicembre ho avuto i risultati. Milza, fegato e reni erano stati intaccati da masse che non facevano immaginare nulla di buono. La diagnosi è stata linfoma, per la precisione quarto grado del morbo di Hodgkin, uno stato già molto avanzato. I medici del reparto di oncologia quando hanno saputo che lavoravo all’Ilva mi hanno detto che era tutto chiaro”. Da quel giorno Francesco ha iniziato ad entrare ed uscire dagli ospedali nei quali è stato sottoposto a diversi cicli di chemioterapie, senza ottenere nessuna regressione della malattia. “ In compenso i trattamenti mi hanno trasformato. Sentivo il mio corpo bruciare, poi la decisione del trapianto. Oggi quanto meno, i periodi fuori dall’ospedale sono più lunghi anche se stanchezza, febbre e debolezza non mi danno tregua. Fino alla scoperta della malattia mi sentito forte nulla mi faceva paura e lavoravo per i miei figli (dai 15 ai 4 anni ndr.). Vorrei che tutto fosse come prima, certo all’ Ilva non tornerei a lavorare per tutto l’oro del mondo”. Dopo nove mesi di cure e due operazioni Francesco Maggi riceve la lettera di licenziamento. “Del resto come previsto dal contratto nazionale dei metalmeccanici. Sono iscritto alla Fiom. Certo che dal punto di vista legale non ho molte speranze ma spero che ci sia qualcuno pronto a fare davvero qualcosa. Perché la mia storia purtroppo non sarà destinata a rimanere isolata”. Lo dice chiaramente Francesco che purtroppo saranno numerose le famiglie che con il passare degli anni scopriranno di avere un malato in casa. “A Taranto la gente difende il posto di lavoro ma chi lavora all’Ilva può solo sperare di essere risparmiato da certe patologie. Qualcuno mi dice che sono stato sfortunato perché c’è gente che lavora da 30 anni senza problemi. Ma io non mi arrendo a considerare che il diritto alla salute sul lavoro sia una roulette russa”. [email protected]

Articolo 21 - 15 agosto 2012

Corruzione Ilva, tredici indagati. "Così i vertici eludevano i controlli"I dirigenti intercettati: "Ho preso accordi, tranquillo, verranno nell'ufficio e rimarranno legati alla sedia. Non avremo sorprese, la visita della commissione va un po' pilotato". E spuntano le foto delle mazzette al perito

di MARIO DILIBERTO e GIULIANO FOSCHINI

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TARANTO - Hanno svenduto l'ambiente. La fase 2 dell'inchiesta della Guardia di Finanza sull'Ilva di Taranto punta su chi doveva controllare e invece non lo ha fatto. Gli indagati sono 13, i reati: corruzione e concussione. Accanto ai vecchi dirigenti dell'Ilva, ci sono politici e funzionari pubblici. Intanto, leggendo le pagine del rapporto dell'aprile del 2011 depositate al Tribunale del Riesame appare chiaro come l'Ilva sia riuscita a "legare alla sedia" gli ispettori. E a controllare sempre i controlli. E i controllori.IL NEMICO ASSENNATOAl centro della rete, l'ex responsabile dei rapporti istituzionali Girolamo Archinà (licenziato dai nuovi vertici aziendali). "Archinà - annota la Finanza - poteva contare su una fortissima rete di relazioni con esponenti del mondo politico locale e con appartenenti alle forze dell'ordine, in grado di poter fornire ai propri interlocutori (i vertici aziendali) notizie sull'andamento delle indagini, evidentemente coperte del segreto istruttorio". Non tutti cadevano nella rete, però. Per esempio il direttore regionale dell'Arpa, Giorgio Assennato, nemico numero 1 dell'azienda. La sua "colpa? Denunciare con una relazione che le emissioni di benzopirene, inquinante fortemente cancerogeno, erano raddoppiati. A quel punto vengono messe , in pratica una serie di "iniziative tutte finalizzate "a distruggere Assennato". Indicativa è la telefonata del 7 luglio 2010 nella quale Archinà mentre è a Martina Franca a colloquio con il neo consigliere regionale pd Donato Pontassuglia  dice a un suo interlocutore "sto con Pontassuglia che mi sta sentendo in diretta, noi dobbiamo distruggere Assennato". Archinà durante una telefonata si vanta della complicità di Vendola, "abbiamo fatto aspettare Assennato fuori dalla porta", ma gli inquirenti appureranno che si tratta una millanteria.IL DOPPIO GIOCOLa rete di Archinà era arrivata anche al ministero dell'Ambiente, che doveva rilasciare l'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) necessaria all'Ilva per poter produrre. Dalle intercettazioni "emerge come anche a livello ministeriale fervano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della commissione". Emblematica la vicenda del dottor Palmisano. "Si tratta di un funzionario della Regione incaricato di rappresentare l'ente nelle riunioni della conferenza di servizi che si tengono presso il ministero. L'intervento di Archinà verso Palmisano finalizzato a sensibilizzare quest'ultimo nel dare una mano all'Ilva, sia in occasione dell'ispezione presso lo stabilimento che nel corso della conferenza di servizi presso il ministero". Palmisano si sedeva al tavolo per la Regione, ma in realtà giocava per l'Ilva. "Il fatto che la commissione debba essere pilotata e che, comunque, sia stata in un certo modo in parte avvicinata, su rileva anche dalla seguente conversazione nella quale l'avvocato Perli di Milano, legale esterno dell'Ilva, aggiorna il ragionier Fabio Riva dei rapporti avuti con l'avvocato Luigi Pelaggi che è capo dipartimento presso il ministero dell'Ambiente. Da quanto riferisce il Perli si rileva che il Pelaggi abbia dato precise disposizioni dall'ingegner Dario Ticali presidente della commissione su come procedere nell'immediato futuro nel corso dell'iter di tetta trattazione. "Perli gli comunica che Pelaggi gli ha anche riferito che la commissione ha accettato il 90 per cento delle loro osservazioni e la visita riguarda il 10 per cento restante. Perli aggiunge che non avranno sorprese e comunque la visita della commissione in stabilimento va un po' pilotata".LA VISITA PILOTATA"È evidente che l'Archinà - si legge nell'informativa - grazie alle sue conoscenze, riesce a perturbare l'operato degli enti pubblici, riuscendo talvolta anche a pilotare i sopralluoghi e le verifiche". In campo c'è sempre Palmisano al quale chiede di un sopralluogo. "Non ti preoccupare, lo fanno all'esterno" lo assicura il funzionario della Regione. Così Archinà chiama il direttore dello stabilimento, Capogrosso, che invece è molto preoccupato. "Ho preso accordi, tranquillo, verranno nell'ufficio e rimarranno legati alla sedia". dice. "È chiaro - conclude la Finanza - che tale ispezione rappresenta solo un pro-forma".LE FOTO DELLA MAZZETTADagli atti dell'inchiesta emergono il passaggio di denaro tra Girolamo Archinà, l'uomo Ilva, e Lorenzo Liberti, il perito nominato dalla Procura, all'autogrill: le immagini sono testimoniate in questa pagina in alto. Secondo i magistrati Archinà avrebbe corrotto così Liberti. Le immagini della mazzetta su:http://bari.repubblica.it/cronaca/2012/08/17/foto/fotosequenza-41052906/1/?ref=HREA-1

La Repubblica 17 agosto 2012

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Vendola: "Governo non ricorrerà contro gip". Ferrante: "Risaneremo, mai stati fuorilegge"

L'annuncio del presidente dell'azienda dopo il vertice con il governo. "Per l'ambiente un finanziamento complessivo di 146 milioni". Il governatore della Puglia annuncia che l'esecutivo ha rinunciato a sollevare il conflitto di attribuzione con la magistratura. Passera: "No a decisioni irrimediabili ,TARANTO - "Il governo ha dismesso l'intenzione di proseguire lungo la strada del conflitto di attribuzione con la magistratura: mi sembra questa una prova di saggezza". Lo ha detto il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola parlando con i giornalisti al termine dell'incontro a Taranto con i ministri dello Sviluppo e dell'Ambiente, Corrado Passera e Corrado Clini.  "La novità di oggi - ha aggiunto - è l'indicazione del termine di chiusura dell'Aia e che verrà chiusa entro il 30 settembre, secondo l'impegno del ministro". Vendola spera ora che il governo possa fare "uno sforzo supplementare" mettendo "in campo più risorse" per il recupero e la bonifica. Il passo indietro rispetto alla possibilità di ricorrere alla Consulta è stato confermato da Clini: "L'ipotesi di un conflitto di attribuzione è stata ventilata come ultima soluzione nel caso in cui non riuscissimo a evitare l'impasse che si stava creando e che io spero sia in fase di superamento". Nuovi stanziamenti. Prima che con il governatore pugliese i rappresentanti del governo si erano riuniti con il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante. "Abbiamo già impegnato e finanziato 90 milioni di euro e abbiamo in animo di finanziarne a breve altri 56: per un totale di 146 milioni che l'Ilva mette per l'ambiente", ha detto Ferrante, incontrando i giornalisti dopo il vertice. L'azienda, ha aggiunto, "non ha mai distribuito dividendi tra i soci ma ha investito per l'efficienza e l'ambiente" per un totale di "4 miliardi e mezzo di cui 1 miliardo e 100 milioni per l'ambiente"."Regole rispettate". Nello stesso giorno in cui la procura ha diffuso le immagini della corruzione   1  di un perito da parte dei dirigenti dell'Ilva, Ferrante non ha esitato a ribadire più di una volta nel corso di una conferenza stampa che "non siamo fuorilegge, la legge l'abbiamo sempre osservata e rispettata". "Ci muoviamo e ci siamo sempre mossi rispettando le prescrizioni dell'Aia - ha insistito - dobbiamo dimostrare la volontà di risanamento e di messa in sicurezza e lo faremo. Se c'è una strada anche piccola per far prevalere il dialogo la percorreremo".Produzione al minimo. L'Ilva, ha detto ancora il presidente, anche in questi giorni, sta continuando a produrre. Ma lo sta facendo "al minimo". Questo, "non per l'autorità giudiziaria ma perché il mercato ci richiede quella quantità di prodotto".  "Al governo - ha aggiunto Ferrante - abbiamo chiesto certezza e chiarezza normativa e prospettiva,questi sono i presupposti affinché l'azienda continui ad investire su Taranto. Ogni imprenditore ha bisogno di pensare al futuro".Al lavoro sull'Aia. Il presidente dell'azienda ha quindi reso noto che anche i tecnici dell'Ilva lunedì prossimo saranno a Roma per iniziare il percorso della nuova Aia "verso il quale noi siamo disponibili". Interpellato su quanto richiederà la nuova Aia in termini di investimenti, Ferrante ha detto di non poter dare alcuna cifra. "Le prescrizioni che ha indicato il gip Todisco nella sua ordinanza vanno in direzione delle Bat conclusion, e anche se queste direttive europee non sono state ancora recepite dalla legislazione italiana, il ministro Clini - ha detto Ferrante - ci ha chiesto se noi fossimo disponibili ad anticiparne l'applicazione. Noi abbiamo dato il nostro assenso a condizione che l'azienda abbia certezze, regole  chiare e soprattutto futuro, perche è è evidente che non l'Ilva ma nessuna azienda investirebbe se non avesse futuro".Costi da valutare. Rispondendo alla domanda se vi sia un impegno massimo sul fronte ambientale oltre il quale l'azienda non sarebbe disponibile ma preferirebbe chiudere i battenti, il top manager non ha voluto quantificare facendo presente che tale limite dipende da molti fattori: il fatturato, le condizioni di mercato e come l'importo si articola nel tempo. "Quando ci diranno quanto dobbiamo spendere - ha osservato - faremo una valutazione, anche se gli impegni dell'Aia saranno articolati nel tempo e bisognerà anche tener conto di una valutazione finanziaria articolata".Clini ottimista. L'impegno dell'azienda è dato invece per assodato dal ministro Clini. Il piano del governo per arrivare a una nuova autorizzazione integrata ambientale, ha chiarito, prevede "l'accordo con la Regione Puglia e il consenso di Ilva. Questo è un fatto nuovo, è la prima volta che questa grande impresa italiana accetta di lavorare con un approccio europeo" che "prevede la riduzione delle emissioni fino ad azzerarle". Il repsonsabile dell'Ambiente ha poi reso noto di aver "già preso atto della decisione spontanea e non richiesta di alcuni membri (della commissione che

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ha stilato l'Aia 2011, ndr) di mettere a disposizione il loro mandato". Ad ogni modo, ha spiegato ancora Clini, la Commissione che si occuperà della nuova Aia non è uguale a quella che si occupò dell'Aia 201.Passera: "Tappa importante". Il ministro Passera dal canto suo ha definito il summit di oggi a Taranto "una giornata utile, una tappa importante". "Ci saranno altri incontri - ha sottolineato - tutto il governo si sente e si sentirà impegnato fino alla soluzione dei problemi. E' emerso un forte e chiaro consenso su una questione di fondo: nessuno può essere messo di fronte alla scelta tra salute e lavoro". "Auspichiamo - ha proseguito - che non vengano prese decisioni che siano irrimediabili nelle loro conseguenze, la collaborazione con la magistratura è e sarà totale".Incontro con il vescovo. Le dichiarazioni alla stampa di Ferrante sono arrivate come detto a conclusione del vertice tra governo e rappresentanti di azienda e amministrazioni locali in prefettura. Nel pomeriggio si è svolta invece una riunione con i sindacati e Confindustria. "L'incontro di oggi a Taranto non si può considerare risolutivo, ma si è registrato comunque un punto di passaggio per individuare una soluzione che concilii produzione e ambiente", è stato il primo giudizio a caldo della delegazione della Cgil e della Fiom. "Le risorse che Ilva dichiara di mettere oggi a disposizione non riteniamo siano sufficienti per risolvere i problemi", spiega Elena Lattuada, segretaria confederale della Cgil. Città blindata. Intanto, mentre la città è blindata   2  per evitare che le manifestazioni in programma finiscano con incidenti come accaduto la scorsa settimana, anche stamani in azienda sono state proclamate due ore di sciopero da Fim Cisl e Uilm. Alcune centinaia di lavoratori hanno bloccato la statale Appia per Bari e la 106 per Reggio Calabria. Come è avvenuto nei giorni scorsi la protesta, cui non ha aderito la Fiom Cgil ritenendola di fatto contro i magistrati.Legambiente chiede rapidità. In occasione dell'arrivo di Passera e Clini a Taranto, Legambiente è tornata a chiedere al governo di imporre all'Ilva "il radicale ammodernamento degli impianti" e un accelerazione dell'iter "per una nuova e rigorosa Aia". "E' assurdo che per farlo si attenda un mese e mezzo. La commissione Aia rinunci alle ferie e lavori fin da subito per restituire il futuro alla città di Taranto, a migliaia di famiglie e al sistema industriale italiano", commenta il vicepresidente dell'associazione Stefano Ciafani. Bonelli attacca Monti. Un attacco frontale al governo arriva invece dal presidente dei Verdi, Angelo Bonelli. "E' ormai evidentemente - dice - che per il governo Monti il diritto alla salute non è un diritto scritto nella nostra Costituzione". "E' assurdo - prosegue Bonelli - che nel nostro paese chi inquina provocando 'malattia' e 'morte' non solo la faccia franca, ma riceva addirittura soldi e contributi dal governo che oggi è più preoccupato di intimidire i magistrati che fanno il proprio dovere che di affrontare l'emergenza sanitaria e ambientale".

La Repubblica - 17 agosto 2012

IL VERTICE - IL MINISTRO CLINI ANNUNCIA LA NUOVA «AUTORIZZAZIONE» CON I VALORI RIVISTI. L'AZIENDA PROMETTE 146 MILIONI PER LA SICUREZZA, MA SOLO 50 SONO NUOVI. VERITÀ SULL'ILVA A TUTTO VAPORE

GIANMARIO LEONE. TARANTOFerrante: lavoriamo al minimo. Invece secondo i lavoratori si fanno anche 44 colate al giorno. Per consegnare le commesseAltri 56 milioni da investire per l'ambiente, oltre ai 90 già stanziati. Li ha promessi il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante ai ministri Clini e Passera, ieri a Taranto per il vertice istituzionale a cui hanno preso parte anche regione, provincia, comune, prefetto, autorità portuale e sindacati. I 146 milioni, nelle intenzioni dell'azienda, serviranno ad attuare alcune prescrizioni presenti nell'Autorizzazione integrata ambientale del 2011, l'accordo con la regione sul campionamento perimetrale delle fonti maggiormente inquinanti con l'installazione di centraline lungo il perimetro della fabbrica, e a sostenere non meglio precisate iniziative autonome.Queste risorse, però, nulla hanno a che vedere con gli interventi che Ilva dovrà effettuare quando le sarà consegnata la nuova Aia, il cui iter dovrebbe concludersi entro il prossimo 30 settembre. La prima riunione tecnica è convocata per lunedì prossimo a Roma. La nuova Aia, secondo il ministro dell'Ambiente, recepirà le disposizioni europee in materia delle migliori tecnologie disponibili e le

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prescrizioni della gip di Taranto nei confronti di Ilva in base alle indicazione dei periti chimici. Che fanno riferimento alla «decisione di esecuzione della Commissione Europea del 28 febbraio 2012», che stabilisce «le conclusioni sulle migliori tecniche disponibili (Bat, acronimo di best available techniques) per la produzione di ferro e acciaio ai sensi della direttiva 2010/75/UE del parlamento europeo e del consiglio relativa alle emissioni industriali».Ma queste conclusioni altro non sono che le «Bat» indicate nell'ultima versione del «BRef lron and Steel Production Draft version», il documento tecnico europeo del 24 giugno 2011. Nella nuova Aia ci saranno le norme delle leggi regionali e le decisioni del Tar in merito all'Aia dell'anno scorso. L'unica prescrizione che mancherà all'appello riguarda lo stop degli impianti ordinata dalla gip. Perché l'Ilva non investirà i soldi promessi, se non avrà certezza di continuità nella produzione. Che intanto, dichiara Ferrante, continua anche se in maniera ridotta, ma non per volontà dell'azienda, quanto più per contingenze dovute alla crisi del mercato globale.Ma alcuni operai raccontano un'altra verità, che non coincide affatto con quella di Ferrante. L'Ilva continua a produrre, e persino a ritmo sostenuto: gli operai parlano persino di 44 colate al giorno, quando la media giornaliera non supera le 17. Il progetto dell'Ilva, sostengono, è semplicissimo: terminare tutte le commesse ancora in sospeso, per poi lasciare l'ultima parola sul futuro dell'azienda alla procura.La procura a sua volta ha chiarito la sua posizione da tempo: gli impianti vanno tenuti in funzione solo per la loro messa a norma. E non per continuare a produrre, perché si perpetuerebbe il pericolo sanitario per la popolazione dovuto alle emissioni degli impianti posti sotto sequestro, sui quali vigono i sigilli virtuali.146 milioni da investire, nuova Aia, applicazione delle leggi e degli accordi raggiunti con la regione. Ma i problemi di sempre, non saranno risolti. Perché Ilva, istituzioni e sindacati, ad esempio, continuano a ritenere impossibile la copertura o lo spostamento dei parchi minerari, che si estendono per 80 ettari. Considerando sufficiente il barrieramento (opera per cui Ilva ha investito 8 milioni che porterà all'installazione di una barriera frangivento lunga 2 km ed alta 21 metri) e incrementando la filmatura dei cumuli di minerale con un gel speciale. In pratica ciò che avviene da anni, senza che il problema delle polveri che ricoprono i Tamburi sia mai stato risolto. Basti pensare che il barrieramento comporterà il trattenimento del 50-70 per cento delle polveri pesanti, trattenendo soltanto per il 20 per cento quelle più sottili e cancerogene come il PM 10 e PM 2,5. Non è un caso del resto, se nel triennio 2009-10-11, i limiti di PM 10 siano stati sempre superati.E sembra un azzardo anche quello avanzato dal ministro Clini sulla risoluzione del problema della diossina. Perché se è vero che nel 2011 l'Ilva ha registrato 0,3 ng/m3 nelle emissioni del camino E312 rispettando il limite di 0,4 imposto dalla legge regionale (che a sua volta ha recepito quanto stabilito nel protocollo di Aarhus del 2004), è altrettanto vero che le campagne di monitoraggio dell'Arpa sono state solo quattro. E che la perizia dei chimici nominati dalla procura ha dimostrato come l'impronta della diossina che ha contaminato i terreni e i capi di bestiame abbattuti a migliaia negli ultimi anni, appartenga agli elettrofiltri posti alla base dell'area dell'agglomerato. Che non sono sigillati e disperdono nell'aria fumi e polveri inquinanti, dando ulteriore ragione alla procura che ha più volte ribadito come l'80 per cento delle emissioni diffuse e non convogliate, provengano dagli impianti a terra. E non dai camini del siderurgico. E invece Ilva e istituzioni ritengono di risolvere il problema con la riduzione delle produzione nei giorni di vento.

Il Manifesto 18/08/12

PARCO MINERALI - L'ACCUSA DEL COMITATO CITTADINOPOLVERI, LA SOLUZIONE COREANA

«Dalle conclusioni dell'incontro alla Prefettura di Taranto emerge un accordo fra Regione Puglia e il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante per cospargere i parchi minerali di un gel speciale che ricopra i cumuli. Questa soluzione risulta già adottata da anni e risulta fallimentare. Infatti gli ugelli della macchina si intasano perché la sostanza collosa si indurisce». È quanto afferma il «Comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti» che ieri ha emanato una nota concernente una delle questioni centrali dell'acciaieria.Poco più di un mese fa, ai primi di luglio, infatti, l'Ilva provò per la prima volta a costruire una barriera contro le polveri nere che si alzano a ogni alito di vento dal parco minerario. Un

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barrieramento alto una quindicina di metri e costituito da un telo non molto dissimile da quelli di cinta nei campi da tennis. «L'azienda che produce questa macchina - aggiunge il Comitato - è la Chinetti e viene siglata come IS (irroratore stradale). L'Ilva aveva quattro mezzi di cui il primo è rottamato. Non è stato quindi proposto nulla di nuovo. E solo la Regione Puglia può abboccare a simili annunci propagandistici che pretendono di presentare come nuovi dei macchinari già in uso».Il Comitato dice di non fidarsi «più di questi accordi fatti in nostra assenza. Se ci fossimo stati noi la Regione non avrebbe fatto questa brutta figura». E rileva che «la Hyundai Steel Corporation in Cina ha coperto i parchi minerali». «Perché - conclude la nota - in Cina sì e a Taranto no? Prendiamo esempio da tutte le acciaierie che hanno coperto i parchi minerali».

Il Manifesto 18/08/12

FIOM E CGIL. «DAL GOVERNO SOLO UN PRIMO PASSO»

Giudizio «articolato» da parte della Fiom e della Cgil sull'incontro avuto oggi a Taranto, «Non si può considerare risolutivo, ma si è registrato comunque un punto di passaggio per individuare una soluzione che concilii produzione e ambiente». Per la Cgil nazionale era presente Elena Lattuada, segretaria confederale, e per la Fiom il segretario generale, Maurizio Landini. «Le risorse che Ilva dichiara di mettere oggi a disposizione non riteniamo siano sufficienti», spiega Lattuada. Per questo la Fiom - ha detto Landini - proporrà a Fim e Uilm, attraverso il coinvolgimento dei lavoratori e lavoratrici, di predisporre i contenuti di «una vertenza sindacale che abbia al centro gli investimenti per la messa a norma degli impianti, condizione per garantire un futuro produttivo dell'impresa». Cgil e Fiom valutano positivamente l'intenzione espressa dal governo di non aprire un conflitto istituzionale tra poteri dello stato, ma di sviluppare il massimo della collaborazione, necessaria per dare risposte a cittadini e lavoratori.

Il Manifesto 18/08/12

LA PROTESTA - DAL PALCO, A TURNO, LA TESTIMONIANZA DI CITTADINI E LAVORATORIIL DOLORE DELLA PIAZZA

G. L. TARANTO. La città si è trasformata in una grande assemblea pubblica la manifestazione programmata per accogliere i ministri. Poi in corteo verso la zona rossaUna grande assemblea pubblica ha sostituito quella che sarebbe dovuta essere una manifestazione rabbiosa ma pacifica, con la quale accogliere i ministri Clini e Passera, per dire loro che lo Stato italiano con Taranto ha sbagliato tutto. Ed oggi continua a perseverare nell'errore, volendo preservare a tutti i costi l'esistenza di un'azienda che ha inquinato per decenni. Considerando sufficienti 8 milioni per la bonifica del quartiere Tamburi, da sempre esposto alle emissioni velenose e alle polveri del siderurgico. O pensando di eliminare l'inquinamento dei sedimenti marini del Mar Piccolo con appena 21 milioni. Tacendo sul drammatico inquinamento della falda superficiale, accertato negli anni da una Conferenza dei Servizi in piedi dal lontano 2003, a cui si dovrebbe porre un freno prima che sia davvero troppo tardi. E continuando a negare il nesso di causalità tra emissioni di inquinanti con gli eventi di malattia e morte, che gli epidemiologi hanno accertato esistere nella loro perizia depositata lo scorso 1 marzo nell'ambito della seconda parte dell'incidente probatorio, in cui l'Ilva ha pensato bene di non difendersi in nessun modo. Continuando a spostare le lancette del tempo in un'epoca indefinita a cui attribuire le colpe degli eventi drammatici di oggi.Ma tutto questo, per una parte di cittadinanza in costante crescita, non è più accettabile. Lo dicono per primi gli stessi operai da cui è nato il comitato cittadino dei «liberi e pensanti». Lo dicono i medici e i pediatri da sempre impegnati in una lotta sfiancante contro i cancri e le leucemie che a Taranto mietono vittime anche tra i bambini: senza soluzione di continuità. Ma lo gridano soprattutto decine di cittadini che non hanno più voglia di continuare a sopportare l'insopportabile. È come se l'energica azione della magistratura abbia provocato un lungo tsunami nelle coscienze

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di chi sino all'altro giorno ha continuato a maledire il destino cinico e baro.Tutto questo ieri era visibile ad occhio nudo osservando le oltre duemila persone presenti nella centralissima piazza Immacolata, dove sono stati confinati i manifestanti. Lontano dalla zona rossa e dalla prefettura dove era in corso il vertice istituzionale sull'Ilva. Sul palchetto montato per l'occasione, si sono alternati al microfono in tanti. Gli esponenti del comitato cittadino, volti noti del panorama ambientalista locale e semplici cittadini. Ma sono la rabbia, l'indignazione e il dolore a tenere banco. A far vibrare le corde delle migliaia di cuori presenti ieri in piazza. A innescare le tante lacrime di chi ieri, sotto un sole cocente di un agosto torrido come pochi, tra slogan, striscioni, cori, stendardi, bandiere e urla, ha inevitabilmente rivolto il pensiero ai tanti che oggi non ci sono più. Parenti, amici, conoscenti: una strage silenziosa e continuata nel tempo. Ma quando sul palco sale Mauro, militare tarantino 34enne, con un cartoncino sul quale è incollata la foto del figlio di 3 anni, malato di cancro ed in cura tra Firenze e Bari, la commozione è generale. Un padre che pone una domanda, pesantissima, sempre la solita: «Quanti ancora come mio figlio?». La folla sussulta, freme, applaude. Grida «Basta», «Non ci avrete mai come volete voi», «Lo facciamo per i nostri figli», «Via da Taranto», «Noi vogliamo vivere». Ed allora la scelta collettiva è inevitabile: sfilare lo stesso, sfidare il divieto, arrivare quanto più vicino possibile alla prefettura. Il corteo è preceduto dall'eccellente servizio d'ordine del comitato, si arriva in piazza Carmine ad un metro dalle forze dell'ordine in assetto antisommossa. Ma non c'è alcuna voglia di violenza. Solo quella di farsi sentire il più possibile da chi ancora oggi continua a trattare il popolo come un dettaglio a cui non dare alcuna importanza. Agnello sacrificale sull'altare della produzione economica da salvaguardare a tutti i costi. Anche a discapito della salute e dell'ambiente. Perché abbiamo scelto un sistema economico che non si può e non si deve fermare. Altrimenti crolla tutto, dicono.Dopo oltre un'ora di "assedio", il corteo ritorna in piazza Immacolata da dove era partito. Riprendono ad oltranza gli interventi dal palco. In attesa delle decisioni provenienti dal vertice dei potenti. Che ancora una volta promettono interventi inutili. al tramonto la delusione è tanta. La stanchezza pure. Ma la voglia di lottare per il bene comune e per ottenere verità e giustizia, è intatta. Se non ancora maggiore. Da domani si ricomincia.

Il Manifesto 18/08/12

LA TESTIMONIANZA - LA RABBIA DELLA PEDIATRA PARISI: CONTAMINATE ANCHE LE AREE PER I BAMBINI «A 12 ANNI MALATO COME UN VECCHIO FUMATORE»

GIANLUCA COVIELLO. TARANTO. «Dal 2010 l'ordinanza del sindaco ha vietato l'accesso gli spazi verdi Ma finora non c'è stata nessuna bonifica»Svegliarsi la mattina, andare allo studio e sapere già di doversi domandare continuamente perché. È il destino dei medici che lavorano a Taranto e che hanno in cura soprattutto i bambini del quartiere Tamburi, cresciuti all'ombra delle ciminiere. Tra loro i pediatri sono quelli che più di tutti si ritrovano fare i conti con la rabbia. Quella stessa commozione che suscita la dottoressa Annamaria Moschetti, da sempre in prima linea a Taranto con l'associazione nazionale pediatri, ogni volta che illustra i dati relativi alle incidenze di certe malattie tra i piccoli che vivono nei quartieri più esposti all'inquinamento.Ieri, però, non è stata la sola pediatra a ricordare ai tarantini perché si era in piazza e per chi ognuno stesse davvero combattendo. C'era anche Grazia Parisi e il suo intervento, intriso di angoscia e delusione ha lasciato il segno. Pediatra di base, ha avuto ed ha in cura tanti bambini del quartiere Tamburi. Durante la manifestazione promossa dal comitato "Cittadini e lavoratori liberi e pensanti" è salita sul palco, ha preso la parola e ha pronunciato uno sfogo, più che un intervento, che la dice lunga sulla sofferenza che anche gli operatori sanitari vivono nel curare malati che, in molti casi, sarebbero dovuti essere sani secondo le perizie tecniche e scientifiche promosse dalla Procura. Ovviamente se non ci fosse stata a Taranto l'Ilva.«Avevo pensato di partecipare a questa manifestazione con tante fascette nere legate al braccio», ha detto la dottoressa Parisi dal palco. «Avrebbero rappresentato i tanti bambini che ho provato a curare in questa città per colpa dell'inquinamento. Molti di loro oggi non ci sono più. Poi ho pensato che sarebbe stato troppo macabro. Ma il mio ricordo va a loro». «Così come non posso dimenticare - ha continuato - un bambino di 12 anni a cui qualche anno fa è stata riscontrata una rarissima forma di tumore del rino-faringe che in genere si diagnostica solo in vecchi di 80 anni e

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per di più fumatori. Di fronte a questo nessuno tutela i cittadini, nessuno prende le loro difese, anzi, cercano di mettere contro la città e i lavoratori dell'Ilva». E quando Grazia Parisi ha ricordato l'ordinanza del Comune di Taranto che vieta il calpestio delle aree verdi del quartiere Tamburi, sia lei che chi era in strada con lei si è chiesto ancora una volta perché. «Il sindaco ha emesso quel provvedimento perché le uniche aree del quartiere dove i bambini possono giocare sono state trovate contaminate dei peggiori inquinanti possibili», ha ricordato. «Mi domando perché non si è mai provveduto ad una bonifica. Nell'ordinanza veniva spiegato ai genitori addirittura come lavare i bambini che venivano inevitabilmente e quotidianamente in contatto con le polveri. Nessuno, però, si è poi fatto carico di trovare una soluzione». L'ordinanza, la numero 45 del 23 giugno 2010, fu emessa dal sindaco Ippazio Stefàno dopo alcune analisi realizzate dall'Arpa Puglia. Vietava l'accesso in alcune aree «non pavimentate» sparse fra le tre arterie principali di Tamburi, in attesa di una bonifica che però non è mai arrivata. Tuttora nessun cartello indica il pericolo.Di tempo ne è passato. E il pericolo è ancora là, in quelle aree verdi. E infatti ufficialmente quel provvedimento non è mai stato ritirato.

Il Manifesto 18/08/12

TARANTO - IL NUCLEO OPERATIVO ECOLOGICO REGISTRA I DATI DI LAVORAZIONE. SECONDO LA MAGISTRATURA IL SEQUESTRO NON CONSENTIREBBE ALCUN UTILIZZO PRODUTTIVO ISPEZIONE NOTTURNA A SORPRESA NELLA FABBRICA: I TRE CUSTODI NOMINATI DALLA GIP TODISCO SI FANNO ACCOMPAGNARE DAI CARABINIERIBUSINESS AS USUAL NEL VENTRE DELL'ILVA

ANDREA FABOZZI. Non è stata una visita rituale perché per la prima volta i carabinieri del Nucleo operativo ecologico (Noe) di Lecce hanno accompagnato i tre custodi giudiziari nominati dalla magistratura di Taranto nel cuore dello stabilimento Ilva, di notte. Dalla mezzanotte alle quattro di sabato mattina. Visita a sorpresa perché i militari non avevano in precedenza fornito ai responsabili dell'acciaieria un calendario dei sopralluoghi. Si sa che i controlli sono necessari perché i custodi possano consegnare la loro relazione settimanale alla gip Todisco, dunque altri ce n'erano stati nei giorni scorsi e altri ancora ci saranno. Sono «previsti ma non programmati», spiega il comandante del Noe, il maggiore Nicola Candido, perché l'Ilva non ha ottenuto di essere preavvertita. Evidentemente l'azienda non offre ancora la piena garanzia di voler collaborare con i magistrati. E infatti la situazione davanti alla quale si sono trovati gli ispettori l'altra notte è diversa da quella annunciata in conferenza stampa dal presidente dell'Ilva Ferrante venerdì pomeriggio, dopo l'incontro con i ministri: «Stiamo producendo al minimo».Risulta al contrario che l'ispezione notturna, condotta sia scaricando i dati dai software di gestione, sia visivamente nei reparti acciaieria 1 e 2, abbia confermato quello che il manifesto aveva raccolto (e pubblicato ieri) dalla testimonianza di diversi operai: l'Ilva continua a produrre a pieno regime. Se non straordinari, i livelli di produzione sarebbero almeno ordinari, anche perché l'azienda ha diverse commesse da rispettare. Ma se è evidente che gli altoforni non possono essere spenti - in ogni caso non in poche ore - è anche vero che l'ordinanza della gip Todisco ha stabilito che il sequestro «non prevede alcuna facoltà d'uso degli impianti a fini produttivi». L'ordinanza è pienamente valida, visto che sul ricorso presentato da Ferrante per conto dell'Ilva il riesame si esprimerà a metà settembre: i difensori infatti non hanno chiesto l'urgenza.Che il ritmo di produzione, dal quale dipendono le emissioni pericolose per i lavoratori e per i cittadini di Taranto, non sia stato abbassato è stato possibile verificarlo abbastanza facilmente. È vero, come spiegano dal Noe, che alcuni dati avranno bisogno di studio e che solo da domani i custodi potranno avere a disposizione tutto quello che è necessario per preparare la prima relazione. Ma questo sarebbe imputabile solo a qualche problema tecnico nel trasmettere i dati dall'azienda a chi ha effettuato l'ispezione. Anche qui la realtà si dimostra distante dalle promesse del prefetto Ferrante, che sempre venerdì aveva detto che non avrebbe ammesso «opacità nei rapporti con le autorità». L'altra notte, durante l'ispezione, i colloqui con i responsabili dei turni e i capi reparto non sarebbero stati facilissimi, come se l'annunciata volontà di collaborazione dell'Ilva non fosse ancora diventata codice di comportamento aziendale.Del resto i tre custodi nominati dalla gip Todisco - gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento - non avrebbero bisogno dei carabinieri per muoversi all'interno

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degli impianti. Secondo l'ordinanza sono loro i custodi, ma anche gli amministratori e hanno «accesso in tutte le aree, reparti, unità produttive e relative sale controllo». Hanno invece scelto di farsi accompagnare da tre ufficiali dei carabinieri che conoscono lo stabilimento per riuscire a essere maggiormente efficaci nel loro blitz notturno. È compito loro verificare in profondità se le dichiarazioni ufficiali corrispondono a quello che realmente accade di notte nei reparti acciaieria. E, nel caso, far cessare qualche lavorazione particolarmente inquinante.

 Il Manifesto 19/08/12

TARANTO - PREVISTO UN INVESTIMENTO DI 400 MILIONI DI EUROIlva, un piano con ricatto

GIANMARIO LEONE. TARANTOIl presidente Ferrante: via alla bonifica solo se continua la produzioneIl futuro dell'Ilva di Taranto probabilmente si deciderà nel giro di poco tempo. Il perché è presto detto: nella mattinata di ieri il presidente Bruno Ferrante si è recato in procura per presentare il nuovo piano investimenti per risanare lo stabilimento tarantino. 400 milioni la spesa totale (in cui rientrano i 146 annunciati lo scorso mese), approvata nella serata di lunedì al termine di una riunione del Cda. Gli interventi previsti dall'azienda riguardano tutte le aree poste sotto sequestro preventivo da parte del Gip Todisco: ma ad un precisa condizione, che pare più una minaccia che altro, contenuta un'istanza presentata sempre ieri in tribunale. Ovvero che all'azienda sia garantita la possibilità di continuare a produrre, anche al minimo delle sue potenzialità: per restare competitiva sul mercato, continuare a rispondere alle commesse e nello stesso tempo avere una garanzia sul futuro. Sull'istanza presentata, dovrà decidere lo stesso Gip Todisco: ma appare pressoché impossibile che il giudice tarantino receda dalle sue posizioni. Il provvedimento di sequestro preventivo, confermato anche dal tribunale del Riesame, esclude qualsiasi facoltà d'uso degli impianti a fini produttivi: con l'obiettivo di eliminare le emissioni inquinanti provenienti dagli impianti dell'area a caldo ed il loro risanamento. Ed è proprio in questa direzione che si stanno muovendo i custodi giudiziari, che nella tarda serata di lunedì hanno notificato un nuovo provvedimento all'azienda. Nella nuova direttiva, i custodi ordinano il completo rifacimento delle batterie 3,4,5,6,9,10 delle cokerie degli altiforni, lo spegnimento delle torri che vanno dall'1 alla 7 eccetto la torre 2, lo spegnimento degli altiforni 1 e 5 a cominciare subito dall'altoforno 1, lo stop all'acciaieria 1, l'adeguamento dell'acciaieria 2 e il rifacimento del reparto Grf, gestione materiali ferrosi. Il tutto dopo il blocco imposto dagli stessi custodi, sull'approvvigionamento delle materie prime al parco minerali. Lo stesso Ferrante, nella conferenza stampa di ieri pomeriggio in cui ha illustrato il piano dell'azienda, ha dichiarato che nel caso in cui la procura confermasse la non facoltà d'uso, l'Ilva non procederebbe con gli investimenti previsti: aprendo scenari funesti sulla sopravvivenza del siderurgico e sul futuro stesso dei lavoratori, che rischierebbero di finire in mobilità nel giro di qualche mese. Bocciatura prevedibile, anche perché il piano presentato dall'azienda, non comprende la copertura dei parchi minerari: l'Ilva ha infatti reso noto di aver dato incarico alla società Paul Wurth di progettare uno studio di fattibilità sull'eventuale possibilità di coprire gli oltre 70 ettari dell'area in cui vengono stoccate le materie prima a cielo aperto. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, appare fiducioso: per risanare l'Ilva di Taranto ha dichiarato ieri, «ci vorranno 3-4 anni». Mentre il ministro della Salute, Renato Balduzzi, aprendo la conferenza di presentazione del progetto «Sentieri», ha dichiarato che i nuovi dati sulla mortalità nel Sin di Taranto saranno resi noti il 12 ottobre.Intanto ieri è arrivato il via libera della Camera al decreto legge per il risanamento ambientale dell'area industriale di Taranto. Il provvedimento, approvato con 430 voti favorevoli, 49 contrari e 7 astenuti, passa all'esame del Senato. Il provvedimento riconosce l'area di Taranto «in situazione di crisi industriale complessa», prevede la costituzione di un comitato di sottoscrittori e una cabina di regia coordinata dalla Regione Puglia. L'attuazione delle azioni sarà assicurata da un commissario straordinario nominato dal presidente del consiglio su proposta del ministro dell'Ambiente, che non dovrà percepire alcun compenso o rappresentare «altri oneri per la finanza pubblica».

Il Manifesto 19 settembre 2012

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LA DENUNCIA DEGLI OPERAI /«NON SI FERMA E NON RALLENTA»«Stiamo continuando a produrre, come se nulla fosse accaduto»

GIANLUCA COVIELLO. TARANTO«Gli impianti lavorano coerentemente con gli ordinativi. Ce ne accorgiamo guardando i monitor nell'area a caldo»L'Ilva non si ferma e non rallenta. Lo dicono i lavoratori da dentro gli impianti, lo confermano i fumi che continuano a disperdersi nell'aria. «Stiamo producendo come se non fosse accaduto nulla» affermano in coro diversi operai. «Gli impianti lavorano coerentemente con gli ordinativi e non ai minimi. Nessuna nostra attività è influenzata dai risvolti giudiziari. Ce ne accorgiamo guardando i monitor nell'area a caldo: il sequestro concretamente non ha ripercussioni e tutto procede come sempre».La loro è una voce difficile da mettere a tacere, soprattutto da quando hanno compreso come il loro futuro occupazionale sia legato a doppio nodo con quello dell'intera città ionica. La notte tra venerdì e sabato, poi, i bagliori sopra l'Ilva palesavano una attività tutt'altro che limitata. A essersene accorti non sono stati solo i cittadini di una città abituata (ma non rassegnata) a convivere e a morire con l'inquinamento, ma anche i custodi nominati dalla gip Patrizia Todisco nell'ultima ordinanza. Accompagnati dai Carabinieri del Noe di Lecce, infatti, si sono presentati in piena notte alle porte dello stabilimento per una ispezione. È iniziata intorno a mezzanotte ed è proseguita per quasi cinque ore. Una attività svolta nelle aree acciaieria 1 e 2 e gestione materiali ferrosi finalizzata a raccogliere nuove importanti informazioni.L'Ilva, dal canto suo, non teme alcuna iniziativa restrittiva immediata della produzione. Solo qualora essa venga limitata dai giudici verrà rivisto in modo determinante il programma degli impianti. Il concetto di limite, però, è sempre molto soggettivo: quanto dovrebbe produrre infatti l'azienda per non destare il sospetto di una corsa agli utili anche mentre si trova la centro di un ciclone giudiziario che potrebbe travolgerla? La gip, dal canto suo, non ha dubbi: gli impianti vanno fermati e qualsiasi loro utilizzo deve essere finalizzato alla recezione delle prescrizioni e dunque alla loro messa a norma. Ma fino a quando tutti i gradi di giudizio non confermeranno la nuova ordinanza della giudice Todisco (si attende il responso del Riesame) c'è da essere certi che non una colata verrà risparmiata. «Il 2 agosto, in occasione degli scioperi promossi dall'azienda, chi rimase in fabbrica produsse più dei giorni precedenti. Eppure a noi fecero credere che i giudici avevano fermato tutto», ricordano sempre i lavoratori. La loro è l'ulteriore conferma di quale sia la strategia dell'Ilva. Un atteggiamento di sfida, d'altronde, non è mai stato smentito sin dai primi passi dell'indagine condotta dalla procura della Repubblica: nessuna controperizia rispetto a quelle presentate dall'accusa (sia per quella chimica che per quella epidemiologica); nessun tentativo di dialogo e disponibilità a fare luce. Anche Bruno Ferrante, all'arrivo alla guida dell'Ilva, ha dovuto riconoscere la scarsa collaborazione di chi lo precedeva con i giudici. A un mese circa dal suo insediamento appare chiaro quanto la sue possibilità di manovra decisionale sia limitata e come ogni minimo passo lo debba concertare con la proprietà. Accade spesso così quando chi ha la rappresentanza legale di una azienda ma non è anche il proprietario di riferimento. Davanti alle telecamere Ferrante continua a dichiarare massima disponibilità e chiede indicazioni certe al governo per poi adeguarsi; a porte chiuse, invece, quando si tratta di discutere le disposizioni riportate anche nell'ordinanza della gip, si comporta diversamente: si oppone all'installazione delle centraline all'interno del perimetro dell'Ilva e alla copertura dei parchi minerali. Due degli interventi che, fino a quando non saranno imposti dal governo e accettati dall'azienda, paleseranno la scarsa volontà dell'Ilva di risolvere veramente almeno una parte dei problemi.

Il Manifesto 19/08/12

AIA - ERASMO VENOSI, EX VICE PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE IPPC FATTO FUORI DA PRESTIGIACOMO «Sostituiti perché scomodi»

INTERVISTA - ELEONORA MARTINI. «La promessa di una nuova Autorizzazione integrata ambientale entro il 30 settembre? Una patacca del ministro: impossibile in così poco tempo»

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C'è un acronimo, Aia (Autorizzazione integrata ambientale), fondamentale nell'intrigato glossario della vicenda Ilva. Non a caso, l'inchiesta della procura lambisce anche la commissione ministeriale Ippc-Aia che rilascia questa importante autorizzazione alle industrie per poter lavorare nel rispetto della legge. Ma fino a ieri la notizia data da alcuni quotidiani secondo cui si sarebbero dimessi il presidente, Dario Ticali, e uno del componenti, Marco Mazzoni, i cui nomi compaiono nel brogliaccio delle intercettazioni (ma non sono indagati), non è confermata dal dicastero dell'Ambiente. Segno che il ministro Corrado Clini ha scelto di non scegliere. Di non seguire, insomma, le orme del suo predecessore, la ministra Stefania Prestigiacomo, quando mise alla porta un suo consulente, Bonaventura La Macchia, finito sotto inchiesta (poi prosciolto), o quando nel luglio 2009 azzerò, appunto, la commissione Ippc-Aia durante un consiglio dei ministri tenutosi platealmente a Napoli, in piena emergenza rifiuti. Erasmo Venosi, allora vice presidente della commissione Ippc-Aia, ricorda bene quei momenti. Venne rimosso assieme agli altri membri della commissione nel tur-over improvvisato ad hoc da Prestigiacomo. «Fu il primo provvedimento assunto dal governo Berlusconi, da agosto non abbiamo più operato».Perché vi fecero fuori? Cosa avvenne?Facemmo ricorso al Tar e lo vincemmo. Ma poi il ministro Prestigiacomo si appellò al Consiglio di stato che ribaltò il pronunciamento di primo grado. La motivazione ufficiale era che avevamo dato poche autorizzazioni. Ma avevamo concluso 74 istruttorie e insieme al ministero dell'Ambiente avevamo sottoscritto un accordo di programma affinché in 300 giorni fosse data l'Aia non solo all'Ilva ma a molti altri insediamenti industriali che gravano nell'area tarantina come la Cementir, la centrale termoelettrica Eni power e la raffineria dell'Eni. Pensi che Ilva, contrariamente a quanto viene detto, avrebbe dovuto avere l'Aia al massimo nel 2004, e non certamente nell'agosto 2011, perché la direttiva 61 del 1996 fu recepita parzialmente col decreto legislativo 372 del 1999. E a inquinare, a Taranto, non c'è solo l'Ilva, anche se è il maggiore emettitore. Le Aia però andrebbero date contemporaneamente, se si vuole sanare la situazione.Dimissionandovi hanno rallentato l'iter?Racconto solo i fatti: a fare l'analisi dell'impianto, a decidere come procedere e quali prescrizioni porre non è l'intera commissione Aia ma un gruppo tecnico composto da 5 persone. Noi eravamo tutti tecnici altamente specializzati, ingegneri, medici, chimici. E invece il gruppo che dovrà dare la prossima autorizzazione è composto da due ingegneri, un geologo e due magistrati: Umberto Realfonso e Stefano Castiglione. E non sono due magistrati qualunque, ma membri della Terza sezione del Tar del Lazio, quella che per competenza si esprime proprio sui ricorsi per le Aia concesse dal ministero. Ecco come si rilasciano le autorizzazione per il più grande impianto siderurgico d'Europa. È evidente anche che c'è una palese, flagrante, inadempienza del nostro legislatore nell'emettere i decreti attuativi sulle Bat, le migliori tecnologie possibili compatibilmente con la disponibilità economica dell'impresa. Il 30 marzo scorso la Corte di giustizia di Strasburgo ha condannato l'Italia per inadempienza della direttiva Ippc del 1996.Il ministro Clini ha annunciato una nuova Aia che recepisca le ultime raccomandazioni della Commissione Ue.Mi permetto di dire che quella venduta da Clini a Taranto è una patacca. Dire che ci sarà una nuova Aia entro il 30 settembre è una cosa che non sta in piedi: vuol dire fare solo una rilettura del vecchio decreto ministeriale e niente altro, e quindi prescindere dalle risultanze della perizia della Gip. Per aprire una nuova istruttoria, invece, ci vuole tempo. Poi bisogna anche produrre le linee guida di recepimento delle Bat pubblicate dalla Commissione Ue, e per questo è necessario insediare una commissione interministeriale e produrre un decreto di recepimento della direttiva sull'Aia. Alcuni passaggi sono già stati compiuti, altri no. Delle linee guida io non ho notizia.Alcuni componenti della commissione Ippc-Aia si ritrovano citati nelle intercettazioni della procura. Non è un reato, ma il ministro Clini ha detto che apprezzerebbe un loro passo indietro. Che finora non c'è stato. Cosa ne pensa?Al loro posto io mi sarei dimesso. Ma soprattutto mi sembra giusto che vengano sostituiti, perché il presidente della commissione è colui che nomina i gruppi tecnici che decideranno sull'autorizzazione. Credo però che il problema sia politico: a mio avviso non si può contrapporre la salute e le patologie neoplastiche riscontrate in quelle aree con lo sviluppo e l'occupazione. È una contrapposizione strumentale. Uno degli errori più grandi del ministero è stato agevolare, anche attraverso le Valutazioni di impatto ambientale, la raffineria dell'Eni, la Cementir, e tutte le altre industrie del territorio. In una città con la più alta concentrazione in Italia di industrie a rischio di

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incidente rilevante, sottoposte alla direttive Seveso 1 e 2. E con la più alta concentrazione di diossine, seconda solo a Seveso, oltre che di benzene, nichel, arsenico e polveri.Sia l'Ilva che il governo hanno ora promesso un primo stanziamento per la bonifica e la messa in sicurezza del territorio. Non le sembra un passo avanti?Una cosa è la bonifica, altra è mettersi in regola con le prescrizioni imposte dall'Aia. C'è da bonificare anche il porto di Taranto e tutta l'area attorno. Poi bisogna investire sull'innovazione industriale. Non mi sembra che i soldi promessi, ammesso che vengano investiti, siano sufficienti. Mi sembra invece che il principio di chi inquina paga - che è un principio che dal trattato di Amsterdam a quello di Lisbona orienta tutte le politiche industriali - non trovi applicazione nella vicenda di Taranto. C'è stata invece la riscrittura della Costituzione: l'articolo 41 è diventato l'articolo 1. L'attività economica finisce per primeggiare su tutti gli altri diritti; un principio positivo va a prevalere su un diritto naturale, che è quello alla salute

Il Manifesto 19/08/12

ACCIAIO. Alla Hyundai Steel, dove i materiali sono chiusi negli hangar

Fare all'Ilva come a Dangjin, l'acciaieria della Hyundai Steel. Dove le polveri nere non si alzano perché i minerali sono coperti all'interno di hangar giganteschi. Ha ragione il «Comitato di cittadini e lavoratori liberi e pensanti» di Taranto a indicare una soluzione coreana per proteggersi dall'inquinamento nella loro città: è un modello positivo, per quanto abbiamo potuto vedere con i nostri occhi nel giugno scorso. Ma per il quale ci vogliono investimenti veri, una politica industriale e tempi certi.Dangjin sorge sulla costa sudoccidentale della Corea del sud, a 125 chilometri dalla capitale Seoul, non in mezzo a una città abitata. Il gruppo Hyundai ci ha invitato a visitare questo impianto perché è considerato il fiore all'occhiello di un impero cresciuto sulla produzione e vendita di automobili. Attraverso Dangjin, la Hyundai si fa in casa l'acciaio per le proprie automobili (solo in parte per quelle costruite all'estero), come un tempo la Teksid serviva la controllante Fiat. L'amministratore delegato Yoo-Cheol Woo ci accoglie con numeri piuttosto orgogliosi e informazioni che a Taranto farebbero felici. Dal 2006, spiega Woo, l'acciaieria è «l'unica al mondo connessa all'automobile»; qui il gruppo vi ha investito ben 10 miliardi di dollari e qui si studiano nuove qualità dell'acciaio ad alta resistenza per «migliorare la sicurezza dell'automobile». Delle 8,5 tonnellate di acciaio prodotte quest'anno, la metà serve esclusivamente per la fabbricazione dei modelli Hyundai-Kia. Il processo è completo, assicurato da due moderni altoforni e un terzo in funzione dalla fine dell'anno, che porterà la produzione totale a 23 milioni di tonnellate. L'impianto ha un molo portuale lungo 1,5 chilometri, 35 chilometri di tapis roulant, una produzione di lamiere che variano da uno spessore di 1,6 millimetri ai 3 centimetri per la cantieristica navale. L'acciaio per l'auto nasce su specifiche del centro ricerche del gruppo a Namjiang, dando un vantaggio competitivo al gruppo sudcoreano.Alla domanda su come Hyundai Steel tratti l'ambiente, Woo ci suggerisce di seguire il suo vice per visitare i parchi minerali. «Compriamo quel che c'è sul mercato - spiega Woo - ma siccome vogliamo fare qualcosa di diverso, meglio se partiamo dal materiale grezzo. Il nostro obiettivo è essere unici». Non sono solo parole. Entriamo in un enorme hangar in cui sono stipate due montagne di materiale grezzo, «totalmente importato e da cui dipende per il 60-70% il costo finale dell'acciaio»: a destra, più rossiccio, è quello acquistato in Australia, a sinistra, più scuro, è quello che viene dal Brasile. I due terzi, specificano, vengono comunque dall'Australia, il resto - oltre che dal Sudamerica - anche dal Sudafrica. Tutto è rigorosamente coperto: «Se piove o c'è cattivo tempo, così non c'è nessuna dispersione nell'ambiente e la qualità del materiale viene preservata». L'impianto prevede il recupero totale dell'acqua utilizzata in produzione, la sua depurazione e quindi il riutilizzo. C'è poi un controllo dei fumi dei forni, filtrati con sistemi sofisticati per evitare che le polveri inquinanti ricadano su chi lavora e sull'area circostante.Hyundai Steel nasce cinquant'anni fa, ma è nel nuovo millennio che investimenti pesanti ne fanno un punto di riferimento nella produzione dell'acciaio mondiale. Il gruppo Hyundai sta scalando la classifica nella vendita di automobili a spese di colossi storici come General Motors e Volkswagen,

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producendo in Cina come negli Stati Uniti e in Sudamerica. Ma la sua vera arma segreta sta a Dangjin. Lontano, troppo lontano da Taranto.

