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N° 25 - GIUGNO 2010 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P .A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV . IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR i n VERONA

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N° 25 - GIUGNO 2010 - TRIMESTRALE EDITO DALLO STUDIO EDITORIALE GIORGIO MONTOLLI - POSTE ITALIANE S.P.A. - SPED. IN ABB. POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) ART. 1, COMMA 1 - DCB VR

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per difendere il lavoro e liberare i diritti

a fianco dei lavoratori e dei pensionati

contro il precariato giovanilee per salari più equi

INSIEME FUORI DALLA CRISI

CGIL - CISL - UIL VERONA

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L’approvazione della norma sul le-gittimo impedimento; la legge ba-vaglio che colpisce magistrati, edi-tori e giornalisti; le insistenze delpremier per una riforma della Co-stituzione; la mancata partecipa-zione dei ministri della Lega allaFesta della Repubblica; l’inchiestaG8 per far luce sul sistema di favo-ri per prendere appalti ; gli sciope-ri in difesa dello Statuto dei lavo-ratori. Questo lo scenario italianodegli ultimi mesi. A livello locale possiamo elencarel’impoverimento della Fondazio-ne Arena per effetto del decretoBondi (e per una mancata ristrut-turazione interna); i tagli ai finan-ziamenti statali che mettono incrisi il progetto per la tranvia; l’au-mento delle multe (compresequelle ai commercianti); la ricom-parsa di vecchi nomi legati a “tan-gentopoli” nella gestione delleaziende comunali; l’aumento deiConsigli di amministrazione (edei relativi stipendi) negli entipubblici; la scomparsa delle rondedalle strade cittadine; l’odioso CIE(Centro di identificazione e diespulsione) che potrebbe trovaresede a Verona. Poi c’è il traforo chenon convince: i tempi per farlo, isoldi che costa, i possibili danni al-la salute... (p. 9).Politicamente a Verona è stato unperiodo di rimpasti, anche comeconseguenza delle elezioni regio-nali. Nel momento in cui scrivia-mo abbiamo un sindaco che vole-va tornare in Regione come gover-natore ma che alla fine ha dovutocedere il passo a Luca Zaia. Ancheil successivo tentativo di ricucire lostrappo con il Quirinale, invitan-do a Verona Napolitano, non staproducendo i risultati sperati. Fla-vio Tosi continua a dire che fare ilsindaco di Verona è bellissimo, mail rischio è che le sue parole venga-no prese troppo sul serio.Del resto non sfuggono alcuni me-riti: porta elegantemente la fasciatricolore per la festa del 2 giugno esi batte contro la sua stessa mag-gioranza, che siede nei dicasteri ro-

mani, per quel riconoscimento diVerona “città virtuosa” che dovreb-be ridimensionare i tagli della ma-novra e darci un po’ di ossigeno.Tra le novità abbiamo anche unveronese (d’adozione) a PalazzoChigi: Aldo Brancher è infatti di-ventato ministro per il Decentra-mento e la sussidiarietà, mentre èin corso un processo a suo caricoper appropriazione indebita per ifatti di Antonveneta.A proposito di federalismo fiscale:ve lo ricordate Bossi che voleva ilParlamento della Padania? Ebbenegià togliendo l’ICI dalla prima casail Governo aveva dato segno di direuna cosa e farne un’altra, ma ades-so appare chiaro anche al popolo –che dalle nebbie padane piano pia-no sta uscendo – che con i tagli fat-ti agli enti locali nell’ultima finan-ziaria il federalismo fiscale farà lafine del parlamento Padano.Tagli, crisi economica, recessione.Finché sono parole può anche es-sere la solita propaganda comuni-sta, ma quando i nostri figli nontrovano lavoro o vengono licenzia-ti, quando mancano i soldi per farlistudiare, quando escono dall’uni-versità e rimangono disoccupati,allora uno si chiede cosa stiano fa-cendo quelli giù a Roma per risol-vere il problema. E se vedi che i figliche sistemano sono i loro ma non ituoi, allora ti viene il sospetto di es-sere preso in giro. E ti arrabbi.Come accadeva prima degli anniSessanta per le classi meno ab-bienti, oggi i figli dei nuovi poveririschiano di non avere l’accesso al-l’università. Lo spiega bene l’in-chiesta di Michele Marcolongo (p.4): se non hai capitale sociale, cioèuna famiglia con gli agganci giusti,certi lavori te li scordi. E questagente, questo popolo sempre piùalle corde, è la stesso che ha votatoin massa Lega alle ultime consul-tazioni popolari. Che in parte èanche quello che lavora nelle fab-briche e che conserva in tasca latessera sindacale, perché qualcunoche ti protegga dalle angherie allafine ci vuole.

Primo p iano

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In copertina: studenti universitari

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ioE qui ci sta anche un ragionamen-to sull’articolo 41 della Costituzio-ne, che Berlusconi dice di volermodificare per favorire la libertàd’impresa. L’abbiamo riletto l’arti-colo 41 ed è paradossale che inizicon queste parole: “L’iniziativaeconomica privata è libera”. Lastessa libertà che oggi permette aFIAT di decidere dove produrre laPanda: a Tychy in Polonia, dove silavora sodo e si produce di più, o aPomigliano d’Arco, in Campania,dove è vero che l’assenteismo hatoccato livelli deplorevoli. Sempre l’articolo 41 lega l’impresaall’utilità sociale, e quindi introdu-ce valori come la solidarietà e la ri-cerca del bene comune, ponendo lapersona e non il profitto al centro-della produzione. Valori messi indiscussione da un capitalismo bie-co dove l’unico dio è il denaro. Laconclusione è ovvia: la lotta all’as-senteismo non ha nulla a che farecon la riforma della Costituzione, icui valori sono attuali e addiritturaessenziali per uscire dalla crisi. A proposito di dio in questo nu-mero di Verona In trovate una pre-sentazione della comunità degliStimmatini di Sezano (p. 26 ). Pareche tra le mura del monastero sisvolga un’operazione archeologicadi recupero del messaggio cristia-no (e spirituale in genere). Chi fre-quenta l’ambiente dice che va beneper credenti e non credenti. Terre-mo d’occhio i frati perché qualcu-no che faccia un po’ di luce ritenia-mo possa essere di qualche utilità.L’ultimo pensiero è per i sanzena-ti, alle prese con un parcheggio chenon vogliono (p. 14). Li ricordia-mo con le parole di ElisabettaZampini (p. 30), nel suo articoloche parla del rapporto tra i luoghie la gente che li abita: «Ogni indi-viduo, così come ogni comunità,costruisce la propria mappa iden-titaria formata dai caratteri esteticidi un paesaggio, dalla frequenta-zione, dall’agire, dalla formazionedi memorie».Ma è così difficile da capire?

g.m.

www.verona-in.it

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di Michele Marcolongo

C’è stato un tempo in cui, comerecitava una nota canzone del pe-riodo della Contestazione, anchel’operaio voleva il figlio “dottore”.La storia ha accontentato questadomanda di promozione socialesolo in parte. Se è vero, infatti, chela distribuzione dei laureati perclasse sociale di provenienza risul-ta abbastanza omogeneamente ri-partita tra borghesia, classe impie-gatizia, piccola borghesia e classeoperaia, è anche vero che negli ul-timi quaranta anni i titoli di studiosono andati incontro ad una gene-rale svalutazione, tanto che i di-plomati di oggi spesso entrano infabbrica partendo dalle qualifichepiù umili, mentre i laureati devo-

no penare anni per trovare il lorospazio e superare la barriera deimille euro mensili di retribuzione. La grande richiesta di diplomatida parte del tessuto produttivo (fi-no al 47% delle assunzioni previ-ste), evidenziata ogni anno da ri-cerche come quelle del SistemaExcelsior, dipende più dall’accre-sciuta scolarizzazione degli ultimidecenni piuttosto che da una realeesigenza del sistema produttivo,che di certo non brilla per capacitàdi innovazione nemmeno in que-sto periodo di crisi. Come eviden-ziano chiaramente i dati Almalau-rea (il più grande e completo data-base italiano in materia), tra glistessi laureati il “pezzo di carta”viene ritenuto più “utile” che “ne-cessario”. Nel migliore dei casi, la

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Nel lungo periodol’investimento

negli studi superiori è ancora conveniente

tuttavia, considerandol’alta vocazione alla

precarietà propria del nostro tessuto

economico, il sistemacondanna i candidatiad una lunga e spesso

estenuante trafilaverso la stabilizzazione

Diplomati che finiscono in fabbrica e laureati che faticano a trovare (quando ci riescono) un’occupazione stabile.

L’odissea dei giovani veronesi nel difficile passaggio dai banchi di scuola al mondo del lavoro, in tempi in cui i titoli

di studio sembrano valere sempre meno

SCUOLA E LAVORO

La fabbricadei disoccupati

laurea è un titolo che va preso per-ché viene richiesto dalla legge peraccedere al praticantato in profes-sioni protette tipo quelle forensi, icommercialisti o gli architetti. Ed èa questo punto, del resto, che ri-emergono le differenze (se nonproprio quelle di classe almenoquelle) di ceto, perché l’accesso,nonché il successo, negli studi uni-versitari, e successivamente nelcampo lavorativo, è legato in mi-sura significativa ad altri fattorisociologici quali il titolo di studiodei genitori e, più in generale, aquel “capitale sociale” fatto di rela-zioni, conoscenze ed “entrature”che si sviluppa sottotraccia por-tando ad una “naturale” selezionedei ragazzi fin in tenera età.Le statistiche assicurano che nel

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lungo periodo l’investimento ne-gli studi superiori è ancora relati-vamente conveniente sia in ter-mini monetari che di soddisfa-zione lavorativa, tuttavia, consi-derando l’alta vocazione alla pre-carietà propria del nostro tessutoeconomico, il sistema condanna icandidati ad una lunga e spessoestenuante trafila verso la stabi-lizzazione che in questo periodoha esposto alla mannaia della cri-si decine di migliaia di giovani:quelli dei precari (20 mila solo aVerona, 115 mila nel Veneto) so-no stati i primi posti di lavoro avenire tagliati all’inizio della crisi,tra ottobre 2009 e gennaio 2010. Partendo da una fotografia dellacondizione scolastica a Verona re-lativa all’anno scolastico2008/2009, fornita dal databaseArof per l’istruzione secondaria,cerchiamo allora di ricostruire(con le necessarie approssimazio-ni e senza pretesa di scientificità)la selezione che spinge i giovaniin una direzione piuttosto che inun’altra.

L’ISTRUZIONE SECONDARIA

Ogni anno escono dalle scuolemedie di Verona (pubbliche e pri-vate) circa 8 mila studenti, con untasso di bocciatura relativamentebasso. Nell’anno scolastico

2008/2009, ad esempio, hannofrequentato la terza media 8.585studenti, con un livello di boccia-tura del 3,9% (326 studenti). La grande scrematura cominciagià dal primo anno delle superio-ri, per consolidarsi tra il secondo eil terzo anno, separando chi è“adatto” a frequentare corsi di stu-dio che danno uno sbocco univer-sitario e chi invece viene indiriz-zato verso percorsi professionaliz-zanti finalizzati all’inserimentodiretto nel mercato di lavoro. Ogni anno, iscritti alle classi pri-me di un corso di studi superiori,troviamo infatti circa 10 mila stu-denti, che grossomodo corri-

spondono agli 8 mila che esconodalle medie più i circa 1.500 ripe-tenti. La parte del leone, in termi-ni di iscrizioni alle classi prime, lafanno i licei e gli istituti tecnici,che concentrano quasi il 60% del-le iscrizioni, equamente suddivisetra i due indirizzi di studio (30%circa ai licei e un altro 30% circaagli istituti tecnici). Poi vengonogli iscritti agli istituti professiona-li, che rappresentano circa il 20%del totale degli studenti veronesi,e quindi quelli iscritti ai corsi diformazione professionale di du-rata triennale (15% degli iscrittialle classi prime). Completano ilquadro il 7% di studenti che siiscrivono alle magistrali (da que-st’anno inglobate nei licei sottol’indirizzo psico-pedagogico) eun residuo 1% che sceglie la for-mazione artistica (istituto o scuo-la d’arte).Nell’anno scolastico 2008/2009 alprimo anno delle superiori è sta-to bocciato in media il 13% deglistudenti, con punte del 22,5% trai professionali e del 16,3% tra gliistituti tecnici. Al contrario, lapercentuale di bocciature nei liceisi mantiene abbondantemente aldi sotto sotto alla media provin-ciale: 7,7%. La “strage” che sicompie negli istituti professionalisalta certo agli occhi, ma se guar-diamo con più attenzione scopri-remo che è dagli istituti tecniciche viene il maggior contributo,in termini assoluti, alle bocciatu-re. Se infatti consideriamo i primitre anni delle superiori (classi pri-me, classi seconde e terze), vedia-mo che su quasi 3 mila studentibocciati ben mille (il 35%) pro-

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L’accesso, nonché il successo, negli studi

universitari, e successivamente

nel campo lavorativo, è legato in misura

significativa a fattorisociologici quali il titolo di studio

dei genitori e, più in generale, a quel“capitale sociale”

fatto di relazioni, econoscenze che porta

ad una selezione dei ragazzi fin

dalla tenera età

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vengono dagli istituti tecnici, chelogicamente pesano di più perchéhanno più iscritti.

IL SUCCESSO

DEGLI ISTITUTI TECNICI

Il successo degli istituti tecnici,che ogni anno insidiano il tradi-zionale primato di iscrizioni deilicei, dipende, tra l’altro, dallapossibilità di offrire un corso distudi orientato all’inserimentonel mercato del lavoro senza tut-tavia precludere l’accesso agli ate-nei. In effetti secondo molte rile-vazioni empiriche, ogni anno il50% dei diplomati tecnici prose-gue per l’università e un altro50% sceglie la strada del lavoro,contro la tendenza consolidatadei liceali che nel 90% dei casiscelgono di proseguire gli studi.Fu proprio la contestazione stu-dentesca, nel 1969, a costringeread aprire le porte degli atenei aquesti studenti. E, ancora oggi,anche a Verona, troviamo moltis-simi diplomati tecnici iscritti allefacoltà di Economia piuttosto chedi Scienze fisiche e naturali. Perfi-no a Lettere e Lingue. Come osserva Dino Poli, preside

dell’Itis “Galileo Ferraris” di Vero-na, gli istituti tecnici sono at-traenti non solo rispetto alla fa-scia “alta” dell’offerta formativarappresentata dai licei (proprioperché garantiscono un inseri-mento a breve termine nel merca-to del lavoro, mentre i liceali sono“costretti” ad andare all’universi-tà) ma anche rispetto alla fasciapiù “bassa” dell’offerta formativa:«Ormai gli studenti che esconocome operai specializzati dagliistituti professionali e dalla for-mazione professionale comincia-

no a soffrire la concorrenza dellamanodopera immigrata» osservaPoli. Data la versatilità il corso di studiè molto ambito, ma tanti studenti(e le relative famiglie) sbaglianotuttavia i loro conti. Di fronte allaselettività della scuola, si trovanoprima o poi costretti a ridimen-sionare le loro ambizioni, finendoper trasmigrare su corsi relativa-mente più abbordabili presso gliistituti professionali o i centri diformazione professionale. Secondo i dati forniti dalla Regio-ne Veneto, il travaso di studentida una tipologia di scuola all’altraè assolutamente rilevante. Nel-l’anno scolastico 2008-2009 nelVeneto risultano 837 gli studentipassati dalla formazione profes-sionale all’istruzione e ben 2.012dall’istruzione alla formazioneprofessionale. La percentuale piùelevata si registra, appunto, nelprimo anno di corso. Fortemente orientati all’inseri-mento diretto nel mercato del la-voro (prevedendo un percorso distudio ridotto di tre anni, quindisenza possibilità di accesso all’u-niversità), i Cfp contano nell’an-no scolastico 2008/2009 ben5.911 studenti (classi prime, se-conde e terze, tutte comprese),pari al 18% dei circa 32 mila stu-denti che frequentano i primi treanni delle superiori. Dopo il primo anno di superiorile percentuali di bocciature dimi-nuiscono gradualmente e note-volmente (passando dal 14% delprimo anno al 6-7% dei due anniseguenti), ma l’indirizzo per mi-glia di studenti è già stato asse-gnato. Basti osservare che a fronte

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La grande scrematuracomincia dal primo

anno delle superiori, per consolidarsi tra il secondo e il terzo

anno, separando chi è “adatto”

a frequentare corsi di studio che

preparanoall’università e chi

viene indirizzato verso percorsi

professionalizzanti

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dei 10-11 mila studenti che ognianno frequentano una classe deltriennio, solo 6-7 mila arrivano afrequentare una classe quarta oquinta. La scrematura quindi èdel 35-40%. Nel biennio finale illivello di bocciature è bassissimo(5,8% in quarta e 1,6% in quintacon punte, rispettivamente, del12% e del 6% sempre negli istitu-ti professionali).

CETI SOCIALI

E LAUREE INFLAZIONATE

Sempre ragionando su dati di flus-so si può tentare di indovinarequanti di questi 6-7 mila studentiche ogni anno arrivano al traguar-do della quinta superiore riusci-ranno poi a terminare anche l’uni-versità. Sarà sufficiente osservareche con i nuovi corsi riformati(quindi con la generalizzazionedella laurea triennale) ogni annodall’ateneo scaligero escono dai 3mila ai 3.600 laureati, di cui il 40%residenti fuori provincia. I laureativeronesi “doc” sono quindi circa 2mila all’anno. Anche ammettendoche altrettanti si iscrivano in altreuniversità limitrofe (Padova, piut-tosto che Trento o Milano oppureBologna) si può considerare chenella trafila degli studi universitariavviene un’ulteriore scrematuradel 35-40%. Se ora ci soffermiamo a dareun’occhiata alle caratteristichesociologiche dei laureati 2008possiamo provare a tirare qualcheconclusione parziale sul funzio-namento del sistema di istruzioneveronese (che poi è quello italia-no): è pur vero che le varie classisociali di origine (borghesia, clas-se media impiegatizia, piccolaborghesia e classe operaia) si tro-vano abbastanza equamente rap-presentati nell’ateneo scaligero ein quelli italiani, ma le classi “mi-nori” sono notevolmente più rap-presentate in corsi di studio giàabbondantemente inflazionaticome, nel caso di Verona, Scienzedella Formazione (31% classeoperaia) e Lettere e Filosofia(29% piccola borghesia), mentrele classi “superiori” sono più rap-presentate in corsi finalizzati aprofessioni tradizionalmente più“nobili” come Giurisprudenza edEconomia (rispettivamente 32%e 28% borghesia) che notoria-

mente hanno bisogno di un gros-so “capitale sociale” alle spalle perpoi riuscire entrare negli studiprofessionali più quotati o blaso-nati. Non a caso, mentre tra gli studen-ti dell’ateneo scaligero la quota diquanti hanno “uno o entrambi igenitori laureati” si attesta in me-dia rispettivamente sul 13% e il6%, nella facoltà di Giurispru-denza questi valori sono i più altiin assoluto e schizzano rispettiva-mente al 22% e al 12%. Al contra-rio, le punte più alte di studenti icui genitori non possono vantarealcun titolo di studio o solamentela licenza media, si concentra inScienze della Formazione e inLettere e Filosofia. In breve, dove la laurea resta an-cora efficace (perché, come ab-biamo visto all’inizio, è un prere-quisito di legge per l’accesso alpraticantato), si accumula anchepiù capitale sociale. Lo si può vedere anche dal diplo-ma posseduto dai laureati: quantiprovengono dal liceo classicorappresentano, in generale, unastretta elite del 9,2%, ma sono il31% tra i laureati di Giurispru-denza. Chi proviene dal liceoscientifico si distribuisce abba-stanza equamente tra tutte le fa-coltà, con una presenza media del30%. Anche i diplomati degli isti-tuti tecnici spaziano da Economiaa Scienze matematiche fino a Let-tere e Lingue con una presenzamedia del 30%. Gli ex diplomatidegli istituti professionali rappre-sentano invece una stretta mino-ranza del 4,4%, a testimonianzadella scarsa propensione di que-sta tipologia di studenti ad inol-trarsi negli studi universitari. Inquel 4,4% però c’è una puntamolto significativa dell’8% tra ilaureati in Medicina. In effetti ilaureati alla Facoltà di Medicinarappresentano una felice eccezio-ne: pur essendo privi di grandecapitale sociale (il 32% degli stu-denti provengono da una fami-glia di lavoratori e per l’80% deicasi i genitori hanno al massimoun titolo di scuola dell’obbligo)hanno ottimi riscontri su lato dellavoro: l’87% di loro si dichiaragià impiegato nella Sanità, men-tre i laureati degli altri corsi, an-cora a tre anni dalla laurea nel30% si arrangiano ancora col la-

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Alla Camera di Commercio di Padova, dove il servizio è statoideato e viene gestito, tengono a precisare: «Non è rivolto agliartigiani e tanto meno agli aspiranti suicidi». Vero è, invece, cheil numero verde anti-crisi 800 510052, attivo da un po’ più didue mesi, offre un aiuto anche psicologico a molti imprendito-ri che in questo periodo navigano in bruttissime acque. È vero,inoltre che, in almeno un caso, a chiedere aiuto è stata la mogliedi un piccolo imprenditore che meditava di farla finita. La tra-gica catena di suicidi di artigiani e piccoli imprenditori (unaquindicina negli ultimi 16 mesi nel Nord-Est) ha scosso pro-fondamente il Paese, attirando l’attenzione, in qualche casomorbosa, dei media su questo servizio innovativo. A Padovasono già pronti a sviluppare ulteriormente l’iniziativa, attraver-so la costituzione di sportelli territoriali gestiti dagli enti locali,Comuni e Provincia in primis. Nella città del Santo un proto-collo d’intesa tra gli enti è già stato firmato, ma è certo che an-che altre città, tra le quali anche Verona, stiano pensando di se-guirne l’esempio. Per banali ragioni di bilancio il servizio, natol’8 marzo scorso, non prende in considerazione casi all’infuoridella provincia di Padova, e basti dire che durante la prima set-timana di attività ha ricevuto 120 richieste d’aiuto per la metàprovenienti da tutto il territorio nazionale. Ad oggi ci sono statiincontri tra il presidente della Camera di Commercio di Vero-na e quello di Padova e a breve ci potrebbero essere ulteriorinovità per il territorio scaligero. Nella concezione dei padova-ni, ciascun sportello dovrebbe funzionare come una “antenna”capace di captare il disagio di tante realtà imprenditoriali, e diindividuare dei rimedi, delle vie d’uscita percorribili. Dietro lacornetta lavora infatti un pool di esperti in varie discipline, daifiscalisti agli psicologi capaci di orientare al meglio chi si rivol-ge per chiedere aiuto. Nella gran parte dei casi a chiamare sonoimprenditori fortemente indebitati che non sanno dove sbatte-re la testa. Una circostanza comprensibile, questa, visto che leditte individuali di cui è ricco il territorio spesso non possonopermettersi di spendere soldi in costose consulenze. Gli ultimi dati statistici disponibili per il numero verde risalgo-no al primo mese di attività: 237 telefonate totali ricevute, dicui 138 (pari al 58% del totale) provenienti dalla provincia diPadova, con una media di cinque chiamate al giorno. Di questesolo 195 sono state schedate e documentate, perché delle 42chiamate anonime non si è tenuto conto. La maggior parte deicasi trattati riguardano situazioni di difficoltà di imprenditori,mentre in misura minore chiamano anche lavoratori, profes-sionisti, consulenti. Le telefonate provenienti da fuori provin-cia non vengono processate perché esulano dalla competenzadei soggetti attuatori. A rigore, il servizio non sarebbe tagliatoappositamente sui problemi degli imprenditori perché esso na-sce nell’ambito del Tavolo istituzionale anticrisi di cui fannoparte Comune di Padova, Provincia e Camera di Commercio,ma anche i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil, nonché le asso-ciazioni di categoria e dei consumatori del territorio. Lo scopoistituzionale è ascoltare tutti: imprenditori, lavoratori e rispet-tivi familiari, perché nessuno venga lasciato solo davanti alledifficoltà. (M.M.)

