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1 L’ACCORDO DI RAMBOUILLET(1999): DIKTAT AL GOVERNO SERBO O TENTATIVO DI SALVARE LA PACE IN KOSMET 1 L'accordo di Rambouillet è il nome di un accordo di pace proposto tra la Repubblica federale di Jugoslavia e una delegazione che rappresenta l'etnia albanese della popolazione del Kosovo. È stato redatto dal Trattato del Nord Atlantico (Nato) e prende il nome da Chateau Rambouillet (Francia), dove è stato inizialmente proposto. L'importanza dell'accordo sta nel fatto che la Jugoslavia ha rifiutato di accettare l’accordo, che la Nato usato come giustificazione per avviare la guerra del Kosmet. Il rifiuto di Belgrado si è basata sul fatto che l'accordo conteneva disposizioni per l'autonomia del Kosmet. Il lavoro presentato qui è un tentativo di spiegare le negoziazioni tenute a Rambouillet che hanno determinato il futuro della Serbia e del Kosmet ma altrentanto erano la scusa per inizia l’intervento umanitario e cioé i bombardamenti della Serbia. La conferenza di Rambouillet non è stata l'unico tentativo di domare le tendenze nazionaliste balcaniche da parte delle grandi potenze europee, le quali in questo secolo per ben tre volte decisero quali popoli dovevano abitare in quali stati. Il tentativo d'accordo di Rambouillet è stato definito come “tentativo di correggere gli errori fatti in quelle occasioni”. Sono state le potenze europee ad attribuire il Kosmet ai Serbi. Dopo che l'alleanza balcanica formata da Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia si era scrollata di dosso il dominio ottomano nella prima guerra balcanica (1912-1913), la conferenza di pace di Londra (1913) attribuì agli albanesi uno stato proprio per evitare l'allargarsi del conflitto. In quell'occasione le grandi potenze frenarono anche le tendenze espansioniste della Serbia che aveva già occupato il Kosmet e voleva dividersi la neonata Albania con la Grecia. Le ragioni dell'attribuzione del Kosmet alla Serbia furono più pragmatiche che politiche: gli albanesi non sembravano ancora in grado di fondare uno stato nazionale, comprendente cioè tutta la popolazione di etnia albanese, mentre la Serbia era disposta a tutto pur di mantenere il Kosmet. L'ultimo tentativo di costruire una pace “durevole” nei Balcani fu fatto con gli accordi di Dayton il 21 novembre 1995. La questione del Kosmet, pur essendo presente nella 1 L’ufficiale versione serba e jugoslava dal 1945 al 1967 e poi di nuovo dal 1990 è ‘Kosovo&Metohija’, o abbreviato ‘Kosmet’. Il termine ‘Kosovo’ è di derivazione slava, e indica il merlo (kos) mentre il termine‘Metoh’, di origine greca significa “terra appartenente alla Chiesa” e indica la zona occidentale del Kosmet. Nel nostro lavoro useremo il termine ‘Kosmet’.

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L’ACCORDO DI RAMBOUILLET(1999): DIKTAT AL GOVERNO

SERBO O TENTATIVO DI SALVARE LA PACE IN KOSMET1

L'accordo di Rambouillet è il nome di un accordo di pace proposto tra la Repubblica

federale di Jugoslavia e una delegazione che rappresenta l'etnia albanese della

popolazione del Kosovo. È stato redatto dal Trattato del Nord Atlantico (Nato) e prende il

nome da Chateau Rambouillet (Francia), dove è stato inizialmente proposto. L'importanza

dell'accordo sta nel fatto che la Jugoslavia ha rifiutato di accettare l’accordo, che la Nato

usato come giustificazione per avviare la guerra del Kosmet. Il rifiuto di Belgrado si è

basata sul fatto che l'accordo conteneva disposizioni per l'autonomia del Kosmet. Il lavoro

presentato qui è un tentativo di spiegare le negoziazioni tenute a Rambouillet che hanno

determinato il futuro della Serbia e del Kosmet ma altrentanto erano la scusa per inizia

l’intervento umanitario e cioé i bombardamenti della Serbia.

La conferenza di Rambouillet non è stata l'unico tentativo di domare le tendenze

nazionaliste balcaniche da parte delle grandi potenze europee, le quali in questo secolo

per ben tre volte decisero quali popoli dovevano abitare in quali stati. Il tentativo

d'accordo di Rambouillet è stato definito come “tentativo di correggere gli errori fatti in

quelle occasioni”. Sono state le potenze europee ad attribuire il Kosmet ai Serbi. Dopo che

l'alleanza balcanica formata da Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia si era scrollata di

dosso il dominio ottomano nella prima guerra balcanica (1912-1913), la conferenza di

pace di Londra (1913) attribuì agli albanesi uno stato proprio per evitare l'allargarsi del

conflitto. In quell'occasione le grandi potenze frenarono anche le tendenze espansioniste

della Serbia che aveva già occupato il Kosmet e voleva dividersi la neonata Albania con la

Grecia. Le ragioni dell'attribuzione del Kosmet alla Serbia furono più pragmatiche che

politiche: gli albanesi non sembravano ancora in grado di fondare uno stato nazionale,

comprendente cioè tutta la popolazione di etnia albanese, mentre la Serbia era disposta a

tutto pur di mantenere il Kosmet.

L'ultimo tentativo di costruire una pace “durevole” nei Balcani fu fatto con gli accordi di

Dayton il 21 novembre 1995. La questione del Kosmet, pur essendo presente nella 1 L’ufficiale versione serba e jugoslava dal 1945 al 1967 e poi di nuovo dal 1990 è ‘Kosovo&Metohija’, o

abbreviato ‘Kosmet’. Il termine ‘Kosovo’ è di derivazione slava, e indica il merlo (kos) mentre il termine‘Metoh’, di origine greca significa “terra appartenente alla Chiesa” e indica la zona occidentale del Kosmet. Nel nostro lavoro useremo il termine ‘Kosmet’.

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scaletta dei lavori di Dayton, fu però subito abbandonata. La Realpolitik vinse l'esigenza di

trovare un assetto geopolitico durevole, il Kosmet venne depennato dall'agenda dei lavori

e venne rimosso anche dalla coscienza politica. È stato affermato che “la Bosnia ed il

Kosovo sono due aspetti della stessa guerra e le trattative di Rambouillet non si sarebbero

rese necessarie senza la fatale eredità di Dayton”.

ALLE RADICI DELL’ACCORDO

L'accordo che si andrà ad analizzare è in realtà l'ultimo di una serie di contatti intercorsi

tra le forze interessate. Si cercherà di tracciare una linea rossa per ripercorrere le tappe

più importanti di tali intese.

Il 17 dicembre 1998 il “Koha Ditore” pubblicò il testo di una proposta elaborata dagli

americani, che il loro ambasciatore in Macedonia, Christopher Hill aveva trasmesso

all’inizio del mese a Rugova e Milošević. La proposta prevedeva “un’autonomia sostanziale”

della provincia, fondata sul principio dei comuni quali “unità di base”, mantenendovi però

almeno in teoria la sovranità serba. L’attuazione dell’accordo sarebbe stata controllata da

osservatori internazionali, affiancati da un ombudsman incaricato di vigilare sui diritti dei

cittadini. La decisione sul definitivo status della provincia sarebbe stata presa in un

secondo momento, dopo tre o cinque anni. Gli albanesi di Rugova chiesero la

promulgazione di un referendum sul futuro istituzionale della provincia ma suggerendo

anche, come tappa intermedia, la costituzione di una repubblica del Kosmet pari a quelle

della Serbia e del Montenegro.

Il Consiglio di Sicurezza ha adottato il 23 settembre la Risoluzione 1199, articolata in

diciassette punti in cui si accusavano le forze di polizia e dell’Armata jugoslava di avere

provocato la catastrofe umanitaria. La risoluzione fu considerata un vero e proprio

spartiacque nell’atteggiamento della comunità internazionale verso la crisi kosovara. Il 24

settembre il Consiglio dell’alleanza atlantica, riunitosi a Villa mora a Portogallo, autorizzò il

proprio comandante supremo Wesley Clark a lanciare il cosiddetto “avviso di attivazione”

(Activation Warning-ACTWARN) che prevedeva un intervento “limitato” in Kosmet. Fu

deciso di seguire la strategia già usata in Bosna&Herzegovina, di puntare, cioè sul

linguaggio della forza, accompagnandolo però con quello della diplomazia per esplorare se

fosse possibile convincere in extremis le parti in lotta ad un accomodamento pacifico.