BONELLI (VERDI) «Vertice inutile, la città è sconfitta»

«Quella di venerdì è stata solo un'operazione mediatica del governo che per Taranto sta usando una tattica gattopardesca: 'cambiare tutto affinché nulla cambi'». All'indomani della calata dei ministri Clini e Passera ai piedi dell'Ilva il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli, attacca a testa bassa: «Per quanto riguarda il risanamento ambientale, l'emergenza sanitaria (che riguarda l'oggi) e il risarcimento dei danni per le vittime dell'inquinamento, il vertice è stato perfettamente inutile. Non sono state stanziate risorse né per la bonifica ambientale né la messa in sicurezza della falda su cui l'intervento è previsto da un obbligo di legge». «Mentre solo pochi mesi fa per Porto Marghera venivano stanziati, giustamente, 5 miliardi di euro (3 miliardi pubblici e 2 privati), a Taranto - continua il leader dei Verdi - andranno solo pochi spiccioli, basti ricordare che per la bonifica del quartiere Tamburi sono previsti solo 8 milioni di euro. Dal vertice esce vincitrice l'llva, che grazie all'accordo sui Parchi minerari (quella del gel è una soluzione già sperimentata e che si è dimostrata inefficace) potrà risparmiare un centinaio di milioni di euro per la copertura dei parchi stessi. La città invece esce sconfitta, perché, ancora una volta le ragioni di chi si ammala e muore di inquinamento sono state umiliate»DUELLO CLINI-CACCIARI

Il Manifesto 19/08/12

BREVE 

L'ex sindaco di Venezia Massimo Cacciari e il ministro all'Ambiente Corrado Clini litigano a distanza via «Lettera43.it», il quotidiano online diretto da Paolo Madron. «Clini in quanto 'potente' non farà mai una polemica in vita sua. Non l'ha fatta con l'Eni e non la farà con l'Ilva», ha dichiarato il filosofo in un intervista al quotidiano digitale accusando Clini, per lunghi anni medico dell'ambiente a Marghera. La polemica parte dalle responsabilità nel disastro del petrolchimico di Marghera e intreccia le analogie con la crisi attuale dell'Ilva. Pronta la replica del ministro: «Per chi mi conosce l'intervista di Cacciari appare per quello che è: un maldestro tentativo di screditarmi e forse di intimidirmi nel momento in cui sono impegnato nella difficilissima situazione dell'Ilva di Taranto», ha scritto in una lettera a «Lettera43». «Cacciari, un comunista potereoperaista» scrive ancora e si domanda: «Dov'era Cacciari, allora sindaco di Venezia, quando ho testimoniato per l'accusa nel processo avviato da Felice Casson contro Enichem, ed ho richiamato i ritardi delle amministrazioni pubbliche per la prevenzione dell'inquinamento?». L'ultima parola se la prende l'ex sindaco con un ultimo messaggio a «Lettera43»: «A Clini c'è poco da rispondere. Perché a Porto Marghera insieme ai medici a fare le analisi c'ero io e non lui e tutti sanno come è andata e come si è comportato Clini».

Il Manifesto 19/08/12

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TARANTO/ L'ORDINE DEL GIP PER RIDURRE L'INQUINAMENTOAll'Ilva produzione rallentata da lunedì

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Il percorso è quello indicato dall'ordinanza di sequestro preventivo degli impianti firmata dal gip Todisco e confermato dal tribunale del Riesame: a partire dalla prossima settimana, l'Ilva deve rallentare la produzione per consentire l'adeguamento degli impianti affinché si eliminino del tutto le emissioni inquinanti. Questo, in sintesi, il contenuto di una nuova direttiva che la Procura di Taranto ha consegnato ai custodi giudiziari. L'atto in queste ore sarà notificato anche al presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, custode giudiziario con funzioni amministrative. Nella direttiva la Procura ricorda che il sequestro è senza facoltà d'uso: gli impianti non devono essere utilizzati a fini produttivi, come indicato nel decreto di sequestro confermato dal Tribunale del Riesame, pur dovendo nello stesso tempo salvaguardare l'esistenza degli stessi. La tesi della Procura è che non sia possibile adeguare gli impianti dal punto di vista ambientale e contemporaneamente produrre acciaio: essendo che gli stessi inquinano, dovranno prima essere risanati e poi eventualmente, previa attenta e appurata analisi da parte dei custodi, riprendere la marcia produttiva. Ma se la nuova direttiva ha riportato nel panico i sindacati che temono ricadute occupazionali dopo le ultime nuove disposizioni, istituzioni e Ilva proseguono il loro percorso parallelo, seguendo la strada della eco-compatibilità, non curanti delle restrizioni imposte dalla magistratura. Lo dimostrano le dichiarazioni rilasciate al termine del tavolo istituzionale convocato ieri a Bari dal governatore pugliese Nichi Vendola, a cui hanno partecipato il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, gli enti locali, i sindacati, il presidente dell'Ilva ed il vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l'industria e l'imprenditoria, Antonio Tajani. Il quale, aprendo le porte a possibili prestiti per l'Ilva da parte della Banca europea degli investimenti e ipotizzando l'utilizzo di risorse derivanti dal Fondo sociale europeo, ha annunciato che i «governi europei discuteranno con la Commissione della situazione dell'acciaio in Europa il 10 e 11 ottobre prossimi». Lo stesso Tajani, insieme al ministro Clini ed al governatore Vendola, ha confermato la ferma volontà di voler impedire in tutti i modi la chiusura del più grande sito siderurgico europeo. Gli stessi sono stati confortati anche dalle dichiarazioni del presidente Ferrante, che di ritorno da Milano dove ha incontrato il patron Emilio Riva agli arresti domiciliari dallo scorso 26 luglio, ha confermato la volontà da parte del gruppo di continuare ad investire a Taranto nell'ambito di un programma che «definisca una prospettiva sostenibile per il futuro». Ferrante ha poi garantito che entro la prossima settimana l'Ilva presenterà alla Procura un'istanza con la quale indicherà «interventi da attivare immediatamente

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per il risanamento ambientale degli impianti, in perfetta linea con quanto disposto dal tribunale del Riesame». Staremo a vedere. Anche perché lo stesso Ferrante, in merito alla nuova direttiva della Procura che impone il rallentamento della produzione, ha tirato fuori dal cilindro una teoria alquanto singolare. «Io so, per quanto dicono i tecnici, che se si abbassa il livello produttivo, o meglio il livello di funzionamento degli impianti, si inquina di più. C'è un limite di inquinamento minimo che va tenuto presente». Sempre nel pomeriggio di ieri, il ministro Clini si è recato a Taranto, dove ha incontrato alcune associazioni ambientaliste, confermando la volontà del suo ministero di costituirsi parte civile nel processo contro i vertici dell'Ilva. Lontani da tavoli e incontri istituzionali, sin dalla mattina molti cittadini hanno preso parte al presidio permanente indetto dal comitato «Cittadini e operai liberi e pensanti». Oltre a contestare il vertice barese, i rappresentanti del comitato hanno ribadito il loro concetto di base: «Non vogliamo più scegliere tra lavoro e salute».

Il Manifesto 15 settembre 2012

«Attuare in fretta il sequestro Stop a ogni attività produttiva»

GIANMARIO LEONE - TARANTOSebastio spiega che l'autorizzazione a continuare la produzione a livelli ridotti è «inesistente»All'indomani del tavolo istituzionale riunito a Bari e della nuova visita del ministro dell'ambiente Corrado Clini a Taranto, il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, ha diffuso ieri una nota ufficiale con l'intento di chiarire una volte e per tutte, si spera, le modalità e le finalità del sequestro preventivo degli impianti del siderurgico tarantino. Dopo l'ultima direttiva emessa giovedì, che «integra e chiarisce il contenuto delle precedenti direttive via via emesse - è scritto nel comunicato - si stabilisce espressamente che si dia immediata e rapida attuazione al provvedimento di sequestro». Il procuratore ha voluto spiegare il nuovo intervento della magistratura perché venerdì era stato riportato in modo impreciso il contenuto delle disposizioni impartite ai custodi-amministratori per l'attuazione del sequestro preventivo, e si era parlato - prosegue Sebastio - di «una inesistente autorizzazione a continuare la produzione a livelli ridotti». Del resto, sia l'ordinanza del Gip che il tribunale del Riesame, hanno chiarito che «il sequestro impone l'eliminazione delle emissioni inquinanti e pericolose e all'uopo - sottolinea ancora Sebastio - inibisce qualunque attività produttiva». Per questo motivo, si ribadisce come l'utilizzo degli impianti «è consentito all'unico fine della bonifica degli stessi in vista della loro eventuale successiva riutilizzazione a fini produttivi, adottando tutte le cautele tecnicamente necessarie per evitare, ove possibile, il deterioramento o la distruzione degli impianti medesimi». Onde evitare ulteriori dubbi, il procuratore ricorda poi che il dispositivo di sequestro inibisce l'utilizzo degli impianti, «ivi compresi i parchi minerari». Precisazione non da poco visto che proprio oggi termineranno le operazioni di scarico delle materie prime ai pontili dell'Ilva dell'ultima nave autorizzata dai custodi, dopo la disposizione di blocco dei rifornimenti per i parchi minerali arrivata la scorsa settimana. Tutte le navi in rotta verso Taranto per approvvigionare il siderurgico di carbon fossile e minerale ferroso dovranno essere autorizzate allo scarico dagli stessi custodi. A quanto si apprende da fonti aziendali, un'altra nave è nella rada di Taranto e altre sei sono in navigazione già partite dal Brasile, il principale paese dal quale l'Ilva si approvvigiona di materie prime per il funzionamento degli altoforni. Dunque tutto dipende dai custodi, che nel loro provvedimento hanno aperto alla possibilità di una deroga rispetto al blocco a fronte d'una richiesta da parte dell'azienda. Lo stop all'approvvigionamento del parco minerali, che è tra le sei aree sequestrate dalla Procura, è stato adottato per porre fine alla diffusione di polveri che si sprigionano quotidianamente verso la città e il vicino quartiere Tamburi, essendo l'area di 70 ettari dove vengono stoccati carbon fossile e minerale di ferro, all'aperto. A conclusione del tavolo istituzionale riunito a Bari venerdì, il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante, ha dichiarato che dopo il provvedimento dei custodi, le materie prime stoccate nel parco minerali si sono ridotte passando da 2,5 milioni a 1,7 milioni di tonnellate, e che tale quantità assicurerà la marcia degli impianti solo per venti giorni. Sostenendo peraltro la bizzarra tesi secondo cui producendo di meno, l'Ilva inquinerà in maniera maggiore rispetto a quanto avviene con gli impianti in marcia al 70 per cento delle loro capacità.

Il manifesto 16 settembre 2012

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ILVA - GLI AMBIENTALISTI DIFFONDONO LE INDAGINI. IL MINISTRO CLINI ANNUNCIA QUERELA. I «fastidiosi» dati sui tumori

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Dall'Emilia a Taranto: la vita di chi lavora non conta nulla per chi comanda. È polemica sui dati del «progetto Sentieri» dell'Istituto superiore della Sanità sul sito di Taranto. Ieri il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, e il presidente di Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti, hanno diffuso quelli inerenti al 2003 e al triennio 2006-2008, che parlano di «un aumento della mortalità generale del 10%, di decessi per tumore del 12%, con un +306% di mesoteliomi».La diffusione di questi dati è dovuta alla polemica in corso con i ministri della salute e dell'ambiente che ne contestano l'ufficialità. «Le tre indagini complementari al progetto Sentieri saranno disponibili a ottobre: a quel punto definiremo una strategia di politica sanitaria che ha ricadute sulle strategie connesse di politiche ambientali e dello sviluppo», ha annunciato il ministro Balduzzi. Molto irritato per la diffusione di dati non sono ancora confermati in toto, visto che mancano quelli relativi agli anni 2004-'05.«Si sta girando intorno a un problema che non c'è». In merito al dato che indica un aumento di oltre il 300% dei casi di mesotelioma, Balduzzi ha commentato: «Ma da dove è stato preso questo dato?». Il ministro ha poi precisato che le cifre per lui giuste «sono state pubblicate alla fine del 2011» e «ora c'è bisogno di completare queste indagini con 3 complementi».Secondo Balduzzi il fulcro della questione è «capire cosa è successo negli ultimi 12 anni e se le prescrizioni imposte all'Ilva hanno avuto efficacia; di effettuare il monitoraggio biologico di un campione di allevatori per verificare se ci sia presenza di diossina nei prodotti e di monitorare la qualità dei mitili»: queste tre indagini complementari saranno disponibili a ottobre.«E' falso - ha replicato Bonelli - perché questi dati sono stati elaborati, stampati e comunicati alla procura della Repubblica il 30 marzo di quest'anno». Si tratta di numeri, incalzano gli ambientalisti, inseriti in un allegato all'indagine epidemiologica che ha portato al sequestro degli impianti del siderurgico che però, accusa Marescotti, «il ministro Balduzzi non ha voluto comunicare perché diceva che erano in fase di elaborazione». Nella polemica interviene il ministro dell'ambiente Corrado Clini, riferendo di aver dato mandato all'Avvocatura dello Stato di procedere nei confronti di Bonelli. Il presidente dei Verdi risponde: «Attendo con serenità la querela, perché di falso non c'è nulla».Intanto, sul fronte lavoro, le notizie che arrivano dall'Ilva sono tutt'altro che rosee. La Semat spa e la Edil Sider, due società che operano da anni nell'indotto del siderurgico, hanno annunciato ai lavoratori che intendono procedere a «ferie forzate» e ad un «possibile ricorso alla cassa integrazione» per 490 dipendenti: 450 della Semat e 40 della Edil Simer. Lo afferma in una nota il segretario generale della Fillea-Cgil di Taranto, Luigi Lamusta, che parla di «un attacco strumentale, di puro terrorismo psicologico nei confronti dell'anello più debole della catena».Quest'oggi, infine, la gip Patrizia Todisco potrebbe esprimersi sulla richiesta avanzata martedì dall'Ilva: che sia garantito all'azienda un minimo di capacità produttiva, ristabilendo così la facoltà d'uso degli impianti, revocata dallo stesso giudice e confermata dal tribunale del Riesame.

Il Manifesto 20 settembre 2012

LA SENTENZA - Depositate le motivazioni: il disastro ambientale fu voluto dall'azienda«L'Ilva ha scelto di inquinare»

Carlo Lania ROMA . Per i giudici del Riesame devono essere i periti nominati dalla gip Todisco a decidere sullo stop alla produzione. E sui Riva avvertono: «C'è il pericolo che possano reiterare i reati commessi»Inutile cercare l'errore umano o una qualsiasi motivazione che possa in qualche modo rendere meno grave, se possibile, la tragedia provocata dall'Ilva. Semplicemente non ci sono. Anzi, tutto il contrario. L'inquinamento con cui lo stabilimento ha per anni avvelenato i quartieri più vicini, il centro storico di Taranto e Tamburi, sarebbe frutto di scelte deliberate messe in atto dai vertici dell'azienda che si sono succeduti nel tempo. Un «disastro» perpetrato «nel corso degli anni, sino

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a oggi» alla faccia dei limiti fissati dalla legge. Di più: una gestione «ad elevata potenzialità distruttiva dell'ambiente», «tale da provocare un effettivo pericolo per l'incolumità fisica di un numero indeterminato di persone». A scriverlo sono i giudici del tribunale del Riesame nelle motivazioni con cui il 7 agosto hanno confermato il sequestro «senza facoltà d'uso» delle aree a caldo dello stabilimento, dando così ragione in pieno a quanto disposto dalla gip Patrizia Todisco che nella prima delle sue due ordinanze ha ordinato il blocco della produzione. E i giudici del Riesame spiegano anche il perché hanno deciso di confermare gli arresti domiciliari per Emilio Riva, Nicola Riva e Luigi Capogrosso, tre degli otto indagati. «Si profila il pericolo - scrivono - che lasciati in libertà reiterino analoghi fatti delittuosi». Pericolo che invece non esiste per gli altri manager dell'azienda. È un vero atto di accusa nei confronti della più grande acciaieria d'Europa quello scritto dai giudici del Riesame. 124 pagine in cui si ricostruisce l'attività dello stabilimento mettendo in luce i comportamenti illegali dei suoi dirigenti. «Hanno continuato a produrre massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza dettate dalla legge e di quelle prescritte nello specifico dai provvedimenti autorizzativi», è scritto nelle motivazioni. Un comportamento perpetuato nel tempo secondo i giudici, per i quali i Riva al momento del loro arrivo alla guida dell'acciaieria sarebbero stati a conoscenza dei livelli di inquinamento prodotti. Scrive infatti il Riesame: «Le emissioni nocive che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin dall'insediamento dell'attuale gruppo dirigente dello stabilimento Ilva di Taranto, avvenuto nel 1995, sono proseguite successivamente» nonostante una condanna definitiva per motivi ambientali. E a nulla sono serviti gli impegni assunti - e mai mantenuti - per migliorare le prestazioni ambientali. «Dalle varie parti dello stabilimento - è scritto ancora nelle motivazioni - vengono generate emissioni diffuse e fuggitive non adeguatamente quantificate, in modo sostanzialmente incontrollato e in violazione dei precisi obblighi assunti dall'Ilva, nella stessa Aia e nei predetti atti di intesa, volti a ridurre la fuoriuscita di polveri e inquinanti».Per i giudici il disastro ambientale prodotto dallo stabilimento è «ancora in atto» e per interromperlo sono necessarie «imponenti e onerose misure di intervento, la cui adozione non è più procrastinabile». Non per questo però, il blocco della produzione è da intendersi come una misura automatica. La sospensione della produzione, così come invocata dalla gip, è solo una delle possibili «scelte tecniche» da adottare. Non è compito dei giudici - è spiegato - stabilire se l'Ilva debba o no continuare a produrre, ma dei periti che sono stati nominati. E spetta proprio ai custodi giudiziali decidere, di volta in volta, se l'opera di bonifica possa avvenire continuando la produzione, sempre che «siano state attuate determinate misure tecniche che abbiano lo scopo di eliminare ogni situazione di pericolo per i lavoratori e la cittadinanza». Un modo di procedere che rispetta la Costituzione, là dove sancisce il diritto alla salute ma anche la tutela dell'impresa e dell'occupazione. E infine la nomina del presidente Bruno Ferrante a custode amministrativo (in seguito annullata da una successiva ordinanza della gip). Per il Riesame la presenza di un rappresentante dell'Ilva tra i custodi è necessaria anche in considerazione delle spese che l'impresa dovrà sostenere per il risanamento degli impianti. Soddisfatto il commento di Corrado Clini: «Da quello che ho letto - ha detto il ministro dell'Ambiente - il Riesame conferma l'approccio che anche noi abbiamo sempre suggerito: la fermata degli impianti è in funzione del risanamento». Identica la posizione di Ferrante. «Gli impianti devono essere attivi. Il tribunale del Riesame ha espresso una posizione di buon senso che salva l'ambiente, la salute e tanti posti di lavoro». Di tutt'altro avviso Angelo Bonelli. Per il portavoce dei Verdi, infatti, «le motivazioni del Riesame suonano come una sonora bocciatura della linea del governo, più preoccupato di difendere le regioni della produzione che non di tutelare il diritto alla salute».

Il Manifesto 21/08/12

Clini: «Via il presidente, poche norme ma subito»

Eleonora Martini . Salta gli ostacoli come un grillo, il ministro Corrado Clini, avanti verso l'obiettivo di scongiurare la chiusura dell'Ilva. Il tribunale del riesame? «Motivazioni in linea con il governo». La nuova Autorizzazione integrata ambientale? «Nessun problema, si chiuderà come promesso entro il 30 settembre», conferma il titolare dell'Ambiente al manifesto. Come? «Non abbiamo

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bisogno di premi Nobel: ci sono già tutti gli elementi, sappiamo cosa bisogna fare, si tratta solo di decidere quali sono gli interventi fattivi». In questa direzione, il ministro ha avviato ieri i lavori per il rilascio di una nuova Aia, più restrittiva della precedente, concessa all'Ilva il 4 agosto 2011 dal governo Berlusconi, ma contemporaneamente «più secca, con molte meno prescrizioni». Non le 462 mai applicate della prima autorizzazione, ma con regole «mirate» a colpire i gangli dell'avvelenamento ambientale. Alla riunione che ha visto ieri mattina attorno a un tavolo alcuni componenti della commissione ministeriale Ippc-Aia, esperti dell'Istituto superiore di sanità e dell'Ispra e i rappresentanti dei ministeri dello Sviluppo economico, della Salute, della Regione Puglia e degli enti locali, non c'era Dario Ticali, il giovane presidente della Commissione per la concessione delle Aia tirato in ballo nelle intercettazioni della procura. Non è indagato, eppure «di sua spontanea volontà - riferisce Clini - ha fatto un passo indietro». «Non si è dimesso formalmente ma il suo gesto, che ho molto apprezzato, mi ha dato modo di incaricare al suo posto la giurista Carla Sepe che coordinerà il gruppo istruttore della nuova procedura per l'Aia». Dunque, non sarà Ticali a scegliere chi dovrà decidere le nuove prescrizioni affinché l'acciaieria possa continuare a produrre senza attentare alla salute di tutte le generazioni a venire di Taranto. A coordinare la parte tecnica il ministro ha messo il capo della segreteria tecnica del ministero, Sebastiano Serra. Mentre per le Bat, le migliori tecnologie disponibili da usare, la scelta è caduta su Bianca Maria Scalet che, come esperta senior di chimica e ambiente nella Commissione europea, garantirà il collegamento con l'Europa. Tutti «dovranno lavorare a Taranto, per evitare perdite di tempo. Perché - afferma Clini - più in fretta si fa, più si restringono i margini di situazioni poco trasparenti». Il ministro vorrebbe un'Aia con poche prescrizioni concentrate su tre punti cruciali di intervento: «Il monitoraggio, le emissioni fuggitive, ossia non convogliate, degli impianti a caldo, e il parco geominerario». Sono molte le misure da adottare per ridurre drasticamente le concentrazioni inquinanti, ma la prima prescrizione imposta sia dalla Gip Patrizia Todisco che dalla Commissione Ue è la copertura del parco minerario. Le precauzioni prese solo quale mese fa dall'Ilva per barrierare il parco sono leggere come le polveri nere trasportate ad ogni alito di vento verso le abitazioni vicine. Eppure, dalle parole del ministro si capisce che di coprire completamente la zona di stoccaggio dei materiali ferrosi non se ne parla neppure: «Il parco geomineriario - riferisce Clini - non è una zona omogenea perché vi sono stoccati materiali molto diversi, con differenti rischi di polverosità. Si tratta dunque di selezionare il tipo d'intervento, artricolarlo in termini di copertura dove è opportuna e praticabile, o in termini di gestione puntando sulle tecnologie avanzate». Ma la copertura del parco è storia antica, per l'Ilva. La richiedono anche le perizie incluse nella relazione approvata il 20 giugno scorso dalla «Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti». Inutilmente, malgrado i «900 milioni di euro» investiti da Ilva «per opere di adeguamento ambientale», secondo le dichiarazioni rese dall'avvocato dell'azienda, Francesco Perli, contenute nelle 346 pagine della relazione firmata Gaetano Pecorella. È facile immaginare, al confronto, dunque, cosa si possa fare con gli ultimi 146 milioni promessi dall'azienda per scongiurare il rischio chiusura.

Il Manifesto 21/08/12

FABBRICAStop confermato, Ilva aizza «i fedeli»

GIANMARIO LEONE – TARANTO. Il futuro «modello di sviluppo» somiglia all'inferno tarantino: nessun ostacolo per l'impresa, nessun diritto per il lavoro, cura ambientale zero Anche la Procura boccia il piano di risanamento presentato da Ferrante. Un gruppo di dipendenti accenna alla protesta contro i magistrati, tutte le sigle sindacali si dissociano. Silenzio UilL'Ilva è una polveriera. La scintilla che ha riacceso il fuoco che cova sotto la cenere dallo scorso 26 luglio, quando il Gip Todisco firmò il sequestro preventivo di sei aree del siderurgico, è stata la notizia - scontata - del parere negativo depositato dalla Procura della Repubblica sul piano di adeguamento ambientale degli impianti presentato dall'azienda venerdì scorso. Cui era allegata l'istanza in cui l'Ilva chiedeva di poter mantenere una «minima» capacità produttiva per non disattivare completamente gli impianti.

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La Procura non ha fatto altro che confermare la relazione depositata dai tre custodi-amministratori giudiziari giovedì, in cui veniva bocciato il piano Ilva, confermando come l'unico modo per eliminare del tutto le emissioni inquinanti sia quello di seguire le disposizioni che prevedono il loro spegnimento e rifacimento(cokerie e altiforni in primis), notificate all'azienda lunedì scorso.«Il parere della Procura è in linea con quello dei custodi» si legge nel documento dei magistrati. Che sottoscrivono quanto relazionato dai custodi, che avevano giudicato gli interventi proposti dell'azienda «assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti» e richiamato il presidente Ilva, Bruno Ferrante, nel suo ruolo di «custode amministrativo», alla predisposizione di un piano per l'impiego del personale nelle opere di risanamento degli impianti e bonifica delle aree sequestrate.La Procura ha espresso parere negativo anche per quanto concerne l'uso degli impianti ai fini produttivi, anche se l'azienda lo ritiene necessario per rendere sostenibili gli investimenti. La sua tesi è che il tribunale del Riesame, parlando di «salvaguardia degli impianti visti gli enormi interessi in gioco», sottintenda in realtà una presunta facoltà d'uso. Dimentica però che i giudici del tribunale anteponeva a ciò il risanamento degli impianti, perché prioritaria è l'eliminazione delle emissioni diffuse e fuggitive provenienti proprio da quegli impianti. L'ultima parola però, spetta al Gip Todisco, che si esprimerà tra oggi e lunedì.Ma la presa di posizione della Procura ha avuto anche il «merito» di acuire lo scontro tra i sindacati metalmeccanici. Sin dalle prime ore di ieri infatti, un centinaio di lavoratori si sono radunati all'interno dello stabilimento, nell'area della direzione, protestando perché l'azienda avrebbe «iniziato a spegnere le luci e a interrompere l'erogazione dell'acqua nei reparti sottoposti a sequestro». Smentita dell'azienda, ma via libera ad una serrata polemica con il presidente Ferrante. Il primo attacco é arrivato da Francesco Rizzo, delegato dell'Unione sindacale di base (Usb), che ha accusato l'Ilva di produrre in questi giorni come mai avvenuto prima d'ora. «Ieri in azienda si è prodotto l'ennesimo record di 80 colate e oggi l'Ilva esercita pressioni sui lavoratori affinché scendano in piazza».Dalla manifestazione si è dissociata anche la Fim Cisl, sostenendo che la protesta sarebbe stata incentivata dagli stessi responsabili aziendali. Ancora più duro il segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto, Donato Stefanelli. «I capi stanno istigando alla rivolta contro la magistratura e i sindacati stanno dicendo cosa fare». Riferimento fin troppo chiaro alla Uilm Uil, stranamente silente ieri, da anni il sindacato più rappresentato nel siderurgico. Poco dopo, Ferrante ha respinto le accuse con una nota ufficiale: «Prendo la più assoluta distanza dalle parole del segretario della Fiom Cigl Stefanelli. Sono accuse irricevibili e infondate». In serata, è arrivata la controreplica di Stefanelli, che oltre a confermare le sue accuse, ha specificato che si riferiva «a quello che è il governo ombra in azienda rispetto al governo ufficiale e a cose che in questi mesi abbiamo riferito a Ferrante direttamente».A soffiare ulteriormente sul fuoco, ci ha pensato il ministro dell'Ambiente Corrado Clini. Dopo aver annunciato che fra pochi giorni saranno pronte le prescrizioni del ministero dell'ambiente per la nuova «Aia», che potranno o meno consentire l'attività dell'azienda, il ministro ha lanciato il guanto di sfida alla magistratura. «L'autorizzazione per l'esercizio degli impianti compete al ministero. Né il procuratore della Repubblica, né il Gip, né il presidente del tribunale hanno l'autorità per autorizzare un impianto industriale». Nel caso in cui si creasse un conflitto o una divergenza con la magistratura, per Clini il caso «dovrà essere risolto secondo quanto prescritto dalla legge. Io so qual è il mio compito e conosco quelli della magistratura».

Il Manifesto 21 settembre 2012

DAL PULPITO. Il patto d'acciaio tra il patron Riva e la chiesa cattolica tarantina

Gianluca Coviello . TARANTO . Da monsignor Papa a Santoro, vescovi compiacentiIl rapporto tra l'Ilva e la chiesa cattolica rappresenta una delle pagine più grigie fra quelle all'attenzione dei magistrati di Taranto. Certo, nessun reato penale o civile è emerso per ora a carico di un prelato. È pur vero, però, che non può essere questo motivo di sollievo per una curia che giorno dopo giorno veste sempre più i panni di chi, come tanti altri, si è prostrato ai piedi dei padroni dell'acciaio. Le parole di questi giorni di Francesco Cinieri, dal 1986 cassiere dell'Ilva, con le quali si fa esplicito

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riferimento ad alcune donazioni periodiche elargite alla chiesa negli anni 2010 e 2011, non rendono da sole il senso e il ruolo della massima istituzione cattolica sul territorio in tutta la vicenda Ilva. Se le donazioni fossero state finalizzate esclusivamente a opere benefiche e non avessero avuto in cambio una clemenza pubblica tutt'altro che cristiana, infatti, probabilmente nessuno si sarebbe scandalizzato più di tanto. Così però non è stato e i silenzi della chiesa nel passato riguardo il disastro ambientale della città sono stati assordanti. Neanche il passaggio di consegne fra mons. Benigno Luigi Papa (rimasto in carica 21 anni) e mons. Filippo Santoro, lo scorso novembre, ha segnato un cambio profondo e netto nell'atteggiamento verso le grandi imprese inquinanti. Al suo arrivo le aspettative dei fedeli erano altissime visto che nel 1992 è stato membro della delegazione della Santa Sede per la Conferenza Mondiale sull'Ambiente (Eco-92). Aspettative deluse: il diritto alla salute è un concetto che non trova spazio nelle dichiarazioni di questi giorni da parte del numero uno della chiesa cattolica tarantina. In un abile cerchiobottismo, Santoro si districa continuamente in un percorso a ostacoli anche quando, promovendo una fiaccolata sul problema Taranto, avrebbe potuto affermarlo senza indugi e segnare il cambio di rotta. La scelta della continuità del suo vescovado sui punti cardine della vicenda ambientale fu chiara quasi subito. Pur dichiarando la volontà di svolgere un ruolo chiave, non ebbe il coraggio di annunciare la rinuncia alle regalie dell'Ilva che puntualmente e negli anni hanno minato la credibilità della chiesa a Taranto. Una delle prime occasioni per affermarlo senza indugi, e conquistarsi davvero un ruolo terzo, lo ebbe poche settimane dopo la nomina vescovile. Durante un incontro con i direttori di giornali e tv, gli fu chiesto se fosse stato disponibile ad affermare pubblicamente l'interruzione di ogni donazione. Non rispose. «Sono stato a messa con i famigliari delle vittime dell'inquinamento e del lavoro, presto incontrerò gli operai. Voglio favorire il dialogo affinché lavoro e salute siano compatibili», affermò senza fare alcun riferimento alla domanda posta. Pochi mesi dopo, in occasione della festività patronale di San Cataldo, il patrocinio dell'Ilva era nuovamente lì su locandine e brochure dell'evento. Ma il rapporto chiesa-Ilva ha radici ben più antiche. Una amicizia che la curia ripagava con dichiarazioni di riconoscenza e il controllo sociale delle migliaia di famiglie che vivono al quartiere Tamburi e del pane del siderurgico. Sconvolgenti furono le prese di posizione di mons. Papa verso chi poneva le basi di una lotta in chiave ambientalista e, quasi contemporaneamente, lo fu anche l'elevazione a pubbliche onorificenze di chi rappresentava il potere del siderurgico. Non è passato tanto tempo, infatti, da quando la curia ionica ha consegnato nelle mani di Girolamo Archinà, fino a poche settimane fa responsabile dei rapporti istituzionali dell'Ilva e oggi fulcro intorno al quale ruota l'inchiesta «Ambiente venduto», il Cataldus d'Argento per il volontariato. Si tratta dell'onorificenza più importante che la curia cittadina riconosce a chi si è reso protagonista in positivo durante l'anno precedente. Accadde nel 2011 il giorno successivo alla festa patronale dell'8 maggio dedicata a San Cataldo, di cui l'Ilva è sponsor costante dell'evento e dei costosi festeggiamenti. Forte fu il disappunto di tanti cittadini, meno per quelli che vivono nel martoriato quartiere Tamburi ai piedi delle ciminiere. Proprio dai Tamburi si levò un grido di rabbia quando mons. Papa prese carta e penna e scrisse ai parrocchiani dopo l'ultima ingente donazione di patron Riva. 365 mila euro, ben più dei 5mila che a detta di Cinieri rappresentava il limite massimo di quasi tutte le donazioni (appunto, quasi). Servirono a rendere accogliente la chiesa Gesù Divin Lavoratore. Al cospetto i 2.500 euro dati alla parrocchia dei Santissimi Angeli Custodi il 19 ottobre 2010, tra le regalie che emergono dai documenti a disposizione della procura, sono meno che briciole. E fin qui, ancora una volta, nulla di male se non si guarda oltre leggendo il maquillage che la chiesa tentò di donare al re dell'acciaio agli occhi dei cittadini del quartiere. Per farlo il vescovo volle essere ancora più esplicito scrivendo alle famiglie che ogni giorno respirano l'inferno: «Vogliamo ringraziare Dio per questo dono della Sua Provvidenza, che ci giunge nell'occasione della vostra festa. Il presidente Riva mi ha espresso le motivazioni che hanno indotto il suo gruppo a tale atto di generosa attenzione....». Parole che furono lette dal pulpito durante la messa. Riva vuole così, scrive ancora Papa, «esprimere l'attenzione costante che il suo gruppo riserva a questo quartiere». I cittadini risposero con un po' di vernice sulla lamiera del cantiere messo su rapidamente grazie ai soldi dei Riva: «Il paradiso non si compra». Quasi contemporaneamente la curia si mostrava severa e intransigente nei confronti delle associazioni civiche. Quando nel 2009 riuscirono a unirsi e a organizzare con le scuole una

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manifestazione per accendere i riflettori sul disastro ambientale tarantino, pensarono, erroneamente, di poter avere il sostegno in prima fila della chiesa. Si sbagliarono. Quel giorno non solo il vescovo e le associazioni cattoliche non aderirono all'iniziativa (anche se molti componenti di esse scesero comunque in piazza a titolo personale) ma fu lanciato un pesante monito dall'alto prelato. All'invito dagli organizzatori ad aderire alla marcia pacifica Papa rispose così: «Quello che non dovrebbe accadere è cavalcare la giusta tematica della salvaguardia dell'ambiente per motivazioni strumentali, cioè non tanto perché stia veramente a cuore questo problema, ma perché dalla protesta si possa ricavare un qualche utile personale o di gruppo. Qualora dovesse accadere questo, dovrei pensare che ci sia un inquinamento spirituale che è peggiore dell'inquinamento ambientale».

Il Manifesto 21/08/12

Ilva/NUOVA AUTORIZZAZIONE, GLI AMBIENTALISTI INCALZANO«Nell'Aia le migliori tecnologie in assoluto, come chiedono i giudici»

Gianluca Coviello . TARANTO . Il ministro dell'ambiente Corrado Clini sa bene che in sede di riesame dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia) si giocherà la vera partita e che lì emergerà o meno la volontà del gruppo Riva di mantenere fede alle promesse e di recepire interamente le prescrizioni dei giudici. A quel tavolo prenderanno parte anche alcune associazioni civiche e ambientaliste del territorio tarantino. Riunite sotto il cartello di «Altamarea», l'Ail, Impatto Zero, Cittadinanza Attiva-Tribunale del malato, il comitato Vigiliamo per la discarica, Italia Nostra e Peace-Link, parteciperanno alle riunioni del riesame in qualità di pubblico interessato.Erano presenti anche negli incontri precedenti al rilascio dell'ultima Aia quando, però, le proposte avanzate da inserire come prescrizioni non furono prese in considerazione ed i loro rappresentanti esclusi nell'ultima fase decisionale.Il loro obiettivo oggi è di «vigilare affinché la sua riscrittura non diventi un nuovo passaporto per continuare ad inquinare». Secondo gli ambientalisti ci sarebbe un equivoco di fondo quando si parla di messa a norma degli impianti. La legislazione, infatti, prevede che una fabbrica sia autorizzata a produrre solo in caso di adozione delle Bat, lemigliori tecnologie disponibili; proprio sul termine «disponibili», però, l'Ilva si è giocata in passato le migliori carte. «L'Ilva fa riferimento a questo aggettivo – afferma Alessandro Marescotti di PeaceLink – per dire che ha scelto fra le varie tecnologie quella che più le sembrava idonea alla propria disponibilità economica ed ha già detto in passato che è dotata delle Bat. La nostra risposta è, pertanto, che occorre andare oltre le migliori tecnologie disponibili e accessibili parlare dell'adozione delle migliori tecnologie in assoluto, ossia quelle a cui fa riferimento la perizia chimico-tecnologica commissionata dal Gip Todisco». Per fare chiarezza su cosa intenda la legge per «messa a norma», poi, gli ambientalisti si rifanno al dlgs 59/2005 inglobato nel 2006 nel codice dell'ambiente (dlgs 152). All'articolo 8 si legge: «Se, a seguito di una valutazione dell'autorità competente, che tenga conto di tutte le emissioni coinvolte,risulta necessario applicare ad impianti, localizzati in una determinata area, misure più rigorose di quelle ottenibili con lemigliori tecniche disponibili, al fine di assicurare in tale area il rispetto delle norme di qualità ambientale, l'autorità competente può prescrivere nelle autorizzazioni integrate ambientali misure supplementari particolari più rigorose, fatte salve le altre misure che possono essere adottate per rispettare le norme di qualità ambientale».È da qui che le associazioni tarantine si aspettano che ilministero voglia ripartire. «Questo articolo di legge – afferma sempre Marescotti – è stato completamente disatteso dall'Aia rilasciata all'Ilva nel 2011. Dalla perizia dei chimici, infatti, risulta che le tecnologie dell'Ilva non rientrano nelle migliori Bref (Bat Reference), ossia nelle migliori tecnologie in assoluto.In alcuni casi le tecnologie adottate sono fuori dal range delle Bref. Questo è gravissimo perché vuol dire che i vari tecnici della commissione Aia, compresi quelli degli enti locali, non hanno vigilato». Sempre gli ambientalisti riportano alcuni numeri che rendono evidente la differenziazione di performance tra le tecnologie che l'Ilva si è impegnata ad acquisire e le Bref, prendendo come spunto le emissioni non convogliate delle polveri nel processo di cokefazione: «Su una tonnellata di produzione – sottolinea sempre Marescotti – le emissioni stimate in una gestione Ilva post interventi Aia 2011, corrisponderebbe a 69,6 g di inquinante. L'inquinamento massimo consentito

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dalle Bref, invece, sarebbe di 17,2 g. Una differenza abissale». Mentre le istituzioni si affannano nel trovare una soluzione, ad agosto le due centraline dei Tamburi hanno registrato una nuova impennata dei valori di Pm 10 per ben quattro giorni di seguito (tra il 7 e il 10 agosto) oltrepassando il valore limite di 50 μg/m³ (dati Arpa Puglia riportati dal sito di informazione ambientale inchiostroverde.it).

Il Manifesto 22/08/12

TARANTO - Parla il sindaco Stefàno: «Dalle analisi rilevate troppe sostanze pericolose»«Parchi e giardini off limits»

Gianluca Coviello .TARANTO . Una nuova ordinanza urgente e contingibile è stata firmata sabato scorso da Ippazio Stefàno per vietare l'accesso alle aree verdi del quartiere Tamburi, quello ai piedi dell'Ilva e dove la gente è costretta a convivere con polveri pericolose per la salute. Il tutto mentre si attende l'incontro di oggi fra i sindacati ed i vertici del siderurgico, durante il quale l'azienda illustrerà le proprie proposte di bonifica e riqualificazione, e lunedì per l'avvio delle riunioni tecniche che porteranno alla definizione della nuova Autorizzazione integrata ambientale.

Sindaco, già nel 2010, con una prima ordinanza, il Comune vietò ai bambini di giocare nelle aiuole evidenziando un rischio sanitario. Perché un nuovo provvedimento?All'epoca, quando furono rilevati valori elevati di berillio nei terreni, l'Arpa si espresse prima a favore di una bonifica per poi tornare sui propri passi. Fu il direttore regionale Giorgio Assennato, citando nuove ricerche formulate all'estero, a sostenere che ai livelli riscontrati non sussistevano rischi per la salute. L'amministrazione comunale decise immediatamente di vietare ai bambini di giocare nelle aree verdi a scopo esclusivamente precauzionale.

E la nuova ordinanza che vieta a tutti, grandi e piccoli, il calpestio delle aree verdi del quartiere perché si è resa necessaria?Nonostante le rassicurazioni di Assennato, nel 2010 decidemmo come Comune di procedere con nuove analisi più approfondite. Da esse, in questi giorni, si è evinto che la sommatoria di più sostanze inquinanti presenti nei terreni, tra gli altri anche l'arsenico e il mercurio, rappresenta un rischio per l'incolumità di chi può esservi esposto in modo continuativo. Nella valutazione è stata coinvolta la stessa Arpa. E' per questo che si è resa necessaria una seconda ordinanza che definisce il divieto fino a quando non verranno avviate e concluse le operazioni di bonifica.

Chiede dunque che il governo intervenga.Certo, il problema va affrontato e risolto. Servono soldi, più dei cinque milioni messi a disposizione quando emersero i valori elevati del solo berillio.

Come intendete informare i cittadini del divieto? Si tratta di un territorio molto vasto.Verranno messi dei cartelli. Saremo molto chiari col ministro Clini affinché il problema venga risolto.

E' vero che lei avrebbe proposto l'ipotesi di uno spostamento altrove dei cittadini che abitano al quartiere Tamburi e dunque più a ridosso della fabbrica?Assolutamente no e chi l'ha scritto o affermato ha detto una bugia. Vero è, invece, che ho posto con insistenza al governo il problema dei cittadini che vivono nelle case parcheggio. Parliamo di case che dovevano essere provvisorie e invece sono rimaste le uniche abitazioni per decine di famiglie che vivono in strutture di amianto e spesso con la fogna rotta da trent'anni. E' per loro che ho chiesto una soluzione rapida che preveda anche il trasferimento in altre zone della città di alcune famiglie. Ho parlato con loro e c'è chi è disponibile a cambiare zona. Bisognerà farsi carico, però, anche di chi tra loro non è disposto a lasciare il quartiere. E' anche per questo problema che chiediamo l'attenzione del governo.

Nessun trasferimento in massa dal quartiere Tamburi quindi?Assolutamente no, anzi, quando qualcun altro, di cui non farò il nome, ha avanzato tale proposta

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durante gli incontri di questi giorni il Comune di Taranto si è opposto fermamente. Sarebbe una follia. L'amministrazione che guido in questi anni ha realizzato nel quartiere, nonostante le difficoltà economiche, una rotatoria, ha piantato nuovi alberi ed investito nel nuovo mercato. Come potrebbe oggi sostenere una ipotesi di quel tipo? La verità è che la città dovrebbe essere più unita affinché le rivendicazioni che stiamo ponendo sul tavolo vengano prese sempre più in considerazione.

E il governo vi ascolta?Assolutamente sì. Il momento è quello giusto.

Il Manifesto 23/08/12

BALDUZZI «A settembre uno studio epidemiologico su Taranto»

«Già a settembre o entro metà ottobre, quando saranno completati questi studi epidemiologici, sarò in grado di rappresentare un quadro più certo su cui governo, istituzioni e opinione pubblica potranno basarsi per una sinergia integrale di risposta al problema per tenere insieme salute, ambiente e occupazione». Ad affermarlo è statao ieri il ministro della Salute Renato Balduzzi. «Taranto - ha proseguito - da 12 anni è inserita nei siti di interesse nazionale che sono monitorati, anzi per Taranto c'è stato un aggiornamento della situazione epidemiologica che sarà presentato a metà settembre ed è in corso sempre per Taranto un monitoraggio biologico per quanto riguarda gli allevatori del territorio circostante». La deputata radicale Antonietta Farina Coscioni ha chiesto a Balduzzi di riferire in parlamento sui risultati raggiunti dal dossier.

Il Manifesto 23/08/12

TARANTO / IL RILASCIO È PREVISTO PER IL 30 SETTEMBREGli esperti di Clini al lavoro per la nuova autorizzazione

GIANMARIO LEONE . TARANTO. Richiesta per la prima volta la copertura dei parchi minerari. Il 14 settembre il ministro dell'Ambiente sarà nel capoluogo pugliese e incontrerà le associazioniSono iniziati ieri a Taranto i lavori della commissione di esperti incaricati dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini: dopo aver acquisito tutti gli elementi tecnici, il pool dovrà predisporre entro il 30 settembre lo schema di Autorizzazione integrata ambientale (Aia) per l'esercizio dell'Ilva. Il gruppo di esperti, coordinato dalla dottoressa Carla Sepe, è stato nominato lo scorso 24 agosto con un decreto di Clini. Sempre nello stesso giorno, il ministro dell'Ambiente ha trasmesso il decreto e il programma di lavoro al procuratore capo della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, affinché sia garantita la massima collaborazione dei tecnici con i custodi giudiziari dello stabilimento nominati dalla procura, nel rispetto dei rispettivi ruoli e delle competenze. Sebastio ha dato risposta positiva alla richiesta, pur sottolineando come la magistratura non avrebbe fatto accordi o compromessi con nessuno.Il pool di lavoro del ministero, integrato con gli esperti dei ministeri dello Sviluppo economico, della Salute, dell'Istituto superiore per la Ricerca e la Protezione ambientale, dell'Istituto superiore di Sanità e dell'Agenzia regionale per la Prevenzione e la Protezione dell'Ambiente della Puglia, ha il compito di supportare il gruppo istruttore Ippc-Aia nel riesame dell'Aia rilasciata il 4 agosto 2011 sulla base della lista delle migliori tecnologie per gli impianti siderurgici indicata dalla Commissione Europea (Bat) e delle prescrizioni del Gip di Taranto. La nuova Aia dovrà anche tenere conto delle osservazioni del Tar di Lecce in merito alla precedente autorizzazione e delle norme regionali in materia di protezione della qualità dell'aria e della salute. Il gruppo di lavoro e il gruppo istruttore procederanno attraverso una verifica costante presso la sede dello stabilimento siderurgico. Il prossimo 14 settembre il ministro Clini sarà a Taranto per fare il punto sullo stato dei lavori e incontrare le associazioni che hanno richiesto di essere sentite e che potranno essere coinvolte in analogia a quanto avvenuto in passato in sede di Conferenza dei Servizi.In merito alla nuova Aia è intervenuta anche l'Arpa Puglia, che attraverso una nota ufficiale, ha chiesto che vengano «riconsiderati compiutamente tutti gli aspetti che non hanno trovato applicazione nella vecchia autorizzazione integrata ambientale a partire dai pareri espressi già nel 2009 e nel 2011». Inoltre, per la prima volta, viene richiesta la copertura dei parchi minerari,

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secondo le migliori tecniche disponibili, «considerata la fattibilità tecnica e vista la disponibilità dichiarata dal gestore dall'implementazione di importanti innovazioni degli impianti e dei processi al fine di mitigare gli impatti ambientali e sanitari».Sono previsti oggi, infine, altri due appuntamenti importanti. Alle 15:30 all'interno dell'Ilva i custodi giudiziari dell'area a caldo finita sotto sequestro incontreranno i leader sindacali dei metalmeccanici. Mentre al tribunale di Taranto, i giudici Pietro Genoviva, Filippo Di Todaro ed Elvia Di Roma sono chiamati a pronunciarsi sull'incidente di esecuzione presentato dall'Ilva, con cui si chiede di valutare se il gip Patrizia Todisco aveva competenza funzionale ad emettere le due ordinanza con cui, gli scorsi 10 ed 11 agosto, ha specificato le competenze dei custodi giudiziari, precisato che il sequestro non prevede la facoltà d'uso e soprattutto revocato la nomina di custode amministrativo del presidente Bruno Ferrante, che era stata decisa qualche giorno prima dal tribunale del Riesame tarantino

Il Manifesto 28/08/12

LA DECISIONE DEL RIESAME. Il presidente dell'Ilva rientra tra i gestori

GIANMARIO LEONE . TARANTO. Il tribunale del Riesame di Taranto ha accolto ieri il ricorso dell'Ilva contro l'esclusione decisa dal gip Patrizia Todisco del presidente Bruno Ferrante dal pool di custodi giudiziari incaricati di eseguire il sequestro dello stabilimento nell'ambito dell'inchiesta su disastro ambientale. Il tribunale ha sostenuto che «una viziata esecuzione del sequestro giudiziario potrebbe comportare intuibili, gravi e presumibilmente irreparabili conseguenze in ordine alla salvaguardia degli impianti e della strategica capacità produttiva dell'azienda, nonché ai livelli occupazionali ed alle stesse finalità di tutela dell'ambiente e della salute pubblica poste a base della disposta misura cautelare». Per questo, «sussiste l'evidente urgenza di dirimere la questione prospettata nel ricorso», in cui si chiedeva quale titolo prevalesse, se quello del Riesame o quello del gip Todisco visto che quest'ultima aveva capovolto una decisione assunta in precedenza dal primo organo.Dopo che il Tribunale del Riesame aveva confermato lo scorso 7 agosto il sequestro senza facoltà d'uso dell'area a caldo modificando la composizione del pool di quattro custodi giudiziari e nominando tra di loro Bruno Ferrante, al posto del commercialista Tagarelli, con pari poteri e compiti», scrive ancora il Riesame, rispetto agli altri tre, il gip Todisco il 10 agosto aveva limitato le competenze di Ferrante con una prima ordinanza interpretativa e l'11 agosto lo aveva revocato dall'incarico perché «in evidente conflitto di interessi». Per questo Ferrante, nella qualità di presidente del Cda e legale rappresentante di Ilva Spa, il 14 agosto aveva presentato ricorso chiedendo al Riesame «di chiarire e determinare - scrive il Tribunale - con quali concrete modalità e a cura di quali custodi e amministratori giudiziari debba essere eseguito il sequestro preventivo, essendo sorto a tal proposito contrasto tra le parti», a seguito dei due interventi del gip «divergenti da quanto disposto dal Riesame».

Il Manifesto 29/08/12

TARANTO, FUMO ALL'ILVAPaura ieri per l'incendio nel reparto lamiere all'Ilva di Taranto. Per l'azienda: «Nessun problema», non ci sono state «conseguenze per le persone e nessuna emissione di sostanze pericolose», ma i tecnici dell'Agenzia regionale per la prevenzione e protezione dell'ambiente (Arpa) ancora non hanno stabilito se l'incidente abbia immesso nell'aria sostanze tossiche. Sono invece sicuri che il 27 agosto si è registrata in città «una situazione di criticità ambientale che ha visto la diffusione di polveri nelle zone urbane limitrofe all'area industriale» che comportato il superamento del valore limite giornaliero di Pm10 nelle centraline di monitoraggio.

