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L’ACCORDO DI RAMBOUILLET(1999): DIKTAT AL GOVERNO
SERBO O TENTATIVO DI SALVARE LA PACE IN KOSMET1
L'accordo di Rambouillet è il nome di un accordo di pace proposto tra la Repubblica
federale di Jugoslavia e una delegazione che rappresenta l'etnia albanese della
popolazione del Kosovo. È stato redatto dal Trattato del Nord Atlantico (Nato) e prende il
nome da Chateau Rambouillet (Francia), dove è stato inizialmente proposto. L'importanza
dell'accordo sta nel fatto che la Jugoslavia ha rifiutato di accettare l’accordo, che la Nato
usato come giustificazione per avviare la guerra del Kosmet. Il rifiuto di Belgrado si è
basata sul fatto che l'accordo conteneva disposizioni per l'autonomia del Kosmet. Il lavoro
presentato qui è un tentativo di spiegare le negoziazioni tenute a Rambouillet che hanno
determinato il futuro della Serbia e del Kosmet ma altrentanto erano la scusa per inizia
l’intervento umanitario e cioé i bombardamenti della Serbia.
La conferenza di Rambouillet non è stata l'unico tentativo di domare le tendenze
nazionaliste balcaniche da parte delle grandi potenze europee, le quali in questo secolo
per ben tre volte decisero quali popoli dovevano abitare in quali stati. Il tentativo
d'accordo di Rambouillet è stato definito come “tentativo di correggere gli errori fatti in
quelle occasioni”. Sono state le potenze europee ad attribuire il Kosmet ai Serbi. Dopo che
l'alleanza balcanica formata da Bulgaria, Serbia, Montenegro e Grecia si era scrollata di
dosso il dominio ottomano nella prima guerra balcanica (1912-1913), la conferenza di
pace di Londra (1913) attribuì agli albanesi uno stato proprio per evitare l'allargarsi del
conflitto. In quell'occasione le grandi potenze frenarono anche le tendenze espansioniste
della Serbia che aveva già occupato il Kosmet e voleva dividersi la neonata Albania con la
Grecia. Le ragioni dell'attribuzione del Kosmet alla Serbia furono più pragmatiche che
politiche: gli albanesi non sembravano ancora in grado di fondare uno stato nazionale,
comprendente cioè tutta la popolazione di etnia albanese, mentre la Serbia era disposta a
tutto pur di mantenere il Kosmet.
L'ultimo tentativo di costruire una pace “durevole” nei Balcani fu fatto con gli accordi di
Dayton il 21 novembre 1995. La questione del Kosmet, pur essendo presente nella 1 L’ufficiale versione serba e jugoslava dal 1945 al 1967 e poi di nuovo dal 1990 è ‘Kosovo&Metohija’, o
abbreviato ‘Kosmet’. Il termine ‘Kosovo’ è di derivazione slava, e indica il merlo (kos) mentre il termine‘Metoh’, di origine greca significa “terra appartenente alla Chiesa” e indica la zona occidentale del Kosmet. Nel nostro lavoro useremo il termine ‘Kosmet’.
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scaletta dei lavori di Dayton, fu però subito abbandonata. La Realpolitik vinse l'esigenza di
trovare un assetto geopolitico durevole, il Kosmet venne depennato dall'agenda dei lavori
e venne rimosso anche dalla coscienza politica. È stato affermato che “la Bosnia ed il
Kosovo sono due aspetti della stessa guerra e le trattative di Rambouillet non si sarebbero
rese necessarie senza la fatale eredità di Dayton”.
ALLE RADICI DELL’ACCORDO
L'accordo che si andrà ad analizzare è in realtà l'ultimo di una serie di contatti intercorsi
tra le forze interessate. Si cercherà di tracciare una linea rossa per ripercorrere le tappe
più importanti di tali intese.
Il 17 dicembre 1998 il “Koha Ditore” pubblicò il testo di una proposta elaborata dagli
americani, che il loro ambasciatore in Macedonia, Christopher Hill aveva trasmesso
all’inizio del mese a Rugova e Milošević. La proposta prevedeva “un’autonomia sostanziale”
della provincia, fondata sul principio dei comuni quali “unità di base”, mantenendovi però
almeno in teoria la sovranità serba. L’attuazione dell’accordo sarebbe stata controllata da
osservatori internazionali, affiancati da un ombudsman incaricato di vigilare sui diritti dei
cittadini. La decisione sul definitivo status della provincia sarebbe stata presa in un
secondo momento, dopo tre o cinque anni. Gli albanesi di Rugova chiesero la
promulgazione di un referendum sul futuro istituzionale della provincia ma suggerendo
anche, come tappa intermedia, la costituzione di una repubblica del Kosmet pari a quelle
della Serbia e del Montenegro.
Il Consiglio di Sicurezza ha adottato il 23 settembre la Risoluzione 1199, articolata in
diciassette punti in cui si accusavano le forze di polizia e dell’Armata jugoslava di avere
provocato la catastrofe umanitaria. La risoluzione fu considerata un vero e proprio
spartiacque nell’atteggiamento della comunità internazionale verso la crisi kosovara. Il 24
settembre il Consiglio dell’alleanza atlantica, riunitosi a Villa mora a Portogallo, autorizzò il
proprio comandante supremo Wesley Clark a lanciare il cosiddetto “avviso di attivazione”
(Activation Warning-ACTWARN) che prevedeva un intervento “limitato” in Kosmet. Fu
deciso di seguire la strategia già usata in Bosna&Herzegovina, di puntare, cioè sul
linguaggio della forza, accompagnandolo però con quello della diplomazia per esplorare se
fosse possibile convincere in extremis le parti in lotta ad un accomodamento pacifico.
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Il 2 ottobre il Gruppo di contatto2 ha dato il proprio avallo al Piano Hill, che prevedeva
un’amministrazione provvisoria trilaterale: serba-albanese-internazionale per il Kosmet. L’8
ottobre i leader dell’Uçk, stremati, proclamarono cessate di fuoco e ordinarono la “ritirata
tattica” dei propri uomini nei boschi e sulle montagne, nella speranza di rafforzare con tale
gesto di buona volontà la pressione internazionale su Milošević, favorendo la decisione
della Nato di passare agli attacchi aerei. Lo stesso giorno, nella sala riservata ai Vip
dell’aeroporto di Londra si tenne un incontro fra i ministri degli Esteri di Stati Uniti,
Francia, Gran Bretagna, Germania e Russia che impresse una decisa svolta alla vicenda
kosovara. Tema della discussione era quello della legittimità di un intervento della Nato nel
Kosmet senza esplicito mandato delle Nazioni Unite. Igor Ivanov, fu chiaro nell’informare i
suoi colleghi che la Russia avrebbe fatto uso del diritto di veto, se l’argomento fosse stato
discusso nel Consiglio di Sicurezza, aggiungendo tuttavia che, se non si fosse seguita tale
procedura, “noi faremo soltanto un grande strepito”, lasciando così intendere che a Mosca,
nella vicenda kosovara, premeva soltanto salvare la faccia.3
Il 12 ottobre fu raggiunto l’accordo Milošević-Holbrook permettendo a Milošević di
dichiarare il giorno stesso in un discorso televisivo ai cittadini che il pericolo di un
intervento militare contro il nostro paese è scongiurato.4 Si tratta di sei richieste formulate
in armonia con la Risoluzione 1199: esigevano la fine dell’offensiva nel Kosmet, il ritiro
delle forze serbe, la libertà d’accesso agli osservatori internazionali e la piena cooperazione
con il Tribunale dell’Aia per i crimini di guerra, il ritorno sicuro per i profughi nelle loro case
e l’inizio delle discussioni per una soluzione negoziata della crisi, secondo il piano Hill. Si
ribadiva la sovranità e l’integrità territoriale della Jugoslavia, si garantivano al Kosmet un
governo e forze di polizia autonomi, e si promettevano entro nove mesi libere elezioni
sotto la supervisione dell’Osce. La provincia di Kosmet sarebbe sorvolata da aerei della
Nato con e senza equipaggio nell’ambito di un’operazione dal nome “Eagle Eye”. Le
trattative con gli albanesi sarebbero state bilaterali senza interventi esterni.