Aumentano i suiciditra gli imprenditori

Attivato un numero verde

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MOBILITÀ SOCIALE– Precarietà del lavoro, svalutazione dei titoli di studio e un certocorporativismo nelle professioni appaiono i fenomeni alla basedel basso livello di mobilità sociale di cui notoriamente soffre lanostra società, che si trova sostanzialmente divisa in moderne ca-ste sociali: da una parte coloro che hanno risorse materiali e di re-lazione (cosiddetto capitale sociale) sufficienti a superare inden-ni o addirittura saltare i passaggi della trafila verso la realizzazio-ne del progetto individuale di vita; dall'altra chi resta impigliatonei vari passaggi e deve accontentarsi di quel che passa il conven-to. Si deve ritenere questa una forma di selezione pure ingiustama necessaria? Al di là della retorica delle “riforme” e del “meri-to”, la politica può e saprebbe offrire un'idea diversa di società, in-dicando un orizzonte collettivo che contempli le differenze ma inun quadro di maggiore equità? E se sì, come, su quali basi e conquali azioni?

IL LAVORO INDUSTRIALE– Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un eccezionale rigon-fiamento della categoria economica dei Servizi, a danno del lavo-ro nell'industria a cui sostanzialmente sono state voltate le spallein favore di più o meno fumose idee di società post-industriale.Paradossalmente, il valore di questo mondo, talvolta dato perestinto, ritorna proprio in questo periodo di crisi economica incui si investono decine di miliardi di euro in ammortizzatori so-ciali. È opportuno cominciare a ripensare un rapporto, anche po-litico, col mondo del lavoro industriale, magari a partire dall'ap-porto che potrebbero dare forze fresche, anche intellettuali, deigiovani che escono dalle università e dagli istituti superiori?

UNIVERSITÀ DI MASSA E STRUTTURE CARENTISecondo alcune letture, il passaggio da una università di élite aduna più inclusiva non è stato accompagnato da un adeguato po-tenziamento delle strutture: corpi insegnanti insufficienti, aulepiccole, dotazioni e strumentazioni scarse e non all'altezza delcompito. Le recenti riforme non fanno altro che prendere atto diquesta massificazione dell'università annacquando ulteriormen-te la qualità degli studi. Siamo difronte al fallimento di un'idea disocietà più inclusiva, basata sull'accesso agli studi superiori e uni-versitari oppure un'inversione di tendenza è ancora possibile? Aldi là delle riforme, qual è l'atteggiamento mentale e l'orizzontesimbolico verso cui si dovrebbe puntare?

SPUNTI PER UN’AZIONE POLITICA

voro che avevano da studenti. Ladifferenza salta agli occhi anchesul grado con cui i laureati appli-cano nel lavoro le competenze ac-quisite durante gli studi. Se l’87%dei laureati in Medicina dichiaradi applicare le competenze acqui-site in misura “elevata”, questapercentuale scende al 38% per illaureati triennali e addirittura al38% per i laureati della “speciali-stica” (cioè quelli che hanno i cin-que anni). Queste valutazioni sirispecchiano anche sull’efficaciadella laurea: mentre è efficace peril 96% dei laureati di Medicina,tra quelli dei corsi triennali il li-vello scende al 55% e al 42% per ilaureati della “specialistica”.

SCUOLA E LAVORO

UN INCONTRO COMPLICATO

Beninteso, non è che manchi illavoro: a un anno dalla laurea ri-sulta occupato il 65% dei laurea-ti; a tre anni il 71 % e a cinqueanni il 95% (dato che la riformauniversitaria è recente, gli ultimidue dati si riferiscono ai corsi delvecchio ordinamento, dove lelauree duravano 4 o 5 anni, senzapossibilità di laurea triennale). Ilpunto è che non sempre il lavorotrovato è all’altezza degli studi: aconti fatti, il 54% dei laureatidell’ateneo scaligero sostiene chela laurea è “efficace” o “molto ef-ficace”, tuttavia solo per il 12%dei casi risulta “necessaria” al fi-ne della mansione concretamen-te svolta. Secondo il 39% degliintervistati essa è soltanto “utile”.Come si diceva all’inizio, per il

33% dei laureati (quelli che de-vono fare praticantato) essa èsemplicemente “richiesta dallalegge”, mentre per il 16% non è“né necessaria né utile”. Dati che fanno pensare. DonataGottardi, docente universitarioed ex europarlamentare critica latendenza, avviata dalle recenti ri-forme politiche, «di trasformarel’università in una sorta di pro-secuzione del liceo. Del resto –aggiunge – l’integrazione trauniversità e imprese è complica-ta in presenza di un tessuto dipiccole e piccolissime impresecome il nostro». In effetti è sem-plicemente sorprendente che il90% dei laureati scaligeri risulti-no impiegati nel settore dei ser-vizi e solo il 7,8% nell’industria,ben al di sotto della media nazio-nale (12,5% di laureati impiegatinell’industria) e ben lontanodalle cifre degli atenei vicini (Pa-dova 13,4%; Ferrara 16,8%; Mo-dena 21%; Venezia Iuav 34,8%).Così come è sorprendente che lastragrande maggioranza deglistudenti ambiscono ad impie-garsi nell’area organizzazione,marketing, comunicazione, pub-bliche relazioni, formazione epochissimi nella logistica o nellevendite.Dall’ufficio orientamento dell’a-teno scaligero fanno sapere che idati si devono leggere bene e checompito dell’università è anchequello di dare un metodo di stu-dio e di lavoro che poi sta allostudente sviluppare. Comunquesia quello col lavoro è un incon-tro assai complicato.

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di Paolo Ricci *

È stato ammesso il quesito refe-rendario consultivo sulla necessi-tà di una valutazione a priori, daparte di una commissione di esper-ti indipendente e di alto profilo,delle possibili conseguenze per lasalute dei cittadini e sull’inquina-mento derivanti dalla realizzazio-ne del passante Nord-traforo Tor-ricelle.In questo breve contributo alladiscussione non si intende volu-tamente prendere parte sulla vali-dità di quest’opera pubblica,quanto richiamare il percorsometodologico che scaturisce dallalegittimità di quella che si profilacome una sorta di Valutazione diImpatto Sanitario, nota con l’a-cronimo VIS. La commissione diesperti indicati dal presidente diun autorevole organo istituziona-le e scientificamente accreditato,l’Istituto Superiore di Sanità(ISS), è stata varata. Ne fannoparte ricercatori la cui alta com-petenza ed attenzione al rapportoambiente-salute è ben nota.Questo passo compiuto dal sin-daco Tosi equivale quindi all’avervotato anticipatamente egli stesso“sì” al quesito referendario. Laquestione si sposta allora sull’esi-to della valutazione, ma primaancora – come si dirà – sul per-corso tecnico, scientifico e socialeche essa implica, e infine sul pesoche tale valutazione avrà sul deci-sore politico. Quest’ultimo aspet-to costituisce infatti il cuore delproblema e nulla è scontato.Si potrà obiettare che questo “vo-

to” è tardivo, ma è anche vero cheuna simile prassi non è ancorapacifica consuetudine in Italia.Esistono esperienze sparse, di so-lito in situazioni critiche, oppurenell’ambito del coinvolgimentodi progetti europei. Quindi “itempi supplementari” appaionoaccettabili. Ciò che conta è il ri-sultato.Le antitesi in discussione sonochiare. Intervento in grado di de-congestionare il traffico di attra-versamento di una parte della cit-tà, oppure corridoio autostradalecandidato a catturare una signifi-cativa quota aggiuntiva di trafficopesante. Opera a forte impattoidrogeologico e paesaggistico op-pure ragionevolmente mitigabile.Lavori cantieristici ad alto inqui-namento e prolungati nel tempooppure contenibili per durata edintensità di aerodispersione degliinquinanti. Aree in prossimità de-gli svincoli con possibile destina-zione d’uso commerciale e quindiulteriormente attrattive di traffi-co, oppure zone di rispetto riser-vate unicamente a servizi stradali.Scadimento sostanziale del be-nessere abitativo ed economicodelle frazioni comunali più coin-volte, oppure minimizzazionedello svantaggio di pochi a favoredel vantaggio di molti.Ma percorriamo rapidamente letappe storiche attraverso le qualisi è giunti alla VIS. A partire so-prattutto dagli anni ’90 sono staticondotti numerosi studi che han-no esplorato il complesso rappor-to ambiente-salute e che hannorichiamato l’attenzione pubblica

sugli effetti dannosi derivanti dal-le attività umane. Trattandosi perlo più di effetti a medio-lungotermine, cioè che seguono a di-stanza anche superiore al decen-nio l’esposizione agli inquinantiambientali, risultano meno evi-denti e più difficilmente ricondu-cibili alle cause che hanno contri-buito a generarli. In anni più re-centi, le preoccupazioni per l’am-biente e per la salute sono lievita-te in gran parte dei paesi occiden-tali e sono andate incontro aduna progressiva convergenza,tanto che prima l’OMS, poi l’U-nione Europea e quindi l’ONUhanno posto in essere diverseconvenzioni e trattati internazio-nali che affrontano il ruolo gioca-to dai fattori ambientali nel con-dizionare lo stato di salute dellapopolazione generale.Inizialmente si è affermata la Va-lutazione di Impatto Ambientale(VIA), cioè la valutazione di unospecifico impianto o di una sin-gola opera che interviene a pro-gettazione avvenuta e che quinditende a prescindere dal contestopiù generale in cui si colloca. LaCommissione Europea ha peròenfatizzato quest’ultima esigenzasostenendo che le tematiche am-bientali devono essere integratenelle politiche del territorio, finoal punto di orientare il mercato alavorare in favore dell’ambiente.Si è quindi passati da una valuta-zione monotematica ad una sem-pre più integrata e strategica neipropri obiettivi (VAS). Ed è pro-prio lungo questa traiettoria cul-turale e metodologica che si è in-

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TRAFORO 1

La salute prima di tutto Sarà una Commisione dell’Istituto Superiore della Sanità a valutare se

il Passante Nord è potenzialmente dannoso per la salute umana. L’importante è che il Comune affidi a questi esperti uno studio preciso e completo (VIS)

Fanno parte dellaCommissione

ricercatori la cui altacompetenza e

attenzione al rapportoambiente-salute

è ben nota. La VIS,Valutazione di

impatto sanitario, è un percorso che si

alimenta di unamolteplicità di

contributi provenientedall’intero corpo

della comunitàcoinvolta

Attualità

inVERONA

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Attualità

Giugno 201010

serita la VIS. Nel 1999 il Congres-so di Gotheborg (OMS) ne hadato una definizione ufficiale:“Una combinazione di procedure,metodi e strumenti tramite i qualiuna politica, un programma o unprogetto possono essere giudicatisotto il profilo dei loro potenzialieffetti sulla salute della popolazio-ne e della loro distribuzione all’in-terno della stessa”. Ne scaturisceche la VIS deve fornire ai deciso-ri politici ogni informazione sul-l’effetto che le proprie decisionipossono produrre sulla salute,nonché ogni raccomandazione,basata sull’evidenza scientifica,utile per favorire l’impatto posi-tivo e per eliminare o ridurrequello negativo. La VIS quindideve precedere non solo la rea-lizzazione dell’intervento, ma lastessa fase di progettazione ope-rativa. In estrema sintesi, la VISdeve essere strutturata e tempo-ralmente collocata per poter in-fluenzare concretamente le sceltedei decisori.È bene precisare però che la VIS

non costituisce una delega inbianco che i cittadini con i pro-pri amministratori affidano adun cenacolo di sapienti che, do-po lunga e solitaria meditazione,estraggono dal cilindro la solu-zione magica. Si tratta viceversadi un percorso che si alimenta diuna molteplicità di contributiproveniente proprio dall’interocorpo della comunità coinvolta,perché la salute, come per altrorecita anche la Costituzione ita-liana, non rappresenta soltantoun bene dell’individuo ma ancheun interesse della collettività.Quindi un processo a cui parte-cipano più soggetti portatori diinteresse (stake-holders) per co-struire uno strumento condivisoin grado di giustificare ed assu-mere delle decisioni. Si tratta diun percorso innovativo di prote-zione della salute pubblica ri-spetto a quello tradizionalmentebasato sulla identificazione,quantificazione e gestione del ri-schio che rimanda ad una asso-ciazione causale semplificata tra

specifica esposizione e determi-nata malattia. L’associazionecausale assume qui invece carat-tere plurale. Più fattori di rischioche raggiungono più bersagli, incui il contesto (e quindi il terri-torio) mediato da variabili so-cio-economiche, diversità geo-grafiche, suscettibilità individua-li, background culturale, perce-zione, accettazione e comunica-zione del rischio medesimo, pro-duce una molteplicità di risposte(ampio spettro di outcomes) ingrado di condizionare comples-sivamente lo stato di salute diuna popolazione.Il percorso della VIS non siesprime quindi in un mero tec-nicismo, ma presuppone dei va-lori sottostanti: apertura, perchéimplica la trasparenza di tutte lesue fasi; partecipazione, perchérisulta migliore se attinge da co-noscenze provenienti da settoridifferenti, a partire dalle comu-nità locali interessate all’inter-vento; democrazia, perché coin-volge i cittadini nell’intera cate-

A partire soprattuttodagli anni ’90 sono

stati condottinumerosi studi chehanno esplorato il

complesso rapportoambiente-salute e che

hanno richiamatol’attenzione pubblica

sugli effetti dannosiderivanti dalle attività

umane. Trattandosiper lo più di effetti a

medio-lungo terminerisultano meno

evidenti e piùdifficilmente

riconducibili alle causeche hanno contribuito

a generarli

Racclta delle firme per l’indizione del Referendum

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Attualità

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na decisionale; sostenibilità per-ché considerando l’insieme degliimpatti sulla salute contribuisceallo sviluppo di proposte accet-tabili; equità, perché ponendoparticolare attenzione alle fascedi popolazione più vulnerabilicontrasta le diseguaglianze dellasalute.Più in generale la VIS conseguead un mutato paradigma filoso-fico e scientifico che distinguevatra soggetto ed oggetto della co-noscenza, tra osservatore ed os-servazione sperimentale, tra cau-se ambientali delle malattie ecause genetiche riconducibilisoltanto all’individuo. La dicoto-mia ha ceduto il passo alla rela-zione, per cui nulla è concepibileal di fuori del rapporto origina-rio che l’uomo intrattiene con ilmondo che abita. Non c’è l’unosenza l’altro, talché lo stesso con-cetto di salute ha finito per decli-narsi indissolubilmente conl’ambiente.Tutelarlo equivale quindi a tute-lare la nostra salute nella formapiù radicale. L’istituzione dellaCommisione ISS si configuraquindi per tutti come una grandeopportunità che non va sprecata.

* Responsabile Osservatorio Epi-demiologico, Asl provincia diMantova; Professore a contrattoin Sanità pubblica, Università Ca’Foscari di Venezia

di Carlo Trentini *

Vivendo in una società complessa, in cui le scelte,grandi o meno grandi, sono spesso il frutto di de-cisioni prese a livelli diversi, talora non sempretrasparenti, l’impressione che diffusamente si av-verte è che la democrazia sia un sistema larga-mente imperfetto. E tale sensazione si manifestanon solo nelle critiche diffuse nei confronti dellaclasse politica (i cui criteri di formazione e assun-zione delle cariche restano spesso opachi e co-munque non condivisi), ma anche – e forse più si-gnificativamente – attraverso un sentimento tan-to diffuso quanto accettato di ampia rassegnazio-ne rispetto alle cosiddette scelte di palazzo.Se è dunque comune l’accettazione di decisioniprese dall’alto, non è peraltro raro che, talora,proprio questa situazione provochi una reazio-ne contraria, un invito a non subire senza farsentire la propria voce, senza interloquire, senzachiedere il perché delle decisioni, almeno diquelle più importanti.È questo sentimento di non volersi rassegnareche ha indotto dodici cittadini veronesi a presen-tare, il 9 febbraio scorso, la richiesta di avvio diun procedimento referendario, prospettandocinque distinti quesiti, tutti originati dall’esigen-za di un’ampia riflessione circa la progettata rea-lizzazione di una grande opera autostradale, vol-ta a collegare la zona a Nord della città di Verona(ma più esattamente i caselli autostradali di Ve-rona Est e Verona Nord, con un nuovo raccordoa Nord).Ai promotori del referendum è parso ineludibileche ai veronesi dovessero essere poste una serie didomande: quest’opera servirà? Che cosa costerà,in concreto? I suoi innegabili costi sono giustifi-cati dai benefici che se ne trarrebbero? Quali sa-ranno gli effetti sulla salute, sul territorio, sul-l’ambiente?Afferma l’Amministrazione comunale che que-st’opera è un’opera storica, ch’essa è destinata amutare il volto della città.Possiamo senz’altro convenire che, sul punto,l’Amministrazione ha ragione. Ma proprio per-ché si tratta di una scelta storica, irreversibile, de-stinata a cambiare la stessa struttura della cittàper parecchi secoli a venire, pare legittimo cheuna scelta siffatta sia ponderata, sia dibattuta e,alla fine, accettata o rifiutata dopo un dibattitoconsapevole, pubblico e generale.L’argomento che tale opera era nel programmaelettorale dell’attuale Amministrazione nonconvince: e non convince non solo e non tantoperché nel programma l’opera era prevista conun percorso del tutto diverso (più a Nord, e non

attraverso i quartieri), ma soprattutto perché chiha votato per l’attuale maggioranza non neces-sariamente condivideva tutte, ma proprio tutte,le scelte del programma: si può dubitare che, dicento punti del programma, gli elettori ne pos-sano, scegliendo un certo candidato, condivide-re novantanove, ma magari non proprio tutti ecento?E questa specifica è una questione molto impor-tante, e sulle questioni molto importanti i cittadi-ni vanno interpellati direttamente. Le vicendedell’iter referendario hanno comportato un “ta-glio” dei quesiti; è sopravvissuto il quarto, che haper oggetto l’approfondimento dei temi relativialle problematiche sanitarie e di rilievo nell’in-quinamento atmosferico.L’Amministrazione – solo dopo che i Garantihanno dichiarato ammissibile il referendum sutale quesito – ha provveduto a nominare la Com-missione costituita da esperti messi a disposizio-ne dall’Istituto Superiore della Sanità.Allo stato, l’iniziativa referendaria prosegue in at-tesa di altre necessarie verifiche: occorre che laCommissione nominata sia messa nelle condi-zioni di svolgere al meglio il proprio lavoro, che ilquesito postole sia pertinente e puntuale; che ilComitato possa far pervenire le sue osservazioni,dare il suo contributo. La raccolta delle firmeprosegue con grande concorso di cittadini; il nu-mero di firme necessario, per l’indizione del refe-rendum, di 7.500, è assai vicino ad essere rag-giunto. Un bell’esempio di partecipazione per lanostra città. Ricordiamo che è dalla consapevo-lezza che nasce una democrazia compiuta e di de-mocrazia non ce n’è mai abbastanza.

* Rappresentante del Comitato promotore del referendum

«Dai cittadini un bell’esempiodi partecipazione democratica»

Definizione di VIS:«Una combinazione di procedure, metodi e strumenti tramite i quali una politica, un programma o un

progetto possono esseregiudicati sotto ilprofilo dei loro

potenziali effetti sullasalute della

popolazione e dellaloro distribuzione

all’interno della stessa»

Congresso di Gotheborg1999 (OMS)

I promotori del referendum

inVERONA

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Attualità

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di Michele Domaschio

Renato Mannheimer è oggi il lea-der indiscusso dei sondaggi in Ita-lia, oltre ad essere un volto noto algrande pubblico grazie alle nume-rose partecipazioni a trasmissionitelevisive di punta (basti citare, traqueste, la presenza fissa a Porta aPorta).Nella fitta agenda di appunta-menti, ha accettato di rilasciare al-cune dichiarazioni a Verona In sultema delle consultazioni popolari(imminenti o remote, vere o vero-simili ancora bene non si sa) cheavranno come tema, nella nostracittà, il progetto di traforo sotto leTorricelle.

– Professor Mannheimer, ungruppo di cittadini veronesi hachiesto all’Amministrazione co-munale di indire un referendumper dare modo all’intera cittadi-nanza di esprimersi su questo te-ma; il sindaco ha tra l’altro ipotiz-zato lo svolgimento di un sondag-gio. Può dirci qual è il rapporto eil diverso grado di attendibilitàtra questi due strumenti?«La differenza tra il referendum eil sondaggio è che, paradossal-mente, il sondaggio è più preciso.Mi spiego: nel referendum votachi vuole, non tutti i cittadini par-tecipano. Pertanto, il risultato fi-nale è molto influenzato da chi vae da quanti vanno a votare. Bastipensare che molto spesso, special-mente in occasione delle più re-

centi consultazioni referendarie,non si è nemmeno raggiunto ilnumero minimo di partecipantial voto. Oppure, può verificarsi ilcaso che solo i cittadini che lapensano in un certo modo si re-chino alla urne. Così, per esem-pio, anche se va a votare il 55% o il60% degli aventi diritto, resta co-munque una larga parte della po-polazione di cui non si conoscel’opinione.Il sondaggio, per così dire, “co-stringe” invece alla risposta: se èfatto come si deve, cioè su uncampione effettivamente rappre-sentativo, allora si riesce ad avereun quadro attendibile dell’opinio-ne dell’intera popolazione».– Anche se il presidente della Ca-mera Gianfranco Fini ha afferma-to che non si governa a colpi disondaggi...«Quello però è un altro discorso,si tratta di un ragionamento poli-tico. Se lei chiede ora, ad esempio,se è giusta la pena di morte per gli

immigrati che commettono unostupro, troverà che la maggioran-za della gente risponde affermati-vamente. Non è detto che perquesto si debba introdurre la penadi morte. Quello che Fini vuoledire, a mio avviso correttamente,è che la decisione politica non de-ve essere legata in modo indisso-lubile ai sondaggi. Ma di per sé,un sondaggio è in grado esprime-re la volontà popolare: poi, micasempre bisogna seguirla».– Quali sono i presupposti perl’attendibilità di un sondaggio?«Essenzialmente due: il campionerappresentativo, che viene indivi-duato grazie a tecniche scientifi-che ben note ai professionisti delsettore, e la precisione dei quesiti.Per rendere più chiaro questo se-condo punto, è ovvio che vi è unabella differenza se io domando“siete favorevoli al traforo?”, o seformulo la richiesta come “sietefavorevoli alla realizzazione diun’opera che comporterà gravidanni alla salute dei cittadini?” (o,per converso, “di un interventoche ridurrà notevolmente il pro-blema del traffico?”). Insomma, èchiaro che un sondaggio può esse-re “pilotato” attraverso la formu-lazione delle domande, ed è inve-ce tanto più attendibile quantopiù il quesito è neutro, oggettivo:questo sta, ovviamente, nella se-rietà e nella professionalità di chilo svolge». – Anche in presenza di queste ga-ranzie di correttezza e imparziali-

TRAFORO 2 - INTERVISTA CON RENATO MANNHEIMER

Quando il sondaggioaiuta la democrazia

C’è chi demonizza questo strumento vedendo in esso un metodo con cui il potere cerca il consenso. Invece può aiutarci a diventare tutti più consapevoli

Renato Mannheimer

«Nel sondaggioinformato la cosa

migliore è che i relatorivengano individuati

di comune accordo trachi si oppone e chipromuove l’opera,

e che comunque vengagarantita pari dignitàe possibilità di esporre

le problematiche in campo»