Il Manifesto 30 agosto 2012

L'ILVA SI CONTROLLA DAL BASSO

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GUIDO VIALE . I fischi alla Fiom non sono un dramma: fa parte del ruolo dei sindacalisti. E Landini ha avuto coraggio Il comitato può svolgere un ruolo fondamentale per non lasciare il risanamento nelle mani degli inquinatoriL'Ilva (già Italsider) di Taranto inquina e uccide da cinquant'anni la città e i suoi abitanti, insieme a diversi altri impianti che ne occupano il territorio. Tuttavia, nonostante numerosi tentativi, in corso da anni, di portare la situazione all'attenzione dell'opinione pubblica, Taranto è diventata un caso nazionale solo ora: innanzitutto per l'impegno di un magistrato coraggioso che ha scelto di obbedire alla legge e non ai padroni della città; ma soprattutto per l'iniziativa del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti, che ha rotto la cappa di omertà nei confronti delle malefatte dell'azienda che le forze politiche - e gran parte di quelle sindacali - avevano steso da anni sulla fabbrica e sulla città: in uno stile sovietico che calza a pennello a un territorio cui è stato assegnato il destino di città dell'acciaio; e null'altro.Cittadini e lavoratori liberi e pensanti è un bellissimo nome: una risposta anticipata all'establishment politico e massmediatico locale e nazionale, che da un mese a questa parte cerca di contrapporre i cittadini ai lavoratori, sostenendo che i primi, in nome della salute e dell'ambiente, vorrebbero la morte della fabbrica; e che i secondi, in nome del lavoro e del salario, sono disposti a condannare a morte mogli, figli e parenti, oltre che se stessi. E questo nonostante nella maggior parte dei casi cittadino e lavoratore coincidano nella stessa persona. Se il comitato saprà continuare a respingere con il coraggio e l'intelligenza di cui ha dato prova finora questo tentativo di divisione e di falsa contrapposizione, presto, in questo autunno che si prospetta rovente, le bandiere con l'apecar (il traballante veicolo con cui è stato interrotto il comizio sindacale del 2 agosto e che è diventato il simbolo del movimento) si affiancheranno a quelle del movimento No Tav, che da tempo compaiono in tutte le manifestazioni nazionali; e la vicenda di Taranto diventerà uno spartiacque per gli schieramenti politici e sociali nazionali come lo è da tempo la vicenda della Valle di Susa.Apparentemente è stato il segretario della Fiom, il sindacato che si è schierato fin dall'inizio a fianco della Valle di Susa, a fare le spese dell'irruzione in piazza dei cittadini e dei lavoratori liberi e pensanti con il loro apecar. Ma questa in parte è stata una mera coincidenza temporale, perché l'irruzione era innanzitutto diretta contro Bonanni, che se l'è data a gambe insieme ad Angeletti e Susanna Camusso appena il corteo del comitato è entrato in piazza, mentre Landini ha deciso di restare. In parte la cosa non va drammatizzata. I fischi ai sindacalisti ci sono sempre stati: fa parte del loro ruolo, spesso difficile, quasi sempre delicato e raramente appagante; specie quando sono in gioco questioni dirimenti. Durante l'autunno caldo e le lotte successive di quarant'anni fa, Trentin, Carniti e Benvenuto di fischi ne avevano presi a iosa, per non parlare di Rinaldo Scheda ed altri, pochi anni dopo (il caso di Lama cacciato dall'Università è diverso: lui se l'era andata a cercare). In parte bisogna dire che la Fiom, che giustamente si è dissociata dagli scioperi contro il giudice Todisco, negli anni passati aveva fatto veramente troppo poco per differenziarsi dai sindacati padronali Fim e Uilm, che a Taranto governano letteralmente il personale dell'Ilva per conto della famiglia Riva. Se il comitato saprà corrispondere alle speranze che i cittadini di Taranto stanno riponendo nella sua azione, presto per molte di quelle organizzazioni si arriverà a una resa dei conti; e la Fiom potrebbe ritrovarsi, come già succede da oltre due anni alla Fiat e nella contrattazione nazionale, dalla parte opposta a quella, sempre più padronale, in cui si sono posizionate le altre organizzazioni sindacali. E questo in un contesto locale e nazionale rovente, in cui difendere le ragioni del padrone sarà sempre più difficile.Il problema è dunque «che fare?» per mantenere la rotta. Una risposta esauriente per ora non ce l'ha, e probabilmente non ce la può avere, nessuno. L'importante è cominciare a mettere in chiaro le poche certezze e i molti interrogativi da cui quella risposta dipende.La prima certezza è questa: la vita non si contratta. Di fronte alla prova documentaria che l'Ilva-Italsider ha distrutto e continua a distruggere la vita di migliaia di lavoratori e di cittadini - e quella dei loro figli - qualsiasi altra considerazione deve passare in secondo piano.La seconda è che non bisogna più mentire sulla reale portata del disastro in corso (o nascondere le cose, il che è lo stesso), come sempre ha permesso che si facesse l'attuale ministro Clini, già direttore generale e vero dominus di un ministero dell'Ambiente affidato, da dodici anni, a personaggi incompetenti, ridicoli e arraffoni. O il neopresidente Ferrante, uomo per tutte le stagioni, approdato a difendere le ragioni dell'Ilva dopo aver fatto lo stesso per conto dell'Impregilo, nel tentativo di liberarla dalle responsabilità per i disastri compiuti con i rifiuti in Campania e con il

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Tav in Casentino e sulla Torino-Milano (e in attesa di quelli sulla Torino-Lione). O il sindaco Stefàno, portato al governo della città da una autentica rivoluzione degli schieramenti politici, e grazie anche alle cure personalmente prodigate ai bambini di Taranto (è un pediatra), senza che questo lo abbia mai spinto a dire una sola parola contro la causa di tanti malanni e di tanti decessi.Ma non bisogna neanche mentire a se stessi. Chiunque dia per scontato, come è stato fatto da tutti o quasi finora, che la salvaguardia della salute e dell'ambiente a Taranto è compatibile con la continuità della produzione dell'Ilva, senza una verifica della fattibilità tecnica ed economica delle misure prescritte dai giudici e dai periti per mettere in sicurezza l'impianto e di quelle per bonificare il sito e tutto il territorio, cerca di ingannare innanzitutto se stesso.L'Ilva è un impianto vecchio e obsoleto, che i Riva, consapevoli che non aveva davanti a sé molti anni di vita, avevano deciso di sfruttare fino a esaurimento, investendo solo lo stretto necessario per tenerlo in funzione. Può essere quindi che le prescrizioni di giudici e periti per rimetterlo a norma abbiano costi ingiustificabili a fronte dalla vita residua dell'impianto; o che richiedano di fatto il suo rifacimento ex novo - il che porrebbe il problema della convenienza e dell'opportunità di rifarlo proprio lì - dovendosi poi anche verificare l'effettiva possibilità di imporre alla proprietà i costi astronomici del risanamento di sito e impianto. Facile dunque che qualcuno - anzi, molti - cerchino fin da ora di cambiare le carte in tavola, nascondendo una parte dei costi, riducendo la portata degli interventi, per poi far sì che le cose continuino più o meno come prima, con un po' di belletto. A un gioco del genere, d'ora innanzi, non si deve più prestare nessuno.La terza considerazione è che all'interno dello stabilimento e nella città sono stati compiuti per anni - consapevolmente, come rimarca il giudice - dei reati gravissimi, assimilabili a quello di strage; e non solo in campo ambientale e sanitario. Questi sono stati resi possibili da un regime di fabbrica dispotico e illegale - quello che l'abolizione dell'art. 18 renderà ordinario in migliaia di altri stabilimenti, anche grazie a una sostanziale cooptazione nella gestione di quel regime delle organizzazioni sindacali, o di una parte consistente di esse, oltre che di partiti, Enti locali, Diocesi, Università, ecc. Basti pensare che in fabbrica - oltre all'istituzione di un reparto confino, il Laf, già sanzionato dalla magistratura e per questo soppresso e sostituito con altri sistemi di persecuzione dei lavoratori non acquiescenti - sono all'opera, a fianco della gerarchia ufficiale, numerose figure che gli operai chiamano «i rappresentanti di Riva»: che non sono dipendenti dell'azienda, ma che di fatto comandano: sono loro a ingiungere comportamenti da cui dipende buona parte delle emissioni nocive dello stabilimento, nella certezza che, non figurando nell'organico dell'azienda, a una loro responsabilità non si potrà mai risalire; e al massimo questa ricadrà sugli operai a cui hanno dato quegli ordini.La quarta considerazione è questa: anche se con la privatizzazione il clima di fabbrica è ulteriormente peggiorato, l'inquinamento selvaggio della città ad opera dello stabilimento siderurgico è stato realizzato, nell'impunità più assoluta, fin dall'inizio; anzi, fin dalla decisione di collocare uno stabilimento del genere a ridosso di una città di 200mila abitanti; quando ancora l'Italsider era di Stato. Il che dimostra che di per sé la proprietà pubblica o privata di uno stabilimento non fa la differenza che conta (anche se per molte produzioni e, sicuramente, quando sono in gioco grandi dimensioni, la prima è decisamente preferibile).La differenza la può fare soltanto un controllo dal basso, effettivo e consapevole, ad opera dei lavoratori e dei cittadini coinvolti nel processo lavorativo o nei suoi impatti ambientali e sociali. Che è appunto quanto si ripropone il comitato: ciò che può segnare l'inizio di una svolta teorica e pratica nelle dinamiche politiche dei prossimi anni. Per questo Taranto deve restare un caso di portata nazionale.La quinta considerazione è che l'acciaio è un materiale indispensabile. In una prospettiva di progressiva riterritorializzazione delle produzioni, che è l'unica forma praticabile di contrasto agli effetti della globalizzazione liberista, sarebbe sbagliato in linea di principio delegare ai paesi emergenti o a quelli del terzo e del quarto mondo le produzioni che hanno impatti pesanti sul territorio, in nome di una visione bucolica dello sviluppo - o della decrescita - fatta solo di una sacrosanta valorizzazione dei beni ambientali, dei beni culturali, delle opere dell'ingegno e delle produzioni soft (di agricoltura, purtroppo, a Taranto, non si parlerà più per anni). Questo non significa accettare lo stato di cose esistente - e meno che mai i progetti devastanti del ministro Passera - ma mettere lo sviluppo tecnologico al servizio non del profitto, non del gigantismo industriale, ma di una graduale e progressiva conciliazione tra produzioni e ambiente: innanzitutto ridimensionando, ovunque possibile, il gigantismo delle prime, causa prioritaria di impatti

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ambientali insostenibili.Che la produzione dell'Ilva di Taranto, se si verificheranno le condizioni per la sua continuazione, vada comunque progressivamente ridimensionata, fino allo spegnimento finale dell'impianto (come peraltro devono aver messo in conto anche i Riva, visto il modo in cui lo hanno gestito finora) non può essere messo in discussione. Ma certamente una soluzione del genere, che permetterebbe di affiancare a una produzione ridimensionata le attività e l'occupazione necessarie alla bonifica del sito e del territorio e una politica di creazione, scaglionata nel tempo, di nuove opportunità occupazionali nel campo delle produzioni sostenibili (energie, efficienza, mobilità, eco-edilizia, ecc.) è senz'altro preferibile alla chiusura immediata e definitiva dell'impianto. Perché questa lascerebbe senza lavoro e senza prospettive di reimpiego quasi ventimila lavoratori, e un sito inquinato e abbandonato alla cui bonifica nessuno avrebbe più alcun interesse né possibilità di controllo. Ce lo insegnano le vicende di tante aree dismesse, come Crotone o Bagnoli (dove pure, in quest'ultimo caso, il valore dei suoli ha scatenato una corsa all'accaparramento).Che fare allora? Il comitato deve mettersi in grado di definire, promuovere, rivendicare e seguire direttamente questi processi, diventando il punto di riferimento di tutti coloro che intendono lavorare a una autentica conversione ecologica, che faccia i conti con i vincoli imposti dallo stato di cose esistente. Facendosi innanzitutto garante della verità sulle cose che possono e che non possono essere fatte. Per questo a Taranto ho proposto di lanciare a livello nazionale un manifesto che metta in luce la centralità dei problemi dell'Ilva e della città e che chiami tutte le persone di buona volontà che hanno competenze in materia a partecipare e contribuire con le loro conoscenze al sostegno del Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti; per non lasciare il processo di risanamento o di riconversione dello stabilimento nelle mani di chi fino a oggi ha lavorato all'occultamento della verità su questa autentica tragedia nazionale, spartendosi qualche briciola degli ingenti guadagni ricavati dalle disgrazie di un'intera popolazione.

Il Manifesto 1 settembre 2012

«Basta polveri su Tamburi»

GIANMARIO LEONE TARANTO . Vertice in Procura tra Ferrante e i periti per «risanare» l'azienda Niente più minerali all'interno dei parchi. Sebastio: «Per fare la bonifica l'Ilva dovrebbe assumere»Un vertice per dare il via definitivo alla fase di attuazione dei provvedimenti presenti nelle ordinanze del Gip e del Tribunale del Riesame. E per ribadire ancora una volta che all'azienda non è stata concessa alcuna facoltà d'uso degli impianti. Sui quali bisogna intervenire e anche al più presto, per contenere al massimo le emissioni inquinanti. Nelle quasi tre ore di riunione negli uffici della Procura di Taranto, di questo hanno discusso i custodi giudiziali (Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento), che ieri hanno presentato relazioni di centinaia di pagine dove indicano le modalità d'intervento sugli impianti delle aree dello stabilimento Ilva sottoposte a sequestro dal 25 luglio, il procuratore capo Franco Sebastio, l'aggiunto Pietro Argentino ed il pm Buccoliero. A questi si è aggiunto il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante: l'ex prefetto è stato infatti rinominato custode con compiti amministrativi e contabili dal Riesame, che ha accolto l'incidente di esecuzione proposto dai legali dell'azienda dopo i provvedimenti del Gip Todisco (10 e 11 agosto) che sconfessavano il primo verdetto del Riesame (7 agosto).Come detto, il vertice di ieri è servito per mettere definitivamente i puntini sulle "i", dopo settimane in cui tra ricorsi e provvedimenti, si era persa di vista l'essenza dell'intera vicenda dell'Ilva di Taranto. Al termine della riunione, il procuratore capo Sebastio ha ribadito che saranno i custodi «a stabilire i tempi di intervento sui vari impianti: da oggi si passa alla definitiva fase di attuazione». Negli ultimi giorni, diverse erano state le critiche rivolte alla magistratura, rea di procedere troppo lentamente. «L'Ilva non è un'officina dove per chiuderla basta abbassare una serranda: qui siamo in presenza di impianti complicati e delicati. Vi basti pensare che le ultime due relazioni consegnate oggi dai custodi, hanno le dimensioni di libri di centinaia di pagine». Tra le aree dalla maggiore complessità, figurano i parchi minerali e ferrosi: oltre 70 ettari a cielo aperto che da decenni ricoprono e avvelenano Taranto. Che fare dunque?La strada indicata ieri dalla Procura in tal senso è netta: da oggi non sarà più possibile portare altro minerale all'interno dei parchi, pericolosamente a ridosso del quartiere Tamburi. Si dovranno trovare le soluzioni adatte per diminuire l'altezza dei cumuli di minerale attualmente presenti.

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Inoltre, per sgomberare il campo dalle facili e sterili polemiche, la Procura ha servito un jolly non da poco all'azienda: «Per attuare tutti gli interventi necessari al risanamento degli impianti e alle varie operazioni di bonifica - ha dichiarato Sebastio - servirà ulteriore manodopera: dunque l'azienda, se vorrà, potrà assumere altro personale. La nostra azione non prevede licenziamenti di massa: non siamo degli sprovveduti».Ma se alla Procura e ai custodi nominati dal Gip Todisco la situazione appare molto chiara, lo stesso non è per l'azienda. Che, ad esempio, continua a produrre mantenendo gli impianti al 70% della loro effettiva potenza. Sostenendo la tesi che per essere risanati, gli impianti devono restare in funzione e, per questo, tanto vale produrre. Informato di ciò dai cronisti presenti all'esterno della Procura, Sebastio ha risposto alquanto infastidito: «Andatevi a rileggere l'ordinanza del Tribunale del Riesame: non c'è alcuna facoltà d'uso per la produzione». Dunque l'Ilva non deve assolutamente continuare a produrre, come invece avvenuto senza soluzione di continuità sino a oggi.Cosa accadrà adesso? Come reagirà il Gruppo Riva? In attesa delle prossime mosse, il presidente Ferrante sceglie ancora una volta la via della diplomazia. Al termine del vertice, ha infatti dichiarato che «i magistrati inquirenti hanno dato indicazioni operative e obiettivi precisi: soprattutto di contenimento delle emissioni». «Ora - ha concluso - spetterà ai custodi tecnici e a me, operare collegialmente riferendo al procuratore e operare nel senso indicato da loro». L'obiettivo posto dal Tribunale del Riesame, infatti, è risanare gli impianti: la chiusura degli stessi è vista come l'ultima possibilità d'intervento. Che però rischia di diventare presto realtà qualora l'azienda continui a produrre, non rispettando i diktat della Procura.

 Il Manifesto 2 settembre 2012

“Io mobbizzato dall’Ilva”

Denuncia per mobbing di Massimo Battista, uno dei leader del movimento “liberi e pensanti”Sbarca in procura la storia di Massimo Battista, 39 anni, operaio Ilva assunto nel 1998, sindacalista dal 2002 al 2007, negli ultimi cinque anni “esiliato” nella così detta sezione nautica della Fondazione “Vivere solidale”, gestita dai sindacati confederali, la stessa che si occupa del circolo Vaccarella.Battista è anche uno dei leader del movimento “cittadini e lavoratori liberi e pensanti” che lo scorso 2 agosto ha interrotto la manifestazione in piazza della Vittoria indetta dalle rappresentanze dei metalmeccanici di Cgil, Cisl e Uil. Lui, come altri operai che si sono apertamente schierati contro l’inquinamento e contro i sindacati, è stato recentemente al centro di una accesa polemica: “ultras cacciati dai sindacati” li hanno definiti loro colleghi in un documento firmato da dieci operai. “Mai stato cacciato, mi son dimesso io perché il sindacato non mi rappresentava più” risponde Battista.Aldilà della polemica, la sua storia ora sarà al vaglio dei magistrati della procura ionica. Ieri Battista ha depositato presso la sezione dei carabinieri di polizia giudiziaria del tribunale di Taranto una denuncia/querela contro il legale rappresentante dell’Ilva e di tutti i responsabili di reati di maltrattamenti, lesioni personali e violenza privata. In una sola parola: mobbing. Nella sua querela Battista racconta che i suoi problemi sono iniziati proprio nel 2007 quando ha smesso di fare attività sindacale. Negli anni precedenti si era fatto “notare” per aver più volte denunciato, come rappresentante per la sicurezza, violazioni in materia di sicurezza. Nel luglio del 2005 aveva denunciato l’azienda perché c’era il rischio che un convertitore esplodesse.L’Ilva lo sospese dal servizio per 72 giorni (sanzione poi annullata dal giudice Ciquera). Battista divenne così un personaggio sgradito ed appena perse lo scudo dell’attività sindacale, con le sue dimissioni, fu spedito a “contare le barche che passano”. Così gli dissero i suoi capi quando gli indicarono il nuovo posto di lavoro: una piccola costruzione sul mare, concessa dal demanio alla fondazione, non all’Ilva. Battista dal 2007 lavora lontano dall’Ilva, in un piccolo molo sotto viale Virgilio. Non ha alcun compito e l’azienda si accorge che lui è presente o assente solo quando a fine mese manda un impiegato a scaricare i dati dell’orologio marcatempo attaccato al muro, ma non collegato all’azienda. Anni di isolamento e sensazione di inutilità che possono aver causato lesioni sul piano professionale, morale ed anche psicofisico. Nella denuncia, infine, l’operaio chiede un sopralluogo urgente perché il posto dove lavora non rispetta le norme di sicurezza, la struttura è fatiscente ed in alcuni punti pericolante. Vittorio Ricapito

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Taranto Oggi - 9 settembre 2012

TARANTO/ L'ORDINE DEL GIP PER RIDURRE L'INQUINAMENTOAll'Ilva produzione rallentata da lunedì

GIANMARIO LEONE .TARANTO .Il percorso è quello indicato dall'ordinanza di sequestro preventivo degli impianti firmata dal gip Todisco e confermato dal tribunale del Riesame: a partire dalla prossima settimana, l'Ilva deve rallentare la produzione per consentire l'adeguamento degli impianti affinché si eliminino del tutto le emissioni inquinanti. Questo, in sintesi, il contenuto di una nuova direttiva che la Procura di Taranto ha consegnato ai custodi giudiziari. L'atto in queste ore sarà notificato anche al presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, custode giudiziario con funzioni amministrative. Nella direttiva la Procura ricorda che il sequestro è senza facoltà d'uso: gli impianti non devono essere utilizzati a fini produttivi, come indicato nel decreto di sequestro confermato dal Tribunale del Riesame, pur dovendo nello stesso tempo salvaguardare l'esistenza degli stessi. La tesi della Procura è che non sia possibile adeguare gli impianti dal punto di vista ambientale e contemporaneamente produrre acciaio: essendo che gli stessi inquinano, dovranno prima essere risanati e poi eventualmente, previa attenta e appurata analisi da parte dei custodi, riprendere la marcia produttiva. Ma se la nuova direttiva ha riportato nel panico i sindacati che temono ricadute occupazionali dopo le ultime nuove disposizioni, istituzioni e Ilva proseguono il loro percorso parallelo, seguendo la strada della eco-compatibilità, non curanti delle restrizioni imposte dalla magistratura. Lo dimostrano le dichiarazioni rilasciate al termine del tavolo istituzionale convocato ieri a Bari dal governatore pugliese Nichi Vendola, a cui hanno partecipato il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, gli enti locali, i sindacati, il presidente dell'Ilva ed il vicepresidente della Commissione europea, responsabile per l'industria e l'imprenditoria, Antonio Tajani. Il quale, aprendo le porte a possibili prestiti per l'Ilva da parte della Banca europea degli investimenti e ipotizzando l'utilizzo di risorse derivanti dal Fondo sociale europeo, ha annunciato che i «governi europei discuteranno con la Commissione della situazione dell'acciaio in Europa il 10 e 11 ottobre prossimi». Lo stesso Tajani, insieme al ministro Clini ed al governatore Vendola, ha confermato la ferma volontà di voler impedire in tutti i modi la chiusura del più grande sito siderurgico europeo. Gli stessi sono stati confortati anche dalle dichiarazioni del presidente Ferrante, che di ritorno da Milano dove ha incontrato il patron Emilio Riva agli arresti domiciliari dallo scorso 26 luglio, ha confermato la volontà da parte del gruppo di continuare ad investire a Taranto nell'ambito di un programma che «definisca una prospettiva sostenibile per il futuro». Ferrante ha poi garantito che entro la prossima settimana l'Ilva presenterà alla Procura un'istanza con la quale indicherà «interventi da attivare immediatamente per il risanamento ambientale degli impianti, in perfetta linea con quanto disposto dal tribunale del Riesame». Staremo a vedere. Anche perché lo stesso Ferrante, in merito alla nuova direttiva della Procura che impone il rallentamento della produzione, ha tirato fuori dal cilindro una teoria alquanto singolare. «Io so, per quanto dicono i tecnici, che se si abbassa il livello produttivo, o meglio il livello di funzionamento degli impianti, si inquina di più. C'è un limite di inquinamento minimo che va tenuto presente». Sempre nel pomeriggio di ieri, il ministro Clini si è recato a Taranto, dove ha incontrato alcune associazioni ambientaliste, confermando la volontà del suo ministero di costituirsi parte civile nel processo contro i vertici dell'Ilva. Lontani da tavoli e incontri istituzionali, sin dalla mattina molti cittadini hanno preso parte al presidio permanente indetto dal comitato «Cittadini e operai liberi e pensanti». Oltre a contestare il vertice barese, i rappresentanti del comitato hanno ribadito il loro concetto di base: «Non vogliamo più scegliere tra lavoro e salute».

Il Manifesto 15 settembre 2012

«Attuare in fretta il sequestro Stop a ogni attività produttiva»

GIANMARIO LEONE .TARANTO . Sebastio spiega che l'autorizzazione a continuare la produzione a livelli ridotti è «inesistente»All'indomani del tavolo istituzionale riunito a Bari e della nuova visita del ministro dell'ambiente Corrado Clini a Taranto, il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, ha diffuso ieri una

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nota ufficiale con l'intento di chiarire una volte e per tutte, si spera, le modalità e le finalità del sequestro preventivo degli impianti del siderurgico tarantino. Dopo l'ultima direttiva emessa giovedì, che «integra e chiarisce il contenuto delle precedenti direttive via via emesse - è scritto nel comunicato - si stabilisce espressamente che si dia immediata e rapida attuazione al provvedimento di sequestro». Il procuratore ha voluto spiegare il nuovo intervento della magistratura perché venerdì era stato riportato in modo impreciso il contenuto delle disposizioni impartite ai custodi-amministratori per l'attuazione del sequestro preventivo, e si era parlato - prosegue Sebastio - di «una inesistente autorizzazione a continuare la produzione a livelli ridotti». Del resto, sia l'ordinanza del Gip che il tribunale del Riesame, hanno chiarito che «il sequestro impone l'eliminazione delle emissioni inquinanti e pericolose e all'uopo - sottolinea ancora Sebastio - inibisce qualunque attività produttiva». Per questo motivo, si ribadisce come l'utilizzo degli impianti «è consentito all'unico fine della bonifica degli stessi in vista della loro eventuale successiva riutilizzazione a fini produttivi, adottando tutte le cautele tecnicamente necessarie per evitare, ove possibile, il deterioramento o la distruzione degli impianti medesimi». Onde evitare ulteriori dubbi, il procuratore ricorda poi che il dispositivo di sequestro inibisce l'utilizzo degli impianti, «ivi compresi i parchi minerari». Precisazione non da poco visto che proprio oggi termineranno le operazioni di scarico delle materie prime ai pontili dell'Ilva dell'ultima nave autorizzata dai custodi, dopo la disposizione di blocco dei rifornimenti per i parchi minerali arrivata la scorsa settimana. Tutte le navi in rotta verso Taranto per approvvigionare il siderurgico di carbon fossile e minerale ferroso dovranno essere autorizzate allo scarico dagli stessi custodi. A quanto si apprende da fonti aziendali, un'altra nave è nella rada di Taranto e altre sei sono in navigazione già partite dal Brasile, il principale paese dal quale l'Ilva si approvvigiona di materie prime per il funzionamento degli altoforni. Dunque tutto dipende dai custodi, che nel loro provvedimento hanno aperto alla possibilità di una deroga rispetto al blocco a fronte d'una richiesta da parte dell'azienda. Lo stop all'approvvigionamento del parco minerali, che è tra le sei aree sequestrate dalla Procura, è stato adottato per porre fine alla diffusione di polveri che si sprigionano quotidianamente verso la città e il vicino quartiere Tamburi, essendo l'area di 70 ettari dove vengono stoccati carbon fossile e minerale di ferro, all'aperto. A conclusione del tavolo istituzionale riunito a Bari venerdì, il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante, ha dichiarato che dopo il provvedimento dei custodi, le materie prime stoccate nel parco minerali si sono ridotte passando da 2,5 milioni a 1,7 milioni di tonnellate, e che tale quantità assicurerà la marcia degli impianti solo per venti giorni. Sostenendo peraltro la bizzarra tesi secondo cui producendo di meno, l'Ilva inquinerà in maniera maggiore rispetto a quanto avviene con gli impianti in marcia al 70 per cento delle loro capacità.

Il Manifesto 16 settembre 2012

llva, la video-denuncia: 'Continua a inquinare'

C'è il sequestro senza facoltà d'uso degli impianti, ma l'Ilva continua a inquinare. A sostenerlo è Fabio Matacchiera, presidente del Fondo antidiossina onlus, che ha realizzato un video notturno da cui emergerebbero "anomale emissioni dai camini" del Siderurgico. "Mi sembra si possa facilmente rilevare - spiega l'ambientalista - che, nonostante il sequestro senza facoltà d'uso disposto dalla magistratura di Taranto per diversi impianti, nulla sembra essere cambiato almeno fino a poche ore fa". Grazie all'occhio elettronico di una potente telecamera a infrarossi, sottolinea Matacchiera, "ho potuto girare queste immagini che potrebbero dimostrare che la diffusione di fumi e polveri continua regolarmente, investendo la città, soprattutto durante le ore notturne. Si noti che i fumi scaturiscono soprattutto dalle aree basse sotto forma di emissioni diffuse e non convogliate". Matacchiera fa presente che consegnerà la nuova documentazione "alla Procura di Taranto, presso gli uffici della Digos e per conoscenza al Comando carabinieri Noe di Lecce, ritenendo possa essere d'interesse per le autorità inquirenti".Il video: http://video.repubblica.it/dossier/ilva-taranto/ilva-la-video-denuncia-continua-a-inquinare/105345/103725

La Repubblica – 17 settembre 2012

Ilva, Clini: "Per risanare 3-4 anni". Il piano dell'azienda, ma 'lasciateci produrre'

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Copertura dei parchi minerali, primi stop agli impianti a dicembre, 400 milioni di investimenti: il colosso, disposto a investire, presenta i progetti di salvataggio dello stabilimento e un'istanza per la facoltà d'uso degli impianti, altrimenti sarebbero a rischio i posti di lavoro. Sì della Camera al decreto legge. Il presidente: "Chiesto accordo di programma al governo"

di MARIO DILIBERTO. Tre o quattro anni per risanare l'Ilva, disposta a investire 400 milioni di euro , partendo dalla copertura dei parchi minerali. Primi spegnimenti a dicembre, ma - chiede l'azienda - lasciateci produrre, altrimenti l'impegno economico sarebbe insostenibile. E per gli operai sarebbero guai. Tutto mentre arriva il sì della Camera al decreto legge (Lega contraria, radicali astenuti), che ora passa al Senato.IL PIANO DELL'ILVA E L'INCOGNITA OCCUPAZIONE - Sono arrivati in Procura presto e hanno consegnato il loro piano per il risanamento e il salvataggio del colosso dell'acciaio, chiedendo ai magistrati che hanno imposto lo stop di parte degli impianti di lasciare la 'facoltà d'uso'. Il presidente Bruno Ferrante, accompagnato dai legali dell'azienda, ha depositato un cronoprogramma di interventi immediati di risanamento degli impianti dell'area a caldo sotto sequestro, diventati ancora più urgenti dopo la decisione dei custodi-amministratori giudiziali dello stabilimento siderurgico (Barbara Valenzano, Claudio Lofrumento, Emanuela Laterza) di notificare all'azienda ilprovvedimento con cui dispongono lo spegnimento di parte del siderurgico. "Abbiamo chiesto al governo un accordo di programma che contenga gli interventidi risanamento ambientale - ha detto Ferrante - ma anche iniziative che possano sorreggere l'azienda nello sforzo così grande che sta sostenendo". Quanto al fronte occupazione, "rispettiamo le decisioni della magistratura, ma abbiamo la necessità di avere una minima capacità produttiva. Per ora - ha aggiunto Ferrante - il problema dell'occupazione non ce lo siamo posti perché a luglio e ad agosto non abbiamo avuto problemi. Nel momento in cui la produzione non dovesse essere possibile gli scenari sarebbero completamente diversi. Ma noi ci auguriamo che non sia così".CLINI: "RISANAMENTO IN 3-4 ANNI" - Stando alle stime del ministro dell'Ambiente Corrado Clini, l'Ilva impiegherà tre o quattro anni per completare le opere di risanamento. Clini, parlando a margine del congresso Iswa a Firenze, ha spiegato che "si tratta di interventi imponenti che devono cambiare non solo la pelle ma l'attuale cuore dell'impianto industriale di Taranto". Secondo il ministro "dovendo realizzare questi interventi di risanamento in un contesto produttivo attivo è chiaro che ci vuole un pò di tempo. Dall'altro lato il rischio è quello che se l'impianto dovesse essere completamente fermato l'Ilva potrebbe rimanere fuori mercato per un periodo troppo lungo per poter sostenere gli investimenti per il risanamento".SI' ALLA COPERTURA DEI PARCHI MINERALI - L'Ilva prevede di coprire i depositi di minerali, considerati tra le fonti prime d'inquinamento affidando i lavori alla società Paul Wurth, leader mondiale nella progettazione di impianti siderurgici, incaricata di presentare un sistema per la copertura. Gli interventi previsti, secondo l'azienda, dovrebbero ridurre le polveri del 70-90%. "Gli interventi previsti nei parchi minerali - si legge ancora nel progetto  - sono finalizzati all'abbattimento  delle polveri diffuse prodotte dallo spolveramento dei cumuli. L'insieme degli interventi ridurrà le polveri del 70-80%  sulla base delle garanzie fornite da società specializzate del settore". Per i parchi, inoltre, l'Ilva ha annunciato "la riduzione del 20% della giacenza media dei materiali nei parchi con conseguente riduzione dell'altezza  dei cumuli e , quindi della superficie sottoposta all'erosione del vento, già programmata in modo strutturale da metà ottobre".Per quanto concerne le cokerie l'Ilva ha messo nero su bianco che "le batterie  9 e 10 sono già in fase di ristrutturazione" mentre " le batterie 5 e 6  verranno fermate a partire da dicembre 2012" per una serie di lavori tra cui " la demolizione e ricostruzione del piano di carico delle pareti refrattarie e dei rigeneratori dei forni a coke". GLI ALTRI INTERVENTI -  Nel piano sono poi previsti "immediati interventi sugli altoforni 1 e 2 che inizieranno contestualmente alle batterie 5 e 6 in dicembre". In particolare per l'altoforno 1 è previsto un nuovo impianto di condensazione dei vapori prodotti nella fase di granulazione della loppa e la realizzazione di un nuovo impianto di depolverazione. Un nuovo impianto di depolverazione è previsto per l'altoforno 2. Infine, per l'acciaieria 1 l'Ilva annuncia nel piano "la chiusura  e copertura del tetto e la costruzione di un nuovo filtro a tessuto con capacità di filtrazione di circa 3,2 mln di metricubi l'ora". Sempre nell'acciaieria 1 nel piano è annunciato un impianto di aspirazione e desolforazione in siviera. L'Ilva ha chiesto a cinque società specializzate

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(Danieli, Sms Demag, Vai, Pelfa Group, e Eko-Plant) uno studio per la completa copertura e chiusura dell'area Grf (Gestione Rottami Ferrosi) interessata dallo svuotamento delle paiole. Gli studi saranno completati entro il 2012. In attesa dei risultati, sarà installato un impianto per abbattere la polvere che dovesse eventualmente sollevarsi dall'area gestione materiali ferrosi. L'azienda prevede inoltre interventi sull'area agglomerato, a partire dalla fermata dell'altoforno 1, ed ha incaricato tre società di verificare se ci siano tecnologie che consentano di inserire a valle nuovi sistemi di filtraggio."SULLA FACOLTA' D'USO DECIDERA' IL GIP" - L'azienda siderurgica ha però presentato l'istanza in Procura insieme al piano di risanamento: sostanzialmente si chiede di poter continuare a tenere funzionanti gli impianti sequestrati anche se a ritmo ridotto rispetto alla situazione attuale per continuare a produrre acciaio al fine di non interrompere la presenza sul mercato. "Allo stato attuale - ha fatto sapere il procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio - il provvedimento di sequestro preventivo esclude qualsiasi facoltà d'uso ed è questo il provvedimento che noi dobbiamo fare eseguire. Su qualsiasi proposta dell'azienda tendente a ottenerne la modifica, sarebbe chiamato a decidere il gip". I TIMORI DEI SINDACATI - Anche se per ora non c'è nessuna protesta, né sono stati indetti scioperi resta alta la tensione tra i lavoratori. "L'azienda è con le spalle al muro - hanno fatto sapere fonti sindacali - non può scappare. I custodi hanno detto chiaramente cosa faranno a partire da subito. Lo faranno, è chiaro, progressivamente e gradualmente ma lo faranno. L'unico modo che ha l'Ilva per sottrarsi a questa tenaglia è quella di mettere subito in cantiere il piano per risanare e mettere a norma il siderurgico partendo appunto dagli impianti inseriti nella direttiva dei custodi". 

La Repubblica – 17 settembre 2012

Ilva, lo stop dei custodi: spegnete quegli impianti

TARANTO - C' è lo stop all' Ilva. Giro di vite per la cosiddetta area a caldo, sequestrata due mesi fa dal gip Patrizia Todisco. Non più tardi di tre giorni fa, il procuratore della Repubblica Franco Sebastio, era stato chiaro: l' azienda non può produrre, ma deve limitarsi solo a rimettere in sesto gli impianti che così come sono avvelenano l' aria di Taranto. E ieri sera si materializza la direttiva dei tre custodi giudiziari: in nome e per conto dei requirenti, ordinano lo spegnimento immediato delle cokerie 3, 4, 5 e 6, e delle torri dalla 1 alla 7, nonché quello degli altiforni 1 e 5, il blocco dell' acciaieria1e l' adeguamento dell' acciaieria 2, infine la ristrutturazione del reparto Grf (gestione materiali ferrosi). I sindacalisti confessano «grande preoccupazione». Sono in pericolo almeno 4mila dei 12mila posti di lavoro che si contano all' interno del siderurgico. Ma gli stessi custodi dispongono anche che il personale in esubero debba essere ricollocato per quelle che saranno le inevitabili operazioni di bonifica. Il braccio di ferro magistratiIlva dunque, va avanti. I dirigenti della fabbrica scuotono la testa: «Ci stanno dicendo che dobbiamo chiudere lo stabilimento. È come se ci avessero condannati a morte». Proprio stamattina il presidente Bruno Ferrante, ex prefetto di Milano, farà comunque capolino a Palazzo di giustizia per presentare il piano di risanamento. La famiglia Riva assicura di volere investire per rivedere e correggere questa vera e propria città nella città, qualcosa come 400 milioni di euro. A partire dai parchi minerali: hanno le dimensioni di cento campi di calcio e sprigionano polveri sottili che ammorbano, e uccidono, chi abita a ridosso di questo dinosauro d' acciaio. L' idea è quella di coprirli per evitare che i veleni si sprigionino ovunque, e di fare disegnare questo "impermeabile" a una star dell' architettura: si fanno i nomi dello spagnolo Santiago Calatrava, di Renzo Piano o dell' inglese Norman Foster. Il nuovo rapporto Sentieri dell' Istituto superiore della sanità che sarà presentato oggi a Roma, conferma nella zona industriale ionica tra il 2003 e il 2008 l' aumento del 10 per cento del tasso di mortalità. Di più: spiega che nei comuni adiacenti ai 40 siti inquinanti d' Italia l' incidenza dei tumori è superiore del 3 per cento rispetto al resto del Paese: si tratta di 500 nuovi malati ogni anno. Il primo rapporto, quello 1995-2002, raccontava - per quel che riguarda Taranto - pure di un «eccesso di circa il 30 per cento nella mortalità per tumore del polmone» e di decessi per malattie respiratorie acute «tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne)». Tutta colpa di un «inquinamento diffuso» nell' ambito di un perimetro dove non figura solo Ilva. Dati che già erano

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conosciuti dagli inquirenti. E che, come precisa il ministro della Salute Renato Balduzzi sono «ancora al vaglio della comunità scientifica». Il titolare dell' Ambiente Corrado Clini, aggiunge: «Non sostengo che si tratta di numeri inaffidabili. Tant' è che a marzo ho riaperto subito la procedura per l' autorizzazione integrata ambientale. Ma ci sono margini di incertezza sul rapporto causa-effetto della mortalità per tumori relativa alla popolazione di Taranto. Tuttavia negli ultimi trenta-quaranta anni, la situazione è migliorata. Le diossine, che erano un problema drammatico, si sono ridotte di centinaia di volte. Vogliamo continuare a proteggere i cittadini, però senza gli allarmismi che potrebbero frenare la rinascita di Ilva. È una partita che va giocata in modo trasparente. Se no, non se ne esce». Via twitter, Clini ha annunciato che l' Ambiente «si costituirà parte civile» nel processo contro i Riva: il patron Emilio e suo figlio Nicola sono da luglio ai domiciliari con l' accusa di disastro ambientale. (ha collaborato Cristiana Salvagni)

La Repubblica – 18 settembre 2012

Ilva, piano da 400 milioni con un archistar

TARANTO - L' Ilva mette sul piatto più di quattrocento milioni di euro per risanare l' area a caldo, sotto sequestro dallo scorso 26 luglio. Il cronoprogramma degli interventi sarà presentato oggi ai custodi giudiziari cui spetta il compito di gestire i sei reparti sotto accusa. Parchi minerali, agglomerato, cokeria, altoforni, acciaieria e gestione rifiuti ferrosi, sono al bando per le emissioni inquinanti. L' azienda rischia seriamente lo stop della produzione con il fermo di quello cheè il cuore pulsante della grande fabbrica. Si prova per l' ennesima volta a correre ai ripari. La settimana scorsa gli stessi custodi avevano bocciato i rimedi avanzati da Ilva. E soltanto venerdì era scattato l' ennesimo brusco avvertimento da palazzo di giustizia, accompagnato da un inequivocabile monito sulla produzione. Perché l' inquinamento che uccide e fa ammalare i tarantini, dicono dalla procura, deve smettere. Ecco perché ieri a tarda ora è giunto il primo autentico stop agli impianti. Il semaforo rosso è stato acceso dai custodi giudiziari. Per dare esecuzione al sequestro dell' area a caldo dello stabilimento, formalmente sotto chiave da oltre cinquanta giorni. E nel provvedimento notificato l' intento è proprio quello di passare a un sequestro effettivo, con l' apertura delle procedure di spegnimento degli altiforni unoe cinque. Ma anche di tutte le batterie della cokeria, fatta eccezione per le numero sette e otto. Stop anche a un' acciaieria. Così il pugno di ferro si è abbattuto sul colosso siderurgico proprio alla vigilia della presentazione di quel piano con il quale l' azienda intende tamponare le emergenze fotografate dall' inchiesta per disastro ambientale. Si partirà con lo spegnimento del vecchio altoforno numero uno, la cui fermata per il rifacimento era nei programmi aziendali nel 2013. La circostanza lascia intuire che il giro di vite e gli interventi di ambientalizzazione potrebbero andare di pari passo. La stretta, di certo, è partita senza attendere questo nuovo piano avallato da Emilio Riva in persona, il patron ai domiciliari per disastro ambientale, che ha comunque il sapore della mossa disperata. Perché sulla testa dell' azienda aleggiano misure ancor più drastiche. Insomma l' ora della verità è davvero scoccata. L' Ilva vuole restarea Tarantoe mette sul piatto quattrocento milioni di euro - ha ribadito intanto ieri a Roma il ministro dell' ambiente Corrado Clini, alla vigilia dell' appuntamento alla Camera per la votazione del decreto sull' emergenza che ha investito il colosso dell' acciaio. "Le risorse del Governo già messe a disposizione sono 90 milioni di euro, poi ci sono i fondi della regione Puglia. Poi altri 60 milioni di euro saranno disponibili all' inizio del prossimo anno" - ha precisato il ministro che nella sua dichiarazione ha fatto riferimento ai 120 milioni di euro varati dalla Regione. Stanziamenti pubblici che vanno sommati agli investimenti di Riva che saranno illustrati oggi. Con quasi mezzo miliardo di euro si dovrebbe provvedere in primo luogo alla semicopertura dei parchi minerali che svettano sul rione Tamburi. L' opera potrebbe essere affidata a un architetto di fama mondiale da scegliere tra Santiago Calatrava, Norman Foster e Renzo Piano. Nel piano Ilva, però, sono contenute misure di "ambientalizzazione" che riguardano tutti i reparti incriminati. Una copertura è stata studiata pure per il reparto gestione rifiuti ferrosi, mentre dovrebbe cambiare anche il sistema di spegnimento del coke per evitare i pericolosi sbuffi di fumi nocivi all' esterno. Ieri sera, però, l' ennesima burrasca

La Repubblica – 18 settembre 2012

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La mortalità aumentata del 10 per cento Assennato: 'Purtroppo nulla è cambiato'

«NON c' è niente di nuovo, purtroppo» scuote la testa il professor Giorgio Assennato, direttore generale dell' Arpa. I numeri, peraltro datati (si fermano al 2008), contenuti nel progetto Sentieri e relativi alla zona industriale di Taranto, raccontano che da quelle parti tra raffineria, Ilva, area portuale e discariche abusive di rifiuti, i tassi di mortalità generale aumentano del 10 per cento. È così dal 1995, quando Sentieri già testimoniò un «ambiente di vita insalubre». Assennato precisa: «Bisognerebbe valutare con attenzione la mortalità cardiovascolare», quella attraverso cui è possibile segnalare eventuali miglioramenti ambientali. «Ma, al riguardo, sarebbe interessante conoscere le percentuali legate agli anni successivi al 2008». Il dg dell' Agenzia poi fa notare: «Quelli diffusi ieri» sono dati che i magistrati ionici conoscevano: «I periti nominati dai pubblici ministeri, li avevano ricevuti dal dirigente dell' Istituto superiore di sanità». Tant' è che sulla base di questa impietosa fotografia, a luglio era scattato il sequestro della cosiddetta area a caldo del siderurgico. Una fotografia che mette a fuoco una vera e propria tragedia: s' impenna del 30 per cento la mortalità per tumore del polmone, i decessi per malattie respiratorie acute registrano un «eccesso compreso tra il 50 per cento (uomini) e il 40 per cento (donne)», così come «a partire dal 1990» i territori di Taranto, Crispiano, Massafra, Statte e Montemesola hanno il marchio di comuni «ad elevato rischio ambientale», e «fino a ottobre 2008» nel 20 per cento di quarantuno aziende zootecniche «localizzate entro dieci chilometri dal polo industriale», c' era una «concentrazione di diossine» al di sopra dei limiti imposti dalla legge. Il ministro della Salute Renato Balduzzi spiega che la ricerca 2003-2008 «è in corso di elaborazione e ancora al vaglio della comunità scientifica». Anche il titolare dell' Ambiente Corrado Clini è cauto: «Vogliamo proteggere i cittadini senza allarmismi, che potrebbero frenare il risanamento dell' Ilva». Ammesso, e non concesso, che solo lo stabilimento dei Riva debba essere messo all' indice: «Ci sono altri impianti. Comunque negli ultimi trenta-quaranta anni - sottolinea Clini - la situazione ambientale di Taranto è migliorata. Un tempo c' era l' arsenale, attività pericolosa per l' amianto, ora non più. A Lecce si muore di più». Ma il presidente dei Verdi Angelo Bonelli, non ci sta: «È ormai chiaro che per il ministro dell' Ambiente la priorità non è la salute della gente, ma l' azienda. Per far continuare la produzione all' Ilva si vuole ridimensionare il dramma sanitario. Questa è una vergogna». Fabio Matacchiera, del Fondo antidiossina, taglia corto: «Ho fatto un video. Dimostra che da Ilva la diffusione di fumi e polveri va avanti regolarmente, investendo la città soprattutto nelle ore notturne».

La Repubblica – 18 settembre 2012

Ilva pronta a coprire i parchi Ma i pm: 'Ora deciderà il gip'

TARANTO - - "O produciamo o chiudiamo". Non ha dubbi, Bruno Ferrante. Il presidente di Ilva presenta ai magistrati della procura il "piano di investimenti immediati" che permetterà "la riduzione delle emissioni di polveri e altri inquinanti". Lo fa all' indomani delle disposizioni, da "attuare immediatamente", dettate dai custodi giudiziari dello stabilimento alla stessa Ilva: sono quelle che prevedono lo spegnimento, la dismissione, l' adeguamento o la bonifica di cokerie, altiforni, acciaierie. Questo "al fine di garantire la cessazione dell' attività criminosa in corso" nell' ambito della cosiddetta area a caldo, sequestrata da due mesi. Ferrante, però, rilancia: il più grande siderurgico d' Europa non può permettersi di spegnere i camini. "Abbiamo la necessità di produrre, ancorché al minimo, per tenere insieme salute e occupazione". Se i requirenti continuassero a non avere la stessa opinione, "lo scenario cambierebbe". Il numero uno di Ilva, spiega: "Non ci consentirebbero di sostenere investimenti. Ma al momento non voglio prendere in esame questa ipotesi...". Sì, insomma, sarebbe il patatrac e tutti i 12mila operai della fabbrica si ritroverebbero in un modo e o nell' altro a dovere fare i conti con lo spettro della disoccupazione. Ferrante, come sempre, cerca di gettare acqua sul fuoco: "Non credo che chi abbia a cuore il destino di questo Paese, e buon senso, possa dire chiudiamo Ilva. Non penso che i magistrati vogliano chiuderla". Ma mai come in queste ore si affaccia lungo le rive dello Ionio, questo vero e proprio incubo. Non servono a esorcizzarlo le parole di Ferrante, che assicura di volere scucire nei prossimi quattro anni e mezzo, fino al mese di dicembre del 2016, qualcosa come 400 milioni di euro: per affidare alla società Paul Wurth la progettazione perché sia realizzata la copertura dei parchi minerari, montagne alte quindici metri, e frenata "del 70-90 per cento" la dispersione delle polveri sottili;

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ristrutturare le cokerie 9 e 10, mentre la 5 e la 6 "saranno fermate" a partire da dicembre di quest' anno; intervenire sugli altiforni 1 e 2 e scongiurare che sprigionino veleni come se piovesse; ammodernare i reparti Agglomerato, Acciaieria e Gestioni rottami ferrosi. Basterà, tutto questo, perché i giudici ritornino a concedere all' Ilva la facoltà d' uso degli impianti messi sotto chiave "in nome del popolo italiano"? I pubblici ministeri sarebbero scettici. Fa notare il procuratore Franco Sebastio: "Ma non era stato proprio Ferrante ad affermare che una produzione ridotta di acciaio avrebbe provocato un maggiore inquinamento?". Quasi certamente i sostituti gireranno l' istanza targata Ilva al gip Patrizia Todisco, cui spetta perfino inevitabilmente l' ultima parola. Peraltro i tre custodi avrebbero giudicato "insufficiente" il tesoretto di 400 milioni messo a disposizione dalla famiglia Riva. Sembra che per "adeguare e ambientalizzare" la sola area a caldo, dovrebbero sborsare un miliardo; quanto ai parchi minerari, la spesa perché non facciano più danni ammonterebbe a 3 miliardi. Totale: 4 miliardi. Una cifra dieci volte superiore a quella che c' è.

La Repubblica – 19 settembre 2012

TARANTO - PREVISTO UN INVESTIMENTO DI 400 MILIONI DI EUROIlva, un piano con ricatto

GIANMARIO LEONE .TARANTO . Il presidente Ferrante: via alla bonifica solo se continua la produzione. Il futuro dell'Ilva di Taranto probabilmente si deciderà nel giro di poco tempo. Il perché è presto detto: nella mattinata di ieri il presidente Bruno Ferrante si è recato in procura per presentare il nuovo piano investimenti per risanare lo stabilimento tarantino. 400 milioni la spesa totale (in cui rientrano i 146 annunciati lo scorso mese), approvata nella serata di lunedì al termine di una riunione del Cda. Gli interventi previsti dall'azienda riguardano tutte le aree poste sotto sequestro preventivo da parte del Gip Todisco: ma ad un precisa condizione, che pare più una minaccia che altro, contenuta un'istanza presentata sempre ieri in tribunale. Ovvero che all'azienda sia garantita la possibilità di continuare a produrre, anche al minimo delle sue potenzialità: per restare competitiva sul mercato, continuare a rispondere alle commesse e nello stesso tempo avere una garanzia sul futuro. Sull'istanza presentata, dovrà decidere lo stesso Gip Todisco: ma appare pressoché impossibile che il giudice tarantino receda dalle sue posizioni. Il provvedimento di sequestro preventivo, confermato anche dal tribunale del Riesame, esclude qualsiasi facoltà d'uso degli impianti a fini produttivi: con l'obiettivo di eliminare le emissioni inquinanti provenienti dagli impianti dell'area a caldo ed il loro risanamento. Ed è proprio in questa direzione che si stanno muovendo i custodi giudiziari, che nella tarda serata di lunedì hanno notificato un nuovo provvedimento all'azienda. Nella nuova direttiva, i custodi ordinano il completo rifacimento delle batterie 3,4,5,6,9,10 delle cokerie degli altiforni, lo spegnimento delle torri che vanno dall'1 alla 7 eccetto la torre 2, lo spegnimento degli altiforni 1 e 5 a cominciare subito dall'altoforno 1, lo stop all'acciaieria 1, l'adeguamento dell'acciaieria 2 e il rifacimento del reparto Grf, gestione materiali ferrosi. Il tutto dopo il blocco imposto dagli stessi custodi, sull'approvvigionamento delle materie prime al parco minerali. Lo stesso Ferrante, nella conferenza stampa di ieri pomeriggio in cui ha illustrato il piano dell'azienda, ha dichiarato che nel caso in cui la procura confermasse la non facoltà d'uso, l'Ilva non procederebbe con gli investimenti previsti: aprendo scenari funesti sulla sopravvivenza del siderurgico e sul futuro stesso dei lavoratori, che rischierebbero di finire in mobilità nel giro di qualche mese. Bocciatura prevedibile, anche perché il piano presentato dall'azienda, non comprende la copertura dei parchi minerari: l'Ilva ha infatti reso noto di aver dato incarico alla società Paul Wurth di progettare uno studio di fattibilità sull'eventuale possibilità di coprire gli oltre 70 ettari dell'area in cui vengono stoccate le materie prima a cielo aperto. Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, appare fiducioso: per risanare l'Ilva di Taranto ha dichiarato ieri, «ci vorranno 3-4 anni». Mentre il ministro della Salute, Renato Balduzzi, aprendo la conferenza di presentazione del progetto «Sentieri», ha dichiarato che i nuovi dati sulla mortalità nel Sin di Taranto saranno resi noti il 12 ottobre.Intanto ieri è arrivato il via libera della Camera al decreto legge per il risanamento ambientale dell'area industriale di Taranto. Il provvedimento, approvato con 430 voti favorevoli, 49 contrari e 7 astenuti, passa all'esame del Senato. Il provvedimento riconosce l'area di Taranto «in

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situazione di crisi industriale complessa», prevede la costituzione di un comitato di sottoscrittori e una cabina di regia coordinata dalla Regione Puglia. L'attuazione delle azioni sarà assicurata da un commissario straordinario nominato dal presidente del consiglio su proposta del ministro dell'Ambiente, che non dovrà percepire alcun compenso o rappresentare «altri oneri per la finanza pubblica».

Il Manifesto 19 settembre 2012

Rioni Tamburi, Paolo VI e anche Statte boom di tumori nel triangolo dei veleni

TARANTO - Un triangolo del dolore fotografato da dati scientifici. Una linea rossa di morte e sofferenza che congiunge il rione Tamburi, città vecchia, Porta Napoli, il Borgo, Paolo VI e anche il comune di Statte. Le zone più vicine alla zona industriale e agli impianti e ai camini dell' Ilva. Quelli messi sotto accusa dalla procura che ora punta a spegnere le fonti del dolore, con l' azione condotta dai custodi giudiziari che hanno decretato lo spegnimento di due altiforni e numerosissimi forni delle batterie della cokeria. Il dramma di Taranto si ritrova nello studio pubblicato da un gruppo di ricercatori dell' Università di Firenze, dell' università di Napolie del dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio. Nella pubblicazione si puntano i riflettori su una parte degli esiti della maxiperizia sul disastro ambientale della città dei due mari al centro del decisivo incidente probatorio celebrato dinanzi al gip Patrizia Todisco. Un pilastro delle contestazioni rivolte ai vertici della grande fabbrica dell' acciaio. Il punto di partenza appare scontato. Ed è lo stesso che ha contraddistinto gli studi condotti in passato su Taranto, da tempo inserita nell' elenco dei siti "ad elevato rischio ambientale": Vivere gomito a gomito con la grande industria è più rischioso. Il teorema trova preciso riscontro, però, nello screening della popolazione tarantina e non solo. Un lavoro accurato che tiene conto anche dei differenziali sociali. Percentuali da brivido raccontano come vivere in quelle zone comporti rischi gravissimi. Che si acuiscono nelle categorie più svantaggiate, in cui i picchi di malattia e morte si impennano ulteriormente. Nello studio si esamina Tarantoei suoi quartieri, ma anche i comuni di Massafra e Statte. Così sono stati contemplati nella ricerca oltre 321.000 abitanti della provincia ionica (157.000 uomini e 164.000 donne). Il risultato è che a Taranto, ed in particolare nei rioni che confinano con la zona industriale, ma anche a Statte, ex borgata del capoluogo, ci si ammala di più di tumore, in particolare stomaco, laringe, polmone e vescica. Ma eccessi rilevanti si registrano per patologie cardiovascolari, respiratorie e dell' apparato digerente. "Anche dopo aver tenuto conto del livello socio economico - scrivono i ricercatori - sono emersi tassi di mortalità e ospedalizzazione più elevati per alcune patologie per i residenti nelle aree più vicine alla zona industriale: Tamburi, città vecchia, Porta Napolie Lido Azzurro, Borgo, Paolo VI e Statte. I quartieri più vicini alla zona industriale - concludono gli studiosi - presentano un quadro più compromesso rispetto a tutte le altre zone prese in considerazione nel lavoro di studio". Nel quartiere Paolo VI, in cui peraltro risiedono moltissime famiglie di operai dell' Ilva, gli uomini sono colpiti di più da tumori maligni, con un impressionante +42%, specialmente al pancreas e al polmone, e da patologie cardiovascolari con un +28%. Le donne dello stesso quartiere si ammalano di tumore al fegato, e soffrono di patologie cardiovascolari e dell' apparato digerente. Ai Tamburi si è inquadrato un eccesso negli uomini di tumori maligni, specie alla prostata, mentre nelle donne c' è un evidente eccesso di malattie cardiovascolari e renali. Queste cifre raccontano di una situazione compromessa con la quale i tarantini si erano abituati a convivere quasi con rassegnazione. Sino alla svolta decretata dal gip Todisco con il sequestro finalizzato allo stop all' inquinamento sparato sulla città dall' area a caldo dell' Ilva.

La Repubblica – 19 settembre 2012

Sebastio: 'L' inchiesta non è chiusa'

«LE INDAGINI non sono ancora finite, il quadro delle imputazioni non è ancora completo. E' possibile che oltre ai reati di pericolo emergano dei reati di danno». Lo ha affermato il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, parlando dell' inchiesta sull' Ilva di Taranto davanti alla commissione ecomafie. (segue dalla prima) Il procuratore ha ricostruito le tappe dell' inchiesta

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che ha portato al sequestro preventivo degli impianti, ricordando anche «le 150 denunce singole ricevute per tutta una serie di reati. Ci scrisse anche il sindaco di Taranto dicendo ' datevi da fare, qui la gente muore' ». I responsabili dell' azienda - ha spiegato Sebastio - «sono stati destinatari di provvedimenti di custodia cautelare in quanto recidivi reiterati: c' è tutta una storia giudiziaria di processi che hanno visto coinvolto lo stabilimento, il primo dei quali risalente all' 82, all' ex Italsider. Poi ci sono stati almeno altri 4 procedimenti ed ogni volta il livello qualitativo dei reati saliva». Quando certi parametri di inquinamento sono diventati eclatanti, «siamo stati costretti - ha proseguito il procuratore di Taranto - a contestare i reati: certo, qualcuno potrebbe dire che ci sarebbe voluta una maggiore presa di coscienza del problema in tutti quei processi celebrati in aule deserte e lontano dai riflettori dei media. La verità è che nella nostra terra per tanti anni c' è stata disattenzione: noi magistrati abbiamo fatto quello che potevamo ma anche noi abbiamo le nostre colpe e le nostre negligenze». Secondo il presidente della commissione Gaetano Pecorella «non vanno trascurate le responsabilità di quanti con azioni o omissioni hanno contribuito a determinare una situazione così drammatica come quella che si deve registrare a Taranto. L' impressione è che in tutti questi anni la magistratura abbia dovuto svolgere un ruolo di supplenza».