Punto d'inizio per una disamina delle relazioni internazionali tra la Repubblica federale di
Jugoslavia e la Comunità internazionale volta a riportare il conflitto serbo-kosovaro
albanese nei limiti della legalità internazionale può essere considerata la Convenzione
2 Il gruppo di contatto per la ex-Jugoslavia si costituisce nel 1995: ne fanno parte Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Germania ed Italia, questo gruppo si è dato il compito di esplorare ed attivare ogni possibile meccanismo in grado di condurre ad una soluzione diplomatica della conflittualità nell’area. 3 Pirjevec Joze, Le guerre jugoslave, Einaudi, Torino, 2002, p.577. 4 Ivi,p. 578.
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relativa ad una missione di Verifica per la provincia della Repubblica Jugoslavia di Serbia,
Kosovo&Metohija, siglata a Belgrado il 16 ottobre 1998 dall'Osce e dalla Repubblica
federale di Jugoslavia (Rfj) “per contribuire al rispetto e all'applicazione delle risoluzioni
1160 e 1199 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. In tale accordo si stabilisce la
presenza sul territorio di 2000 verificatori disarmati provenienti dai paesi membri dell'Osce
che formeranno la missione di verifica che per la durata di un anno “viaggerà per il Kosovo
per verificare il mantenimento del cessate il fuoco da parte di tutti gli elementi”. L'accordo,
che segue ad un ultimatum Nato, vuole essenzialmente far cessare la repressione degli
albanesi ed indurre Milošević a ritirare le sue truppe dal Kosmet. I punti salienti
dell'accordo consistono essenzialmente nelle seguenti pattuizioni:
- assunzione di responsabilità da parte della Rfj, delle autorità serbe e del Kosmet di
fornire piena cooperazione e supporto alla missione di verifica(art.1, 9);
- assistenza della missione di verifica all'Unhcr, Icrc e alle altre organizzazioni
internazionali nel facilitare il ritorno dei profughi di guerra alle proprie case (art.3, 6);
- e, infine, una sorta di controllo da parte del direttore della missione concernente abusi
perpetuati da parte del personale militare o di polizia(art.3,8).
Il 15 ottobre, nonostante la reazione positiva della comunità internazionale sugli accordi
Milošević-Holbrooke, definito “missile diplomatico”, la Nato approvò il piano d’azione per
gli attacchi aerei contro la Jugoslavia (ACTCORD), posticipandone tuttavia la messa in atto
al 17 ottobre al fine di permettere alla leadership serba di firmare con Javier Solana e
Bronislav Geremek, presidente dell’Osce, gli accordi relativi ai “verificatori e ai voli di
controllo”. Wesley Clark e il generale Klaus Naumann, presidente del comitato militare
della Nato, si recarono a Belgrado il 24 ottobre per ammonire Milošević che l’Alleanza
avrebbe cominciato i raid aerei se il ritiro non fosse avvenuto entro tre giorni. Lo stesso
giorno, il Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 1203 appoggiò per la prima volta in
modo esplicito l’impegno dell’Alleanza atlantica nel Kosmet. A differenza della risoluzione
di settembre che poneva l’accento in modo chiaro che la Frj (Repubblica Federale
Jugoslava) rappresenta la minaccia per la pace e la sicurezza nella regione, la risoluzione
di ottobre apprezzava gli accordi Milošević-Holbrooke e mandava un messaggio-avvertenza
chiaro ai “elementi della comunità kosovaro-albanese”. Parallelamente, però gli americani
non persero di vista gli esponenti dell’Uçk, organizzando con loro fra novembre e dicembre
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ben quattro incontri, non privi di risultati: in cambio della promessa di non estendere il
conflitto alla Macedonia e di non coltivare contatti con integralisti islamici, i guerriglieri
ottennero- a detta dei francesi- armi e addestratori messi a disposizione dai servizi segreti
statunitensi, tedeschi e croati.
Il 2 dicembre, Christopher Hill, presentò una terza versione del suo piano, che, pur
prendendo in considerazione alcune richieste serbe fu respinta tanto da Priština che da
Belgrado. Secondo la nuova versione, Kosmet diventava la terza repubblica nella Rfj che
non deve de iure riconosciuta. In una dichiarazione del Parlamento jugoslavo, pubblicata il
giorno successivo, si contestò aspramente ogni interferenza americana negli affari interni
del paese, con chiaro riferimento alle indiscrezioni apparse in quel periodo sulla stampa,
secondo cui la Cia stava preparando un golpe contro Milošević.
La nuova versione, inoltre, ha rappresentato anche una svolta nei negoziati sullo status del
Kosmet. Sicuramente, il grande ruolo aveva la marginalizzazione di Rugova e del suo team
nei negoziati ma anche la decisione degli Stati Uniti di scegliere l’Uçk come l’alleato.
Nonostante tutto, l’Uçk non ha accettato per il Kosmet lo status di terza repubblica
spiegando che rappresenterebbe “un grande favore al regime serbo” e che non dà la
possibilità di referendum dopo il periodo transitorio. Dopotutto, rimaneva incerto cosa sarà
del futuro dell’Uçk.
LE TRATTATIVE DI RAMBUOILLET
CRONOLOGIA DEGLI AVVENIMENTI (6 FEBBRAIO-23 MARZO 1999)
Quando si parla di “Conferenza di Rambuoillet” ci si riferisce al periodo complessivo 6
febbraio-23 marzo 1999 durante il quale un tentativo, a livello internazionale, di soluzione
delle problematiche relative alla pace ed all’assetto del Kosmet, è di fatto avvenuto
mediante convocazione delle parti da parte del Gruppo di contatto in due momenti
successivi5:
- dal 6 al 23 febbraio 1999 presso il “Castello di Rambouillet”;
- dal 15 marzo presso il “centro Kleber” a Parigi, per una continuazione del tentativo di
composizione pacifica della crisi, tentativo che viene considerato ufficialmente fallito il 23
5 Centro studi per la pace, http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=rambouillet
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marzo, data della risposta, sostanzialmente negativa, del presidente Milošević ai Co-
Chairmen del Rambouillet Meeting.
a.)Febbraio 1999- “La Conferenza di Rambouillet”
-6 febbraio: per iniziativa e su convocazione de Gruppo di contatto inizia nel castello di
Rambouillet la Conferenza di pace sul Kosmet aperta dal presidente francese J.Chirac. La
Conferenza appare subito molto “affollata” in quanto alle parti direttamente interessate,
serbi e albanesi, sono presenti le delegazioni di altri paesi ed organizzazioni internazionali,
tra le quali manca la Nato (oltre all’Onu che, in altre simili occasioni, ha svolto un ruolo
attivo di mediazione).
-14 febbraio: la scadenza in precedenza indicata viene prorogata fino al 20 febbraio in
quanti i progressi sono stati più lenti di quanto sperato.
-18 febbraio: è la data in cui, per la prima volta, serbi e albanesi si trovano di fronte una
bozza dell’Accordo aggiornata e completa di tutti gli allegati, incluse quindi tutte le parti
riguardanti la polizia, le forze militari ed il piano militare di attuazione dell’accordo stesso.
-20 febbraio: la scadenza dell’ultimatum del Gruppo di contatto viene raggiunta senza che
la Conferenza abbia prodotto un risultato definitivo (un Accordo). I colloqui vengono
quindi protratti di altri tre giorni, fino al 23 febbraio, sotto la guida del Segretario di stato
americano Madeleine Albright; ma anche i suoi tentativi non hanno avuto successo.
