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l’umano errare di... rancesco Petrarca è ritenuto uno dei pa- dri della lingua italiana. Il primo a sviluppa- re, ad analizzare e a dare regole alla poesia espressa in volgare. Al suo stile si rifaranno poeti come Leo- pardi, Saba, Montale e persino qualche cantautore dei nostri giorni. Umanista, profondo studioso del mondo classico, greco e romano, fu con Dante e Giotto uno dei fau- tori del Rinascimento italiano. Questa è la breve e doverosa premessa per introdurre un personaggio tanto illustre. Chi vuole approfondire vita e opere del Petrarca troverà smisurato materiale nelle antolo- Soprannominato dai francesi il “Gigante della Provenza”, il Monte Ventoso raggiunge i 1.912 metri s.l.m; l’immagine mostra la spianata nei pressi della cima. Quella del Petrarca fu la prima ascensione a questo massiccio della quale si ha traccia (CC-BY-SA-3.0, via Wikimedia Commons). Sotto, la cartina illustra il percorso effettuato dal poeta in compagnia del fratello (adattatamento da un lavoro di Sémhur / Wikimedia Commons / CC-BY-SA-3.0) Viaggiatore instancabile e irrequieto, di percorsi immaginati e realmente compiuti, Francesco Petrarca può essere considerato il precursore della letteratura di viaggio A lato, la statua di Francesco Petrarca, realizzata da Andrea Leoni (1781-1854) e ubicata a Firenze nel Loggiato degli Uffizi (foto di Frieda CC-BY- SA-3.0 via Wikimedia Commons) 23 Aprile 1336 Ascesa del Petrarca al Mont Ventaux Probabile percorso

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rancesco Petrarca è ritenuto uno dei pa-dri della lingua italiana. Il primo a sviluppa-

re, ad analizzare e a dare regole alla poesia espressa in volgare. Al suo stile si rifaranno poeti come Leo-pardi, Saba, Montale e persino qualche cantautore dei

nostri giorni. Umanista, profondo studioso del mondo classico, greco e romano, fu con Dante e Giotto uno dei fau-tori del Rinascimento italiano.Questa è la breve e doverosa premessa per introdurre un personaggio tanto illustre. Chi vuole approfondire vita e opere del Petrarca troverà smisurato materiale nelle antolo-

Soprannominato dai francesi il “Gigante della Provenza”, il Monte Ventoso raggiunge i 1.912 metri s.l.m; l’immagine mostra la spianata nei pressi della cima. Quella del Petrarca fu la prima ascensione a questo massiccio della quale si ha traccia (CC-BY-SA-3.0, via Wikimedia Commons). Sotto, la cartina illustra il percorso effettuato dal poeta in compagnia del fratello (adattatamento da un lavoro di Sémhur / Wikimedia Commons / CC-BY-SA-3.0)

Viaggiatore instancabile e irrequieto, di percorsi immaginati e realmente compiuti, Francesco Petrarca può essere consideratoil precursore della letteratura di viaggio

A lato, la statua di Francesco Petrarca,

realizzata da Andrea Leoni (1781-1854) e

ubicata a Firenze nel Loggiato degli Uffizi

(foto di Frieda CC-BY-SA-3.0 via Wikimedia

Commons)

23 Aprile 1336Ascesa del Petrarca

al Mont VentauxProbabile percorso

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gie scolastiche, nelle enciclopedie e in wikipedia. Per i nostri fini vorremmo solo sottolineare l’aspetto poco raccontato di un instancabile poeta errante. In giovinezza Petrarca amava viaggiare e non solo per affari o per pellegrinaggi religiosi. Nel viaggio cercava la conoscenza e le ragioni della sua continua inquietudine. Con la maturità, iniziò anche a viaggiare sui libri