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Il 2 ottobre il Gruppo di contatto2 ha dato il proprio avallo al Piano Hill, che prevedeva

un’amministrazione provvisoria trilaterale: serba-albanese-internazionale per il Kosmet. L’8

ottobre i leader dell’Uçk, stremati, proclamarono cessate di fuoco e ordinarono la “ritirata

tattica” dei propri uomini nei boschi e sulle montagne, nella speranza di rafforzare con tale

gesto di buona volontà la pressione internazionale su Milošević, favorendo la decisione

della Nato di passare agli attacchi aerei. Lo stesso giorno, nella sala riservata ai Vip

dell’aeroporto di Londra si tenne un incontro fra i ministri degli Esteri di Stati Uniti,

Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia che impresse una decisa svolta alla vicenda

kosovara. Tema della discussione era quello della legittimità di un intervento della Nato nel

Kosmet senza esplicito mandato delle Nazioni Unite. Igor Ivanov, fu chiaro nell’informare i

suoi colleghi che la Russia avrebbe fatto uso del diritto di veto, se l’argomento fosse stato

discusso nel Consiglio di Sicurezza, aggiungendo tuttavia che, se non si fosse seguita tale

procedura, “noi faremo soltanto un grande strepito”, lasciando così intendere che a Mosca,

nella vicenda kosovara, premeva soltanto salvare la faccia.3

Il 12 ottobre fu raggiunto l’accordo Milošević-Holbrook permettendo a Milošević di

dichiarare il giorno stesso in un discorso televisivo ai cittadini che il pericolo di un

intervento militare contro il nostro paese è scongiurato.4 Si tratta di sei richieste formulate

in armonia con la Risoluzione 1199: esigevano la fine dell’offensiva nel Kosmet, il ritiro

delle forze serbe, la libertà d’accesso agli osservatori internazionali e la piena cooperazione

con il Tribunale dell’Aia per i crimini di guerra, il ritorno sicuro per i profughi nelle loro case

e l’inizio delle discussioni per una soluzione negoziata della crisi, secondo il piano Hill. Si

ribadiva la sovranità e l’integrità territoriale della Jugoslavia, si garantivano al Kosmet un

governo e forze di polizia autonomi, e si promettevano entro nove mesi libere elezioni

sotto la supervisione dell’Osce. La provincia di Kosmet sarebbe sorvolata da aerei della

Nato con e senza equipaggio nell’ambito di un’operazione dal nome “Eagle Eye”. Le

trattative con gli albanesi sarebbero state bilaterali senza interventi esterni.

Punto d'inizio per una disamina delle relazioni internazionali tra la Repubblica federale di

Jugoslavia e la Comunità internazionale volta a riportare il conflitto serbo-kosovaro

albanese nei limiti della legalità internazionale può essere considerata la Convenzione

2 Il gruppo di contatto per la ex-Jugoslavia si costituisce nel 1995: ne fanno parte Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Germania ed Italia, questo gruppo si è dato il compito di esplorare ed attivare ogni possibile meccanismo in grado di condurre ad una soluzione diplomatica della conflittualità nell’area. 3 Pirjevec Joze, Le guerre jugoslave, Einaudi, Torino, 2002, p.577. 4 Ivi,p. 578.

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relativa ad una missione di Verifica per la provincia della Repubblica Jugoslavia di Serbia,

Kosovo&Metohija, siglata a Belgrado il 16 ottobre 1998 dall'Osce e dalla Repubblica

federale di Jugoslavia (Rfj) “per contribuire al rispetto e all'applicazione delle risoluzioni

1160 e 1199 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. In tale accordo si stabilisce la

presenza sul territorio di 2000 verificatori disarmati provenienti dai paesi membri dell'Osce

che formeranno la missione di verifica che per la durata di un anno “viaggerà per il Kosovo

per verificare il mantenimento del cessate il fuoco da parte di tutti gli elementi”. L'accordo,

che segue ad un ultimatum Nato, vuole essenzialmente far cessare la repressione degli

albanesi ed indurre Milošević a ritirare le sue truppe dal Kosmet. I punti salienti

dell'accordo consistono essenzialmente nelle seguenti pattuizioni:

- assunzione di responsabilità da parte della Rfj, delle autorità serbe e del Kosmet di

fornire piena cooperazione e supporto alla missione di verifica(art.1, 9);

- assistenza della missione di verifica all'Unhcr, Icrc e alle altre organizzazioni

internazionali nel facilitare il ritorno dei profughi di guerra alle proprie case (art.3, 6);

- e, infine, una sorta di controllo da parte del direttore della missione concernente abusi

perpetuati da parte del personale militare o di polizia(art.3,8).

Il 15 ottobre, nonostante la reazione positiva della comunità internazionale sugli accordi

Milošević-Holbrooke, definito “missile diplomatico”, la Nato approvò il piano d’azione per

gli attacchi aerei contro la Jugoslavia (ACTCORD), posticipandone tuttavia la messa in atto

al 17 ottobre al fine di permettere alla leadership serba di firmare con Javier Solana e

Bronislav Geremek, presidente dell’Osce, gli accordi relativi ai “verificatori e ai voli di

controllo”. Wesley Clark e il generale Klaus Naumann, presidente del comitato militare

della Nato, si recarono a Belgrado il 24 ottobre per ammonire Milošević che l’Alleanza

avrebbe cominciato i raid aerei se il ritiro non fosse avvenuto entro tre giorni. Lo stesso

giorno, il Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 1203 appoggiò per la prima volta in

modo esplicito l’impegno dell’Alleanza atlantica nel Kosmet. A differenza della risoluzione

di settembre che poneva l’accento in modo chiaro che la Frj (Repubblica Federale

Jugoslava) rappresenta la minaccia per la pace e la sicurezza nella regione, la risoluzione

di ottobre apprezzava gli accordi Milošević-Holbrooke e mandava un messaggio-avvertenza

chiaro ai “elementi della comunità kosovaro-albanese”. Parallelamente, però gli americani

non persero di vista gli esponenti dell’Uçk, organizzando con loro fra novembre e dicembre

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ben quattro incontri, non privi di risultati: in cambio della promessa di non estendere il

conflitto alla Macedonia e di non coltivare contatti con integralisti islamici, i guerriglieri

ottennero- a detta dei francesi- armi e addestratori messi a disposizione dai servizi segreti

statunitensi, tedeschi e croati.

Il 2 dicembre, Christopher Hill, presentò una terza versione del suo piano, che, pur

prendendo in considerazione alcune richieste serbe fu respinta tanto da Priština che da

Belgrado. Secondo la nuova versione, Kosmet diventava la terza repubblica nella Rfj che

non deve de iure riconosciuta. In una dichiarazione del Parlamento jugoslavo, pubblicata il

giorno successivo, si contestò aspramente ogni interferenza americana negli affari interni

del paese, con chiaro riferimento alle indiscrezioni apparse in quel periodo sulla stampa,

secondo cui la Cia stava preparando un golpe contro Milošević.

La nuova versione, inoltre, ha rappresentato anche una svolta nei negoziati sullo status del

Kosmet. Sicuramente, il grande ruolo aveva la marginalizzazione di Rugova e del suo team

nei negoziati ma anche la decisione degli Stati Uniti di scegliere l’Uçk come l’alleato.

Nonostante tutto, l’Uçk non ha accettato per il Kosmet lo status di terza repubblica

spiegando che rappresenterebbe “un grande favore al regime serbo” e che non dà la

possibilità di referendum dopo il periodo transitorio. Dopotutto, rimaneva incerto cosa sarà

del futuro dell’Uçk.