-23 febbraio: il testo finale del possibile accordo è pronto ma nessuna delle parti
contrapposte è disposta a firmarlo; il documento denominato “Interim Agreement for
Peace and Self-government in Kosovo”, non essendo stato firmato dalle parti, non viene al
momento reso noto. Si tratta comunque del documento fondamentale intorno al quale
ruota l’intera vicenda di Rambouillet. La data del 23 febbraio 1999 fotografa il fallimento
della Conferenza, che peraltro era stata convocata sotto la minaccia d’impiego della forza
militare nei confronti della parte responsabile del fallimento della stessa. Di fronte al
risultato scarso, che contrasta con l‘ampiezza della minaccia, il Gruppo di contatto si
adegua alla situazione ed emette una Dichiarazione finale (Final Statement) di una sola
pagina, riconvocando le parti a Parigi il 15 marzo.
b.) Marzo- continuazione della “Conferenza”
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-15 marzo: la Conferenza di pace per il Kosovo riprende a Parigi, al Centro Kleber, con gli
stessi partecipanti che il 6 febbraio si erano riuniti a Rambouillet, e con la presenza anche
dei rappresentanti militari della Nato. Obiettivo di questo secondo incontro è la firma, da
parte dei serbi che degli albanesi, dell’accordo già presentato nella sua versione integrale
definitiva il 23 febbraio (completo sia della parte politica che di quella militare relativa
all’attuazione dell’accordo stesso). Questa volta delegazione albanese kosovara si dichiara
subito disponibile alla firma del documento senza alcuna modifica, mentre la delegazione
serba presenta una diversa versione dell’accordo rispetto al testo del 23 febbraio. Gli
aspetti salienti della proposta serba sono costituiti da varianti e da omissioni riferite alla
parte politica dell’accordo, mentre tutta la parte militare dell’accordo viene completamente
stralciata.
-18 marzo: La Delegazione albanese firma l’”Interim Agreement”, mentre la Delegazione
serba si rifiuta e rientra a Belgrado. Un comunicato del gruppo di contatto “affiora”
formalmente i lavori nella speranza che una pausa di riflessione di cinque giorni consenta
un ripensamento da parte di Milošević.
- 19-22 marzo: nei confronti di Milošević si registrano ulteriori timidi tentativi di
convincimento inutili. La Nato si appresta all’esecuzione dell’”Ordine di Attivazione”,
sospeso il 27 ottobre, ma mai annullato, relativo a bombardamenti aerei progressivi sul
territorio jugoslavo.
-23 marzo: il presidente della Federazione jugoslava Slobodan Milošević risponde con una
lettera ai co-presidenti del Rambuoillet Meeting, confermando il rifiuto a firmare un
accordo che considera “imposto” e non frutto di un negoziato tra le parti.
-24 marzo: scaduto senza successo l’ultimo “ultimatum” posto ai serbi per la firma di un
accordo con gli albanesi, la Nato inizia i bombardamenti aerei sugli obiettivi già selezionati,
ubicati in territorio jugoslavo.
PARTECIPANTI ALLA CONFERENZA DI RAMBOUILLET
Risulta utile considerare “chi” ha partecipato all’incontro, ed a che titolo, anche perché
trattandosi di un “negoziato” internazionale del massimo livello è indispensabile chiarire
subito chi erano i “negoziatori” delle due parti contrapposte, chi svolgeva il ruolo di
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“mediatore-conciliatore” chi presiedeva all’organizzazione del tutto, e quale ruolo
svolgevano tutti gli altri, comunque convenuti, a pieno titolo nel castello.
Il ministro degli esteri francese Hubert Vedrine (anche nella veste di “padrone di casa”) ed
il ministro degli esteri britannico Robin Cook hanno svolto il ruolo di co-presidenti della
Conferenza.
Era difficile assicurarsi la partecipazione dei serbi che in un primo momento rifiutarono
l’idea di tenere i colloqui all’estero per non dare un implicito riconoscimento alla
dimensione internazionale della crisi, e contestarono la partecipazione dei rappresentanti
dell’Uçk. Alla fine, l’invito-ultimatum fu accettato anche da Belgrado, che decise però
d’inviare a Rambouillet una delegazione del tutto diversa da quella albanese. Mentre
quest’ultima copriva l’intero spettro politico kosovaro, e poteva dunque parlare con la
necessaria autorità, la delegazione serba aveva meno peso decisionale, per l’assenza del
personaggio che contava veramente: Slobodan Milošević. Egli si rifiutò di andare in Francia
per paura di essere raggiunto di un ordine di cattura che il Tribunale dell’Aja aveva già
spiccato segretamente contro di lui. La Albright gli telefonò per chiedergli di dare alla sua
delegazione istruzioni flessibili al fine di scongiurare la possibilità di guerra fra la Nato e la
Serbia. A Rambouillet però, Milošević mandò una delegazione di tredici persone, composta
da politici di secondo rango a cominciare dal vicepresidente del Consiglio di ministri serbo,
Ratko Marković e di quello jugoslavo Nikola Šainović, insieme al presidente della
repubblica di Serbia, Milan Milutinović, rappresentanti dei serbi e montenegrini, dei
albanesi, dei rom, dei turchi, dei gorani, dei musulmani e degli “egiziani”, tutti legati a filo
doppio al partito di Milošević o alla Sinistra jugoslava. Questa coalizione, chiamata anche
“coalizione arcobaleno”, voleva dimostrare la complessità etnica della Provincia e la
preoccupazione del governo di Belgrado di tutelare gli interessi di tutte le etnie che la
popolavano.
Il vero capo della delegazione serba era Nikola Šainović mentre Vladimir Štambuk,
vicepresidente del Parlamento serbo era “l’uomo” di Mira Marković (la potente moglie di
Milošević e la presidente del partito politico Jul). In pratica, gli unici ben “informati” erano
Šainović, Kutlešić, Štambuk e Marković, mentre gli altri, insieme agli esperti, erano
occasionalmente informati sull’andamento dei negoziati. Tanto è che Christopher Hill il 19
febbraio a Belgrado in un colloquio con il ministro degli esteri Jovanović, ha espresso il
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proprio scontento per quanto riguarda il mandato limitato della delegazione serba in
Francia.
La delegazione albanese era composta di sedici persone, tra le quali elementi di spicco
come Ibrahim Rugova (eletto in elezioni informali presidente del Kosmet nel marzo 1998,
capo del partito di maggioranza Ldk) e Hashim Thaçi (ventottenne rappresentante
dell’Uçk) che emergerà alla fine come vero leader della delegazione. Oltre a questi erano
presenti anche Bujar Bukoshi e Xhavit Haliti per la Lega democratica del Kosovo,
l’intellettuale Rexep Qosja, numero uno del Partito democratico unito (Ubd), vicino alla
guerriglia, gli editori dei quotidiani “Koha Ditore” e “Zeri”, Veton Surroi e Blerim Shala. La
nomina di Thaçi a capo negoziatore avvenne al termine di una votazione interna, in cui il
blocco Uçk-Ubd ebbe la meglio sulla Ldk. Il fatto che la guerriglia e le forze a lei vicine
fossero maggioranza in seno alla compagine albanese faceva cadere gli ultimi dubbi
sull’approccio occidentale alla facenda.
Il viaggio degli esponenti dell’Uçk verso la Francia non fu privo di contrattempi. Il fatto che
la Serbia avesse emanato un mandato di cattura per Thaçi e i vertici dell’Uçk e che il capo
della delegazione serba il costituzionalista Ratko Marković, avesse dichiarato che i serbi
non avrebbero negoziato con i guerriglieri, comportò una serie di problemi. I francesi
insieme ai britannici proposero di cambiare la composizione della delegazione albanese.
L’ipotesi venne respinta e Bradhul Mahmuti, importante fundraiser dell’Uçk, che arrivò a
parlare di cospirazione per tagliare fuori la guerriglia dei negoziati e promuovere un
accordo tra Rugova e i serbi. Alla fine, Thaçi e gli altri vennero imbarcati in extremis su un
aereo e portati a Rambouillet.