La casa natale del Petrarca ad Arezzo. Cortesia www.fotogirando.it

e con la fantasia, scrivendo di viaggi immaginari percorsi sulle carte geografiche, rielaborando le testimonianze di viaggiato-ri contemporanei e del passato. Per queste sue opere, forse le meno conosciute, può essere considerato un precursore della letteratura del viaggio.Uno dei primi esempi di reportage sul tema è la lettera del 1336,

Ho un animo errabondo e un occhio mai sazio di vedere cose nuove

Nella lettera all’amico milanese Giovanni di Giudo Mandelli, comandante militare alla Corte dei Viscon-ti, Petrarca delinea, come farebbe una moderna

guida turistica (“a destra puoi vedere…”, qui fermati ad ammirare…”, “…è un paese pericoloso e da evitare”), il percorso via mare da Genova alla Terra Santa.Descrive con cura i luoghi che conosce: i panorami della riviera ligure, “bellissime valli, fiumicelli che scorrono, colli piacevolmente selvaggi e da ammirare per la sorprenden-te fertilità, villaggi arroccati sulle rocce, paesi assai vasti; vedrai sparse sulla costa, ovunque ti volgerai, case adorne di marmi e di ori, e ti stupirai di come una città possa ce-dere in splendore e piacevolezza ai suoi dintorni” e quelli delle coste toscane, dove “mentre le alture iniziano a de-clinare, la costa si fa più piatta e priva di scogli, gli approdi sono poco frequenti, le città fortificate sono lontane sulle colline, il mare è inospitale”. Dopo le rovine di Luni, para-gonate a quelle di Troia, descrive Pisa (“città antichissima ma di aspetto gradevole e moderno”), Livorno e Piombino. Cita l’isola d’Elba, la Corsica (“incolta e ricca di branchi di animali selvatici”) e l’isola del Giglio (“insigne per il vino e i marmi”).Costeggia tutta la penisola raccontando di Ostia, Gaeta, Formia (“nobilitata dal vergognoso assassinio di Cicerone”) e Literno, dove “fu ingiustamente esiliato Scipione”. E anco-ra Procida e Cuma (“patria della Sibilla, dove morì esule Tar-quinio il Superbo”), Capri (“circondata da irte scogliere”) e Sorrento (“ricca di un soave palmeto”). Supera lo stretto di Messina e segue a est la costa ionica fino a Otranto. Da qui si stacca dall’Italia e giunge a Corfù, verso luoghi a lui ignoti. Doppia il capo di Malea, si dirige verso le Cicladi e Rodi, “di là a sinistra si stende l’Asia minore, un tempo provincia del tutto pacifica, popolata di coloni greci dopo la caduta di Troia, ora invece regione avversa, in mano ai Turchi, nemici

della fede”.Costeggia la Licia, la Cilicia, Cipro (“terra nota solo per l’ozio e le mollezze dei suoi abitanti”) e l’Isauria. Avvi-sta Tortosa, Tripoli, Beirut, Giaffa, Ascalona e san Giovanni d’ Acri (l’attuale Akko, in Israele), “che un tempo fu nobile, ed ora è rasa al suolo e bruciata”. Arri-va a Gerusalemme (allora sotto la dominazione islami-ca), principale destinazione del viaggio. Tappa dell’anima, perché descrive i luoghi utilizzando come tracce episodi del Vangelo.Ma il viaggio non finisce qui. La sua fantasia e curiosità lo spingono anche in Egitto (sulle tracce di Mosè e della fuga della Sacra famiglia da Erode), attraversando il deserto del Neghev e il Sinai fino al Mar Rosso, “che prende il nome non dalle acque ma da colore delle spiagge”. E, superato il Tanai (il Don), il confine che divide l’Asia dall’Africa e il Nilo termina il viaggio nella città di Alessandria per visitare le tombe di Alessandro e di Pompeo “il primo detto Magno dagli scrittori greci, il secondo da quelli latini” e quest’ul-timo – ricorda l’autore all’amico milanese – dovresti co-noscere meglio, perché fondatore di una città a te vicina (Lodi).Petrarca chiude l’Itinerarium paragonando l’andare per ter-ra e per mare dell’amico, con il suo solcare i fogli su onde d’inchiostro: due viaggi di diversa lunghezza, tre mesi per andare in Terra Santa, tre giorni per scrivere l’Itinerarium, ma ugualmente faticosi e certamente appassionanti.