LE TRATTATIVE DI RAMBUOILLET

CRONOLOGIA DEGLI AVVENIMENTI (6 FEBBRAIO-23 MARZO 1999)

Quando si parla di “Conferenza di Rambuoillet” ci si riferisce al periodo complessivo 6

febbraio-23 marzo 1999 durante il quale un tentativo, a livello internazionale, di soluzione

delle problematiche relative alla pace ed all’assetto del Kosmet, è di fatto avvenuto

mediante convocazione delle parti da parte del Gruppo di contatto in due momenti

successivi5:

- dal 6 al 23 febbraio 1999 presso il “Castello di Rambouillet”;

- dal 15 marzo presso il “centro Kleber” a Parigi, per una continuazione del tentativo di

composizione pacifica della crisi, tentativo che viene considerato ufficialmente fallito il 23

5 Centro studi per la pace, http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=rambouillet

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marzo, data della risposta, sostanzialmente negativa, del presidente Milošević ai Co-

Chairmen del Rambouillet Meeting.

a.)Febbraio 1999- “La Conferenza di Rambouillet”

-6 febbraio: per iniziativa e su convocazione de Gruppo di contatto inizia nel castello di

Rambouillet la Conferenza di pace sul Kosmet aperta dal presidente francese J.Chirac. La

Conferenza appare subito molto “affollata” in quanto alle parti direttamente interessate,

serbi e albanesi, sono presenti le delegazioni di altri paesi ed organizzazioni internazionali,

tra le quali manca la Nato (oltre all’Onu che, in altre simili occasioni, ha svolto un ruolo

attivo di mediazione).

-14 febbraio: la scadenza in precedenza indicata viene prorogata fino al 20 febbraio in

quanti i progressi sono stati più lenti di quanto sperato.

-18 febbraio: è la data in cui, per la prima volta, serbi e albanesi si trovano di fronte una

bozza dell’Accordo aggiornata e completa di tutti gli allegati, incluse quindi tutte le parti

riguardanti la polizia, le forze militari ed il piano militare di attuazione dell’accordo stesso.

-20 febbraio: la scadenza dell’ultimatum del Gruppo di contatto viene raggiunta senza che

la Conferenza abbia prodotto un risultato definitivo (un Accordo). I colloqui vengono

quindi protratti di altri tre giorni, fino al 23 febbraio, sotto la guida del Segretario di stato

americano Madeleine Albright; ma anche i suoi tentativi non hanno avuto successo.

-23 febbraio: il testo finale del possibile accordo è pronto ma nessuna delle parti

contrapposte è disposta a firmarlo; il documento denominato “Interim Agreement for

Peace and Self-government in Kosovo”, non essendo stato firmato dalle parti, non viene al

momento reso noto. Si tratta comunque del documento fondamentale intorno al quale

ruota l’intera vicenda di Rambouillet. La data del 23 febbraio 1999 fotografa il fallimento

della Conferenza, che peraltro era stata convocata sotto la minaccia d’impiego della forza

militare nei confronti della parte responsabile del fallimento della stessa. Di fronte al

risultato scarso, che contrasta con l‘ampiezza della minaccia, il Gruppo di contatto si

adegua alla situazione ed emette una Dichiarazione finale (Final Statement) di una sola

pagina, riconvocando le parti a Parigi il 15 marzo.

b.) Marzo- continuazione della “Conferenza”

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-15 marzo: la Conferenza di pace per il Kosovo riprende a Parigi, al Centro Kleber, con gli

stessi partecipanti che il 6 febbraio si erano riuniti a Rambouillet, e con la presenza anche

dei rappresentanti militari della Nato. Obiettivo di questo secondo incontro è la firma, da

parte dei serbi che degli albanesi, dell’accordo già presentato nella sua versione integrale

definitiva il 23 febbraio (completo sia della parte politica che di quella militare relativa

all’attuazione dell’accordo stesso). Questa volta delegazione albanese kosovara si dichiara

subito disponibile alla firma del documento senza alcuna modifica, mentre la delegazione

serba presenta una diversa versione dell’accordo rispetto al testo del 23 febbraio. Gli

aspetti salienti della proposta serba sono costituiti da varianti e da omissioni riferite alla

parte politica dell’accordo, mentre tutta la parte militare dell’accordo viene completamente

stralciata.

-18 marzo: La Delegazione albanese firma l’”Interim Agreement”, mentre la Delegazione

serba si rifiuta e rientra a Belgrado. Un comunicato del gruppo di contatto “affiora”

formalmente i lavori nella speranza che una pausa di riflessione di cinque giorni consenta

un ripensamento da parte di Milošević.

- 19-22 marzo: nei confronti di Milošević si registrano ulteriori timidi tentativi di

convincimento inutili. La Nato si appresta all’esecuzione dell’”Ordine di Attivazione”,

sospeso il 27 ottobre, ma mai annullato, relativo a bombardamenti aerei progressivi sul

territorio jugoslavo.

-23 marzo: il presidente della Federazione jugoslava Slobodan Milošević risponde con una

lettera ai co-presidenti del Rambuoillet Meeting, confermando il rifiuto a firmare un

accordo che considera “imposto” e non frutto di un negoziato tra le parti.

-24 marzo: scaduto senza successo l’ultimo “ultimatum” posto ai serbi per la firma di un

accordo con gli albanesi, la Nato inizia i bombardamenti aerei sugli obiettivi già selezionati,

ubicati in territorio jugoslavo.

PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA DI RAMBOUILLET

Risulta utile considerare “chi” ha partecipato all’incontro, ed a che titolo, anche perché

trattandosi di un “negoziato” internazionale del massimo livello è indispensabile chiarire

subito chi erano i “negoziatori” delle due parti contrapposte, chi svolgeva il ruolo di

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“mediatore-conciliatore” chi presiedeva all’organizzazione del tutto, e quale ruolo

svolgevano tutti gli altri, comunque convenuti, a pieno titolo nel castello.

Il ministro degli esteri francese Hubert Vedrine (anche nella veste di “padrone di casa”) ed

il ministro degli esteri britannico Robin Cook hanno svolto il ruolo di co-presidenti della

Conferenza.

Era difficile assicurarsi la partecipazione dei serbi che in un primo momento rifiutarono

l’idea di tenere i colloqui all’estero per non dare un implicito riconoscimento alla

dimensione internazionale della crisi, e contestarono la partecipazione dei rappresentanti

dell’Uçk. Alla fine, l’invito-ultimatum fu accettato anche da Belgrado, che decise però

d’inviare a Rambouillet una delegazione del tutto diversa da quella albanese. Mentre

quest’ultima copriva l’intero spettro politico kosovaro, e poteva dunque parlare con la

necessaria autorità, la delegazione serba aveva meno peso decisionale, per l’assenza del

personaggio che contava veramente: Slobodan Milošević. Egli si rifiutò di andare in Francia

per paura di essere raggiunto di un ordine di cattura che il Tribunale dell’Aja aveva già

spiccato segretamente contro di lui. La Albright gli telefonò per chiedergli di dare alla sua

delegazione istruzioni flessibili al fine di scongiurare la possibilità di guerra fra la Nato e la

Serbia. A Rambouillet però, Milošević mandò una delegazione di tredici persone, composta

da politici di secondo rango a cominciare dal vicepresidente del Consiglio di ministri serbo,

Ratko Marković e di quello jugoslavo Nikola Šainović, insieme al presidente della

repubblica di Serbia, Milan Milutinović, rappresentanti dei serbi e montenegrini, dei

albanesi, dei rom, dei turchi, dei gorani, dei musulmani e degli “egiziani”, tutti legati a filo

doppio al partito di Milošević o alla Sinistra jugoslava. Questa coalizione, chiamata anche

“coalizione arcobaleno”, voleva dimostrare la complessità etnica della Provincia e la

preoccupazione del governo di Belgrado di tutelare gli interessi di tutte le etnie che la

popolavano.

Il vero capo della delegazione serba era Nikola Šainović mentre Vladimir Štambuk,

vicepresidente del Parlamento serbo era “l’uomo” di Mira Marković (la potente moglie di

Milošević e la presidente del partito politico Jul). In pratica, gli unici ben “informati” erano

Šainović, Kutlešić, Štambuk e Marković, mentre gli altri, insieme agli esperti, erano

occasionalmente informati sull’andamento dei negoziati. Tanto è che Christopher Hill il 19

febbraio a Belgrado in un colloquio con il ministro degli esteri Jovanović, ha espresso il

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proprio scontento per quanto riguarda il mandato limitato della delegazione serba in

Francia.