Va inoltre sottolineato che la delegazione kosovaro-albanese è stata affiancata da tre
esperti negoziatori del Dipartimento di stato americano che hanno fornito costante
assistenza tecnica alla stessa. Inoltre, fu presente la delegazione del Gruppo di contatto,
con i ministri degli esteri, o loro rappresentanti di Francia, Germania, Gran Bretagna,
Italia, Russia e Stati Uniti, ciascuno assistito da uno staff composto da collaboratori civili e
militari; la delegazione dell’Osce; la delegazione dell’Unione europea, con l’ambasciatore
austriaco a Belgrado, Wolfgang Petritsch, nel ruolo di “mediatore”; la delegazione russa,
con ambasciatore Boris Majorski nel ruolo di “mediatore”; la delegazione americana, con
l‘ambasciatore Usa in Macedonia, Christopher Hill.
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Abbiamo già detto che nessun rappresentante della Nato è stato invitato a partecipare e
ciò nonostante il fatto che proprio il timore (nel caso dei serbi) o la speranza (nel caso
degli albanesi) del suo intervento abbia spinto le due parti a recarsi a Rambouillet.
L’assenza della Nato fu voluta espressamente dal presidente francese Chirac, per rendere
più visibile la leadership europea e sminuire il ruolo dell’alleanza dove la parte del leone è
sempre comunque svolta sempre dagli Stati Uniti.
TAVOLI DEL NEGOZIATO
Si passa ora all’esame del “come” sono stati condotti materialmente i lavori, per capire
bene chi, tra i tanti, abbia svolto effettivamente un’attività di “negoziazione”.
Le due parti in causa, serbi e albanesi kosovari, i veri “negoziatori”, furono fisicamente
situate su differenti piani del castello e non si sono mai incontrate durante l’intera
“Conferenza”. Secondo la procedura dei proximity talks, cioè una specie di shuttle
diplomacy in miniatura, i tre “mediatori” (il russo Majorski, lo statunitense Hill e l’austriaco
Petritsch) facevano continuamente la spola tra i negoziatori, sottoponendo proposte, veti e
modalità di soluzione. Questa procedura è stata seguita per esplicita richiesta della parte
albanese ed ha fatto sì che un vero tavolo del negoziato non sia mai esistito.6
Con il passare del tempo è apparso più evidente che un vero negoziato si svolgeva invece
quotidianamente al tavolo degli albanesi. A più riprese particolarmente nella parte finale
della trattativa, sono infatti emerse le fratture esistenti tra i componenti della delegazione;
è così salita alla ribalta per la sua accentuata assertività ed intransigenza l’ala militare
dell’Uçk, facente capo a Thaçi, che ha preso il sopravvento sulla componente politica di
Rugova, relegandola del tutto in secondo piano.
Il terzo tavolo di negoziato, apparentemente meno rumoroso, è quello che si svolgeva
all’interno dello stesso Gruppo di contatto, dove le posizioni di americani, russi ed europei,
rappresentate dai rispettivi mediatori, entravano spesso in rotta di collisione tra esse.
Serbi e albanesi non sedettero mai allo stesso tavolo e s’ignorarono completamente. Gli
americani si concentrarono sulla delegazione albanese. I russi ascoltavano, raccoglievano
informazioni e piombavano poi nella sala riservata ai serbi, riferendo loro delle decisioni e
6 Kovačević Živorad, America i raspad Jugoslavije, Filip Višnjić, Begrad, 2007, p. 77.
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non-decisioni della parte avversa. Il fatto che i colloqui fossero a porte chiuse venne
aggirato dall’uso dei telefoni cellulari. Thaçi passò per esempio la maggior parte del tempo
a interloquire con i comandanti dell’Uçk specie quelli di Drenica.
Appare subito chiaro che a Rambuoillet gli interessi in gioco non erano solo quelli dei serbi
e degli albanesi ma quelli di tutti le parti presenti, a prescindere dal ruolo definitivamente
ricoperto “formalmente” di ciascuna. Ed è stata proprio questa molteplicità di attori e di
interessi, tra l’altro non sempre facilmente riconducibili ai veri interessi nazionali delle parti
presenti, a complicare notevolmente lo svolgimento del negoziato e, in un certo senso, a
mettere in secondo piano gli interessi primari delle parti in conflitto.
IL TESTO DELL’ACCORDO FALLITO DI RAMBOUILLET
Il 18 febbraio la parte “militare” dell’accordo fu presentata ufficialmente alle due
delegazioni, da Petrisch e da Hill, ma in assenza di Majorski, che voleva sottolineare in tal
modo di non condividerne il contenuto. I serbi lo rifiutarono con la spiegazione che si
tratta di un documento unilaterale che non esprimeva la volontà del Gruppo di contatto.
Anche gli albanesi si rifiutarono indignati non solo per una ribadita conferma della
sovranità jugoslava sul Kosmet, ma anche per la richiesta della smilitarizzazione dell’Uçk
entro tre mesi dall’ingresso della Nato nella provincia. Madeleine Albright mandò Hill a
Belgrado per contattare Milošević dimostrando così di essere disposta al compromesso, ma
questi, consapevole della macchinazione che veniva ordita alle sue spalle, non volle
neppure riceverlo. Nel frattempo, la Albright, fece ogni sforzo per convincere gli albanesi
dell’assoluta necessità di accettare il Piano Hill e i suoi annessi militari, senza cambiarne
una virgola. Queste argomentazioni non sembrarono convincenti i partecipanti più radicali
della delegazione albanese, costringendo così i mediatori a prolungare un’altra volta la
conferenza fino alle ore 13 del 23 febbraio. Per i serbi, che pensarono di poter approfittare
della situazione mettendo in gioco l’idea di una presenza internazionale in Kosmet, però
con caschi blu dotati di armi leggere sul modello di Unprofor in Bosnia&Hercegovina. La
Albright, però aveva le idee chiare: Il punto essenziale è che i serbi accettino la forza
Nato.7 Il 22 febbraio inviò alla delegazione albanese una lettera in cui prometteva
7 Pirjevec Joze, op.cit., p.593.
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formalmente che, dopo tre anni di transizione, sarebbe stato tenuto un referendum sullo
status finale del Kosmet, anche se ciò non era esplicitamente detto nel testo che sarebbe
stato firmato a Rambouillet. Se invece i serbi non avessero firmato l’accordo, sarebbero
stati puniti dall’intervento aereo della Nato. Inoltre, la Albright invitò il generale Clark a
Bruxelles affinché lo informasse dettagliatamente dei piano d’azione contro la Jugoslavia
che aveva preparato. Queste mosse non furono gradite dai francesi, impegnati a sabotare
la politica statunitense. Rifiutarono a Clark il permesso di entrare nel castello sostenendo
che la sua presenza avrebbe turbato la delegazione serba. Per superare la situazione, la
Albright doveva convincere il ministro degli esteri francese Vedrine a permettere che i
delegati dell’Uçk uscissero da Rambouillet per incontrare il generale Nato in base militare.
Thaçi all’ultimo momento suggerì il compromesso: i delegati albanesi avrebbero accettato
in via di principio l’accordo, incluso il rinvio dell’indipendenza, ma avrebbero posto la firma
sul documento loro presentato solo tra due settimane, così da poter spiegare in tutti i
dettagli al popolo e ai suo capi militari e politici quanto è stato negoziato in Francia.
Il 23 febbraio la delegazione albanese diede a Veton Surroi l’incarico di siglare, in nome di
tutti il testo dell’accordo. All’ultimo momento fu inclusa anche un’aggiunta che si riferiva
alla “volontà espressa dal popolo”, da prendere in considerazione dopo tre anni di
transizione. Tale linguaggio volutamente ambiguo mirava a consentire alle parti in lotta di
interpretarlo a proprio piacimento. Nella stessa frase fu citato anche l’atto finale di Helsinki
che sanciva l’inviolabilità delle frontiere in Europa, se non per mutuo accordo fra le parti
interessate. Si invitava il Consiglio di Sicurezza ad avallare con una risoluzione una forza
militare internazionale denominata Kfor (International Military Force in Kosovo).