La Repubblica – 19 settembre 2012

Risanamento, la Camera approva i sindacati: 'Piano insufficiente'

TARANTO - E' passato a larga maggioranza a Montecitorio il decreto legge per il risanamento ambientale dell' area industriale di Taranto. L' aula ha acceso il semaforo verde con 430 voti favorevoli, 49 contrari e 7 astenuti. Ora il provvedimento va all' esame del Senato. Il Governo, però, ha rischiato di essere battuto su un testo presentato dall' ex sottosegretario Alfredo Mantovano del Pdl. L' ordine del giorno era dedicato alla questione della nomina del commissario straordinario e impegnava l' esecutivo a nominare entro un mese e mezzo «il commissario straordinario per il risanamento ambientale a Taranto". Il testo è stato riformulato e alla fine è stato approvato. In ballo ci sono 396 milioni di euro, 120 dei quali messi a disposizione dalla Regione Puglia. Il maxi stanziamento è previsto per una serie di interventi di bonifica nella disastrata area tarantina, ma anche per spingere il rilancio industriale con particolare attenzione allo sviluppo del porto mercantile. "Questo decreto - ha detto il deputato tarantino Ludovico Vico del Pd - è un punto di partenza importante perché il Governo si impegna alla istruzione dell' accordo di programma per il risanamento ambientale e la riqualificazione dell' area ad elevato rischio. Sul piano degli interventi di riduzione dell' inquinamento degli impianti dell' Ilva dovremo attendere l' autorizzazione integrata ambientale". Il via della Camera cade nel giorno in cui anche l' azienda ha presentato il suo primissimo piano di interventi per abbattere l' impatto ambientale degli impianti dell' area a caldo, sotto sequestro da fine luglio per le emissioni inquinanti. Un cronoprogramma depositato in procura dal presidente Bruno Ferrante, prima di essere illustrato ai sindacati e alla stampa. E la reazione dei sindacati è stata piuttosto fredda. "Le risposte dell' Ilva sono inadeguate" - ha dichiarato Donato Stefanelli, segretario provinciale della Fiom. "Al punto in cui siamo - ha aggiunto - credo che i sindacati debbano avanzare una proposta autonoma con una propria piattaforma, a partire dal piano di investimenti che non ci soddisfa". Critiche anche le parole di Mimmo Panarelli, segretario provinciale della Fim. "Per quello che ho visto - ha dichiarato - il piano dell' Ilva non è rispondente a quello che la procura chiede di fare. L' azienda avrebbe dovuto fare quello disposto dai custodi ponendo due condizioni: sui tempi di realizzazionee sulla tenuta in marcia degli impianti. Se si fermanoi reparti- ha concluso Panarelli - l' Ilva rischia di uscire dal mercato e non avrebbe più senso fare gli interventi di ambientalizzazione". Più cauta la presa di posizione del segretario provinciale della Uilm Antonio Talò: Il piano proposto dall' azienda guarda con ulteriori risorse alle nuove prescrizioni. Mi auguro che venga accettato. Ora aspettiamo la risposta dei giudici. Se il piano fosse bocciato non lo capirei". Di piano corredato da ingenti investimenti parla invece Confindustria. "La mossa di Ilva - hanno dichiarato - apre un nuovo scenario con un investimento da 400 milioni che costituisce uno degli sforzi per la bonifica e il risanamento più consistenti messi in campo da un' impresa privata".

La Repubblica – 19 settembre 2012

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Ilva, cassa integrazione e ferie forzate allarme per 490 operai dell'indottoSi tratta dei dipendenti di Semat spa ed Edil Sider, ai quali è stato annunciato lo stop. I sindacati: "Nessuna garanzia sulla possibile ripresa"

TARANTO - La Semat spa e la Edil Sider, due società che operano da anni nell'Ilva di Taranto, hanno annunciato ai lavoratori che intendono procedere a "ferie forzate" e a un "possibile ricorso alla cassa integrazione" per 490 dipendenti: 450 della Semat e 40 della Edil Simer. Lo afferma in una nota il segretario generale della Fillea-Cgil di Taranto, Luigi Lamusta, che parla di "un attacco strumentale, di puro terrorismo psicologico nei confronti dell'anello più debole della catena". Contro il disimpegno del Gruppo Trombini (Semat e Edil Sider) - spiega il sindacalista - "opporremo con forza tutta la nostra azione sindacale. Non accetteremo che a pagare siano i lavoratori delle imprese dell'appalto". "I nostri delegati sindacali - annuncia Lamusta - sono stati chiamati dalle imprese e hanno ricevuto la triste notizia con annunci di catastrofi imminenti: si parla di cassa integrazione al buio con nessuna garanzia circa la possibile ripresa". Secondo Lamusta, dall'Ilva le due aziende appaltatrici hanno "ritirato i mezzi e il personale che operavano nelle aree a caldo" sequestrate: questo vuol dire che "finite le ferie, i lavoratori potrebbero trovarsi sin da subito in cassa integrazione, consapevoli del fatto però che gli ammortizzatori sociali nel nostro caso sono liquidati dalla Cassa edile con tempistiche che a volte superano anche i sei mesi. Un allarme occupazionale e sociale che rischia di esplodere se non arriveranno da subito le necessarie garanzie".

La Repubblica – 19 settembre 2012

Lavoratori di un cimitero di Taranto protestano per effetti ILVA su di loro

Lo Slai Cobas tiene nella giornata odierna un presidio davanti al cimitero San Brunone del rione Tamburi di Taranto, per protestare contro il disinteressamento nei confronti della salute dei lavoratori del cimitero. Il coordinatore provinciale Ernesto Palatrasio fa presente che a pagina 69 del provvedimento del tribunale del Riesame viene evidenziata “una allarmante compromissione ambientale delle aree urbane, immediatamente e visivamente percepibile nei rioni a ridosso del siderurgico, in particolare nel quartiere Tamburi e nella zona del Cimitero di San Brunone massicciamente ricoperti (imbrattati) di una coltre di polveri ferrose di colore rossastro…che ha determinato un gravissimo e ormai insostenibile rischio sanitario”. I lavoratori cimiteriali, sottolinea Paltrasio “ogni giorno lavorano nel cimitero per almeno 6 ore all’aria aperta e sollevando tanta polvere e pulendo e tumulando, esponendosi quindi alle sostanze inquinanti, con gravi evidenti danni alla loro salute passata, presente e temiamo sopratutto futura e ora dicono basta e sono pronti a mobilitarsi”.

www.funerali.it, 19 settembre 2012

Piano bonifica verso la bocciatura i custodi: 'Non è quello che serve'

TARANTO - Muro contro muro. Il piano di interventi presentato da Ilva va incontro alla bocciatura da parte della procura. L' incartamento presentato martedì mattina a palazzo di giustizia dal presidente Bruno Ferrante è stato al centro di una lunga riunione al terzo piano del Tribunale. Intorno al tavolo il procuratore capo Franco Sebastio, l' aggiunto Pietro Argentino, e i sostituti Mariano Buccoliero e Giovanna Cannarile. L' intero pool titolare dell' inchiesta per disastro ambientale che ha messo sulla graticola la grande fabbrica dell' acciaio. Nella riunione sono state esaminate le proposte avanzate nel piano di interventi da 400 milioni di euro. I magistrati aspettano già questa mattina la valutazione dei custodi giudiziari, il braccio tecnico della procura in questa delicata fase dell' indagine. Spetterà a loro valutare l' impatto di quegli interventi pianificati dall' azienda sull' obiettivo di abbattere le emissioni inquinanti sviluppate dai sei reparti dell' area a caldo della fabbrica. Impianti formalmente sotto chiave dallo scorso 26 luglio. Ma già ieri è emerso un orientamento negativo degli inquirenti chiamati ad esprimere il parere, prima di girare le richieste di Ilva al gip Patrizia Todisco, alla quale spetta l' ultima parola. Sulla competenza del gip

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si era sviluppata una questione di natura prettamente procedurale. Alla fineè prevalsa la linea della competenza del giudice delle indagini preliminari, ed è stata esclusa la possibilità che la procura potesse valutare autonomamente le richieste dell' azienda. Il punto cruciale della richiesta formalizzata da Ferrante è l' utilizzo a fini produttivi dei reparti sotto chiave. Un' autorizzazione che consenta di mantenere attivo il ciclo produttivo anche per coprire gli investimenti che sono stati elencati con dovizia di particolari. Proprio come aveva dichiarato già la scorsa settimana lo stesso presidente di Ilva. Su questo aspetto si va incontro ad un vero e proprio braccio di ferro, perché a dispetto delle interpretazioni che si sono susseguite soprattutto dopo la decisione del Riesame, i provvedimenti giudiziari hanno sempre esplicitamente escluso l' uso degli impianti per la produzione. Mentre è consentito l' accesso ai reparti solo per gli interventi di messa a norma per eliminare le emissioni inquinanti. La questione resta rovente quanto di vitale importanza. Agli occhi dei magistrati, però, è balzata anche la distanza siderale tra gli accorgimenti indicati dai custodi nel provvedimento firmato in azienda lunedì sera e la risposta di Ilva. I custodi, per esempio, hanno senza mezzi termini parlato dello spegnimento degli altiforni uno e cinque. La risposta dell' azienda, invece, è limitata alla fermata di Afo 1, già inserita nel programma di manutenzione del 2013 e alla realizzazione di impianti di depolverazione. Sulle cokerie i custodi hanno ordinato un intervento massiccio con spegnimento di quasi tutti i forni, fatta eccezione per quelli di due batterie. Ilva, di rimando, ha risposto con la fermata di due sole batterie, mentre altre due sono già in fase di ristrutturazione. Esempi chiari di una distanza che è sin troppo evidente. E che sarà tradotta nel parere negativo che tra oggi e domani i magistrati dovrebbero trasmettere alla cancelleria del gip Todisco

La Repubblica – 20 settembre 2012

ILVA - GLI AMBIENTALISTI DIFFONDONO LE INDAGINI. IL MINISTRO CLINI ANNUNCIA QUERELA. I «fastidiosi» dati sui tumori

GIANMARIO LEONE .TARANTO Dall'Emilia a Taranto: la vita di chi lavora non conta nulla per chi comandaÈ polemica sui dati del «progetto Sentieri» dell'Istituto superiore della Sanità sul sito di Taranto. Ieri il presidente nazionale dei Verdi, Angelo Bonelli, e il presidente di Peacelink Taranto, Alessandro Marescotti, hanno diffuso quelli inerenti al 2003 e al triennio 2006-2008, che parlano di «un aumento della mortalità generale del 10%, di decessi per tumore del 12%, con un +306% di mesoteliomi».La diffusione di questi dati è dovuta alla polemica in corso con i ministri della salute e dell'ambiente che ne contestano l'ufficialità. «Le tre indagini complementari al progetto Sentieri saranno disponibili a ottobre: a quel punto definiremo una strategia di politica sanitaria che ha ricadute sulle strategie connesse di politiche ambientali e dello sviluppo», ha annunciato il ministro Balduzzi. Molto irritato per la diffusione di dati non sono ancora confermati in toto, visto che mancano quelli relativi agli anni 2004-'05.«Si sta girando intorno a un problema che non c'è». In merito al dato che indica un aumento di oltre il 300% dei casi di mesotelioma, Balduzzi ha commentato: «Ma da dove è stato preso questo dato?». Il ministro ha poi precisato che le cifre per lui giuste «sono state pubblicate alla fine del 2011» e «ora c'è bisogno di completare queste indagini con 3 complementi».Secondo Balduzzi il fulcro della questione è «capire cosa è successo negli ultimi 12 anni e se le prescrizioni imposte all'Ilva hanno avuto efficacia; di effettuare il monitoraggio biologico di un campione di allevatori per verificare se ci sia presenza di diossina nei prodotti e di monitorare la qualità dei mitili»: queste tre indagini complementari saranno disponibili a ottobre.«E' falso - ha replicato Bonelli - perché questi dati sono stati elaborati, stampati e comunicati alla procura della Repubblica il 30 marzo di quest'anno». Si tratta di numeri, incalzano gli ambientalisti, inseriti in un allegato all'indagine epidemiologica che ha portato al sequestro degli impianti del siderurgico che però, accusa Marescotti, «il ministro Balduzzi non ha voluto comunicare perché diceva che erano in fase di elaborazione». Nella polemica interviene il ministro dell'ambiente Corrado Clini, riferendo di aver dato mandato all'Avvocatura dello Stato di procedere nei confronti di Bonelli. Il presidente dei Verdi risponde: «Attendo con serenità la querela, perché di falso non

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c'è nulla».Intanto, sul fronte lavoro, le notizie che arrivano dall'Ilva sono tutt'altro che rosee. La Semat spa e la Edil Sider, due società che operano da anni nell'indotto del siderurgico, hanno annunciato ai lavoratori che intendono procedere a «ferie forzate» e ad un «possibile ricorso alla cassa integrazione» per 490 dipendenti: 450 della Semat e 40 della Edil Simer. Lo afferma in una nota il segretario generale della Fillea-Cgil di Taranto, Luigi Lamusta, che parla di «un attacco strumentale, di puro terrorismo psicologico nei confronti dell'anello più debole della catena».Quest'oggi, infine, la gip Patrizia Todisco potrebbe esprimersi sulla richiesta avanzata martedì dall'Ilva: che sia garantito all'azienda un minimo di capacità produttiva, ristabilendo così la facoltà d'uso degli impianti, revocata dallo stesso giudice e confermata dal tribunale del Riesame.

Il Manifesto 20 settembre 2012

I Verdi contro il governo: sull' Ilva nasconde i dati A Taranto boom di morti da tumore. Clini querela

TARANTO – Lello Parise. Nella città dove i magistrati sequestrano la più grande acciaieria d' Europa e il capo della multinazionale, Bruno Ferrante, avverte: «O produciamoo chiudiamo», il leader dei Verdi Angelo Bonelli gioca d' anticipo e rivela i dati dell' Istituto superiore della sanità relativi alle morti per tumore all' ombra di una zona industriale assediata dai veleni. Dati che, secondo il ministro della Salute Renato Balduzzi, avrebbero dovuto essere pubblicizzati non prima del 12 ottobre. «Il governo voleva tenerli nascosti» è il commento di Bonelli «fino alla conclusione (il 30 di questo mese, ndr) delle procedure per la revisione dell' Aia all' Ilva». Dati raccapriccianti: tra il 2003 e il 2008 si registrano 2.288 decessi per tumori (più 12 per cento rispetto alla media regionale calcolata dallo stesso Istituto superiore della sanità), aumentano del 306 per cento le morti dovute al mesotelioma pleurico, del 35 per cento quelle dei bimbi che non avevano un anno di vita o che, nel 71 per cento dei casi, addirittura non avevano lasciato il grembo materno. Balduzzi taglia corto: «L' indagine è da completare». Ma il titolare dell' Ambiente Corrado Clini querela Bonelli: «Fornisce informazioni false per intimidire le autorità competenti e spaventare la gente». La replica è immediata: «Clini intende denunciare anche i magistrati che hanno disposto il sequestro di Ilva?». Nel frattempo il segretario generale di Fillea Cgil Luigi Lamusta grida al «puro terrorismo psicologico»: due imprese edili impegnate all' interno del siderurgico «ritirano mezzi e personale (500 lavoratori) dall' area a caldo dello stabilimento». Quella sotto chiave "in nome del popolo italiano".

La Repubblica – 20 settembre 2012

La mappa del dramma di Tarantola mortalità sale anche del 27%. Uno studio sui quartieri della città mette in evidenza l’escalation delle malattie soprattutto nel triangolo dei veleni, a ridosso dello stabilimento. In alcune zone, i tumori aumentano del 42 per cento

di MARIO DILIBERTO. La mortalità a Taranto per tutte le cause aumenta dell'8-27% (a seconda dei quartieri), i tumori maligni del 5-42%, le malattie cardiovascolari del 10-28%, e le malattie respiratorie dell'8-64%. Lo afferma uno studio, sulla rivista dell'Associazione italiana di epidemiologia, con i dati della perizia epidemiologica per il gip del Tribunale di Taranto.

Un triangolo del dolore fotografato da dati scientifici. Una linea rossa di morte e sofferenza che congiunge il rione Tamburi, città vecchia, Porta Napoli, il Borgo, Paolo VI e anche il comune di Statte. Le zone più vicine alla zona industriale e agli impianti e ai camini dell'Ilva. Quelli messi sotto accusa dalla procura che ora punta a spegnere le fonti del dolore, con l'azione condotta dai custodi giudiziari che hanno decretato lo spegnimento di due altiforni e numerosissimi forni delle batterie della cokeria.Il dramma di Taranto si ritrova nello studio pubblicato da un gruppo di ricercatori dell'Università di Firenze, dell'università di Napoli e del dipartimento di epidemiologia del servizio sanitario regionale del Lazio. Nella pubblicazione si puntano i riflettori su una parte degli esiti della maxiperizia sul

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disastro ambientale della città dei due mari al centro del decisivo incidente probatorio celebrato dinanzi al gip Patrizia Todisco. Un pilastro delle contestazioni rivolte ai vertici della grande fabbrica dell'acciaio.Il punto di partenza appare scontato. Ed è lo stesso che ha contraddistinto gli studi condotti in passato su Taranto, da tempo inserita nell'elenco dei siti "ad elevato rischio ambientale": vivere gomito a gomito con la grande industria è più rischioso. Il teorema trova preciso riscontro, però, nello screening della popolazione tarantina e non solo. Un lavoro accurato che tiene conto anche dei differenziali sociali. Percentuali da brivido raccontano come vivere in quelle zone comporti rischi gravissimi. Che si acuiscono nelle categorie più svantaggiate, in cui i picchi di malattia e morte si impennano ulteriormente. Nello studio si esamina Taranto e i suoi quartieri, ma anche i comuni di Massafra e Statte. Così sono stati contemplati nella ricerca oltre 321.000 abitanti della provincia ionica (157.000 uomini e 164.000 donne).Il risultato è che a Taranto, ed in particolare nei rioni che confinano con la zona industriale, ma anche a Statte, ex borgata del capoluogo, ci si ammala di più di tumore, in particolare stomaco, laringe, polmone e vescica. Ma eccessi rilevanti si registrano per patologie cardiovascolari, respiratorie e dell'apparato digerente. "Anche dopo aver tenuto conto del livello socio economico  -  scrivono i ricercatori  -  sono emersi tassi di mortalità e ospedalizzazione più elevati per alcune patologie per i residenti nelle aree più vicine alla zona industriale: Tamburi, città vecchia, Porta Napoli e Lido Azzurro, Borgo, Paolo VI e Statte. I quartieri più vicini alla zona industriale  -  concludono gli studiosi  -  presentano un quadro più compromesso rispetto a tutte le altre zone prese in considerazione nel lavoro di studio".Nel quartiere Paolo VI, in cui peraltro risiedono moltissime famiglie di operai dell'Ilva, gli uomini sono colpiti di più da tumori maligni, con un impressionante +42%, specialmente al pancreas e al polmone, e da patologie cardiovascolari con un +28%. Le donne dello stesso quartiere si ammalano di tumore al fegato, e soffrono di patologie cardiovascolari e dell'apparato digerente. Ai Tamburi si è inquadrato un eccesso negli uomini di tumori maligni, specie alla prostata, mentre nelle donne c'è un evidente eccesso di malattie cardiovascolari e renali. Queste cifre raccontano di una situazione compromessa con la quale i tarantini si erano abituati a convivere quasi con rassegnazione. Sino alla svolta decretata dal gip Todisco con il sequestro finalizzato allo stop all'inquinamento sparato sulla città dall'area a caldo dell'Ilva.

La Repubblica – 20 settembre 2012

Ilva, Clini: "Manipolati i dati su tumori" E anche Bonelli querela il ministroIl ministro torna sulla polemica con i Verdi, dopo la querela contro Bonelli che risponde con una analoga iniziativa. Sulla guerra dei numeri interviene l'Iss: "Stiamo aggiornando i dati sulle morti al 2009"

Querele incrociate tra Clini-Bonelli, nella guerra dei numeri sulla mortalità a Taranto, con il ministro accusato di nascondere i dati e l'ambientalista chiamato a rispondere di diffamazione. "Sui dati sanitari di Taranto non c'è nulla di segreto, nulla di nascosto. L'unica cosa evidente è che si stanno manipolando con grande spregiudicatezza dati incompleti e si sta creando una pressione sulla popolazione e sulle autorità. Abbiamo bisogno di responsabilità". Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini torna sulla polemica sollevata dai Verdi che riguarda i dati del monitoraggio dell'Iss denominato Sentieri e riferiti agli anni 2003-2008: dati contenuti in un allegato alla perizia epidemiologica che ha portato al sequestro degli impienti dello stabilimento e "nascosti dal ministro", secondo le accuse di Bonelli, querelato dal ministro.Si tratta di cifre diffuse ieri da Peacelink e dal presidente dei Verdi che mostrerebbero un aumento delle patologie tumorali nell'area dell'Ilva che in alcuni casi raggiungono il 300 per cento, con una mortalità del più 10 per cento. Dati contestati da Clini: "ancora non ufficiali". Nella diatriba però interviene l'Istituto superiore di sanità con una nota in cui precisa che "il posticipo della pubblicazione dei dati dell'analisi della mortalità a Taranto nel periodo 2003-2008, è stata decisa per completare l'analisi, in corso un aggiornamento che comprende anche l'anno 2009". 

IL BRACCIO DI FERRO CLINI-BONELLI

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"Non c'è nessuno oggi - aggiunge Clini - che, sulla base dei dati disponibili, può dire che c'è una relazione causa-effetto in particolare tra le attività industriali attuali dell'Ilva e lo stato di salute della popolazione. L'estrapolazione di un'osservazione epidemiologica richiede estrema cautela" perché - spiega il ministro - "in una zona come quella di Taranto che ha avuto cinquant'anni di industrializzazione sviluppatasi quasi in assenza di regole ambientali, è assolutamente atteso che ci sia un eccesso di patologie legate all'inquinamento". Per Clini le informazioni fornite dall'Iss e i dati già pubblicati e presentati nei giorni scorsi "mettono in evidenza che c'è ancora da lavorare su perché sono dati aggregati, che non consentono in maniera chiara di stabilire un nesso di causualità". Per esempio, ha spiegato il ministro, "il numero relativamente elevato di mesoteliomi della pleura, cioè di tumori legati all'amianto, potrebbe essere stato provocato dall'attività del cantiere navale dell'arsenale di Taranto, che ha operato per trent'anni in città: sono malattie che hanno un tempo di latenza di 30-40 anni". Allora, "poiché il tema che abbiamo di fronte urgente è quello l'Ilva, l'idea di ricondurre tutte queste problematche evidenziate sulla salute all'Ilva è una estrapolazione non corretta dal punto di vista tecnico".LA PRECISAZIONE DEL ISSNella prima decade di ottobre ci sarà una presentazione delle ultime 'evidenze' scientifiche disponibili, fanno sapere dall'Iss, aggiornamenti che arrivano a comprendere appunto il 2009 e che tengono conto del contributo alla mortalità attribuibile alla "deprivazione socioeconomica", che nei siti inquinati italiani è più elevata rispetto al livello medio rilevato nelle rispettive regioni di appartenenza (analogamente a quanto si osserva in altri paesi europei e negli Usa). "Sono queste le ragioni - si legge nella nota dell'Istituto - che ci hanno indotto a posticipare la presentazione dei dati: la pubblicazione, in primis, attraverso una rivista accreditata prima che attraverso gli organi di stampa, come è prassi nella comunità scientifica. La decisione - si precisa - presa di concerto con il ministero della Salute, è stata dettata dalla necessità di completare il percorso. Ciò, come è giusto che accada nelle sedi istituzionali, proprio nell'interesse della collettività, avrebbe garantito, un'informazione completa e non autoreferenziale che tenesse conto della complessità della lettura del dato". "La stima dell'impatto sanitario di un sito inquinato non è mai fondata su un'unica fonte, richiede un lavoro di valutazione di diverse fonti indipendenti di dati ambientali. Queste attività impegneranno l'Istituto nelle prossime settimane e una valutazione dell'insieme delle evidenze disponibili, come già annunciato dal Ministero, sarà presentata nella prima decade di ottobre".LA CONTROQUERELA "Perché il governo che dall'8 marzo 2012 aveva l'aggiornamento ufficiale del progetto Sentieri non l'ha reso pubblico? - domanda Bonelli in conferenza stampa - questa è la questione. Per me è inammissibile che non si dia pubblicizzazione a dati della pubblica amministrazione che riguardano la salute dei cittadini". "Ho dato mandato all'avvocato Andreozzi - aggiunge - di querelare il ministro Clini chiedendo un risarcimento danni per le affermazioni su di me e per l'immagine dei Verdi. Il risarcimento verrà devoluto alle famiglie delle vittime dei lavorati Ilva. Clini si dimetta".

La Repubblica – 20 settembre 2012

Taranto, bocciato dai custodi il piano investimenti dell'IlvaInadeguato rispetto all'obiettivo dell'azzeramento delle emissioni inquinanti. Ora spetta alla Procura dare il suo parere sia sul piano sia sull'istanza con la quale l'azienda chiede di conservare una minima capacità produttiva

di MARIO DILIBERTO. E' negativa, secondo indiscrezioni, la valutazione dei custodi giudiziari sul piano di investimenti immediati per risanare gli impianti sotto sequestro, consegnato dall'Ilva alla Procura venerdì scorso. I custodi hanno incontrato oggi il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, e i pm dell'inchiesta per disastro ambientale. Da quanto si apprende il piano di interventi presentato da Ilva è stato ritenuto inadeguato rispetto all'obiettivo dell'azzeramento delle emissioni inquinanti. "Aspettiamo che sia il procuratore della Repubblica di Taranto a pronunciarsi - dicono dall'Ilva - e a formalizzare la sua decisione. Per noi conta questo pronunciamento".I custodi giudiziari - gli ingegneri Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento - hanno consegnato a procuratore e pm inquirenti una nota scritta con la quale sostanzialmente bocciano il piano. Ora spetta alla Procura dare il suo parere sia sul piano sia sull'istanza allegata

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dall'Ilva con la quale si chiede di conservare una minima capacità produttiva che consenta all'azienda di poter fare ulteriori investimenti. Il sequestro degli impianti dell'area a caldo infatti, come stabilito nel decreto del gip e confermato dal tribunale del Riesame, è senza facoltà d'uso. Il parere negativo della Procura appare quasi scontato, visto che più volte, anche di recente, lo stesso procuratore ha ricordato che la mancanza di facoltà d'uso non prevede produzione; la decisione potrebbe già arrivare domani.In particolare, agli occhi dei magistrati,  è balzata la distanza siderale tra gli accorgimenti indicati dai custodi nel provvedimento firmato in azienda lunedì sera e la risposta di Ilva. I custodi, per esempio, hanno senza mezzi termini parlato dello spegnimento degli altiforni uno e cinque. La risposta dell'azienda, invece, è limitata alla fermata di Afo 1, già inserita nel programma di manutenzione del 2013 e alla realizzazione di impianti di depolverazione. Sulle cokerie i custodi hanno ordinato un intervento massiccio con spegnimento di quasi tutti i forni, fatta eccezione per quelli di due batterie. Ilva, di rimando, ha risposto con la fermata di due sole batterie, mentre altre due sono già in fase di ristrutturazione. Esempi chiari di una distanza che è sin troppo evidente. E che sarà tradotta nel parere negativo che tra oggi e domani i magistrati dovrebbero trasmettere alla cancelleria del gip Todisco.Ilva, braccio di ferro Clini-Bonelli: ecco i "dati aggiornati" sui tumori"Aggiornamento dell'analisi di mortalità del Sin (sito di interesse nazionale) di Taranto". E' l'allegato alla perizia epidemiologica depositata a marzo su cui si basa il sequestro degli impianti del siderurgico e su cui si sta consumando la guerra di numeri tra il ministro dell'Ambiente e il Verde, querelato da Clini. Il ministro parla di "dati manipolati e incompleti", Bonelli di volontà del ministro di nascondere cifre drammatiche ma ufficiali, dal momento che sono state fornite ai periti del tribunale di Taranto proprio dall'Istituto superiore della Sanità che porta avanti il progetto di monitoraggio denominato Sentieri

La Repubblica – 20 settembre 2012

Arrivano i tecnici per le coperture ma l'indotto piange: primi tagli

TARANTO - Fa capolino a Ilva, il vicepresidente della Paul Wurth Italia: rappresenta la società di ingegneria incaricata dal gruppo Riva di mettere a punto soluzioni tecnologiche per la copertura dei parchi minerari.Quelli, da sempre, indicati dai tarantini al pubblico ludibrio e, da due mesi a questa parte, finiti nell'occhio del ciclone della magistratura, che li sequestra. Arriva, Fabio Fabiola, all'indomani del «piano di investimenti immediati» - 400 milioni da spendere per rimettere le cose a posto nei prossimi quattro anni e mezzo - sbandierato dal capo della multinazionale dell'acciaio, Bruno Ferrante.La parte del leone la recitano «gli interventi previsti nei parchi», appunto. A Ilva, con l'aiuto della spa lussemburghese, immaginano di ingabbiarli. O, meglio, di progettare il modo migliore per farlo e ci vorranno non meno di quindici mesi. Questo impedirebbe alle polveri sottili soprattutto nelle giornate ventose, di alzarsi da montagne alte quindici metri per assediare, letteralmente, un quartiere come quello dei Tamburi, il più vicino alla fabbrica, nonché le narici di chi ci abita, compresi i bambini, obbligati dal sindaco Ippazio Stefàno a non giocare lungo le strade di un rione eternamente colorato di nero o rosso o marrone, dipende dai minerali spruzzati dal maestrale un po' dappertutto. «Sono anni che da Ilva ascoltiamo le parole "progettazione", "studi"... Siamo stanchi di sentire favole. Ecco perché anche il programma presentato l'altro giorno, è ridicolo» taglia corto Massimo Battista, uno dei fondatori del Comitato cittadini liberi e pensanti, ormai un must dopo l'assalto ai leader sindacali a bordo di un'Apecar trasmesso in diretta televisiva. «Stasera torneremo a riunirci. Saremo ospiti di un'associazione che si trova in via Santilli. Cambiamo sede tutte le volte che abbiamo la necessità di incontrarci, per discutere con la gente. Ma non amiamo pubblicizzare troppo questo genere di appuntamenti» racconta Battista, per metà misterioso, per metà guardingo. Racconta pure di «operai spaesati»: «Perché non riusciamo a capire che fine faremo. Non dobbiamo permettere che i Riva vadano via da Taranto». Potrebbe succedere? «In quel caso tocca al governo nazionalizzare l'acciaieria, come era prima del 1995, quando lo Stato la svendette proprio ai Riva per un pugno di soldi».

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Come stanno le cose, Ferrante ripete: «O produciamo o chiudiamo». L'ex prefetto di Milano non agita la clava dei licenziamenti, ma si limita a lasciarla intravedere. Tuttavia solo questo gesto getta nel panico i 12mila dipendenti. Con quelli dell'indotto, il numero s'impenna a 24mila. E le prime scosse cominciano a essere rilevate nell'ambito delle ditte-satellite di Santa Madre Ilva. Grida al «puro terrorismo psicologico» il segretario generale della Fillea-Cgil, Luigi Lamusta: Trombini, quella che tiene insieme la società per azioni Semat e la srl Edil Sider, «annuncia ferie forzate e poi il possibile ricorso alla cassa integrazione per tutti e 500 i lavoratori, impegnati all'interno dello stabilimento perché l'attività di edilizia vada avanti. Si tratta di due aziende storiche, che fino a ieri ricorrevano perfino allo straordinario». Lamusta fa sapere: «Già sono stati ritirati i mezzi e il personale che operavano nell'area a caldo di Ilva» (quella messa sotto chiave dai giudici, ndr ).Squilla, ed è la prima volta, «l'allarme occupazionale e sociale» come lo chiama il sindacalista, che aggiunge: «Il caso Alcoa rischia di impallidire rispetto a tutto il comparto delle costruzioni, metalmeccanico e delle imprese di pulizia che gravita attorno al siderurgico».L'altra faccia della medaglia, quella legata alla tutela della salute di chi vive da queste parti, la scopre Angelo Bonelli (Verdi), consigliere comunale nel capoluogo ionico. Scatta in contropiede e anticipa dati 2003-2008 che il ministro della Sanità Renato Balduzzi voleva pubblicizzare non prima del 12 ottobre: «In cinque anni sono stati registrati 2mila 288 decessi in più per tumori» rispetto alla media regionale calcolata dall'Istituto superiore di sanità: aumentano del 300 per cento i casi di mesotelioma e del 35 per cento le morti dei bimbi che non hanno nemmeno un anno di età o che (71 per cento), addirittura non avevano ancora lasciato il grembo materno.«La verità» sibila Bonelli «è che questi dati volevano farli conoscere nel momento in cui erano terminate (il 30 di questo mese, ndr) le procedure per la revisione dell'Aia all'Ilva. Ma non si possono prendere in giro così i cittadini».

La Repubblica – sezione Bari - 20 settembre 2012

No della Procura al piano dell'Ilva. Clini: "Autorizzazione spetta al ministero"Bocciata la proposta di interventi per il risanamento, ma il ministro rivendica la competenza sul rilascio delle autorizzazioni. "Pronti ad affrontare un eventuale conflitto con la magistratura". Lavoratori in presidio. Scontro Ferrante-sindacati. Smentito l'avvio di procedure di spegnimento. La denuncia: "Colate record, 80 solo ieri"

di MARIO DILIBERTO La Procura dopo i custodi del tribunale boccia il piano da 400 milioni di euro che l'Ilva è disposta a spendere per adeguare gli impianti, e Clini dice: "L'autorizzazione che consente all'Ilva l'esercizio degli impianti compete al ministero. Né il procuratore della Repubblica, né il gip, né il presidente del tribunale hanno l'autorità per autorizzare un impianto industriale. Nel caso in cui si creasse un conflitto o una divergenza - annuncia parlando di eventuali divergenze con la magistratura - credo dovrà essere assolutamente risolto secondo quanto prescritto dalla legge. Io so qual è il mio compito e conosco quelli della magistratura". E' sempre più incerto il futuro dello stabilimento siderurgico nel giorno in cui la procura ufficializza il no agli interventi che l'azienda si è detta disponibile ad attivare per abbattere le emissioni nocive e una cinquantina di lavoratori si sono riuniti in presidio sotto la direzione. Mobilitazione che ha dato vita a un botta e risposta tra il presidente Ferrante e i sindacati, che accusano i responsabili aziendali di "istigare alla rivolta contro la magistratura". IL NO DELLA PROCURA - E' negativo il parere della procura della Repubblica sul piano di interventi immediati presentato dall'azienda per garantire l'equilibrio tra tutela dell'ambiente e lavoro. "Il parere della procura è in linea con quello dei custodi"; gli incaricati del tribunale che avevano già bocciato le proposte del colosso perché inadeguate a garantire l'abbattimento delle emissioni. Sul piatto c'erano le centinaia di milioni di euro per ammodernare l’area a caldo e ottenere la facoltà d’uso di quei reparti a fini produttivi. Ma "gli interventi sono assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti", è stato scritto nella relazione tecnica. Per l’Ilva è una vera e propria batosta, anche perché i custodi hanno rilanciato le loro soluzioni che prevedono lo spegnimento di due altiforni, un’acciaieria e quasi tutti i forni della cokeria; oltre a richiamare Ferrante alla predisposizione di un piano per l'impiego del personale nelle opere di

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bonifica. E le brutte notizie per i magnati dell’acciaio non finiscono qui. Perché la procura dice "no" anche alla richiesta di facoltà d’uso, ancorché limitata, ai fini produttivi. Questo è uno dei nodi cruciali della strategia aziendale: "La fabbrica deve produrre per rendere sostenibili gli investimenti". L’istanza è costruita intorno a una considerazione del Tribunale sulla "garanzia per la strategica capacità produttiva dell’azienda". Il punto è controverso. Per dirimerlo il caso Ilva tornerà sulla scrivania del gip Patrizia Todisco, che ha disposto il sequestro del 26 luglio. E poiché da allora nulla è cambiato, il verdetto, atteso per la prossima settimana, appare scontato.LA POSIZIONE DEL MINISTRO - La posizione della magistra però dovrà misurarsi con quella del ministro Clini, pronto a rivendicare le proprie competenze. "Fra pochissimi giorni", dice Clini, saranno pronte le prescrizioni del ministero dell'Ambiente, che potranno, o meno, consentire l'attività dell'azienda. Riguardo all'esito di questa vicenda, il ministro ha detto di non essere "né fiducioso né pessimista. E' comunque il ministro dell'Ambiente ad avere per legge nazionale la responsabilità di autorizzare tale impianto ed è quello che sto facendo". "Entro la fine del mese - spiega ancora Clini - quindi fra pochissimi giorni, avrò il documento conclusivo della procedura e in questo fisserò le prescrizioni che il ministro deve dare per l'attività dell'azienda. Ricordo che né il procuratore della Repubblica, né il gip, né il presidente del tribunale hanno l'autorità per autorizzare un impianto industriale, per cui alla fine andremo a chiarire anche questa diatriba o questo conflitto che si potrebbe creare. Perché mentre la procura della Repubblica deve perseguire i reati, e deve farlo con rigore, le decisioni su come una fabbrica deve essere gestita - ha concluso Clini -, e quali sono le tecnologie che devono essere utilizzate sono di competenza dell'amministrazione".TENSIONE TRA I LAVORATORI - Il tutto mentre un centinaio di lavoratori dell'Ilva si sono radunati all'interno dello stabilimento, nell'area della direzione, sulla statale Appia, e protestano perché l'azienda avrebbe "iniziato a spegnere le luci e a interrompere l'erogazione dell'acqua nei reparti sottoposti a sequestro". Notizie smentite dall'azienda, ma che hanno dato il via a una polemica con il presidente Bruno Ferrante. Non solo. L'Ilva produrrebbe in questi giorni come non mai. "Ieri in azienda si è prodotto l'ennesimo record di 80 colate - ha denunciato Francesco Rizzo, della Unione sindacale di base (Usb)  - e oggi l'Ilva esercita pressioni sui lavoratori affinché scendano in piazza".SI RIACCENDE LA PROTESTA IN FABBRICA - Dalla manifestazione di oggi sotto la direzione dello stabilimento si è dissociata la Fim Cisl, spiegando che la protesta sarebbe stata incentivata dagli stessi responsabili aziendali. Dello stesso tenore le dichiarazioni del segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto Donato Stefanelli. "I capi stanno istigando alla rivolta contro la magistratura e i sindacati stanno dicendo cosa fare". Da parte sua, l'azienda smentisce categoricamente qualsiasi avvio di procedure di spegnimento o di chiusura nei reparti dell'area a caldo e il presidente Ferrante respinge al mittente le accuse: "Prendo la più assoluta distanza dalle parole del segretario della Fiom Cigl Donato Stefanelli che accusa l'azienda di voler istigare alla rivolta contro la magistratura. Sono accuse irricevibili e infondate  e sono francamente sorpreso per un utilizzo di parole così gravi, data la delicatezza della situazione che stiamo vivendo"."RECORD DI COLATE" - Rizzo, che denuncia come la produzione prosegua a ritmi più che sostenuti, spiega di volersi "dissociare da queste manifestazioni, create ad arte attraverso l'arma del ricatto occupazionale nei confronti dei lavoratori, della città e della magistratura". "Il piano che l'Ilva ha presentato - sottolinea - è lacunoso e deficitario, sia dal punto di vista economico che da quello tecnico. Con la stessa celerità con cui la famiglia Riva ha risposto quando si è trattato di diventare azionisti di Alitalia, dovrebbe ora presentare tutti gli interventi necessari a dare una risposta agli interrogativi posti dalla magistratura e dalla città di Taranto".

La Repubblica – 21 settembre 2012

Bocciato il piano dell'Ilva

TARANTO - MARIO DILIBERTO - Niet su tutta la linea.Resta acceso il semaforo rosso per l'Ilva, il colosso siderurgico di Taranto. I custodi giudiziari hanno bocciato il piano di investimenti da 400 milioni di euro presentato in procura dalla proprietà. Un crono-programma di interventi nell'area a caldo dello stabilimento, formalmente sotto sequestro dallo scorso 26 luglio.

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Quegli impianti sono la fonte dell'inquinamento che fa ammalare e uccide i tarantini, dicono i periti. Ma anche i pubblici ministeri che da quasi due mesi tengono ai domiciliari Emilio Riva, l'anziano re dell'acciaio, e suo figlio Nicola.L'accusa è di disastro ambientale, per le emissioni inquinanti di sei reparti, tutti sotto chiave.Sulla fabbrica da oltre undicimila operai spira una violenta burrasca giudiziaria, che il presidente di Ilva, l'ex prefetto Bruno Ferrante, sta tentando di arginare. Tre giorni fa proprio lui aveva presentato quel piano che doveva rivelarsi una ciambella di salvataggio. Sul piatto 400 milioni di euro per ammodernare l'area a caldoe ottenere la facoltà d'uso di quei reparti a fini produttivi.Ma l'investimento milionario si è infranto sul muro eretto dai custodi, braccio tecnico della procura in questa delicata partita. Il secco no è contenuto nella relazione consegnata ieri pomeriggio al procuratore capo Franco Sebastio. «Gli interventi sono assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti», sostengono i tre ingegneri. Per l'Ilvaè una verae propria batosta. Anche perché i custodi hanno rilanciato le loro soluzioni che prevedono lo spegnimento di due altiforni, un'acciaieria e quasi tutti i forni della cokeria. Interventi che monetizzati valgono cifre a nove zeri. Un conto salatissimo che spinge il segretario nazionale della Uilm, il tarantino Rocco Palombella, a dire: «Ora i Riva potrebbero anche pensare di lasciare Taranto». E le brutte notizie per i magnati dell'acciaio non finiscono qui. Perché la procura dice «no» anche alla richiesta di facoltà d'uso, ancorché limitata, ai fini produttivi.Questo è uno dei nodi cruciali della strategia aziendale, arroccata su quanto dichiarato da Ferrante. «La fabbrica deve produrre per rendere sostenibili gli investimenti», va ripetendo a ogni occasione. L'istanza è costruita intorno ad una considerazione del Tribunale sulla «garanzia per la strategica capacità produttiva dell'azienda». Il punto è controverso.Per dirimerlo il caso Ilva tornerà sulla scrivania del gip Patrizia Todisco, che ha disposto il sequestro del 26 luglio. E poiché da allora nulla è cambiato, il verdetto, atteso per la prossima settimana, appare scontato.Intanto nella capitale non si placa il durissimo scontro tra il Ministro dell'ambiente Corrado Clini e il leader dei Verdi Angelo Bonelli, con tanto di minaccia incrociata di querela. Il conflitto è sulla diffusione dei dati record di mortalitàe di tumori registrati nei quartieri della città che vivono gomito a gomito con le ciminiere, pubblicati anche dalla rivista dell'associazione italiana di epidemiologia. In quei rioni si muore per tutte le cause dall'8 al 27% in più, mentre l'aumento di tumori maligni si attesta tra il 5 e il 42%, per le malattie cardiovascolari tra il 10 e il 28% e per le malattie respiratorie tra l'8 e il 64%.

La Repubblica – 21 settembre 2012

Piano Ilva bocciato, ora è guerra di nervi

TARANTO - MARIO DILIBERTO - GUERRA di nervi sul destino dell' Ilva. I custodi giudiziari hanno bocciato il piano dell' azienda da quattrocento milioni di euro: è inadeguato ad azzerare le emissioni inquinanti che hanno portato al sequestro di sei reparti dell' area a caldo dello stabilimento. I tre custodi hanno riproposto l' elenco di interventi notificato lunedì sera, fra cui lo spegnimento di due altiforni, di gran parte dei forni delle batterie della cokeria e la chiusura di un' acciaieria. Ma c' è attesa anche per quello che deciderà il gip Patrizia Todisco, il magistrato che ha disposto il sequestro lo scorso 26 luglio. Alla sua attenzione giungerà oggi la richiesta di Ilva di parziale facoltà d' uso dei sei impianti sotto sequestroa fini produttivi. La competenza del gip è stata oggetto di confronto in procura, e alla fine si è convenuto sul fatto che l' istanza dell' azienda puntaa modificare il provvedimento di sequestro. Sarà una pausa ricca di tensione quella che accompagnerà la scottante inchiesta sull' inquinamento prodotto dal colosso dell' acciaio. Perché bisognerà attendere la prossima settimana per conoscere gli effetti di importanti prese di posizione maturate nelle ultime ventiquattro ore. I custodi giudiziari hanno bocciato formalmente il piano di investimenti prodotto dai tecnici dell' azienda. Quel piano da quattrocento milioni di euro è inadeguatoa garantire l' azzeramento delle emissioni inquinanti che hanno portato al sequestro di sei reparti dell' area a caldo dello stabilimento. Ma oltre al drastico no, i tre custodi hanno riproposto il lunghissimo elenco di interventi notificato all' Ilva lunedì sera. Nella serie di prescrizioni spicca lo spegnimento di due altiforni, di gran parte dei forni delle batterie della cokeria e la chiusura di un' acciaieria. Oltre alla copertura del reparto Gestione rifiuti ferrosi. "Si fa presente

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- hanno scritto nel provvedimento i custodi - che è onere del presidente di Ilva, anche nella sua veste di custode ed amministratore di disporre un piano operativo di gestione del personale che permetta la veloce realizzazione delle attività ai fini delle innumerevoli necessità di risanamento degli impianti". Insomma dare esecuzione al durissimo piano spetta proprio all' Ilva. Ora, quindi, occorrerà attendere per vedere se l' azienda appronterà un piano per concretizzare quelle che vengono chiamate "disposizioni operative di servizio da attuare immediatamente al fine di garantire la cessazione dell' attività criminosa in corso e delle emissioni inquinanti". Se Ilva non dovesse provvedere, la palla tornerebbe ai custodi e di rimbalzo ai pubblici ministeri. In quel caso l' esecuzione materiale del sequestro richiederebbe un intervento tecnico esterno all' azienda con la spada di Damocle del dover garantire la salvaguardia di impianti dai costi milionari. Ma c' è attesa anche per quello che deciderà il gip Patrizia Todisco, il magistrato che ha disposto il sequestro lo scorso 26 luglio. Alla sua attenzione giungerà oggi la richiesta di Ilva di parziale facoltà d' uso dei sei impianti sotto sequestro a fini produttivi. La competenza del gip è stata oggetto di confronto in procura, e alla fine si è convenuto sul fatto che l' istanza degli avvocati dell' azienda punta ad una modifica del provvedimento di sequestro, che non prevedeva in nessuna parte la facoltà d' uso. Vista così è apparso naturale girare la richiesta al giudice che ha firmato la prima decisione che dal 26 luglio in realtà è rimasta sulla carta. Il gip Todisco sarà in ferie sino a sabato e rientrerà nel suo ufficio lunedì. Il suo verdetto giungerà entro la settimana.

La Repubblica – Sezione Bari - 21 settembre 2012

Bocciato il piano dell' Ilva Investimenti inadeguati Torna l' incubo chiusura

TARANTO - Niet su tutta la linea. Resta acceso il semaforo rosso per l' Ilva, il colosso siderurgico di Taranto. I custodi giudiziari hanno bocciato il piano di investimenti da 400 milioni di euro presentato in procura dalla proprietà. Un crono-programma di interventi nell' area a caldo dello stabilimento, formalmente sotto sequestro dallo scorso 26 luglio. Quegli impianti sono la fonte dell' inquinamento che fa ammalare e uccide i tarantini, dicono i periti. Ma anche i pubblici ministeri che da quasi due mesi tengono ai domiciliari Emilio Riva, l' anziano re dell' acciaio, e suo figlio Nicola. L' accusa è di disastro ambientale, per le emissioni inquinanti di sei reparti, tutti sotto chiave. Sulla fabbrica da oltre undicimila operai spira una violenta burrasca giudiziaria, che il presidente di Ilva, l' ex prefetto Bruno Ferrante, sta tentando di arginare. Tre giorni fa proprio lui aveva presentato quel piano che doveva rivelarsi una ciambella di salvataggio. Sul piatto 400 milioni di euro per ammodernare l' area a caldoe ottenere la facoltà d' uso di quei reparti a fini produttivi. Ma l' investimento milionario si è infranto sul muro eretto dai custodi, braccio tecnico della procura in questa delicata partita. Il secco no è contenuto nella relazione consegnata ieri pomeriggio al procuratore capo Franco Sebastio. «Gli interventi sono assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti», sostengono i tre ingegneri. Per l' Ilvaè una verae propria batosta. Anche perché i custodi hanno rilanciato le loro soluzioni che prevedono lo spegnimento di due altiforni, un' acciaieria e quasi tutti i forni della cokeria. Interventi che monetizzati valgono cifre a nove zeri. Un conto salatissimo che spinge il segretario nazionale della Uilm, il tarantino Rocco Palombella, a dire: «Ora i Riva potrebbero anche pensare di lasciare Taranto». E le brutte notizie per i magnati dell' acciaio non finiscono qui. Perché la procura dice «no» anche alla richiesta di facoltà d' uso, ancorché limitata, ai fini produttivi. Questo è uno dei nodi cruciali della strategia aziendale, arroccata su quanto dichiarato da Ferrante. «La fabbrica deve produrre per rendere sostenibili gli investimenti», va ripetendo a ogni occasione. L' istanza è costruita intorno ad una considerazione del Tribunale sulla «garanzia per la strategica capacità produttiva dell' azienda». Il punto è controverso. Per dirimerlo il caso Ilva tornerà sulla scrivania del gip Patrizia Todisco, che ha disposto il sequestro del 26 luglio. E poiché da allora nulla è cambiato, il verdetto, atteso per la prossima settimana, appare scontato. Intanto nella capitale non si placa il durissimo scontro tra il Ministro dell' ambiente Corrado Clini e il leader dei Verdi Angelo Bonelli, con tanto di minaccia incrociata di querela. Il conflitto è sulla diffusione dei dati record di mortalitàe di tumori registrati nei quartieri della città che vivono gomito a gomito con le ciminiere, pubblicati anche dalla rivista dell' associazione italiana di epidemiologia. In quei rioni si muore per tutte le cause dall' 8 al 27% in più, mentre l' aumento di tumori maligni si attesta tra il 5 e il 42%, per le malattie cardiovascolari tra il 10 e il 28% e per le malattie respiratorie tra l' 8 e il 64%.

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La Repubblica – 21 settembre 2012

Stop confermato, Ilva aizza «i fedeli»

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Il futuro «modello di sviluppo» somiglia all'inferno tarantino: nessun ostacolo per l'impresa, nessun diritto per il lavoro, cura ambientale zero Anche la Procura boccia il piano di risanamento presentato da Ferrante. Un gruppo di dipendenti accenna alla protesta contro i magistrati, tutte le sigle sindacali si dissociano. Silenzio UilL'Ilva è una polveriera. La scintilla che ha riacceso il fuoco che cova sotto la cenere dallo scorso 26 luglio, quando il Gip Todisco firmò il sequestro preventivo di sei aree del siderurgico, è stata la notizia - scontata - del parere negativo depositato dalla Procura della Repubblica sul piano di adeguamento ambientale degli impianti presentato dall'azienda venerdì scorso. Cui era allegata l'istanza in cui l'Ilva chiedeva di poter mantenere una «minima» capacità produttiva per non disattivare completamente gli impianti.La Procura non ha fatto altro che confermare la relazione depositata dai tre custodi-amministratori giudiziari giovedì, in cui veniva bocciato il piano Ilva, confermando come l'unico modo per eliminare del tutto le emissioni inquinanti sia quello di seguire le disposizioni che prevedono il loro spegnimento e rifacimento(cokerie e altiforni in primis), notificate all'azienda lunedì scorso.«Il parere della Procura è in linea con quello dei custodi» si legge nel documento dei magistrati. Che sottoscrivono quanto relazionato dai custodi, che avevano giudicato gli interventi proposti dell'azienda «assolutamente inadeguati per fermare le emissioni inquinanti dagli impianti» e richiamato il presidente Ilva, Bruno Ferrante, nel suo ruolo di «custode amministrativo», alla predisposizione di un piano per l'impiego del personale nelle opere di risanamento degli impianti e bonifica delle aree sequestrate.La Procura ha espresso parere negativo anche per quanto concerne l'uso degli impianti ai fini produttivi, anche se l'azienda lo ritiene necessario per rendere sostenibili gli investimenti. La sua tesi è che il tribunale del Riesame, parlando di «salvaguardia degli impianti visti gli enormi interessi in gioco», sottintenda in realtà una presunta facoltà d'uso. Dimentica però che i giudici del tribunale anteponeva a ciò il risanamento degli impianti, perché prioritaria è l'eliminazione delle emissioni diffuse e fuggitive provenienti proprio da quegli impianti. L'ultima parola però, spetta al Gip Todisco, che si esprimerà tra oggi e lunedì.Ma la presa di posizione della Procura ha avuto anche il «merito» di acuire lo scontro tra i sindacati metalmeccanici. Sin dalle prime ore di ieri infatti, un centinaio di lavoratori si sono radunati all'interno dello stabilimento, nell'area della direzione, protestando perché l'azienda avrebbe «iniziato a spegnere le luci e a interrompere l'erogazione dell'acqua nei reparti sottoposti a sequestro». Smentita dell'azienda, ma via libera ad una serrata polemica con il presidente Ferrante. Il primo attacco é arrivato da Francesco Rizzo, delegato dell'Unione sindacale di base (Usb), che ha accusato l'Ilva di produrre in questi giorni come mai avvenuto prima d'ora. «Ieri in azienda si è prodotto l'ennesimo record di 80 colate e oggi l'Ilva esercita pressioni sui lavoratori affinché scendano in piazza».Dalla manifestazione si è dissociata anche la Fim Cisl, sostenendo che la protesta sarebbe stata incentivata dagli stessi responsabili aziendali. Ancora più duro il segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto, Donato Stefanelli. «I capi stanno istigando alla rivolta contro la magistratura e i sindacati stanno dicendo cosa fare». Riferimento fin troppo chiaro alla Uilm Uil, stranamente silente ieri, da anni il sindacato più rappresentato nel siderurgico. Poco dopo, Ferrante ha respinto le accuse con una nota ufficiale: «Prendo la più assoluta distanza dalle parole del segretario della Fiom Cigl Stefanelli. Sono accuse irricevibili e infondate». In serata, è arrivata la controreplica di Stefanelli, che oltre a confermare le sue accuse, ha specificato che si riferiva «a quello che è il governo ombra in azienda rispetto al governo ufficiale e a cose che in questi mesi abbiamo riferito a Ferrante direttamente».A soffiare ulteriormente sul fuoco, ci ha pensato il ministro dell'Ambiente Corrado Clini. Dopo aver annunciato che fra pochi giorni saranno pronte le prescrizioni del ministero dell'ambiente per la nuova «Aia», che potranno o meno consentire l'attività dell'azienda, il ministro ha lanciato il guanto di sfida alla magistratura. «L'autorizzazione per l'esercizio degli impianti compete al ministero. Né il

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procuratore della Repubblica, né il Gip, né il presidente del tribunale hanno l'autorità per autorizzare un impianto industriale». Nel caso in cui si creasse un conflitto o una divergenza con la magistratura, per Clini il caso «dovrà essere risolto secondo quanto prescritto dalla legge. Io so qual è il mio compito e conosco quelli della magistratura».