La delegazione albanese era composta di sedici persone, tra le quali elementi di spicco

come Ibrahim Rugova (eletto in elezioni informali presidente del Kosmet nel marzo 1998,

capo del partito di maggioranza Ldk) e Hashim Thaçi (ventottenne rappresentante

dell’Uçk) che emergerà alla fine come vero leader della delegazione. Oltre a questi erano

presenti anche Bujar Bukoshi e Xhavit Haliti per la Lega democratica del Kosovo,

l’intellettuale Rexep Qosja, numero uno del Partito democratico unito (Ubd), vicino alla

guerriglia, gli editori dei quotidiani “Koha Ditore” e “Zeri”, Veton Surroi e Blerim Shala. La

nomina di Thaçi a capo negoziatore avvenne al termine di una votazione interna, in cui il

blocco Uçk-Ubd ebbe la meglio sulla Ldk. Il fatto che la guerriglia e le forze a lei vicine

fossero maggioranza in seno alla compagine albanese faceva cadere gli ultimi dubbi

sull’approccio occidentale alla facenda.

Il viaggio degli esponenti dell’Uçk verso la Francia non fu privo di contrattempi. Il fatto che

la Serbia avesse emanato un mandato di cattura per Thaçi e i vertici dell’Uçk e che il capo

della delegazione serba il costituzionalista Ratko Marković, avesse dichiarato che i serbi

non avrebbero negoziato con i guerriglieri, comportò una serie di problemi. I francesi

insieme ai britannici proposero di cambiare la composizione della delegazione albanese.

L’ipotesi venne respinta e Bradhul Mahmuti, importante fundraiser dell’Uçk, che arrivò a

parlare di cospirazione per tagliare fuori la guerriglia dei negoziati e promuovere un

accordo tra Rugova e i serbi. Alla fine, Thaçi e gli altri vennero imbarcati in extremis su un

aereo e portati a Rambouillet.

Va inoltre sottolineato che la delegazione kosovaro-albanese è stata affiancata da tre

esperti negoziatori del Dipartimento di stato americano che hanno fornito costante

assistenza tecnica alla stessa. Inoltre, fu presente la delegazione del Gruppo di contatto,

con i ministri degli esteri, o loro rappresentanti di Francia, Germania, Gran Bretagna,

Italia, Russia e Stati Uniti, ciascuno assistito da uno staff composto da collaboratori civili e

militari; la delegazione dell’Osce; la delegazione dell’Unione europea, con l’ambasciatore

austriaco a Belgrado, Wolfgang Petritsch, nel ruolo di “mediatore”; la delegazione russa,

con ambasciatore Boris Majorski nel ruolo di “mediatore”; la delegazione americana, con

l‘ambasciatore Usa in Macedonia, Christopher Hill.

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Abbiamo già detto che nessun rappresentante della Nato è stato invitato a partecipare e

ciò nonostante il fatto che proprio il timore (nel caso dei serbi) o la speranza (nel caso

degli albanesi) del suo intervento abbia spinto le due parti a recarsi a Rambouillet.

L’assenza della Nato fu voluta espressamente dal presidente francese Chirac, per rendere

più visibile la leadership europea e sminuire il ruolo dell’alleanza dove la parte del leone è

sempre comunque svolta sempre dagli Stati Uniti.

TAVOLI DEL NEGOZIATO

Si passa ora all’esame del “come” sono stati condotti materialmente i lavori, per capire

bene chi, tra i tanti, abbia svolto effettivamente un’attività di “negoziazione”.

Le due parti in causa, serbi e albanesi kosovari, i veri “negoziatori”, furono fisicamente

situate su differenti piani del castello e non si sono mai incontrate durante l’intera

“Conferenza”. Secondo la procedura dei proximity talks, cioè una specie di shuttle

diplomacy in miniatura, i tre “mediatori” (il russo Majorski, lo statunitense Hill e l’austriaco

Petritsch) facevano continuamente la spola tra i negoziatori, sottoponendo proposte, veti e

modalità di soluzione. Questa procedura è stata seguita per esplicita richiesta della parte

albanese ed ha fatto sì che un vero tavolo del negoziato non sia mai esistito.6

Con il passare del tempo è apparso più evidente che un vero negoziato si svolgeva invece

quotidianamente al tavolo degli albanesi. A più riprese particolarmente nella parte finale

della trattativa, sono infatti emerse le fratture esistenti tra i componenti della delegazione;

è così salita alla ribalta per la sua accentuata assertività ed intransigenza l’ala militare

dell’Uçk, facente capo a Thaçi, che ha preso il sopravvento sulla componente politica di

Rugova, relegandola del tutto in secondo piano.

Il terzo tavolo di negoziato, apparentemente meno rumoroso, è quello che si svolgeva

all’interno dello stesso Gruppo di contatto, dove le posizioni di americani, russi ed europei,

rappresentate dai rispettivi mediatori, entravano spesso in rotta di collisione tra esse.

Serbi e albanesi non sedettero mai allo stesso tavolo e s’ignorarono completamente. Gli

americani si concentrarono sulla delegazione albanese. I russi ascoltavano, raccoglievano

informazioni e piombavano poi nella sala riservata ai serbi, riferendo loro delle decisioni e

6 Kovačević Živorad, America i raspad Jugoslavije, Filip Višnjić, Begrad, 2007, p. 77.

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non-decisioni della parte avversa. Il fatto che i colloqui fossero a porte chiuse venne

aggirato dall’uso dei telefoni cellulari. Thaçi passò per esempio la maggior parte del tempo

a interloquire con i comandanti dell’Uçk specie quelli di Drenica.

Appare subito chiaro che a Rambuoillet gli interessi in gioco non erano solo quelli dei serbi

e degli albanesi ma quelli di tutti le parti presenti, a prescindere dal ruolo definitivamente

ricoperto “formalmente” di ciascuna. Ed è stata proprio questa molteplicità di attori e di

interessi, tra l’altro non sempre facilmente riconducibili ai veri interessi nazionali delle parti

presenti, a complicare notevolmente lo svolgimento del negoziato e, in un certo senso, a

mettere in secondo piano gli interessi primari delle parti in conflitto.

IL TESTO DELL’ACCORDO FALLITO DI RAMBOUILLET

Il 18 febbraio la parte “militare” dell’accordo fu presentata ufficialmente alle due

delegazioni, da Petrisch e da Hill, ma in assenza di Majorski, che voleva sottolineare in tal

modo di non condividerne il contenuto. I serbi lo rifiutarono con la spiegazione che si

tratta di un documento unilaterale che non esprimeva la volontà del Gruppo di contatto.

Anche gli albanesi si rifiutarono indignati non solo per una ribadita conferma della

sovranità jugoslava sul Kosmet, ma anche per la richiesta della smilitarizzazione dell’Uçk

entro tre mesi dall’ingresso della Nato nella provincia. Madeleine Albright mandò Hill a

Belgrado per contattare Milošević dimostrando così di essere disposta al compromesso, ma

questi, consapevole della macchinazione che veniva ordita alle sue spalle, non volle

neppure riceverlo. Nel frattempo, la Albright, fece ogni sforzo per convincere gli albanesi

dell’assoluta necessità di accettare il Piano Hill e i suoi annessi militari, senza cambiarne

una virgola. Queste argomentazioni non sembrarono convincenti i partecipanti più radicali

della delegazione albanese, costringendo così i mediatori a prolungare un’altra volta la

conferenza fino alle ore 13 del 23 febbraio. Per i serbi, che pensarono di poter approfittare

della situazione mettendo in gioco l’idea di una presenza internazionale in Kosmet, però

con caschi blu dotati di armi leggere sul modello di Unprofor in Bosnia&Hercegovina. La

Albright, però aveva le idee chiare: Il punto essenziale è che i serbi accettino la forza

Nato.7 Il 22 febbraio inviò alla delegazione albanese una lettera in cui prometteva

7 Pirjevec Joze, op.cit., p.593.

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formalmente che, dopo tre anni di transizione, sarebbe stato tenuto un referendum sullo

status finale del Kosmet, anche se ciò non era esplicitamente detto nel testo che sarebbe

stato firmato a Rambouillet. Se invece i serbi non avessero firmato l’accordo, sarebbero

stati puniti dall’intervento aereo della Nato. Inoltre, la Albright invitò il generale Clark a

Bruxelles affinché lo informasse dettagliatamente dei piano d’azione contro la Jugoslavia

che aveva preparato. Queste mosse non furono gradite dai francesi, impegnati a sabotare

la politica statunitense. Rifiutarono a Clark il permesso di entrare nel castello sostenendo

che la sua presenza avrebbe turbato la delegazione serba. Per superare la situazione, la

Albright doveva convincere il ministro degli esteri francese Vedrine a permettere che i

delegati dell’Uçk uscissero da Rambouillet per incontrare il generale Nato in base militare.