In un primo momento sembrò che ci fossero ancora dei margini per il proseguo della
trattativa, che sarebbe dovuta ricominciare il 15 marzo a Parigi. La stampa belgradese
salutò l’esito dei colloqui come una grande vittoria di Milošević. Non era stata messa in
forse l’appartenenza statale del Kosmet e non era previsto (almeno ufficialmente) nessun
referendum alla scadenza dell’amministrazione provvisoria di tre anni. L’impegno di
Washington di negoziare con Milošević ha mandato il messaggio che è solo Milošević e
nessun altro ad autorizzare lo stanziamento delle forze di pace sul territorio jugoslavo. Il
ministro degli esteri diceva: In questa crisi, si tratta soprattutto di assicurare la supremazia
della Nato sulle altre organizzazioni internazionali e di dimostrare la dipendenza degli
europei rispetto agli americani…L’Uçk è stata costruita apposta per sostenere la tesi che
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nel Kosovo è in corso una guerra e che è necessario lo spiegamento di forze internazionali
in un paese europeo sovrano.8
In campo kosovaro albanese, si riaccese una dura polemica fra coloro che erano a favore
degli accordi e colo che erano contrari. Tutto però era stato deciso il 1° marzo quando il
quartier generale dell’Uçk nominò Hashim Thaçi candidato alla presidenza del governo
provvisorio del Kosmet. Per favorire il corso degli eventi, la Albright inviò il senatore Bob
Dole, da anni strenuo difensore dei diritti degli albanesi, e decise di invitare ufficialmente il
3 marzo alcuni rappresentanti dell’Uçk negli Stati Uniti per premiarli della loro
collaborazione.
Il 9 marzo Milošević emise mandati di cattura per otto “terroristi e separatisti albanesi” tra
i quali Hashim Thaçi, Jakup Krasniçi e Sulejman Selimi, il nuovo comandante in capo
dell’Uçk. Anche l’intervento di Holbrooke non sortì nessun effetto: Milošević rimase fermo
sulle proprie affermazioni, sostenendo si essere in grado di eliminare l’Uçk in una
settimana. Io, diceva, sono disposto a calpestare i cadaveri. L’Occidente no.9
La conferenza del 15 marzo nel Centro internazionale di Avenue Klébert, iniziò con la
minaccia rivolta a Milošević dal presidente Clinton: qualora gli accordi di Rambouillet
fossero firmati solo dagli albanesi, la Nato avrebbe bombardato le sue posizioni militari.
La parte serba rimase nella posizione del rifiuto di discutere lì l’attuazione militare, mentre
gli albanesi firmarono l’”accordo transitorio per la pace e l’autogoverno in Kosovo” il 18
marzo. Alla cerimonia, boicottata dai serbi, fu presente anche Boris Majorski, che rifiutò di
apporre la propria firma sul documento presentato nell’occasione. Il capo della
delegazione belgradese, Milan Milutinović, contestò l’accordo definendolo “un falso”, che
dopo Rambouillet era stato rimodellato a danno del suo popolo. Secondo, Vedrine e Cook,
l’ultima parola era del presidente serbo: La decisione, dev’essere presa da un uomo a
Belgrado.10
Con il trattato di Rambouillet vengono perseguiti fondamentalmente tre obiettivi: riportare
la pace nel Kosovo (Framework, art.II, punto 1), reinstaurare l'autogoverno della provincia
(preambolo all'accordo nonché Framework, I, 4) e garantire il diritto ad ognuno di
ritornare alla propria terra (Framework, II, 3). Inoltre i firmatari si impegnano ad imporre
un immediato cessate il fuoco non appena l'accordo venga reso esecutivo (Framework, II,
8 Ivi, p.595. 9 Milošević, cit. in Pirjevec Joze, ivi, p.597. 10 Ivi, p.598.
14
1). Entro nove mesi dalla firma dell'accordo (Capitolo 5, IV, 2) è previsto lo svolgimento di
elezioni per dare al Kosmet proprie ed autonome istituzioni nel quadro della permanenza
della provincia all'interno della federazione jugoslava (Capitolo 3, I-III).
Il rispetto dell'accordo è garantito dalla combinazione di disarmo delle parti contendenti
(milizie serbe ed Uçk in primis, Framework, II, 2) e contemporaneamente dalla presenza
di una “forza militare di implementazione della pace” (Kfor), che “le parti invitano la Nato a
costituire e guidare”(Capitolo 7, I, 1, a), mentre è previsto che l'esercito federale si ritiri
completamente dal Kosmet (a parte 1500 uomini che hanno il compito di pattugliare i
confini meridionali della provincia). Inoltre è prevista una Missione Internazionale simile a
quella in Bosnia prevista dagli accordi di Dayton che abbia i seguenti poteri (Capitolo 5, I-
V):
- supervisione e direzione dell'attuazione delle misure riguardanti gli aspetti civili
dell'accordo anche attraverso la possibilità di emettere “binding instructions” riguardanti
l'ordine e la sicurezza pubblica (Capitolo 2, I, 2);
- indicare alle autorità competenti ufficio o organi di istituzioni la cui rimozione sia
necessaria per l'attuazione del trattato e, se queste non dovessero prendere le decisioni
appropriate, la rimozione diretta di tali uffici o organi;
- fungere da mediatore in controversie tra le parti riguardanti l'applicazione di misure civili
del trattato.
Il trattato prevede poi particolari meccanismi di protezione per le minoranze etniche che
vivono nel Kosmet che è abitato al 90% da popolazione di cultura albanese. Infatti, una
quota del 30% (40 seggi su 120) del Parlamento kosovaro è riservata a non-albanesi
(secondo modalità di elezione esplicitate nel Capitolo 1, II, 1, i e ii). È previsto inoltre che
le forze di polizia rispettino nella loro composizione nell'esercizio dei loro poteri la
composizione multietnica della popolazione (Capitolo 2, I-VIII, ed in particolare I, 1 per il
divieto di discriminazioni basate su sesso, razza, colore, lingua, religione, opinione, origine
o condizione sociale, appartenenza a comunità nazionale o proprietà, nonché di ogni altro
stato) nonché un meccanismo che permette alla Criminal Justice Administration (un
organismo previsto e regolato dal Capitolo 2, II, 3, a-c) di richiedere (e provvedere
direttamente) alla rimozione dell'autorità giudiziaria inquirente competente qualora vi fosse
motivo di temere un pregiudizio anche etnico (Capitolo 2, VIII, 2, a).
15
L’“INTERIM AGREEMENT”: PERCHÉ NON È STATO FIRMATO
Il documento posto sul tavolo nella sua edizione definitiva il 23 febbraio 1999, dal titolo
Interim Agreement for Peace and Self-Government in Kosovo è fallito e come tale si è
formalizzato poi nell’appendice dei colloqui a Parigi, dove questo documento è stato
firmato dalla delegazione kosovara albanese ma non da quella serba.
L’Interim Agreement raccoglie in un unico documento, il pacchetto di intese riferito agli
importanti nodi da sciogliere; è articolato in un Preambolo e otto Capitoli, riguardanti sia
l’accordo politico sullo Statuto della Regione, sia le modalità di attuazione dello stesso, e
comprende un accenno all’assetto definitivo del Kosmet, da definirsi tre anni dopo l’entrata
in vigore dell’Accordo. I primi quattro capitoli più il sesto definiscono la parte politica
dell’accordo.