Il Manifesto 21 settembre 2012

Parte la class action contro l'Ilva. "Contesteremo anche l'omicidio""I responsabili sapevano, come sapevano quelli della Thyssenkrupp. Lo dicono i giudici". Via all'azione legale per danni dei cittadini contro il colosso, già implicato in un processo per le morte per amianto di 15 operai in cui sono a processo Riva e altri 28

di MARIO DILIBERTO. Class action contro l'Ilva. Per danni e per omicidio, perché "così come sapevano i vertici della Thyssenkrupp, così quelli del siderurgico erano a conoscenza dei mali provocati dallo stabilimento". Aleggia lo spettro dell'accusa di omicidio volontario, proprio come a Torino, sui vertici della grande fabbrica dell'acciaio. L'accostamento nasce da quanto sostiene l'avvocato tarantino Giuseppe Lecce, che si appresta a presentare una class action contro i vertici dello stabilimento ionico. L'idea di chiedere alle vittime dell'inquinamento di costituirsi in giudizio contro l'Ilva era già stata prospettata dal leader dei Verdi Angelo Bonelli che ha messo a disposizione un pool di legali pronto a fornire assistenza gratuita.L'accusa di omicidio, anche se colposo, in realtà già è al centro di un processo a carico di Ilva e dei responsabili della fabbrica all'epoca della siderurgia di Stato. In quel processo 29 imputati tra cui Emilio Riva sono chiamati a rispondere della morte di 15 operai deceduti per l'esposizione all'amianto. Tra qualche mese si tornerà in aula, come ha ricordato nelle settimane scorse il procuratore generale di Lecce, Giuseppe Vignola. Il riferimento al caso Thyssen balza agli occhi nel momento in cui il legale formula l'ipotesi di un'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale da contestare ai responsabili dello stabilimento, nell'ambito dell'indagine per disastro ambientale. Il percorso, in realtà, da questo punto di vista appare arduo, dato che l'inchiesta Ilva ruota sulla  connessione tra inquinamento, malattia e morte, ma non è possibile individuare e identificare le vittime. Mentre nel caso della Thyssen le vittime avevano un nome ed un cognome.L'iniziativa della class action è dello studio legale al quale si sono rivolti dieci tarantini che intendono fare causa al colosso dell'acciaio per il risarcimento dei "danni materiali, fisiologici, biologici ed esistenziali" provocati dall'attività della fabbrica. L'azione risarcitoria sarà accompagnata dalla richiesta di sequestro conservativo di beni mobili e immobili dei vertice dell'azienda. "La nostra azione  -  spiega l'avvocato  -  parte da un dato di evidenza solare. Questa fabbrica ha provocato dolore e danni. Ora è giusto che chi ha commesso errori paghi". A lui si sono rivolti persone malate e familiari di persone decedute per patologie legate all'inquinamento. Ma tra i firmatari della class action ci sono anche diportisti e commercianti, come il titolare di un vivaio, la cui attività si trova lungo il tragitto dei nastri trasportatori che trasferiscono il minerale nel gigantesco parco della fabbrica.Tutti, per motivazioni differenti, ritengono di essere stati danneggiati dall'Ilva. "Lavoro e salute devono e possono coesistere"  -  ha detto il legale che si appresta a depositare in Tribunale il primo atto della crociata giudiziaria. "E' chiaro  -  ha aggiunto - che la nostra attività farà affidamento sugli esiti dell'inchiesta giudiziaria condotta dalla procura per disastro ambientale". Nella parte conclusiva del suo atto, poi, il legale si sofferma sulle contestazioni rivolte agli inquisiti e ipotizza che possano essere allargate a quelle di omicidio volontario con dolo eventuale."Le ipotesi accusatorie formalizzate dalla Procura e successivamente convalidate dal gip  -  scrive il legale nell'atto che si appresta a depositare in tribunale - hanno retto al vaglio del Tribunale del riesame che ha confermato gli arresti nei confronti dei legali rappresentanti dell'Ilva; in particolare, nella motivazione del Tribunale del riesame vi è un passaggio molto interessante dal quale emerge in modo inequivocabile come i legali rappresentanti dell'Ilva, fossero pienamente consapevoli che l'attività produttiva nel suo complesso e nella sua organizzazione di mezzi e tecniche fosse esercitata in piena violazione delle leggi in materia di sicurezza ed inquinamento. L'Ilva  -  scrive ancora l'avvocato Giuseppe Lecce - avrebbe coscientemente risparmiato sulla sicurezza degli impianti omettendo di apprestare o predisporre dispositivi tali da contenere entro i limiti previsti l'emissione di gas, fumi, polveri ed esalazioni e quindi ha inquinato con la consapevolezza che tale

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attività industriale avrebbe potuto cagionare la morte sia dei lavoratori che dell'intera collettività. Pertanto  -  conclude -  non appare inconferente poter sostenere che i legali rappresentanti dell'Ilva debbano rispondere di omicidio volontario con dolo eventuale, avendo deliberatamente inquinato accettando il rischio che tale attività avrebbe potuto cagionare anche la morte".

La Repubblica – 22 settembre 2012

Ilva, un anno di crisi, coinvolti altri 170 lavoratoriOggi vertice con i sindacati. L'azienda pensa a nuovi contratti di solidarietà

di NADIA CAMPINI. Mentre incombe minacciosa sul futuro anche di Cornigliano la decisione della magistratura di Taranto, attesa per questa settimana, la crisi continua a picchiare duro sull'acciaio e oggi a Genova sindacati e direzione Ilva torneranno ad incontrarsi in Confindustria, per discutere la proroga per il terzo anno consecutivo dei contratti di solidarietà. Secondo indiscrezioni l'azienda potrebbe chiedere anche un'ulteriore ampliamento della platea dei lavoratori coinvolti. Oltre ai 954 già oggi interessati su un organico di 1.760 il provvedimento dovrebbe arrivare a riguardare nel 2013 150 se non 170 lavoratori in più di quelli attuali, arrivando così a quota 1100 circa. Questo ammortizzatore sociale ha permesso per altro di traguardare senza eccessivi danni per i lavoratori la pesantissima crisi economica che si è abbattuta sul settore proprio mentre a Genova si stava realizzando l'accordo sulla riconversione dell'impianto siderurgico dal caldo al freddo. Risale ormai al 2005 la chiusura dell'altoforno, arrivata anche qui dopo un'ordinanza della magistratura che aveva disposto il sequestro della cokeria, ma a Genova lo scoglio è stato faticosamente superato con un Accordo di programma che ha permjesso la salvaguardia dell'occupazione e un investimento di 700 milioni di euro da parte del gruppo Riva per abbattere i vecchi impianti inquinanti e sostituirli con nuovi impianti a freddo. Oggi quegli investimenti sono praticamente completati, la zincatura 4, l'ultimo pezzo importante di quel piano industriale, è in fase di collaudo e pronta ad essere messa in attività, ma molto probabilmente marcerà, se marcerà, solo a ritmi molto ridotti, perché al momento la crisi è ancora lontano dall'essere superata. Solo nelle ultime settimane c'è stato un lieve aumento di richieste di produzione, ma è dovuto ad un fatto che in fabbrica considerano negativo: a fronte del rischio di uno stop della produzione, se i magistrati di Taranto dovessero arrivare a disporre la chiusura senza alternative degli impianti in Puglia, diversi clienti hanno pensato di aumentare le scorte, in modo da non doversi trovare a fare i conti con l'impossibilità di rifornirsi di materiale da un giorno all'altro, visto che l'Ilva è il principale produttore dell'acciaio che serve a rifornire l'industria dell'auto italiana, oltre a quella degli elettrodomestici e quella conserviera.A Genova ogni settimana arrivano tre-quattro navi di rotoli da Taranto che vengono poi lavorati negli impianti di Cornigliano. Se si fermasse la produzione in Puglia inevitabilmente si bloccherebbe la lavorazione anche a Cornigliano, come pure a Novi Ligure. E a Genova si vive col fiato sospeso e gli occhi puntati a Taranto. "E' evidente che lo stabilimento di Taranto necessita di una bonifica approfondita e che ci sono stati dei ritardi su questo fronte  -  rileva Franco Grondona, segretario generale della Fiom ligure  -  ma qualsiasi bonifica ha bisogno di soldi e di tempo. Se i soldi messi in programma dall'azienda sono insufficienti, bisogna chiedere che ne vengano investiti di più, ma il tempo resta comunque un elemento dal quale non si può prescindere". E su questo orientamento sembra concordare anche il governo. Ieri infatti a Lipari il ministro dell'Ambiente Corrado Clini ha sottolineato che "la competenza sull'Ilva di Taranto è del nostro ministero. La magistratura dovrà tenere conto del nostro operato. Entro un mese definiremo tutto e in tal senso voglio tranquillizzare i lavoratori".

La Repubblica – 24 settembre 2012

Protesta a 60 metri sull'altoforno

Un gruppo di operai è salito ieri sera a circa 60 metri di altezza sulle passerelle dei nastri di carica dell'altoforno 5 dell'Ilva. Gli operai - 5 secondo l'azienda, una quindicina secondo altri - intendono passare lì la notte. I lavoratori si sono issati sulla cosiddetta torretta di smistamento dell'Afo5, tra il

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nastro 11 e il nastro 12 dove avviene il caricamento dell'impianto. Per questo altoforno, secondo le disposizioni impartite dai custodi giudiziari il 17 settembre, è previsto lo spegnimento e il completo rifacimento per risanare l'impianto. Stessa cosa è prevista per l'Afo1, mentre per il 3 sono previste la dismissione e la bonifica o, in alternativa, il suo completo rifacimento. Oggi è attesa la decisione della gip Patrizia Todisco sulla richiesta dell'Ilva di consentire una minima capacità produttiva nonostante il sequestro della maggior parte degli impianti strategici. Mentre ieri La Procura di Taranto ha chiesto alla gip la revoca di Bruno Ferrante da custode dell'Ilva. Stessa richiesta è stata fatta dai custodi giudiziari che hanno la responsabilità delle aree sotto sequestro, per il conflitto di ruoli tra Ferrante custode e Ferrante presidente dell'Ilva.

Il Manifesto 26 settembre 2012

Una piazza divisa in dueGIANMARIO LEONE – TARANTO. Decine di operai aderiscono allo sciopero filo-aziendale di Uil e Cisl e bloccano la città. Contro-corteo di altri lavoratori e cittadini in difesa del lavoro ma anche della salute La protesta indetta dopo che il gip Todisco ha bocciato il piano di risanamento dell'azienda. Che annuncia ricorsoUn'altra giornata di passione. Come annunciato mercoledì, Fim Cisl e Uilm Uil hanno dato il via allo sciopero di 48 ore a partire dalle 7 di ieri mattina, in concomitanza con il primo turno di lavoro degli operai Ilva. Riprendendo come forma di lotta i blocchi delle strade statali 7 Appia e 106, con il passaggio consentito solo ai mezzi di emergenza e pronto soccorso, che dureranno sino alle 7 di oggi, quando terminerà lo sciopero a cui non ha aderito la Fiom Cgil, che ha invano invitato Fim e Uilm a dar vita ad assemblee all'interno della fabbrica, evitando manifestazioni e scioperi dallo scopo poco chiaro. In effetti, non si capisce contro chi o cosa sia stato indetta la mobilitazione: la motivazione, alquanto vaga, è stata quella di «richiamare l'attenzione sulla possibilità di una forte riduzione dei livelli occupazionali».Strano però, che ciò avvenga il giorno dopo il provvedimento del gip del tribunale di Taranto, Patrizia Todisco, che ha bocciato il piano di risanamento dell'azienda e ribadito la non facoltà d'suo degli impianti ai fini della produzione. Gli unici momenti di tensione si sono vissuti quando il comitato «Cittadini e operai liberi e pensanti», ha provato ad instaurare un dialogo con i lavoratori in sciopero, tentando di convincerli che la vera mobilitazione debba avvenire all'interno della fabbrica e contro il Gruppo Riva, reo di non voler investire quelle risorse che potrebbero consentire all'Ilva di produrre acciaio «pulito», o quanto meno di ridurre drasticamente l'impatto ambientale delle emissioni del siderurgico sull'ambiente e sulla salute di lavoratori e cittadini: ammesso e non concesso che ciò sia realmente possibile. Qualche piccolo battibecco, un paio di spintoni, ma alla fine il confronto c'è stato: seppur vivace, un contributo importante in un momento in cui, oltre alla spaccatura tra i sindacati metalmeccanici e gli stessi operai, si registra il silenzio assordante delle istituzioni locali, in tutt'altro affaccendate per via dell'accorpamento della provincie di Taranto e Brindisi. Ma le manifestazioni sono andate oltre ai semplici blocchi. All'interno del siderurgico infatti, alcuni operai sono saliti sul gasometro della centrale termoelettrica per apporre uno striscione con la scritta «il lavoro non si tocca»; così come sono proseguiti i presidi sugli altiforni 1 e 5 e sul camino E312. Probabilmente, anche se la decisione non è ancora stata presa, Cisl e Uil lunedì manifesteranno a Roma.Intanto, nel pomeriggio, il presidente del Cda dell'Ilva Bruno Ferrante ha incontrato i sindacati metalmeccanici, ai quali ha confermato la volontà dell'azienda di presentare ricorso contro l'ultimo provvedimento del gip (non ancora notificato all'azienda): quasi certamente si tratterà della richiesta di un incidente di esecuzione al tribunale del Riesame. Ferrante però, è andato oltre quest'annuncio: molto oltre. Al Gruppo Riva infatti, non sono affatto piaciute le parole utilizzate dal gip nel provvedimento di mercoledì, nel quale ha definito l'atteggiamento dell'Ilva, semplicemente «sconcertante». Ferrante infatti, per la prima volta ha messo da parte l'aplomb e la diplomazia che ha sin qui contraddistinto la sua presidenza, lanciando un attacco diretto alla magistratura tarantina: «Credo che la politica industriale di un Paese non possa essere affidata a dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria», ma occorrano «provvedimenti dell'autorità politica: io penso che questa sia la strada da seguire». La stessa linea di pensiero del ministro dell'ambiente Corrado Clini che, guarda caso, proprio ieri ha annunciato la conclusione dell'istruttoria

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dell'Autorizzazione integrata ambientale: «Domani (oggi per chi legge, ndr) avremo il documento, dopodiché avremo le procedure previste dalla legge, la conferenza dei servizi», ha dichiarato Clini a margine di una conferenza del Wwf. «Rilasciamo l'Aia che ha come riferimento la lista (Ue) delle migliori tecnologie disponibili per la siderurgia e che include anche gli obiettivi di qualità ambientale che dovrebbero essere applicati in Europa nel 2016. Noi li applichiamo nel 2012», ha concluso il ministro. Peccato che, in una situazione come quella attuale, sarebbe stato molto meglio imporre all'azienda l'uso delle migliori tecnologie in assoluto, visto che stando così le cose, resta all'azienda la scelta della tecnologia da applicare: il che non è certo esempio di garanzia per il futuro, visti i tanti reati contestati dalla magistratura all'Ilva. La procura di Taranto infatti, non arretra di un millimetro: «Non so l'Ilva che tipo di ricorsi deciderà di presentare. Se non ci saranno modifiche ai provvedimenti esistenti le procedure andranno avanti e saranno inevitabili», chiosa il procuratore capo Franco Sebastio.

Il Manifesto 28 settembre 2012

La Fiom pensa alla salute e non fa il gioco del padrone

GIA. LE. «Uno sciopero di cui non sono chiare le ragioni rischia di generare divisioni tra i lavoratori e contrapposizioni con la magistratura»Lo strappo tra la Fiom e Fim Cisl-Uilm Uil ha una data e un luogo precisi: giovedì 2 agosto, piazza della Vittoria, Taranto. Quel giorno i sindacati metalmeccanici persero la piazza durante il comizio dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil per l'irruzione pacifica del comitato «Cittadini e operai liberei e pensanti».Da quel giorno nulla è stato più come prima. La Fiom imputa alla Fim e alla Uilm di avere un atteggiamento poco chiaro, soprattutto nei confronti della magistratura, preferendo la strada delle assemblee dei lavoratori all'interno del siderurgico per mettere pressione al Gruppo Riva invitandolo ad effettuare investimenti chiari e ingenti rispetto a quelli sin qui presentati dall'azienda e puntualmente bocciati dai custodi giudiziari, dalla Procura e dal gip Todisco. Di contro Fim-Cisl e Uilm-Uil proseguono sulla strada degli scioperi e dei blocchi, rimproverando alla Fiom Cgil di aver tradito l'alleanza sancita all'indomani del sequestro preventivo degli impianti dell'Ilva dello scorso 26 agosto.Anche ieri la Fiom ha chiesto alle sigle «rivali», di «sospendere lo sciopero proclamato e di farlo precedere immediatamente dalle assemblee con tutte le lavoratrici e i lavoratori». «Avanziamo questa proposta - si legge in una nota della Fiom Taranto - perché uno sciopero, di cui non sono chiare le ragioni e con dichiarazioni contraddittorie tra le organizzazioni che lo hanno dichiarato, rischia di ingenerare confusione, pericolose divisioni tra i lavoratori e inutili contrapposizioni con la magistratura. Dobbiamo decidere insieme e senza divisioni tra lavoratori i contenuti della piattaforma per aprire la vertenza in difesa del lavoro, della salute dentro e fuori lo stabilimento e per la continuità produttiva dell'Ilva. Vertenza che deve unire i lavoratori, la città e le istituzioni nel pieno rispetto della magistratura». In ogni caso la Fiom terrà le assemblee retribuite per garantire a tutte le lavoratrici e i lavoratori il diritto di decidere insieme del proprio futuro. Inoltre oggi a Taranto si svolgerà una assemblea nazionale dei delegati e delle delegate della siderurgia dal titolo «Ilva. Un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile», presso il salone della Provincia all'interno del Palazzo del Governo. I lavori, aperti anche alla stampa, si svolgeranno tra le ore 10 e le 15,30 e chiuderà gli interventi il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini.La replica alle posizioni della Fiom non si è fatta di attendere. «La Fiom ha perso la testa: ci chiede di fare un assemblea con i lavoratori di cui ha boicottato l'organizzazione fino a questa mattina (ieri per chi legge, ndr) e nonostante i nostri ripetuti inviti«. Ad affermarlo, il segretario nazionale Fim Cisl, Marco Bentivogli, che sferra un attacco durissimo nei confronti dei metalmeccanici della Cgil. «La Fiom - ha proseguito Benticogli - è l'ultima organizzazione in Ilva e negli ultimi giorni perde iscritti e prende fischi ovunque. Negli anni '70 i padroni chiamavano gli squadristi davanti ai cancelli per impedire la partecipazione agli scioperi. La Fiom non ha voluto organizzare nessuna assemblea, né con noi né da sola. Gli iscritti alla Fiom stanno scioperando con noi. La Fiom invita, con pessimi risultati, i lavoratori a non scioperare, davanti alla portineria 'A' e ora ci chiede ufficialmente di sospendere gli scioperi. Deve essere l'effetto dell'arruolamento di Romiti e Della Valle nella vicenda Fiat».

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Il Manifesto 28 settembre 2012

TARANTO - FIM E UILM PROSEGUONO LA LORO MOBILITAZIONE, LA FIOM INVECE SI RIUNISCE IN CITTÀ E MAURIZIO LANDINI CHIEDE INVESTIMENTI PER SALVARE SALUTE E LAVORO. Ilva, la rabbia non si spegne

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Blocchi stradali e operai sulle ciminiere. Prosegue lo sciopero di Cisl e Uil. L'azienda intanto informa di avere nuovi studi sull'inquinamento e minaccia ripercussioni per l'occupazioneSi è svolto senza tensioni il secondo giorno di sciopero all'Ilva di Taranto indetto da Fim Cisl e Uilm Uil (contrari invece la Fiom e il «Comitato dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti»). L'astensione dal lavoro si concluderà questa mattina alle 7, in concomitanza con l'inizio del primo turno di lavoro.Ieri, dunque, sono proseguiti i blocchi stradali sulle statali 7 Appia e 106 Jonica (per Metaponto e Reggio Calabria), e un altro blocco sulla strada provinciale per Statte. Anche dentro la fabbrica è continuata la protesta di alcuni gruppi di operai che sono saliti sulla torre di smistamento dell'altoforno 5, sulla passerella del camino E312 dell'area Agglomerato e sulla torre del gasometro dalla quale sono scesi soltanto in serata tre operai che avevano appeso lo striscione «Il lavoro non si tocca».Anche gli aderenti al comitato «Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti» hanno continuano la loro protesta, bloccando per alcune ore l'uscita dallo stabilimento in corrispondenza della portineria C, per l'arrivo merci, sulla strada che dal rione Tamburi porta al comune di Statte. Poi, nel primo pomeriggio, il passaggio è stato liberato. Il comitato ha ribadito la sua posizione: «Gli operai non devono bloccare la città ma devono bloccare l'azienda e la produzione». Il comitato fa presente in una nota che «la presenza di cittadini, ora più che mai, è necessaria per sostenere gli operai in questa lotta».Intanto, il presidente del Cda dell'Ilva, Bruno Ferrante, ha voluto dire la sua brandendo ancora una volta la minaccia del ricatto occupazionale, sostenendo che «se dovessimo andare al fermo o alla chiusura di alcuni altiforni, così come detto anche nelle decisioni dei custodi, questo evidentemente creerebbe problemi sia sull'attività produttiva che sui livelli occupazionali». Ferrante, intervistato telefonicamente nel corso della trasmissione di Canale 5 condotta da Maurizio Belpietro, è entrato anche nel merito di presunte nuove perizie epidemiologiche che raffigurerebbero scenari ambientali e sanitari per la città di Taranto differenti rispetto a quanto emerso negli ultimi mesi. «Si parla di emergenza sanitaria e di inquinamento terribile della zona di Taranto: ho chiesto delle perizie che sto ricevendo in questi giorni da personalità della scienza che mi raccontano una verità diversa. Mi raccontano che a Taranto non c'è emergenza sanitaria».Chi sono queste personalità della scienza, non è dato sapere. Stesso dicasi per i dati forniti da queste nuove perizie. «Quando sarà il momento - ha aggiunto Ferrante - le consegneremo alle autorità che ne hanno titolo. Ora stiamo raccogliendo tutti i dati per dimostrare che non c'è emergenza sanitaria, che le condizioni ambientali di Taranto non sono tanto peggiori di tante altre realtà urbane del nostro Paese». Ferrante ha concluso ribadendo che l'Ilva andrà «in ogni sede giudiziaria» per far valere le ragioni dell'azienda. «Impugneremo subito la decisione del gip, nel frattempo però la decisione va eseguita. Questo non significa spegnere gli impianti, ma avviare il fermo di alcuni impianti con attività di risanamento, cosa che è già avviata».Infine, sempre ieri a Taranto si è svolta la Conferenza nazionale delle delegate e dei delegati della Fiom sulla siderurgia, con la partecipazione del segretario generale Maurizio Landini, conclusasi con l'approvazione di tre ordini del giorno per un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile per la siderurgia. Nel corso del dibattito, che è stato concluso dall'intervento del segretario generale della stessa Fiom, Maurizio Landini, sono intervenuti, fra gli altri, Giorgio Assennato, direttore dell'Arpa Puglia, Domenico Capodilupo, esperto di siderurgia, Massimiliano Del Vecchio, legale dell'Ufficio sicurezza Fiom, e Maurizio Marcelli responsabile Salute, Ambiente e Sicurezza della stessa Fiom.Nelle sue conclusioni il segretario generale Landini ha sostenuto che quello dell'Ilva nello stabilimento di Taranto, non è certo l'unico modo di produrre acciaio, e ha osservato che sarà impossibile risolvere i problemi ambientali e di salute posti dallo stabilimento senza che vengano

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nuovi e robusti investimenti. Investimenti rispetto ai quali si potrebbe anche pensare a forme di prestiti pubblici, facendo chiaro riferimento alla Banca Europea degli Investimenti. Ma il dubbio è che a questo punto sia davvero troppo tardi.

 Il Manifesto 29 settembre 2012

Il ministro dell'Ambiente Clini promette: «Riduzione drastica di inquinanti nell'aria»

GIA. LE. Sul sito del ministero dell'Ambiente, il ministro Corrado Clini ha annunciato che «il riesame dell'Aia all'Ilva disporrà una drastica riduzione del carico di inquinanti rispetto all'autorizzazione precedente, con particolare riferimento alle emissioni di polveri e di benzo(a)pirene sia diffuse che convogliate». Si sono dunque concluse le procedure del gruppo di lavoro della Commissione ministeriale, la cui documentazione fa riferimento alle aree a caldo e ai parchi minerali. La prima cosa da dire infatti, è che come ampiamente previsto, era impossibile in appena un mese riesaminare per intero l'autorizzazione a procedere. Il documento messo a punto dalla commissione riguarda soltanto la qualità dell'aria, in particolare le emissioni. Manca, invece, l'esame su discariche, rifiuti e acque, per cui «servirà un provvedimento successivo, a tutt'oggi ancora in fase istruttoria, con il quale verrà aggiornata l'Aia del 4 agosto 2011», in riferimento alle misure ulteriori da adottare per il risanamento delle discariche interne allo stabilimento, la gestione dei rifiuti e la protezione della qualità ambientale delle acque. Il parere tecnico sul documento sarà sottoposto ad un secondo parere da parte di un «gruppo istruttore» il prossimo 9 ottobre (documento che dovrebbe arrivare al massimo entro l'11 ottobre).La Conferenza dei Servizi per la conclusione del procedimento, a cui parteciperanno la Regione Puglia e gli enti locali, si dovrebbe svolgere entro il 16 ottobre 2012. Il riesame dell'Aia si era reso obbligatorio dopo le perizie chimico-fisica ed epidemiologica trasmesse al ministero dalla procura della repubblica di Taranto nel febbraio scorso, dopo la decisione della commissione Europea del 28 febbraio 2012 che ha stabilito le migliori tecnologie disponibili (BAT) per le produzioni siderurgiche in Europa, i dati trasmessi nel febbraio 2012 al ministero dalla Regione Puglia in merito al monitoraggio ambientale del benzo(a)pirene nell'area di Taranto, e le decisioni del Tar di Lecce, che accolse il ricorso di Ilva contro alcune delle prescrizioni previste nell'Autorizzazione del 4 agosto 2011.Questi gli obiettivi e le modalità previste nel documento: «Adeguare da subito lo stabilimento alle decisioni della commissione Europea del 28 febbraio 2012» per le migliori tecnologie disponibili, «in anticipo rispetto alla scadenza del 2016»; applicare «in modo puntuale le misure previste dal Piano di risanamento della qualità dell'aria della Regione, con particolare riferimento all'inquinamento nel quartiere Tamburi». Questo nelle intenzioni del ministro Clini. Perché la realtà appare ben diversa. L'ordinanza del gip Todisco confermata dal tribunale del Riesame infatti, impone che sin da subito cessino le emissioni inquinanti che «provocano fenomeni di malattia e morte» nella popolazione tarantina: l'Aia, invece, prevede che l'Ilva, nei prossimi 5-6 anni, riduca le emissioni inquinanti applicando le migliori tecnologie disponibili, sulle quali la scelta spetta proprio all'azienda, specie da un punto di vista economico. Inoltre, la perizia dei chimici prende come parametro di valutazione le migliori tecnologie in assoluto, previste dall'articolo 8 della normativa sull'Aia (d. lgs. 59/2005). Detto ciò, appare quanto meno anacronistico il fatto che il ministero abbia deciso di rilasciare un'autorizzazione a un'azienda per l'esercizio di impianti e aree poste sotto sequestro preventivo.

Il Manifesto 29 settembre 2012

INCONTRI/ OPERAI TARANTINI NELLA CAPITALELa protesta dell'ape-car fa tappa al teatro Valle

ROBERTO CICCARELLI. L'ape-car, simbolo della protesta del comitato tarantino dei «cittadini e lavoratori liberi e pensanti» contro il gruppo Riva, è arrivato al teatro Valle di Roma. Ieri, in un'assemblea dove il racconto di una città ha sfiorato toni commoventi, gli operai dell'Ilva, gli

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studenti e i cittadini introdotti dalle associazioni Asud e Peacelink hanno ripercorso una storia breve dal lungo respiro. Quella iniziata il 2 agosto scorso che ha squarciato il velo di omertà nei confronti delle malefatte perpetuate dall'azienda contro la città pugliese con la complicità delle forze politiche e di gran parte dei sindacati. La pacifica irruzione dell'ape-car nella manifestazione sindacale organizzata contro la chiusura dell'area a caldo dell'Ilva ha prodotto una svolta emotiva e politica.Il comitato che si definisce «apartitico» si è sintonizzato con una sensibilità diffusa, quella di chi rifiuta la contrapposizione tra i cittadini che vorrebbero la chiusura della fabbrica in nome della salute e dell'ambiente e i lavoratori che difendono il salario e il posto di lavoro condannando i propri figli, oltre che se stessi. Nel racconto di Stefano, Cataldo e degli altri lavoratori, come anche di chi come Francesca vive da anni lontano e in questa lotta ha ritrovato un nuovo amore e partecipazione verso la propria città, questa alternativa è stata rifiutata. «È un ricatto».Dietro di sé l'ape-car ha portato l'idea di un nuovo patto tra cittadini e lavoratori che parte da una convinzione: «Riva non può pensare di andare via gratis da Taranto - è stato detto - Se la magistratura chiuderà gli impianti, dovrà pagare e tutti dovranno garantire gli operai». Una richiesta che il comitato coniuga insieme a quelle del «reddito di cittadinanza e della piena occupazione».La protesta del 2 agosto si è così radicata a partire dalla necessità di ripensare la vocazione di un'intera città, al di là della monocultura dell'acciaio e dell'industria pesante. Ma ha anche sviluppato una rinnovata consapevolezza sulla situazione in cui Taranto vive da mesi: «È allucinante - hanno detto i lavoratori - che la magistratura deve sostituirsi a tutti i poteri per garantire la salute di tutti i cittadini». Sono in pochi a credere nelle figure istituzionali che si stanno occupando dell'Ilva. Il sindaco di Taranto Stefàno, il governatore della Puglia Vendola, e il ministro dell'ambiente Clini («il ministro dell'Ilva» è stato definito) sono stati bersagliati da critiche durissime. Questa sfiducia - ha spiegato l'antropologa Anna Maria Rivera, tarantina, in un lungo e personale intervento - ha una lunga storia che inizia con l'Italsider e l'industrializzazione di Stato del Mezzogiorno. La crisi di questo modello ha sbaragliato la storia politica di una città che in passato ha conosciuto sindaci comunisti, mentre la classe operaia aveva una solida coscienza di se stessa. E ha travolto i sindacati che, secondo le testimonianze raccolte ieri sul palco del Valle, svolgono un ruolo filo-padronale o di patronato. Negli ultimi mesi ciò ha prodotto uno scarto nell'atteggiamento dei singoli, come si è visto ancora giovedì scorso quando hanno promosso uno sciopero dalle motivazioni alquanto vaghe. Il comitato dell'ape-car sostiene che la lotta deve essere continuare dentro la fabbrica e contro il gruppo Riva.

Il Manifesto 30 settembre 2012

ILVA. La tensione tra i lavoratori resta alta. L'attesa per la riduzione delle emissioni

GIANMARIO LEONE. TARANTO. Uil e Cisl indicono una manifestazione a Roma, la Fiom in fabbricaDopo la due giorni di scioperi e blocchi stradali, Taranto prova a ritrovare un po' di serenità e tranquillità in vista dell'inizio di ottobre, mese che potrebbe rivelarsi decisivo per la vicenda Ilva. Al cui interno è sì ripresa la normale attività lavorativa, ma dove prosegue la protesta di alcuni dipendenti che continuano ad occupare il nastro trasportatore dell'altoforno 5 e la torre del camino E312. Sui quali impianti hanno annunciato di voler restare sino a quando il ministero dell'Ambiente non rilascerà la nuova Aia al siderurgico tarantino: la data precisa per la Conferenza dei Servizi ancora non c'è (forse il 16 ottobre), ma per lo stesso giorno Fim Cisl e Uilm Uil hanno programmato una manifestazione nazionale della siderurgia. Bari o Roma, dove è prevista la sede della conferenza, le città prescelte.Manifestazione nazionale proposta anche dalla Fiom Cgil durante la conferenza dei delegati della siderurgia svoltasi a Taranto venerdì, ma che oramai vive da separata in casa, visto che il sindacato di Landini proverà a lavorare dentro la fabbrica attraverso assemblee che coinvolgano tutti i lavoratori, con lo scopo di mettere pressione al Gruppo Riva sullo scottante tema degli investimenti da attuare nel breve termine, per scongiurare lo spegnimento degli impianti. La cui produzione resta vitale per l'acciaio italiano, come ha ribadito ieri Fincantieri, che per produrre ha bisogno dell'Ilva. Andando avanti così, anche per noi sarà un problema. E allora saremo costretti a comprare da un'altra parte», ha minacciato l'amministratore delegato, Giuseppe Bono. Che ha

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spiegato come «comprando da un'altra parte, ci sarà meno produzione e meno lavoro per tutti». Il quale, pur non vivendo a Taranto, ha concluso dichiarando che «lì il problema non è tra lavoro e ambiente. Perchè la salute senza i soldi per mangiare non c'è. Il lavoro allora bisogna farlo, non si può vivere senza: allora cerchiamo di farlo bene».Che i termini della questione siano però molto più profondi e delicati, lo dimostra anche la risposta a Bono da parte del ministro dell'Ambiente Corrado Clini. Che per un giorno ha scelto di abbassare i toni e spostare la questione sulla responsabilità dell'azienda. «Rilasciamo l'Aia per l'utilizzo degli impianti stabilendo le prescrizioni più severe previste in Europa. Se l'impresa si adegua a queste prescrizioni potrà continuare a produrre: saranno loro a dover scegliere».Autorizzazione che però è ancora incompleta, visto che il documento redatto dalla commissione ministeriale riguarda soltanto le emissioni per la qualità dell'aria. E che per questo ha già sollevato le prime polemiche, specie tra le associazioni ambientaliste. Non certo tra le istituzioni locali, incredibilmente silenti in un momento così delicato per la città.Ieri si è rivisto il sindaco Stefàno, che ha incontrato a Palazzo di Città i cinque lavoratori che avevano occupato il gasometro dell'Ilva. Il primo cittadino ha ribadito l'assoluta vicinanza dell'intera comunità ai lavoratori, sostenendo come «l'Aia tutelerà sia la salute che il lavoro. Se i tecnici dovessero dirmi che è necessario intensificare le prescrizioni per raggiungere quest'obiettivo, io sarò d'accordo».

Il Manifesto 30 settembre 2012

«Lo sciopero di Uil e Cisl è fallito»

Lo sciopero del 27 e 28 settembre indetto da Fim e Uilm «è stato un sostanziale fallimento. Basta vedere che ai blocchi sulle statali c'erano (a voler essere buoni) un paio di centinaia di partecipanti di cui la stragrandissima maggioranza quadri, capi, capetti (ma quando mai hanno scioperato per i diritti dei lavoratori?), funzionari e burocrati sindacali, mentre gli operai erano pochissimi».Lo sottolineano in una nota Massimo Battista e Salvatore Stasi, del Comitato di «Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti» riferendosi alle manifestazioni di protesta - che si sono tenute ieri e giovedì scorso - promosse dalle due organizzazioni sindacali dei metalmeccanici nell'ambito della vertenza-Ilva.

Il Manifesto 30 settembre 2012

ILVA, SCOPPIO IN UN REPARTO SOTTO SEQUESTRO, OPERAIO LIEVEMENTE USTIONATO

Ustioni di primo grado per Giuseppe Raho, colpito a scorie incandescenti mentre lavorava al reparto gestione recupero ferroUn operaio dell'Ilva, Giuseppe Raho, di 34 anni, ha subito ustioni di primo grado in seguito allo scoppio delle scorie incandescenti di un contenitore denominato 'paiola', all'interno del reparto Grf (Gestione recupero ferro), uno di quelli sottoposti a sequestro dalla magistratura.Secondo la versione fornita dai sindacati, l'operaio stava ripulendo con un'attrezzatura speciale montata su un escavatore l'interno di un convertitore di acciaieria quando, improvvisamente, sono saltati alcuni pezzi di scorie incandescenti che hanno rotto il vetro della cabina di guida dell'escavatore.Nel reparto grf la pulizia dalle scorie di convertitori e siviere avviene utilizzando martelli pneumatici particolari, con i quali gli operatori frantumano le scorie che, durante il processo di lavorazione, si solidificano all'interno dei grandi contenitori usati nel ciclo siderurgico.Il Grf e' uno dei reparti dell'area a caldo dell'Ilva posti sotto sequestro con l'ordinanza emessa lo scorso 25 luglio dal gip di Taranto, Patrizia Todisco, nell'ambito dell'inchiesta giudiziaria che vede i vertici aziendali e societari dell'Ilva accusati di disastro ambientale.

www.tgla7.it – 3/10/12

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TARANTO - La Asl: nel primo semestre del 2012, «drastico aumento di ricoveri per patologie tumorali pari a un +50% rispetto al primo semestre del 2011»Se l'Ilva adesso scoppia

Gianmario Leone. TARANTOL'acciaieria sempre sul filo: s'incendiano scorie incandescenti all'interno di un reparto sotto sequestro preventivo. Ustioni di primo grado per un operaioDopo qualche giorno di calma apparente, ieri si è vissuta un'altra giornata di passione per Taranto e l'Ilva. Nel tardo pomeriggio un operaio, Giuseppe Raho, di 34 anni, ha riportato ustioni di primo grado in seguito allo scoppio delle scorie incandescenti di un contenitore denominato «paiola», all'interno del reparto Grf (Gestione rifiuti ferrosi), sottoposto a sequestro preventivo dalla magistratura insieme ad altre cinque dell'area a caldo. L'operaio è stato trasportato all'ospedale «Perrino» di Brindisi per ustioni di primo grado a braccia e volto. L'uomo, investito dalle scorie mentre era a bordo di una escavatrice, è stato subito soccorso e medicato nell'infermeria dello stabilimento. Nel reparto Grf, secondo quanto appreso da fonti sindacali, era in corso un'operazione di svuotamento del grosso contenitore che contiene scorie prodotte dall'Acciaieria 2 nei processi di formazione delle bramme. Le scorie sono scoppiate a contatto con il terreno umido, schizzando in varie direzioni. Il lavoratore ha subìto ustioni superficiali: piccole ustioni puntiformi in varie parti del corpo guaribili in otto giorni. Sempre ieri, gli operai che da otto giorni protestavano sul camino E312 e sull'Altoforno 5, hanno sospeso l'occupazione degli impianti dopo aver avuto un incontro con il prefetto di Taranto, Claudio Sammartino, al quale ha partecipato anche il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante.Il caso ha voluto che l'incidente sia avvenuto proprio nel giorno in cui il decreto sul risanamento ambientale di Taranto è diventato legge, e mentre nelle aule del Tribunale di Taranto prendeva il via il processo ai vertici dell'Ilva e dell'ex Italsider accusati di omicidio colposo per la morte di 15 operai, ammalatisi di amianto. Procedimento diverso rispetto all'inchiesta per disastro ambientale portata avanti dalla Procura di Taranto sull'inquinamento prodotto dall'area a caldo dello stabilimento siderurgico. Alla sbarra ci sono 29 imputati: nell'elenco figura anche Emilio Riva, il figlio Fabio, il direttore dello stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso, e diversi dirigenti che hanno gestito il passaggio del siderurgico dalla gestione pubblica (Finsider e Partecipazioni Statali) a quella privata, avvenuta nel 1995 con la vendita dell'Ilva a Riva da parte dell'Iri allora guidato da Romano Prodi. Tra i rinviati a giudizio anche Giorgio Zappa, direttore generale di Finmeccanica, in forza all'Italsider dal 1988 al 1993 quale vice prima e direttore generale poi. Per tutti gli imputati è stato ipotizzato il reato di disastro colposo e l'omissione dolosa di cautele sul luogo di lavoro. I dirigenti dello stabilmento, si legge negli atti d'accusa, «omettevano nella direzione dell'impresa, di adottare cautele che secondo l'esperienza e la tecnica sarebbero state necessarie a tutelare l'integrità fisica dei prestatori di lavoro»: in particolare impianti di aspirazione, sistemi di abbattimenti delle polveri-fibre contenenti amianto idonei a salvaguardare l'ambiente di lavoro dall'aggressione del materiale cancerogeno, nonché «omettevano di far eseguire in luoghi separati le lavorazioni afferenti al rischio di inalazione delle polveri-fibre di amianto, generatesi durante le lavorazioni, a tutela dei lavoratori ripetutamente esposti ad amianto durante lo svolgimento di attività lavorative».Come non bastasse, è stata depositata ieri alla cancelleria penale del tribunale di Taranto la prima denuncia con la richiesta di contestazione del reato di omicidio volontario con dolo eventuale nei confronti dei rappresentanti dell'Ilva già coinvolti nell''inchiesta per disastro ambientale. A presentarla l'avvocato Giuseppe Lecce, del foro di Taranto, per conto della figlia di un ex dipendente comunale che ha lavorato con mansioni da giardiniere per 30 anni in un vivaio in contrada Taranto Croce ed è deceduto nel 2006 a causa di un melanoma. Si tratta dello stesso legale che guiderà la class action dei cittadini, per la quale ipotizza una similitudine con il processo Thyssen.A completare la giornata, la responsabile controllo spesa farmaceutica della Asl di Taranto, Rossella Moscogiuri, che nel corso del congresso della Federazione italiana medici di medicina generale (Fimmg) a Villasimius, ha reso noto alcuni dati relativi al primo semestre del 2012, «nel quale si è registrato un drastico aumento di ricoveri per patologie tumorali su tutto il territorio della Asl di Taranto, pari a un +50% rispetto al primo semestre del 2011». Rilevando che in oncologia si registra «un aumento del 60% di day hospital e del 40% di accessi ambulatoriali». A Taranto «si

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registra un'alta percentuale di patologie respiratorie insieme a una più alta spesa farmaceutica rispetto alla media nazionale». La Moscagiuri ha anche spiegato che la Asl di Taranto ha avviato uno studio comparativo con altre Asl di Veneto, Toscana e Abruzzo: «Dai primi dati risulta che a Taranto il 3,3% della popolazione soffre di grave patologia respiratoria, contro l'1,8% di Verona e il 2,3% di Teramo».

Il Manifesto 4 ottobre 2012

Il decreto sull'Ilva è stato convertito in legge

Il decreto sull' Ilva è stato convertito ieri in Senato in via definitiva in legge con la sola opposizione della Lega Nord (247 sì e 20 no). Nelle intenzioni del governo, punta ad accelerare il processo di bonifica e riqualificazione del sito di Taranto che ospita il più grande polo siderurgico europeo, con l'obiettivo piuttosto complicato di superare i gravi problemi ambientali e sanitari e, al contempo, salvaguardare l'occupazione. Il provvedimento, messo a punto dal governo dopo il sequestro dello stabilimento disposto dalla magistratura, rende immediatamente disponibili le risorse previste dal protocollo d'intesa del 26 luglio a favore della riqualificazione ambientale pari a un importo complessivo di 336 milioni di euro: 329 pubblici e 7,2 privati. Di questi, 119 milioni vanno alle bonifiche, 187 milioni per interventi portuali, e 30 milioni per il rilancio industriale per investimenti produttivi caratterizzati da un elevato livello tecnologico. I gruppi parlamentari che sostengono il governo hanno auspicato la rapida conclusione della procedura di «autorizzazione integrata ambientale» che serve per certificare la conformità degli impianti alle normative vigenti in modo da garantire la continuità produttiva e l' occupazione. In particolare, il Pd ha sollecitato politiche industriali ispirate al principio della sostenibilità per superare «l'anacronistico dualismo tra lavoro e salute». Il Pdl ha invitato il governo a impedire la chiusura dello stabilimento che avrebbe gravi ricadute sociali ed economiche.

Il Manifesto 4 ottobre 2012

LA PIAZZA - Landini dà l'annuncio: sabato 20 manifestazione a Roma, in piazza San Giovnani, degli operai di tutte le aziende in crisi. Con la CgilIndustria pesante Ilva chiama Italia

Gianmario Leone. TARANTOTra i lavoratori che da anni combattono per il diritto al lavoro e il diritto alla salute, il segretario della Fiom inaugura una serie di assemblee. «Servono politiche industriali che il governo finora non ha avuto e che devono essere messe in campo»La chiamata arriva da Taranto e porta a Roma, l'appuntamento è per sabato 20 ottobre nella Capitale, a piazza San Giovanni, per una grande manifestazione nazionale organizzata dalla Fiom e dalla Cgil per dar voce e visibilità alle migliaia di operai che si ritrovano a fare i conti con la grande crisi che sta attanagliando le maggiori imprese del Paese Italia: dall'Ilva all'Alcoa di Portovesme, dalla Fiat a Finmeccanica, sino alla Vinyls di Porto Marghera. L'annuncio è stato dato dal segretario nazionale della Fiom, Maurizio Landini, che ieri era all'Ilva di Taranto per inaugurare il programma di assemblee di fabbrica da svolgere a stretto contatto con tutti i lavoratori del siderurgico tarantino.«Tutti parlano dell'Ilva, tranne i lavoratori, quelli che rischiano di pagare doppiamente sia sul piano del lavoro che sul piano della salute», ha dichiarato il segretario nazionale della Fiom, che con gli operai ha parlato anche degli investimenti previsti, degli adeguamenti per la messa a norma degli impianti, di continuità produttiva e della nuova Aia (l'Autorizzazione integrata ambientale), che per la Fiom dovrà contenere «tutte le prescrizioni a carico dell'Ilva: quelle indicate dalla magistratura, quelle previste dalle migliori tecnologie in assoluto in ambito Europeo e le valutazioni del danno sanitario per i lavoratori e i cittadini».«Non sarebbe uno scandalo se a un certo punto si pensasse a forme di prestito pubblico o europeo o del governo» in favore del Gruppo Riva, per investire nel risanamento degli impianti, ha spiegato Landini durante la sua 24 ore dentro l'Ilva. «Mi riferisco a soldi che vengono dati per fare investimenti, se è un prestito l'azienda si impegna a restituirli. Se davvero la volontà è quella di

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difendere il lavoro e la salute insieme, dal passaggio degli investimenti non se ne viene fuori». L'idea del prestito sarebbe un modo per mettere il Gruppo Riva alle strette, invitandolo a giocare a carte scoperte sulle reali intenzioni di investimento per il futuro del siderurgico tarantino. «Siamo di fronte ad una emergenza nazionale - ha concluso Landini - per difendere l'industria servono politiche industriali che il governo finora non ha messo in campo. Il valore della vicenda Ilva è dimostrare che è possibile difendere il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Questo farebbe fare a tutto il Paese un passo in avanti».La Fiom non ha coinvolto solo gli operai dell'Ilva in varie assemblee (evento che peraltro non si vedeva a Taranto da anni): l'iniziativa è stata estesa anche a Fim Cisl e Uilm Uil, con i quali negli ultimi tempi si era aperta una profonda spaccatura. «Seppur tardivo, apprezziamo il cambio di rotta della Fiom», ha dichiarato il segretario nazionale della Fim Cisl Marco Bentivogli, che però chiede alla Fiom di esprimersi chiaramente sulla produzione «se deve cessare totalmente, come chiede la gip, o che vada ridotta e resa compatibile con le bonifiche e la riqualificazione industriale». La spaccatura tra i sindacati metalmeccanici tarantini, era avvenuta proprio sulle forme di lotta da intraprendere, con la Fiom che si era sfilata dopo i blocchi e gli scioperi promossi da Fim e Uilm in risposta ai provvedimenti intrapresi negli ultimi due mesi dalla Procura di Taranto.Alla manifestazione del prossimo 20 ottobre, parteciperà anche la leader della Cgil Susanna Camusso, che ieri è tornata sulla vicenda Ilva sostenendo come la nuova Aia debba essere preminente rispetto all'ordinanza di chiusura disposta dal gip. Tesi alquanto stramba, visto che lo stesso ministro dell'Ambiente Corrado Clini si è impegnato a inserire nell'autorizzazione tutte le prescrizioni sostenute dalla gip Todisco nel suo provvedimento: in caso contrario infatti, la procura di Taranto potrà impugnare l'Aia ricorrendo alla Consulta della Corte Costituzionale.La leader della Cgil ha anche dichiarato che «chiudere l'Ilva, anche se per poco, vuol dire chiuderla definitivamente». Ma Camusso dovrebbe sapere che negli ultimi quattro anni il Gruppo Riva ha fermato per motivi di congiuntura economica, diversi impianti: dall'Afo 1 all'Afo 4 (bloccato per tre anni), dall'acciaieria 1 all'acciaieria 2: difficile dunque oggi sostenere la tesi che spegnendo l'altoforno 5, il più grande d'Europa e fondamentale per la produzione dell'Ilva, il siderurgico di Taranto sarebbe condannato alla sicura dipartita.

Il Manifesto 5 ottobre 2012

Regione Puglia /8 MILIONI PER PATOLOGIE DA INQUINAMENTOAmbiente e salute, a Taranto il primo ospedale sperimentaleSMENTITI i dati della Asl sui ricoveri. Atteso provvedimento disciplinare. Il 12 arriva il ministro della salute Balduzzi

Il primo centro sperimentale della regione Puglia, «Ambiente e Salute», attrezzato per ricerca e diagnosi, previsto nel piano straordinario regionale sorgerà all'interno dell'ex ospedale «Testa» di Taranto, situato in contrada Rondinella, a ridosso dei serbatoi dell'Eni, dell'Ilva, della Cementir e delle altre grandi industrie presenti sul territorio.Tra gli obiettivi del piano, presentato dagli assessori regionali alla Sanità, allo Sviluppo Economico ed alla Qualità dell'Ambiente, da Arpa Puglia, Asl Taranto 1 e Ares Puglia - finanziato con circa 8 milioni di euro - vi sono lo studio degli aspetti epidemiologici, lo sviluppo della ricerca sulla relazione tra inquinamento ambientale e danno sanitario, l'attività di prevenzione e assistenza. Nel centro che sarà realizzato entro i prossimi tre anni, troverà spazio anche un laboratorio tossicologico industriale, con particolare attenzione alla tutela della salute materna infantile.Saranno analizzati i problemi neurocognitivi evidenziati dai bambini e saranno compiuti studi per la valutazione del danno da malattie oncologiche e dalle altre patologie collegate all'esposizione agli inquinanti, in particolare cardiorespiratorie e cardiache. Il piano, inoltre, prevede la possibilità di dosare nei liquidi biologici gli inquinanti, come la presenza di diossina nel latte materno. Durante la presentazione di ieri però, si è verificato anche un altro evento di rilevante importanza. L'assessore regionale alle Politiche della Salute della Regione Puglia Ettore Attolini, ha dichiarato come «i dati sulle malattie vanno valutati con molta cura e comunicati solo quando sono certi e poi vanno spiegati». Chiaro riferimento agli ultimi dati diffusi sui ricoveri per tumori a Taranto, risultato preliminare di una elaborazione di Rossella Moscogiuri, responsabile del Controllo spesa farmaceutica della Asl, che durante un convegno in Sardegna ha parlato di un aumento dei ricoveri

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per tumore nel capoluogo ionico pari al 50%.La dottoressa ora rischia un procedimento disciplinare. La direzione generale dell'Asl jonica ha infatti reso noto di aver aperto un procedimento a carico della Moscogiuri, per stabilire se ci sono elementi per sottoporla a procedimento disciplinare per «procurato allarme sociale». «I dati - ha chiarito Attolini - si riferiscono ai ricoveri in un solo reparto della provincia di Taranto, quello oncologico». I dati reali infatti, riguardano soltanto il primo trimestre, e parlano di un incremento dei ricoveri nei reparti di oncologia del 10%, dai 148 del 2011 ai 166 del 2012. «Mentre nei primi tre mesi del 2011 di quei pazienti, il 93% proveniva da Taranto e dalla sua provincia, nei primi tre mesi del 2012 la percentuale di tarantini è del 70%. Questo - ha concluso Attolini - vuol dire che il 26-28 per cento proveniva da altre province e da altre regioni».Intanto, il ministro della salute Renato Balduzzi ha annunciato che il 12 ottobre sarà a Taranto per rendere noti i dati aggiornati dallo studio Sentieri dell'Istituto superiore della sanità relativi al periodo 2003-2008.

Il Manifesto 5 ottobre 2012

A PIENI POLMONI. Questa sera fiaccolata a sostegno della procura

«A Taranto c'è una grave emergenza sanitaria» e per questo i cittadini scenderanno ancora in piazza. Saranno le mamme con passeggini e figli a guidare questa sera la fiaccolata organizzato dalle associazioni ambientaliste per manifestare il loro sostegno «al gip Todisco e ai magistrati che si battono affinché la legge venga applicata e in memoria delle vittime dell'inquinamento». Alla manifestazione, promossa dal Fondo Antidiossina onlus, dal Comitato «Donne per Taranto», dall'Ail (Associazione italiana contro le leucemie) e da Peacelink, parteciperà anche una delegazione dell'associazione «No al carbone» di Brindisi, ma alcuni (Taranto futura) si dissociano sospettando ingerenze politiche. Il corteo partirà alle 19.15 dal piazzale antistante l'Arsenale e attraverserà via Di Palma.

Il Manifesto 5 ottobre 2012

TARANTO - Annunciati quasi mille esuberi. Ferrante: «Ma saranno tutti ricollocati»L'Ilva si muove. Anzi no

Gianmario Leone .TARANTO . L'azienda annuncia di voler spegnere l'altoforno 1. Ma era programmatoDopo aver ricevuto dalla procura di Taranto l'ultimatum di cinque giorni per lo spegnimento degli impianti e la cessazione delle emissioni inquinanti, non si è fatta attendere la risposta dell'Ilva. Che si è affidata al direttore dello stabilimento Ilva di Taranto, Adolfo Buffo, per illustrare quanto l'azienda avrebbe fatto sino ad ora e quanto intenderebbe fare nel prossimo futuro per il risanamento degli impianti dell'area a caldo, sotto sequestro preventivo dallo scorso 26 luglio. «L'altoforno 1 sarà spento entro la fine di novembre. E' stato affidato l'incarico alla società Paul Wurth, che si occuperà anche del progetto per ricostruirlo». La fermata dell'Afo 1 però, non può essere considerata una novità: oltre ad essere stata imposta dai custodi giudiziari con il provvedimento dello scorso 17 settembre (in cui veniva richiesto anche il rifacimento dello stesso con lo spegnimento delle batterie 5 e 6 della cokeria che lo alimentano), era stata già programmata dalla stessa Ilva mesi addietro. Contemporaneamente, da Milano dove sono in corso una serie di riunioni del Cda dell'Ilva, il presidente Bruno Ferrante ha comunicato che la fermata dell'altoforno 1 comporterà un esubero di 942 unità lavorative «che però saranno completamente ricollocate o utilizzate in maniera differente nello stesso stabilimento di Taranto»: in pratica quanto richiesto dal Gip nella sua ordinanza e ribadito dagli stessi custodi giudiziari. Tempi molto più lunghi invece, per la fermata dell'altoforno 5, il cuore produttivo dell'Ilva ed il più grande d'Europa: i custodi hanno chiesto all'azienda di avviare le procedure di spegnimento dello stesso a partire da giovedì, ma l'ingegner Buffo ha dichiarato che secondo quanto contenuto nel cronoprogramma di adeguamento finalizzato alla nuova autorizzazione integrata ambientale, l'inizio delle procedure di fermata per l'Afo 5 sono previste a partire dal 1 luglio 2015: la conclusione della sua ricostruzione è prevista entro il 31 dicembre 2015. «La società Paul Wurth ha ricevuto incarico il 4 ottobre

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scorso dall'Ilva di progettare lo spegnimento dell'altoforno 5», ha reso noto il direttore dello stabilimento. La Paul Wurth ha soltanto iniziato a raccogliere i disegni della struttura dell'altoforno, che venne costruito dai giapponesi della Nippon Steel. Il tutto «è stato comunicato ai custodi giudiziari», ha assicurato Buffo. Anche per quanto attiene le procedure per la messa in sicurezza dei parchi minerali, l'Ilva prevede tempi lunghi: «il sistema di videosorveglianza è stato acquistato e sarà installato entro 8 mesi. Le telecamere arriveranno entro questo periodo. Questi tempi sono in linea con le indicazioni fornite dai custodi». L'AIA concessa all'azienda nell'agosto del 2011 però, prevedeva che l'Ilva si sarebbe dovuta dotare delle stesse entro l'agosto di quest'anno. Restando in argomento, l'ingegner Buffo in riferimento ai tempi di giacenza nell'area dei parchi minerali primari, ha sottolineato che «i tempi di giacenza sono stati ridotti del 20% grazie a un'attività di fermata delle navi», per via del provvedimento del blocco dei rifornimenti all'area imposto dai custodi ad inizio settembre. In pratica si é passati da «2 mln di tonnellate a circa 1 mln e 600 mila tonnellate e l'altezza dei cumuli si è ridotta da 15 metri a 13,5 metri». Con riferimento alla disposizione dei custodi di avviare la progettazione definitiva ed esecutiva della copertura dei parchi minerali, l'Ilva ha confermato di aver dato incarico sempre alla Paul Wurth di effettuare entro il 31 dicembre 2012 uno studio preliminare della copertura degli stessi parchi (un'area di 700 mila metri quadrati). Inoltre, si legge nel documento presentato ieri, «l'esistente sistema di monitoraggio delle condizioni meteo climatiche è stato adeguato alle prescrizioni affinché riconosca ed automaticamente attivi le procedure quando la velocità del vento superi i 5 metri al secondo». Sempre secondo il nuovo programma dell'Ilva, verrà anche costruito un gigantesco filtro a tessuto con capacità di aspirazione di 3 milioni di metri cubi all'ora. «Noi riteniamo di aver avviato le procedure di spegnimento di Afo 1 e Afo 5: poi bisogna intendersi su cosa significa avviare le procedure di spegnimento», ha cocnluso il direttore Buffo. Difficilmente però, la procura e i custodi giudiziari saranno soddisfatti dal nuovo piano dell'azienda: lo scontro finale appare oramai inevitabile.