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Attualità

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tà, l’esito di un sondaggio è poicomunque affidato a chi l’hacommissionato.«Certamente, ed è del tutto legit-timo. È un po’ come se io deci-dessi di farmi fare una foto: chia-mo il fotografo, che farà il suo la-voro, poi svilupperà l’immagine,quindi me la consegnerà. La foto,in ogni caso, è di mia proprietà, edeciderò io se voglio pubblicarlao meno.È altrettanto palese, poi, che ionon posso divulgare un’altra im-magine, falsa, al posto di quellache è stata scattata, perché questovuol dire mentire, ma qui entria-mo in un altro campo: non esistenessuno che commissioni un son-daggio e poi renda noti risultatidiversi da quelli che sono emersi.Al limite, come dicevo prima, de-cide di non renderli noti, ed è nelsuo pieno diritto operare così».– Il classico sondaggio di opinio-ne, sia pure nella sua formula piùoggettiva e attendibile, rischia pe-rò di essere superato da una nuo-va modalità di consultazione po-polare, il cosiddetto “sondaggioinformato”. Se ne è parlato anchea Verona in queste settimane,proprio in merito alla “questionetraforo”. Ci può dire di cosa sitratta, e quali vantaggi comporta?«Partiamo da un presupposto:qual è il problema che si cerca disuperare con il sondaggio infor-mato? Provo a spiegarlo ricorren-do a un esempio: energia nuclea-re. Se lei pone un interrogativo,ora, su questo tema troverà chemetà della popolazione dice di sì,l’altra metà dice di no. Però lagente, allo stato attuale, dà una ri-sposta molto emotiva, poco o nul-la basata su conoscenze specifichedell’argomento.Allora, alcuni esperti in materia disondaggi hanno elaborato unanuova modalità di indagine, che sisvolge in questo modo: vieneestratto il solito campione rappre-sentativo, che viene non solo in-terpellato, bensì convocato perun’intera giornata, nel corso dellaquale si alternano interventi pro econtro l’argomento oggetto delquesito. Al termine, ciascunoesprime il proprio giudizio con ilvoto.Si è rilevato, ed è un dato di cui te-nere conto, che alcune persone, altermine della giornata cambiano

idea rispetto a quella che avevanoinizialmente. Si desume pertantoche, con questo modo di procede-re, le risposte sono più “informa-te” e il cittadino vota con maggio-re cognizione di causa». – Tutto questo applicato a Vero-na...«A Verona penso che si potrebbe-ro spiegare bene i pro e contro deltraforo ad un campione rappre-sentativo, e poi raccogliere questavolontà popolare divenuta piùconsapevole. Sia ben chiaro, non èdetto che tutta questa procedurasia assolutamente indispensabile,perché magari i cittadini veronesisono già sufficientemente infor-mati».– Proprio a tale riguardo, c’è datenere in debito conto da chi pro-viene questa informazione: inquesto tipo di sondaggio, pare dicapire, è cruciale definire a chicompete scegliere gli esperti cheillustrano i pro e i contro del tra-foro, sempre per evitare il rischiodel sondaggio pilotato.«Ovviamente: avendo seguitoqualche realizzazione pratica disondaggio informato, posso direche la cosa migliore è che i relatorivengano individuati di comuneaccordo tra chi si oppone e chipromuove l’opera, e che comun-que venga garantita pari dignità epossibilità di esporre le problema-tiche in campo. Questa, peraltro, èla prassi seguita generalmente datutte le società che realizzano que-sto tipo di consultazioni».– Come varia, dal punto di vistanumerico, l’entità del campionerappresentativo nel caso di unsondaggio normale e nella moda-lità di sondaggio informato? Adesempio, in una realtà come la cit-tà di Verona che ha circa 260.000abitanti.«Per la prima tipologia, tra le 800

e le 1.000 persone contattate sonopiù che sufficienti, mentre per ilsondaggio informato si può scen-dere a 200. Si tenga conto, però,che è molto più complicato trova-re persone disposte a passareun’intera giornata ad ascoltare epoi votare, rispetto al semplicequesito che può essere posto – adesempio – con un contatto telefo-nico».– E i costi del sondaggio informa-to?«Sono elevati. Enormemente piùcospicui, per essere chiari, di quel-li relativi a un classico sondaggio.Basti pensare a cosa significa mo-bilitare qualche centinaio di per-sone, farle stare un giorno interoad ascoltare gli esperti, quindimettere in moto un’intera struttu-ra organizzativa. Niente a che ve-dere con la raccolta di opinioniche si può effettuare telefonandoalla gente a casa, dove l’unico co-sto è, alla fine, quello della chia-mata. Insomma, bisognerebbe de-cidere chi si accolla l’onere di unaprocedura così sofisticata».– E questo ci riporta alla questio-ne del committente e dell’utilizzodei dati, di cui parlavamo prima.Ipotizzando, tuttavia, che si troviquesto finanziatore (la stessa Am-ministrazione comunale, o altroente terzo) a suo giudizio, nel ca-so del traforo delle Torricelle, ilsondaggio informato potrebbecostituire una valida alternativasia al sondaggio classico, sia al re-ferendum?«Non metterei la questione in ter-mini di alternativa. Il mio suggeri-mento, nel caso specifico, è quellodi fare prima di tutto un sondag-gio classico, che tra l’altro è veloceda realizzare, e poi procedere conun sondaggio informato. Anzi, orache ne abbiamo parlato mi sa cheuno di questi giorni lo proporrò iostesso al sindaco Tosi».

«A Verona penso che sipotrebbero spiegare

bene i pro e contro del traforo ad un campione

rappresentativo, e poiraccogliere questavolontà popolare

divenuta piùconsapevole. La cosa

migliore è che i relatorivengano individuati di

comune accordo trachi si oppone e chi

promuove l’opera, eche comunque venga

garantita pari dignitàe possibilità di esporre

le problematiche in campo»

inVERONA

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di Chiara Bazzanella

Il parcheggio interrato non lovuole nessuno, non ha alcunautilità. Non in quello che finora èrimasto uno dei rari borghi citta-dini a misura d’uomo, piccolomicrocosmo di tradizioni, dovetutti si conoscono. Piazza popo-lare, luogo di incontro e punto diriferimento per chi qui è nato, vi-ve e lavora: questa è piazza Cor-rubbio per i sanzenati, tutti forte-mente contrariati per la ferita cheha squarciato il quartiere. Dal medico all’abate, dal farmaci-sta al presidente del Bacanal delgnoco, fino al veterinario e al-l’Ordine dei costruttori, per nonparlare dei commercianti e deiresidenti: ognuno, a modo suo,ha una ragione valida per solle-vare perplessità su quella che ri-schia di essere una delle operepubbliche più contestate tra

quelle realizzate a Verona negliultimi tempi. E se la politica rimbalza le re-sponsabilità a ritroso negli anni,chi questa piazza l’ha sempre vis-suta fatica a credere che non cifossero alternative per arrestare leruspe, uno scempio reso ancorapiù doloroso dal taglio di sedicialberi avvenuto l’indomani delleultime elezioni regionali e perquesto da molti vissuto come unasorta di sfregio.«Dove sono le radici culturali dicui parla la Lega?» si chiede il ve-terinario della zona, Davide Mar-chesini, che nel quartiere ci è cre-sciuto e che, senza vergogna, con-fessa di aver persino pianto ilgiorno in cui gli alberi sono statiabbattuti. «In quale città europeasi tagliano piante per fare par-cheggi in centro? Il parcheggiopoteva essere realizzato vicino al-le case popolari, o intorno al val-

lo, non a due passi da una basilicacome San Zeno. Ci dicono che ècolpa delle precedenti ammini-strazioni, ma i politici passano,noi no. E poi altre opere sono sta-te fermate, ad esempio il parcheg-gio di San Giorgio. E intanto miopadre, che da trent’anni vive aSan Zeno, più di una volta ha par-lato di andarsene». Se per chi abita nel quartiere dauna vita la scelta di mollare tuttofa a pugni con il legame dei luo-ghi familiari, per chi qui si è tra-sferito da poco fare le valigie ri-sulta più facile, se non urgente.Christian Stovini viveva in piazzaCorrubbio, ma dopo mesi di can-tiere sotto casa non ce l’ha piùfatta e si è trasferito altrove con lafamiglia. «Ho un bambino di dueanni e un altro in arrivo. La piazzaè diventata invivibile. Si faticapersino a fare due passi con il pas-seggino e poi ci sono macchine

Attualità

Giugno 201014

PARCHEGGIO

A piazza Corrubbioci sentiamo soli

«Dove sono le radiciculturali di cui parla la

Lega?» si chiede ilveterinario della zona,

Davide Marchesini,che nel quartiere ci ècresciuto e che, senza

vergogna, confessa di aver persino pianto

il giorno in cui gli alberi sono stati

abbattuti

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ovunque: è pericoloso oltre chesnervante».Nulla è più come prima. Ancheper colui che, a San Zeno, rappre-senta la tradizione popolare, in-carnata nel Carnevale veronese: ilpatron del Bacanal del Gnoco,Luigi D’Agostino. «Siamo demo-ralizzati. Spariscono le piazzettepopolari con un po’ di alberi, econ esse anche i ricordi. È un disastro che lascia senza paro-le e adesso speriamo almeno chefacciano presto, perché il disagioper i negozi, le auto e i residenti-possa cessare prima possibile».Gli fa eco Fabio Sembenini, titola-re della farmacia San Zeno: «Ilquartiere è spezzato e a questopunto la gente chiede di conoscerei tempi per uscire da questa situa-zione di disagio. Dopo l’incontroiniziale con il sindaco Flavio Tosi el’assessore alla viabilità EnricoCorsi non si è più saputo nulla diconcreto. Sono passati sette mesi ei lavori per il parcheggio non sonoancora iniziati, anche se gli alberisono stati tagliati. Si è parlato diplateatici più ampi per i commer-cianti e di aiuole. Ma servonotempi certi e incontri con la popo-lazione per definire quale aspettoavrà la piazza. Speriamo di poterdire la nostra a riguardo. Abitantie operatori economici hanno di-ritto di sapere».Sull’importanza di avere delle ri-sposte definitive e sulla rapiditànei tempi ha le idee chiare anchedon Gianni Ballarini, da pochimesi abate della Basilica, giusto intempo per vedere la piazza primadel via ai carotaggi. Trasferito daIsola della scala, don Gianni si èsubito accorto di come stanno lecose. «Corrubbio è una piazza conun forte valore storico. Un luogodi aggregazione fortemente senti-to dai sanzenati, che vivono dicontatti quotidiani, parlano sullastrada, al bar e sono affezionati ailoro posti. Ho la sensazione chesiano molto arrabbiati anche per-ché non sanno bene a cosa an-dranno incontro né i tempi in cuiresteranno in questa situazione diprecarietà: non sapendo, ci si agitadi più. Ma sono convinto che, pie-na di risorse com’è, questa gentesaprà muoversi e reagire».Per il momento la reazione forte èsolo quella contro chi viene rite-nuto responsabile dei lavori in

corso. Per qualcuno la precedenteAmministrazione, per altri quellaattuale. Ma per molti la stessa dittaRettondini, rea di non aver “mol-lato il colpo” trovando eventual-mente una collocazione diversa.

UN PO’ DI STORIA

L’idea di inserire un parcheggio amezza via tra il pertinenziale e loscambiatore nella zona di San Ze-no ha origini lontane. La prima alanciare la proposta nel 1999 erastata infatti l’AmministrazioneSironi, senza però fare un riferi-mento preciso a piazza Corrub-bio.Una location, quella attuale, indi-viduata nell’era Zanotto che hadichiarato il park interrato operadi pubblica utilità e ottenuto losvincolo dei giardini dal Paque, ilPiano territoriale della Regione.Strada spianata per l’attuale Am-ministrazione, che si è poi ritro-vata a seguire l’iter della garad’appalto confermandone la ge-stione, nel luglio del 2007, allaRettondini spa di Angiari, specia-lizzata – come è chiaro dal sito incui si presenta – in costruzioni re-sidenziali.Il resto è storia attuale. Dopo unsondaggio nel 2008, a ottobre del2009 la piazza è stata definitiva-mente chiusa in un cantiere perdare il via alle indagini archeologi-che, tutte a spese della Rettondini.A oggi i carotaggi proseguono, mal’eventualità di trovare qualche re-perto che possa bloccare la costru-zione del parcheggio è ormai tal-mente ridotta da potersi ritenereimpossibile. Anche se qualcunoancora crede nel miracolo.

LO SPETTRO DI PIAZZA ISOLO

Come il dottor Franco Colletta,medico della zona che ha lo stu-dio in via Barbarani, la cosiddettavia di mezzo. Per lui – che ancoraconfida in un qualche ritrova-mento provvidenziale – il par-cheggio andrà a sconvolgere ilcentro delle attività sociali delquartiere e rovinerà due piazze(Corrubbio e Pozza) senza darenulla ai sanzenati, visto che «postimacchina e garage nei dintornisono tutti vuoti», per fare inveceemergere una seconda piazza Iso-lo, «obbrobrio urbanistico triste

anche in termini di arredo urba-no». Sulle responsabilità della dit-ta, il medico non usa mezzi ter-mini: «La colpa ultima spetta allaRettondini, che non ha mai accet-tato proposte alternative. E per lasua determinazione nel voler an-dare avanti a tutti i costi le augurodi pagarne le conseguenze in ter-mini di flop economico».Di diversa opinione il Collegiodei costruttori edili di Verona, dicui la Rettondini è impresa asso-ciata. Sottolineando i cinque annidi pratiche burocratiche necessaria rendere cantierabile un’area, ilpresidente del collegio, AndreaMarani, fa notare che si tratta diun lasso di tempo che ha datoampio spazio a ulteriori valuta-zioni. «I tempi per cambiare lecose c’erano. La licenza è stata da-ta da questa Amministrazione elo scarica barile a noi costruttorinon interessa: è il male della bu-rocrazia italiana». Dello stesso avviso Francesco Fa-rinelli, presidente onorario delCollegio, secondo cui è evidenteche la Rettondini non ha nessunacolpa. «Sono contrario al par-cheggio per motivi storici, esteticie di convivenza – riferisce Fari-nelli, che vive a pochi metri dapiazza Corubbio – ma l’impresa èesecutrice per volontà del Comu-ne. I sanzenati sbagliano ad accu-sarla. Le critiche vanno invece allevarie amministrazioni. La Sironiha programmato il park, Zanottogli ha dato il via e l’attuale Ammi-nistrazione è stata incapace – onon ha avuto la volontà – di fer-mare il progetto al momento giu-sto. L’accomodamento ci potevaessere, anche perché lavorare conl’ostilità della popolazione non èmai piacevole».Che non sia piacevole se ne è dicerto accorto chi in questi giornista scavando nella piazza alla ri-cerca di reperti archeologici, sottogli occhi accusatori della gente delquartiere che non risparmia bat-tute e qualche insulto. E dai san-zenati più “eversivi”, all’internodel cantiere è persino arrivatoqualche bicchiere di vetro scaglia-to in segno di protesta.

IL REPERTO CHE NON SALTA FUORI

Se per la maggior parte delle per-sone è chiaro che chi sta scavando

Attualità

15

Chi questa piazza l’hasempre vissuta fatica

a credere che non cifossero alternative perarrestare le ruspe, uno

scempio reso ancorapiù doloroso dal taglio

di sedici alberiavvenuto l’indomanidelle ultime elezioni

regionali e per questoda molti vissuto come

una sorta di sfregio

Il patron del Bacanaldel Gnoco, Luigi

D’Agostino: «Siamodemoralizzati.

Spariscono le piazzettepopolari con un po’ di

alberi, e con esse anchei ricordi. È un disastroche lascia senza parole

e adesso speriamoalmeno che facciano

presto, perché ildisagio per i negozi, le auto e i residenti

possa cessare il primapossibile

inVERONA

Page 16: Verona In 25/2010

non sta che facendo il suo lavoro,per qualcuno gli archeologi sonoinfatti purtroppo diventati il ca-pro espiatorio della situazione.Forse anche perché, deludendo leultime speranze, sono “colpevoli”di non trovare l’introvabile: unreperto che possa effettivamentesancire lo stop della Soprinten-denza alla realizzazione dei postiauto sotterranei.Per ora la bonifica, scavando a unaprofondità di circa due metri, hafatto emergere oltre un centinaiodi tombe dell’età tardo antica edell’alto medioevo, già tutte tra-sportate nei magazzini della So-printendenza. Una necropoli digrande valore per la storia di Vero-na, ma che nulla può fare per resti-tuire la piazza ai sanzenati. Si trat-ta di tombe a inumazione ritrova-te a poca profondità che, nel mo-mento stesso in cui vengono sca-vate, diventano trasportabili. Nessuna traccia invece della fa-mosa via Gallica per Brescia, cheavrebbe rappresentato l’unicapossibilità concreta per impedireil procedere dei lavori e che si so-spetta sia stata già rimossa in pas-sato. Intanto la bonifica prosegue e alsuo termine non servirà che ilnullaosta della Soprintendenzaper dare il via, in un primo mo-mento, alla posa dei sottoservizi,da trasferire ai lati della piazza. Ilche provocherà un ulteriore allar-

da pagare, la tassa per i rifiuti.«Quella almeno ce la potrebberotogliere!» lamentano in molti, chela ricordano come una delle pro-messe non mantenute dall’asses-sore Corsi.Si va al risparmio e senza grandiinvestimenti per il futuro. C’è chinon cambia il tendone del suo ne-gozio – come la Merceria Mara –perché l’anno prossimo scadrà ilcontratto e «si vedrà», e chi, pursopravvivendo, si lamenta deidisagi forti e si aspetta il peggio.

«Sono uno dei pochi artigiani ri-masti» dice il proprietario dellaTappezzeria Zambelli, deciso acontinuare la sua attività. «Certoche non avere la possibilità di ca-rico e scarico davanti al negozio,per chi consegna poltrone e diva-ni è un bel problema». «Io da qui non me ne vado» affer-ma orgoglioso il macellaio Clau-dio Accordini, attivo nella piazzaormai da 35 anni. Ma poi, arrab-biato e amareggiato, ritorna suisuoi passi: «Con i lavori per i sot-toservizi il cantiere si allargherà fi-no a un metro e 20 dal mio nego-zio e scaricare la merce diventeràcomplicato. Il prossimo anno an-drò in pensione e con la stradachiusa cosa resto a fare? A pagarele tasse?». A preoccupare Claudioinfatti – oltre all’inevitabile tagliodegli alberi sul marciapiede cheincrocia via Barbarani, già risiste-mato l’anno scorso e adesso inprocinto di essere nuovamente di-strutto per il cantiere – è la cliente-la che ha già iniziato a diminuire.«Anche i clienti affezionati nonpossono permettersi di perderetempo per venire fin qui, non tro-vare un posto in cui sostare e ri-schiare pure di prendere la multa».

ARRIVANO I CINESI

Le attività economiche in crisi so-no almeno una trentina. E alcunehanno già iniziato a chiudere i

Attualità

Giugno 201016

gamento del cantiere verso viaBarbarani. Danno aggiuntivo peri commercianti, che stanno giàsubendo gravi perdite economi-che e che, a questo punto, si augu-rano almeno sia rimandato a do-po la stagione estiva.

FATTURATI IN CADUTA LIBERA

Baristi e ristoratori assistono im-potenti al precipitare dei loro fat-turati, ridotti fino del 40-50 percento. E intanto arrivano l’Inps

Già dieci anni fa, alla prima ipotesi di

costruire un park a SanZeno, i residenti avevanoraccolto oltre 700 firmedi protesta. Ignorate,

allora come oggi. A nullasono infatti servite le

iniziative realizzate inquesti mesi dal Comitato

Salviamo PiazzaCorrubbio, che si èformato lo scorsosettembre dopo

l’assemblea popolare nel quartiere

Page 17: Verona In 25/2010

battenti o a svendere. Come l’ar-rotino, ricordato con nostalgiadal quartiere, ma anche il kebab-baro, il negozio di arti sacre, la sa-nitaria e uno studio di architetti.E se Ivo Spada del “Du de Spade”ha già venduto ai cinesi, gira voceche altri abbiano la stessa inten-zione, anche per le proposte con-tinue che vengono loro fatte.Eppure le agenzie immobiliaridella zona riferiscono di prezzidegli immobili ancora stabili.Quasi a confermare la tesi dei po-chi che hanno il coraggio di guar-dare con fiducia al futuro. Nontutti cinesi. Luigi Legnaro, titola-re dei muri del bar “El canton deSan Zen” è convinto che alla fineverrà fuori una bella piazza. «Cifosse anche un deprezzamentodurante i lavori, poi ci sarà la ri-valutazione. Piuttosto i commer-cianti dovevano chiedere i risarci-menti per i danni subiti».

GENTE ABBANDONATA E DESOLATA

Richieste fatte ma inascoltate, se-condo i negozianti. Che non solosperavano di non pagare la tassasui rifiuti, ma confidavano anchein una serie di altri interventi.«Le insegne dei negozi che ci ave-vano promesso sulla struttura delcantiere ce le siamo affisse da so-li», tuona scocciato Paolo Simeo-ni della pizza al taglio all’angolocon via San Procolo. Oltre al disagio sociale chi vivenel quartiere lamenta anche unamancanza di sicurezza, primasconosciuta. Francesca Berton-celli vive in una casa all’angolo dipiazza Corrubbio: «San Zeno eraun quartiere felice e adesso hopaura a girare sola di notte. Ilgiardino con gli alberi era un luo-go di incontro per bambini, gio-vani, anziani, dove io e mia sorel-la abbiamo imparato ad andare inbicicletta e sui pattini. Adesso ilquartiere è deserto. Apro la fine-stra e sembra di stare sopra un ae-roporto».

E anche Giuliano, che ha solo 17anni, soffre già di nostalgia:«Con gli amici ci ritrovavamonei giardini. Adesso ci siamospostati in piazza Bra, ma non èla stessa cosa».Eppure, secondo l’architetto efunzionario pubblico AlbertoLorini, residente nel quartiere,quei giardini in qualche modopotevano essere salvati pur pro-cedendo nell’opera. «Tutti i pro-getti sono migliorabili se davve-ro si vuole andare incontro allagente. Gestendo lo scavo in ma-niera diversa, gli alberi più vec-chi potevano essere salvati. Ma-gari rinunciando a quattro o cin-que posti auto per un muro dicontenimento adeguato a tenerela terra». A preoccupare i residenti sonoanche le case vecchie, alcune sen-za fondamenta, dicono, e che perquesto potrebbero subire dannidagli smottamenti del terreno. Epoi, oltre a qualche topo avvista-to a scorrazzare fuori dal cantieree ad acqua ed elettricità che salta-no, per qualcuno manca ancheun altro tipo di sicurezza nellapiazza, che con i corridoi in cui ècostretta, rende impossibile ilpassaggio di un’autobotte dei vi-gili del fuoco in caso di qualchecalamità.Sfumature, impressioni, note tec-niche. Ma su una cosa – è certo –tutti sono allineati: quei 300 po-

sti auto interrati rappresentanoun sacrificio troppo grande per ilquartiere. «Non lo useremo mai,costa troppo». E anche l’ipotesidi comprarne uno pertinenzialenon quadra. «Dopo 34 anni dicessione alla Rettondini, la pro-prietà del park passerà al Comu-ne. Ma se io ho comprato un po-sto auto, lo ridò al Comune?», sichiede qualcuno.Già dieci anni fa, alla prima ipo-tesi di costruire un park a San Ze-no, i residenti avevano raccoltooltre 700 firme di protesta. Igno-rate, allora come oggi. A nulla so-no infatti servite le iniziative rea-lizzate in questi mesi dal Comita-

to Salviamo Piazza Corrubbio,che si è formato lo scorso settem-bre dopo l’assemblea popolarenel quartiere. Alberi vestiti, laccineri in segno di lutto, marcia deimille, una sfilata davanti al Co-mune, volti dipinti appesi alla fi-nestra, e persino un appello diaiuto al patrono della città.«Ma a quanto pare – dichiara an-cora sconsolato il medico dellavia di mezzo – nemmeno la fan-tasia dei sanzenati è riuscita a fer-mare l’Amministrazione, insen-sibile e sorda a quel grido di do-lore che arriva dall’ultimo quar-tiere popolare che ancora esiste aVerona».

Attualità

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SEGUIRE LA TRASFORMAZIONECom’è possibile salvaguardare le tradizioni e le abitudini dellacomunità che risiede o lavora vicino a una nuova opera pubblicanel momento in cui l’opera stessa rischia di trasformarle?

COMUNICAZIONE E GARANZIECome garantire una maggiore chiarezza nel corso della realizza-zione di opere pubbliche ai residenti e i commercianti dell’areainteressata? E come garantire loro anche un beneficio futuro afronte del forte disagio subito?

CONSULTARE I CITTADINIÈ realistico pensare che, prima dell’avvio di un’opera pubblica, icittadini possano esprimere la propria opinione circa la necessitào meno dell’opera, soprattutto se, come nel caso di piazza Cor-rubbio, si tratta di un intervento voluto dalla precedente Ammi-nistrazione?