Oltre alla delegazione kosovara, anche quella serba aveva espresso un sostanziale accordo
su questa parte, senza peraltro formalizzarlo per iscritto. Nella lettera con cui i serbi hanno
chiesto un prolungamento dei lavori (con aggiornamento degli incontri al 15 marzo a
Parigi) hanno altresì manifestato lì intendimento di “continuare il negoziato anche su alcuni
passaggi del testo politico”. La lettera con la quale anche gli albanesi chiedono un
prolungamento dei lavori dà invece per scontata l’accettazione della parte politica e
ribadisce l’aspettativa di “referendum”, di una presenza militare Nato, nonché di
un’assistenza “bilaterale” per operare un processo di trasformazione dell’Uçk.
La parte più complessa rimaneva quella militare che si concreta nel Capitolo 7 e
nell’appendice B dello stesso. Si tratta delle questioni messe in discussione il 18 febbraio e
che hanno di fatto portato al fallimento del negoziato.
Le principali obiezione serbe riguardavano la parte militare dell’accordo nel suo complesso
mentre per gli albanesi non erano sufficientemente chiari alcuni aspetti della parte
militare, e, in particolar modo il futuro assetto del Kosmet. Le motivazioni di fondo che, il
23 febbraio 1999, hanno portato al rifiuto alla firma da parte di ambedue le delegazioni,
possono essere così sintetizzate:
1.) da parte kosovaro-albanese:
-la mancanza di una prospettiva certa di referendum al termine dei tre anni di periodo
transitorio (la Albright ha anche proposto agli albanesi di cambiare la parola “referendum”
con la formulazione “la volontà del popolo” ma gli albanesi rifiatarono lo stesso);
16
-la richiesta di smilitarizzazione completa dell’Uçk, prevista esplicitamente dal testo, e
quindi la sua dissoluzione.
2.) da parte kosovaro-serba:
-l’impossibilità di accettare una presenza militare internazionale a guida Nato sia sul
territorio del Kosmet, sia sull’intera Repubblica Federale Jugoslava, a garanzia
dell’attuazione dell’Accordo;
-la mancata approvazione, da parte russa, della sezione militare dell’accordo (anche
perché tagliava fuori l’Onu dove la Russia ha diritto di veto), il che consentiva alla
delegazione serba di far leva su un aspetto tecnico di principio, e cioè che essendo stata
convocata dal Gruppo di contatto, non accettava di prendere in considerazione un
documento prodotto solo da una parte (quella occidentale) del Gruppo stesso. Ciò proprio
dal momento che la parte militare del testo era stata presentata come “non negoziabile”11;
-una mancata determinazione nel tentare di raggiungere un accordo, che non era apparso
impossibile, sulla parte politica, rinviando ad un passo successivo la negoziazione della
parte esecutiva militare;
-diciotto ore prima della scadenza prevista per la fine della Conferenza, alla delegazione
serba sono stati presentati tre capitoli, cioè un documento di ottantuno pagine che
riguardava oltre la presenza della Nato nella Rfj, la possibilità di un referendum sullo
status del Kosmet dopo tre anni. Così è stata accontentata la parte albanese ma è data
anche la possibilità alla parte serba di interpretare diversamente questo articolo. In ogni
caso, Milošević aveva tutti motivi di capire l’articolo come una stabile possibilità per una
futura indipendenza del Kosmet.
“LETTERA DI MILOŠEVIĆ” CON MOTIVAZIONI UFFICIALI SERBE (23 MARZO
1999)
Nella lettera, datata 23 marzo 1999, inviata dal presidente jugoslavo Milošević ai due co-
chairman della Conferenza, troviamo le motivazioni ufficiali del rifiuto serbo.
La lettera fa riferimento agli aspetti procedurali del cosiddetto negoziato di Rambouillet;
aspetti che, peraltro, vengono considerati sostanziali in quanto Milošević tra l’altro scrive: i
colloqui a Parigi non hanno avuto luogo per niente. La delegazione del governo della
11 Kovačević Živorad, p.80.
17
Repubblica di Serbia e i rappresentanti dei separatisti albanesi e del movimento terroristico
non si sono mai incontrati per parlare […] Il documento che chiamate “Rambouillet
agreement” non rappresenta il “Rambouillet agreement”, perché sia a Rambouillet che a
Parigi, le persone venute per negoziare non hanno negoziato. Non ci sono stati colloqui tra
loro, perciò non ci può essere un documento comune da accettare o respingere.12
Alla fine della lettera Milošević non considera formalmente chiuso il negoziato e dichiara la
sua disponibilità a negoziare per risolvere i problemi del Kosmet con mezzi pacifici. Alcuni
studiosi sono del parere che Milošević si sia sentito minacciato più dalle truppe Nato
presenti nel territorio jugoslavo che dai bombardamenti.
RIFLESSIONI SUL FALLIMENTO
Alla luce di quanto detto si possono fare le seguenti ipotesi circa le circostanze che hanno
determinato del fallimento dell'accordo:
1.) Legittimazione dell'Uçk: l'invito di rappresentanti dell'Uçk ha reso la trattativa “una
partita a quattro”: Nato, Russia, Repubblica Jugoslava e Uçk, con la conseguenza che non
solo la mediazione tra le parti è diventata più difficile, ma ha introdotto anche la difficoltà
decisiva che, acquistata la legittimazione a trattare, l'Uçk si è sempre rifiutato di deporre le
armi. Anzi, l'Esercito di liberazione ha disconosciuto la rappresentatività di Rugova, che
rimane l'unico legittimo rappresentante della minoranza kosovara in quanto
democraticamente eletto nelle elezioni clandestine del marzo del 1998.
2.)Presenza di forze militari Nato: si è già accennato al fatto che il trattato parla della
presenza di una forza di implementazione militare (Kfor) che, su invito delle parti, sarà
composta da forze Nato. Il Capitolo 7 che regola tale “corpo militare di pace” è corredato
da un'appendice (Appendix B del trattato rubricato Status of multi-national military) che al
suo articolo 8 recita13: Il personale Nato dovrà godere, con i suoi veicoli, vascelli, aerei ed
equipaggiamento di libero ed incondizionato transito attraverso l'intero territorio della
Federazione delle Repubbliche Jugoslave, ivi compreso l'accesso al suo spazio aereo e alle
sue acque territoriali. Questo dovrà includere, ma non essere a questo limitato, il diritto di
12 Ivi, p.238. 13 www.state.gov/www/regions/eur/ksvo_ramboillet_text.html
18
bivacco, di manovra e di utilizzo di ogni area o servizio necessario al sostegno,
all'addestramento e alle operazioni.
Precedentemente, all'articolo 7, l'appendice estende alle truppe Nato operanti nella
Repubblica Federale Jugoslava (in tutto il suo territorio) lo status di cui godono quelle che
operano, per esempio, in Italia. Vi si dice che il personale Nato sarà immune da ogni
forma di arresto, inquisizione e detenzione da parte delle autorità della Repubblica
Federale Jugoslava. Il personale della Nato erroneamente arrestato o detenuto dovrà
essere immediatamente riconsegnato alle autorità Nato.Milošević ha firmato a Dayton
l’accordo tra la Frj e la Nato riguardante il transito operativo concordato con l’Accordo di
pace che negli articoli 2, 3 e 4 stabilisce le stesse regole come gli accordi di Rambouillet.
L’annesso B, infatti, è il cosiddetto Sofa-Status of Forces Agreement che la Nato e gli Stati
Uniti prevedono per i casi nei quali le loro forze devono implementare gli accordi di pace.
3.)Autonomia o indipendenza: la distribuzione dei singoli poteri attribuita al Parlamento
kosovaro e ai rapporti con la Repubblica Federale Jugoslavia e alla Serbia in sintesi,
secondo quanto previsto dal trattato, il Kosmet avrebbe dovuto godere di un'autonomia
particolarmente ampia, dotato di Parlamento, Presidente e Governo propri che avrebbero
avuto una competenza esclusiva (Capitolo 1, II, 5) sulla maggior parte delle questioni
relative al Kosmet, compresa l'amministrazione locale, l'educazione e la sanità. Inoltre al
Kosmet sarebbe stato consentito di avere proprie relazioni estere, mentre la Repubblica
federale avrebbe mantenuto l'esclusivo esercizio di politica monetaria e difesa(Capitolo 1,
I, 1ss.).