L’Itinerarium SyriacumAntica mappa di

Gerusalemme conservata presso il Museo Ebraico

di Bologna

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A sinistra, paesaggio di Valchiusa disegnato da Francesco Petrarca nel 1351. Il disegno è conservato a Parigi presso la Bibliothèque nationale, ms. lat. 6802. Qui a lato, la lettera a Dionigi nella quale Petrarca descrive la scalata al Monte Ventoso. All’indirizzo: https://vaticanoterzo.com/2013/04/08/ascesa-del-corpo-e-ascesi-dello-spirito/ la traduzione integrale. Qui sotto, la casa abitata dal Petrarca in via Lanzone, nei pressi della basilica di Sant’Ambrogio, che oggi ospita le scuole delle Orsoline di San Carlo. La targa, posta a lato della chiesa di San Michele, ricorda il soggiorno milanese del poeta dal 1353 al 1358. In basso a sinistra, Petrarca riceve la corona poetica da Orso dell’Anguillara. Cerimonia svolta in Campidoglio a Roma l’8 aprile 1341.

in cui racconta all’amico Francesco Dionigi della sua scalata del Monte Ventoso (Mont Ventoux, in Provenza), intrapresa per cu-riosità, per ammirare il panorama dalla sua cima. Oltre alla Pro-venza, il fiume Sorga, il Monte Ventoso e la Valchiusa (Fontaine de Vaucluse) ha visitato e descritto moltissimi luoghi: dai monti Euganei alla campagna romana; dalla spiaggia di Gaeta al golfo di La Spezia, a città come Milano e Napoli. Nei suoi racconti di viaggio Petrarca coglieva il profilo del paesaggio e ne gustava il fascino, analizzava la natura nei suoi molteplici aspetti, acque, rocce, piante, sentieri, vallate e li trasformava in allegorie, fino a confondere il mondo esteriore con quello interiore. Viaggiatore in senso proprio e in senso metaforico, amava viaggiare anche dentro i testi antichi, a volte manoscritti dimenticati e ritrovati nelle biblioteche d’Europa.Tra i viaggi immaginati il più noto è quello del 1358 in Terra Santa, dove era stato invitato dall’amico milanese Giovanni Mandelli. L’invito al pellegrinaggio fu declinato per paura della navigazione e del mal di mare (da piccolo aveva vissuto l’espe-rienza di un naufragio nelle acque vicine a Marsiglia ed era sta-to fortemente impressionato da una spaventosa tempesta vista a Napoli nel 1343). “Lascio l’aria agli uccelli, il mare ai pesci; ani-male terrestre, scelgo di viaggiare per terra”, scriveva all’amico. E, per farsi perdonare, gli inviò una lettera in latino dal titolo

“Itinerario in Terra Santa”, (Itinerarium Syriacum), una sorta di guida costruita mettendo insieme le diverse notizie di carattere geografico, storico e archeologico, trovate con una approfondita ricerca bibliografica. Ma non è un “copia e incolla”: confronta le varie informazioni per verificarne l’autenticità. In pratica quello che facciamo (o dovremmo fare) noi oggi leggendo guide, con-sigli e recensioni su internet.Petrarca è considerato anche il primo intellettuale europeo, sia perché la sua fama e i suoi scritti erano conosciuti in tutto il continente, sia perché lui stesso visitò molti paesi e città dell’Eu-