Thaçi all’ultimo momento suggerì il compromesso: i delegati albanesi avrebbero accettato

in via di principio l’accordo, incluso il rinvio dell’indipendenza, ma avrebbero posto la firma

sul documento loro presentato solo tra due settimane, così da poter spiegare in tutti i

dettagli al popolo e ai suo capi militari e politici quanto è stato negoziato in Francia.

Il 23 febbraio la delegazione albanese diede a Veton Surroi l’incarico di siglare, in nome di

tutti il testo dell’accordo. All’ultimo momento fu inclusa anche un’aggiunta che si riferiva

alla “volontà espressa dal popolo”, da prendere in considerazione dopo tre anni di

transizione. Tale linguaggio volutamente ambiguo mirava a consentire alle parti in lotta di

interpretarlo a proprio piacimento. Nella stessa frase fu citato anche l’atto finale di Helsinki

che sanciva l’inviolabilità delle frontiere in Europa, se non per mutuo accordo fra le parti

interessate. Si invitava il Consiglio di Sicurezza ad avallare con una risoluzione una forza

militare internazionale denominata Kfor (International Military Force in Kosovo).

In un primo momento sembrò che ci fossero ancora dei margini per il proseguo della

trattativa, che sarebbe dovuta ricominciare il 15 marzo a Parigi. La stampa belgradese

salutò l’esito dei colloqui come una grande vittoria di Milošević. Non era stata messa in

forse l’appartenenza statale del Kosmet e non era previsto (almeno ufficialmente) nessun

referendum alla scadenza dell’amministrazione provvisoria di tre anni. L’impegno di

Washington di negoziare con Milošević ha mandato il messaggio che è solo Milošević e

nessun altro ad autorizzare lo stanziamento delle forze di pace sul territorio jugoslavo. Il

ministro degli esteri diceva: In questa crisi, si tratta soprattutto di assicurare la supremazia

della Nato sulle altre organizzazioni internazionali e di dimostrare la dipendenza degli

europei rispetto agli americani…L’Uçk è stata costruita apposta per sostenere la tesi che

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nel Kosovo è in corso una guerra e che è necessario lo spiegamento di forze internazionali

in un paese europeo sovrano.8

In campo kosovaro albanese, si riaccese una dura polemica fra coloro che erano a favore

degli accordi e colo che erano contrari. Tutto però era stato deciso il 1° marzo quando il

quartier generale dell’Uçk nominò Hashim Thaçi candidato alla presidenza del governo

provvisorio del Kosmet. Per favorire il corso degli eventi, la Albright inviò il senatore Bob

Dole, da anni strenuo difensore dei diritti degli albanesi, e decise di invitare ufficialmente il

3 marzo alcuni rappresentanti dell’Uçk negli Stati Uniti per premiarli della loro

collaborazione.

Il 9 marzo Milošević emise mandati di cattura per otto “terroristi e separatisti albanesi” tra

i quali Hashim Thaçi, Jakup Krasniçi e Sulejman Selimi, il nuovo comandante in capo

dell’Uçk. Anche l’intervento di Holbrooke non sortì nessun effetto: Milošević rimase fermo

sulle proprie affermazioni, sostenendo si essere in grado di eliminare l’Uçk in una

settimana. Io, diceva, sono disposto a calpestare i cadaveri. L’Occidente no.9

La conferenza del 15 marzo nel Centro internazionale di Avenue Klébert, iniziò con la

minaccia rivolta a Milošević dal presidente Clinton: qualora gli accordi di Rambouillet

fossero firmati solo dagli albanesi, la Nato avrebbe bombardato le sue posizioni militari.

La parte serba rimase nella posizione del rifiuto di discutere lì l’attuazione militare, mentre

gli albanesi firmarono l’”accordo transitorio per la pace e l’autogoverno in Kosovo” il 18

marzo. Alla cerimonia, boicottata dai serbi, fu presente anche Boris Majorski, che rifiutò di

apporre la propria firma sul documento presentato nell’occasione. Il capo della

delegazione belgradese, Milan Milutinović, contestò l’accordo definendolo “un falso”, che

dopo Rambouillet era stato rimodellato a danno del suo popolo. Secondo, Vedrine e Cook,

l’ultima parola era del presidente serbo: La decisione, dev’essere presa da un uomo a

Belgrado.10

Con il trattato di Rambouillet vengono perseguiti fondamentalmente tre obiettivi: riportare

la pace nel Kosovo (Framework, art.II, punto 1), reinstaurare l'autogoverno della provincia

(preambolo all'accordo nonché Framework, I, 4) e garantire il diritto ad ognuno di

ritornare alla propria terra (Framework, II, 3). Inoltre i firmatari si impegnano ad imporre

un immediato cessate il fuoco non appena l'accordo venga reso esecutivo (Framework, II,

8 Ivi, p.595. 9 Milošević, cit. in Pirjevec Joze, ivi, p.597. 10 Ivi, p.598.

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1). Entro nove mesi dalla firma dell'accordo (Capitolo 5, IV, 2) è previsto lo svolgimento di

elezioni per dare al Kosmet proprie ed autonome istituzioni nel quadro della permanenza

della provincia all'interno della federazione jugoslava (Capitolo 3, I-III).

Il rispetto dell'accordo è garantito dalla combinazione di disarmo delle parti contendenti

(milizie serbe ed Uçk in primis, Framework, II, 2) e contemporaneamente dalla presenza

di una “forza militare di implementazione della pace” (Kfor), che “le parti invitano la Nato a

costituire e guidare”(Capitolo 7, I, 1, a), mentre è previsto che l'esercito federale si ritiri

completamente dal Kosmet (a parte 1500 uomini che hanno il compito di pattugliare i

confini meridionali della provincia). Inoltre è prevista una Missione Internazionale simile a

quella in Bosnia prevista dagli accordi di Dayton che abbia i seguenti poteri (Capitolo 5, I-

V):

- supervisione e direzione dell'attuazione delle misure riguardanti gli aspetti civili

dell'accordo anche attraverso la possibilità di emettere “binding instructions” riguardanti

l'ordine e la sicurezza pubblica (Capitolo 2, I, 2);

- indicare alle autorità competenti ufficio o organi di istituzioni la cui rimozione sia

necessaria per l'attuazione del trattato e, se queste non dovessero prendere le decisioni

appropriate, la rimozione diretta di tali uffici o organi;

- fungere da mediatore in controversie tra le parti riguardanti l'applicazione di misure civili

del trattato.

Il trattato prevede poi particolari meccanismi di protezione per le minoranze etniche che

vivono nel Kosmet che è abitato al 90% da popolazione di cultura albanese. Infatti, una

quota del 30% (40 seggi su 120) del Parlamento kosovaro è riservata a non-albanesi

(secondo modalità di elezione esplicitate nel Capitolo 1, II, 1, i e ii). È previsto inoltre che

le forze di polizia rispettino nella loro composizione nell'esercizio dei loro poteri la

composizione multietnica della popolazione (Capitolo 2, I-VIII, ed in particolare I, 1 per il

divieto di discriminazioni basate su sesso, razza, colore, lingua, religione, opinione, origine

o condizione sociale, appartenenza a comunità nazionale o proprietà, nonché di ogni altro

stato) nonché un meccanismo che permette alla Criminal Justice Administration (un

organismo previsto e regolato dal Capitolo 2, II, 3, a-c) di richiedere (e provvedere

direttamente) alla rimozione dell'autorità giudiziaria inquirente competente qualora vi fosse

motivo di temere un pregiudizio anche etnico (Capitolo 2, VIII, 2, a).