Il Manifesto 9 ottobre 2012

«Non dimenticare i lavoratori»

TARANTO . «Noi non ci opporremo ad alcuna azione della magistratura tesa a ripristinare la legalità e a far cessare reati gravi come quello del disastro ambientale»: Cataldo Ranieri, del comitato «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti», conferma la linea sin qui portata avanti dal movimento nato nello scorso agosto, che vede al suo interno impegnati fianco a fianco, lavoratori, studenti e cittadini di Taranto. Insieme a Ranieri, sono diversi gli operai che hanno scelto di sposare la linea del comitato: «Noi non vogliamo essere complici di chi, presumibilmente, sta causando a Taranto grandi problemi a partire dalle morti e dalle malattie dovute all'inquinamento». Ma appunto perché anche operai dell'Ilva, la grande vertenza in essere non può che riguardare anche la difesa del diritto al lavoro: «Noi poniamo anche il problema di migliaia di lavoratori: problema di reddito e non di ammortizzatori sociali, perché noi vogliamo lavorare. Non vogliamo il male della nostra città, ma chiediamo che si pensi al futuro dei lavoratori adesso che gli impianti stanno per fermarsi davvero»: azione che dovrà essere garantita anche e soprattutto dallo Stato, che ha gestito l'azienda siderurgica ex Italsider per ben 35 anni, per poi «svenderla al Gruppo Riva, disinteressandosi di ciò che avveniva all'interno del siderurgico, anche sotto forma di controlli sull'inquinamento e sul rispetto del diritto della salute dei lavoratori e dei cittadini».Ma se Taranto e l'Italia oggi rischiano di perdere la più grande azienda siderurgica europea, per il comitato «la colpa é solo di Riva», afferma Ranieri. «Non é che l'Ilva non abbia i soldi per investire: il punto é che non vuole assolutamente effettuare tutti quegli interventi richiesti dalla magistratura e oramai non più rinviabili per risanare il siderurgico di Taranto». Per tutti questi motivi, il comitato «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» ha organizzato una manifestazione per sabato 13 ottobre, chiamando a raccolta tutta la città: «I cittadini non devono vederci come loro nemici: noi vogliamo unire la cittadinanza e gli operai tutti, per tutelare l'ambiente e il lavoro: il principio, del resto, è sempre lo stesso: "Sì ai diritti, No ai ricatti. Per tutelare dei diritti inviolabili: occupazione, salute, reddito e ambiente"».

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Il Manifesto 9 ottobre 2012

«Basta rinvii, finora l'Ilva ha solo perso tempo»

INTERVISTA - Carlo Lania «Basta perdere tempo. Ora l'Ilva deve dire chiaramente cosa intende fare. La strategia che ha adottato finora è servita solo a rinviare l'assunzione di responsabilità. Ma adesso deve dire ai lavoratori come vuole intervenire per risanare l'azienda». Donato Stefanelli è il segretario provinciale delle Fiom a Taranto.Siamo ormai al conto alla rovescia per la chiusura?Non la metterei in termini così drastici. Sicuramente per l'Ilva il tempo dei rinvii continui è scaduto. Ora di fronte all'ultima ordinanza della procura e al fatto che siamo quasi arrivati alla nuova Aia, ma soprattutto di fronte al disastro ambientale in cui il territorio e lo stabilimento si trovano, è arrivato il momento in cui l'Ilva deve dire ai lavoratori cosa intende fare.E' d'accordo con la procura quando afferma che fino a oggi l'Ilva non si è impegnata seriamente?Assolutamente. Finora ha esibito palliativi che non sono le cose serie che ci vogliono, ha perso tempo prezioso. Un piano di risanamento come quello di cui ha bisogna Taranto avrebbe richiesto un impegno e competenze scientifiche, tecniche e ambientali esterne all'azienda e l'Ilva questo non l'ha fatto. Per quale motivo?Non voglio fare illazioni ma l'idea che mi sono fatto è che ha cercato di guadagnare tempo pensando di avere qualche sconto sulle scelte da fare. Il costo economico sarà elevatissimo, parliamo di qualche miliardo di euro per un insieme di interventi che è molto complesso.Eppure l'Ilva continua a ripetere di aver rispettato tutte le indicazioni della procura.Stendiamo un velo pietoso.Se si va verso la chiusura che scenario si apre?Noi stiamo lavorando perché non si arrivi alla chiusura. L'abbiamo detto in tutte le lingue: l'Ilva non deve chiudere ma deve risanare e rilanciare al sua attività produttiva. E il risanamento deve essere l'occasione per una grande innovazione tecnologica. Finora non è stato così e per questo la Fiom ha fatto una scelta precisa ricevendo dalle assemblee dei lavoratori un mandato a costruire una piattaforma su risanamento ambientale, lavoro in sicurezza e prevenzione dei rischi che sarà in discussione da domani (oggi, ndr).A proposito di assemblee, domani (oggi) cominciano quelle di Fim e Uilm, voi però non ci sarete. Questa vicenda ha segnato anche un forte rottura sindacale.Io non metto mai la parola fine alla cose. C'era stata una comune impostazione all'inizio del percorso che era quella di tenere insieme lavoro, salute e ambiente Dopo di che nella settimana di ferragosto e successivamente Fim e Uilm di fronte alle ordinanze della magistratura che inchiodavano l'Ilva alle proprie responsabilità, anziché mobilitarsi nei confronti dell'azienda hanno scioperato contro la magistratura. Tra l'altro raccogliendo scarsissime adesioni tra i lavoratori. Noi abbiamo fatto una scelta precisa: non si fanno scioperi contro chi chiama l'Ilva a rispettare la legge, lo trovo contronatura. Ora vedo negli atteggiamenti della Fim una riflessione sugli errori fatti.

C'è la possibilità di acquirenti stranieri?Non ho elementi per dirlo. Sicuramente ho la percezione della concorrenza internazionale pronta prendersi le quote di mercato dell'Ilva qualora si fermasse. E questo è un problema serio, che deve affrontare l'azienda innanzi tutto.

Il Manifesto 9 ottobre 2012

L'Ilva fa ricorso contro la bocciatura del piano di risanamento aziendale

Gianmario Leone . TARANTO . I legali di Riva: non doveva essere il giudice a decidere. Ma per la prima volta l'azienda dà segnali di collaborazione con la magistraturaOramai non è più una novità: ogni qual volta la procura di Taranto boccia un'iniziativa dell'Ilva o i custodi emettono un provvedimento restrittivo in quella che dai primi di settembre è la fase

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d'attuazione del sequestro ordinato dal gip Patrizia Todisco, l'azienda risponde con un ricorso. L'ennesimo, è stato presentato ieri: alla base delle nuova iniziativa dei legali dell'azienda, il no del gip di Taranto al piano aziendale di risanamento di 400 milioni presentato dall'Ilva come il primo passo verso il risanamento degli impianti delle aree sequestrate. I legali hanno depositato istanza al Tribunale contro la decisione del gip Patrizia Todisco, perché ritengono che non dovesse essere il gip ad esprimersi. Al gip si era rivolta la procura, alla quale l'Ilva aveva consegnato il piano. Per i pm la richiesta di garanzia di una minima capacità produttiva, allegata al piano, comportava nei fatti un mutamento del provvedimento di sequestro senza facoltà d'uso degli impianti attualmente in vigore. La procura aveva comunque espresso parere negativo, non vincolante, sul piano. Il gip, respingendolo, aveva definito nel suo provvedimento la proposta dell'Ilva, «sconcertante» perché presupponeva una sorta di richiesta di mercanteggiare l'attività produttiva con la tutela della salute dei lavoratori e dei cittadini. Sempre ieri però, il presidente del Cda dell'Ilva, Bruno Ferrante, ha scritto alla procura di Taranto assicurando la disponibilità del personale tecnico aziendale per le operazioni di spegnimento degli impianti dello stabilimento siderurgico, secondo le procedure che individueranno i custodi. Questa lettera potrebbe essere il primo segno di collaborazione da parte dell'azienda. Che difficilmente, almeno stando a quanto dichiarato lunedì dal direttore del siderurgico Adolfo Buffo, porterà a termine tutte le indicazioni dei custodi, riprese nell'ultimatum per avviare le procedure di spegnimento degli impianti che scade domani, lanciato sabato scorso all'azienda da parte della procura. Per questa mattina invece, Bruno Ferrante ha convocato un incontro nello stabilimento di Taranto a cui parteciperanno i segretari provinciali di Fim, Fiom e Uilm. «È un momento delicato per i lavoratori diretti e quelli dell'appalto legati a doppio nodo a questo stabilimento: è opportuno che chi rischia due volte, il lavoro e la salute, possa dire la sua avendo ruolo e peso specifico in questa drammatica vicenda». Questo il pensiero del segretario provinciale della Fiom Cgil di Taranto, Donato Stefanelli, che ieri all'esterno della portineria D dell'acciaieria, ha illustrato una piattaforma rivendicativa che sarà votata dai lavoratori in un referendum per poi essere proposta all'attenzione dell'azienda. Il documento riguarda il risanamento ambientale e degli impianti, il piano degli investimenti, gli interventi sul piano di gestione del personale e della formazione, i temi della vigilanza e della prevenzione sanitaria e l'Aia. Da Bruxelles, intanto, il vice presidente della Commissione europea e responsabile per l'Industria, Antonio Tajani, durante un'audizione alla commissione Petizioni dell'Europarlamento, ha spiegato che l'Ue «ha piena fiducia nell'operato delle autorità italiane», una fiducia confermata anche dalla conversazione avuta ieri con il ministro dell'Ambiente Corrado Clini, che continua a ribadire che l'azienda non chiuderà. Al momento «non ci sono misure d'infrazione riguardo a l'Ilva», ha aggiunto Tajani. Tuttavia, la Commissione «continuerà a seguire attentamente la situazione tenendo in debito conto le questioni ambientali, la qualità dell'aria nell'area di Taranto e gli importanti risvolti occupazionali».

Il Manifesto 10 ottobre 2012

Per l'Ilva è arrivato il giorno della verità

Gianmario Leone . TARANTO . Scaduto l'ultimatum della procura, i custodi si recheranno in azienda per procedere allo spegnimento dell'Afo 5«Il quarto custode giudiziario dell'Ilva, il prefetto Bruno Ferrante, con un ordine di servizio ha messo a disposizione dei custodi il personale che dovrà attuare le disposizioni previste dalla procura. Ora spetta ai custodi stabilire come attuare le nostre direttive che sono scritte in un italiano corretto». Usa la consueta graffiante ironia il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, per commentare il proseguo della fase d'attuazione dei provvedimenti disposti nei confronti dell'Ilva con il sequestro degli impianti inquinanti, il cui ultimatum per l'inizio della procedura di spegnimento è scaduto ieri a mezzanotte. Ieri mattina il presidente del cda dell'Ilva Bruno Ferrante ha incontrato oltre 200 capi reparto per una riunione operativa: «Si è analizzata l'attuale situazione dell'azienda, oltre a spiegare nel dettaglio come l'azienda stia collaborando con i custodi giudiziari», si legge in una nota del gruppo Riva. «Vogliamo rispettare le disposizioni dell'autorità giudiziaria con atteggiamenti collaborativi»,

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ha dichiarato Ferrante parlando ai capi reparto. Aggiungendo che «è nostro dovere di cittadini rispettare le disposizioni che l'autorità giudiziaria dà anche attraverso i custodi». Queste parole però, non chiariscono cosa avverrà davvero da oggi dentro l'Ilva. In particolar modo per quanto riguarda l'altoforno 5: i custodi torneranno nel siderurgico quest'oggi per avviare le procedure anche del suo spegnimento; ma l'Ilva ha annunciato che i tecnici della Paul Wurth che l'azienda metterà a disposizione dei custodi, hanno il compito di eseguire i dettami della procura per quanto riguarda l'altoforno 1, non per l'Afo 5 che rappresenta il cuore produttivo dell'Ilva e che la stessa azienda ha previsto di spegnere non prima del 1 luglio 2015, così come sarebbe previsto dalle prescrizioni presenti nella nuova AIA. E sulla nuova autorizzazione integrata ambientale puntano tutta la posta in palio sia il governo, l'azienda e gli stabilimenti Ilva di Genova Cornigliano, Novi Ligure e Racconigi, che dipendono totalmente dalle bramme e dai coils prodotti a Taranto. Il ministro dell'ambiente Corrado Clini, ha assicurato che entro stanotte sarà conclusa a Roma la procedura istruttoria della revisione dell'AIA, che sostituirà quella rilasciata ad agosto 2011. Oggi, quindi, dovrebbe essere presentata formalmente la proposta che poi verrà analizzata nella Conferenza dei servizi prevista per il 17 ottobre. Ma anche in questo caso, ci sono differenze sostanziali tra le prescrizioni previste dal ministero e le indicazioni dei custodi. Intanto oggi non sarà a Taranto il ministro della Sanità, Renato Balduzzi, atteso per la presentazione ufficiale dei dati presenti nello studio Sentieri 200-2008, con l'aggiornamento dei dati al 2009: la discesa del ministro in riva allo Ionio è comunque prevista entro questo mese.

 Il Manifesto 12 ottobre 2012

Parchi minerari coperti, arriva la revisione dell'Aia

Carlo Lania . ROMA Prevista anche la chiusura dei nastri traportatori Stop all'altoforno 1 e alla cokerie. Nuovi sistemi di scarico delle navi senza dispersione delle polveriLa copertura totale dei parchi minerari, una delle maggiori fonti di inquinamento, è prevista entro il 2015. Intanto le colline di minerali verranno spostati ulteriormente all'interno dello stabilimento Ilva di Taranto di almeno 80 metri e la loro altezza, già ridotta nelle scorse settimane su disposizione dei custodi giudiziari, verrà ulteriormente abbassata fino a ottenere una ulteriore riduzione della giacenza, che non dovrà superare 1.300.000 tonnellate. Nel frattempo, in attesa che la copertura venga realizzata (tra progettazione, gara d'appalto e realizzazione passeranno mesi), si sta pensando di intervenire coprendo le colline di minerali con delle tensostrutture capaci di arginare la dispersione delle polveri. Un'ipotesi quest'ultima che fino a ieri sera era ancora allo studio degli esperti messi al lavoro dal ministero dell'Ambiente per realizzare la nuova Autorizzazione integrata ambientale (Aia) la cui presentazione è stata annunciata ieri dal ministro Corrado Clini per questa mattina. Al ministero c'è ottimismo e si spera che il documento - che il 17 ottobre verrà presentato alla Conferenza dei servizi e dal quale potrebbe dipendere il futuro dell'Ilva - potrà incontrare il parere favorevole dei custodi giudiziari e della procura tarantina «I parametri imposti sono i più severi mai applicati per un impianto siderurgico», ha spiegato Clini. Rispetto alla vecchia Aia di oltre mille pagine approvata ad agosto del 2011, la nuova autorizzazione sarà meno voluminosa ma più pesante nei contenuti. E questo per molti motivi: primo fra tutti perché dovrà tener conto delle indicazioni impartite dal gip Patrizia Todisco, ma anche perché non potrà prescindere dalle Bat, le migliori tecnologie disponibili da usare, approvate a marzo dall'Unione europea. Ma la commissione presieduta dalla giurista Carla Sepe ha ritenuto anche di mantenere le parti della vecchia Aia (forte di 642 prescrizioni) ritenute ancora adeguate per il futuro intervento di bonifica. Tra gli interventi indicati, oltre alla copertura degli 80 ettari sui quali si estende il parco minerali, c'è lo stop delle cokerie più inquinanti (3-4-5-6) e lavori nelle batterie 9 e 10. Ma anche la fermata dell'altoforno 1 (già annunciata dall'azienda) e l'adeguamento degli altoforni 2 e 4 (il 3 è già spento). Altro intervento riguarda i nastri trasportatori dei minerali, attualmente scoperti. E' previsto che vengano completamente incapsulati, da vedere se attraverso la costruzione di tunnel di plastica o in muratura. Sempre per quanto riguarda le colline di minerali, infine, si torna a parlare della cosiddetta

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filmatura, vale a dire della bagnatura dei minerali con acqua o con uno speciale gel capace di trattenere le polveri. L'operazione andrebbe realizzata con nuovi dispositivi (va detto che il sistema, già usato in passato, è stato contestato per la sua scarsa efficacia).La nuova Aia interviene anche sul porto di Taranto, gestito in gran parte dall'Ilva. Il problema in questo caso sarebbe rappresentato dai sistemi con cui l'azienda carica e scarica le navi che trasportano i minerali. Fino a oggi si sono utilizzate le benne. In futuro le operazioni dovranno svolgersi con sistemi automatici capaci di impedire la dispersione delle polveri verso la città.

Il Manifesto 12 ottobre 2012

LVA · Taranto scende di nuovo in piazza per difendere lavoro e salute«La nuova Aia è un bluff»

Gianmario Leone . TARANTO Contestata l'Autorizzazione integrata ambientale Tra pochi giorni il parere della procuraSono tornati a manifestare per le strade del quartiere Tamburi sotto lo slogan «Io non delego, io partecipo», gli operai, i cittadini e gli studenti del Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto. Alla base della nuova manifestazione, quattro idee di fondo: «salute, perché il diritto alla vita non accetta compromessi; reddito, per garantire un'esistenza dignitosa dopo 50 anni di ricatto e inquinamento; ambiente, per non permettere più che il territorio venga sfruttato e devastato in nome del profitto; occupazione, perché è inaccettabile che in una città così industrializzata ci sia il 40% di disoccupazione». Fotografia perfetta di ciò che è oggi Taranto. Tanti i giovani nel corteo: chi non è mai andato via, chi è stato costretto ad andarsene ma appena può torna a dare una mano perché culla sempre il sogno di tornare e chi è prossimo a cercare fortuna altrove: che sia nord o estero, poco importa. Perché ovunque non è Sud, non è Taranto: migliaia i giovani andati via negli ultimi 30 anni, segno tangibile del fallimento totale della politica e della classe dirigente locale. La giornata organizzata dal Comitato è poi proseguita nel pomeriggio con iniziative a favore dei più piccoli, un'assemblea popolare e tanta buona musica per provare a svagarsi un po'. Anche perché a Taranto non si parla d'altro che delle prescrizioni del riesame dell'Aia dell'Ilva, rilasciata all'azienda nell'agosto del 2011. Procedimento avviato nel marzo scorso dal ministero dell'Ambiente, che ha subìto un'accelerata dopo l'ordinanza di sequestro preventivo degli impianti dell'area a caldo dello scorso 25 luglio firmata dal Gip Patrizia Todisco, che accusa il siderurgico di disastro ambientale doloso. Del resto, obiettivo principale del ministero e del governo è garantire la continuità produttiva dello stabilimento, a fronte del divieto di facoltà d'uso degli impianti ordinato dal Gip e dal tribunale del Riesame. Dopo aver bocciato la richiesta dell'azienda di ottenere una minima capacità produttiva, la Procura ha infatti intimato di avviare le procedure di spegnimento entro giovedì: l'Ilva ha dichiarato disponibilità a seguire le direttive dei custodi, lasciando però in attività l'altoforno 5, cuore produttivo del siderurgico, che i custodi intendono fermare. E l'Aia presentata dal ministro Clini, provvedimento a metà perché riguarda soltanto la qualità dell'aria (l'esame su discariche, rifiuti e acque, avrà un provvedimento successivo) appare più filo aziendale che vicino alle prescrizioni del Gip e dei periti chimici. Singolare, inoltre, che il ministero conceda una nuova autorizzazione all'esercizio, seppur con prescrizioni, ad un'azienda che ha un'intera area e decine di impianti sotto sequestro giudiziario, con i proprietari ai domiciliari. Azienda che se da un lato si dichiara «collaborazionista» con la Procura, dall'altro continua a presentare ricorso contro qualunque provvedimento ad essa notificato. La nuova Aia, inoltre, poggia sulla singolare tesi per cui impianti che inquinano producendo, possano essere risanati restando in funzione: eppure, qualunque mezzo meccanico viene riparato da spento. Non si capisce perché questo non debba avvenire per gli impianti del siderurgico più grande d'Europa. A non convincere, poi, sono le stesse prescrizioni previste dalla commissione ministeriale. Come la « fermata e rifacimento dell'Afo 5 entro il 30 giugno 2014»: per i custodi e la Procura va fermato sin da subito, per l'Ilva nel luglio 2015. « Produzione limitata a 8 milioni di tonnellate di acciaio l'anno, anziché 15»: l'Ilva non ha mai prodotto tanto: l'anno scorso si è fermata ad 8,5, il record assoluto è 10: dunque, dire che la produzione sia stata dimezzata del 50%, è una colossale bugia. Tra le altre disposizioni, «copertura parco minerali primario entro tre anni con progetto esecutivo da farsi entro tre mesi a partire dal 30 ottobre prossimo e la riduzione della produzione di circa il 30 per cento»: in pratica, un copia ed incolla del piano presentato da Ilva e già bocciato da custodi, Procura e Gip, che rinvia

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al 2015 l'eventuale risoluzione dello spargimento di polveri che invadono da decenni quartieri interi della città. Sempre per i parchi, «abbassamento e arretramento dei cumuli di 80 metri dal muro di cinta»: per spostarli come e dove? In più, «copertura dei cumuli di materiali polverosi. Nei giorni più critici, i cosiddetti wind days, bisognerà ridurre le operazioni del 10%, predisporre una doppia dose di filmatura, la bagnatura doppia delle piste e la riduzione della velocità dei veicoli del 50%»: ma come avverrà una riduzione così precisa nei numeri? Unica nota positiva, lo stop «al pet coke tra le materie prime di lavorazione». Difficile pensare che tali interventi serviranno a ridurre l'impatto inquinante e a salvaguardare la salute dei cittadini: nel recente passato, anche con una produzione minore, l'Ilva ha sforato il valore obiettivo annuale del benzo(a)pirene, potente cancerogeno prodotto dalla cokeria Ilva (come appurato da Arpa Puglia nel 2010). Altro snodo fondamentale della vicenda, l'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili: ma la perizia dei chimici ha posto come parametro di valutazione di base, le migliori tecnologie in assoluto, previste dall'articolo 8 della normativa sull'Aia (d. lgs. 59/2005). Prima che il decreto sia firmato dal ministro Clini, l'Aia dovrà superare l'esame della Conferenza dei Servizi del prossimo 18 ottobre. Soltanto dopo, forse, il ministro della Salute Renato Balduzzi, presenterà i dati sullo studio Sentieri (2003-2008 con eventuale aggiornamento al 2009). Taranto e i suoi morti, dunque, possono ancora attendere.

 Il Manifesto 14 ottobre 2012

I soldi per la bonifica dell'Ilva c'erano. Ma nessuno li ha usati

ROMA .«Non sempre capisco l'attitudine di una parte della magistratura». Corrado Passera attacca i magistrati di Taranto. Il ministro dello Sviluppo interviene sull'Ilva sottolineando ancora una volta i costi che l'eventuale chiusura dello stabilimento comporterebbe. Ma anziché spingere perché l'Ilva rispetti le disposizioni impartite dal gip per fermare le emissioni inquinanti, sceglie di attaccare la procura di Taranto. Parole che contrastano con quanto dichiarato ieri da Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato è infatti intervenuto chiedendo maggiore collaborazione tra le istituzioni anche per risolvere la vicenda Ilva. Serve - ha detto - uno spirito di leale collaborazione tra istituzioni», necessaria per superare le «prove difficli» che l'Italia deve affontare. Un invito alla collaborazione che il ministro per lo Sviluppo non sembra cogliere. Il costo economico, sociale ed umano della chiusura dello stabilimento «sarebbe enorme», dice infatti Passera sottolineando come l'Ilva «può essere messo in condizione di essere ambientalmente accettabile. Dobbiamo fare le modifiche necessarie per farlo continuare, perché chiuderlo significherebbe chiuderlo per sempre».Ma intanto si viene a sapere che la bonifica dei quartieri inquinati dall'Ilva sarebbe potuta cominciare già da tempo, evitando così forse a molte persone di ammalarsi. Tanto più che i soldi per i lavori di risanamento delle aree ci sarebbero stati, e anche tanti: 140 milioni di euro che anziché essere destinati alla città e ai suoi abitanti sarebbero invece stati investiti in titoli di Stato. A scoprirlo è stato il deputato del Pd Ludovico Vico che ieri ha presentato un'interrogazione a Passera. «Da informazioni da me assunte - spiega il parlamentare - risulterebbe infatti che con atto di compravendita azionaria del 16 marzo 1995 l'Iri (oggi Fintecna) nell'ambito della complessiva operazione di privatizzazione delle aziende metallurgiche di Stato cedeva alla Rilp srl (Gruppo Riva) il 100% del pacchetto azionario dell'Ilva laminati piani srl, alla quale erano stati precedentemente conferiti i complessi produttivi di Taranto, Novi Ligure, Genova, Marghera e Torino». Al momento della cessione, l'Iri garantiva di non aver mai posto in essere atti di natura dolosa o gravemente colposa in materia ambientale, impegnandosi a non coinvolgere l'acquirente in eventuali perdite risultanti da violazioni di legge in materia ambientale. Proprio per questo Fintecna aveva accantonato un fondo quantificabile oggi in 140 milioni di euro. Ora che il governo, con la legge Taranto, ha avviato il processo di bonifica delle aree inquinate con un finanziamento di 336 milioni di euro, quei soldi potrebbero essere aggiunti a quelli già stanziati. A bloccare il finanziamento iniziale potrebbero essere state alcune controversie sorte un anno dopo il passaggio da pubblico a privato e relative ad alcuni aspetti della compravendita. «Nell'aprile del 1996 - spiega ancora Vico - veniva attivato un arbitrato secondo le regole dell'International Court of Arbitration: procedura che si concludeva con lodo del primo marzo 2000». A quella data, prosegue Vico, «il collegio riteneva che non sussistessero i presupposti per

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una adeguata quantificazione e attribuzione degli oneri relativi, rimandando ad altro separato giudizio arbitrale da attivare ad hoc, in quanto la materia veniva ritenuta bisognosa di approfondimenti non pertinenti a quanto allora sottoposto a giudizio degli arbitri». Successivamente, nel 2008, Ilva e Fintecna arrivano a un accordo che ribadisce quanto stabilito nel marzo del 2000, rinviando la decisione sulle rispettive quote da investire in «oneri ambientali» al momento di una successiva quantificazione. «In contemporanea - conclude Vico - Fintecna avrebbe provveduto ad accantonare a fondo rischi un importo di circa 140 milioni di euro attualmente investito in titoli di Stato». Con l'interrogazione di ieri, il deputato del Pd chiede a Passera innanzitutto di verificare l'esistenza o meno del fondo, e poi di intervenire per rendere immediatamente disponibili quei soldi.

Il Manifesto 16 ottobre 2012

TARANTO - I dati illustrati dal ministero della salute confermano che nella città dell'Ilva si muore di più. Adesso la strage è ufficiale

Gianmario Leone . TARANTO Aumentano i tumori, mortalità più alta dell'8% per le donne, del 14 per gli uominiUna strage silenziosa lunga decenni, che ha una lunghissima lista di colpevoli, la maggior parte dei quali ancora impuniti. Ma i dati presentati ieri a Taranto dal ministro della salute Renato Balduzzi sono una sorpresa e uno choc soltanto per chi di questo territorio non si è mai interessato o mai nulla ha conosciuto. Perché i risultati del Rapporto «Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica», aggiornamento agli anni 2003-2009 dello Studio Sentieri sull'area Sin di Taranto, sono solo una parte della storia di questo territorio. Dai risultati presentati ieri, è emerso un qualcosa che i tarantini sanno da anni: un chiaro stato di compromissione della salute della popolazione residente nella città. Questo quadro è coerente con quanto emerso in precedenti studi descrittivi e analitici di mortalità e morbosità (i primi si riferivano a dati risalenti al periodo 1981-1987), in particolare la coorte dei residenti a Taranto nella quale, anche dopo avere considerato i determinanti socio-economici, i residenti nei quartieri di Tamburi, Borgo, Paolo VI e nel comune di Statte mostrano una mortalità e morbosità più elevata rispetto alla popolazione di riferimento, in particolare per malattie per le quali le esposizioni ambientali presenti nel sito possono costituire specifici fattori di rischio.La mortalità a Taranto è più alta rispetto al resto della regione del 14% per gli uomini e dell'8 per le donne; rispetto al resto della provincia ionica si ammalano di tumore il 30% in più degli uomini e il 20% delle donne. Nelle donne l'incidenza dei tumori è più alta con dati che oscillano tra il 24 e il 100%, mentre per gli uomini, rispetto alla media regionale, le possibilità di morire di tumore aumentano fino al 419%. Nei bambini crescono le malattie nel primo anno di vita e la mortalità. In pratica non si salva nessuno. Per gli uomini, l'eccesso di mortalità per tutte le cause tra il 2003 e il 2009 rispetto alla media regionale è del 14%. Per tutti i tumori è +14%, malattie circolatorie +14%, malattie respiratorie +17%, tumori polmonari +33% e +419% di mesoteliomi pleurici. Rispetto al resto della provincia, per gli uomini che vivono tra Taranto e Statte si registra un più 30% di tumori. Nel dettaglio, si registra un più 50% del tumore maligno del polmone, +100% per il mesotelioma e per i tumori maligni del rene, +30% per il tumore della vescica e per i tumori della testa e del collo, +40% per il tumore maligno del fegato, del 60% per il linfoma non Hodgkin, del 20% per il tumore maligno del colon retto e quello della prostata e del 90% per il melanoma cutaneo.Per le donne i decessi legati ai tumori sono più 13%, per le malattie circolatorie +4%, per i tumori polmonari +30% e per il mesotelioma pleurico +211%. In particolare, rispetto ai dati della provincia nel sito di Taranto e Statte si registra un incremento totale dei tumori del 20% e nello specifico dei tumori al fegato (+75%), linfoma non Hodgkin (+43%), corpo utero superiore (+80%), polmoni (+48%), tumori allo stomaco (+100%), tumore alla mammella (+24%). Per uomini e donne l'eccesso è presente anche quando si utilizzano per il confronto i tassi del Sud e delle Isole. Anche per i bambini si registrano incrementi significativi di contrazione malattie per tutte le cause nel primo anno di vita. E si conferma un aumento della mortalità. Impietoso il dato in età pediatrica: a Taranto, entro il primo anno di vita, muore il 20% di bambini in più rispetto al resto della Puglia. Se si considera anche la fase prenatale si toccano punte del 40%.

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Il rapporto, che pubblica i dati aggiornati al 2009, accerta anche che, per tutte le cause di mortalità, per tutta la popolazione, si registra un +1% rispetto al 2008. Nel rapporto si legge anche che «lo stabilimento siderurgico Ilva, in particolare gli impianti altoforno, cokeria e agglomerazione (tutti sotto sequestro giudiziario), è il maggior emettitore nell'area per oltre il 99% del totale ed è quindi il potenziale responsabile degli effetti sanitari correlati lì al benzopirene». Stesso discorso per le polveri sottili (Pm10) «emesse dallo stabilimento siderurgico dell'Ilva, tra i principali fattori di rischio per la salute della popolazione». Più elevati anche i livelli di diossina e Pcb nel sangue degli allevatori operanti nel raggio di 20 km dal polo industriale tarantino.Tutto questo si sapeva già dall'8 marzo (quando l'Iss trasmise questi dati alla Procura di Taranto), ma all'Ilva il ministero dell'ambiente, con il sostegno delle istituzioni locali, ha concesso il riesame dell'Aia per continuare a produrre, malgrado il sequestro preventivo di tutta l'area a caldo ad opera della magistratura. Ora Balduzzi dice di avere «la sensazione che si debba fare qualcosa di più».

Il Manifesto 23/10/12 

La pediatra: i ricoveri parlano chiaro di cosa ci si ammala «Nessuna sorpresa, dramma già noto» Parlano i prof che curano i bambini

G. Le. - TARANTO Piombo, il nemico silenzioso: da adulti porta a alzheimer. E ora aumentano le donne colpiteI dati presentati ieri a Taranto non sorprendono chi da anni lavora sul campo. E che per questo, della propria professione ha fatto una missione di vita. È il caso della pediatra Annamaria Moschetti, presidente regionale dell'Associazione culturale pediatri Onlus, donna da sempre in prima linea contro l'inquinamento per difendere la salute dei bambini, in particolare quelli residenti ai Tamburi. «I dati resi noti dal ministro Balduzzi sono un colpo alla coscienza di tutti noi. Come pediatri non possiamo che essere sgomenti. Ma non sorpresi: ce li aspettavamo». Del resto, anche nella perizia redatta dagli esperti epidemiologi nell'incidente probatorio nell'inchiesta in cui l'Ilva è accusata dalla procura di "disastro ambientale doloso", i dati sui bambini erano più che allarmanti: 937 ricoveri ospedalieri per malattie respiratorie, 638 delle quali in età pediatrica (49 per anno nei 13 esaminati) e 17 casi di tumore maligno riscontrati tra i bambini con ricoveri in ospedale. Gli esperti, riferendosi ai ricoveri di bambini per malattie respiratorie, sentenziarono che «la quota di patologia è attribuibile all'esposizione alle sostanze emesse dal complesso industriale in particolare il pm10». Dai bambini alle donne, il passo è breve: una donna in gravidanza, se vive in una zona dove è sottoposta in maniera cronica a pm10, «rischia di avere un bambino con un alterato sviluppo del polmone e nel tempo una riduzione dello sviluppo polmonare con riduzione persistente della funzionalità respiratoria». A Taranto, nel rione Tamburi, il limite di sforamenti annuali per legge di 35 giorni del pm10, quest'anno è stato superato a fine agosto: stesso responso nel triennio precedente (2009, '10, '11). Oltre al pm10, c'è il benzo(a)pirene, pericolosissimo cancerogeno: nel 2010, come riportato anche lo studio Sentieri, al rione Tamburi la concentrazione media annuale è stata pari a 1,8 ng/m3, ben oltre il valore obiettivo di 1 ng/m3 indicato dal decreto 155/2010. «Nello studio è specificato come tale valore sia superiore anche rispetto ad una città come Roma: così la smettiamo con la favola che Taranto è nel trend di altre realtà, o addirittura inferiore ad altre province pugliesi». Ma i pediatri sono preoccupati anche per la presenza di un altro nemico silenzioso: il piombo, che può provocare anche l'Adhd, ovvero i disturbi da deficit di attenzione e/o iperattività, e può predisporre a malattie neurovegetative nell'età adulta, alzheimer e parkinson. «Nei bambini è dimostrato da anni che elevate concentrazioni di piombo nel sangue, anche in bassi dosi, potrebbero condurre a riduzione del quoziente intellettivo del tutto non apparenti. Tra l'altro i bambini sono più esposti degli adulti poiché il piombo si può assumere anche per via orale». Un altro pioniere della battaglia contro l'inquinamento è il primario ematologo e consigliere regionale IdV Patrizio Mazza. Anche lui non è sorpreso dai dati: anzi, rilancia. «Quei dati sono vecchi, parlano di anni già passati: il mio dubbio è che di fronte abbiamo soltanto la punta dell'iceberg di un problema gigantesco». Che Mazza ha sollevato, una volta eletto in Regione: «Tutto questo non fa che confermare quanto ho sempre detto: vale a dire che siamo in un sito altamente inquinato, dove bisogna pretendere atto di queste malattie e del loro aumento». Come nel caso delle donne: «Gli uomini sono da sempre più esposti: ma l'aumento anche per le donne,

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deve portare ad una lunga riflessione». Cosa fare dunque? Nell'incontro di ieri, il ministro Balduzzi non ha indicato soluzioni immediate, adagiandosi quindi sulle posizioni del ministro dell'ambiente Corrado Clini. «Vorrei ricordare che la nuova Autorizzazione integrata ambientale per l'Ilva, come provvedimento amministrativo, non soddisfa le esigenze sanitarie: ciò non accadrebbe nemmeno con la previsione della valutazione di danno sanitario». L'unica soluzione dunque, in attesa della realizzazione di economie alternative alla grande industria, è rispettare alla lettera il principio di precauzione: ovvero quello «che le popolazioni non devono essere esposte a sostanze inquinanti di alcun tipo».

Il Manifesto 23/10/12

ILVA - Presentata la relazione della commissione parlamentareGoverno sotto accusa: «Assente nella fase dell'allarme sanitario»

Gianmario Leone - TARANTO . Il documento è stato approvato all'unanimità. Critiche anche agli enti localiAll'indomani della divulgazione dei dati del progetto Sentieri 2003-2009 sulla mortalità e sull'incidenza delle malattie nel Sin di Taranto, sulla situazione ambientale dell'area ionica arriva un nuovo, fondamentale documento. E' quello prodotto dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti connessi al ciclo dei rifiuti, approvato nei giorni scorsi all'unanimità, in merito a accaduto nella vicenda dell'Ilva di Taranto. Un testo nel quale sul banco degli imputati finiscono in sequenza il governo, il ministero dell'ambiente, le istituzioni locali e gli organi di controllo. A presentare il documento, ieri al Castello Svevo di Bari, il presidente della commissione, Gaetano Pecorella, presenti i ministri Clini e Balduzzi e il governatore della Puglia, Nichi Vendola. Nel testo, il governo viene definito «assente nella fase dell'allarme sanitario lanciato nell'incidente probatorio dinanzi al Gip»; si sarebbe svegliato solo dopo il sequestro degli impianti, a fronte di un problema «a livello di produttività e di competitività». Forti le critiche nei confronti del ministero dell'ambiente, per non essersi schierato nell'incidente probatorio della primavera scorsa dinanzi al Gip per il procedimento contro l'Ilva, accusata di disastro ambientale doloso. In quell'occasione, la partecipazione del ministero dell'ambiente quale persona offesa «avrebbe rappresentato un segnale di presenza dello Stato e dei suoi organi centrali rispetto a una problematica ambientale di dimensioni uniche in Italia». L'assenza viene definita «sorprendente».La presenza delle persone offese - si legge nel documento - «non era obbligatoria, tuttavia l'attualità delle problematiche ambientali, la situazione di allarme ambientale e sanitario avrebbero dovuto costituire sufficienti ragioni perché il ministero dell'ambiente partecipasse all'udienza». Una partecipazione che avrebbe «costituito un momento di arricchimento conoscitivo attraverso l'acquisizione di importanti informazioni sulle emissioni promananti dall'Ilva». Critiche durissime anche sull'operato degli enti locali. «Pare incredibile che nel corso degli anni non sia stata messa in atto una strategia di controlli, di prescrizioni, di verifiche che potesse garantire il perseguimento degli obiettivi produttivi dell'impresa senza alcun pregiudizio per la salute umana». Che «cosa sia stato fatto dagli organi di controllo e dagli enti territoriali nel corso di decenni non è dato sapere».Ma la commissione parlamentare va anche oltre. Dichiarando che il buon senso di tutti dovrebbe indurre a capire come «non si possa produrre se questo determina la presenza dei tumori o la crescita del rischio morte», perché «la salute non è in vendita». Per questo «qualunque intervento sarà necessario va fatto, qualunque costo abbia». E a proposito di costi, Pecorella chiarisce che «prima di tutti deve mettere mano ai risarcimenti l'azienda, perché la causa di tutto è l'Ilva» e «naturalmente, non avendo controllato i pubblici amministratori e non essendo intervenuto lo stato con leggi ad hoc - punta l'indice - c'è una responsabilità che va al di là dell'azienda e ricade su tutti coloro che avrebbero potuto evitare un evento che non è stato evitato».All'incontro di ieri ha partecipato anche il procuratore capo di Taranto Franco Sebastio, titolare dell'inchiesta per disastro ambientale: «Andiamo avanti - ha detto - perché c'è il principio della obbligatorietà dell'azione penale». Nel documento della Commissione, un passaggio che dovrebbe portare a una riflessione i sindacati. «E' come se si fosse fatto un salto indietro di più di cento anni quando, in corrispondenza dell'inizio dell'era industriale, non esistevano le norme a tutela dell'ambiente e dei lavoratori e la produzione era l'unico obiettivo da perseguire».

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Il Manifesto 24/10/12

Taranto / IL GIUDICE: È GIÀ PRESIDENTE, FUNZIONI IN CONFLITTOIlva, Ferrante rimosso dal ruolo di custode

Gianmario Leone . Il doppio incarico, recita la sentenza, «pregiudica la serena esecuzione del sequestro» Nuova tegola per il Gruppo Riva nella vicenda giudiziaria dell'Ilva di Taranto. Ieri infatti, il Tribunale ha annullato la decisione dello scorso 28 agosto, con la quale il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante era stato nominato custode giudiziario con la funzione di curare gli aspetti amministrativi della gestione dell'area a caldo, sotto sequestro dallo scorso 26 luglio, posta sotto l'egida di tre custodi giudiziari. La nomina di Ferrante, dallo scorso 10 luglio presidente del cda dell'Ilva, fu decisa dal Tribunale del Riesame che in veste di giudice dell'esecuzione annullò il provvedimento del Gip Todisco, che aveva revocato dal ruolo di custode amministrativo Ferrante, rilevando una incompatibilità nel doppio ruolo di presidente e di custode.La replica dell'azienda è affidata a una scarna nota stampa, nella quale si legge che l'ex prefetto «prende atto della decisione del Tribunale e si rimette alle decisioni dell'Autorità Giudiziaria nei confronti della quale manifesta sempre la propria disponibilità». Il provvedimento di ieri ha quindi accolto l'appello proposto dalla Procura di Taranto, ripristinando lo scenario disegnato dalla giudice Todisco con i decreti adottati dal gip il 10 e 11 agosto scorso. Ma la situazione potrebbe nuovamente cambiare, visto che contro l'ordinanza del gip, i legali dell'Ilva hanno già depositato ricorso in Cassazione. Con le ordinanze dello scorso agosto, il gip rimarcò gli incarichi e le responsabilità dei custodi giudiziari, revocando la nomina di Ferrante per «evidente conflitto di interessi». I giudici hanno quindi confermato la correttezza di quei provvedimenti, perché il tribunale del Riesame, tecnicamente, non poteva essere giudice d'esecuzione di un suo stesso provvedimento e quindi non poteva scavalcare il gip che è l'autorità giudiziaria competente sul sequestro, in quanto lo stesso giudice che ha emesso il provvedimento. Todisco decise per l'esclusione di Ferrante dopo che quest'ultimo comunicò alla stampa di aver dato mandato all'ufficio legale di impugnare i provvedimenti del gip: atteggiamento che fece venir meno il rapporto di fiducia fra l'autorità giudiziaria e lo stesso Ferrante.Nelle 11 pagine depositate ieri, si legge che qualora non venisse sospeso il provvedimento del Riesame, si creerebbe uno stato di impasse (che in realtà esiste proprio da quel 28 agosto), perché verrebbero meno le competenze specificate dal gip «di vitale importanza per la salute dei lavoratori e della popolazione». Sulla doppia nomina di Ferrante, si legge che «non v'è dubbio che poteva dare luogo a problemi di mera opportunità nel rispondere a pretese in contrasto fra loro o difficilmente conciliabili». Non è un mistero infatti come nei giorni scorsi, più volte i custodi giudiziari abbiano denunciato alla Procura l'ostruzionismo di Ferrante nel rendere operativi i provvedimenti notificati all'azienda negli ultimi due mesi. E infatti, nel testo si legge che il presidente Ilva «ha dimostrato, pur presentando ricorsi legittimi, discutibile e scarsa disponibilità a collaborare con l'autorità giudiziaria, palesata soprattutto in maniera chiara con la volontà o quantomeno l'interesse, a proseguire l'attività produttiva, che darebbe luogo a protrazione o aggravamento di conseguenze dannose di reato, giunte, invero, già a livelli allarmanti». Il doppio ruolo ricoperto fino a oggi da Ferrante, hanno concluso quindi i giudici, «pregiudica la serena e compiuta esecuzione del sequestro ed introduce il rischio serio e concreto della possibile prosecuzione dell'attività produttiva». Del resto, il sequestro non ha mai previsto la facoltà d'uso degli impianti ai fini produttivi.

 Il Manifesto 26/10/12

TARANTO - Restano ai domiciliari il patron e i vertici dell'azienda. Ilva, pericolo di ulteriori illeciti

Gianmario Leone . TARANTO . Resteranno ai domiciliari il patron dell'Ilva, Emilio Riva, suo figlio Nicola, ex presidente del Cda e l'ex direttore dello stabilimento tarantino, Luigi Capogrosso: lo ha stabilito ieri il tribunale del Riesame di Taranto (giudici De Tomasi, Ruberto e Incalza). Per i giudici sono invariati i pericoli di inquinamento probatorio e reiterazione del reato da parte dei tre indagati,

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con particolare riferimento alla «commissione sistematica e ininterrotta dei fatti criminosi per i quali si procede e della capacità di Ilva spa di far avvicinare da propri dipendenti funzionari pubblici».Per il Riesame l'ex direttore Capogrosso, nonostante abbia lasciato il suo incarico, potrebbe ancora inquinare le prove del futuro processo, avvicinando potenziali testimoni. I due Riva, si legge nelle cinque pagine del provvedimento, hanno esercitato pressioni «anche tramite gravi illeciti» per incidere sui procedimenti in corso. Quindi potrebbero, scrivono i giudici, «organizzare ulteriori attività illecite» anche presso altri contesti industriali. A sostegno di questa tesi, nel provvedimento sono elencati i diversi precedenti penali a carico di Emilio e Nicola Riva, «quale ulteriore concreto elemento sintomatico della comprovata capacità a delinquere, avendo costoro dimostrato totale indifferenza verso l'incolumità pubblica e individuale». Intanto, uno studio del ministero della Salute su allevamenti in un raggio di 10 km dall'Ilva, ha accertato nel 20% dei casi il superamento dei limiti di diossina e altri cancerogeni: ma secondo il modello statistico utilizzato dai ricercatori, gli sforamenti arriverebbero oltre il 30%. Inoltre, dal confronto effettuato tra gli esiti che vanno dal 2008 al 2012, emerge che «non vi sono variazioni significative da un punto di vista statistico in merito alla concentrazione di Diossine e Pcb diossina simili». Smentite, quindi, le rassicurazioni di azienda, istituzioni e sindacati sul fatto che i livelli di inquinamento siano calati a seguito degli investimenti per l'ambientalizzazione degli impianti: le quantità di diossina sono rimaste le stesse, dichiara il ministero. È bene ricordare come il 23 febbraio 2010, preso atto degli alti livelli di diossina e Pcb presenti nelle produzioni zootecniche dell'area, la Regione Puglia decise, al fine di tutelare la salute pubblica, di vietare il pascolo entro un raggio di non meno di 20 km attorno all'area industriale di Taranto (ordinanza regionale n.176/2010). E che dal dicembre del 2008, sono migliaia i capi di bestiame abbattuti a causa della di diossina negli organi interni. I risultati della perizia chimica depositata dai tecnici esperti nominati dal gip di Taranto, Patrizia Todisco, davanti alla quale si svolse la prima parte dell'incidente probatorio nell'inchiesta per disastro ambientale ai vertici Ilva lo scorso 27 febbraio, dimostrò che i livelli di diossina e Pcb rinvenuti negli animali abbattuti e nei terreni circostanti l'area industriale di Taranto, sono riconducibili alla specifica attività di sinterizzazione (area agglomerazione) svolta all'interno dell'Ilva.

Il Manifesto 30/10/12

Ilva di Taranto, incidente sul lavoro: muore un operaio

Claudio Marsella, 29 anni, sarebbe rimasto ucciso durante la fase di aggancio della motrice ai vagoni. I sindacati proclamano uno sciopero fino alle 7 di mercoledì 31 ottobre. Dal 1993 sono 45 le vittime nell'azienda siderurgica puglieseUn operaio di 29 anni dell'Ilva di Taranto, Claudio Marsella, è morto nella mattina di martedì 30 ottobre in un incidente sul lavoro, le cui cause sono ancora da accertare. La vittima faceva parte del reparto movimento ferroviario e l'incidente sarebbe avvenuto durante la fase di aggancio della motrice ai vagoni.Sindacati in sciopero - L'azienda che ha deciso di sospendere l'attività al primo turno dello stabilimento mentre diverse sigle sindacali, insieme alla rappresentanze sindacali unitarie di stabilimento, hanno proclamato uno sciopero fino alle 7 di domani 31 ottobre.Ilva, 45 morti dal 1993 - Sono 45 le morti degli operai avvenute all'interno dell'Ilva di Taranto dal 1993. L'ultimo decesso si era verificato l'11 dicembre del 2008 quando un lavoratore polacco, dipendente di un'azienda appaltatrice, cadde da un ponteggio dell'altoforno 4. Le morti bianche nel siderurgico tarantino sono state per le cause più disparate: molti operai sono deceduti in seguito a cadute da ponteggi di impianti, ad esplosioni di macchinari o al crollo di gru o perché colpiti, nel corso delle fasi delle varie lavorazioni, da pesanti bramme o schegge di materiali; altri operai sono morti per aver inalato gas nel corso di lavori di manutenzione. Difficili da quantificare gli incidenti che, nel corso degli anni, hanno causato centinaia di feriti e ustionati

Sky TG 24 - 30/10/12

ILVA: MUORE OPERAIO. USB PROCLAMA SCIOPERO IMMEDIATO

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Rizzo (USB ILVA), una giovane vita sacrificata in nome del profitto

Taranto . A fronte della morte del giovane operaio avvenuta questa mattina nel reparto Movimento Ferroviari dello stabilimento ILVA di Taranto, il Coordinamento regionale dell’USB Lavoro Privato Puglia, unitamente all’USB  dell’ILVA, ha proclamato lo sciopero immediato di tutti i dipendenti dello stabilimento ILVA di Taranto, a partire dalle ore 11.00 di oggi, 30 ottobre, fino alle ore 7.00 di domani, 31 ottobre. Lo sciopero è stato indetto per rivendicare la sicurezza nel reparto MOF e per la tutela dell’incolumità e della sicurezza di tutti i Lavoratori dell’ILVA.“Alle postazioni del MOF i manovratori operano da soli, e se un lavoratore ha problemi nessuno è in grado di rilevarli ed intervenire tempestivamente”, denuncia Francesco Rizzo, dell’USB ILVA.“Queste modalità lavorative sono state sancite da un vergognoso accordo, siglato due anni fa da FIM FIOM e UILM, in cambio di poche centinaia di Euro”.“Dunque, sia nel caso in cui l’operaio morto abbia avuto un malore, sia nel caso di un incidente, come sembra emergere dai primi accertamenti, si tratta sempre di una giovane vita sacrificata in nome del profitto”, conclude Rizzo.