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Nel 1300 la scelta dei mezzi di trasporto aveva poche alternative. Si viaggiava a piedi, a caval-lo, su muli o su scomodi carri (le prime carrozze

dotate di sospensioni arriveranno verso la metà del 1400 e saranno prodotte a Kocsi in Ungheria. Dal nome della città ha origine il termine inglese coach e i nostri cocchio e cocchiere). Anche le navi e i battelli, seppur dotati da qualche decennio di bussole, timone e portolani (le pri-me carte delle coste e delle rotte nautiche) erano rischio-si e poco confortevoli. In condizioni di vento favorevoli ci volevano 18 giorni da Venezia a Creta e più di un mese da Genova ad Acri (l’itinerario verso la Terra Santa de-scritto dal Petrarca).Viaggiare era faticoso e non è un caso che il verbo in-glese to travel (viaggiare) richiami il francese travailler (lavorare, affaticarsi).Gli spostamenti erano lenti e soggetti alla variabilità delle condizioni metereologiche, a pericolosi incontri e al pagamento di pedaggi per attraversare un ponte, una valle o una chiusa.La rete stradale era quella dei tempi dei romani (peg-giorata per mancanza di manutenzione dopo la caduta dell’impero), anche se dal 1200, con la nascita di nuove città e lo sviluppo dei commerci, le vie di comunicazione tra Comuni rurali e Comuni cittadini si ampliarono note-volmente. Le strade, solo a tratti lastricate, erano polve-rose d’estate e fangose d’inverno.L’unità di misura del tempo di un viaggio era la giornata, dall’alba al tramonto perché gli spostamenti notturni non erano consigliati. In una giornata si potevano percor-rere a piedi mediamente 25 km, a cavallo da 60 a 80 km, anche se spesso le distanze si percorrevano in gruppo, pedoni e cavalieri costretti ad andare al passo. Ad esem-pio da Firenze occorrevano 5 o 6 giorni per raggiungere Roma, dieci per Napoli. Venti da Genova a Parigi. Se tor-

I viaggi nel Medioevo

“Trionfi” del Petrarca è un poemetto allegorico in terzine ispirato a sei visioni notturne del poeta: Amore, Pudicizia, Morte, Fama, Tempo ed Eternità. Molti artisti del periodo si ispirarono a quest’opera per realizzare dipinti e illustrazioni che qui ci interessano perché offrono un’idea dei mezzi di trasporto nel Medioevo. Sopra, “Trionfo della morte” e “Trionfo del tempo”, attribuiti ad Apollonio di Giovanni. Sotto due dipinti ad olio realizzati da Francesco di Stefano, detto il Pesellino: qui sotto, la Fama il Tempo e l’Eternità, in basso, Amore Castità e morte

nate all’elenco delle località visitate dal Petrarca potrete farvi un idea di quanta parte della sua vita abbia trascorso in viaggio.Il percorso era poi rallentato dal-le salite, dalle soste per il neces-sario riposo e per gli approvvigionamenti (per uomini e animali), per il cambio dei cavalli o per rattoppare scarpe e vestiti. E a proposito di abbigliamento, è curioso legge-re nei documenti dell’epoca la descrizione di quelli uti-lizzati per i pellegrinaggi: un mantello di tessuto grezzo, solitamente marrone, da utilizzare anche come coperta per i pernottamenti, un cappello a tese larghe rialzato sul davanti e fissato con un nodo sotto il mento che ripa-rava dal sole o dalla pioggia; un bastone di legno, alto, con un manico ricurvo o una punta chiodata, una bisac-cia in pelle di animale e una pergamena che riportava gli itinerari, i centri abitati da attraversare, gli imbarchi e le locande in cui sostare.