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L’“INTERIM AGREEMENT”: PERCHÉ NON È STATO FIRMATO

Il documento posto sul tavolo nella sua edizione definitiva il 23 febbraio 1999, dal titolo

Interim Agreement for Peace and Self-Government in Kosovo è fallito e come tale si è

formalizzato poi nell’appendice dei colloqui a Parigi, dove questo documento è stato

firmato dalla delegazione kosovara albanese ma non da quella serba.

L’Interim Agreement raccoglie in un unico documento, il pacchetto di intese riferito agli

importanti nodi da sciogliere; è articolato in un Preambolo e otto Capitoli, riguardanti sia

l’accordo politico sullo Statuto della Regione, sia le modalità di attuazione dello stesso, e

comprende un accenno all’assetto definitivo del Kosmet, da definirsi tre anni dopo l’entrata

in vigore dell’Accordo. I primi quattro capitoli più il sesto definiscono la parte politica

dell’accordo.

Oltre alla delegazione kosovara, anche quella serba aveva espresso un sostanziale accordo

su questa parte, senza peraltro formalizzarlo per iscritto. Nella lettera con cui i serbi hanno

chiesto un prolungamento dei lavori (con aggiornamento degli incontri al 15 marzo a

Parigi) hanno altresì manifestato lì intendimento di “continuare il negoziato anche su alcuni

passaggi del testo politico”. La lettera con la quale anche gli albanesi chiedono un

prolungamento dei lavori dà invece per scontata l’accettazione della parte politica e

ribadisce l’aspettativa di “referendum”, di una presenza militare Nato, nonché di

un’assistenza “bilaterale” per operare un processo di trasformazione dell’Uçk.

La parte più complessa rimaneva quella militare che si concreta nel Capitolo 7 e

nell’appendice B dello stesso. Si tratta delle questioni messe in discussione il 18 febbraio e

che hanno di fatto portato al fallimento del negoziato.

Le principali obiezione serbe riguardavano la parte militare dell’accordo nel suo complesso

mentre per gli albanesi non erano sufficientemente chiari alcuni aspetti della parte

militare, e, in particolar modo il futuro assetto del Kosmet. Le motivazioni di fondo che, il

23 febbraio 1999, hanno portato al rifiuto alla firma da parte di ambedue le delegazioni,

possono essere così sintetizzate:

1.) da parte kosovaro-albanese:

-la mancanza di una prospettiva certa di referendum al termine dei tre anni di periodo

transitorio (la Albright ha anche proposto agli albanesi di cambiare la parola “referendum”

con la formulazione “la volontà del popolo” ma gli albanesi rifiatarono lo stesso);

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-la richiesta di smilitarizzazione completa dell’Uçk, prevista esplicitamente dal testo, e

quindi la sua dissoluzione.

2.) da parte kosovaro-serba:

-l’impossibilità di accettare una presenza militare internazionale a guida Nato sia sul

territorio del Kosmet, sia sull’intera Repubblica Federale Jugoslava, a garanzia

dell’attuazione dell’Accordo;

-la mancata approvazione, da parte russa, della sezione militare dell’accordo (anche

perché tagliava fuori l’Onu dove la Russia ha diritto di veto), il che consentiva alla

delegazione serba di far leva su un aspetto tecnico di principio, e cioè che essendo stata

convocata dal Gruppo di contatto, non accettava di prendere in considerazione un

documento prodotto solo da una parte (quella occidentale) del Gruppo stesso. Ciò proprio

dal momento che la parte militare del testo era stata presentata come “non negoziabile”11;

-una mancata determinazione nel tentare di raggiungere un accordo, che non era apparso

impossibile, sulla parte politica, rinviando ad un passo successivo la negoziazione della

parte esecutiva militare;

-diciotto ore prima della scadenza prevista per la fine della Conferenza, alla delegazione

serba sono stati presentati tre capitoli, cioè un documento di ottantuno pagine che

riguardava oltre la presenza della Nato nella Rfj, la possibilità di un referendum sullo

status del Kosmet dopo tre anni. Così è stata accontentata la parte albanese ma è data

anche la possibilità alla parte serba di interpretare diversamente questo articolo. In ogni

caso, Milošević aveva tutti motivi di capire l’articolo come una stabile possibilità per una

futura indipendenza del Kosmet.

“LETTERA DI MILOŠEVIĆ” CON MOTIVAZIONI UFFICIALI SERBE (23 MARZO

1999)

Nella lettera, datata 23 marzo 1999, inviata dal presidente jugoslavo Milošević ai due co-

chairman della Conferenza, troviamo le motivazioni ufficiali del rifiuto serbo.

La lettera fa riferimento agli aspetti procedurali del cosiddetto negoziato di Rambouillet;

aspetti che, peraltro, vengono considerati sostanziali in quanto Milošević tra l’altro scrive: i

colloqui a Parigi non hanno avuto luogo per niente. La delegazione del governo della

11 Kovačević Živorad, p.80.

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Repubblica di Serbia e i rappresentanti dei separatisti albanesi e del movimento terroristico

non si sono mai incontrati per parlare […] Il documento che chiamate “Rambouillet

agreement” non rappresenta il “Rambouillet agreement”, perché sia a Rambouillet che a

Parigi, le persone venute per negoziare non hanno negoziato. Non ci sono stati colloqui tra

loro, perciò non ci può essere un documento comune da accettare o respingere.12

Alla fine della lettera Milošević non considera formalmente chiuso il negoziato e dichiara la

sua disponibilità a negoziare per risolvere i problemi del Kosmet con mezzi pacifici. Alcuni

studiosi sono del parere che Milošević si sia sentito minacciato più dalle truppe Nato

presenti nel territorio jugoslavo che dai bombardamenti.

RIFLESSIONI SUL FALLIMENTO

Alla luce di quanto detto si possono fare le seguenti ipotesi circa le circostanze che hanno

determinato del fallimento dell'accordo:

1.) Legittimazione dell'Uçk: l'invito di rappresentanti dell'Uçk ha reso la trattativa “una

partita a quattro”: Nato, Russia, Repubblica Jugoslava e Uçk, con la conseguenza che non

solo la mediazione tra le parti è diventata più difficile, ma ha introdotto anche la difficoltà

decisiva che, acquistata la legittimazione a trattare, l'Uçk si è sempre rifiutato di deporre le

armi. Anzi, l'Esercito di liberazione ha disconosciuto la rappresentatività di Rugova, che

rimane l'unico legittimo rappresentante della minoranza kosovara in quanto

democraticamente eletto nelle elezioni clandestine del marzo del 1998.

2.)Presenza di forze militari Nato: si è già accennato al fatto che il trattato parla della

presenza di una forza di implementazione militare (Kfor) che, su invito delle parti, sarà

composta da forze Nato. Il Capitolo 7 che regola tale “corpo militare di pace” è corredato

da un'appendice (Appendix B del trattato rubricato Status of multi-national military) che al

suo articolo 8 recita13: Il personale Nato dovrà godere, con i suoi veicoli, vascelli, aerei ed

equipaggiamento di libero ed incondizionato transito attraverso l'intero territorio della

Federazione delle Repubbliche Jugoslave, ivi compreso l'accesso al suo spazio aereo e alle

sue acque territoriali. Questo dovrà includere, ma non essere a questo limitato, il diritto di

12 Ivi, p.238. 13 www.state.gov/www/regions/eur/ksvo_ramboillet_text.html

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bivacco, di manovra e di utilizzo di ogni area o servizio necessario al sostegno,

all'addestramento e alle operazioni.

Precedentemente, all'articolo 7, l'appendice estende alle truppe Nato operanti nella

Repubblica Federale Jugoslava (in tutto il suo territorio) lo status di cui godono quelle che

operano, per esempio, in Italia. Vi si dice che il personale Nato sarà immune da ogni

forma di arresto, inquisizione e detenzione da parte delle autorità della Repubblica

Federale Jugoslava. Il personale della Nato erroneamente arrestato o detenuto dovrà

essere immediatamente riconsegnato alle autorità Nato.Milošević ha firmato a Dayton

l’accordo tra la Frj e la Nato riguardante il transito operativo concordato con l’Accordo di

pace che negli articoli 2, 3 e 4 stabilisce le stesse regole come gli accordi di Rambouillet.