USB Unione Sindacale di Base 30 ottobre 2012

Schiacciato dal locomotore Anche così uccide l'Ilva

GIANMARIO LEONE – TARANTO È la 45ma vittima sul lavoro dal 1993. È proprio il caso di dire che al peggio non c'è mai fine.Un giovane operaio dell'Ilva, il 29enne Claudio Marsella, originario di Mesagne ma residente a Oria (Brindisi) con mansione di locomotorista e dipendente diretto del siderurgico, è deceduto mentre era al lavoro nell'area portuale gestita dall'azienda: la tragedia è infatti avvenuta al quinto sporgente dello scalo ionico. Il corpo è stato trovato ai piedi di un locomotore nei pressi di uno dei moli interni al recinto dello stabilimento. Sono le 8,45: il 29enne Marsella sta lavorando nel reparto Mof (Movimento ferroviario) quando all'improvviso resta schiacciato durante le operazioni di aggancio della motrice ai vagoni, riportando gravissime lesioni interne al torace e la frattura del femore. A soccorrere Marsella sul luogo dell'incidente, sono stati alcuni colleghi che operano nella stessa area. Le sue condizioni sono apparse subito molto gravi all'arrivo dell'ambulanza del 118, che ha trasportato d'urgenza l'operaio all'ospedale Santissima Annunziata. Ma per Marsella non c'è stato nulla da fare: il 29enne è deceduto poco dopo il ricovero.La Procura di Taranto ha aperto un'inchiesta. Il locomotore è stato posto sotto sequestro per consentire di ricostruire la dinamica: sul luogo dell'incidente si è recato anche il procuratore capo, Franco Sebastio, titolare dell'inchiesta sull'Ilva per disastro ambientale doloso. Immediata la reazione dei sindacati: le segreterie provinciali di Fim, Fiom e Uilm, con le rappresentanze sindacali unitarie di stabilimento, hanno infatti proclamato uno sciopero immediato che terminerà alle 7 di questa mattina. «Fim, Fiom e Uilm - è detto in una nota congiunta - chiedono a tutti gli enti preposti di fare chiarezza sull'ennesimo infortunio mortale che ha coinvolto un altro giovane lavoratore». Le organizzazioni sindacali hanno inoltre espresso «la propria vicinanza ai famigliari del lavoratore scomparso». Alcuni lavoratori hanno improvvisato un sit-in sotto la sede la prefettura di Taranto: si tratta dei dipendenti che aderiscono al Comitato di «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti», di cui fanno parte diversi dipendenti dell'Ilva. I lavoratori hanno chiesto di incontrare il prefetto, Claudio Sammartino, per discutere delle problematiche sulla sicurezza all'interno dello stabilimento siderurgico dopo l'incidente.La direzione aziendale dell'Ilva ha invece deciso di sospendere le attività dello stabilimento, relative al primo turno, in segno di cordoglio, per la prima volta nella sua storia. In una nota la direzione aziendale, dopo aver espresso ai familiari cordoglio, ha precisato che che fornirà agli inquirenti tutto il supporto necessario per fare chiarezza sull'accaduto. Era dal lontano dicembre 2008 che non si verificava un incidente mortale all'Ilva di Taranto. Allora, a perdere la vita fu un operaio polacco, Jan Zygmunt Paurovicz, di 54 anni, dipendente di una ditta dell'appalto, che precipitò da un ponteggio allestito nell'altoforno 4. Con quella di Claudio Marsella, salgono a 45 le morti degli operai avvenute all'interno dell'Ilva di Taranto dal 1993: un record di cui nessuno dovrebbe andare orgoglioso.Le morti bianche all'interno del siderurgico tarantino, sono avvenute per le cause più diverse: molti

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gli operai deceduti in seguito a rovinose cadute da ponteggi di impianti, a esplosioni di macchinari o al crollo di gru o perché colpiti da pesanti bramme o schegge di materiali; altri sono invece morti per aver inalato gas nel corso di lavori di manutenzione. Molto più difficile, invece, quantificare gli incidenti che negli anni hanno causato il ferimento o l'ustione di centinaia di operai. In molti però, ricordano ancora quanto accadde all'operaio tarantino Saverio Paracolli, di 45 anni, morto il 10 aprile 2004 dopo sette giorni di agonia per un incidente avvenuto nel reparto Tubificio 1: Paracolli rimase incastrato fra un tubo e un'apparecchiatura. Curiosità interessante e che deve far riflettere: l'Ilva nel 2011 ha ottenuto per il secondo anno consecutivo il «Premio Missione Sicurezza». Mentre in un convegno di studi - «Capitale Umano d'Impresa, organizzazione e flessibilità» - fu assegnato allo stabilimento di Taranto il premio «Aldo Fabris» per le politiche aziendali in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il Manifesto 31/10/12

Altoforno 1 e cokeria, due incidenti la maledizione dei reparti sotto chiave

TARANTO - Due infortuni nel giro di poche ore nell' area a caldo dell' Ilva, finita sotto sequestro nell' ambito dell' inchiesta per disastro ambientale. La notte scorsa l' allarme è scattato nel reparto altiforni. La sirena ha segnalato una fuga di gas nella zona dell' Afo 1, indicato dai custodi giudiziari tra gli impianti da spegnere immediatamente per abbattere l' inquinamento killer sviluppato dalla grande fabbrica. Le operazioni di spegnimento del grande altoforno sono già state avviate e dovrebbero concludersi ai primi di dicembre. Alle due della scorsa notte, uno dei tecnici dell' Afo1 è intervenuto per verificare l' allarme gas. Dopo aver verificato i livelli di gas è ritornato al suo posto, ma ha accusato un malore. A quel punto è stato condotto in ospedale ed è rimasto per alcune ore sotto osservazione. Già in mattinata i medici lo hanno dimesso con una prognosi di tre giorni. L' altro infortunio si è verificato nella cokeria, nei pressi della batteria numero sette. Vittima un lavoratore della Semat, una delle imprese dell' indotto che curano la manutenzione. L' operaio stava manovrando un ponteggio mobile vicino ai forni della batteria. Il ponteggio gli è finito su un piede e gli ha fratturato un dito. È stato subito soccorso e condotto in ospedale. Ne avrà per pochi giorni. Sulla crisi giudiziaria che ha investito il colosso dell' acciaio, ieri, intanto, siè registrato l' ennesima giornata di polemiche, con un battibecco a distanza tra l' assessore regionale Lorenzo Nicastro e l' Ilva. Secondo Nicastro, all' azienda mancherebbe un piano preciso per realizzare le prescrizioni dettate dall' autorizzazione integrata ambientale, rilasciata lo scorso 26 ottobre dal ministro dell' Ambiente Corrado Clini. Pronta la replica di Ilva che in una nota ha sostenuto che "il piano non solo esiste, ma è stato esaminato e ritenuto conforme alle disposizioni dell' Aia dallo stesso ministero dell' Ambiente. E la Regione Puglia- conclude l' azienda - è informata di tutto ciò, avendo partecipato al tavolo dello scorso 16 novembre presso il ministero". Ed è attesa per la decisione del gip Patrizia Todisco sulla richiesta di dissequestro dell' area a caldo. Sull' istanza è già arrivato il parere negativo della procura.MARIO DILIBERTO

La Repubblica – 24 novembre 2012

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Ilva, la pace armata degli operai 'Domani saremo in mille a Roma'

MARIO DILIBERTO TARANTO - A Roma in cerca della soluzione. Almeno mille operai tarantini marceranno sulla capitale domani, quando la grana Ilva sbarcherà sui tavoli del governo. Fim, Fiom e Uilm hanno proclamato per quel giorno otto ore di sciopero con manifestazione nella capitale. La protesta è scattata per "la situazione determinatasi nel sito llva di Taranto e per le pesanti ricadute in tutto il gruppoe su tutto il sistema industriale italiano". Dalla città pugliese partirà una flotta di almeno dodici autobus sui quali saranno imbarcate le tute blu. Il sequestro di due giorni fa, accompagnato da manette e veleni, ha riacceso una situazione esplosiva. La reazione della proprietà con le ferie forzate per cinquemila lavoratori ha gettato altra benzina sul fuoco. Così ieri mattina, un piccolo esercito di operai si è comunque presentato agli ingressi della fabbrica, a dispetto dell' ordine di messa in libertà. I badge erano disattivati, ma hanno forzato i tornelli di due portinerie e della direzione. La stessa vigilanza ha aperto le porte per evitare guai peggiori di fronte alla forza d' urto degli oltre 1500 lavoratori, formalmente in sciopero. Così è cominciata la prima occupazione della grande fabbrica. Gli operai hanno invaso lo stabilimento e gli uffici della direzione. Con loro si è fiondata all' interno anche una folla di estranei. Nel caos è saltata fuori anche una bomba carta. Per un po' la fabbrica più sorvegliata e più pericolosa d' Italia è stata terra di tutti. Per mantenere la calma sono intervenuti i rappresentati sindacali, che hanno rimediato anche una sonora contestazione. "Ci avete venduto per un panino", hanno urlato alcuni lavoratori. Poi tra loro è sceso anche l' ingegnere Adolfo Buffo, l' attuale direttore dello stabilimento che non è scampato alla nuova buriana giudiziaria che ha portato in cella anche il suo predecessore. A Buffo, infatti, è stata notificata una informazione di garanzia, contestualmente al sequestro dei prodotti e dei semilavorati con il quale i giudici hanno realizzato il blocco dell' impianto. Buffo ha rassicurato i lavoratori. In particolare ha garantito che le retribuzioni saranno onorate sino a quando non verrà discusso il ricorso al Riesame, presentato tempestivamente dai legali della fabbrica. Poi in serata ha anche parlato con toni da capitano che non abbandona la nave. «Da più di 25 anni sono uno dei dodicimila lavoratori dell' Ilva - ha detto e da pochi mesi il direttore dello stabilimento. Mi sono sempre assunto le mie responsabilità e intendo continuare a farlo rimanendo al mio posto. In tutti questi mesi ogni giorno ho scritto ai custodi quello che stiamo facendo per dare seguito alle richieste del Tribunale di Taranto e prima ancora dell' Aia. Ieri mi è arrivato un avviso di garanzia in cui tutto questo lavoro viene semplicemente ignorato. Io ho la certezza di essere a posto con la legge e con la mia coscienza. E per questo - ha concluso Buffo continuerò a essere con orgoglio e senso di responsabilità direttore di questo stabilimento e uno dei dodicimila lavoratori dell' Ilva di Taranto. Orgoglio che ho provato oggi parlando con gli operai per tranquillizzarli sul nostro futuro». Dal fronte sindacale, invece, si cerca di limitare i danni in attesa di un intervento del governo, ormai dato per scontato. Così le rassicurazioni sulle retribuzioni e l' impegno dell' azienda a soprassedere sui propositi di cassa integrazione sono bastati a far tirare un sospiro di sollievo. Non fosse altro che per la tranquillità riconquistata fuori e dentro la fabbrica. Oggi, però, resta da capire cosa faranno i lavoratori a cui non sarà interdetto l' ingresso in fabbrica, ma la cui presenza sarà perlomeno superflua visto che nell' area a freddo gli impianti resteranno chiusi. «E' stata una giornata pesantissima - ha commentato Mimmo Panarelli - perché l' azienda con le sue decisioni ha spinto sull' esasperazione. Ora guardiamo a domani». Marcia su Roma, quindi. Aspettando che dal governo arrivi un decreto dalle pretese miracolose: rendere compatibile ambiente e produzione Ilva.

La Repubblica – 28 novembre 2012

Azienda strategica per l' Italia ecco il decreto di salvataggio

L' ILVA decapitata al suo vertice attende comunque un segnale nelle prossime ore da Roma. Un segnale forte che le possa permettere di continuarea essere un' azienda di produzione. L' UNICA strada percorribile, che non a caso i tecnici della Presidenza del Consiglio hanno cominciato a verificare ieri mattina, passa per un decreto legge, motivato dalla massima urgenza con cui la materia siderurgica va affrontata. Al suo interno due concetti di fondo: il primo riguarda lo stabilimento di Taranto, che va considerato "sito di interesse strategico nazionale"; il secondo fa

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riferimento all' Aia, autorizzazione integrata ambientale, che rappresenta l' unico strumento titolato a valutare se un' azienda rispetta, o meno, i vincoli ambientali imposti dalla legge. A queste condizioni, e senza quindi interferire con l' azione della magistratura che sta perseguendo imprenditori e manager contestando loro gravissimi reati, si potrebbe consentire all' azienda di ripartire, quanto meno con le attività logistiche, anch' esse al momento paralizzate. Si potrebbe così dare respiro all' enorme rete di lavoro che l' impianto di Taranto genera: stabilimenti, aree di stoccaggio, porti, centri di smistamento merci. Senza contare l' intera produzione di base del Paese (dalla cantieristica all' auto) che resterebbe a breve ugualmente paralizzata. Ma quella del decreto legge non è l' unica strada percorribile. Se risulterà infatti impossibile consentire all' Ilva di proseguire con l' attività produttiva, bisognerà studiare altre soluzioni. A meno di non pensare davvero di chiudere un gruppo che dà lavoro a ventimila dipendenti diretti che salgono a cinquantamila con l' indotto. Ma come fare? Oggi, quella che tecnicamente si chiama "marginalità" di un' azienda, ciò che consente all' impresa di avere quei margini di guadagno che le fanno proseguire l' attività, è data dal fatto che l' Ilva è un produttore di acciaio. Se diventa un "rilaminatore", se cioè è costretto ad acquistare acciaio e farlo rilaminare con i suoi impianti "a freddo" (come quello di Cornigliano), cambia mestiere e diventa automaticamente dipendente dall' estero. Si stravolge sostanzialmente il suo modello di business e si entra in un vortice alquanto pericoloso. Aziende di questo tipo, infatti, fanno utili quando c' è un eccesso di offerta sul mercato, ma se la passano male quando la situazione si inverte, ovvero quando c' è un eccesso di domanda e quindi il prezzo dei materiali da laminare aumenta. Se comunque diventasse questa la strada ci si dovrebbe muovere al più presto sul mercato internazionale, affidandosi a paesi quali la Cina, l' Egitto, la Libia. Il problema sarebbe a questo punto di doppia natura, non solo economico (il costo dei prodotti piani realizzati da Taranto, se importati, aumenterebbe dai 50 ai 100 euro a tonnellata e quindi dai 2,5 ai 5 miliardi l' anno), ma anche legato alla qualità dell' acciaio che si acquista, senza contare le tecniche di produzione vigenti in questi paesi che non sembrano proprio allineate agli standard ambientali vigenti in Europa. Nel frattempo, la situazione rimane drammatica al punto che all' Ilva di Taranto i badge dei cinquemila dipendenti erano stati disabilitati per motivi di sicurezza l' altra sera e ieri sono stati nuovamente riattivati. «Le decisioni dei pm hanno costretto l' Ilva a bloccare da subito gli impiantia freddo dello stabilimento di Taranto - commenta il presidente di Confindustria Genova Giovanni Calvini - Dispiace che mentre l' azienda stava cercando di dare attuazione all' Aia, chiedendo il dissequestro degli impianti, necessario per poter implementare il piano industriale, la magistratura abbia preso una decisione così drastica. Si tratta di uno scenario drammatico che richiede interventi urgentie straordinari ai massimi livelli istituzionali per ripristinare immediatamente l' operatività degli impianti». Resta alta anche la tensione a palazzo Tursi. «Il risanamento ambientale all' Ilva di Taranto è possibile solo se l' attività prosegue, il sindaco di Taranto Ippazio Stefano mi ha telefonato per dirmi che condivide assolutamente la posizione del Comune di Genova - spiega Doria, che già ieri era intervenuto sulla vicendae che resta in contatto costante con i rappresentanti delle altre istituzioni e del governo - L' Italia non può vivere senza produrre acciaio, così come senza produrre navi, turbine o impianti di segnalamento. Il nostro Paese deve continuare a produrre acciaio. Ciò non riguarda solo le aziende ma l' intera prospettiva del nostro Paese». «Il governo deve fare un decreto semplice, stabilendo che in tempi definiti e certi si effettui il risanamento, ma nel contempo si deve continuare a produrre, seppure a volumi ridotti - chiude il presidente della Regione Claudio Burlando - Chi ha fatto danni ambientali, chi ha corrotto deve essere chiamato a rispondere e pagare, ma considerare corpi del reato le bramme e i coils è assurdo».

La Repubblica – 28 novembre 2012

Riva jr in fuga a Miami la Procura a caccia del tesoro nascosto all' estero

TARANTO - Dall' alba di lunedì, i militari della Guardia di Finanza lo hanno cercato ovunque. Ma sapevano già che non l' avrebbero trovato. Né in casa a Milano. Né altrove in Italia. Fabio Riva, uno dei figli del patron, l' uomo che al telefono declassava a " minchiata" «un paio di tumori in più» per i veleni della sua fabbrica, è fuggito a Miami, negli Stati Uniti. Indeciso - riferiscono in queste ore qualificate fonti investigative - tra una lunga latitanza caraibica in quel di santo Domingo, Repubblica Dominicana, Paese che non riconosce l' estradizione per reati come quelli di cui è

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accusato (l' associazione per delinquere), e un ritorno "negoziato" in un paese dell' Unione Europea, come vorrebbero i suoi avvocati e come sarà possibile verificare nelle prossime ore. Lo avevano "perso" due settimane fa, quando all' improvviso aveva lasciato l' Italia diretto in nord Africa. Forse (il sospetto esiste) perché avvisato da qualcuno dei tanti amici che qualcosa bolliva nella pentola dell' inchiesta della Procura di Taranto. CONTI IN LUSSEMBURGO E NELLA MANICA Una lunga latitanza, del resto, qu alora fosse questa la scelta, non sembra un problema per Fabio Riva. Per le importanti disponibilità all' estero della famiglia e perché - la Finanza ne è convinta - con Emilio e Nicola detenuti, Fabio è il solo che, in questo momento, può manovrare da libero le leve e i c onti della h olding di famiglia, la "Riva F.I.R.E. spa", di cui è vicepresidente e su cui, solo negli ultimi quattro anni, sono stati trasferiti, come ha documentato l' Espresso un mese fa, oltre 200 milioni di euro di profitti dell' Ilva. Le indagini della Finanza hanno individuato nelle ultime settimane nel Lussemburgo e nelle isole del Canale della Manica (Jersey e Guernsey) le due piazze finanziarie off-shore su cui sarebbero depositati buona parte dei capitali trasferiti all' estero dai Riva. E la ricerca, ora, si è fatta in qualche modo ancora più frenetica perché la speranza è di arrivare a quel denaro, che ierii Verdi hanno chiesto pubblicamente di aggredire con «provvedimenti di sequestro cautelativo in grado di sostenere i costi della bonifica», prima che ci arrivi l' ultimo dei Riva ancora libero. Anche se, evidentemente, i tempi delle rogatorie non sono quelli di chi di quei conti è titolare. I SEGRETI DELL' AIA FIRMA TA DA CLINI Le provviste estere della famiglia Riva sono solo uno dei tanti e cruciali tasselli di un mosaico investigativo che intorno alle responsabilità dei proprietari dello stabilimento Ilva sta cercando di ricostruire nella sua completezza e nel suo doppio livello, locale e nazionale, la rete di complicità e scambi che ha consentito in 17 ann i d i massimizzare i profitti (2 miliardi e mezzo di euro sono stati gli utili tra il 2008 e il 2011) sulla pelle di una città intera. Non a caso, proprio ieri, la Finanza ha acquisito a Bari e a Roma una serie di documenti relativi all' Autorizzazione Integrata Ambientale del 4 agosto 2011 (la penultima in ordine di tempo) con cui il ministero dell' Ambiente di un governo Berlusconi ormai agonizzante consentì allo stabilimento di proseguire la sua produzione inquinante. Un documento con un immediata ricaduta politica, perché firmato, insieme al ministro Prestigiacomo, dall' allora direttore generale del dicasteroe oggi ministro Corrado Clini. E ora svelato dalle intercettazioni telefoniche di un anno intero (il 2010) come null' altro che un abito sartoriale cucito dai Riva sul proprio conto-economico costi-benefici. LE PRESSIONI SUL MINISTERO In un' informativa al gip Patrizia Todisco, la Procura di Taranto scrive: «Dalle intercettazioni emerge come anche al livello ministeriale fervevano i contatti non proprio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione incaricata di istruire l' Aia 2011. Il fatto che la Commissione debba essere pilotata e che comunque sia stata in qualche modo avvicinata, si rileva anche da una conversazione in cui l' avvocato Perli di Milano, legale esterno dell' Ilva, aggiorna Fabio Riva dei rapporti avuti con l' avvocato Luigi Pelaggi (capo dipartimento del Ministero dell' Ambiente). Da quanto riferisce Perli, si rileva che Pelaggi abbia dato precise disposizioni all' ingegner Dario Ticali, presidente della Commissione, su come procedere». A Roma, dunque, il ministero dell' Ambienteè cosa dei Riva. Come del resto, sembra assicurare proprio il loro uomo, l' avvocato Perli: «Pelaggi mi ha riferito che la Commissione ha accettato il 90 per cento delle nostre osservazioni e la visita allo stabilimento riguarda solo il 10 per cento. Non avremo sorprese». Uno scherzo, insomma. DON MARCO PIÙ 4 Nell' indagine, naturalmente, frullano anche figure del teatro locale. È di ieri la conferma dell' iscrizione al registro degli indagati d i 5 persone tra cui don Marco Gerardo, il distratto segretario dell' ex Arcivescovo di Taranto che metteva al pizzo i contanti che arrivavano dalla cassa dell' Ilva come "opere di bene" salvo, di fronte ai pm, confondersi con la memoria su datee incontri. Con lui, iscritti anche il sindaco di Taranto Ippazio Stefano, e un ispettore della Digos che aggiornava Archinà, responsabile delle relazioni esterne dell' Ilva, del calendario interrogatori in Procura. CARLO BONINI GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica – 28 novembre 2012

Altri cinque indagati c'è pure un sacerdote

CI SONO anche il sindaco di Taranto, Ippazio Stefàno, e don Marco Gerardo, segretario dell'ex arcivescovo di Taranto, Benigno Luigi Papa, fra i nuovi cinque indagati, oltre a quelli già indicati lunedì scorso nell'ordinanza di custodia cautelare. Il sacerdote sarebbe indagato nella vicenda dei

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10mila euro che, secondo l'accusa, Girolamo Archinà, ex responsabile delle comunicazioni dell'Ilva, avrebbe consegnato in una busta il 26 marzo 2010 a Lorenzo Liberti, ex consulente della Procura nelle inchieste sull'inquinamento. Secondo la contabilità dell'Ilva la busta sarebbe una donazione dell'azienda alla Chiesa. L'ipotesi di reato contestata a don Marco Gerardo riguarda le dichiarazioni agli inquirenti riguardo quella presunta donazione.Il sindaco di Taranto risulterebbe indagato per omissioni in atti d'ufficio, un atto dovuto dopo che il consigliere comunale Aldo Condemi aveva denunciato la mancata azione di Stefàno a tutela della salute pubblica e la mancata costituzione di parte civile nel processo all'Ilva. «Voglio solo ricordare - ha dichiarato il sindaco - che l'unico vero atto di denuncia contro l'Ilva nei cinquant'anni di permanenza sul territorio tarantino porta la mia firma». Tra i nuovi cinque indagati anche un poliziotto. Si tratta di Cataldo De Michele, ispettore in servizio alla Digos della questura di Taranto. L'ipotesi di reato sarebbe rivelazione di segreti d'ufficio.

La Repubblica – 28 novembre 2012

“Vivi per miracolo, poteva essere una strage” il giorno più duro per gli operaiGru spazzate dal tornado, 70 feriti. Ferrante: “Dipendenti-eroi”. Attività del colosso quasi paralizzata anche nell'area a caldo sottoposta a sequestro dai magistrati

di MARIO DILIBERT0. TARANTO  -  "Correte via. Qui esplode tutto". Scappano e urlano gli operai dell'Ilva, mentre la burrasca di vento e acqua investe la fabbrica. Uno di loro non ce la fa. E rimane in trappola nella cabina di una gru del porto che la tromba d'aria fa ruzzolare in mare da oltre venti metri. A sera Francesco Zaccaria, di 29 anni, di Talsano, resterà ufficialmente disperso. I sub lo hanno cercato sino all'imbrunire, quando le condizioni meteo e la visibilità hanno imposto di sospendere le ricerche. Quel braccio di mare verrà scandagliato ancora da questa mattina, rincorrendo uno straccio di speranza.Sulla banchina, dove si caricano bramme, tubi e coils, i lavoratori di Ilva si abbracciano in lacrime. "È stato terribile. La cabina è stata spazzata via. Ho visto due compagni scendere di corsa quando è arrivata la tromba d'aria"  -  dice Antonio calcandosi sulla testa un cappuccio per riparasi dalle raffiche di scirocco. "Sono vivi per miracolo". Tutto intorno è un disastro. Auto ribaltate e gru d'acciaio piegate come ramoscelli. Il capannone della mensa sembra che sia stato colpito da una bomba. "Se la tromba d'aria fosse arrivata dieci minuti dopo  -  spiega Orazio, capoarea dei servizi marittimi - saremmo stati tutti lì dentro. E sarebbe stata una strage".Sul dramma dell'operaio disperso, lancia dubbi Cataldo Ranieri del Comitato dei liberi e pensanti. Lui lavora in quel reparto e viste le condizioni meteo si è chiesto come mai l'operaiofosse sulla gru. Furiosa la reazione dell'Ilva che ha bollato come destituite di fondamento le considerazioni di Ranieri.Dopo il porto, il tornado si è abbattuto sullo stabilimento, con la sua forza di oltre duecento chilometri all'ora. Due camini si sono accasciati al suolo. Si è innescato anche un principio di incendio, domato subito, mentre il dispositivo di emergenza ha messo in funzione le torce per bruciare i gas del ciclo produttivo. Così tra le ciminiere sono spuntate lingue di fuoco altissime, disegnando uno scenario infernale. Dalle portinerie le tutte blu sono fuggite all'impazzata, temendo che il gigante d'acciaio potesse saltare in aria. Quando il ciclone è passato il presidente dell'ILva Ferrante ha ringraziato i dipendenti: "Sono stati esemplari, segno che questa è una grande comunità"."Ci sta accadendo di tutto. Sembra una punizione divina. Una maledizione", dice invece un operaio arrivando alla portineria del tubificio. Sul campo restano venti feriti, a parte il giovane disperso. Nessuno grave. I danni agli impianti, però, sono ingenti, soprattutto nell'area a caldo. Ma la furia del vento non ha seminato paura solo in Ilva. Autentico terrore si è vissuto a Statte, a pochi chilometri. La scuola media Leonardo Da Vinci è stata devastata dalle raffiche di scirocco che hanno infranto i vetri dell'istituto. Dieci ragazzini sono stati colpiti dalle schegge e hanno riportato ferite nel fuggi fuggi. Solo quattro sono stati ricoverati precauzionalmente. Statte è praticamente in ginocchio e al buio, perché è saltata l'energia elettrica. Rasa al suolo una stazione di servizio e decine le case scoperchiate. Negli ospedali si contano i feriti. Settanta in tutto.

La Repubblica – 29 novembre 2012

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Il corpo dell' operaio ritrovato a 30 metri

TARANTO - E' rimasto in trappola in quel gabbiotto, che era un po' la sua seconda casa. Il corpo di Francesco Zaccaria, il gruista dell' Ilva disperso dopo lo spaventoso tornado che ha investito Taranto, è stato trovato ieri mattina in fondo al mare. Era in quella cabina dalla quale dirigeva la sua gru, con cui caricava sulle navi i coils e i tubi sfornati dalla grande fabbrica pugliese. La tempesta di vento di mercoledì mattina aveva sorpreso il povero Francesco a ventiquattro metri di altezza. Le raffiche di scirocco a oltre duecento chilometri all' ora avevano staccato di netto il gabbiotto sparandolo prima in aria, e poi nel mare. I sub dei vigili del fuoco avevano individuato la cabina già ieri, semisommersa dalla melma a trenta metri di profondità, a meno di dieci dal molo. Si erano avvicinati tastando quella cabina alla ricerca del cadavere. Uno di loro si era anche ferito, strisciando vicino ad un vetro. Ma il corpo di Francesco non era emerso in quella prima ispezione, nel fondale buio. Ieri mattina, però, dopo due giorni di burrasca, vento e mare a Taranto si sono calmati. Così i sommozzatori si sono calati nuovamente in quello specchio d' acqua tagliato dalle grandi banchine gestite dall' Ilva. E nel buio del fondale hanno ripreso a tastare il gabbiotto. Così, procedendo quasi alla cieca, hanno sentito il corpo di Francesco. Sono riusciti a tirarlo fuori e a portarlo sulla banchina, tra le lacrime dei compagni. Sul posto il presidente dell' Ilva Bruno Ferrante che ha sospeso l' attività della fabbrica sino a fine turno. Il sindaco Ippazio Stefàno ha proclamato il lutto cittadino, mentre il prefetto Sammartino ha portato alla famiglia il cordoglio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sulla morte dello sfortunato operaio è stata aperta un' inchiesta.

La Repubblica – 2 dicembre 2012

Una colossale presa in giro Ecco tutte le menzogne dei Riva

TARANTO - Il decreto legge obbliga i proprietari dell' Ilva a investire trai 3,5ei4 miliardi di euro nei prossimi sei anni. Quasi il doppio rispetto a quanto (2,5 miliardi), sostengono di aver speso negli ultimi 17 per rendere migliore l' aria di Taranto. Sono in grado di farlo? E, soprattutto, hanno intenzione di farlo? I documenti allegati all' inchiesta giudiziaria sconsigliano qualunque ottimismo, perché consentono di documentare almeno tre cruciali menzogne dei Riva. Scrive nel luglio di quest' anno il gip Patrizia Todisco: «Ci sono quattro atti di intesa sottoscritti dall' attuale gruppo dirigente dell' Ilva: il primo dell' 8 gennaio del 2003, il secondo del 27 febbraio del 2004, il terzo del 15 dicembre dello stesso anno e il quarto del 23 ottobre del 2006. Basta leggere l' ultimo per rendersi conto della colossale presa in giro: emerge con chiarezza l' assoluta inadeguatezza di quanto realizzato da Ilva in adempimento dei suddetti atti di intesa. Anzi, in realtà, non si comprende nemmeno bene cosa in effetti abbia realizzato se non la presentazione di documenti e piani di interventi solo sulla carta». «Una colossale presa in giro», dunque. Vediamone i dettagli. IL FALSO SULLA DIOSSINA Nel 2003, dopo una stagione di conflitti con gli enti locali, inizia quella delle «intese» con gli enti locali. Propedeutiche al rilascio dell' Aia, l' autorizzazione imposta Europa per proseguire l' attività industriale. E il primo impegno preso dall' Ilva è quello di diminuire le emissioni inquinanti. Ebbene, prendiamo la diossina, l' inquinante più pericoloso tra quelli prodotti dal siderurgico. Nel 2002, l' Ilva produce il 30,6 per cento della diossina italiana. Nel 2006, il 95. «Il dato si basa sulle autocertificazioni - si difende l' azienda - molte altre aziende hanno omesso di dichiarare». Vero. Ma c' è un altro problema: l' Ilva ha sempre dichiarato di produrre meno di 100 grammi di diossina all' anno. Tutto si basa, però, sulle auto-certificazioni, perché nessuno è attrezzato per i controlli. Nel 2008 si attiva l' Arpa Puglia. E arriva la sorpresa: nonostante gli accordi, le intese e le promesse, i monitoraggi riscontrano 172 grammi di quel veleno. Com' è stato possibile l' errore? Eppure l' Ilva dichiarava di controllare le emissioni 24 ore su 24. «Un falso - scrivono oggi i Carabinieri del Noe - Perché la circostanza è totalmente in contrasto con quanto accertato in sede di incidente probatorio». LE POLVERI DI TAMBURI Un punto ricorrente in tutti gli accordi di programma è la salvaguardia del quartiere Tamburi, lo spicchio di Taranto adiacente allo stabilimento siderurgico. Gli enti pubblici si impegnano a

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destinare alla zona milioni e milioni di euro che dovrebbero arrivare dai fondi Cipe. L' azienda, contestualmente, si impegna ad abbattere drasticamente le emissioni delle polveri. Si tratta delle polveri di minerale che vengono accumulate per poi essere trasformate in ferro. L' area si estende per 660mila metri quadrati e i cumuli hanno dimensioni importanti: una lunghezza di qualche centinaio di metri e un' altezza di oltre dieci. Bene, in tutto il mondo (dalla Germania a Taiwan) queste colline di materiale sono coperte, in modo tale da evitare dispersioni nell' aria. A Taranto, no. L' Ilva promette in uno degli accordi di programma barriere che risolvano il problema. E assicura che il risultato è raggiunto. È così? I carabinieri, nel 2010, vanno a controllare e paragonano i dati che registrano con quelli riscontrati nel 1999. «Per il ferro, nella postazione ubicata presso la scuola Deledda si osserva un incremento superiore al 10 per cento», manganese e vanadio calano di pochissimo mentre il «nichel risulta notevolmente aumentato». E i soldi per il quartiere? Agli atti risulta soltanto un campetto di calcio, realizzato a spese dell' Ilva e praticamente mai inaugurato perché in zona troppo rischiosa e inquinata. L' IMPIANTO DI UREA C' è un ultimo inganno. In qualche modo il più incredibile. Quella dell' impianto di Urea. La chiamano la lavatrice dei veleni e per anni viene individuata come la risoluzione di tutti i problemi, perché "candeggia" i fumi abbattendone i livelli di diossina. Nel 2007 Girolamo Archinà, il capo delle relazioni esterne dell' Ilva oggi in carcere, dice: «La fabbrica dei veleni non esiste. Chiunque afferma il contrario fa del procurato allarme. L' Ilva sta riducendo le emissioni con tre anni di anticipo rispetto a quanto concordato con la Regione.E siamo pronti addirittura a dimezzarle se ci concedono in fretta l' autorizzazione per la realizzazione dell' impianto di urea». L' autorizzazione arriva e, il primo luglio del 2009, la foto dell' inaugurazione dell' impianto ritrae dietro un nastro, il governatore Nichi Vendola, il ministro Stefania Prestigiacomo e Fabio Riva, oggi latitante. Intorno a loro, persone che applaudono. «Quella macchina - dicono oggi in Procura - ha funzionato per 20 giorni, un mese. E poi basta». CARLO BONINI GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica – 2 dicembre 2012

L' addio a Francesco tra rabbia e lacrime

TARANTO - «La nostra città è divisa e lacerata. Tra chi sostiene il lavoro e la continuità della produzione e chi sostiene la causa della salute e chi si defila nelle teorie e nell' indifferenza perché la cosa non lo tocca nella malattia e nello stipendio». Così monsignor Filippo Santoro tratteggia Taranto nella sua omelia al funerale di Francesco Zaccaria, l' operaio di 29 anni ucciso dal tornado che mercoledì ha investito l' Ilva. «Il lavoroe la salute non si possono opporre. Dobbiamo ripartire - aggiunge subito a voce alta il vescovo - da qualcosa che li metta insieme. La speranza per la nostra città riparte dall' unità. Per questo il sacrificio di Claudio e Francesco non sono stati vani». Così l' arcivescovo chiama all' appello la città in nome di un giovane morto sul lavoro. Senza dimenticare la tragedia di Claudio Marsella, che ha perso la vita solo un mese fa trai convogli della grande fabbrica dell' acciaio. La gente ammassata nella chiesa Madonna di Fatima di Talsano applaude convinta. In più di mille ieri hanno atteso l' arrivo della salma di quel ragazzo, spazzato via dalla tempesta. Francesco era nella cabina della sua gru, a ventiquattro metri di altezza quando sulle banchine del porto, gestite dall' Ilva è piombata la burrasca. Le raffiche di vento a duecento all' ora hanno travolto quel gabbiotto e lo hanno trascinato in mare con lo sfortunato lavoratore. Ai piedi della bara sono state piazzate due gigantografie di Francesco, nato e cresciuto in periferia. E che come tanti aveva trovato un posto nella fabbrica della discordia. Il suo sorriso buono ha illuminato la chiesa, mentre intorno c' era il mondo del lavoro. Tanti, tantissimi gli operai in lacrime. Stretti intorno al papà Andrea, alla mamma Lisa e alla fidanzata con la quale Francesco aveva avviato il suo progetto di vita. Ieri pomeriggio, però, in quella parrocchia di periferia è esploso il dolore di Taranto. Una città che deve guardarsi dentro, per affrontare problemi che sono stati ignorati per troppo tempo. Così i pianti vengono intervallati dagli applausi fragorosi. In onore di Francesco. Ma i battiti delle mani sembrano anche un modo per darsi coraggio. Perché Taranto ha bisogno di coraggio a palate. Per farsi strada, come ha detto monsignor Santoro tra «l' emergenza ambientale, sanitaria e lavorativa» alla quale si è aggiunta la furia dello spaventoso tornado che ha ucciso Francesco. «Tutto sembra cospirare per distruggere la nostra speranza», ha esordito monsignor Santoro, invocando la compattezza della comunità dinanzi ad un futuro difficile. Le sue parole hanno raccolto ancora gli applausi dei lavoratori Ilva. L' azienda, ieri,è stata rappresentata

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dall' ingegner Adolfo Buffo, il direttore dello stabilimento di Taranto, che ha nascosto la commozione dietro un paio di occhiali neri. Dinanzi agli oltre mille fedeli, poi, ha parlato Pietro Iacca, lo zio della vittima. «Sono lo zio ed un collega di Francesco - ha detto - Lui era un grande. Buono di cuore. Ora chiedo solo a tutti di lasciarci lavorare tranquilli in fabbrica». Poi questo operaio con lo sguardo duro e segnato dal dolore ha ringraziato i sommozzatori dei vigili del fuoco che per più di quarantotto ore hanno sfidato il mare in tempesta per ritrovare il corpo di quell' operaio. Oggi Taranto, però, deve confrontarsi con la realtà di una fabbrica che inquina, e che continuerà ad andare avanti grazie al decreto legge varato due giorni fa dal governo. Sull' iniziativa del Governo è intervenuto il governatore Nichi Vendola. «Il decreto rischia di apparire uno schiaffo al bisogno di salute di una città - ha dichiarato - e sembra dire che quel bisogno può attendere. Prevale l' interesse nazionale alla produzione. Non si può davvero capire - ha concluso - come possano mantenersi in equilibrio industria e salute, se si autorizza la prima e non si presidia la seconda». MARIO DILIBERTO

La Repubblica – 2 dicembre 2012

Bufera sulla Curia dall'inchiesta Archinà: Davo soldi a monsignore

TARANTO - L'inchiesta di Taranto rischia di mettere in grosso imbarazzo la Curia di Taranto. Non è un caso che quest'estate, scoppiato lo scandalo, il vescovo Filippo Santoro ha annunciato che la Chiesa non accetterà più offerte dall'Ilva. Il rapporto tra il suo predecessore, monsignor Benigno Luigi Papa, e i vertici dello stabilimento siderurgico erano invece molto stretti come dimostrano le belle parolee le onorificenze che la Chiesa riservava ai Riva. Nelle pieghe dell'inchiesta stanno però venendo fuori retroscena abbastanza particolari che potrebbero mettere in imbarazzo la Curia. Girolamo Archinà (capo delle relazioni esterne dell'Ilva per anni, oggi in carcere con l'accusa di corruzione) ha infatti raccontato ai giudici che in occasione di Natale, Pasqua e in alcuni casi in occasione della festa di San Cataldo consegnava al vescovo in persona 5mila o 10mila euro. Sempre in contanti. Il dirigente dell'Ilva, a supporto della sua tesi, ha anche nel corso dell'interrogatorio di garanzia tenuto nei giorni scorsi esibito la documentazione, con tanto di bolli di protocollo dell'azienda, che documentavano le uscite di cassa. "Era un appuntamento fisso che avevo direttamente con il monsignore" dice. Ma di queste somme non c'è traccia nei conti del prelato, che la guardia di finanza ha acquisito. Sentito come testimone il dipendente della banca che seguiva Papa, ha raccontato che i versamenti "non superavano mai i cinquemila euro". Allegato agli atti è finito così il conto corrente del vescovo che nasconde una serie di curiosità: molto movimentato (tantii prelievia cinque zero), nasconde una passione del monsignore per la borsa visto che sono registrate compravendite di azioni e di polizze vita.Più delicata è invece la posizione di don Marco Gerardo, l'assistente di Papa, finito indagato per favoreggiamento. Il prete ha prima raccontato che l'incontro tra Archinà e il monsignore c'era stato: circostanza questa che di fatto avrebbe "assolto" il dirigente dell'Ilva dall'accusa di aver pagato il consulente Liberti. Archinà ha sempre sostenuto di aver sì prelevato diecimila euro dalle casse dell'azienda, ma quei soldi erano stati consegnati quel giorno al vescovo e non al consulente. Don Marco conferma questa tesi. "Ma quell'incontro invece - dicono le indagini, sulla base delle intercettazioni - saltò". La ricostruzione della Finanza è la stessa di monsignor Papa che ha raccontato agli inquirenti di non aver mai ricevuto quel denaro. E perché allora don Marco dice il contrario? Richiamato a spiegare meglio la vicenda, il prete nel febbraio scorso chiese di poter contattare il vescovo per ricordare meglio. Lo fece e poi confermò: "Il monsignore mi ha detto di aver ricevuto in contanti quei 10mila euro". Peccato però che la Finanza ha accertato che anche in questo caso don Marco ha mentito: la telefonata non c'è stata (risultano soltanto due contatti brevissimi telefonici con il centralino della struttura dove vive Papa, a Martina Franca) né il prete è potuto andare a trovare l'ex vescovo perché le celle telefoniche raccontano che è rimasto sempre a Taranto. GIULIANO FOSCHINI

La Repubblica – 3 dicembre 2012

Gli operai Ilva 'Non risaliamo su quelle gru' / 'Su quelle gru nessuno è sicuro e dopo la morte di Francesco non ci vogliamo più risalire'

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TARANTO HANNO recuperato nella mensa devastata l' orologio fermo sull' ora della tromba d' aria: le 10 e 46. «Lo terremo, come quello della stazione di Bologna, per ricordarcene». Sulla morte di Francesco Zaccaria, operaio gruista, e il ferimento di suoi compagni, la magistratura ha aperto un' indagine. Possono aiutarla le cose che ho ascoltato dagli operai degli impianti marittimi dell' Ilva. «Sulle gru non ci risaliamo. Ce l' hai una macchina fotografica con uno zoom? Vieni al 4° Sporgente, dov' è successo il fatto, e fotografa la ruggine che copre le macchine». TARANTO «IL MESTIERE di gruista è uno dei più delicati e responsabili: figurati con i mastodonti che maneggiano carico e scarico sui pontili marittimi. Nessuno di noi ha ricevuto una qualsiasi formazione: il passaparola. Chi è gruista mostra a quello nuovo come si fa, e basta». «Ci sono dieci motori elettrici, se ne rompe uno, chiamo la manutenzione, la manutenzione chiama l' ufficio scarico, questo chiama il fiduciarioe si fa la trafila al contrario e ti dicono di andare avanti. Fino a che ti riduci con tre, due motori, le gru con le zampe zoppicanti: allora quando devi fermarti?E la traslazione zoppa incide sull' attrito, le vibrazioni, le oscillazioni. È tutto risparmio...». «I fiduciari non firmano niente, sono marziani- vengono dalle valli lombarde, non risultano nella gerarchia ma stanno sopra i capireparto, a volte sono ex operai mandati giù, come nelle colonie, hanno una tuta anonima grigia, ogni tanto qualcuno sbarella, come quel C. che diede in escandescenze e si mise a gridare "africani" agli operai del rivestimento. Da noi erano due: R. e uno più giovane, A., ora sono spariti». «I macchinari sono vecchissimi, di decenni, usati allo spasimo nel ciclo continuo, esposti a variazioni di temperatura fortissime e alla salsedine. Sono lesionati. Sono fuori da qualunque normativa aggiornata: scale alla marinara, strettoie, piani di calpestio con dislivelli bruschi». «Sono pieni di olio e grassi: se devi scappare raccomandati l' anima a Dio». «Un po' meno di un anno fa gente della Asl è venuta e se n' è andata. Era ancora il tempo in cui Archinà smentiva gli allarmi sui giornali firmandosi Angelo Battista, professore ambientalista!». «L' evento inaudito? Io - dice Antonio Carrozzo, pensionato, vuole che scriva il nome - lavoravo sulla stessa gru, DM5, di Francesco, diciotto anni fa, ci fu una tromba d' aria, quella volta veniva da terra, finì addosso all' altra macchina. Quando arrivarono pompieri e ambulanze mi davano per disperso.I binari finivano una ventina di metri prima della testa del molo. Ora a un metro. Ora sarebbe andata a mare». «Quelle gru - dice Cataldo Ranieri, lui tiene al nome - non passerebbero nessun collaudo serio. Mi mandano a fare le ispezioni, benché non abbia nessun titolo, riferisco, tutto resta a voce, mai niente di scritto. Se succede qualcosa, finisce che il responsabile sono io, coi miei 15 anni di lavoro, la mia fama di turbatore dell' ordine, e il mio eterno 3° livello. Si fanno riunioni sulla sicurezza, le sole cose scritte sono un numero e le nostre firme: non ti danno nemmeno una copia del registro, che possa capire che cosa hai firmato. Come mai gli operai stavano sulle gru, con quel tempo, che era spaventoso già prima della tromba d' aria? Altri, come la Terminal container, non hanno fatto salire gli operai. C' è l' anemometro: e che cosa c' è a fare se non è intervenuto con un vento simile?». «Le cose che non vanno? Tutte. I freni, per esempio. E devi regolarti a occhio, nessuno ti dice qual è il tempo di frenata: 3 secondi, 5, chissà?». «Ci dicono di guardare che cosa fa quell' altro e fare come lui!». «Su uno stesso binario lavorano tre, anche quattro gru. Succede che due gru siano a pochi metri, una col braccio che ruota a sinistra l' altra a destra: come è possibile, se il dispositivo di sicurezza anticollisione funzionasse?E con quel mare non balla solo la gru, balla la nave». «Il sequestro ha ridotto sempre più le scorte, ecco perché fanno lavorare anche contro le trombe d' aria». «Non c' è il fumo rosso: sarebbe il filo d' Arianna per la cabina caduta in mare, invece di stare a girare per giorni nella tempesta». Alessandro Martini, che lavora alla Lucchini di Piombino (già Magona, Italsider, Severstal...) da 25 anni, e da 18 nella mansione di Francesco Zaccaria, mi ha detto di macchine vetuste anche lì, o nuovissime, assemblate e lasciate a deperire in un piazzale. «Però da noi non si lavora con la gru in moto quando il vento supera i 70 kmh, e con la gru ferma quando superai 100. Che si lavorasse col vento di Taranto non so capirlo». Nemmeno a Cornigliano. «Da noi - dice Armando Palombo, responsabile Fiom - c' è dal 2004 una "Scuola siderurgica" interna che abilita alle mansioni. Sulla sicurezza le cose sono cambiate, dai terribili 950 infortuni su 2.700 lavoratori del 2003: hanno capito anche loro che una miglior sicurezza li fa risparmiare. E le macchine dopo la chiusura dell' areaa caldoe l' Accordo del 2005 sono in gran parte nuove...». Dunque: «Sulle gru noi non ci risaliamo». Sul sagrato della chiesa di Talsano è finita la commossa messa per Francesco, i compagni si attardano ribadendo quello che dicevano sul molo: dunque non era solo lo sfogo di un giorno? «Non ci risaliamo. Lassù nessuno di noi può sentirsi sicuro». Alcuni mancano. Simone S. è

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in ospedale: anche la sua cabina è stata travolta, ha una lesione vertebrale, aveva con sé un altro, Francesco S., un operaio della mensa, perché è così che si diventa gruisti, uno che mostra a un altro come si fa sotto il tornado. Da una terza cabina estirpata e scaraventata sul ponte di una nave, Vincenzo M. è riuscito a uscire in tempo, e si è aggrappato a una trave fino a che la tromba d' aria è calata. «Vorrebbero farci ricominciare al 2° sporgente, con le macchine che hanno "traslato" anche là, le une addosso alle altre. E la gru "salvata" è ancora più vecchia...». Ora sono uniti, gli operai, e il tempo in cui era l' azienda a indire scioperi (pagati) e cortei è finito, grazie al cielo e alla terra e al mare, ma le divisioni ci sono. Taranto è lacerata da divisioni, di opinioni, di concorrenze, di vecchi conti: è il più gran peccato. Mauro Liuzzi, delegato Uilm agli impianti marittimi, pensa che la cosa più importante è che le cose cambino da oggi, piuttosto che recriminare e incriminare: non so se abbia ragione. Ha ragione quando dice che bisogna verificare l' agibilità delle macchine, ma soprattutto l' agibilità delle persone, per così dire, che sono state ferite nel profondo. Lunedì mattina, quando leggerete queste righe, si sarà saputo che cosa hanno fatto davvero. Uno di loro mi prende da parte, è scettico: «Eravamo al pontile attorno alla salma di Francesco, erano venuti anche i grandi capi, il presidente Ferrante e il direttore Buffo. Ferrante gli chiedeva se gli operai se la sarebbero sentita di rimontare sulle gru. L' altro ha risposto: "Gli diamo il passaggio di livello, qualche incentivo in denaro, la cosa si risolve"».E se la cosa non si risolve? Dicono gli operai: «Taranto era sempre l' ultima ruota del carro, e ora di colpo è strategica, e se chiude Taranto Genova non sopravvive una settimana, e via dicendo. Be' , se è vero che se si ferma Taranto si ferma l' acciaio in Italia, è vero anche che se ci fermiamo noi al porto si ferma tutto. Tutto comincia da qui, dal carico fossile e del minerale, e finisce qui, allo scarico del prodotto lavorato». Denunciare il passato (non è affatto passato, del resto) o voltare pagina? Le due cose insieme, probabilmente, e l' unità maggiore, all' Ilva e nella città, che ne può venire. Nella messa per Francesco si sentiva come la chiesa attinga ancora a un retaggio di parole piene (lasciamo stare gli atti) che i linguaggi speciali del diritto e della società non hanno, e che la politica ha perduto. «Se consideri le colpe...». Ecco, se le consideri... «Verso coloro che non sapevano che cosa facevano...». Ai miei tempi, dice il donchisciottesco Giovanni Guarino, l' Italsider aveva tutte le colpe, ma non c' erano né le regole né le tecnologie che sono venute dopo: l' Ilva dei Riva dopo sapeva quello che faceva. È stato un funerale toccante, quello di Talsano, come troppi altri. Uno zio di Francesco, inaspettatamente, ha gridato davanti alla bara deposta davanti all' altare: «Signore e signori, questo è Francesco». Forse un uso nuovo da tifosi di calcio, da vittime di motorini? Poi mi è sembrato che volesse dire: «Ecce homo». Adriano Sofri

La Repubblica – 3 dicembre 2012

Ilva, Napolitano firma il decreto, cassa integrazione nell'area a freddoIl Capo dello Stato ha firmato il provvedimento approvato d'urgenza da Palazzo Chigi. L'azienda intanto ha spedito le lettere agli operai in ferie forzate dopo il mancato accordo con i sindacati. Gli industriali tarantini propongono che sia il capo della procura jonica a ricoprire la carica prevista dal decreto del governo

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha emanato il decreto legge recante "disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale" - finalizzato alla risoluzione del caso Ilva - nel testo trasmesso oggi dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.L'Ilva, intanto, vuole la cassa integrazione, e alla Confindustria tarantina non dispiacerebbe che fosse il capo della procura, Franco Sebastio a ricoprire la carica di garante, prevista dal decreto "Salva Ilva". Sono intanto le notizie che arrivano dallo stabilimento quelle che preoccupano più i lavoratori del siderurgico, almeno di quelli che lavorano nell'area a freddo.L'azienda sta inviando le lettere di cassa integrazione agli addetti ai tubifici, ai rivestimenti, al treno lamiere e ai treni nastri per i quali già nei giorni scorsi l'azienda, a causa della crisi di mercato, aveva chiesto la cassa ordinaria per 13 settimane per un massimo di 2mila persone. La cassa è stata avviata a partire da oggi col mancato accordo sindacale in quanto si sono conclusi i giorni previsti dalla procedura preliminare.Non si parte subito con i 2mila ma con un numero inferiore che i sindacati non sono ancora in grado di quantificare perché attendono di incontrare l'Ilva. Il personale che va in cassa

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integrazione è lo stesso che già da diversi giorni è in ferie forzate. A questa soluzione l'Ilva ha fatto ricorso in via provvisoria in attesa di definire l'intesa sulla cassa con i sindacati, intesa che sinora non c'è stata.Erano 700 sul finire dell'altra settimana gli operai dell'area a freddo in ferie forzate e solo alcuni impianti erano inattivi. Da lunedì scorso, invece, il numero complessivo degli operai è salito a 5mila e tutta l'area a freddo è stata fermata dall'azienda a seguito dei nuovi sviluppi dell'inchiesta giudiziaria e del sequestro dei prodotti finiti (coils e lamiere) da parte della Guardia di Finanza su ordinanza del gip Patrizia Todisco. Ora la situazione si modifica ulteriormente nel senso che una parte di questi 5mila vanno in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane.E' peraltro ancora in corso la cassa integrazione per 1.031 unità in forza a tutti gli impianti e le aree che sono risultate danneggiate a causa del tornado che mercoledì scorso si è abbattuto sull'Ilva. Questa ulteriore cassa è stata chiesta dall'Ilva dal 28 novembre al 3 dicembre.I sindacati ritengono che già domani il personale dell'acciaieria 2, colpito dal provvedimento, potrebbe tornare al lavoro in quanto si sono conclusi sia i lavori di ripristino dell'area che la sua messa in sicurezza. Rispetto ai 1.031, col rientro in produzione degli addetti all'acciaieria 2, il numero dei cassintegrati diminuirebbe di circa 500 unità.Per quanto attiene lo sbarco delle materie prime, l'Ilva è alle prese con un doppio problema: da un lato i vincoli allo scarico posti dai custodi giudiziari, responsabili delle aree sequestrate, e dall'altro i diversi danni subiti dalle gru nell'area del porto. Attualmente lo scarico avviene sui moli 2 e 4 dell'Ilva e secondo i sindacati il molo 2 avrebbe danni impiantistici più contenuti mentre più critica sarebbe la situazione del molo 4. Lo stoccaggio delle materie prime, per effetto di questi problemi, viene definito al limite dai sindacati, che però annunciano che l'Ilva si sta attrezzando per superare l'emergenza. Tra le soluzioni in via di messa a punto c'è anche la possibilità di operare con le gru attraverso radiocomando da terra.La Confindustria Taranto, intanto, esprime "soddisfazione in merito al provvedimento" e indica quale possibile garante il procuratore della Repubblica di Taranto, Franco Sebastio, in quanto "sintesi ideale di affidabilità morale e istituzionale ed allo stesso tempo di equilibrio e competenza, requisiti indispensabili ai fini della gestione corretta della complessa e delicata materia".Tale nomina, osservano gli industriali in una nota, "potrebbe per alcuni versi contribuire a smussare le ancora evidenti perplessità che permangono in ordine al rischio di incostituzionalità nel quale il dispositivo, così come finora concepito, potrebbe imbattersi; per altri aspetti, conferirebbe alla figura del garante la garanzia di un alto profilo che si impone per una scelta così strategica e importante".Analoga urgenza viene ravvisata da Confindustria per "la nomina di un commissario preposto alla realizzazione dei processi di bonifica; una figura che si attende da almeno tre mesi – il tempo trascorso dal primo decreto - e a sua volta indispensabile per poter procedere al più presto con gli interventi più urgenti al fine di non vanificare sia le decisioni della magistratura sia il senso stesso del decreto, che alla produzione affianca una poderosa e tempestiva operazione di risanamento ambientale".

La Repubblica – 3 dicembre 2012

Ilva, le mamme di Taranto a Napolitano "Ha firmato la nostra condanna"L'amarezza per il decreto che 'riaccende i forni' dell'acciaieria."Venga qui venga a visitare i nostri bambini devastati dal cancro, gli spieghi perché lo Stato ha preferito darli in pasto al Mostro. Come credere a una politica che ci ha rubato anche il diritto alla vita?"

"Avevo davvero riposto in lei la mia fiducia, credevo che fosse una persona per bene, che difendesse la nostra Costituzione. Credevo che quei valori, di cui tanto parla, fossero davvero radicati in lei e fossero il punto di riferimento per ogni sua azione, per ogni sua decisione. Credevo che avrebbe scelto la vita e non la morte. E invece ha firmato la nostra condanna". E' l'inizio di una lettera che una donna di Taranto, Tonia Marsella, ha inviato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo la firma del decreto legge sull'Ilva, lettera che è stata diffusa dal comitato ambientalista "Donne per Taranto"."La condanna di una città sacrificata da anni in nome del profitto più squallido e criminale,

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abbandonata nelle mani di una famiglia di imprenditori senza scrupoli, plurindagati e pluricondannati e tutt'oggi agli arresti domiciliari o addirittura latitanti - scrive Marsella -. Come credere ancora nello Stato Italiano? Come credere nella politica e in chi dovrebbe difendere e promuovere il bene comune... e invece ci ha rubato anche il diritto alla vita? A Taranto c'è un'ordinanza del sindaco che vieta il pascolo entro un raggio di non meno di 20 km attorno all'area industriale... ma in quei 20 km noi ci viviamo. Vivono i nostri bambini. Le pecore e le capre sono state uccise... ora lo Stato uccide anche noi... per decreto. Ho bisogno di sapere da lei, signor presidente, cos'hanno di diverso i bambini di Genova rispetto ai nostri"."Perché lì l'area a caldo è statachiusa in quanto incompatibile con la città, e la produzione spostata a Taranto? Chi ha compiuto il "miracolo" rendendola "compatibile"? Venga qui venga a visitare i nostri bambini devastati dal cancro (e non solo), li guardi negli occhi e sostenga il loro sguardo, se ci riesce, gli spieghi perché lo Stato ha preferito darli in pasto al Mostro, quel mostro che ha distrutto il nostro mare, violentato la nostra terra, insozzato il nostro cielo. Dica alle loro mamme - si conclude la lettera - che la malattia e la morte del figlio è necessaria altrimenti cala il Pil".