SPUNTI PER UN’AZIONE POLITICA

Quei 300 posti autointerrati rappresentano

un sacrificio troppogrande per il quartiere.«Non lo useremo mai,

costa troppo»

inVERONA

Page 18: Verona In 25/2010

Nella Verona che nonha nessuna intenzione

di cedere allatentazione delle tinte

acriliche, i Dolci –ormai da un secolo –producono coloranti

naturali grazie atecniche tramandate

di generazione ingenerazione

di Marta Bicego

Le terre gialle di Avesa o delleTorricelle, della Valpantena o del-la Valle di Illasi, creano sfumatu-re simili all’oro; quelle prove-nienti dalle cave di Prun o diBrentonico hanno un’inconfon-dibile tonalità verde tenue; quellerosse di San Giovanni Ilarione ri-velano calde tonalità, che muta-no a seconda della luce. Nelle col-line nei dintorni di Verona, haorigine dalla terra la magia delcolore: piccoli frammenti di pie-tra estratti con cura dal sottosuo-lo che, una volta lavorati e ridottiin polvere, si trasformano in pig-menti, creando così infinite gra-

dazioni. Nella Verona picta chenon ha nessuna intenzione di ce-dere alla tentazione delle tinteacriliche, esiste una fabbrica che– ormai da un secolo – producecon professionalità e passione co-loranti naturali grazie a tecnichetramandate, di generazione ingenerazione, fino ai giorni nostri.Ed è proprio guardando agli in-segnamenti del passato che pol-veri gialle, rosse e verdi si tradu-cono quasi magicamente in va-riopinte tonalità nelle abili manidi artisti e restauratori, di im-bianchini e chimici, di artigiani edecoratori; per ravvivare stoffe erossetti, queste preziose polverivengono utilizzate addirittura al-

l’interno dei laboratori che ope-rano nell’industria tessile e inquella della cosmesi naturale.

LA FUCINA DEL COLORE

NEL CUORE DI VERONETTA

Ha una sede nascosta tra i palazzidi Veronetta, al civico 16 di viaCantarane, la ditta (unica in Ita-lia e una tra le poche ancora esi-stenti in Europa) che produce co-lori ricavandoli dalla terra: sitratta del Colorificio Dolci la cuilunga storia – nota forse più all’e-stero che agli stessi abitanti di Ve-rona – è iniziata nel lontano 1910quando il fondatore, Arturo Dol-ci, ha avuto l’intuizione di tra-

Attualità

Giugno 201018

COLORI NATURALI

Le terre di Verona viaggiano per il mondo

Estratte dalle colline scaligere e lavorate tra le mura del colorificio Dolcivengono trasformate in pigmenti variopinti per artisti e restauratori,

in coloranti naturali per l’industria tessile e cosmetica

foto di Elena Sartorari

Page 19: Verona In 25/2010

fessione. Alla fine della SecondaGuerra mondiale Mario Dolci, fi-glio del fondatore del Colorificio,ha deciso di proseguire (tra nonpoche difficoltà) l’attività azien-dale: ha rimesso in piedi la fab-brica distrutta dai bombarda-menti del 1944; ha affrontato glianni della crisi sociale e l’inevita-bile mancanza di clientela; ha as-sistito alla comparsa sul mercatodelle emulsioni viniliche e acrili-che, che hanno sostituito quasicompletamente l’utilizzo delleterre naturali. Non però in rivaall’Adige, dove i figli di MarioDolci, Alberto e Giuliano assiemeal nipote Andrea, hanno conti-nuato la loro opera di ricerca, re-perimento e lavorazione di colo-ranti di estrazione naturale.

DALLA NATURA, INFINITE SFUMATURE

«Da cent’anni ci occupiamo dellamacinazione di terre naturali»spiega Andrea Dolci, perfetta-mente a suo agio in mezzo a sac-chi ricolmi di polveri variopinteche, solo con la loro presenza, co-lorano lo stabilimento di viaCantarane. «Si tratta di materialiconosciuti fin dall’antichità: uti-lizzati per la coloritura murale ead uso artistico, e prediletti percaratteristiche quali resistenza,trasparenza e brillantezza». Ed èproprio grazie a queste peculiari-tà se i toni generati dalla naturavincono la competizione controquelli acrilici. «Un tempo, in cen-tro città, tutte le facciate delleabitazioni erano dipinte con ter-re naturali. Una tradizione che siè persa a metà Novecento, conl’invenzione dei colori sintetici.Negli ultimi anni, per fortuna,stiamo assistendo ad un progres-sivo ritorno alle colorazioni na-turali, perché – come ci tiene aprecisare – si è capito che, in ter-mini di bellezza di tono, sono ini-mitabili». Nulla a che fare, in-somma, con la tinta acrilica che,specialmente se utilizzata per irestauri, «crea una pellicola chenon fa respirare la muratura,conferendo una colorazione piat-ta e opaca». Non è un caso se iprodotti della ditta Dolci sono ri-chiesti, oltre che in Italia, soprat-tutto all’estero: dal Canada al-l’Australia, dagli Stati Uniti al

Attualità

19

Giappone. Provengono da Vero-na anche i pigmenti che vanno aravvivare i colori per artisti pro-dotti dalle prestigiose aziendeMaimeri, Talens, Sennelier eWinsor & Newton per quanto ri-guarda gli acquerelli.

I SEGRETI DELLE TERRE VERONESI

Quello del colore è un universoricco di segreti e curiosità. Per

rendersene conto, è sufficientevisitare il Colorificio della fami-glia Dolci o il negozio dedito allavendita al dettaglio che affiancala storica fabbrica di via Cantara-ne, dove c’è sempre chi può dareun suggerimento utile. Tra barat-toli di vetro e scaffali variopinti,si scopre così che le terre coloratedanno origine a una gamma diventi colori. Quelle veronesi sonoper la maggior parte tendenti al

sformare in colore i frammentidi pietra estratti (allora con unaparticolare abbondanza) neidintorni di Verona. Per fare ciò,non ha fatto altro che prendereesempio dal passato: quando,cioè, le popolazioni preistoricheriducevano le materie prime(pigmenti minerali gialli, rossi,bruni, neri e bianchi) in sottilepolvere, utilizzando pestellid’ossa e ardesia, impastando iltutto con acqua e grassi animali.Senza dimenticare che a Verona,Urbs picta del Cinquecento, lefacciate di palazzi prestigiosi ogli interni delle chiese più bellesono diventati grandi “tavole”sulle quali pittori, locali e non,hanno realizzato straordinaricicli di affreschi. Quando l’attività estrattiva inItalia era ancora fiorente, vale adire fino alla prima metà delNovecento, nel Veronese esiste-vano circa una ventina di indu-strie dedite alla produzione diterre coloranti. Realtà che neglianni hanno chiuso, una dopol’altra, i battenti: vittime di con-flitti e crisi economiche, non ul-timo della concorrenza (in ter-mini di costi, ma non certo diqualità) delle tinte acriliche.Malgrado tutto, i Dolci hannosempre creduto di essere depo-sitari di un patrimonio di espe-rienza e tradizioni straordina-rio. È testimonianza di ciò la te-nacia con la quale la famiglia ve-ronese ha difeso, e continua tut-tora a difendere, la propria pro-

Andrea Dolci

inVERONA

Page 20: Verona In 25/2010

giallo ocra, al rosso mattone, albruno: le terre gialle (provenientidalle Torricelle, dalla Valpantenae da Illasi) sono idrossidi di ferroassociate ad argille; quelle rossecontengono ossidi uniti ad argillee silicati amorfi. A queste si ag-giungono il verde tenue (che pro-viene dalle zone del Monte Baldoe dai dintorni di Negrar) ottenu-to da due minerali argillosi qualila celadonite e la glauconite; cisono infine il nero estratto in Vald’Alpone e il gesso cavato a Mar-cellise. Altre, come le terre d’om-bra, arrivano in riva all’Adigeperché importate da Cipro e dal-la Francia dove esistono riccheminiere a cielo aperto.In natura, le terre vengono rac-colte dalle mani esperte degli ul-timi cavatori rimasti nel Verone-se: si tratta di appassionati checonoscono i luoghi nei quali an-dare a scavare e, nel tempo libero,si dedicano a questo antico me-stiere per passione più che pervero guadagno. «L’attività estrat-tiva vera e propria è chiusa da de-cenni» prosegue Andrea Dolci.«Fino agli anni Cinquanta del se-colo scorso, ad esempio, si scava-vano le terre gialle nelle gallerienaturali presenti sotto le Torri-celle, specie nella parte della Val-donega. Piccoli giacimenti sot-terranei sono presenti in Valpoli-cella e Val d’Alpone, dove i pro-prietari dei terreni ci fornisconoancora oggi le materie prime. Al-tro materiale lo recuperiamo nel-le cave di marmo dove affiorano,di tanto in tanto, venature colo-rate. Si tratta comunque di quan-tità molto limitate che permetto-

no di mantenere in vita una pro-duzione che destiniamo, in modomirato, al restauro artistico e aisettori che richiedono un pro-dotto di qualità».

DALLE CAVE, ALLA FABBRICA

La materia prima, in origine sot-to forma di pezzi, arriva allo statogrezzo al Colorificio di Veronettaconservata all’interno di capientisacchi del peso di circa mille chiliciascuno. Prima di essere lavora-to, il prezioso materiale deve es-sere disteso e asciugato in manie-ra naturale; raccolto entro barat-toli di latta per la fase della calci-natura, viene in parte bruciatoall’interno di un forno a gas me-tano, alla temperatura di 350 gra-di. Si producono con questo pro-cedimento le terre che vannoscurite: dopo la cottura i pigmen-ti gialli subiscono una trasforma-zione mineralogica e diventanodi un rosso vivace. Attraversogrosse macine con la mola in gra-nito, simili a quelle presenti neifrantoi, vengono sminuzzategrossolanamente le pietre piùgrosse e avviene la prima raffina-zione del prodotto. All’interno dialtri macchinari, i mulini a mar-telli, le terre diventano polveresottilissima, che – dopo esserestata miscelata e controllata conattenzione per vagliare eventualidisomogeneità – ritorna a riem-pire capienti sacchi per essereportata in ogni parte del mondo.Si producono fino a 40-50 quin-tali di pigmenti alla volta. È cosìche le polveri colorate vengonovendute ad altri colorifici perpreparare prodotti pronti o a ne-gozi specializzati presenti in cittàd’arte come Roma e Firenze. Ar-rivano anche nelle mani di artistie restauratori; di architetti e de-

coratori; di artigiani del legnoche, secondo antiche lavorazioni,le miscelano con la colla di coni-glio per trattare vecchie tavole li-gnee; di manovali che, per dipin-gere interni ed esterni di palazzi oper le murature di pregio, le mi-scelano con il grassello di calce.Gli utilizzi delle terre colorate so-no infiniti ed altrettanto impen-sabili, e forse è anche per questomotivo che il Colorificio Dolcivanta una clientela internaziona-le. «Qualche anno fa è venuto afarci visita il fondatore della Die-sel, Adriano Goldsmith, che at-tualmente vive e lavora negli Sta-ti Uniti» rivela Andrea Dolci. «Èl'inventore di un sistema di colo-razione del denim, per creare uneffetto vintage, utilizzando i no-stri pigmenti colorati che vengo-no fissati sui tessuti attraversouna serie di lavaggi in lavatrice.Ne risultano dei jeans invecchia-ti, che tuttora sono venduti inAmerica». Altre ditte tessili, magari menoconosciute, ma che operano allespalle di altre importanti realtà,utilizzano procedure simili perdipingere in maniera naturalestoffe e pellami. Le grandi indu-strie poco rivelano delle proprielavorazioni, sempre di segreti delmestiere si tratta in fondo, ma «cisono brevetti sperimentati daaziende come la L’Oréal, i cui tec-nici sono venuti qui a testare lacompatibilità delle terre con laloro produzione» aggiunge, mo-strando una corposa documenta-zione costituita da e-mail e anali-si di laboratorio. «Dopo due annidi test, che hanno ottenuto risul-tati positivi, hanno selezionatoalcuni pigmenti da utilizzare percreare prodotti cosmetici natura-li». L’interesse c’è e l’intenzionedei fondatori della ditta Dolci «è,mercato permettendo, di mante-nere una lavorazione che è unapassione di famiglia. I costi dimanutenzione dei macchinarisono elevati, ma le soddisfazioni(soprattutto dall’estero) ripaga-no di tanti sacrifici». È necessario«ricordare gli insegnamenti chevengono dal passato», concludeDolci, «ma la nostra forza è stataquella di affiancare la tradizionea innovazione e ricerca. L’inten-zione è, quindi di proseguire lun-go la stessa strada».

Attualità

Giugno 201020

«Qualche anno fa èvenuto a farci visita il

fondatore della Diesel,Adriano Goldsmith,

che attualmente vive elavora negli Stati

Uniti. È l’inventore diun sistema di

colorazione per creareun effetto vintage,

utilizzando i nostripigmenti colorati che

vengono fissati suitessuti attraverso una

serie di lavaggi inlavatrice»

Page 21: Verona In 25/2010

L’ENERGIACHE FA CRESCERE

VERONA

LA STORIADI AGSM

AZIENDA GENERALE SERVIZI MUNICIPALIZZATI

Page 22: Verona In 25/2010

«Il primo impianto realizzato da Agsm

all’inizio del Novecento sfruttava l’energia

del fiume Adige. Molta strada è stata percorsa

da quel tempo lontano...»

Page 23: Verona In 25/2010

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Un futuro nel segno della continuità

Nel 2009 oltre il 10% dell’energia elettrica prodotta daAgsm é stata originata da fonti rinnovabili idroelettri-che e eoliche. Questa percentuale è in continua cre-scita, grazie soprattutto alla realizzazione di nuovi im-pianti eolici e al potenziamento degli impianti idroelet-trici esistenti. Il primo impianto realizzato da Agsm all’inizio del No-vecento sfruttava l’energia del fiume Adige. Molta stra-da è stata percorsa da quel tempo lontano. Se, infatti,il Canale Camuzzoni rappresentò l’opera pubblica chesegnò l’inizio dell’era industriale per lo sviluppo socialeed economico di Verona, oggi le energie rinnovabili, larazionalizzazione e il potenziamento degli impianti

idroelettrici, la ricerca fotovoltaica, i parchi eolici, il teleriscaldamento e le biomasse co-stituiscono quella che in molti definiscono ormai la “nuova frontiera” per l’approvvigiona-mento energetico senza minacciare un equilibrio ambientale sempre più compromesso. In questa pubblicazione viene ripercorsa l’intensa attività di Agsm nel Novecento. Leprospettive per il futuro sono straordinarie. Perché il primo secolo del terzo Millennio as-sisterà alla quarta rivoluzione industriale dopo la meccanizzazione del primo Ottocento,l’elettrificazione del primo Novecento e l’informatizzazione iniziata nella seconda metàdel Novecento ed oggi diffusa in ogni pertugio di vita quotidiana. Il quarto passo saràrappresentato dalla rivoluzione della produzione energetica. Con il lusinghiero obiettivodi produrre energia in modo naturale, cioè con il sole e il vento. Esattamente come fece-ro i tecnici di Agsm alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento sfruttando l’elemen-to naturale per eccellenza, l’acqua, e trasformandola prima in energia idraulica e poi inenergia idroelettrica. Ma se allora la sfida era per alimentare il primo volano produttivosu scala industriale, oggi l’impegno è volto a ridurre progressivamente la dipendenza dafonti fossili, spezzare la catena che ci lega al petrolio per far muovere le attività industria-li del nostro pianeta. Dal punto di vista energetico l’Italia è in posizione molto vulnerabile. Il nostro Paesedipende nella misura del 90% dall’energia prodotta all’estero e importata in Italia. Seoggi la produzione energetica fotovoltaica può costare fino a cinque volte di più diquanto costi produrre analoghi volumi energetici da fonti fossili, è auspicabile chemassicci investimenti in questo comparto potranno generare una spirale virtuosa chestimolerà altri investimenti, concorrenza, innovazione e dunque progresso e rispettoambientale.

Avv. Gian Paolo Sardos AlbertiniPresidente Agsm Verona Spa

Avv. Gian Paolo Sardos Albertini,Presidente di Agsm

inVERONA

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LA STORIA DI AGSM

L’energia che fa crescere Verona

In basso: l’energia pulita prodotta dallo stadio Bentego-di, grazie al tetto fotovoltaico di Agsm (potenza com-plessiva pari a 996 Kilowatt), permette di evitare leemissioni nell’atmosfera di 550 tonnellate di anidridecarbonica l’anno. L’intervento – iniziato nell’estate 2009e concluso alla fine dello stesso anno – ha interessatouna superficie di quasi 20 mila metri quadrati, sullaquale sono stati installati 13.328 moduli. I costi di rea-lizzazione – circa 4 milioni di euro – saranno ammor-tizzati in vent’anni grazie al meccanismo della messa inrete dell’energia, per un volume pari a 935 mila Kilo-wattora annui. La resa energetica dei pannelli potrà es-sere visualizzata dai cittadini grazie a un contatore po-sto all’esterno dello stadio.

Page 25: Verona In 25/2010

Claude Raffestin ci insegnache lo spazio è preesistente adogni azione, è una materia pri-ma, è il luogo dei “possibili”. Ilterritorio invece è generato, è ilprodotto di un attore, richiede etestimonia l’intermediazionedel l ’uomo, è i l r isul tato diun’appropriazione, è la sededelle relazioni. Lo spazio è laprigione originale mentre il ter-ritorio è la prigione che gli uo-mini si danno, ma è anche lospiraglio, ampio e stimolante,in cui svolgiamo la nostra mis-sione di uomini. Possiamo leg-gere in questa prospettiva lastoria dell’Azienda Generaledei Servizi Municipal izzat i(Agsm) in relazione a quelladella città di Verona, della suaindustrializzazione.

VERONA, ULTIMI DECENNI DELL’OTTOCENTOIn apertura del suo L’industriaitaliana dall’Ottocento ad oggiValerio Castronovo descrive lasituazione economica post-uni-taria dell’Italia: una nazione re-lativamente arretrata e inseritain un mercato internazionale incui dominavano già forti sistemiindustriali egemonici, un sotto-suolo povero, un tessuto econo-mico essenzialmente agricolo.A tutto questo si aggiunge, perla città di Verona, la terribile pie-na dell’Adige del 17 settembre1882.

La provincia dipende – nelle ci-fre e nello spirito – dal mondoagricolo, come indicano alcunidati statistici che si riferisconoal 1881 e riportati nella Mono-grafia statistico economica am-ministrativa del Sormani Moret-ti: gli addetti all’agricoltura so-no 69.198 maschi e 22.980femmine (i numeri indicano lapopolazione dai 9 anni in poi).L’autore evidenzia inoltre che“sapere e operosità, prenden-do il posto della neghittosità edell’ignoranza, hanno da vince-

re le cieche consuetudini”. Lodimostra il numero degli anal-fabeti che, nel censimento del1871, per quanto riguarda Ve-rona e provincia sono 104.069maschi e 126.843 femmine, suun totale di 394.868 abitanti. La sfida è grande e altre cittàsono in competizione: si tratta dipensare il futuro, di agire re-sponsabilmente e di immagina-re quali stimoli ed energie pos-sano essere messi in moto persuperare un periodo difficile,con orizzonti angusti e deleteri,dove a soffrire sono soprattuttogli strati più deboli della popola-zione. È così che a Verona ve-diamo affacciarsi alla fine del-l’Ottocento una borghesia, co-me afferma Maurizio Zangarini,colta e prudente, che cerca unequilibrio tra i rischi della mo-dernità e le sicurezze della pro-prietà fondiaria. Cresce unaclasse intellettuale in grado diconcepire infrastrutture innova-tive e si forma una massa dimanodopera, di bracciantato,che chiede di lavorare per sfug-gire allo spettro della fame e aldramma dell’emigrazione che –sono sempre dati del SormaniMoretti – nel 1888 raggiunge le10.184 partenze definitive.

Il 1887 è una data importanteper Verona, perché in quell’an-no viene inaugurato il canale in-dustriale che porta il nome diGiulio Camuzzoni, sindaco del-la città dal 1867 al 1883. Di lui edell’ingegner Enrico Carli, a cuifu affidata la costruzione dell’o-pera, gli annali hanno conserva-to memoria. Dobbiamo inveceessere grati al Lotze, al Bressa-nini e ad altri fotografi per averimmortalato, assieme al cresce-re delle strutture, anche chiquelle opere le costruì: gli ope-rai e gli scariolanti che vediamoa Chievo, in posa, immobili, sul-l’impalcatura più alta, protagoni-sti assieme ai tecnici e ai bor-ghesi. Si tratta di sinergie, chesicuramente hanno avuto mo-menti di tensione e contraddi-zioni, ma che hanno consentitodi guidare una città fuori dallesabbie mobili del conservatori-smo e qualche volta dell’inedia.

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In questa pagina: la diga del Chie-vo alimenta il canale Camuzzoni ela centrale idroelettrica di Tombet-ta. Proprio nella conca di naviga-zione della diga, sede storica delConsorzio Camuzzoni, Agsm harecentemente realizzato un nuovoimpianto il cui scopo è valorizzarela cospicua portata dell’Adige rila-sciata a valle per produrre energiaidroelettrica.

Nella pagina accanto: La centraleidroelettrica di Tombetta è statadotata, nel tempo, di nuove tecno-logie. L’intervento più importanteha riguardato il posizionamento,in verticale rispetto all’acqua, degliassi delle turbine: una scelta che hapermesso di aumentare significati-vamente la produzione elettrica.La centrale sviluppa una potenzacomplessiva di 12 Megawatt.

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Le industrie di Basso Acquar – acui il nuovo canale fornirà ener-gia idroelettrica – nascerannoper scelta strategica in un luogoapparentemente privo di risorse,mentre la vicina Montorio (defi-nita la Manchester d’Italia), chedeteneva una vocazione indu-striale, sorgeva nel sito di scatu-rigine delle acque. L’area a Suddella città presentava però an-che dei vantaggi, come la dispo-nibilità di abbondante manodo-pera, la vicinanza della ferroviae spazi adeguati. Forse l’icono-grafia delle città padane inca-stellate entro mura possenti of-fertaci dalla carta di Giovanni Pi-sato (1440) è, con questa scel-ta, definitivamente superata.

Ridisegnare lo sviluppo di Vero-na fu una scelta complessa manecessaria. Gli Austriaci aveva-no lasciato una città la cui eco-nomia ruotava attorno al leguarnigioni militari, creandocon la loro partenza una miria-de di disoccupati. Ci volle poidel tempo per liberarsi dalleservitù militari, per espropriare iterreni agricoli e forse ancheper cambiare mentalità.

Se il canale industriale sfonda-va le mura anguste di una pri-gione – giusto per riprenderel’efficace immagine di Raffestin– certo apriva ad altre schiavitù,da individuarsi sul piano esteti-co, metaforico o relativo allapercezione dei luoghi. È ciò chefa scrivere a Michela Morganteche c’è stato di sicuro un impat-

to critico del nuovo assetto “sultessuto sociale preesistente esu una risorsa costitutiva delpaesaggio urbano, con profon-di risvolti per la definizione diuna identità locale”, perché èchiaro che a Verona “le acquerivestono fortemente una va-lenza simbolica”.

In questo quadro nasce l’Offici-na elettrica, municipalizzata nel1898 e gesti ta dal l ’AziendaElettrica Comunale (Aec). Nel1923, per aumentare l’immis-sione di acqua nel canale, vie-ne costruita la diga di Chievo.Nel 1927 viene portata a termi-ne la centrale di Tombetta I, do-ve l’acqua del Camuzzoni con-f luisce producendo energiaelettrica. Nel 1957, come rispo-sta alla crescente domanda dienergia, viene costruita la cen-trale di Maso Corona (Ala-Tn).Il canale Camuzzoni e la centra-

le di Tombetta (come più tardi leciminiere della cogenerazione,il termovalorizzatore o, proiet-tandoci in un futuro che incalza,le pale eoliche e i pannelli foto-voltaici) marchiano per sempreil territorio. Questi manufattihanno però la stessa dignità diun castelliere preistorico o del-l’ala dell’Arena, perché docu-mentano una dimensione ine-stinguibile dell ’homo faber :quella dell’inventare e del co-struire. È ancora Raffestin checi avverte come si debba accet-tare l’incessante fatica di Sisifodi reinventare continuamente ilnostro territorio, perché “imma-ginare una rappresentazionestabile è immaginare l’immobili-tà, dunque la morte”.