L’annesso B, infatti, è il cosiddetto Sofa-Status of Forces Agreement che la Nato e gli Stati

Uniti prevedono per i casi nei quali le loro forze devono implementare gli accordi di pace.

3.)Autonomia o indipendenza: la distribuzione dei singoli poteri attribuita al Parlamento

kosovaro e ai rapporti con la Repubblica Federale Jugoslavia e alla Serbia in sintesi,

secondo quanto previsto dal trattato, il Kosmet avrebbe dovuto godere di un'autonomia

particolarmente ampia, dotato di Parlamento, Presidente e Governo propri che avrebbero

avuto una competenza esclusiva (Capitolo 1, II, 5) sulla maggior parte delle questioni

relative al Kosmet, compresa l'amministrazione locale, l'educazione e la sanità. Inoltre al

Kosmet sarebbe stato consentito di avere proprie relazioni estere, mentre la Repubblica

federale avrebbe mantenuto l'esclusivo esercizio di politica monetaria e difesa(Capitolo 1,

I, 1ss.).

In realtà la parte più controversa e discussa ai vertici di Rambouillet è stata quella

contenuta al Capitolo 8, I, 3 che recita14: Tre anni dopo l'entrata in vigore del presente

accordo sarà convocata una riunione internazionale al fine di definire una procedura per

giungere a una soluzione definitiva in Kosovo, sulla base della volontà popolare (“on the

basis of the will of the people”), del punto di vista delle autorità competenti relativamente

agli sforzi compiuti da ogni parte rispetto all'applicazione del presente accordo e dell'Atto

finale della conferenza di Helsinki; e inoltre per intraprendere una valutazione completa

14 www.state.gov/www/regions/eur/kosovo_ramboillet_text.html

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dell'applicazione dei presente accordo; e per prendere in considerazione le proposte

avanzate da qualsivoglia parte per disposizioni aggiuntive.

È in questo passaggio che emerge l'ambiguità d della trattativa. Nonostante la parola

“referendum” non compaia nel testo, gli albanesi del Kosovo ritengono che la menzione

delle “aspirazioni del popolo” significhi nei fatti un referendum sull'indipendenza di questa

provincia serba. In sintesi i punti principali del trattato sono che Gli Accordi di Rambouillet

costituiscono un'intesa ad interim della durata di tre anni che provvederà a un'autonomia

democratica, di pace e sicurezza per tutti gli abitanti del Kosmet. L'autonomia democratica

contemplerà tutte le questioni di importanza quotidiana per il popolo del Kosmet, quali

l'istruzione pubblica, la sanità, e lo sviluppo economico. Il Kosmet avrà un Presidente, un

Parlamento, un proprio tribunale, un governo locale e istituzioni comunitarie nazionali. La

sicurezza sarà garantita da truppe internazionali schierate sull'intero territorio della

provincia. La polizia locale, in rappresentanza di tutte le comunità nazionali nel Kosovo,

farà osservare le leggi ordinarie. Un'assemblea internazionale sarà convocata dopo tre

anni per definire una soluzione definitiva per il Kosmet. La volontà del popolo sarà un

fattore determinante.

Una serie di grossolani errori tattici ha fatto andare alla deriva le trattative di pace per il

Kosmet, sottraendo agli Stati Uniti il risultato netto che essi cercavano come base per

un'azione militare della Nato contro i serbi. Tutti gli incontri del Segretario di Stato Usa

avevano come obiettivo convincere gli albanesi che la firma dell'accordo significava gettare

la palla nel campo dei serbi ed esporli a una pressione che non esclude attacchi militari

contro obiettivi serbi nel caso in cui Belgrado non dovesse firmare l'accordo. Il Segretario

di Stato Madeleine Albright è rimasta costernata quando ha sentito i leader degli albanesi

rifiutare di dare un sì deciso ai piani dei mediatori internazionali per un periodo

temporaneo di autonomia del Kosmet della durata di tre anni, sotto la sorveglianza di

truppe Nato. Gli americani avevano pensato di avere gli albanesi nelle loro tasche. Hanno

sbagliato i loro calcoli, come ha detto un funzionario europeo.

La Russia, propensa a limitare il ruolo della Nato, ha sostenuto la richiesta dei serbi che gli

accordi militari siano separati da quelli politici. L'Italia, che fa parte della Nato, ha

suddiviso equamente le colpe tra serbi e albanesi. La Francia e la Gran Bretagna, i due

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paesi copresidenti della conferenza, erano interessate a lasciare ulteriore tempo per far sì

che la loro conferenza fosse un successo.

l’APPENDICE B: LA CAUSA DEL FALLIMENTO DEI NEGOZIATI?

È interessante confrontare alcune disposizioni chiave con il testo sottoscritto a Dayton,

anche perché la gran parte del testo ricalca parola per parola l’annesso corrispondente

(1A) dell’accordo sulla Bosnia. Prima di tutto, il ruolo del Consiglio di Sicurezza muta. Per

Dayton esso autorizzava gli Stati membri a creare una forza militare internazionale a guida

Nato, aprendo la porta ad un compromesso con la Russia, a Rambouillet il Consiglio di

Sicurezza è invitato ad approvare una risoluzione che dia l’assenso e adotti la creazione di

una forza militare. Allo stesso modo, il ruolo di leadership della Nato viene espresso in

maniera assai più diretta, evidentemente senza preoccuparsi molto dell’assenso della

Russia. Questa parte della bozza di Rambouillet sembra essere fatta apposta per rendere

impossibile l’appoggio del governo di Mosca.

Quanti hanno scritto relativamente all'“appendice B” hanno sostanzialmente affermato:

a)l'“appendice” in questione era segreta e fu resa pubblica solo in aprile;

b)l'“appendice” in questione, e tutta la parte relativa all'implementazione militare fu

segretata nei confronti della delegazione negoziale serba fino al giorno prima della rottura

delle trattative, cioè il 17 marzo e fu quindi un'aggiunta “dell'ultimo minuto”;

c)l'“appendice” in questione non era conosciuta, fino al 17 marzo, da nessuno, neppure

dagli alleati Nato degli Stati Uniti;

d)di conseguenza il testo firmato dalla delegazione kosovara albanese il 18 marzo è molto

diverso da quello uscito dalla conferenza a Rambouillet il 23 febbraio;

e)la delegazione negoziale serba aveva accettato la parte politica dell'accordo, ma

l'“appendice” in questione implicava l'occupazione di tutta la Jugoslavia da parte della

Nato, e come tale inaccettabile dalla Federazione Jugoslava: fu cioè il casus belli che fece

fallire i negoziati sul Kosmet.

L'“appendice B” era segreta? Sarebbe il primo caso di un documento che è al contempo

segreto e disponibile gratuitamente a milioni di persone. Il testo di Rambouillet inclusivo

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della parte di “implementazione militare” e dell'“appendice B” era disponibile da fine

febbraio 1999 sul sito Internet del “Balkan Action Council”. Che vari giornalisti se ne siano

accorti solo ad aprile (quando l'inizio dei bombardamenti faceva diventare il Kosovo e

Rambouillet notizia di prima pagina e non solo questione di “specialisti”) è altro discorso.

La mancata diffusione pubblica del documento conclusivo e il fatto che alcune ‘bozze di

accordo’ venissero sottoposte direttamente in lingua inglese, con lieve disappunto dei

francesi presenti per l’offesa al bon ton diplomatico da sempre bilingue, è solo uno dei

paradossi della conferenza di Rambouillet.

L'“appendice B” prevedeva l'occupazione militare di tutta la Federazione Jugoslava da

parte della Nato ed i negoziati fallirono a causa di questo?

La delegazione serba e tutti i mass media della Federazione Jugoslava non hanno mai

affermato una cosa del genere. Essendo i diretti interessati, la loro opinione al proposito è

da ritenersi significativa, e unanimemente hanno sempre affermato che il testo di

Rambouillet non venne firmato perché prevedeva la presenza della Nato in Kosovo. Il

casus belli non fu l'“appendice B”, ma la presenza della Nato in Kosovo.