La Repubblica – 4 dicembre 2012

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ROMA - VIA LIBERA DEL QUIRINALE AL DECRETO. A TARANTO SI LAVORA AL RICORSO ALLA CORTE COSTITUZIONALE. Ilva, Napolitano firma e apre lo scontro con i pm

LEO LANCARI – ROMA. Per il magistrati pugliesi il provvedimento del governo non difende il diritto alla salute. Intanto a Taranto l'azienda manda in cassa integrazione il personale dell'area a freddoIl presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha firmato ieri sera il decreto salva-Ilva. Una firma attesa e prevista, specie dopo l'incontro con cui, nelle scorse settimane, il premier Mario Monti aveva avuto proprio con il capo dello Stato per mettere a punto la strategia da seguire per uscire dalla drammatica situazione creata a Taranto dall'azienda senza ledere i poteri della magistratura. Una questione, quest'ultima, che il decreto varato venerdì scorso da palazzo Chigi non sembra però aver risolto, al punto che la firma messa ieri da Napolitano in calce al provvedimento potrebbe essere il primo atto di uno scontro istituzionale. L'ennesimo - dopo quello con i pm di Palermo - che il Quirinale apre nei confronti di una procura e dei suoi magistrati.Adesso, per sapere cosa accadrà basterà aspettare giovedì prossimo, 6 dicembre, giorno in cui è prevista l'udienza del Riesame che dovrà decidere sul ricorso presentato dall'Ilva contro l'ordine di sequestro del prodotto finito e semilavorato deciso il 26 novembre dal gip Patrizia Todisco. E in quell'occasione il procuratore capo Franco Sebastio e i suoi pm scopriranno le carte, anche se il ricorso alla Corte costituzionale sembra ormai scontato. Per i magistrati pugliesi, il decreto del governo infatti non solo non difende il diritto alla salute, ma mette in discussione le perizie epidemiologiche e chimiche che sono state affrontate nell'incidente probatorio. In procura, comunque, anche ieri vigeva l'ordine del silenzio. «La questione è complicata. Siamo cinque colleghi e stiamo lavorando», sono le uniche parole concesse ai cronisti da Sebastio.Due sono comunque le strade che potrebbe essere imboccate dalla procura in un eventuale ricorso alla Consulta. Come spiega il costituzionalista Gaetano Azzariti. «Ci sono due profili distinti per cui è possibile che la magistratura ricorra alla Corte costituzionale: da una parte per ragioni di incostituzionalità, cioè per violazione sostanzialmente degli articoli 32 e 41 sul diritto alla salute e sui limiti all'impresa privata - spiega Azzariti -. Ma c'è anche un altro profilo: quello del conflitto di attribuzione tra poteri. Perché è possibile dire che questo decreto si sia sovrapposto alla funzione dei giudici, in particolare all'ordinanza fatta dalla procura di Taranto».Ed è proprio questo punto, secondo il costituzionalista, il più delicato. «Il governo - prosegue infatti Azzariti - ha fatto il bilanciamento, ha cercato di tenere insieme le esigenze dell'impresa e del lavoro da un lato, con quelle della salute e dell'ambiente dall'altro. Ora, ovviamente, al di là dei politici che in qualche modo hanno le loro certezze, spetterà alla Corte costituzionale dire se questo bilanciamento è corretto o meno».Tutto questo riguarda però il futuro. Ieri è stata ancora una giornata in cui si è attesa la firma del presidente della repubblica. Nel frattempo continuano ad arrivare pareri negativi sul provvedimento. Dopo il giudizio duro espresso dall'Associazione nazionale magistrati, ieri anche il pubblico ministero di Milano Antonio Spataro si è detto convinto dell'incostituzionalità del provvedimento. «Con il decreto legge è stato messo in discussione il primato del diritto alla salute su quello del diritto al lavoro» ha detto il magistrato, per il quale «siamo all'interferenza del potere legislativo nei confronti del potere giudiziario».Intanto, a dimostrazione di come Taranto sia una città spaccata, ieri il comitato «Cittadini e lavoratori liberi e pensanti» ha attaccato il decreto salva-Ilva. «Un decreto illegale - ha spiegato il comitato - che richiede all'Ilva di adottare disposizioni di un aggiornamento illegale di un'Aia illegale. Attuare l'Aia - ha proseguito - non dimostrerebbe che la situazione di pericolosità degli impianti sia venuta mano. Per questo motivo non è possibile continuare da subito l'attività produttiva ma è necessario prima realizzare gli interventi di adeguamento degli impianti indispensabili per garantire la tutela dell'incolumità dei lavoratori e della popolazione locale e l'interruzione dell'attività criminosa per la quale proprietà e management dell'Ilva sono agli arresti».

 Il Manifesto 4 dicembre 2012

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TARANTO - L'EX RESPONSABILE PR DELL'ILVA. Il gip: «Archinà resta in carcere»

GIANMARIO LEONE –TARANTO. Nella giornata di ieri il gip del Tribunale di Taranto Patrizia Todisco, ha rigettato l'istanza di revoca degli arresti in carcere di Girolamo Archinà, l'ex responsabile delle pubbliche relazioni dell'Ilva arrestato il 26 novembre con le accuse di corruzione in atti giudiziari, associazione a delinquere e falso, nell'ambito dell'inchiesta sulle presunte pressioni che sarebbero state esercitate dall'azienda, suo tramite, per ammorbidire i controlli e ottenere autorizzazioni ambientali favorevoli. Giovedì è prevista l'udienza del Tribunale del Riesame che esaminerà il ricorso presentato dai legali di Archinà, che hanno chiesto i domiciliari. Nella stessa giornata, ma in udienza distinta, è prevista la discussione del ricorso presentato al Riesame dai legali dell'Ilva sul sequestro dei prodotti finiti e semilavorati prodotti dall'azienda a partire da luglio scorso e depositati nello stabilimento, avvenuto sempre lunedì 26 novembre. Si svolgerà invece domani l'atteso interrogatorio di garanzia di Emilio Riva, l'86enne patron dell'Ilva, sottoposto il 26 novembre scorso, per la seconda volta in quattro mesi, agli arresti domiciliari. L'esame si svolgerà quasi certamente per rogatoria in Lombardia dove risiede. Le accuse nei suoi confronti sono di associazione a delinquere, concorso in corruzione in atti giudiziari, falso.Intanto, l'azienda ha inviato ieri le lettere di cassa integrazione al personale dell'area a freddo. Si tratta degli addetti ai tubifici, ai rivestimenti, al treno lamiere e ai treni nastri per i quali già nei giorni scorsi l'azienda, a causa della crisi di mercato, aveva chiesto la cassa ordinaria per 13 settimane per un totale di 2mila persone. La cassa è partita ieri nonostante il mancato accordo sindacale, in quanto si sono conclusi i giorni previsti dalla procedura preliminare. L'entrata in cassa procederà a scaglioni, anche se i sindacati non sono ancora in grado di quantificare il numero esatto, perché attendono di incontrare l'Ilva. Il personale che entra in cassa è lo stesso in ferie forzate da alcuni giorni. Erano 700 sul finire della scorsa settimana quando soltanto alcuni impianti erano inattivi. Da lunedì scorso, invece, il numero è schizzato a quota 5mila, perché tutta l'area a freddo è stata fermata dall'azienda a seguito del sequestro dei prodotti finiti (coils e lamiere) da parte della Guardia di Finanza. Ora la situazione si modificherà ulteriormente perché una parte di questi 5mila andranno in cassa integrazione ordinaria per 13 settimane. E' inoltre ancora in atto la cassa integrazione per 1.031 unità in forza a tutti gli impianti e le aree che sono state danneggiate a causa del tornado che mercoledì scorso si è abbattuto sull'Ilva. Questa ulteriore cassa sarebbe dovuta cessare ieri, ma i lavori di ripristino procedono un po' a rilento. I sindacati ritengono che già oggi il personale dell'acciaieria 2 potrebbe tornare al lavoro: rispetto ai 1.031, il numero dei cassintegrati scenderebbe di 500 unità. Per quanto riguarda lo sbarco delle materie prime, l'Ilva è invece alle prese con un doppio problema: da un lato i vincoli allo scarico imposti dai custodi giudiziari, responsabili dell'area a caldo sotto sequestro, dall'altro i diversi danni subiti dalle gru nell'area del porto in concessione all'azienda. Si tratta dei moli 2 e 4: secondo i sindacati il primo avrebbe danni impiantistici più contenuti, più critica sarebbe invece la situazione del secondo. Lo stoccaggio delle materie prime, definito al limite dai sindacati, potrebbe presto superare l'emergenza comandando le gru con un radiocomando da terra.La struttura di San Brunone, il cimitero di Taranto che sorge a poca distanza dallo stabilimento, da anni continua a dipingere le cappelle di rosa per evitare che si 'sporchino' del rosso del minerale giacente nei parchi. La struttura si è associata a 148, tra cittadini ed enti, che hanno promosso causa civile all'Ilva spa per i danni subiti dall'inquinamento e il deprezzamento subito da abitazioni e proprietà (per un risarcimento stimato in nove milioni di euro circa). «Perché almeno i morti - dicono - vanno tenuti puliti». A Taranto, da sempre, hanno negato anche questo.

Il Manifesto 4 dicembre 2012

Ricorso necessario per Taranto

COMMENTO - GAETANO AZZARITI. È assai probabile che sarà la corte costituzionale ad avere l'ultima parola sull'Ilva. Il decreto del governo potrà, infatti, essere portato dinanzi al giudice delle

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leggi affinché sia quest'ultima a verificarne la costituzionalità. Ai giudici della consulta si potrà chiedere, inoltre, se l'atto del governo abbia o meno rispettato la divisione tra i poteri. Si tratta di due questioni distinte. Nel primo caso si potrà sollevare una questione di legittimità costituzionale per accertare se il bilanciamento operato dal governo tra le ragioni dell'impresa e del lavoro da un lato, e quelle della salute e della salvaguardia dell'ambiente dall'altro sia stato «ragionevole» ed abbia rispettato i limiti imposti dalla nostra costituzione.Dovrà, in sostanza, la Corte accertare se la previsione di proseguire con la produzione al fine del risanamento non si rifletta in una violazione degli articoli 32 (diritto alla salute) o 41, secondo comma (ove si stabilisce che l'iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana»). Nel secondo caso, invece, si dovrà accertare se il governo con un suo atto che ha forza di legge possa assicurare la prosecuzione dell'attività produttiva dello stabilimento siderurgico e autorizzare il possesso dei beni dell'impresa della società Ilva spa., facendo così venir meno quanto disposto in senso contrario dalla procura tarantina. La Corte sarebbe dunque chiamata a risolvere un conflitto tra poteri dello stato.Mi rendo conto che in una situazione drammatica com'è quella che si è venuta a creare tutto possa apparire fuori dall'ordinario, ma ragionando in punto di mero diritto ci sarebbe da stupirsi se non si seguissero le vie che il nostro ordinamento definisce per assicurare che ogni potere e ciascun atto del nostro ordinamento siano conformi al dettato costituzionale. Che vi siano in questo caso i presupposti per sollevare in via incidentale (nel corso di un processo) la questione di legittimità costituzionale dovrebbe essere evidente. Non penso neppure che il giudice possa ritenere manifestamente infondata un'eventuale richiesta proposta in tal senso dalla procura.In ogni caso rientra pienamente tra i poteri delle parti (in questa caso della procura) chiedere al giudice di sollevare la questione dinanzi alla Corte: perché in questo caso non dovrebbe?Anche il conflitto tra poteri dello stato è uno strumento molto spesso utilizzato dai giudici - potere diffuso - per tutelare le proprie competenze giurisdizionali. Ora, chiedersi se il decreto avente forza di legge sia stato emanato senza violare le ragioni della giurisdizione mi sembra quantomeno legittimo. La giurisprudenza costituzionale ha affrontato casi simili, ma non identici (dando ragione ai giudici nei casi di atti normativi d'interpretazione autentica, posti in essere al solo fine di violare le prerogative della giurisdizione). Di fronte dunque ad una questione incerta il buon senso dovrebbe indurre a chiedere una soluzione esplicita al giudice preposto dal nostro ordinamento alla soluzione di tali conflitti.In fondo dovrebbe essere interesse di tutti - anche del Governo - garantire la legittimità costituzionale degli atti aventi forza di legge e il rispetto delle competenze costituzionalmente definite. Anche e soprattutto quando si interviene su questioni non solo politicamente controverse, ma anche costituzionalmente discutibili.Dovrebbe infatti essere evidente a chiunque che il caso di Taranto coinvolge pienamente il piano costituzionale. La tutela del lavoro, i limiti all'iniziativa economica privata, la salvaguardia dell'ambiente, il diritto alla salute si pongono al centro del sistema di valori che il nostro testo costituzionale ha voluto affermare.La vicenda dello stabilimento siderurgico pugliese ha mostrato quanto difficile sia contemperare tra loro questi principi. Il nostro ordinamento costituzionale dice che spetta al legislatore, in prima battuta, adottare norme idonee a definire il rapporto tra i diritti, compete poi, in seconda battuta, ai giudici applicare e interpretare l'equilibrio stabilito in sede legislativa, alla fine, tocca però alla Corte costituzionale l'ultima parola. È essa a stabilire se il governo, operando nell'ambito dei poteri attribuiti, ha operato un bilanciamento «ragionevole» e dunque costituzionalmente compatibile.Questo compito la Corte svolge in via ordinaria, sarebbe opportuno che si esprimesse anche in questa vicenda drammatica. Per garantire la superiore legalità costituzionale anche nel caso Ilva.

Il Manifesto 5 dicembre 2012

La procura chiede mandato europeo per l'arresto di  Fabio RivaIl vicepresidente di Riva Fire è ricercato dal 26 novembre scorso per disastro ambientale

La Procura della Repubblica di Taranto ha chiesto al gip del Tribunale Patrizia Todisco l'emissione di un mandato di arresto europeo nei confronti di Fabio Riva, vicepresidente di Riva

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Fire, ricercato dal 26 novembre scorso nell'ambito dell'inchiesta per disastro ambientale a carico dei vertici dell'Ilva di Taranto. Il tutto mentre in città si celebra il funerale di Taranto e divampa la polemica sull'ipotesi avanzata dal ministro dell'Ambiente Corrado Clini di evacuare il quartiere Tamburi. Nei confronti di Fabio Riva il gip ha firmato un'ordinanza di custodia cautelare in carcere con le accuse di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, emissione di sostanze nocive e avvelenamento da diossina di sostanze alimentari. La richiesta di mandato di arresto europeo da parte della Procura fa seguito al verbale di vane ricerche consegnato dalla Guardia di finanza e alla conseguente dichiarazione dello 'status' di latitante firmata dal gip.Nei giorni scorsi i legali di Fabio Riva avevano consegnato alla Procura di Taranto una lettera inviata loro dal loro assistito e datata 27 novembre. Nella lettera il vice presidente di Riva Fire scriveva che quando aveva saputo del provvedimento cautelare si trovava in Inghilterra e che quindi si metteva "a disposizione" delle autorità di quel Paese. Nel frattempo, a Taranto, centinaia di persone sono scese in strada e hanno partcipato al 'funerale di Taranto', organizzato dal Comitato 'Cittadini e Lavoratori liberi e pensanti' per protestare contro il decreto 'salva-Ilva'. In quattro hanno portato a spalla una bara con cozze, arance e formaggio, simbolo dell'inquinamento provocato dal Siderurgico, e una tuta da lavoro dell'Ilva. Su un cartello era riportata la scritta 'A Gesù la croce, a noi l'Ilva'. In città, i manifesti funebri che annunciavano il 'funerale', e in testa al corteo l'Apecar, simbolo della contestazione.

La Repubblica – 10 dicembre 2012

Ilva, denuncia degli ambientalisti "Pericolo amianto dopo il tornado"Esposto alla Digos sulla dispersione di fibre d'amianto dalla discarica Mater Gratiae

Il presidente del Fondo antidiossina onlus, Fabio Matacchiera, ha consegnato alla Digos della questura di Taranto un esposto indirizzato alla Procura attraverso il quale segnala la possibile dispersione di fibre d'amianto dalla discarica "Mater Gratiae" gestita dall'Ilva, in seguito al tornado che si è abbattuto sullo stabilimento siderurgico il 28 novembre scorso. L'ambientalista sostiene di aver prove inconfutabili sulla presenza di rifiuti contenenti amianto nella discarica.Con l'esposto Matacchiera fa riferimento ad "un presunto pericolo sanitario per i quale si chiedono accertamenti". Osserva, inoltre, di aver raccolto la scorsa settimana "informazioni rilevanti scaturite da segnalazioni pervenuteci da parte di operai dell'Ilva, in merito alla presenza di alcuni operatori (presso impianto 'Colata continua' Cco5) intenti a raccogliere frammenti di materiale contenente presumibilmente amianto".Secondo Matacchiera sul territorio di Statte, che si trova non distante dalla discarica, potrebbero essere state riversate, negli anni, "migliaia di tonnellate rifiuti industriali di vario tipo, tra questi scorie dell' acciaieria e tantissimo amianto accantonato, semiseppellito, disperso anche in sacconi lacerati che con il vento e la turbolenza potrebbero aver disperso fibre di amianto anche a molta distanza".

La Repubblica – 11 dicembre 2012

Rivolta al Tamburi: Deportati mai

GLI abitanti del rione Tamburi di Taranto non ci stanno. Bocciano la proposta del ministro dell'ambiente, Corrado Clini, di spostare altrovei residenti. «Viviamo qui da sempre - alzano la voce - È l'Ilva che se ne deve andare. Questo ministro ne dice una al giorno». Ieri pomeriggio sotto il Comune solo 300 persone hanno partecipato al simbolico funerale della città, dopo il decreto legge salva-Ilva. Nel corso della manifestazione, organizzata dal comitato dei Liberi e pensanti, è stata portata a spalla una bara con dentro una tuta da operaio, cozze, formaggio e arance, mentre in città sono comparsi decine di manifesti funebri.

La Repubblica – 11 dicembre 2012

LA VENDITA DELL'ILVA FU UN ERRORE DI STATO

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FU UN errore di Stato quello che nel 1995 portò alla vendita di ILVA Laminati Piani, nata sulle ceneri della siderurgia pubblica come costola senza debiti. Questi ultimi furono tutti inseriti in ILVA in Liquidazione, rimasta allo Stato.Erano gli anni della necessità di liberarsi di tutte le aziende pubbliche che costavano; doveva rendersi appetibile la nuova azienda per garantirsi l'interesse del privato.E Riva vinse: si aggiudicò la nuova Ilva senza debiti, si dice pagando poco ma soprattutto pagando in parte, mantenendo parte dell'importo in quanto avviò contestazioni per la presenza di problemi ambientali che si sarebbero potuti presentare. Trattenne dei fondi, forse per tanto tempo. E per tanto tempo altri fondi lo Stato mise da parte, nell'eventualità fosse stato «scoperto» peri mali del passato arrecati alla città. Lo dice l'interrogazione parlamentare dell'on. Vico, che richiama la presenza/assenza di 140 milioni di euro, all'epoca messi da parte. Ma per cosa e perché? Dove sono quei documenti alla base di tutto? Non vorremmo che quei fondi messi da parte siano quelli che appaiono ora per riqualificare.Tutti i documenti devono rendersi pubblici.L'azienda allora - siamo nel 1995 - presentava criticità ambientali; era il tempo dei furti di Stato. Quello fu un periodo buio della nostra storia, quello dell'industria pubblica che ruotava intorno all'Iri, l'Istituto di Ricostruzione Industriale istituito nel 1933 da Mussolini per evitare il fallimento delle banche italiane e il crollo della nostra economia. La Banca Commerciale era fra queste, ed aveva acquistato nel 1921 la primordiale Ilva, essendone il maggior creditore. E nacque Italsider: erano gli anni '60. E quando ci si rese conto che occorreva più acciaio, negli anni '70, si realizzò il raddoppio dello stabilimento tarantino. Forse sulle ceneri della produzione. Con l'IRI le imprese costruivano il futuro, erano utilizzabili per scopi sociali; lo Stato si faceva carico dei costi e delle diseconomie degli investimenti. L'Iri poteva non seguire criteri imprenditoriali nella sua attività, ma investire secondo quelli che erano gli interessi del Paese e della gente, anche se ciò avrebbe potuto creare investimenti antieconomici. Purtroppo iniziò la grande stagione dei furti di Stato. Strangolata dai debiti e dai furti, la siderurgia pubblica si trasformò, negli anni '90, nuovamente in Ilva. Poi vennero Ilva Laminati Piani, in cui riversare la qualità, e Ilva in Liquidazione, in cui mettere i debiti. La prima è andata ai Riva, la secondaè rimasta allo Stato che ha poi trasferito i debiti ai contribuenti. Fu così che nacque l'»era» dei Riva. Che fine hanno fatto quei rapporti ambientali che erano alla base della valutazione? Quale era la situazione ambientale e perché non si rese pubblica? Ma soprattutto perché lo Stato non intervenne subito? A quanto venne venduta l'Ilva? La nostra regione ha prodotto dieci piani strategici rimasti sulla carta. Lo Stato faccia da garante: pensi all'Amministrazione controllata o nazionalizzi l'Ilva.ingegnere - esperto di tematiche ambientali

La Repubblica – 11 dicembre 2012

Ilva, il gip sigilla i prodotti 2400 operai vanno a casa

TARANTO - Il gip Patrizia Todisco conferma il sequestro dell' acciaio Ilva. E l' azienda annuncia una catastrofe occupazionale con effetti non solo a Taranto, ma in tutti gli impianti del gruppo Riva che coinvolgerà all' incirca 5.100 dipendenti, 2.400 solo nello stabilimento pugliese. Tutta colpa di quel milione e settecentomila tonnellate di coils, tubi e bramme, valore dichiarato un miliardo di euro, destinato a restare nei magazzini dopo il niet del giudice "Mancando la disponibilità di prodotti finiti e semilavorati - si legge nella nota diffusa in serata da Ilva - verrà del tutto interrotta la lavorazione verticalizzata a Taranto e negli altri stabilimenti e sarà necessario ricostituire da zero un nuovo parco prodotti lavoratie semilavorati. Da ora e a cascata - continuano da Ilva - circa 1.400 dipendenti della laminazione a freddo, tubifici e servizi correlati, rimarranno senza lavoro. Questi lavoratori si andranno a sommare ai 1.200 attualmente in cassa integrazione per la situazione di mercatoe per le conseguenze del tornado che ha investito lo stabilimento di Taranto". Il conto, però, salea 5100 per gli effetti nelle altre fabbriche, in Italia e all' estero, destinate a restare all' asciutto perché dipendono dal materiale che parte dal colosso siderurgico pugliese. E le conseguenze su Taranto potrebbe essere anche peggiori a sentire Antonio Talò, segretario provinciale della Uilm. "Con un miliardo di prodotto a terra, l' azienda potrebbe avere problemi di liquidità. Nell' ultimo incontro - dice Talò - ci hanno garantito lo stipendio di novembre e niente

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altro. Temo possibili ripercussioni sulle tredicesime. Così come temo che possa lievitare di almeno altri mille il numero dei lavoratori coinvolti dal blocco". E l' escalation delle notizie lascia sconfortato il sindaco Ippazio Stefàno. "E' un momento drammatico in cui ci sentiamo impotenti. La magistratura - dichiara il primo cittadino - fa il suo lavoro e non esiste che si metta in discussione l' operato dei giudici. Mi limito a constatare con sofferenza le conseguenze che si ripercuotono sempre sui più deboli, in questo caso i lavoratori". La battaglia, però, a breve tornerà nelle aule del tribunale. Perché Ilva ha annunciato che ricorrerà al Riesame, sottintendendo la presentazione dell' appello contro il rigetto del gip Todisco. Nel suo provvedimento il giudice ha recepito il parere negativo della procura, ritenendo che il decreto "salva Ilva", non abbia effetto retroattivo. Quindi la ciambella di salvataggio governativa secondo il gip non può sbloccare quel miliardo di euro di prodotti in acciaio, che erano stati sequestrati perchè sfornati dalla fabbrica dopo il 26 luglio, ovvero dopo i sigilli all' area a caldo, indicata come la fonte dell' inquinamento killer. "Sono provento di reato" aveva decretato già il 26 novembre lo stesso giudice Todisco. Ieri pomeriggio l' istanza della difesa si è infranta sul nuovo rigetto del gip. E sempre ieri il Tribunale del Riesame ha confermato il carcere per l' ex dirigente Girolamo Archinà e per l' ex consulente della procura Lorenzo Liberti, accusato di aver intascato una tangente per addolcire la sua perizia sull' inquinamento. "La decisione ci sorprende e ricorreremo in Cassazione", hanno dichiarato i legali di Liberti, Paolo Francesco Sisto ed Enzo Vozza.

La Repubblica – 12 dicembre 2012

Caso Antonino Mingolla: condannati i dirigenti

E’ stata emessa ieri pomeriggio dal tribunale di Taranto la sentenza che ha definito la posizione degli imputati chiamati a causa per l’infortunio mortale avvenuto nello stabilimento Ilva di Taranto il 18 aprile 2006 quando si registrò il decesso dell’operaio Antonino Mingolla nell’area Afo 1. Sei sono state le condanne, il risarcimento da liquidarsi in separata sede e provvisionale alle parti civile: Fiom Cgil e l’associazione nazionale invalidi e mutilati del lavoro, la cui costituzione è stata ammessa per la prima volta in una causa di morte bianca.Il giudice ha condannato a due anni di reclusione ciascuno Alfredo De Lucreziis, tecnico d’area del’Ilva, Antonio Assennato, capo cantiere della Cmt, Angelo Lalinga, responsabile di produzione dell’Ilva, Mario Abbattista, capo reparto aria gas Ilva, Francesco Ventruto, responsabile servizio prevenzione e protezione rischi. Due anni e mezzo di reclusione sono stati inflitti a Pietro Mantovani, titolare della Smi Sas subappaltatrice dell Cmt. La morte di Antonino Mingolla ha segnato in maniera indelebile la città. Diverse, infatti, sono state negli anni le iniziative svolte per ricordare il sacrificio sul lavoro del giovane mesagnese. Nell’agosto del 2008 la Pro Loco aveva ricordato questo suo figlio prematuramente scomparso sul posto di lavoro assegnandogli la “Palma d’oro mesagnese”, un premio alla memoria con il quale si era voluto riconoscere il valore umano e professionale del giovane. Nel suo intervento la moglie, Franca Caliolo, aveva auspicato che la morte di Antonino come quella di altri operai deceduti all’Ilva fosse “da monito per il futuro del mondo lavorativo” inoltre la stessa aveva messo in evidenza: “l'importanza di investire sulla sicurezza nell'ambiente di lavoro". Da allora la signora Caliolo ha condotto una battaglia di civiltà per evitare altri sinistri. Così, per dare concretezza a questa attività ogni 18 aprile, data della morte di Antonino, in Italia si svolge la “Manifestazione nazionale per la sicurezza sui luoghi di lavoro contro la salute negata e la precarietà”.

Il Gazzettino di Brindisi – 13 dicembre 2012

La moglie coraggio ottiene giustizia per l' operaio mortoQUESTA storia ha la forma di un cerchio. Anzi, di un cuore: perché parte, gira attorno e inaspettatamente torna nello stesso punto. Soltanto che lo fa attraverso percorsi dolorosi e tortuosi. E' infatti una storia incredibilmente triste e incredibilmente tenera, come soltanto le cose a forma di cuore sanno essere. I protagonisti sono Antonio Mingolla e sua moglie, Francesca Caliolo. Antonio nel 2006 è morto. Aveva 46 ed è stato vittima di un incidente sul lavoro all' Ilva. E' stato investito da esalazioni di gas e non c' è stato niente da fare. Da quel giorno Francesca ha vissuto non tanto per lui quanto per la verità che suo marito meritava. E' diventata presidente del

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comitato delle mogli delle vittime sul lavoro, ha raccolto documenti e parlato in conferenze in tutta Italia, ha pianto poco e argomentato molto. Sei anni così. Poi è arrivato un pomeriggio come quello di ieri, passate da poco le cinque. Nell' aula F del tribunale di Taranto, primo piano, un giudice ha condannato gli assassini (colposi) di suo marito: due anni e sei mesi, pensa sospesa. Ma due anni e sei mesi. DAL NOSTRO INVIATO GIULIANO FOSCHINI TARANTO - Poco prima lo stesso giudice aveva prosciolto per prescrizione due ragazze che erano finite imputate chissà per cosa, e allora Francesca aveva pensato che era finito tutto. E invece poi è arrivata la condanna, importante, non fosse altro perché è quasi il doppio di quanto aveva chiesto il pm. I condannati sono Alfredo De Lucreziis, tecnico d' area energia manutenzione meccanica dell' Ilva; Antonio Assentato, capo cantiere della ditta Cmt, l' azienda che lavorava per l' Ilva; Piero Mantovani, titolare della società «Smi sas», ditta subappaltatrice della Cmt; Angelo Lalinga, responsabile di produzione, distrubuzione e trattamento acque, soffiaggio vapore aria e gas dell' Ilva; Mario Abbattista, capo reparto energia, aria e gas dell' Ilva; e Francesco Ventruto, responsabile del servizio di prevenzione e protezione rischi per la sicurezza e salute durante il lavoro. Francesca non ha pianto, però teneva stretta le mani: "Se i Riva si fossero chiamati Thyssen, se fossero stati tedeschi e non così tanto italiani, con tutte quelle amicizie, non saremmo arrivati a questo punto oggi e loro forse sarebbero in questa aula. Hanno condannato chi forse aveva le responsabilità minori, però io avevo bisogno che qualcuno attribuisse delle responsabilità. Non per me, non per mio marito ma per tutti quanti gli altri". Gli altri? "In questi anno ho fatto tanta fatica per contrastare il fatalismo imperante tra i suoi compagni di lavoro, convinti che Francesca Caliolo con il presidente della Regione, Nichi Vendola avrei dovuto rassegnarmi perché doveva andare così. Io mi sono impegnato per dare un senso alla sua morte tutelando le loro vite e le nostre e quelle dei nostri figli. A loro avevo sempre detto che le avversità e la sofferenza fanno crescere e maturare. Avrei preferito non imparassero a questo prezzo". Antonio, anzi Antonino come lo chiama lei, il giorno dell' incidente lavorava nell' area dell' Altoforno numero uno, quello che oggi ha chiuso perché inquinava troppo. All' improvviso fu investito da una folata di gas, incolore e inodore, altamente tossico, fuoriuscito dalla conduttura alla quale stava lavorando. Lavorava a venti metri d' altezza, morì sul colpo. Non fu un caso. In quel posto mancava tutto quello che avrebbe dovuto esserci, dalla bombola di ossigeno alle istruzioni sul da farsi. "Per questo però non ha pagato nessuno- dice Francesca - Io avrei voluto che tra gli imputati ci fossero i signori, i padroni. Però poi alla fine certe cose arrivano sempre nel punto dove è giusto che arrivino: forse ha un senso che la condanna per Antonino arrivi proprio in questo momento storico, quando tutta Italia sa che cosa significa l' Ilva,i Riva, dopo che per anni io sola e insieme a pochi altri sono andata per l' Italia a parlare, a spiegare". Non lo dice, Francesca, ma fa un' impressione particolare che mentre lei era ad ascoltare la sentenza in aula (parte civile come i sindacati, tutti risarciti, fatto questo storico) due esponenti della famiglia Riva fossero agli arresti domiciliari e uno latitante all' estero. Subito dopo la lettura della sentenza Francesca si è sciolta in un solo lungo abbraccio, nascondendo qualche lacrima. Era Mario Abbattista, uno dei condannati. "Lavorava come lui, lavorava con lui. Mario un amico di mio marito". Ecco in quell' abbraccio c' è quella storia tra diritto al lavoro e diritto alla salute, la spiegazione del perché in questa storia ci sono vittime che a volte diventano carnefici. E carnefici che invece non diventano mai vittime.

La Repubblica – 13 dicembre 2012

I lavoratori non salgono sulle gru, l'azienda chiama gli psicologi. Dopo la tragedia di Francesco Zaccaria, l'operaio di 28 anni finito in mare nella cabina della gru durante il tornado che si è abbattuto su Taranto, i suoi colleghi scelgono di restare a terra

L'azienda propone un supporto psicologico. Ma i gruisti dell'Ilva scelgono di non risalire nelle cabine ad oltre venti metri di altezza. E per ora preferiscono affidarsi agli impianti radiocomandati da terra. E' ancora crisi per il ciclo di rifornimenti di minerali nella grande fabbrica dell'acciaio, messo in ginocchio dallo spaventoso tornado che lo scorso 28 novembre ha investito le banchine del porto gestite dal siderurgico, uccidendo lo sfortunato Francesco Zaccaria. Quella tragedia ha avuto effetti devastanti. Le gru sono state seriamente danneggiate e il dramma dell'operaio tarantino spazzato via con la sua cabina dalle raffiche di vento ad oltre duecento all'ora, ha segnato inevitabilmente i suoi compagni, che ora non intendono risalire nei gabbiotti delle gru.

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Fatto sta che nella rada di mar Grande restano alla fonda numerosi mercantili zeppi di minerale, mentre le scorte dei parchi sono in riserva e possono assicurare ancora pochi giorni di autonomia. Per questo nel corso di un confronto con i sindacati è stata avanzata l'ipotesi di garantire un supporto psicologico ai gruisti. L'opportunità per ora è stata scartata dagli stessi lavoratori. Ha trovato consensi, invece, l'idea di condurre le operazioni di scarico con gru radiocomandate da terra.Due impianti sono già entrati in funzione con questa tecnologia, ma la loro attività riesce a garantire lo scarico di 20.000tonnellate di minerale al giorno, mentre gli altiforni necessitano di oltre 40.000 tonnellate per il loro lavoro quotidiano. 

La Repubblica – 13 dicembre 2012

Ilva, Riva resta ai domiciliari, l'ex direttore lascia carcere. Il tribunale del Riesame respinge il ricorso presentato dai legali del patron dello stabilimento siderurgico. Intanto il ministro Clini rassicura: "La prossima settimana prima riunione sul monitoraggio"

Il patron dell'Ilva Emilio Riva rimane agli arresti domiciliari, mentre lascia il carcere per i domiciliari l'ex direttore dello stabilimento di Taranto Luigi Capogrosso: lo ha deciso il Tribunale del Riesame in merito ai ricorsi dei legali dei due indagati, accusati di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale. Il Tribunale (composto dai giudici De Tomasi, Ruberto, Di Todaro) ha dunque parzialmente accolto solo il ricorso in favore di Capogrosso, difeso dai legali Egidio Albanese e Luca padovani; i giudici hanno depositato solo il dispositivo dell'ordinanza, riservandosi di far conoscere le motivazioni.Ad Emilio Riva e Capogrosso era stata notificata un'ordinanza di custodia cautelare il 26 novembre scorso, secondo provvedimento dopo quello cautelare del quale i due erano stati destinatari il 26 luglio, giorno in cui era esplosa la vicenda Ilva con il sequestro degli impianti dell'area a caldo .  Oltre all'imputazione principale di associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, il patron dell'Ilva e l'ex direttore dello stabilimento di Taranto sono accusati di emissione di sostanze nocive e avvelenamento da diossina di sostanze alimentari.Intanto sull'emergenza lavoro e ambiente a Taranto è intervenuto il ministro dell'Ambiente Corrado Clini. "La prossima settimana è prevista la prima riunione sul monitoraggio, sullo stato dell'arte, delle misure già prese". Cosìil ministro ha annunciato, a margine di una presentazione di un rapporto all'Enea, che tra qualche giorno si farà il punto sull'andamento del risanamento all'Ilva di Taranto.  "Sarebbe assurdo che a fronte di una situazione molto chiara e definita, che per la prima volta nel nostro Paese vede allinearsi una impresa a prescrizioni molto rigorose, mandare tutto a gambe all'aria per circostanze che non riguardano la tutela dell'ambiente". Lo ha detto poi Clini parlando dei rischi di chiusura e di licenziamento per alcuni impianti Ilva in seguito al blocco dello stabilimento di Taranto. Sulle ricadute occupazionali che insieme a Taranto colpiscono anche Genova, "il rischio non è soltanto su 4 mila lavoratori ma almeno su 20 mila dipendenti coinvolti e su un settore fondamentale del nostro paese che va a gambe all'aria se non si riesce ad assicurare al continuità produttiva" per l'Ilva di Taranto.

La Repubblica – 14 dicembre 2012

Ilva, una marcia contro il decreto 'Basta con la strage degli ovini'

TARANTO - Una marcia contro il decreto "salva Ilva". Mentre la procura studia l' offensiva contro la norma che ha disarmato i sequestri dell' inchiesta per disastro ambientale. Così Taranto si prepara a dire no alle decisioni che piovono da Roma. Lo slogan "Taranto Libera" è la parola d' ordine per la manifestazione in programma domani pomeriggio. E' organizzata dalle associazioni che compongono il cartello ambientalista in prima linea nella battaglia contro l' inquinamento targato Ilva. Questa volta nel mirino c' è proprio il decreto grazie al quale le acciaierie della famiglia Riva continueranno a produrre. "Quel decreto - hanno detto gli ambientalisti nella conferenza stampa di presentazione - compromette i principi costituzionali e valuta il diritto alla vita dei tarantini meno importante della corsa capitalistica di un imprenditore agli arresti". Parole forti che incarnano, però, il disappunto per l' intervento governativo che ha vanificato le iniziative della magistratura. E sul

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malessere di Taranto ha soffiato anche la notizia della nuova mattanza di pecore e capre, abbattute dopo l' ennesimo screening, perché contaminate da diossina e pcb. Gli allevatori domani saranno in piazza con gli ambientalisti. "Non possiamo fare altro che protestare, anche perché la nuova strage di pecore dimostra che la situazione non è assolutamente migliorata - dice Enzo Fornaro, l' allevatore al quale nel 2008 è stato decimato il gregge, con 605 capi abbattuti. "Siamo stati abbandonati da tutti. Siamo senza lavoro - continua - mentre i politici stanno zitti e quando intervengono lo fanno per aiutare chi ha inquinato e fermare i giudici". Ma le toghe ioniche intendono reagire a quel decreto legge. La procura sta preparando il conflitto di attribuzioni che probabilmente sarà formalizzato solo dopo la conversione in legge del provvedimento governativo, in programma la prossima settimana. "Lavoriamo in silenzio e stiamo studiando una norma che rende inefficace un giudicato cautelare e che sembra non avere precedenti" - ha dichiarato ancora ieri il procuratore Franco Sebastio, alla guida del pool titolare dell' indagine sul colosso siderurgico. Al netto degli interventi governativi, la situazione all' interno della fabbrica resta complicata. Ieri mattina l' azienda ha comunicato ai sindacati la richiesta di cassa integrazione in deroga per altri 1428 lavoratori dell' area a freddo. La misura si è resa necessaria per il rallentamento dell' attività connesso alla conferma del sequestro di tubi, coils e semilavorati prodotti dal 26 luglio in poi. Si tratta di merce per un miliardo di euro che a breve però, tornerà disponibile grazie ad un emendamento al decreto "salva Ilva". Il blocco, peraltro, avrà gravi ripercussioni anche negli altri stabilimenti del gruppo Riva che dipendono dallo stabilimento di Taranto per i rifornimenti. E a proposito di rifornimenti è ancora emergenza nel siderurgico per l' approvvigionamento di materie prime. Le operazioni di scarico dalle navi, procedono grazie a tre gru radiocomandate da terra, in grado di stoccare 20.000 tonnellate al giorno, a fronte di un fabbisogno di 40.000. L' allarme dovrebbe rientrare, però, con l' entrata in funzione di altri impianti danneggiati dallo spaventoso tornado dello scorso 28 novembre.

La Repubblica – 14 dicembre 2012

Ilva, la marcia dei diecimila

RABBIA, canti e slogan. Così Taranto si scaglia contro l' intervento del Governo in favore dell' Ilva. In strada oltre diecimila persone che hanno animato un corteo lunghissimo. In testa le mamme con i bimbi, alcuni anche nei passeggini. Una rivolta di piazza contro l' inquinamento, contro la grande fabbrica, ma soprattutto contro quel decreto "salva Ilva", grazie al quale l' acciaieria si smarcherà dai provvedimenti adottati dalla magistratura, nell' ambito dell' inchiesta per disastro ambientale. TARANTO - Con buona pace di perizie e contestazioni che inchiodano il siderurgico come fonte dei veleni killer che fanno ammalare e uccidono i tarantini. Cifre da incubo, come quelle sull' incidenza dei tumori sui bimbi della città. Per questo ieri i tarantini hanno alzato la voce contro la ciambella di salvataggio governativa. Un messaggio chiaro e forte a chi da domani si appresta a convertire in legge il decreto della discordia. Le stradee le piazze traboccavano di gente di tutte le età. Donne, uomini, bambini e tantissimi ragazzi. Tutti uniti per chiedere una "Taranto Libera". Proprio come canta un gruppo di artisti locali. Quella canzone ieri è stata sparata a volume altissimo dagli organizzatori, raccolti nel "comitato 15 dicembre". "Ho diritto di vivere, anzi lo pretendo", la scritta incollata da una mamma sul passeggino del figlioletto. Da quel serpentone festoso sono risuonati fortissimi i cori da stadio contro il ministro dell' Ambiente Corrado Clini, bollato come nemico pubblico numero uno. "Caso Clinico" e "Noi siamo inClini a morire", le scritte dedicate al contestatissimo ministro. Per non parlare di un sintomatico "Ma quale profezia Maya, a noi ci ammazza l' Aia", intesa come l' autorizzazione integrata ambientale firmata proprio dal ministro Clini. Nel mirino anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, per la firma sul decreto. "Hai firmato la nostra condanna, grazie presidente dai nostri figli" il cartello mostrato da un manifestante vestito da Babbo Natale. Urla anche contro Emilio Riva, il proprietario di Ilva da luglio ai domiciliari. E all' ira della piazza non sono sfuggiti i politici locali, come il sindaco Ippazio Stefàno, ritenuto troppo morbido con la grande industria. Sugli striscioni, invece, gli eroi sono i giudici, in particolare il gip Patrizia Todisco per la raffica di sequestri sugli impianti inquinanti. "Grazie zia Patrizia, continua a difenderci", l' eloquente scritta esibita da una ragazzina. Così quando il corteo ha lambito palazzo di giustizia sono piovuti applausi scroscianti. Il dramma di Taranto, poi, è risuonato in alcuni striscioni amari e ironici allo stesso tempo. Un manifestante

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vestito da pastore, con la bandiera palestinese addosso, ha mostrato il cartello "Caro Gesù quest' anno i pastori verranno da te senza pecore", con riferimento al recente abbattimento di altri animali contaminati dalla diossina. Nel corteo anche il presidente dei Verdi Angelo Bonelli che ha elogiato la risposta di Taranto "all' arroganza del Governo". Unici nei di giornata un petardo e un fumogeno lanciati dalla pancia del serpentone nel cortile della Caserma Doria, sede del reparto Mobile della Polizia. L' episodio non ha rovinato l' atmosfera serena creata dagli organizzatori. Tanto tranquilla da far ritenere quasi superfluo l' imponente spiegamento di forze dell' ordine. E proprio il clima di tranquillità, associato alla fermezza della contestazione hanno garantito il successo. Quando in serata il corteo è sbarcato nella centralissima Piazza della Vittoria i partecipanti erano più di diecimila. Sul palco ancora la canzone "Taranto Libera" e un concerto. Ma il decreto non si fermerà. E infatti la preoccupazione dei manifestanti e di tutti i cittadini di Taranto riguarda proprio ciò che accadrà nei prossimi giorni. Che non saranno facili per nessuno.

La Repubblica – 16 dicembre 2012

Taranto, Arpa: "Pm10 a livelli impressionanti ma da agosto la situazione è migliorata"Nicastro sul decreto Salva-Ilva: oggi è un giorno triste. Replica il ministro Clini: "Se la vecchia Aia fosse stata adeguata, non ce ne sarebbe stato bisogno", Nella scuola del Tamburi, gli stati generali dell'Agenzia dell'ambiente

TARANTO - "Oggi a Roma sarà un giorno triste se verrà approvato il decreto legge sull'Ilva". L'Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro, intervenendo agli Stati Generali dell'Arpa Puglia a Taranto non nasconde la sua contrarietà al decreto legge ribattezza Salva-Ilv, oggi alla Camera. "Più che un conflitto di attribuzione tra poteri - ha aggiunto l'assessore - c'è stato uno straripamento, uno tsunami da parte del governo. E' come se la Procura domani adottasse un decreto legge, cosa che non può fare. Restituire all'Ilva i prodotti finiti, che sono frutto di un reato, è come restituire la refurtiva ad un ladro".Una lettura della situzione che non corrisponde a quella del governo. E la risposta del ministro dell'Ambiente Corrado Clini non si fa attendere. "Se l'Aia rilasciata il 4 agosto 2011 con l'assenso della Regione Puglia - ha detto - avesse adottato le prescrizioni ambientali e gli impegni di risanamento per l'Ilva che ho imposto con la nuova Aia il 26 ottobre 2012, non ci sarebbe stato il sequestro degli impianti e non ci sarebbe stato bisogno di un decreto legge".Un botta e risposta a distanza, nel corso dell'appuntamento dell'Arpa Puglia, nell'aula magna della scuola Deledda nel quartiere Tamburi di Taranto, a ridosso dello stabilimento Ilva, dove i corridoi e le aule sono tappezzati di disegni e lavori degli alunni sul problema della difesadell'ambiente. La scuola ospita 1.200 bambini, tutti appartenenti a famiglie del rione più inquinato della città. "Questa scuola è stata travolta dall'emergenza ambientale - ha detto la dirigente del circolo didattico - qui c'è una impresa che pulisce ogni giorno, e ogni mattina gli arredi vengono trovati pieni di polveri", ha ricordato la dirigente scolastica per sottolineare la grave situazione in cui vive la scuola, che è anche sede di monitoraggio continuo da parte dell'Arpa.E proprio dei dati dell'Arpa ha parlato il direttore generale, Giorgio Assennato: "I dati sul Pm10 (polveri sottili, ndr) nel 2012 al quartiere Tamburi sono impressionanti. Da gennaio a luglio - ha aggiunto - la centralina della sola via Machiavelli, nel quartiere, ha rilevato 36 sforamenti. Da agosto ad oggi invece non c'è stato neppure uno sforamento. Sapete perchè? Perchè all'Ilva sono arrivati i custodi giudiziari, che hanno fatto tra l'altro abbassare i cumuli di minerali in stabilimento".

La Repubblica – 18 dicembre 2012

La Camera approva il salva-Ilva. Ilva rinuncia al ricorso sui prodottiCon 420 sì, 21 no e 49 astenuti passa il provvedimento che fa ripartire la produzione dell'acciaieria e restituisce ai Riva l'acciaio finito. Sì del Pdl, Lega astenuta, contrari i radicali. Ora il testo passa al'esame del Senato. Bonelli: "Sfiduciata la Costituzione"

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Il governo, dopo aver incassato la fiducia, sul decreto salva-Ilva ottiene il via libera dalla Camera. All'azienda come stabilito, oltre all’area a caldo, verrà restituito anche l’acciaio finito sotto chiave perché prodotto dopo il blocco degli impianti. Superate dunque le disposizioni dell'autorità giudiziaria, che ora - come ha ripetuto più volte il ministro dell'Ambiente Corrado Clini - dovrà "tenere conto di questa legge". Il testo passarà all'esame del Senato per l'approvazione in seconda seduta. Mentre a Taranto, nelle stesse ore, il presidente di Ilva Bruno Ferrante - forze dell'intervento del governo - ha depositato presso la cancelleria del tribunale del Riesame di Taranto la rinuncia al ricorso presentato nei giorni scorsi con cui si chiedeva la revoca del sequestro del prodotto finito e semi-lavorato posto sotto sigilli lo scorso 26 novembre. Revoca che aveva già incassato il no del gip Patrizia Todisco.Approvato dunque il decreto legge recante "Disposizioni urgenti a tutela della salute, dell'ambiente e dei livelli di occupazione, in caso di crisi di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale (dl Ilva)", con 420 sì, 21 no e 49 astenuti. La Lega si è astenuta, mentre i radicali hanno votato contro. L'Aula ieri aveva confermato la fiducia al governo con 421 sì, 71 no e 24 astenuti sul testoscaturito dal rinvio in commissione per introdurre le modifiche chieste dalla commissione Bilancio per ovviare a problemi di copertura. Aveva votato a favore il Pdl che nella ultima fiducia si era astenuto.Duro il giudizio degli ambientalisti, come lo era stato quello espresso ieri dall'assessore all'Ambiente della Regione Puglia, Lorenzo Nicastro: "Torniamo all’era borbonica - aveva commentato - in cui si decide per legge la vita del Paese. Quanto poi all’idea di un emendamento che permetta la commercializzazione del prodotto finito prima dell’entrata in vigore del decreto ribadisco che trattandosi di prodotto di reato potrebbe essere soggetto a confisca in caso di condanna degli imputati. Tecnicamente è come se si restituisse la refurtiva a un ladro in attesa di giudizio".Oggi il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, rincara la dose: "Con il voto sul decreto salva Ilva il Parlamento ha sfiduciato la Costituzione. Non solo è un provvedimento incostituzionale sotto più profili (viola gli articoli 3-9-32-112 della Costituzione), cosa che emergerà con assoluta chiarezza quando se ne occuperà la Corte Costituzionale, ma è uno schiaffo senza precedenti alla magistratura che viene commissariata e umiliata.

La Repubblica - 19 dicembre 2012

Ilva, dal Senato via libera alla legge a gennaio ricorso contro il sequestro

ROMA - Nel giorno in cui il Senato converte in legge il decreto a tutela della salute, dell' ambiente e dei livelli di occupazione in caso di crisi di stabilimenti industriali strategici (un provvedimento messo a punto dopo il caso Ilva), il tribunale di Taranto fissa la discussione del ricorso contro la decisione del gip di lasciare sotto sequestro i prodotti finiti e semilavorati. Una questione che i giudici dovranno affrontare l' 8 gennaio. Nel ricorso i legali dell' Ilva hanno fatto presente che con quei provvedimenti «non si vuole solamente la chiusura definitiva», ma «si vuole altresì che ciò sia fatto per iniziativa di Ilva stessa».

La Repubblica - 21 dicembre 2012

Ilva, le donne di Taranto "Il regalo è non ammalarci più". Un nota delle componenti del Comitato che in occasione delle feste lanciano un particolare appello

"Noi non vogliamo avere più dottori e strutture di eccellenza dove curarci, noi vogliamo semplicemente non ammalarci più". Lo sostengono in una nota i componenti del Comitato Donne per Taranto che, in occasione del Natale, vogliono "ringraziare i politici locali che tanto si sono spesi per farci capire quanto bravi siano stati ad introdurre nel decreto legge n. 207/2012 le assunzioni nelle Asl e la valutazione del danno sanitario"."Vogliamo dire ai nostri amministratori e ai nostri politici - prosegue la nota - che facciamo volentieri a meno di queste modifiche e di questi 'contentini'". "Quest'anno i tarantini - si sottolinea - hanno dovuto scartare il loro regalo di Natale, ben confezionato da chi ha il dovere di difendere la salute dei cittadini, in anticipo nonostante più di 4000 cittadini abbiamo firmato una

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petizione indirizzata al Presidente Napolitano e ai Ministri Clini e Balduzzi con la quale richiedevano di inserire nell'Autorizzazione Integrata Ambientale i dati aggiornati dello studio Sentieri"."Nonostante la stessa Aia - si legge ancora - sia stata rilasciata in assenza di un Piano di Emergenza Esterno; nonostante 6000 persone abbiano sfilato in una fiaccolata per sostenere il lavoro della magistratura; nonostante il 15 dicembre 2012 in più di 20mila abbiamo gridato 'No' al decreto Salva Ilva e Ammazza Taranto"."A chi ha votato a favore del decreto 'ad Ilvam' - conclude la nota - consigliamo vivamente di non decidere di candidarsi a Taranto perchéda noi non riceverà alcun voto. A chi invece ha deciso di votare a favore di questi candidati chiediamo di riflettere sulla propria scelta perchè non si può più essere complici di chi ha deciso di sacrificare la vita di una intera città in nome del profitto di un singolo e delle banche".

La Repubblica - 24 dicembre 2012

"Il decreto un vulnus per la democrazia" così la Procura impugna il Salva IlvaPubblici i primi stralci del ricorso presentato dalla Procura di Taranto alla Consulta. "La vicenda Ilva, al di là degli aspetti processuali e penali, è di enorme importanza da un punto di vista

Il decreto legge 207 sull'Ilva ha operato un "grave 'vulnus' ai principi di obbligatorietà dell'azione e di indipendenza del pm" (articoli 112 e 107 della Costituzione) e questo "non appare tollerabile". Così scrive la Procura della Repubblica di Taranto nel ricorso inviato alla Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sul decreto legge Salva-Ilva, convertito in legge il 20 dicembre scorso. Per i pubblici ministeri, il decreto ha fatto di peggio, ha cioè "legittimato la sicura commissione di ulteriori fatti integranti i medesimi reati" contestati, a partire ovviamente da quello di disastro ambientale. Per questi motivi la Procura chiede alla Consulta di dichiarare che "non spetta, nel caso di specie, al Governo della Repubblica autorizzare la prosecuzione dell'attività produttivaper periodo di tempo predeterminato", e che questa autorizzazione non può scavalcare gli eventuali provvedimenti di sequestro di beni dell'impresa adottati dalla magistratura.La vicenda Ilva, al di là degli aspetti processuali e penali, è di "enorme importanza da un punto di vista sociale ed etico" ha voluto chiarire il procuratore, Franco Sebastio, e per questo motivo è stato chiesto alla Corte costituzionale "un contributo di chiarezza", ma "non c'è nessuno scontro". Le parole del capo della procura ionica arrivano all'indomani dell'ufficializzazione del ricorso e sono quasi un'anomalia rispetto al silenzio che la procura si è imposta da quando la vicenda Ilva ha avuto clamorosi sviluppi giudiziari. Nel sottolineare che questo tipo di problematica "è emersa a Taranto per la vicenda Ilva, ma potrebbe sorgere in futuro anche in altre sedi", il procuratore fa presente che quel "contributo di chiarezza" a cui faceva riferimento "potrà essere ulteriormente richiesto in seguito". Il pensiero va subito agli eventuali dubbi di costituzionalità di alcune norme 'salva-Ilva' che potrebbero essere sollevati dalla Procura dinanzi ad un giudice, e da quest'ultimo girati alla Consulta, dopo che la legge sarà stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale (entrerà in vigore il giorno successivo).Una occasione potrebbe essere l'8 gennaio quando il Tribunale dell'appello dovrebbe esaminare il ricorso dell'Ilva contro il 'no' del gip Todisco al dissequestro dei prodotti finiti e semilavorati realizzati fino al 3 dicembre scorso. L'azienda potrebbe anche rinunciare al ricorso, ma sempre che la legge approvata il 20 dicembre sia già in vigore.Dubbi di costituzionalità della legge vengono affacciati anche dal presidente dell'Ordine degli avvocati di Taranto, Angelo Esposito, che parla di "problema serio di sospensione dei provvedimenti giudiziari". Per Esposito, se il provvedimento "fosse stato intrapreso da un governo di qualunque matrice politica, sarebbe scoppiata una rivoluzione", ma "è la prima volta che un governo sospende un reato a tempo" e che "assistiamo ad una intromissione così invasiva ed efficace del governo e del legislatore rispetto alla magistratura". Non solo, ma "non è serio dire che chi difende l'operato della magistratura è contro il lavoro", sottolinea Esposito, perchè "se la procura è intervenuta, è perchè aveva il dovere di farlo". Che ci sia o meno scontro istituzionale, sulla legge 'salva-Ilva' si vanno definendo posizioni nette: da una parte magistrati e avvocati,

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dall'altra governo e, ovviamente, azienda. Con questo scenario si va chiudendo un tormentato 2012 per lasciare il posto ad un 2013 che non si preannuncia affatto tranquillo per il colosso siderurgico.

La Repubblica - 28 dicembre 2012

Operaio del siderurgico lievemente ferito in un incidente

ANCORA un incidente sul lavoro all'Ilva. Un operaio ha riportato una microfrattura del gomito causata dal contraccolpo ricevuto a seguito dello sganciamento del convoglio ferroviario da lui stesso condotto nel reparto Mof (Movimento ferroviario), dove il 30 ottobre scorso morì un lavoratore.L'infortunio si è verificato nella notte tra venerdì e sabato. In un tratto in discesa, mentre il convoglio si separava dal locomotore, la motrice si è assestata mentre, per inerzia, i vagoni hanno continuato a muoversi scontrandosi con il mezzo manovrato dall'operaio.Quest'ultimo, comunque, non ha riportato gravi conseguenze.L'incidente ripropone il problema della sicurezza del lavoro nello stabilimento siderurgico. Il 30 ottobre nello stesso reparto perse la vita Claudio Marsella, un operaio di 29 anni di Oria. Il giovane cadde dalla piattaforma di un locomotore, per un malore o un improvviso sobbalzo. L'inchiesta per la morte di Marsella conta tre indagati.

La Repubblica - 30 dicembre 2012