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ropa occidentale, da Parigi a Praga, dal Belgio alla Germania. “Ho un animo errabondo e un occhio mai sazio di vedere cose nuove”, scriveva e si autodefiniva “nato in esilio” e “ovunque straniero”. Questo lo spinse per tutta la vita a muoversi senza ri-uscire a mettere radici in nessun luogo. La raccolta delle lettere Familiari si apre con un paragone tra la sua inquietudine e quel-la di Ulisse: “Ma il mio destino è stato ben diverso, avendo sino a oggi trascorso quasi tutta la mia vita in continui viaggi. Si può paragonare l’errare di Ulisse al mio errare; e senza dubbio, se la gloria del nome e delle imprese fosse la stessa, egli non vagò né più a lungo né più largamente di me. Egli lasciò la patria già vecchio … io, generato nell’esilio, nell’esilio nacqui”.La sua biografia è quella di un viaggiatore instancabile e irrequieto, in tempi in cui viaggiare non era facile. Spostarsi era faticoso e richiedeva molto tempo (ad esempio, raccon-ta il Petrarca che nel dicembre del 1354, invitato a Mantova dall’imperatore Carlo IV di Boemia, impiegherà quattro giorni per raggiungerla da Milano, dove allora viveva, a causa delle condizioni proibitive delle strade ghiacciate).

Petrarca nasce ad Arezzo (dove il padre Pietro di Parenzo, detto il Petracco, era in esilio da Firenze perché guelfo bianco) il 20 luglio del 1304. Segue la famiglia che si trasferisce a Incisa e a Pisa. A sette anni accompagna il padre (che lavorava come notaio alla corte papale) ad Avignone. Abita a Carpentras e per completare gli studi di diritto civile frequenta l’università, prima (1317) a Monpellier, poi a Bologna (soggiornando per qualche mese a Imola). Nel 1326, per la morte del padre, ritorna ad Avignone, dove incontrerà la tanto amata e cantata Laura. Nell’estate del 1330 soggiorna a Lombez, ai piedi dei Pirenei. Tre anni dopo, in un lungo viaggio nell’Europa del Nord tocca Parigi, Gand, Liegi, Aquisgrana, Colonia e (attraversando da solo a cavallo la selva delle Ardenne) Lione. Nel 1335 è a Roma (viaggio in mare dalla Provenza, con sbarco a Civitavecchia) e nel 1337, dopo un soggiorno a Capranica (60 km a Nord di Roma), di nuovo in Provenza, a Valchiusa. Soggiorna a Napoli nel 1341 (dopo un viaggio con tappe a Marsiglia, Lerici e Todi) e viene invitato a Roma per ricevere una laurea. Nello stesso anno si sposta a Pisa, a Parma e a Selvapiana di Canossa. Nel

La Certosa di Garegnano a Milano. Quando ospitò il Petrarca era in piena campagna, oggi è alla fine del trafficato viale Certosa, che dalla chiesa prende il nome

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A sinistra, la casa del Petrarca ad Arqua (Martens, Georg via Wikimedia Commons). A destra, un altro importante lavoro nel quale l’interesse geografico-antropologico e quello storico si fondono nella grandezza poetica è “L’Africa”, un’opera incompiuta che impegnò il Petrarca in fasi alterne e tormentate. Poema epico in esametri latini, composto da nove libri, nel progetto iniziale pare dovesse comprenderne molti di più. La Seconda Guerra Punica è il teatro storico di sfondo, ma l’attenzione del poeta si concentra sulla figura di Scipione l’Africano che, occupando l’Africa si vendica di Annibale che aveva invaso l’Italia. Petrarca iniziò a scrivere “L’Africa” nel 1338 in Valchiusa, proseguì poi la stesura a Selvapiana e a Parma. Dopo una lunga interruzione, proseguì in Provenza tra il 1351 e il 1353. Poema scritto umanamente errando, “L’Africa” fu pubblicata postuma

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1342 è di nuovo ad Avignone e visita il monastero di Mon-trieux, sulle colline a Nord di Tolone, dove risiedeva il fratello Gherardo. L’anno dopo lo ritroviamo a Napoli (visita Pozzuoli, il Lago Averno e la Grotta della Sibilla cumana), poi si sposta a Parma, Bologna, Carpi, Padova e Verona. Durante il sog-giorno veronese visita Peschiera e il Lago di Garda, spingen-dosi fino a Trento, Merano e al Passo di Resia. Nel 1345 viene ospitato a Ferrara dagli Estensi e a Mantova dai Gon-zaga. Nel 1348 è a Genova e si sposta a Verona. Nel 1349 visita Venezia, poi è di nuovo a Padova e nel 1350 si reca a Roma per il Giubileo. Nel 1351 torna a Valchiusa e l’anno dopo,