L’ annesso B del capitolo 7 sull’implementazione militare è quello che ha dato luogo ai

dibattiti più controversi. Il testo riprende le disposizioni di Dayton, che prevedevano ampie

libertà di movimento per le forze armate dell’Ifor. Questa volta vengono ripetute le stesse

formule, ma per tutto il territorio della Jugoslavia. Fonti diplomatiche occidentali, tra cui lo

stesso Petritsch, sostengono che il testo non intendeva prevedere l’accesso armato della

missione Nato a tutta la Jugoslavia, ma esclusivamente il transito. Se questo era lo scopo,

risulta però difficile capire perché gli autori della bozza non abbiano riprodotto, invece

dello statuto sulla Bosnia-l’accordo di Dayton fra l’alleanza e la Jugoslavia stessa. In

quest’ultimo si precisa che il governo della Rfj permetterà il libero transito sul proprio

territorio a personale e mezzi della Nato. Belgrado avrebbe accettato tali misure, in realtà

lo aveva già fatto ai tempi di Dayton.

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Prima, durante e dopo la conferenza di Rambouillet si tennero non una ma tre trattative: i

paesi occidentali trattarono in parallelo da un lato con gli albanesi, dall’altro con i serbi;

inoltre, i cinque paesi della Nato all’interno del Gruppo di contatto si confrontarono

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continuamente con la Russia. Ad un certo punto ci fu l’impressione che il problema del

Kosmet passava in secondo piano.

La Conferenza di Rambuoillet sembrava l’applicazione della cosiddetta diplomazia alibi,

cioè dare un alibi per l’impiego necessario delle forze armate visto che tutti gli strumenti

diplomatici non hanno portato ad una soluzione pacifica della difficile situazione nella

provincia.

Henry Kissinger, l’ex-segretario di stato statunitense e consigliere della Sicurezza

nazionale, ha detto per il Daily Telegraph15: tekst iz Rambujea, kojim se zahteva

stacioniranje trupa Nato-a na celokupnoj teritoriji Jugoslavije bio je provokacija! To je bio

izgovor za otpočinjanje bombardovanja. Dokument iz Rambujea je bio takav da ga nijedan

Srbin ne bi prihvatio. Ovaj učasni diplomatski dokument nikada nije trebalo da bude

prezentiran na takav način.

Alcune fonti affermano che Milutinović ha offerto alla Albright l’uso delle basi militari in

Kosmet. In questo modo la Nato potrebbe osservare meglio l’implementazione degli

accordi di Dayton. Milutinović, in un’intervista alla BBC, ha detto che aveva proposto anche

a Christopher Hill le basi commerciali in tutta la Rfj, ma che non ha ottenuto nessuna

risposta. Durante i colloqui con Hill, Milutinović avrebbe fatto un’osservazione

interessante16: Kris, ja mislim da bi najbolje bilo da mi uđemo u Nato.

Rambouillet fu un diktat al governo serbo?17 Sicuramente Rambouillet fu un ultimatum alla

Serbia. Ma non fu solo, o tanto, questo: fu un doppio ultimatum. Alla Serbia per ciò che

riguardava lo stazionamento di truppe Nato in Kosmet, e ai kosovari albanesi per ciò che

riguardava l'abbandono della loro rivendicazione principale, l'indipendenza. I kosovari

albanesi accettarono il diktat, anche se questo comportò la fine politica di Adem Demaçi,

l'allora rappresentante politico dell'Uçk. Il suo portavoce di allora, Albin Kurti, poi

sequestrato dalla polizia serba, affermò lucidamente che “questo piano non porterà la

15 Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un serbo angelico avrebbe potuto accettare. Era un pessimo documento diplomatico che non avrebbe dovuto essere

presentato in quella forma.Kissinger, cit. in Kovačević,op.cit., p.253. 16 Chris, penso che sarebbe meglio se entrassimo anche noi nella Nato, Milutinovic cit. in Kovačević, ivi, p.254. 17 La Convenzione di Vienna sulla legge contrattuale internazionale del 1980 (art.51,52) proibisce ad uno stato di firmare i contratti internazionali contro la propria volontà.

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pace nei Balcani, e non darà la libertà e i diritti che spettano al popolo kosovaro”, mentre

Adem Demaçi venne definito da James Rubin il 23 febbraio “il maggiore ostacolo al

processo di pace”.

Per strappare l'accettazione da parte dei kosovari albanesi la diplomazia internazionale non

si fermò di fronte a nulla: a Rambouillet, mentre da un lato venivano fatte pesanti minacce

militari (ovviamente indirette) e politiche nei confronti dell'Uçk, d'altro lato circolò una

lettera (datata 22 febbraio) da parte dell'amministrazione americana che rassicurava i

kosovari albanesi circa la tenuta di un referendum in capo a tre anni lettera che fu solo

uno “specchietto per le allodole” non essendo mai stata firmata. Quando poi Thaçi lesse il

23 febbraio la lettera di accettazione “in linea di principio” del documento, affermando che

considerava comunque imprescindibile l'espressione della volontà popolare in Kosovo, i

diplomatici occidentali si affrettarono a specificare che si trattava di dichiarazioni

“unilaterali e quindi irrilevanti”.

Predrag Simić ha ricordato in modo credibile la posizione negoziale degli statunitensi18:

Accettate 28.000 soldati della Nato in Kosovo. Sul resto a noi va bene qualsiasi cosa. Il

regime di Belgrado decise di non accettare il diktat e di puntare tutte le carte su una

divisione del Kosmet manu militari. La conclusione è nota. La Nato pensava che con

qualche giorno di bombardamenti Belgrado avrebbe accettato Rambouillet. Belgrado

pensava di poter arrivare alla divisione del Kosovo come riuscì in passato ad arrivare alla

divisione della Bosnia. I kosovari albanesi pensavano che sarebbe giunta l'ora della

liberazione nazionale.

Alla fine se gli organizzatori (in particolare gli americani) fossero davvero interessati a

raggiungere gli accordi non avrebbero organizzato la conferenza in una settimana,

impedendo così alle parti di organizzarsi meglio (tutte e due le parti al proprio interno

avevano due correnti, una più dura e una più disposta ai compromessi). Poi, non

avrebbero permesso Thaçi di divenire il capo della delegazione albanese al posto di

Rugova, leader storico del movimento non-violento albanese. Infine, la cosa non meno

importante, gli organizzatori dovevano assicurarsi della presenza di Milošević, che era

unica persona in grado di fornire necessarie concessioni (come a Dayton). In ogni caso, la

conferenza è finita con la considerazione che c’è stata conformità sulla parte politica del

documento, anche se la parte serba non ha firmato.

18 Predrag Simić, cit. in Kovačević Živorad, op.cit., p.265.

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Peraltro la parte serba ha mostrato i comportamenti poco coerenti. Ha insistito nel non

parlare con gli albanesi di persona, ma ha anche rifiutato di negoziare con l’Uçk, che in

quel momento, anche secondo fonti serbe, aveva tutto il potere in Kosmet, dunque, de

facto doveva far parte dei negoziati (Milošević durante i negoziati ha anche chiesto

all’Interpol di arrestare Thaçi, il capo della delegazione albanese). La delegazione serba, in

più ha perso dieci giorni insistendo di mettere i principi del Gruppo di contatto nell’Accordo

sapendo che gli albanesi non accetteranno il principio della sovranità e dell’integrità

territoriale della Jugoslavia in Kosmet. Alla fine, Milošević ha anche rifiutato la visita di Hill

del 19 febbraio a Belgrado.

Comunque tutte le tre parti hanno concluso che sicuramente ci sarà l’intervento militare, e

che l’intervento sarà di breve durata. Hanno sbagliato tutti. Gli americani e gli albanesi

pensando che Milošević avrebbe capitolato presto dopo l’inizio dei bombardamenti; lo

stesso Milošević ha sbagliato a pensare che l’intervento non durerà perché la Cina e la

Russia erano contro. L’unica differenza è che lo sbaglio di Milošević è costato di più.

BIBLIOGRAFIA Kovačević Živorad, America i raspad Jugoslavije, Filip Višnjić, Begrad, 2007. Pirjevec Joze, Le guerre jugoslave, Einaudi, Torino, 2002. Centro studi per la pace, http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=rambouillet Us Department of State www.state.gov/www/regions/eur/ksvo_ramboillet_text.html