In realtà la parte più controversa e discussa ai vertici di Rambouillet è stata quella
contenuta al Capitolo 8, I, 3 che recita14: Tre anni dopo l'entrata in vigore del presente
accordo sarà convocata una riunione internazionale al fine di definire una procedura per
giungere a una soluzione definitiva in Kosovo, sulla base della volontà popolare (“on the
basis of the will of the people”), del punto di vista delle autorità competenti relativamente
agli sforzi compiuti da ogni parte rispetto all'applicazione del presente accordo e dell'Atto
finale della conferenza di Helsinki; e inoltre per intraprendere una valutazione completa
14 www.state.gov/www/regions/eur/kosovo_ramboillet_text.html
19
dell'applicazione dei presente accordo; e per prendere in considerazione le proposte
avanzate da qualsivoglia parte per disposizioni aggiuntive.
È in questo passaggio che emerge l'ambiguità d della trattativa. Nonostante la parola
“referendum” non compaia nel testo, gli albanesi del Kosovo ritengono che la menzione
delle “aspirazioni del popolo” significhi nei fatti un referendum sull'indipendenza di questa
provincia serba. In sintesi i punti principali del trattato sono che Gli Accordi di Rambouillet
costituiscono un'intesa ad interim della durata di tre anni che provvederà a un'autonomia
democratica, di pace e sicurezza per tutti gli abitanti del Kosmet. L'autonomia democratica
contemplerà tutte le questioni di importanza quotidiana per il popolo del Kosmet, quali
l'istruzione pubblica, la sanità, e lo sviluppo economico. Il Kosmet avrà un Presidente, un
Parlamento, un proprio tribunale, un governo locale e istituzioni comunitarie nazionali. La
sicurezza sarà garantita da truppe internazionali schierate sull'intero territorio della
provincia. La polizia locale, in rappresentanza di tutte le comunità nazionali nel Kosovo,
farà osservare le leggi ordinarie. Un'assemblea internazionale sarà convocata dopo tre
anni per definire una soluzione definitiva per il Kosmet. La volontà del popolo sarà un
fattore determinante.
Una serie di grossolani errori tattici ha fatto andare alla deriva le trattative di pace per il
Kosmet, sottraendo agli Stati Uniti il risultato netto che essi cercavano come base per
un'azione militare della Nato contro i serbi. Tutti gli incontri del Segretario di Stato Usa
avevano come obiettivo convincere gli albanesi che la firma dell'accordo significava gettare
la palla nel campo dei serbi ed esporli a una pressione che non esclude attacchi militari
contro obiettivi serbi nel caso in cui Belgrado non dovesse firmare l'accordo. Il Segretario
di Stato Madeleine Albright è rimasta costernata quando ha sentito i leader degli albanesi
rifiutare di dare un sì deciso ai piani dei mediatori internazionali per un periodo
temporaneo di autonomia del Kosmet della durata di tre anni, sotto la sorveglianza di
truppe Nato. Gli americani avevano pensato di avere gli albanesi nelle loro tasche. Hanno
sbagliato i loro calcoli, come ha detto un funzionario europeo.
La Russia, propensa a limitare il ruolo della Nato, ha sostenuto la richiesta dei serbi che gli
accordi militari siano separati da quelli politici. L'Italia, che fa parte della Nato, ha
suddiviso equamente le colpe tra serbi e albanesi. La Francia e la Gran Bretagna, i due
20
paesi copresidenti della conferenza, erano interessate a lasciare ulteriore tempo per far sì
che la loro conferenza fosse un successo.
l’APPENDICE B: LA CAUSA DEL FALLIMENTO DEI NEGOZIATI?
È interessante confrontare alcune disposizioni chiave con il testo sottoscritto a Dayton,
anche perché la gran parte del testo ricalca parola per parola l’annesso corrispondente
(1A) dell’accordo sulla Bosnia. Prima di tutto, il ruolo del Consiglio di Sicurezza muta. Per
Dayton esso autorizzava gli Stati membri a creare una forza militare internazionale a guida
Nato, aprendo la porta ad un compromesso con la Russia, a Rambouillet il Consiglio di
Sicurezza è invitato ad approvare una risoluzione che dia l’assenso e adotti la creazione di
una forza militare. Allo stesso modo, il ruolo di leadership della Nato viene espresso in
maniera assai più diretta, evidentemente senza preoccuparsi molto dell’assenso della
Russia. Questa parte della bozza di Rambouillet sembra essere fatta apposta per rendere
impossibile l’appoggio del governo di Mosca.
Quanti hanno scritto relativamente all'“appendice B” hanno sostanzialmente affermato:
a)l'“appendice” in questione era segreta e fu resa pubblica solo in aprile;
b)l'“appendice” in questione, e tutta la parte relativa all'implementazione militare fu
segretata nei confronti della delegazione negoziale serba fino al giorno prima della rottura
delle trattative, cioè il 17 marzo e fu quindi un'aggiunta “dell'ultimo minuto”;
c)l'“appendice” in questione non era conosciuta, fino al 17 marzo, da nessuno, neppure
dagli alleati Nato degli Stati Uniti;
d)di conseguenza il testo firmato dalla delegazione kosovara albanese il 18 marzo è molto
diverso da quello uscito dalla conferenza a Rambouillet il 23 febbraio;
e)la delegazione negoziale serba aveva accettato la parte politica dell'accordo, ma
l'“appendice” in questione implicava l'occupazione di tutta la Jugoslavia da parte della
Nato, e come tale inaccettabile dalla Federazione Jugoslava: fu cioè il casus belli che fece
fallire i negoziati sul Kosmet.
L'“appendice B” era segreta? Sarebbe il primo caso di un documento che è al contempo
segreto e disponibile gratuitamente a milioni di persone. Il testo di Rambouillet inclusivo
21
della parte di “implementazione militare” e dell'“appendice B” era disponibile da fine
febbraio 1999 sul sito Internet del “Balkan Action Council”. Che vari giornalisti se ne siano
accorti solo ad aprile (quando l'inizio dei bombardamenti faceva diventare il Kosovo e
Rambouillet notizia di prima pagina e non solo questione di “specialisti”) è altro discorso.
La mancata diffusione pubblica del documento conclusivo e il fatto che alcune ‘bozze di
accordo’ venissero sottoposte direttamente in lingua inglese, con lieve disappunto dei
francesi presenti per l’offesa al bon ton diplomatico da sempre bilingue, è solo uno dei
paradossi della conferenza di Rambouillet.
L'“appendice B” prevedeva l'occupazione militare di tutta la Federazione Jugoslava da
parte della Nato ed i negoziati fallirono a causa di questo?
La delegazione serba e tutti i mass media della Federazione Jugoslava non hanno mai
affermato una cosa del genere. Essendo i diretti interessati, la loro opinione al proposito è
da ritenersi significativa, e unanimemente hanno sempre affermato che il testo di
Rambouillet non venne firmato perché prevedeva la presenza della Nato in Kosovo. Il
casus belli non fu l'“appendice B”, ma la presenza della Nato in Kosovo.