Il clima in cui matura la nascitadi Agsm lo spiegano P. P. Pog-gio e M. Zane in Storia delleaziende elettriche municipaliz-zate in Italia. Nel testo sono ri-portate le parole della Commis-sione reale per il credito comu-nale e provinciale in cui si notacome l’Amministrazione di Ve-rona, in questo esordio di seco-lo, abbia dato “larga applica-zione alla municipalizzazionedei pubblici servizi”, con diversiobiettivi, ma certamente con lacoscienza di porre un freno “al-l’ingiusto e crescente aumentodei prezzi dei generi alimentari”e per impedire che “una ristret-ta categoria di lavoratori… pos-sa danneggiare gli interessidell’intera popolazione”. Il riferi-

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Agsm vieneufficialmente istituita

con deliberaconsigliare del 24

ottobre 1931. Sono glianni della grande

depressione dopo ilvenerdì nero di Wall

Street e che ha, in pocotempo, attraversato

l’oceano e investito leeconomie di tutti i

paesi industrializzati

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L’Arena del 10 luglio 1906 scriveva: “L’Assemblea della Società dei TramElettrici di Bruxelles approvò il contratto con il Municipio per la trasfor-mazione del tram a cavalli in tram elettrico e domani arriveranno daBruxelles due consiglieri per la firma di detto contratto, il quale verrà poisottoposto all’approvazione del Consiglio. A quanto ci consta i patti che sidebbono stipulare sono favorevolissimi per il Comune il quale, oltre averimposto la costruzione di due linee nuove, avrà una cointeressenza negliutili e la facoltà del riscatto dopo il decennio a condizioni stabilite assaivantaggiose. Delle due nuove linee, una partendo da Piazza Erbe attra-verserebbe il ponte Umberto, costeggiando i muraglioni a sinistra prose-guirebbe per le vie S. Stefano e S. Alessio fino a borgo Trento, l’altra daCastelvecchio arriverebbe fino a S. Zeno. I lavori cominceranno entro ilpiù breve termine sotto la direzione del Presidente della Società Ing. Cav.Paolo Milani”.

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mento è ad iniziative importan-tissime sotto il profilo sociale,come l’Azienda dei servizi o co-me la breve esperienza del For-no comunale.

LA NASCITA DI AGSMAgsm viene ufficialmente istitui-ta con delibera consigliare del24 ottobre 1931. Sono gli annidella grande depressione dopoil venerdì nero di Wall Street eche ha, in poco tempo, attraver-sato l’oceano e investito le eco-nomie di tutti i paesi industrializ-zati. Non solo, ma a parte alcu-ne rarissime eccezioni – in Italiala Fiat, l’Ilva, la Breda e la Co-gne –, come osserva ancoraCastronovo, “la razionalizzazio-ne delle tecniche di gestione edi produzione si diffuse conmolto ritardo e non compì so-stanziali progressi”.

Eppure, nonostante il contesto,le paure, le stanchezze e i ritar-di, Verona trova la forza di rea-gire e anche l ’ ist i tuzione diAgsm rientra in questo alveo. Sono gli anni del fascismo e cistiamo avviando verso il secon-do conflitto mondiale. Ma è pro-prio in questo periodo che ini-ziano i lavori dell’Ospedale diborgo Trento e vengono inaugu-rati i Magazzini Generali; inBasso Acquar prendono forma icapannoni delle Cartiere di Ve-rona, in borgo Venezia apre ilcalzaturificio Cipriani, mentre aSan Michele Extra vengono co-struite le case per gli operai del-la Tiberghien. Attività, questadegli opifici, che risponde inparte alla forte disoccupazione,che non solo appesantiva l’eco-nomia ma costituiva un graveproblema sociale. Una realtà inmovimento costante di cui pos-siamo, a distanza di decenni,avvertire la dinamica leggendola storia dell’industrializzazioneveronese, ma anche scorrendole pagine del libro fotograficodei fratelli Bassotto, Lo stato deiluoghi.

Questa dinamica volta al futuroè presente anche nella neonataAgsm, attenta a garantire ai cit-

tadini i servizi essenziali, allaquale viene affidata, oltre al fon-damentale settore dell’energiaelettrica, anche la gestione del-l’acquedotto, la fabbrica delghiaccio, la produzione e la dis-tribuzione del gas, la tramvia.Attività che hanno già una lorostoria. L’acquedotto richiama unelemento più che mai vitale: ri-porta all’idea delle sorgenti e aimiti che attorno ad esse sonosorti nei secoli. La fabbrica delghiaccio riporta nella vecchiaLessinia, alle pozze di raccolta,alle giassare (“frigoriferi” natu-rali capaci di conservare i lghiaccio); ai carrettieri che, dinotte, trasportano la preziosamateria in città. È inoltre affasci-nante immaginare le 5.840 fontiluminose alimentate a gas nellaVerona del 1860. Come ricordaDanilo Castellarin in Cento anniinsieme “Ogni notte appositi ad-detti dovevano provvedere allaloro accensione con un lungobastone che terminava con unostoppino”: quasi una pagina delPiccolo Principe riportata inPiazza delle Erbe, in CorsoSanta Anastasia, a Castelvec-chio. Altrettanto suggestivo è ilracconto, pubblicato da L’Arenadel 23-24 novembre 1914, doveil cronista, in attesa a borgoTrento del tramway Verona-Avesa, nel giorno della suainaugurazione, si lascia andareallo sconforto e scrive: “Sonobattute e ribattute le dieci e lacarrozza inaugurale ancora nonspunta”. Il cielo è “sporco di nu-vole” e cade qualche goccia, poifinalmente qualcuno grida, tral’entusiasmo generale: “L’è quach’el vien!”.

Negli anni Trenta Agsm ereditaqueste realtà ampliandole, inmodo tale da divenire protago-nista della crescita della città edel suo territorio proprio neglianni in cui i governi, in seguitoalla crisi del ’29, erano indotti“non solo a promuovere un in-tervento attivo ed efficace delloStato… ma a sostituire talora l’i-niziativa pubblica a quella priva-ta”, come scrive Valerio Castro-novo nell’enaudiana Storia d’I-

talia. Ma Verona più che asse-condare questa svolta si muovegià nel solco di una lungimirantetradizione di un intervento pub-blico efficace e al servizio dellacomunità. E i risultati, nel casodi Agsm, si vedono. L’acquedot-to si è trasformato in una strut-tura che oggi pompa annual-mente 47 miliardi di litri d’acqua;nel 1939, entro le mura cittadi-ne, la rete del gas contava 114chilometri di tubature e serviva13 mila utenze, mentre oggiquesti numeri sono rispettiva-mente 1.000 e 128 mila; la pri-ma linea tramviaria, inauguratanel febbraio 1908, si è trasfor-mata in 21 linee urbane feriali;l’illuminazione a gas voluta dalMunicipio, e realizzata dai fran-cesi della Società Lionese delGas nel 1845, conta oggi 35 mi-la fonti luminose su 1.000 chilo-metri di strade.

LO SVILUPPO DI AGSM NEL DOPOGUERRA La città esce dalla secondaguerra mondiale gravata daprofonde ferite, che vanno dallatotale assenza di ponti sull’Adi-ge, ai danni provocati dai bom-bardamenti a causa della collo-cazione strategica di Verona,centro nevralgico del dopo 8settembre. La centrale idroelet-trica di Tombetta, bombardata apiù riprese, è completamentedistrutta; l’impianto d’illumina-zione e la rete idrica sono gra-vemente compromessi. La Bi-blioteca Capitolare è devastatae solo la preventiva e lungimi-rante opera di monsignor Giu-seppe Turrini ha potuto salvarecodici e volumi rari, trasportan-doli altrove evitando perdite ir-reparabili; uguale sorte è tocca-ta alla Biblioteca Civica, a nu-merose chiese, alla stazione diPorta Nuova.

Il tessuto industriale è ridotto aiminimi termini e solo industriecome Galtarossa e Mondadorisono in grado di espandersi e dicreare posti di lavoro. È propriosu questa disponibilità di mano-dopera a costi competitivi chepunta la possibilità di una ripre-

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La città esce dallaseconda guerra

mondiale gravata daprofonde ferite: la

centrale idroelettricadi Tombetta è

completamentedistrutta; l’impiantod’illuminazione e la

rete idrica sonogravemente

compromessi

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Dal 1952 al 1958 la richiesta dienergia a Verona raddoppia, salen-do a 10 milioni di Kilowattora. Perquesti motivi a Raossi di Vallarsa(Rovereto), a 800 metri d’altezza,Agsm ha inaugurato nel 1958 ladiga di Speccheri, alta 156 metri.In questo lago artificiale, la cui ca-pienza è di oltre 10 milioni di me-tri cubi, vengono raccolte parte del-le acque del fiume Leno, prove-nienti dal Pasubio e dalle PiccoleDolomiti del gruppo del Carega.L’acqua viene poi immessa in unagalleria a pressione che collega laVallarsa alla Vallagarina e da lìfatta scendere in una condotta for-zata, con un salto di circa 650 me-tri, alla centrale idroelettrica diMaso Corona (Ala-Tn). L’acqua,la cui velocità raggiunge i 380 chi-lometri orari, muove una turbinaidraulica a cui è accoppiato un ge-neratore di potenza elettrica. Oggi,a seguito degli interventi di rifaci-mento conclusi alla fine del 2008,nella centrale sono presenti duegruppi idroelettrici da 20 mila Ki-lowatt, per un valore di potenzacomplessiva pari a 40 mila Kilo-watt.

Nel periodo compreso fra il 1964 eil 1972, la domanda di energia aVerona tocca la vetta di 300 milio-ni di Kilowattora. A queste nuoveesigenze Agsm ha risposto con lacentrale termoelettrica di Ponti sulMincio, vicino a Peschiera del Gar-da, completata nel 1966, potenzia-ta nel 1983 e nel 2003 e attualmen-te caratterizzata da una potenza di380 Megawatt con una producibi-lità di circa un miliardo e mezzo diKilowattora in un anno per fornireenergia a Verona (45%), Brescia(45%), Rovereto (5%) e Vicenza(5%). Da questo impianto le uten-ze Agsm ricavano il 60% del pro-prio fabbisogno energetico.

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sa. Né si può dimenticare che ilPiano Marshall consente di rin-novare, talvolta in maniera qua-si totale, gli impianti industriali.Di lì a poco – ma con il concorsodi una miriade di fattori – saràinfatti boom economico anche aVerona, pur con tutte le cautelee i distinguo necessari, come laripresa dell’emigrazione.

Questi anni si possono definirestraordinari. Azzerata la produ-zione di elettricità a causa deibombardamenti Agsm, già nel1948, mette a disposizione del-la crescente domanda di ener-gia gli impianti di Tombetta. Ac-canto alla cura dei gioielli di ca-sa, l’Azienda si rivolge anchealle comunità contermini e na-scono collaborazioni fonda-mentali: a Nord con Ala e Ro-vereto e a Ovest con Brescia.Le cronologie riescono talvoltaa dare l’idea di un’evoluzionemeglio di tante parole, ecconeuna centrata sul l ’at t iv i tà diAgsm:

1946 ripristino Tombetta I1948 inaugurazione Tombetta II1952 stipula della convenzionecon l’Agip-Snam per la distribu-zione del metano in città1957 costruzione dell’impiantoidroelettrico di Maso Corona diAla con lo sbarramento di Spec-cheri in Vallarsa (Rovereto)1966 costruzione dell’impiantoidroelettrico di San Colombano,a Trambileno (Trento), in colla-borazione con Rovereto.1966: attivazione della centraletermoelettrica del Mincio, in col-laborazione con Brescia

Le scelte espansionistiche diAgsm procedono in totale armo-nia con lo sviluppo della città. Siguardi, solo per fare alcuniesempi, agli avvenimenti cheseguono e la concomitanza del-le date. Il 3 marzo 1946 si conclude la ri-costruzione del Ponte della Pie-tra, che assume per Verona unvalore simbolico. Il 10 marzodello stesso anno ritorna l’ap-puntamento con la Fiera dell’A-gricoltura. Nel 1948, nell’edizio-

ne del Cinquantesimo, nasce ilquartiere fieristico di borgo Ro-ma nel cuore della nuova ZAI,che parte con la vocazione ditrasformare i prodotti agricoli,ma che diventa ben presto fittodi attività artigianali e industriali.Nel 1960 la cerimonia di inau-gurazione delle “Fiere de mar-so” (come vengono popolar-mente chiamate) viene tra-smessa in diretta dalla RAI. Nelfrattempo in Italia (dal 1941 al1971) la produzione di vino rad-doppia, quella di agrumi qua-druplica, quella di olio quintupli-ca. Tra il ’50 e il ’60 la Mondado-ri si trasferisce e si amplia a Estdella città e proprio in quegli an-ni inizia la metanizzazione diVerona, come avviene nel restod’Italia sotto la spinta di EnricoMattei, presidente dell’ENI (En-te Nazionale Idrocarburi). Gli anni Sessanta vedono la co-struzione dello stadio e del poli-clinico di borgo Roma, lo svilup-po dell’Università, l’individua-zione della Bassona e di altrezone a Sud-Ovest come futurearee industriali.

L’impegno di Agsm nella produ-zione di energia continua a mar-ciare parallelo alla progressioneindustriale e tecnologica dellacittà: le centrali di Maso Coronae di San Colombano ne sono latestimonianza. La prima, inau-gurata nel 1958, trova la suaorigine nella diga Speccheri, inVallarsa (Rovereto). Si tratta diuna “muraglia” alta 156 metri,larga alla base 16 metri, conte-nente 10 milioni di metri cubid’acqua: è imponente e visibileda tutte le creste del Carega ri-volte a Est, sulla Vallarsa e ver-so il Pasubio. “La popolazioneapprovò subito la costruzionedella diga – racconta nonno Au-gusto, la cui testimonianza èraccolta in una ricerca scolasti-ca recuperata tra le pagine di in-ternet –. In quegli anni in vallec’era poco lavoro e le famiglieerano spesso costrette a emi-grare per cercare un’occupazio-ne”. Certo, tutto va storicizzato,anche la sensibilità dei valligianinei confronti di un’opera di que-

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ste proporzioni, ma le parole dinonno Augusto contengonoun’indubbia filosofia di vita di cuinon si può non tener conto.

La seconda centrale, quella diSan Colombano, prende il no-me dall’omonimo sito eremitico,un luogo la cui suggestione èpari a quella dei più noti eremimedievali. Si trova nel comunedi Trambileno (Trento) ed è sta-ta costruita con quote paritarieassieme all’Asm di Rovereto. Quelle di Speccheri e di SanColombano sono due centraliche producono energia utiliz-zando la forza di gravità e l’ac-qua. Un sogno per gli ecologisti(ma c’è anche chi ha censitosbarramenti, prelievi e altro,mostrandone la voracità danno-sa), un vantaggio per tutti.

Diverso è il caso della centraledi Ponti sul Mincio – completatanel 1966, potenziata nel 1983 enel 2003 – dalla quale Agsm ri-cava il 60% della produzioneenergetica complessiva. An-ch’essa è il frutto di una collabo-razione, questa volta con l’Asmdi Brescia. Nel progetto le dueaziende partecipano con quoteparitarie. Ciò che distingue gliimpianti trentini da quest’ultimoè l’energia utilizzata per produr-re l’elettricità. Quella di Ponti sulMincio è infatti una centrale ter-moelettrica, dunque per produr-re energia deve bruciare qual-cos’altro, olio combustibile ometano, e per questo ci sonoelettrofiltri che riducono al mini-mo gli scarichi della combustio-ne e i fumi sono costantementecontrollati.

L’obiettivo che le municipalizza-te perseguono con determina-zione in questo periodo di gran-de richiesta di energia è quellodell’autosufficienza. Ma proprionegli anni Sessanta all’orizzon-te compare l’Enel (Ente Nazio-nale Energia Elettrica) che sioppone a questa politica. Si vaverso un tentativo di “gradualemarginalizzazione… del servi-zio elettrico municipalizzato” (P.P. Poggio e M. Zane nel già cita-

Le scelteespansionistiche

di Agsm procedono intotale armonia con lo

sviluppo della città

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L’impianto di teleriscaldamento diForte Procolo, il primo costruito aVerona negli anni ’70. Successiva-mente venne trasformato in cen-trale di cogenerazione, ossia in unimpianto capace di produrre si-multaneamente energia elettrica etermica: parte dell’energia termicaderiva dal calore recuperato nelprocesso di produzione di energiaelettrica. Agsm si colloca al quartoposto in Italia (dopo Brescia, Tori-no e Reggio Emilia) per volumetriadi edifici serviti da questo servizio,con un totale di circa 10 milioni dimetri cubi riscaldati. Le attuali retidi teleriscaldamento sono alimen-tate da cinque centrali di cogenera-zione la cui potenza complessiva èdi 60 Megawatt, con una produ-zione contemporanea di energia di300 Gigawattora elettrici l’anno.Le centrali si trovano in borgo Ve-nezia, Centro Città, borgo Trento,Saval e Golosine. I quartieri in cuiè disponibile il servizio di teleri-scaldamento sono: borgo Venezia,borgo Trieste, Centro Città, borgoTrento, quartiere Pindemonte,Ponte Crencano, Saval, quartiereNavigatori, quartiere Ponte Cate-na e Golosine. Il teleriscaldamentoa Verona permette una notevole ri-duzione dell’inquinamento atmo-sferico.

Nel depuratore Città di Verona,oggi gestito da Acque Veronesi,ogni giorno vengono trattati 90mila metri cubi di reflui civili e in-dustriali (provenienti dalle reti fo-gnarie dei Comuni di Verona, Ne-grar, Grezzana e Buttapietra), conla produzione di oltre 50 tonnellatedi fanghi, vale a dire il concentratoinquinante sottratto alle acque ve-ronesi e al fiume Adige grazie al ci-clo depurativo. La portata mediagiornaliera depurata è di 1.050 li-tri al secondo, pari a 90.500 metricubi al giorno.

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to volume edito da Laterza).Braccio di ferro che tuttavia nonespropria Agsm del patrimoniotecnico e dell’esperienza ammi-nistrativa accumulati in decennidi storia, né della possibilità diinteragire ancora, e a lungo,con la città di cui è espressione.

Si può sostenere che difficil-mente i grandi movimenti pos-siedono una data di nascita, manel 1975, con il teleriscalda-mento e la cogenerazione, èdavvero possibile far iniziare unperiodo che introduce nuovepolitiche, nelle quali il risparmioenergetico e il rispetto ambien-tale diventano per Agsm deno-minatori comuni di tutte le inizia-tive industriali.

L’IMPERATIVO AMBIENTALE Il periodo delle domeniche sen-za automobile è fissato indele-bilmente nella memoria di chinel 1973 era nell’età della ragio-ne. Già a fine novembre gli in-tellettuali italiani si chiedevanose avremmo assistito alla mortedel week-end, e con puntualitàproverbiale la classe politica ri-chiamava sulla necessità di un“serio ripensamento dello svi-luppo economico” (Corriere del-la Sera, 26 novembre 1973).Ma è proprio a partire dalla crisienergetica di quegli anni che sirafforza un nuovo modo di guar-dare la produzione di energia ecalore, anche per liberarsi, al-meno in parte, dalla dipendenzadall’estero per quanto riguardale forniture di petrolio. Una prima intuizione “verde” aVerona spetta proprio ad Agsmcon gli impianti di cogenerazio-ne e il teleriscaldamento: nellastessa centrale si produconosia energia elettrica, attraversola combustione di metano, siaacqua calda da inviare negli ap-partamenti, negli uffici, negliospedali cittadini di borgo Tren-to e borgo Roma. Nel numero di settembre-ottobre1985, il periodico Verona oggiscrive: “Nel 1972 Agsm costruì laprima di queste centrali di teleri-scaldamento nel quartiere diForte Procolo, entrata in funzio-

ne nel 1975. L’impianto, al qualesono già allacciati 1.900 appar-tamenti, ne potrà servire 2.500”. La centralizzazione del serviziomanifesta immediatamente unaserie di importanti vantaggi, tracui la scomparsa di centinaia dicaldaie e comignoli. Si proseguecostruendo gli impianti di coge-nerazione di Saval (1975), diGolosine (1984), di Banchette inborgo Venezia (1987), di CentroCittà in Basso Acquar (1988) einfine di borgo Trento (1994). Laproduzione centralizzata di ener-gia e calore permette il risparmioannuo di quasi 20 mila tonnellatedi petrolio, preservando l’am-biente dalle emissioni relative al-la loro combustione.

Nel 1978 iniziano i lavori per lacostruzione del depuratore Cittàdi Verona, in Basso Acquar. Èun sistema complesso gestitoda Agsm fino al primo marzo2007 e poi passato ad AcqueVeronesi Scarl. L’impianto oc-cupa una superficie di circa 110mila metri quadrati e tratta i re-flui civili e industriali che conflui-scono nella rete fognaria deiComuni di Verona, Negrar,Grezzana e Buttapietra. Vi sonostazioni di sollevamento e unitàdissabbiatrici, decantazioni eossidazioni, sedimentazioni estabilizzazioni, disidratazionemeccanica e digestione anaero-bica. L’idea è semplice: “Affida-re a milioni di minuscoli anima-letti il compito di inghiottire tuttigli agenti inquinanti biodegrada-bili” (Agsm notizie, 1989). Agsm, in seguito a decisioni po-litiche dell’epoca, dalla fine de-gli anni Novanta gestisce ancheil termovalorizzatore di Ca’ delBue, progettato per lo smalti-mento dei rifiuti solidi urbani.

L’esigenza di proseguire la ricer-ca nel settore delle energie rin-novabili diventa per la municipa-lizzata veronese un imperativocategorico. Nasce così nel 1984il Progetto Zambelli, un impiantoche utilizza l’energia solare perfornire l’energia necessaria asollevare l’acqua da contradaZambelli, appena a Nord di Cer-

ro, al Comune di Bosco Chiesa-nuova. Negli anni successivi(1988 e 1989) Agsm costruiscealtri due impianti fotovoltaici adalta quota: uno presso il rifugioBiasi al Bicchiere, vicino a Vipi-teno, a 3.200 metri slm; l’altro alrifugio Val Martello, a 2.610 slm,nel Parco nazionale dello Stel-vio. Infine, insieme all’utilizzo delsole, il rispetto per l’ambientetrova nel vento un altro impor-tante alleato.

L’ATTUALITÀL’ultima parte di questa sinteticastoria di Agsm riguarda l’attuali-tà. Ci facciamo guidare in que-sto percorso dalla sintesi checonclude il volume Agsm: l’e-nergia a Verona. “Quale ruoloper il futuro” è l’eloquente titolodell’ultima parte. Il capitolo con-tiene quattro interventi: uno afirma di Roberto Redivo, “Il nuo-vo impianto di Chievo”; gli altritre sono redazionali e recitano:“I l ruolo delle rinnovabil i”,“Agsm per la natura”, “I seviziAgsm fra innovazione e tecno-logia”. Sono i temi del terzo mil-lennio. Costituiscono delle fron-tiere. Leggiamo a pagina 249 del libroche l’attuale fase di industrializ-zazione sarà rappresentata dal-la rivoluzione della produzioneenergetica, con l’obiettivo di ot-tenere energia in modo natura-le, cioè con il sole e il vento.Esattamente come fecero i tec-nici di Agsm alla fine dell’Otto-cento e all’inizio del Novecento:sfruttando l’elemento naturaleper eccellenza, l’acqua, trasfor-mandola prima in energia idrauli-ca e poi in energia idroelettrica.Uno stupendo elemento di conti-nuità, dunque, ma anche un’im-pegnativa cornice entro la qualeinserire i prossimi decenni.

Nel 2009 oltre il 10% dell’ener-gia elettrica prodotta da Agsm èstata originata da fonti rinnova-bil i idroelettr iche e eoliche.Questa percentuale è in conti-nua crescita, grazie soprattuttoalla realizzazione dei parchi eo-lici e al potenziamento degli im-pianti idroelettrici esistenti. Na-

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L’ENERGIA CHE FA CRESCERE VERONA

Difficilmente i grandimovimenti possiedono

una data di nascita,ma nel 1975, con il

teleriscaldamento e lacogenerazione, è

davvero possibile fariniziare un periodo che

introduce nuovepolitiche, nelle quali ilrisparmio energetico eil rispetto ambientale

diventano per Agsmdenominatori comuni

di tutte le iniziativeindustriali

inVERONA

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LA STORIA DI AGSM

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Sopra: impianti foto-voltaici del RifugioBiasi al Bicchiere, im-pianto di ridotta po-tenza installata (circa2 Kilowatt).