Novembre 2003. Per il settecente-simo anniversario della nascita del Petrarca si decide di riaprire

solennemente l’arca che conserva le spoglie del poeta. Lo scopo è quello di ricostruirne il volto ricorrendo alle moderne tecniche computerizzate e ottenere un ritratto realistico per una rappresentazione scultorea da inau-

gurare durante le celebrazioni. L’operazione viene affidata

a un gruppo di studiosi

dell’università di Padova, presieduta dal professor Vito Terribile Wiel Marin. Aperta la tomba di marmo rosa, gli studiosi si trovano un’inaspettata sorpresa. Il resto dello scheletro era in buone condizioni (e verrà in seguito ri-conosciuto come autentico per alcune costole fratturate da un calcio di caval-lo ricevuto al costato, episodio men-zionato dal Petrarca stesso in una sua lettera), ma la testa era polverizzata in mille frammenti. Alcuni di questi fram-menti vengono inviati all’Università di Tucson in Arizona per la datazione al radiocarbonio e dall’esame risulta che il frammento del cranio era appartenu-to a una donna vissuta circa un secolo prima della nascita di Petrarca. A chi sia appartenuto e perché si trovasse nella tomba del Petrarca è ancora un miste-ro, come un mistero è dove sia finito il vero cranio del poeta.In passato la tomba era stata aperta e profanata più volte. Nel 1630 da un frate dominicano, forse perché ubriaco o forse per riportare a Firenze alcune

reliquie. Nel 1843, in occasione del restauro della tomba e per do-nare al Comune di Padova una costola dello scheletro, che nel 1855 per ordine del governo austriaco venne rimessa nella tomba. Nel 1873, da parte di alcuni studiosi guidati dal pro-fessor Giovanni Canestrini che

Qui sopra, particolare della tomba di Petrarca ad Arquà (foto di Ricci Speziari CC BY-SA 3.0 attraverso Wikimedia Commons). A sinistra, l’arca in marmo che racchiude i resti del poeta (foto di Kevin1971 (CC BY-SA 3.0], attraverso Wikimedia Commons)

Quando Petrarca perse la testa

volevano riprodurre un calco in gesso del cranio. All’apertura della bara il cranio si presentava integro ma al contatto dell’atmosfera si disintegra in molti frammenti e la tomba fu subito richiusa. Improbabile quindi che la sostituzione della testa sia av-venuta in quella occasione. L’ultimo spostamento delle spoglie del Petrar-ca risale al 1943, durante la seconda guerra mondiale quando le ossa del poeta furono nascoste nei sotterranei di Palazzo Ducale a Venezia sotto gros-se lastre di marmo per proteggerle dai bombardamenti. A guerra conclusa furono riportate ad Arquà.

attraversando il passo del Monginevro, arriva a Milano dove vivrà per dodici anni, abitando prima in case vicine

alla basilica di Sant’Ambrogio e a quella di San Simpliciano, poi alla Certosa di Garegnano e

a Cascina Linterno. Durante il soggiorno milanese visita Bergamo e il castello di

Pagazzano, spostandosi (a seguito o su mandato dei Visconti) a Parigi,

Genova, Venezia, Novara, Manto-va, Basilea e nel 1355 a Praga. Nel 1361, in fuga dalla peste è a Pa-dova, l’anno dopo a Venezia e nel 1369, dopo un soggiorno a Pavia, torna a Padova e si stabilisce ad Arquà, nei colli Euganei, dove trova un paesaggio simile a quello

in cui era nato. Qui sceglie di finire i suoi giorni, nella notte tra il 18 e il

19 luglio del 1374. ■

l’umano errare di...

... e nessuna terra ormai

e nessun’aria mi rimanecome son abitante in nessun luogo’ cosi son straniero ovunque