L’ annesso B del capitolo 7 sull’implementazione militare è quello che ha dato luogo ai
dibattiti più controversi. Il testo riprende le disposizioni di Dayton, che prevedevano ampie
libertà di movimento per le forze armate dell’Ifor. Questa volta vengono ripetute le stesse
formule, ma per tutto il territorio della Jugoslavia. Fonti diplomatiche occidentali, tra cui lo
stesso Petritsch, sostengono che il testo non intendeva prevedere l’accesso armato della
missione Nato a tutta la Jugoslavia, ma esclusivamente il transito. Se questo era lo scopo,
risulta però difficile capire perché gli autori della bozza non abbiano riprodotto, invece
dello statuto sulla Bosnia-l’accordo di Dayton fra l’alleanza e la Jugoslavia stessa. In
quest’ultimo si precisa che il governo della Rfj permetterà il libero transito sul proprio
territorio a personale e mezzi della Nato. Belgrado avrebbe accettato tali misure, in realtà
lo aveva già fatto ai tempi di Dayton.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Prima, durante e dopo la conferenza di Rambouillet si tennero non una ma tre trattative: i
paesi occidentali trattarono in parallelo da un lato con gli albanesi, dall’altro con i serbi;
inoltre, i cinque paesi della Nato all’interno del Gruppo di contatto si confrontarono
22
continuamente con la Russia. Ad un certo punto ci fu l’impressione che il problema del
Kosmet passava in secondo piano.
La Conferenza di Rambuoillet sembrava l’applicazione della cosiddetta diplomazia alibi,
cioè dare un alibi per l’impiego necessario delle forze armate visto che tutti gli strumenti
diplomatici non hanno portato ad una soluzione pacifica della difficile situazione nella
provincia.
Henry Kissinger, l’ex-segretario di stato statunitense e consigliere della Sicurezza
nazionale, ha detto per il Daily Telegraph15: tekst iz Rambujea, kojim se zahteva
stacioniranje trupa Nato-a na celokupnoj teritoriji Jugoslavije bio je provokacija! To je bio
izgovor za otpočinjanje bombardovanja. Dokument iz Rambujea je bio takav da ga nijedan
Srbin ne bi prihvatio. Ovaj učasni diplomatski dokument nikada nije trebalo da bude
prezentiran na takav način.
Alcune fonti affermano che Milutinović ha offerto alla Albright l’uso delle basi militari in
Kosmet. In questo modo la Nato potrebbe osservare meglio l’implementazione degli
accordi di Dayton. Milutinović, in un’intervista alla BBC, ha detto che aveva proposto anche
a Christopher Hill le basi commerciali in tutta la Rfj, ma che non ha ottenuto nessuna
risposta. Durante i colloqui con Hill, Milutinović avrebbe fatto un’osservazione
interessante16: Kris, ja mislim da bi najbolje bilo da mi uđemo u Nato.
Rambouillet fu un diktat al governo serbo?17 Sicuramente Rambouillet fu un ultimatum alla
Serbia. Ma non fu solo, o tanto, questo: fu un doppio ultimatum. Alla Serbia per ciò che
riguardava lo stazionamento di truppe Nato in Kosmet, e ai kosovari albanesi per ciò che
riguardava l'abbandono della loro rivendicazione principale, l'indipendenza. I kosovari
albanesi accettarono il diktat, anche se questo comportò la fine politica di Adem Demaçi,
l'allora rappresentante politico dell'Uçk. Il suo portavoce di allora, Albin Kurti, poi
sequestrato dalla polizia serba, affermò lucidamente che “questo piano non porterà la
15 Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento. Rambouillet non è un documento che un serbo angelico avrebbe potuto accettare. Era un pessimo documento diplomatico che non avrebbe dovuto essere
presentato in quella forma.Kissinger, cit. in Kovačević,op.cit., p.253. 16 Chris, penso che sarebbe meglio se entrassimo anche noi nella Nato, Milutinovic cit. in Kovačević, ivi, p.254. 17 La Convenzione di Vienna sulla legge contrattuale internazionale del 1980 (art.51,52) proibisce ad uno stato di firmare i contratti internazionali contro la propria volontà.
23
pace nei Balcani, e non darà la libertà e i diritti che spettano al popolo kosovaro”, mentre
Adem Demaçi venne definito da James Rubin il 23 febbraio “il maggiore ostacolo al
processo di pace”.
Per strappare l'accettazione da parte dei kosovari albanesi la diplomazia internazionale non
si fermò di fronte a nulla: a Rambouillet, mentre da un lato venivano fatte pesanti minacce
militari (ovviamente indirette) e politiche nei confronti dell'Uçk, d'altro lato circolò una
lettera (datata 22 febbraio) da parte dell'amministrazione americana che rassicurava i
kosovari albanesi circa la tenuta di un referendum in capo a tre anni lettera che fu solo
uno “specchietto per le allodole” non essendo mai stata firmata. Quando poi Thaçi lesse il
23 febbraio la lettera di accettazione “in linea di principio” del documento, affermando che
considerava comunque imprescindibile l'espressione della volontà popolare in Kosovo, i
diplomatici occidentali si affrettarono a specificare che si trattava di dichiarazioni
“unilaterali e quindi irrilevanti”.
Predrag Simić ha ricordato in modo credibile la posizione negoziale degli statunitensi18:
Accettate 28.000 soldati della Nato in Kosovo. Sul resto a noi va bene qualsiasi cosa. Il
regime di Belgrado decise di non accettare il diktat e di puntare tutte le carte su una
divisione del Kosmet manu militari. La conclusione è nota. La Nato pensava che con
qualche giorno di bombardamenti Belgrado avrebbe accettato Rambouillet. Belgrado
pensava di poter arrivare alla divisione del Kosovo come riuscì in passato ad arrivare alla
divisione della Bosnia. I kosovari albanesi pensavano che sarebbe giunta l'ora della
liberazione nazionale.
Alla fine se gli organizzatori (in particolare gli americani) fossero davvero interessati a
raggiungere gli accordi non avrebbero organizzato la conferenza in una settimana,
impedendo così alle parti di organizzarsi meglio (tutte e due le parti al proprio interno
avevano due correnti, una più dura e una più disposta ai compromessi). Poi, non
avrebbero permesso Thaçi di divenire il capo della delegazione albanese al posto di
Rugova, leader storico del movimento non-violento albanese. Infine, la cosa non meno
importante, gli organizzatori dovevano assicurarsi della presenza di Milošević, che era
unica persona in grado di fornire necessarie concessioni (come a Dayton). In ogni caso, la
conferenza è finita con la considerazione che c’è stata conformità sulla parte politica del
documento, anche se la parte serba non ha firmato.
18 Predrag Simić, cit. in Kovačević Živorad, op.cit., p.265.
24
Peraltro la parte serba ha mostrato i comportamenti poco coerenti. Ha insistito nel non
parlare con gli albanesi di persona, ma ha anche rifiutato di negoziare con l’Uçk, che in
quel momento, anche secondo fonti serbe, aveva tutto il potere in Kosmet, dunque, de
facto doveva far parte dei negoziati (Milošević durante i negoziati ha anche chiesto
all’Interpol di arrestare Thaçi, il capo della delegazione albanese). La delegazione serba, in
più ha perso dieci giorni insistendo di mettere i principi del Gruppo di contatto nell’Accordo
sapendo che gli albanesi non accetteranno il principio della sovranità e dell’integrità
territoriale della Jugoslavia in Kosmet. Alla fine, Milošević ha anche rifiutato la visita di Hill
del 19 febbraio a Belgrado.
Comunque tutte le tre parti hanno concluso che sicuramente ci sarà l’intervento militare, e
che l’intervento sarà di breve durata. Hanno sbagliato tutti. Gli americani e gli albanesi
pensando che Milošević avrebbe capitolato presto dopo l’inizio dei bombardamenti; lo
stesso Milošević ha sbagliato a pensare che l’intervento non durerà perché la Cina e la
Russia erano contro. L’unica differenza è che lo sbaglio di Milošević è costato di più.
BIBLIOGRAFIA Kovačević Živorad, America i raspad Jugoslavije, Filip Višnjić, Begrad, 2007. Pirjevec Joze, Le guerre jugoslave, Einaudi, Torino, 2002. Centro studi per la pace, http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=rambouillet Us Department of State www.state.gov/www/regions/eur/ksvo_ramboillet_text.html