A destra: impianto fo-tovoltaico della ValMartello, impianto diridotta potenza in-stallata (circa 2 Kilo-watt).

In alto: nel 1984, vicino a CerroVeronese, Agsm ha inaugurato lacentrale fotovoltaica di Zambelli,una delle prime in Europa in gradodi sfruttare la luce del sole per pro-durre energia. L’impianto è statorinnovato nel dicembre del 2009 eportato a livelli di assoluta avan-guardia: sono state installate nuo-ve strutture metalliche costituiteda 756 profili, sono stati montati992 pannelli completati da quadridi campo ed inverter, è stata realiz-zata una nuova connessione allarete elettrica. Migliorie che hannopermesso alla centrale di passaredalla produzionedi 70 a quella di178 Kilowatt picco.Dopo lo Stadio Bentegodi, anchesui tetti del Consorzio Zai è statorealizzato un impianto fotovoltaicoda 3,5 Megawatt. L’intervento in-teressa 11 tetti industriali per unasuperficie complessiva di 71.440metri quadrati. L’installazione deipannelli fotovoltaici consente adAgsm di produrre energia pulitaper circa 3.700.000 Kilowattoral’anno: quantitativo sufficiente acoprire il fabbisogno di 1.500 fami-glie e in grado di evitare l’emissio-ne in atmosfera di 1.860 tonnellatel’anno di anidride carbonica.

Giugno 2010

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sce così l’impianto eolico di Ca-soni di Romagna, sull’Appenni-no emiliano, in provincia di Bo-logna. Progettato e realizzatointeramente da Agsm, è in fun-zione dal gennaio del 2009 ed ècostituito da 16 aerogeneratorida 800 Kilowatt ciascuno, peruna potenza complessiva di cir-ca 13 Megawatt. Nel 2006 entra in funzione ilparco eolico di Monte Vitalba, inprovincia di Pisa, con i suoi 7aerogeneratori di potenza unita-ria pari a 850 Kilowatt, per com-plessivi 5,95 Megawatt, in com-proprietà tra Agsm e la societàdanese European Wind Farm.Anche questa è una continuità:non ci siamo infatti dimenticati lesinergie che hanno caratterizza-to la politica di Agsm nella se-conda metà del XX secolo conBrescia e con il Trentino. Sem-pre nel settore eolico Agsm hal’esclusiva nella progettazione,costruzione e nell’esercizio del-l’impianto nel Comune di RivoliVeronese, che una volta termi-nato sarà costituito da 4 aeroge-neratori alti 80 metri, da 2 Mega-watt ciascuno, per una potenzanominale complessiva di 8 Me-gawatt: produrrà circa 18 milionidi Kilowattora l’anno, pari al fab-bisogno di 20 mila persone, circadieci volte il consumo residen-ziale del Comune di Rivoli.

Recentemente sia lo stadioBentegodi, sia i tetti del Consor-zio ZAI, sono stati ricoperti conpannelli fotovoltaici. Per quanto

riguarda lo stadio, da un lato so-no stupefacenti i tempi di realiz-zazione – sei mesi nel corsodella seconda metà del 2009 –,dall’altro è affascinante la valu-tazione complessiva dell’opera,che ha permesso di iscrivere lacentrale fotovoltaica del Bente-godi fra i più rilevanti impianti fo-tovoltaici d’Italia e tra i più im-portanti realizzati su strutturesportive in Europa. Altri spuntisono forniti dal numero 61 diVerona pubblica, dove si ap-prende che l’assessorato all’E-cologia e all’Ambiente del Co-mune di Verona ha incaricatoAgsm di effettuare una serie distudi di fattibilità per la realizza-zione di impianti fotovoltaici su-gli edifici delle aziende a parte-cipazione comunale della città.Se si considera che i metri qua-drati di tetti disponibili sono ben55 mila, possiamo affermareche l’autosufficienza energeticadi queste strutture, comprese lescuole, sta per diventare unarealtà.

L’evoluzione tecnologica, lenuove scoperte che accompa-gnano il cammino umano ven-gono usate per sfruttare al me-glio le risorse ambientali e le

strutture per la produzioneenergetica. Tra la fine del 2008e il 2009 l’impianto Zambelli,pioniere a Verona nell’utilizzodel sole per produrre energia, èoggetto di una sostanziale rivisi-tazione con la posa di nuovipannelli fotovoltaici che consen-tono, a parità di superficie occu-pata, un incremento della po-tenza installata da 70 a 178 Ki-lowatt. La consapevolezza am-bientale si unisce alla tecnolo-gia e il motto “meno sprechi, piùenergia”, utile per il comune cit-tadino, diventa imperativo perun produttore che abbia l’ambi-zione di stare al passo con itempi. È con questa filosofiache vengono realizzati interven-ti in numerose altre strutture: aMaso Corona si sostituisconotutti i gruppi turbina-alternatoree grazie a questa ottimizzazio-ne oggi si producono media-mente oltre 50 milioni di Kilo-wattora l’anno; l’upgrade dellastorica centrale idroelettrica diTombetta permette di aumenta-re significativamente la produ-zione di energia a parità di im-patto ambientale e flusso idricoutilizzato. Alla diga del Chievoviene realizzato nel 2009 unnuovo impianto (1,45 Megawatt

L’ENERGIA CHE FA CRESCERE VERONA

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In alto: il parco eolico di MonteVitalba, in Toscana. Ultimatonel dicembre del 2006 è costitui-to da 7 aerogeneratori da 850Kilowatt ciascuno, con una po-tenza complessiva di 5,95 Me-gawatt e una produzione di cir-ca 14 milioni di Kilowattoral’anno (pari al consumo di circa5 mila famiglie).

In basso: a Casoni di Romagna,sull’Appennino emiliano, AgsmVerona ha inaugurato nel 2009l’impianto eolico più grande delNord Italia. La presenza di 16aerogeneratori della potenza di800 Kilowatt ciascuno, collocatinei Comuni di Monteterenzio edi Castel del Rio, permette diprodurre 25 milioni di Kilowat-tora l’anno (pari al fabbisognoenergetico di 8 mila famiglie).

inVERONA

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di potenza installata con unaproducibilità di oltre 10 milioni diKilowattora annui) con lo scopodi valorizzare sempre più l’impo-nente massa d’acqua che vienerilasciata a valle della diga.

Oggi la fornitura di metano allacittà avviene attraverso più di1.000 chilometri di condotte. Ilgas viene fornito da Snam (So-cietà Nazionale Aziende Meta-no) grazie a lunghi gasdotti cheimportano il metano dall’Olan-da, dalla Russia e dall’Algeria.Agsm Distribuzione provvede altrasporto di oltre 290 milioni dimetri cubi di gas che servonopiù di 128 mila clienti tra indu-strie, condomini, abitazioni eimpianti di teleriscaldamento.Dopo la l iberalizzazione delmercato, alla società Agsm Dis-tribuzione compete la respon-sabilità dell’erogazione del me-tano, mentre Agsm Energia haun ruolo commerciale che vadall’acquisto della materia pri-ma alla successiva vendita alcliente.

Agsm oggi gestisce oltre 35 mi-la fonti luminose distribuite supiù di mille chilometri di strade.L’88% dei punti luminosi è costi-tuito da lampade ai vapori di so-dio ad alta pressione che assi-curano una maggiore durata, unminor consumo e un’ottima effi-cienza. Grazie all’illuminazionedi centri, strade e piazze, Agsmmigliora la qualità della vita erende più sicuro l’ambiente ur-bano, oltre a valorizzare il patri-monio artistico e architettonicodi Verona.

Nel settore delle telecomunica-zioni, dal 2000 l’Azienda gesti-sce 200 chilometri di fibre otti-che che assicurano cablaggio,servizi ad alta velocità e di e-go-vernement alla città e ai comunilimitrofi. Infine, nel settore dellaCartografia, Agsm cura la ge-stione e l’elaborazione elettroni-ca della cartografia numerica,dei dati e delle mappe dell’areaveronese e delle proprie reti. Accanto agli impianti, visibili econcreti, si svolgono quotidia-

namente attività meno note, a“bassa visibilità”, si potrebbe di-re. È il caso delle certificazionidi qualità, qualcosa che assomi-glia a un “diploma” rilasciatodall’autorità europea a ricono-scimento dell’efficacia delle piùdiverse procedure produttiveaziendali. In questo settoreAgsm ha ottenuto le certificazio-ni del sistema qualità secondogli standard internazionali con-seguendo inoltre la certificazio-ne ambientale ISO 14.001, per ipropri siti produttivi di cogenera-zione.

Non sappiamo se attorno allosrotolarsi dell’attualità sia possi-bile formulare una sintesi di ciòche sta accadendo, se, comescrive Jesse Ausbel – uno deiprincipali organizzatori della IConferenza mondiale sul clima(Ginevra 1979) –, l’età del me-tano sia semplicemente l’an-nuncio dell’età dell’idrogeno. Ècerto però che benefici e rischisi mescolano senza posa, cheesiste uno spazio prezioso per ilconfronto instancabile e perl’impegno massiccio e che, perora, non ci sono segni sicuri chel’uomo abbia rinunciato a porsiquestioni attorno a se stesso eal suo mondo. In tutto questoAgsm si muove assecondando,da più di 100 anni (la prima Offi-cina elettrica comunale, costolad’Adamo dell’odierna Agsm,venne infatti costituita nel 1898)le necessità energetiche e stra-tegiche della città. In fondo seoggi Verona, crocevia del NordItalia, è tra le città più ricche del-l’Europa lo deve anche a mira-bili intuizioni di politici cittadiniche nel passato hanno saputooperare, anche attraversoAgsm, scelte i cui frutti sono ra-dicati nella storia delle nostragente e dei nostri luoghi.

Aldo Ridolfi, autore di questa ricerca,è nato e vive a Tregnago. Laureatosiin pedagogia, ha esercitato la profes-sione di insegnante effettuando con isuoi alunni numerose ricerche di ca-rattere storico-geografico sul proprioterritorio. Ha prodotto diversi studi sto-rico-geografici, tutti pubblicati su rivi-ste locali (“Cimbri/Tzimbar”, “La Lessi-nia Ieri oggi domani” e “Verona In”); hacollaborato alla realizzazione di film edocumentari, sempre di carattere lo-cale; è stato responsabile della Reda-zione della rivista “Cimbri/Tzimbar” dal2003 al 2008; ha collaborato a vario ti-tolo alla realizzazione di libri (es. “L’iti-nerario di Marin Sanuto nella terrafer-ma veneta del 1483”, a cura di LuisaBellini, Roberto Bruni, Cleup 2008);suoi racconti sono presenti su diverseantologie di premi letterari. Ha viaggia-to in Europa con borse e bici ed ha da-to alle stampe “Ciclisti in Lessinia” (LaGrafica Vago di Lavagno, 2006).

Bibliografia

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Bassotto E., Bassotto R., Lo stato deiluoghi, Cierre 2008.

Bolchini P., Balzani R., Storia delleaziende elettriche municipalizzate,Laterza 1999.

Brugnoli G., La città e la fiera, inAA.VV., 90 anni di fiere a Verona. Sto-ria e prospettive dell’agricoltura, Enteautonomo Fiere di Verona 1988.

Castellarin D., Chiaroscuro, Cierre edi-tore, 2000.

Castronovo V., La storia economica, inRomano R., Vivanti C., a cura di, Sto-ria d’Italia Einaudi, Einaudi, Vol. 4 t. 1,Einaudi 1985.

Castronovo V., L’industria italiana dal-l’Ottocento ad oggi, Mondadori, 1980.

Chiese V., Agostini P., Una banca unacittà la sua gente. 140 anni di storiadella Banca Popolare di Verona(1867-2007), Banca Popolare di Ve-rona 2007.

Fontana L. A., a cura di, Immagini di ar-cheologia industriale nel territorio diVerona, Vicenza, Rovigo, BertoncelloArt. 1992.

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Raffestin Claude, Per una geografia delpotere, Unicopli 1981.

Sormani Moretti, La provincia di Vero-na. Monografia statistico economicaamministrativa, Olschky 1904.

Verona oggi, settembre-ottobre 1985.AGSM notizie, n° 1, gennaio-aprile

1989.

RingraziamentiGrazie a Danilo Castellarin, capo uffi-cio stampa di Agsm, per la collabora-zione nel recupero delle fonti. Graziea Serena Marchi per la ricerca icono-grafica. Grazie a Marco Burato, Con-sigliere di amministrazione di Agsm,per aver ispirato l’iniziativa.

RealizzazioneStudio Editoriale Giorgio Montolli (Verona). Speciale pubblicitario.

LA STORIA DI AGSM

Agsm Distribuzioneprovvede al trasporto

di oltre 290 milioni dimetri cubi di gas che

servono più di 128mila clienti tra

industrie, condomini,abitazioni e impiantidi teleriscaldamento

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di Rino A. Breoni*

Negli anni andati, si attribuiva ad un preteanziano, il cui profilo umano stava tra ilsanto e l’ingenuo, un’espressione reattivada lui usata durante il ministero della con-fessione. Si diceva che ascoltasse, in silenzioattento, anche l’accusa di pesanti inadem-pienze e violazioni della legge di Dio e delladimensione morale e che reagisse soloquando udiva il penitente accusarsi d’averdetto qualche bugia. Allora scattava e dice-va: «Adagio. Qui le cose si complicano».Forse era l’attribuzione fantasiosa di unabattuta ad un sacerdote per sottolinearne labonomia o l’ingenuità, ma egualmentequella battuta lascia ancora oggi pensierosi.“Le cose si complicano...” proprio a motivodi una generalizzata banalizzazione dicomportamenti, di locuzioni, di complicitàche negano la realtà dei fatti, la interpreta-no riduttivamente. La bugia è un capitoloassolutamente trascurato nella definizionedelle relazioni interpersonali: si mente sa-pendo di mentire, bugia rimane bugia.Quando, nel mio lavoro di insegnante di re-ligione, affronto l’ottavo dei comandamen-ti sinaitici “non dire falsa testimonianza” echiedo quali siano le ragioni della discutibi-lità morale della bugia, la risposta è sempreidentica: essa danneggia la relazione inter-personale. Solo una volta, da un liceale diraro spessore intellettuale, ho sentito sotto-lineare che la più vera discutibilità e immo-ralità della bugia va ricondotta alla sua ori-gine: nella persona che la pronuncia, essa èla palese negazione di ciò che la personastessa conosce essere la realtà. La contrad-dizione va posta nel rapporto fra ciò chel’uomo sa e pensa e quanto invece affermacon le parole. Dire bugie, mancare di sincerità, significaaccettare pacificamente che si crei, nellanostra interiorità, una contraddizione:quanto si pensa, quanto si conosce dellarealtà, viene negato dalle parole. La parola,che è strumento di comunicazione, di reci-procità, diventa inganno, negazione, ambi-guità ed equivoco.Devo confessare un antico disagio nel sen-

tire parlare di bugie giocose, di restrizionimentali. Era una teologia morale casistica escarsamente convincente, capace di con-durre (attraverso uno slalom spirituale) acavarsi d’impaccio, alla rinuncia delle pro-prie responsabilità pur di non dire la sem-plice, disarmante verità.C’è un’espressione evangelica che merita diessere ricordata, riferita da Matteo nel “dis-corso della montagna”, espressione che puòessere accolta anche da una coscienza laica:“Sia il vostro linguaggio, sì quando è sì e noquando è no” (Mt. 5,37). Apodittica nellasua formulazione, ma altrettanto difficilenel farla propria e attuarla. È una provoca-zione da ricondurre ad armonia, quantonella persona che mente si rivela disarmo-nico e contraddittorio, ma è anche un invi-to a restituire limpidezza, sincerità e chia-rezza alle relazioni interpersonali.Dire sì quando è sì, e non quando è no, puòsignificare l’ammissione di qualche propriascelta discutibile, facendo credito di intelli-genza e comprensione al proprio interlocu-tore. La verità non ha bisogno di false dife-se, perché si impone da sola e non va nep-pure scambiata con la sincerità. Essere sin-ceri non vuol dire essere veri, condizioneche si raggiunge con una fatica crescente,ma deve essere chiaro che tale fatica suppo-ne la sincerità. Dire sì quando è sì, e nonquando è no, può creare imbarazzo perchéuna falsa concezione della prudenza sugge-risce la piccola bugia per trarsi d’impaccio.Ma la prudenza non è la piccola bugia, nonè il silenzio ammiccante e ambiguo che de-lude e genera sospetti. La “prudenza”, nelsuo significato più vero, è la capacità di sce-gliere gli strumenti più idonei e adatti perraggiungere un fine. Se il fine è la qualitàdella relazione interpersonale. La circola-zione di fiducia, la tolleranza, la benevolen-za, lo strumento più idoneo potrebbe esserel’indicazione evangelica, l’ammissione del-la propria fragilità o un silenzio dignitoso. Già, dimenticavo che il testo evangelicoconclude “...perché il di più, viene dal mali-gno”. Comunque lo si voglia intendere.

* Rettore di San Lorenzo in Verona

RIFLESSIONI

Quando la comunicazionediventa ambiguità ed equivoco

La verità non ha bisogno di falsedifese, perché si impone da sola

e non va neppure scambiata con la sincerità. Essere sinceri

non vuol dire essere veri,condizione che si raggiunge

con una fatica crescente, ma deve essere chiaro che tale

fatica suppone la sincerità

21inVERONA

Page 38: Verona In 25/2010

di Corinna Albolino

Tutto è cominciato con la morte di Dio,annunciata da Nietzsche, uno dei piùgrandi filosofi del ’900. Il passo risale al1881. Risentiamolo. Avete sentito di quel-l’uomo folle che accese una lanterna allachiara luce del mattino, corse al mercato e simise a gridare incessantemente: “Cerco Dio!Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavanoraccolti molti di quelli che non credevano inDio, suscitò grandi risa. “Si è forse perdu-to?”disse uno. “Si è smarrito come un bam-bino?” fece un altro [...].“Si è imbarcato? È emigrato?”gridavano e ri-devano in una grande confusione. L’uomofolle balzò in mezzo a loro e li trapassò con isuoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio?”, gri-dò. “Ve lo voglio dire! L’abbiamo ucciso, voi eio! Siamo noi tutti i suoi assassini!”. La sen-tenza suona inaudita, dice che Dio è morto!In modo incalzante seguono immagini,metafore forti. Esprimono tutta la dispera-zione che questa azione, di cui non ne esisteuna più blasfema, comporta nell’uomo,colpevole di questa empietà. La descrizionesi concentra poi sul sommovimento, spae-samento, che il vuoto di Dio lascia sulla ter-ra. “Un eterno precipitare” del tutto, privatodella sua luce.Si racconta ancora che di fronte allo stupo-re generale l’uomo folle abbia esclamato:“Vengo ancora troppo presto[...] non è anco-ra il mio tempo. Questo enorme evento è an-cora per strada [...]. Fulmine e tuono voglio-no tempo, la luce delle stelle vuole tempo, leazioni vogliono tempo, anche dopo essere sta-te compiute, perché siano viste e ascoltate”.L’espressione nietzscheana “Dio è morto”diretta al nostro Dio cristiano, va corretta-mente intesa. Qui non è in discussione ildato di fede e cioè l’esistenza o meno diDio, ma ciò che questa idea ha rappresenta-to per la nostra tradizione. Pensata fino infondo, essa infatti ha designato quell’appa-rato di valori metafisici, supremi che costi-tuendo il fine della vita terrena, hanno de-clinato ab initio la nostra esistenza. Eterni-tà, assolutezza, immutabilità, verità, sonoquesti i valori che gradualmente perdono

di consistenza. Tale evanescenza va sotto ilnome di nichilismo. Quando Nietzsche di-ce: “Siamo noi i suoi assassini”, intende direche causa di tutto ciò è l’uomo nel progres-sivo affermarsi della modernità, caratteriz-zata da un mondo diventato adulto attra-verso l’ausilio della scienza e la forza dellatecnica. Le nuove prospettive scientifiche

hanno poi fatto sì che l’uomo, non avendopiù bisogno della credenza in un Dio per lasua sopravvivenza, si emancipasse da lui. Èin questi termini che il filosofo consegnaall’“uomo nuovo” la terra, in nome di unatrasvalutazione di tutti i valori, pensata al-l’insegna di una esaltazione della vita, dellafinitezza. Ma è accaduto che pure quellascienza, quella tecnica a cui ci siamo affidatiperché ci hanno illuso di garantirci qui eora, su questa terra, la verità e salvezza, ab-biano mancato le promesse. Anche questeimponenti torri, erette, come il Dio cristia-no, per dare un senso all’esistenza, stannorivelando, afferma il filosofo Emanuele Se-verino, i loro “piedi di argilla”. Così è, se ba-sta oggi il risveglio di un piccolo vulcano is-landese, un vulcano da niente, a fermare ilmondo. A paralizzare a terra migliaia di ve-livoli, a produrre la confusione in tutte leeconomie dei Paesi, a scompaginare tutti isofisticati strumenti di previsione e d’inter-vento. La vulnerabilità della tecnoscienzasemina sofferenza, spaesamento. L’insensa-tezza appare di fronte alla sua incapacità dibloccare i suoi clamorosi disastri, quandoad esempio la ricaduta della catastrofe èsull’ecosistema, come nel caso dell’“ondanera” che ha travolto il Golfo del Messico.Viviamo una vita “liquida”, come dice il so-ciologo Bauman, una vita precaria, in con-dizioni di continua incertezza. Dove la so-pravvivenza della società dipende dalla ra-pidità dei consumi e dall’efficienza della ri-mozione dei rifiuti. E dove fondamentale èrimanere a galla, al passo del vorticosocambiamento, per non ritrovarsi anche noitra le scorie da smaltire. Abitatori di untempo in cui quanto preannunciato dal-l’uomo folle di Nietzsche sembra essere ar-rivato a compimento, non vigono più co-mandamenti, imperativi che regolino lenostre azioni. Anche il bene ha perso le sueantiche connotazioni scambiandosi conl’utile, il vantaggioso. Che fare? Forse la le-zione ci viene proprio da quel piccolo vul-cano che ci invita all’umiltà del pensiero,alla misura della nostra finitezza, ad unapausa di riflessione. Come dice il vulcano:«Silenzio».

Giugno 201022

FRAGILITÀ DEL NOSTRO TEMPO

La vulnerabilità della tecnoscienzache semina sofferenza e spaesamento

“L’Occidente è una nave che affonda, dove tutti ignoranola falla e lavorano assiduamenteper rendere sempre più comoda

la navigazione [...]”.

Emanuele Severino, Essenza del nichilismo, 1982

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di Giordano Fenzi

La Festa dei Popoli, che il 23 mag-gio si è tenuta nella bella cornice diVilla Buri, ha compiuto 19 anni edal 1991 è diventata un appunta-mento fisso per l’intera città. Alle-stita nel giorno della Pentecoste èorganizzata dalla Diocesi di Veronaattraverso il “Comitato Festa deiPopoli” e gode del patrocinio delComune di Verona. Fanno partedel comitato organizzatore, il Cen-tro Pastorale Immigrati, il CentroMissionario Diocesano, la Caritasdiocesana veronese, i missionariComboniani, il Cestim, le Associa-zioni degli Immigrati, il Movimen-to dei Focolari, l’Associazione Villa

Attualità

FESTA DEI POPOLI

Generazioni oltre...La diciannovesima edizione della festa dei Popoli è stata dedicata al tema

delle seconde generazioni di immigrati

L’apporto degli immigrati al-l’economia italiana è notevole:secondo Unioncamere, si trattadi 134 miliardi di euro, pari al9,5% del PIL. Dai dati messi adisposizione dal Cestim, ag-giornati al primo gennaio2009, i minori, figli di immi-grati tra Verona e provincia so-no 22.375 su una popolazioneimmigrata di circa 96.000 uni-tà. L’incremento di questi gio-vani rispetto al 2004 è stato del50%: sei anni fa, infatti, questiminori erano 11.116.

23

Buri onlus e i tre sindacati Cgil,Cisl e Uil. «Dopo aver fatto alcuneriflessioni all’interno del Comitatoorganizzatore», afferma StefanoGaiga del Centro Missionario Dio-cesano «abbiamo deciso che que-st’anno era giusto mettere in evi-denza il tema delle seconde gene-razioni. Molto spesso questi ragaz-zi devono affrontare una doppiadifficoltà», continua Gaiga, «dallafamiglia vengono accusati di averrinunciato alla propria cultura edalla società vengono trattati come“stranieri”. Molte persone non siaccorgono che questi ragazzi sonoi veronesi del futuro e, con le no-stre iniziative, vogliamo dare lorola possibilità di farsi conoscere».

TRE CONTINENTI, TRE STORIE

Gideci (Brasile), Jamal (Marocco)e Balbir (India) apparentementenon hanno niente in comune, mail destino ha voluto che le loro vites’incrociassero a Verona.

Gideci Semprebon è una ragazzadi 22 anni. Nata in una favela diBahia, all’età di quattro anni è stataadottata da una famiglia veronese.Dopo aver preso il diploma all’isti-tuto Buonarroti, ha svolto il servi-zio civile regionale, poi quello in-ternazionale e ora frequenta uncorso per operatore socio-sanita-rio presso l’ospedale di borgoTrento. La giovane è consapevole

CGIL, CISL e UIL di Verona esprimono nettacontrarietà alla realizzazione del CIE che siconfigura come una vera e propria struttura didetenzione per gli immigrati irregolari. I CIE(al pari dei CPT istituiti con la legge Turco-Napolitano nel 1994 e ridefiniti con il DecretoMaroni nel 2009) rappresentano un oltraggioalla dignità e alla libertà delle persone. La de-tenzione nei CIE separa le famiglie. Un esem-pio vissuto: un lavoratore immigrato in Italiada quindici anni con due figli nati a Verona,viene licenziato a causa della crisi, dopo seimesi perde il diritto al permesso di soggiorno,viene fermato e condotto in un CIE per sei mesie poi espulso. I due bambini e la moglie? Checolpe avevano? A loro chi dovrà pensare? Anco-ra una volta in materia di immigrazione, sicercano scorciatoie anziché affrontare i proble-mi. La diffusione dell’immigrazione irregolaree clandestina nasce infatti già per effetto dellastessa legge Bossi-Fini che prevede che il mi-grante possa entrare in Italia solo quando è inpossesso di un regolare contratto di lavoro. Ilche è come dire che se una famiglia veroneseavesse bisogno di una colf o di una “badante”

dovrebbe cercarla direttamente nel Paese d’ori-gine. Le cose, come tutti sanno, stanno in ma-niera ben diversa. Non a caso, al di là dei pro-clami, tutti i governi – nessuno escluso – hannodovuto operare sanatorie per consentire aquanti già lavoravano nel nostro territorio dicontinuare a farlo. Quello che serve è una pro-grammazione seria dei flussi migratori, che de-v’essere coordinata con le regioni e i comuni;servono provvedimenti che permettano ai mi-granti che hanno perso il lavoro di avere a dis-posizione più tempo per cercare e trovare un’al-tra occupazione. Spesso si tratta di famiglie chevivono e lavorano da anni nel nostro territorio,che si sono integrate e che per effetto delle nuovenorme rischiano l’espulsione dal nostro Paese.L’immigrazione è stata spesso strumentalizzataper motivi esclusivamente elettorali. L’immi-grazione via mare (i famosi sbarchi di clande-

stini) è rappresentata per il 60% da personeaventi diritto di asilo politico e rappresenta soloil 2% degli ingressi ma è stata utilizzata per di-mostrare la pericolosità del fenomeno e la forzadel governo nel bloccare i “flussi”. Non è certocon i CIE che si combatte l’immigrazione clan-destina che, è del tutto evidente, non sempre èsinonimo di criminalità. A meno di voler consi-derare criminali le migliaia di colf e badanti odi operai tutt’ora in attesa di regolarizzazionenonostante l’avvio delle pratiche. Lo Stato ita-liano ha già a disposizione altri strumenti percontrastare la criminalità italiana e straniera.Occorre rafforzare gli strumenti per agevolare esostenere le famiglie degli immigrati regolarinelle pratiche per ottenere con maggiore facilitàil rinnovo dei permessi di soggiorno e il ricono-scimento della cittadinanza, anche con l’obiet-tivo (per chi ha la cittadinanza) di arrivare al-l’introduzione del diritto di voto amministrati-vo.CGIL CISL e UIL chiedono al Comune diVerona di ricostituire la Consulta per l’immi-grazione e cioè una sede istituzionale nella qua-le sia possibile un confronto fra tutti i soggettiche operano su questo terreno.

I CIE, un oltraggio alla dignità

delle persone

inVERONA

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di Jean-Pierre Sourou Piessou *

Perché vedano più lontano di noi è stato lo slogan, volutamenteprovocatorio, scelto quest’anno per la Festa dei Popoli. Questoappuntamento ha voluto riportare le questioni e le sfide dei ra-gazzi di seconda generazione all’attenzione dei cittadini vero-nesi de soca. Non basta, infatti, iscrivere i ragazzi a scuola se poinon si offrono loro occasioni di socializzazione, contaminazio-ne e meticciato culturale. L’attuale crisi (che non è solo econo-mica) rischia di minare la già fragile base di amicizia tra gli im-migrati di seconda generazione e i coetanei, se tutte le realtàterritoriali scaligere – a partire dalle istituzioni pubbliche(scuola, Comune, ULSS) e dalle associazioni – non pongono inessere una serie di strumenti culturali, sociali e pedagogici perfavorire il riconoscimento di cittadinanza responsabile a questi“nuovi cittadini” e offrire loro un’occasione di partecipazionedemocratica all’assetto politico cittadino. In questo percorso,che inizia sui banchi di scuola, siamo appena all’inizio.Fin dal 1990 per i cittadini immigrati adulti le aule scolasticherappresentavano luoghi concreti di emancipazione culturale edi rielaborazione del proprio progetto migratorio. In queglianni sono nate le prime esperienze di scuola di alfabetizzazionein alcuni quartieri come Veronetta (Duca d’Aosta), Santa Lucia(Scuola Manzoni), San Michele Extra (Scuola Betteloni), borgoTrento (Scuola Dante Alighieri) con il contributo del centro“Tante tinte” e di altre realtà veronesi. Dei 96 mila immigratiresidenti oggi in provincia di Verona, più del 60% sono passatida questi centri di alfabetizzazione, che aprivano le porte anchedi sera, per accompagnare i nuovi cittadini immigrati in unpercorso di studio e conoscenza della lingua italiana e del terri-torio scaligero. Oggi, nel Veronese, gli studenti immigrati fino ai 18 anni di etàsuperano le 20 mila unità. Tuttavia la scuola non è più conside-rata dai cittadini immigrati il luogo dove affilare le prime “ar-mi” per interagire con il nuovo contesto sociale, ma piuttostoun’esperienza nella quale far ripartire la prospettiva di vita apartire dai figli. A me capita spesso di parlare con gli adulti im-migrati e con i loro figli. Gli adulti si fermano a raccontarmi –spesso con le lacrime agli occhi – la loro avventura migratoria,il passaggio (quasi obbligato) a Napoli o ai Magazzini generalidi Borgo Roma, il profondo senso di smarrimento iniziale, infi-ne l’orgoglio del loro paese d’origine; mi dicono che non accet-teranno mai che i loro figli facciano bassa manovalanza. I figli,invece, mi parlano di tutt’altro: raccontano le storie dei genitorisenza grande coinvolgimento, come se queste storie non li toc-cassero. I G2, gli immigrati di seconda generazione, mi confi-dano il loro sogno segreto (se così si può dire) di volersi allon-tanare per conoscere posti nuovi, altre realtà. I giovani sognanoUsa, Canada, Inghilterra e Paesi Bassi: luoghi, a loro dire, di li-bertà e di benessere. Quasi mai, invece, nominano i paesi d’ori-gine dei propri genitori. La loro battaglia è fondata sull’esserecittadini italiani alla stregua dei coetanei o dei compagni dibanco e la scuola rappresenta un luogo di socialità e rivendica-zione di cittadinanza.

* Mediatore culturale

Essere buoni cittadinisi impara anche a scuola

ti. In luglio farà ritorno in Maroc-co, poi probabilmente sarà di nuo-vo a Verona per cercare un lavoro.«Verona è una bella città», dice,«ma i veronesi sono un po’ chiusi ea volte considerano i marocchinitutti spacciatori. Del mio paese mimancano la famiglia, gli amici…anche l’aria. Il mio sogno – con-fessa – è trovare una donna, vivereuna vita tranquilla e far studiare imiei figli».

Incontro Mall Balbir alle 12.30nella sala in cui gli operai della Eu-roduto, azienda di Sona che pro-duce scaffalature metalliche, tra-scorrono la pausa pranzo riscal-dandosi un piatto di pasta e ripo-sando come possono. Ha 56 anni,ed è in Italia dal 1983. A 28 anni hadeciso di lasciare il suo paese nellaregione del Punjab, al confine colPakistan, dove insegnava inglese ematematica. Arrivato in Italia, hainiziato a lavorare in un circo co-me barista e, nel 1987, è stato as-sunto dalla Euroduto come cu-stode. Nel 1995, la moglie e i suoitre figli l’hanno raggiunto a Vero-na. «Ora faccio il metalmeccani-co», sostiene orgoglioso: «Seguocinque presse e, per dieci anni, hofatto il sindacalista in questa fab-brica. Anche se in India facevol’insegnante» continua, «non mipesa fare questo mestiere». Con isuoi risparmi Balbir ha aperto unnegozio di alimentari a Pradelle diNogarole Rocca, dove ora vive conla famiglia. «Sono anche presiden-te dell’Associazione indiana ShriGuru Ravidass» che nelle provincedi Verona, Vicenza, Mantova eReggio Emilia raccoglie più di3.000 indiani. «Non conta di chereligione sei o di quale casta faiparte – ci tiene a precisare –: è unluogo d’aggregazione dove mante-niamo vive le nostre tradizioni. LaFesta dei Popoli? Le ho viste tutte epartecipo sempre volentieri. Daquando sono in Italia ho aiutatomolte persone, ma tutte a unacondizione. Quando dò una manoa una persona, mi faccio promet-tere che a sua volta lui ne aiuti altredieci». Mancano 5 minuti all’unae la pausa sta terminando. «Dadue anni sono anche cittadinoitaliano», rivela con una puntad’orgoglio, «l’India mi manca, mai miei figli studiano e lavoranoqui e voglio che loro siano felici».

di essere una ragazza fortunata eforse, anche per questo, sogna didiventare missionaria laica in Afri-ca. «Sono una volontaria alla Ron-da della Carità – spiega – tante per-sone pensano che sia una perditadi tempo, ma per me non è così…Perché lo faccio? Credo sia giustofarlo e poi mi sono resa conto cheun grazie vale molto più di tanteparole». Gideci ha la pelle nera e hadovuto spesso fare finta di niente.«Il mio accento è veronese, la miafamiglia è veronese, ma il coloredella mia pelle per qualcuno, a vol-te, rappresenta un problema. Sonopersone chiuse che hanno paura diciò che non conoscono». «Gli stra-nieri? Li farei votare», afferma:«Non sono solo lavoratori, ma pri-ma di tutto cittadini». Gideci ha ladoppia cittadinanza, ma quando lechiedo se si sente italiana o brasi-liana, risponde con sicurezza: «Misento cittadina del mondo».

Anche Jamal Elbakhour è andatoalla Festa dei Popoli, perché il cli-ma che si respira gli ricorda un po’le feste che si fanno in Marocco.Ha 34 anni, una vita fatta di pochecertezze e di tanta fatica. È in Italiadal 2003, a Verona dalla fine del2006, dopo aver lasciato il Paesed’origine per lavorare e costruirsiun futuro. Ha lavorato in campa-gna come stagionale, ha fatto l’o-peraio, il muratore; ha caricato escaricato il bestiame e ha imparatoa fabbricare condizionatori per itreni in una ditta di Desenzano. Lasua religione, l’Islam, troppo spes-so al centro di dibattiti superficiali,gli ha insegnato che la solidarietànon ha cittadinanza e risponde aun logica semplicissima e disar-mante. A una settimana dal terre-moto de L’Aquila, Jamal, con alcu-ni amici della comunità islamicadi Verona, è andato a Onna peraiutare chi aveva bisogno. «Aiutarechi è in difficoltà è una cosa nor-male», spiega sorridendo: «La miareligione dice che se vedi uno chenon sa nuotare lo devi salvare».Spesso il marocchino è lo spaccia-tore, il delinquente, continua, «maper conquistare la fiducia degli al-tri, bisogna dare l’esempio, far ve-dere che sei una brava persona».Lottare contro i pregiudizi è unafatica che Jamal non ha fatto nullaper meritarsi, ma ha deciso di la-sciar parlare i suoi comportamen-

Attualità

24 Giugno 2010

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Foto Pino Agostini

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di Pasquale Saturni

È l’ultimo dei borghi che, ag-grappati alla pendici delle col-line a Est di Verona, si susse-guono in direzione Nord lun-go la linea delle risorgive. Se nesta seminascosto là in fondo,ormai in vista di Grezzana, e loconoscono in pochi perché Se-zano è fuori mano ed è davve-ro un piccolo paese. Che ci fa-cevano allora in quel luogo, lasera del 9 gennaio, 470 perso-ne? Erano l ì per ascoltareGiancarlo Caselli, invitato dalmonastero degli Stimmatini.La venuta di Caselli si è rivela-ta un evento, anche per lagrande partecipazione. Comeè stata un evento a fine aprilela presenza di Antonietta Po-tente, una teologa tra le piùconosciute, che vive da anni inBolivia condividendo la vitadei campesinos e che dieci annifa ha preso parte alla “guerra”per la ri-pubblicizzazione del-l’acqua. Queste sono state leiniziative più clamorose degliultimi tempi ma l’attività delmonastero è così intensa cheSezano sembra un porto dimare: Facoltà dell ’Acqua,Scuola del Vivere Insieme, dia-logo interreligioso tra le fedi,corsi seminariali di liturgia,percorsi per un’economia re-sponsabile... Detto così, vieneda pensare che quello di Seza-no sia uno dei tanti centri pa-storali e/o culturali presentinel mondo cattolico. In realtàil monastero degli Stimmatiniè un’altra cosa. Perché a Seza-no non ci si va solo per ascol-tare una conferenza o per fre-quentare un corso, prendereappunti e andarsene. La primavolta, forse sì , si v iene soloperché interessa la conferenza.Ma se poi si decide di tornare,ci si rende conto che qui ci so-no ampi spazi di dialogo, per-corsi non precostituiti e che lepersone, pur con diverse idee,si confrontano per trovarestrade da intraprendere insie-me. Cammini di incontro l ichiama il responsabile, PadreSilvano Nicoletto.

Di certo il monastero non vain cerca di eventi con lo spiritodella promozione aziendale.Queste occasioni sono le ben-venute se accompagnano laComunità sulla strada dellaChiesa minore che nella giusti-zia, nella com-passione, nei di-ritti per tutti e per tutto vedeun Cristianesimo più respon-sabile e più capace di condivi-dere.Ed è stato proprio per affer-mare il concetto di condivisio-ne che gli amici di Sezano, co-gliendo al volo con entusiasmoil suggerimento della rivistaAltrEconomia, nel dare vita al-la loro associazione hanno vo-luto attribuirle il nome di Mo-nastero del Bene Comune. Delresto è la convinzione di lavo-rare attorno al bene comuneche induce nella gente la vo-lontà di proporsi e la disponi-bilità a mettersi in gioco. Ed ècon la volontà di comparteci-pazione che si spiega il climadi accoglienza che si respira aSezano. Un’accoglienza al monasteroha uno spessore ben più pre-gnante di quella offerta dallaserenità dei luoghi. Chi arrivaqui è accolto per quello che è.Nessuno gli chiede che cosa siamai venuto a fare o dove luivoglia andare o che cosa abbiaportato. Facilmente se ne an-drà con nuove domande, piut-tosto che con risposte preco-stituite e vincolanti. Accoglien-za qui vuol dire che in ogni ca-so tu sei degno del luogo e delpane: basta che tu abbia il cuo-re e la mente aperti.Che tipi sono dunque quelliche frequentano Sezano? «Per-sone normali – dice Padre Sil-vano – spesso col desiderio diricominciare un cammino difede o di impegno dopo un pe-riodo di allontanamento o didelusione. Ricominciano a spe-rare che sia possibile viverecon uno scopo buono, r ico-minciano a provare gusto perla riflessione. Per alcuni (nonpochi per la verità) parole co-me fede, preghiera, Dio riac-quistano valore».

STIMMATINI

Le «porte aperte»del monastero

di SezanoL’ultimo dei borghi alle pendici delle

colline a Est di Verona è divenutoun’oasi della cultura e della riflessione

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Attualità

Giugno 2010

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di Lucia Dal Negro

Il Terzo Settore viene definito ciòche non è Stato né mercato ed in-clude sia attività di volontariato,che attività realizzate da strutturespecializzate in progetti sul terri-torio italiano o estero. All’internodi questa ampia definizione rica-dono da un lato tutte quelle realtàa cui il settore pubblico appaltaservizi per la comunità che da so-lo non riesce a realizzare, dall’al-tro, quelle strutture cui le aziendesi rivolgono per rispondere allerichieste avanzate dalla comunitàin cui operano. Da qui derival’importanza non soltanto etica osimbolica del Terzo Settore, sem-pre più orientato ad una raziona-lità economica del proprio ope-rare e, quindi, sempre più lonta-no dal modello filantropico di uncerto associazionismo. All’interno di questo settore, an-che definito non-Profit, esistonodue principali categorie: gli entirealizzatori ed enti donatori. Tragli enti realizzatori presenti nelterritorio veronese incontriamoSamir Chaudhuri, Presidente diCINI International, e Daniele Sai-bene Responsabile di CINI-Italia.L’associazione nasce per sostene-re il Child in Need Institute (CI-NI) India, una ONG fondata aCalcutta nel 1974 attiva ambitosanitario e nutrizionale su donnee bambini estremamente poveri.CINI si definisce una learning or-ganization nel senso che, spiegaChadhuri: «Circa il 60% della po-polazione indiana vive con menodi 2 dollari al giorno, capire comefanno ci aiuta a soluzioni che ab-biano senso». Domandiamo co-

me sia possibile coniugare i sape-ri locali con una metodologia diintervento che risolva le carenzesul campo. «Occorre associare unalto livello di professionalità chegarantisca il miglior uso dei soldidonati. Non si può più dare unservizio di basso livello solo per-ché siamo in un paese a bassoreddito». Questo approccioemerge dai progetti portati avantida CINI che utilizza lo strumentoLife Cycle Approach (usato nellaproduzione industriale per diffe-renziare le fasi di vita del prodot-to) per associare ad ogni aspettodel problema da risolvere, un di-verso tipo di intervento. A questarazionalizzazione di stampo in-dustriale del da farsi, si associaun’ottica di intervento che miraad eliminare i problemi alla radi-ce. «Prendiamo il problema dellamalnutrizione. L’approccio vin-cente non è quello di regalare ri-costituenti alle mamme. Bisognapuntare all’educazione alimenta-re e studiare soluzioni a basso co-sto. Questa è la professionalità alservizio dei poveri». A propositodi professionalità domandiamose le dimensioni e le caratteristi-che del Terzo Settore italiano so-no realmente in grado di assorbi-re i moltissimi giovani che si av-vicinano a questo mondo. Pen-siamo a tutti gli studenti che vor-rebbero fare della gestione delnon Profit una professione retri-buita e a quelle università checontinuano ad aprire corsi in ma-teria: nel caso di CINI, ad esem-pio, si impiega solo personale lo-cale e non si accettano volontarida espatriare. «Sul campo nonservono persone che vengano da

altri continenti per aiutare, anzi,spesso queste tolgono lavoro ailocali». Un’occhiata al nostro territorioce la offre Romano Tavella, segre-tario della Fondazione Zanotto,uno dei donatori locali che dal2002 finanzia progetti e studi perlo sviluppo economico-socialedel territorio veronese promuo-vendo iniziative culturali, socialie scientifiche. «Da una parte tuttirisentiamo della crisi economicache ha fortemente ridotto la li-quidità a disposizione delle Fon-dazioni e, dall’altra parte, il terri-torio veronese sembra non co-gliere appieno il valore di questiinvestimenti, rendendo semprepiù difficile il reperimento deifondi. Mi occupo personalmentedi questo aspetto andando a te-stare la disponibilità di aziende,associazioni, altre fondazioni oistituzioni ad investire in progettisociali. Nonostante le difficoltà,siamo riusciti a sostenere progettiimportanti tra cui voglio ricorda-re quello di certificazione eticanello sport. Quest’ ultimo, dal2007 ad oggi, promuove la diffu-sione dei valori e dei comporta-menti etici nello sport di eccel-lenza». Lo sport come contesto dove pre-miare l’etica e certificare le asso-ciazioni sportive più virtuose:un’idea inattesa, così come lo èquella dei NATs, Ninos y Adole-scentes Trabajadores, sostenutadalla Ong Progettomondo.MLAL. Il direttore, ValentinoPiazza, spiega: «Fermo restandola condanna dello sfruttamentodel lavoro minorile, nei contestidisagiati un minimo di formazio-

Attualità

ALTRA ECONOMIA

Terzo Settore a VeronaMolto più che buone intenzioni

La FondazioneZanotto è uno dei

donatori locali che dal2002 finanzia progettie studi per lo sviluppoeconomico-sociale del

territorio veronese :«Da una parte tutti

risentiamo della crisieconomica, dall’altra

parte il territorioveronese sembra non

cogliere appieno ilvalore di questi

investimenti,rendendo sempre più

difficile il reperimentodei fondi»

inVERONA

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Attualità

Giugno 201028

ne lavorativa permette ai bambi-ni di poter accedere al godimentodi altri diritti, quali lo studio.Non a caso progetti di questo ti-po hanno superato le selezioni didonatori importanti come l’U-nione Europea». Per molte realtàdel non Profit concepire che unminore possa lavorare rimane unforte tabù, salvo poi ammettereche sul campo la realtà è un’altra.In merito al ruolo giocato daisentimenti nel trasmettere le ri-chieste di aiuto di cui le ONG sifanno ambasciatrici ci viene det-to: «La credibilità di una ONG stanel passare un messaggio, che su-sciterà delle reazioni, e poi far le-va sul reale radicamento nel terri-torio in cui si sviluppa il progetto.Non è possibile rivolgersi allepersone solo per chiedere soldi epoi sparire. Il messaggio emotivotrova nella rappresentanza terri-toriale il suo equilibrio. Se l’ONGnon è presente davvero sul terri-torio, allora è solo strumentaliz-zazione dei sentimenti e ciò èmolto pericoloso per tutto il si-stema». Questo rapporto trasmaterializzazione dell’aiuto e le-game col terreno ricorda da vici-no l’opposizione tra l’economiafinanziaria e quella reale. È recen-te la notizia che Mark Zuckerberg(uno dei due inventori di Face-book) lancerà JUMO: la primapiattaforma web per orientarepotenziali donatori. In base alprofilo, JUMO assocerà ad ognisoggetto una serie di cause socialida poter supportare con soldi,tempo o competenze. Visionarioo precursore, ce lo dirà il tempo.Da ultimo chiediamo un pareresui numerosi network del non-Profit: l’associazionismo tra asso-ciazioni aiuta o polarizza il Terzosettore? «In parte aiuta perchénello scenario italiano ci sonotroppi campanili e questo riducela portata del Sistema nel com-plesso. Questo localismo, peral-tro, tocca anche i donatori nazio-nali, che ultimamente scelgono dinon co-finanziare progetti sup-portati da enti internazionaliperché preferiscono avere unprogetto più piccolo ma tutto lo-ro. Poi tra i donatori c’è anche unpo’ di populismo quando si pensache le associazioni migliori sianoquelle con bassi costi di gestione.Non è così. Bisogna valorizzare i

soldi raccolti, anche utilizzandoprofessionalità italiane, che ov-viamente hanno un costo. Adesempio in Marocco ci siamo oc-cupati di migrazione, scoprendoche i migranti sanno perfetta-mente i rischi che corrono: quelloche li motiva è spesso la dimen-sione mitologica del migrare. Laprevenzione va quindi affrontatadal punto di vista psicologico,smontando il mito del migrante eincoraggiando a mettersi in gioconella propria patria. Non trovan-do esperti locali abbiamo forma-to un team misto di italiani e ma-rocchini ed abbiamo sviluppatoun percorso educativo testatoprima in Italia, con marocchinigià emigrati, e poi nel Distretto diBeni Mellal. Il risultato è statoche ora affianchiamo il Ministerodell’Educazione locale. Un ap-proccio del genere ovviamentecosta, ma la vera cooperazione èinterscambio, altrimenti aiutaresignifica ancora una volta domi-nare». Proseguiamo incontrando MarcoValdinoci, vicedirettore Attivitàistituzionali della FondazioneCariverona: «Ci consideriamoun’ opportunità per il territorio,con un ruolo di sussidiarietà neiconfronti di altri soggetti dediti alsociale. Per legge abbiamo il com-pito di promuovere progetti in-novativi. Dal 1992 ad oggi abbia-mo erogato 1 miliardo e 308 mi-lioni di euro, frutto delle renditedelle azioni Unicredito al nettodei costi di gestione (che per l’an-no 2009 si sono attestati al4,3%)». Le fondazioni di originebancaria sono anche definite “in-

frastrutture del pluralismo” per laloro natura equidistante dal set-tore pubblico e dal settore priva-to. Questo carattere originalepermette loro di ragionare conlogiche autonome. I dati mostratida Valdinoci sono aggiornatissi-mi: dal 1992 ad oggi nel settoresanitario sono stati erogati 265milioni di euro (di cui 103 milio-ni per l’Ospedale di borgo Tren-to), per le scuole e l’istruzione271 milioni mentre l’arte e la cul-tura rappresentano il settored’intervento prioritario con 398milioni di euro erogati. Passandodalle cifre aggregate all’operativi-tà concreta, chiedo quale sia ilrapporto tra la Fondazione e glienti realizzatori. «La FondazioneCariverona copre una media del50% dei costi totali dei progettipresentati. Una volta finanziatal’attività, monitoriamo e valutia-mo l’impatto del progetto fino adue anni dopo la sua conclusio-ne. Con circa 1500-1700 progettil’anno, l’Ufficio di monitoraggioriesce a controllarne circa il 40%,una campionatura orientata daivolumi dei contributi erogati». L’incontro con Serafino Sordato,presidente della onlus Rete Gui-nea Bissau, ci porta a tu per tucon un protagonista del TerzoSettore veronese in Africa. L’asso-ciazione opera dal 1999 quandosu impulso del primo vescovo lo-cale (padre Settimio Ferrazzetta,originario di Selva di Progno) na-sce una rete di volontari per aiu-tare le missioni cattoliche in Gui-nea Bissau. «Noi lavoriamo neisettori dell’ istruzione e della sa-lute, tentando di portare uno svi-luppo che è ben rappresentatodal progetto agricolo di SanFrancisco de la Foresta: si trattadi un’azienda agricola nella zonadi Bafatà dove si coltivano riso,anacardi, ananas e arance. Assie-me alle Associazioni Crescere In-sieme e Amici di Vittorio Bicegoaiutiamo i locali a portare avantil’azienda, all’interno della qualeabbiamo allestito un centro sani-tario ed una scuola. Lavoro, sani-tà ed istruzione: questo è lo svi-luppo che offriamo». Domandose questi progetti facciano la dif-ferenza in contesti in cui la classepolitica, seppure decolonizzatada ormai quarant’anni, sembradisinteressarsi ai bisogni della

gente. «Dove agiscono le missionila situazione cambia davvero.Con l’istruzione si influisce sullamentalità della gente ed ecco, peresempio, che accanto ai rimeditradizionali le persone comincia-no a fidarsi dei nostri centri sani-tari. Certo, più ci si allontana dallamissione e più il quadro cambia:niente luce elettrica, rete idrica oimpianti fognari. Ciò nonostantenoi andiamo avanti sperando chei missionari resistano e si sviluppiuna classe dirigente al serviziodella gente». Alla fine di questacarrellata rivolgiamo le ultimedomande ad un Cartello di asso-ciazioni del Terzo Settore chia-mato “Nella mia città nessuno èstraniero”. «Il Cartello – ci diceMatteo Danese, portavoce – na-sce nel 1995 per promuovere unaserie di attività culturali che sti-molino l’opinione pubblica vero-nese a sconfiggere le paure indot-te ed assumere un atteggiamentocostruttivo verso gli immigrati».Concretamente mi domandoquali potrebbero essere, secondoil Cartello, i primi due interventida realizzare a livello locale e sco-pro che «investire nella formazio-ne delle seconde generazioni èfondamentale, poi bisogna ripen-sare i servizi pubblici: non devo-no più considerare gli immigraticome cittadini di serie B». Queste sono le opinioni di quan-ti, nel territorio locale, hanno ilprivilegio e l’onere di toccare conmano le realtà con cui lavorano,spesso per conto di un settorepubblico che arranca in materiasocio-ambientale. Ironia dellasorte, il decreto ministeriale del30 marzo 2010 elimina le agevo-lazioni sulle spedizioni postaliper l’editoria e così, il Terzo Set-tore, che per promuoversi e sov-venzionarsi spedisce giornalini eaggiornamenti ai propri sosteni-tori spenderà 28 centesimi di eu-ro per singolo invio (fino a 200gr) contro gli 0,06 precedente-mente fissati. Da un lato le istitu-zioni permettono al Terzo Setto-re di recuperare fondi con il5x1000, dall’altro i costi per rag-giungere i sostenitori sono lievi-tati in modo considerevole, in at-tesa dell’adeguamento alle tarif-fe europee. Si prevede un calonelle informazioni a nostra dis-posizione.

L’aumento delle tariffepostali per l’editoria

penalizza il Terzosettore. Da un lato

le istituzioni permettonodi recuperare fondi

con il 5x1000, dall’altro i costi per raggiungere

i sostenitori sonolievitati in modo

considerevole, in attesa dell’adeguamento alle tariffe europee

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Cultura

Giugno 201030

MICROCOSMO CITTADINO

Quei luoghi segretiche non ti aspetti...

Tanti palcoscenici sparsi per la città dove si mette in scena il vivere quotidiano. Un viaggio per capire l’essenza e dunque il valore di questi spazi

di Elisabetta Zampini

Il paesaggio è anche quello urba-no; un tessuto di strade, case,piazze, monumenti, movimenti,stratificazioni storiche, periferie.È il palcoscenico dove si mette inscena il vivere, “la maniera pro-pria degli oggetti sociali – per dir-la con le parole dell’indimentica-bile Eugenio Turri – di ordinarsi edi rivelarsi nel territorio”. Turrinon poteva usare termine piùbello e appassionato di quel “rive-larsi” perché sconfina nel camposemantico poetico-mistico-sim-bolico, ricordando dunque i tantilegami, di natura diversa, tra l’uo-mo e i luoghi. Anzi. Proprio que-sti intrecci trasformano un terri-torio, un’area, in un luogo. Sonorapporti spesso deleteri, asimme-trici, dove lo spazio è subordinatoai processi di trasformazione an-tropica “usa e getta”; spazio con-sumato, dato per scontato, utiliz-zato senza gratitudine: i capanno-ni, i centri commerciali, le opero-se attività edilizie onnipresenti.Altre volte invece lo spazio è tea-tro di legami creativi. Di luoghisalvati per mezzo di uomini e diuomini salvati per mezzo di luo-ghi. Verona è una città di luoghieclatanti e luoghi nascosti. Questavolta si vuole parlare dei luoghinascosti, non meta d’obbligo per ituristi in visita della città. Si met-tono da parte le icone da depliant.Non è necessario, ma certo prefe-ribile fare questo piccolo tour in

bicicletta o a piedi, se sia ha deltempo. Perché il paesaggio è pri-ma di tutto una questione di per-cezioni sensoriali. Visive, olfatti-ve, uditive. Relazionali.

IL BUSO DEL GATO

Ed inizia al Porto San Pancrazio.Precisamente in quel passaggiosotterraneo, tra le case, sotto i bi-nari,che collega il quartiere con lastazione ferroviaria di Porta Ve-scovo, noto a tutti come il “Busodel gato”. La curiosità toponoma-stica si mescola a una certa sim-

patia per la natura popolare, unpo’ da fiaba, da aneddoto, di que-sto nome. Ogni nome locale, co-me ogni parola, sia essa in dialet-to o in lingua, ha la sua storia. Epiù i nomi sono insoliti e conno-tati localmente più dicono dellacapacità creativa degli abitanti.«Ho trattato diffusamente questotoponimo in vari lavori, ma so-prattutto nel mio libro “Prontua-rio toponomastico del comune diVerona”» – racconta GiovanniRapelli –. In origine, fu uno stret-to passaggio pedonale previstodagli austriaci nel 1849 sotto la

ferrovia che loro inauguraronoquell’anno; la denominazioneoriginaria fu “Busegato” cioè bu-dello, passaggio lungo, stretto ebuio, alterato quasi subito in Bu-so del Gato per influsso dell’altraespressione veronese “buso delgato”, gattaiola, pertugio nellaporta per lasciar andare avanti eindietro i gatti”. Rapelli proseguein una suggestiva indagine lingui-stica: «Qualche tempo fa ho avan-zato un’ipotesi nella quale credofermamente: dalla stessa parolaveneta “busegàto” ritengo deriva-to l’italiano bugigàttolo. Infatti, il

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suffisso è lo stesso di giocàttolo; equest’ultimo termine è ricono-sciuto di origine veneta dai lin-guisti, da un veneto zugàtolo».

CORTICELLA VETRI

Entrando da Est in città, si arrivanel quartiere di Veronetta, un ve-ro regno di angoli appartati, giar-dini e cortili nascosti. Piccole oasiinattese che fanno dimenticare diessere a due passi da strade trop-po trafficate. Molti di questi giar-dini sono segreti, chiusi dietrocancelli, in un gioco di “vedo enon vedo” che ne fa aumentare labellezza (e l’invidia di chi li puòsolo guardare). Ma imboccato vi-colo Vetri ad un certo punto,svoltando a sinistra, si percorrevicoletto Vetri e ci si ritrova inCorticella Vetri. È come essere inun paesino di Liguria, con l’ulivo,le biciclette appoggiate al muro eun pozzo. La sorpresa si mescolaall’attenuarsi degli usuali rumoriurbani, insieme al profumo e alcolore del glicine che scende dalmuricciolo di sasso. Ed è unapiazzetta pubblica. Solo che es-sendo così appartata, oltre ai resi-denti, ci capitano soltanto dei tu-risti che han perso la strada prin-cipale, qualche veronese in pas-seggiata senza meta e i postini,quando la trovano. «Tra vicini ciconosciamo bene – racconta lasignora Germana Bagattini –. Ilsilenzio, la quiete, la mancanzadelle macchine (che qui non en-trano) favoriscono le relazioni

tra gli abitanti. Ci si incontra, cisi parla dalle finestre aperte. I rit-mi sono più tranquilli. E tuttispontaneamente abbellisconoquesto luogo, lo curano e lo accu-discono». E il luogo restituisce achi se ne prende cura una bellez-za che aumenta la qualità dellavita e di certo assicura un mag-gior benessere psicofisico. La bel-lezza che cura. E se, stando ad al-cune ricerche scientifiche, l’uni-formità di forme, luoghi senzastoria e senza colore determina-no nell’organismo un abbassa-mento dei livelli di serotonina(“l’ormone del buonumore”),qui avviene l’esatto contrario. Lacura dell’ambiente, soprattuttoquando questa avviene attraversoun lavoro partecipato, collabora-tivo tra le persone, ha un ritornodi gratificazione enorme, oltre acreare per chi ci vive un riferi-mento di identità, un’iconema,come amava definire Turri lemarche caratteristiche e tipichedi un luogo, gli elementi che nedanno il carattere e che assumo-no per chi li percepisce un valoresimbolico. Ecco perché in unacittà, anche l’abbattimento di unalbero può costituire una rotturaemotivamente forte nel propriosistema di percezione dello spa-zio. Ogni individuo, così comeogni comunità, costruisce la pro-pria mappa identitaria formatadai caratteri estetici di un paesag-gio, dalla frequentazione, dall’a-gire, dalla formazione di memo-rie. Tutto il contesto abitativo che

kreuzer austriaco, un centesimodel 1867 con Vittorio EmanueleII e uno del 1859 con il re Um-berto I». Il luogo diventa alloraun contenitore di memorie per-sonali e collettive, di ricostruzio-ne di un passato e di costruzionedi una identità. Dove per identitànon si intende un a priori mono-litico dato una volta per tutte e datramandare pedissequamente.Un senso di appartenenza e di ri-conoscimento a partire da unaesperienza condivisa. Un’identitàche si costruisce nel fare comunee che diventa visibile, appunto,attraverso i segni lasciati sul ter-ritorio. In costante costruzione ericostruzione.

LA CORTE DEL DUCA

Un esempio in tal senso è il parcogiochi “Corte del Duca”, nei pressidi San Giovanni in Valle. Per posi-zione e cura è uno dei più bei par-chi pubblici della città. Punto diriferimento e di richiamo per tantibambini e mamme, non solo delquartiere: «Vengono anche daBorgo Venezia – spiega MicheleCorocher, presidente del Comitatogenitori che gestisce il parco – ogni

si affaccia sulla piazzetta Vetri èantico. La sua storia va oltre lememorie degli attuali abitantima ne lascia affiorare delle trac-ce. «Mentre sistemavo la casa –prosegue la signora Germana –in giardino ho trovato alcunemonete. Non sono preziose in séma sono interessanti perché ri-cordano quattro tappe salientidelle vicende amministrative del-la città e non solo. La più antica èuna moneta del 1600 con il nomedel Doge Antonio Priuli, il primoa coniare moneta con il proprionome; di seguito un centesimodatato 1809 con Napoleone, un

La cura dell’ambiente,soprattutto quando

questa avvieneattraverso un lavoro

partecipato,collaborativo tra le

persone, ha un ritorno di gratificazione enorme,

oltre a creare per chi ci vive un riferimento

di identità

“Il Buso del gato” a Porto San Pancrazio

I giardini di via Riva San Lorenzo

inVERONA

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Cultura

Giugno 201032

giorno, dopo le quattro, questispazi si riempiono. Conosciamoormai tutti i bambini, le mamme.Il parco è molto frequentato per-ché è protetto dalle mura, ha unsolo accesso, è grande, pulito e bentenuto». Ogni mattina un gruppodi volontarie del Comitato si oc-cupa della pulizia del parco e deibagni. Durante il giorno altri delComitato sono presenti nel parco.Quando è al completo, il Comitatoè formato da quattordici membri.Nel pomeriggio si danno appun-tamento qui queste persone chesono amiche e per le quali il parcoè diventato un punto quotidianodi aggregazione, luogo significati-vo e di affetti. Con il bel tempo sisiedono all’aperto, sotto un albero,attorno ad un tavolino, vicino al-l’entrata: «Molte mamme ci rin-graziano, ci fanno i complimenti –racconta una signora del Comita-to – per come teniamo il parco. Pernoi questa è una grande soddisfa-zione. Ci sentiamo responsabilinon solo del luogo ma anche dellepersone che lo frequentano, conun occhio di riguardo per i bambi-ni». Uno spazio, quello di Cortedel Duca, riconquistato e restitui-to alla città dopo manifestazioni,occupazioni, la tenacia del Comi-tato, la mobilitazione di associa-zioni, di privati cittadini e di per-sonaggi pubblici, da Roberto Pu-liero a Dario Fo, che culminaronoagli inizi degli anni ’70 e che solle-citarono il Comune di Verona adacquistare da un ordine religiosoquesto spazio abbandonato e inu-tilizzato. «Ci sarebbero molti altriluoghi in città – prosegue Coro-cher – che potrebbero diventareparchi, aree verdi. È possibile, co-me abbiam fatto noi. Certo, la cosapiù difficile è poi la costanza, lacontinuità degli interventi. Nonsolo rivalorizzare uno spazio maanche mantenerlo vivo».

RIVA SAN LORENZO

Il viaggio prosegue con una brevesosta in Riva San Lorenzo, luogoriposante, ombreggiato, con pae-saggi da ammirare su tutti i quat-tro punti cardinali. Davanti il fiu-me, alle spalle la chiesa di San Lo-renzo, da un lato la cupola di SanGiorgio e dall’altro il ponte di Ca-stelvecchio.

VIA DELLA REPUBBLICA

Infine, attraversato il ponte dellaVittoria, si arriva in via della Re-pubblica, alle spalle dell’Arsena-le. Qui vie, incroci, strisce pedo-nali, parcheggi a pettine si susse-guono come in ogni zona pretta-mente residenziale. La cosa sor-prendente è che ad un certo pun-to, proprio sulla strada principa-le, un vialetto di palme che con-duce a una costruzione bianca,dalla forma singolare, invita adentrare. C’è molto silenzioso,nonostante il via vai continuo dipersone e gli alti palazzi attorno.Sul retro si nasconde una grottacon la Madonna, costruita sulmodello della grotta di Lourdes.

Ai piedi della Madonna, un viva-ce tappeto di vasi fioriti e colora-ti; appeso un cartello con l’indi-cazione del rosario letto ogni se-ra alle 21 e poi una targa com-memorativa che spiega il perchédi questo luogo, un ex voto per loscampato pericolo di un’interacomunità: “L’ultima guerra quicon più di 5.000 bombe distru-zione seminò. La popolazione diCampagnola nell’angoscia laMadonna invocò (...) Maria tuttisalvò. Come testimonianza que-sta grotta riconoscente a lei dedi-cò”. È un luogo di devozione e dipreghiera, di raccoglimento pal-pabile tanto che non viene perniente la tentazione di intervista-re qualcuno per saperne di più.Già lo scatto delle foto sembraessere di troppo in questo luogosenza retorica, umile pur nellacura che riceve. È negli ultimianni frequentato in maniera as-sidua dai “nuovi veronesi”, spe-cialmente asiatici, che hanno ri-conosciuto in questo luogo natosulle macerie (sia materiali chemorali) della seconda guerramondiale un punto accoglientedove esprimere la propria fede. Ilcontinuo farsi dell’identità, si di-ceva. Un bel passaggio di testi-mone e di umanità dalle vecchiealle nuove generazioni di cittadi-ni. In fondo gli spazi devonoconsentire all’essere umano disognare.

L’abbattimento di unalbero può costituire

una rotturaemotivamente forte

nel proprio sistema dipercezione dello spazio.

Ogni individuo, cosìcome ogni comunità,costruisce la propriamappa identitaria

formata dai caratteriestetici di un paesaggio,dalla frequentazione,

dall’agire, dallaformazione di memorie

La Corte del Duca a San Giovanni in Valle, luogo di ritrovo per giovani e meno giovani

La grotta con la Madonna nei pressi di via della Repubblica

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di Cinzia Inguanta

Difficile dare significato e collo-care una realtà come quella del-l’audiodocumentario in un’epocafortemente condizionata dall’im-magine come la nostra. Per fareun po’ di chiarezza abbiamo in-contrato Jonathan Zenti, un gio-vane audiodocumentarista vero-nese, che ci conferma che il fattodi fare questo tipo di lavoro destasempre molta curiosità nelle per-sone. In realtà, però, ogni audio-documentarista è come un qual-siasi autore video o della cartastampata e i loro lavori presenta-no alcune analogie, come adesempio, uscire sul campo, avereun tema, registrare, costruire irapporti. Qualcosa in più è datodalla possibilità di riuscire ad en-trare in luoghi dove un giornali-sta, un cameraman o un fotogra-fo non potrebbero entrare, unmicrofono risulta meno invasivo,facile da nascondere e poi soprat-tutto fare documentari permettedi avere più tempo, non si lavorasullo scoop, sull’immediatezza silavora sulla costruzione del sensoe questo vuol dire avere la possi-bilità di lasciar fermentare i pro-pri racconti, le proprie registra-zioni, di farle crescere, di capire seerano giuste o no, se era giustal’intuizione di essere andati in unluogo piuttosto che in un altro.Jonathan spiega che «un audio-documentarista tanto più è bravoquanto più riesce ad individuare

nella costruzione del suo lavoro lospecifico sonoro, ovvero quando ilsuono diventa documento indi-pendentemente da tutti quegliaspetti della realtà che stimolanogli altri sensi, soprattutto indi-pendentemente dal video. Unabuona registrazione sonora riescea far percepire tutta la sfera all’in-terno della quale il soggetto è in-serito, mentre con la videocamerasi può sceglierne solo una porzio-ne, non è meglio l’una o l’altra,hanno due dimensioni diverse eall’interno di queste si può lavo-rare, trovando il massimo dellaspecificità».Come nasce l’idea di esercitareuna professione così insolita? Jo-nathan racconta che l’idea per luiè nata a Milano mentre lavoravain uno studio di produzione, l’I-stituto Barlumen, durante la rea-lizzazione di un fakeumentary,cioè un finto documentario ra-diofonico, per Radiorai, intitolatoThe Leon Country Tapes. «Lavo-rando a questo documentario»spiega Jonathan «mi sono resoconto che mi piaceva molto dipiù stare per strada a registrare elavorare sul campo piuttosto chestare chiuso in studio. Inoltresentivo la necessità di lasciarequel tipo di meccanismo tipicodella produzione dello spettacoloitaliano che comportava tuttauna serie di condizioni umiliantidal punto di vista economico e

dell’autostima. Avevo deciso diautodeterminarmi come autore eprovare a vedere se riuscivo amettermi sul mercato senza peròaccettare le condizioni di cui so-pra, da parte degli editori».Nasce così Suoni Quotidiani, unosservatorio sociale sulle norma-lità che utilizza l’audiodocumen-tario come strumento di analisi ela trasmissione orale come mezzodi diffusione dei risultati ottenuti.All’interno di questo concetto ri-entra il modo di lavorare di Zentie del gruppo che compone lo staffdi Suoni Quotidiani. Questo vuol dire produrre audio-documentari e spettacoli dal vivoche possano diffondere anche aldi fuori dell’ambiente radiofonicoi contenuti del percorso di ricerca.Suoni Quotidiani inoltre sviluppae realizza percorsi didattici sullenormalità per scuole, università,associazioni e ONG. È iniziato amaggio un seminario per la Facol-tà di Psicologia dell’Università diPadova che ha come tema: l’au-diodocumentario come possibilestrumento di approfondimentodella costruzione della realtà. Ri-mangono molte altre cose da diresull’argomento, chi fosse interes-sato a saperne di più, e ne vale lapena, può andare a visitare il sitointernet www.suoniquotidiani.ite il sito dell’Associazione ItalianaAudiodocumentaristi www.au-diodoc.it.

PROFESSIONI

Suoniquotidiani

Il giovane audiodocumentarista Jonathan Zenti svela i segreti di unaprofessione insolita, ma affascinante

«Una buonaregistrazione sonorariesce a far percepire

tutta la sferaall’interno della quale

il soggetto è inserito,mentre con la

videocamera si puòsceglierne solo una

porzione, non è megliol’uno o l’altro, hannodue specifiche diverse e all’interno di queste

si può lavorare,trovando il massimo

della specificità»

Cultura

Jonathan Zenti

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di Cinzia Inguanta

La formula del successo? Giam-primo Zorzan, socio fondatore eart director del Club Il Giardino,non ha dubbi in proposito, la for-mula è una sola: la passione. Lastoria del locale inizia nel 2000con un gruppo di amici amantidella musica di qualità suonatadal vivo, che organizzandosi, inquella che era poco più di una ta-verna, fa suonare gruppi veronesidi rhythm & blues (tra loro laMorblus Band). Piano piano lacosa cresce, il giro degli amici siallarga (attualmente sono 1.300soci). Nel locale iniziano a suona-re anche nomi importanti e cosìnel 2004 nasce ufficialmente ilcircolo culturale Il Giardino.Il concerto della serata d’inaugu-razione è tenuto da una band ve-ronese, proprio per ribadire che ilcircolo vuole essere uno spazioaperto ai gruppi giovanili che dif-ficilmente troverebbero luoghi in

cui esibirsi e farsi conoscere. Do-po sei anni di attività, il locale èdiventato una garanzia di qualitànon solo a Verona, ma in tuttaItalia e punto di riferimento pertutti gli amanti del progressive, ilgenere musicale prediletto dai so-ci fondatori del club. Tanti gli artisti di fama interna-zionale che si sono esibiti sul pal-co de Il Giardino, tra questi baste-rà ricordare alcuni nomi comePeter Hammill dei Van der GraafGenerator o i Fairport Conventiono tra i nomi italiani Elio e le StorieTese e davvero molti altri. E a tuttipiace suonare al Giardino, tuttitornano volentieri di anno in an-no. Perché? La spiegazione che da Peter Ham-mill è che in questo locale è bellosuonare perché si sono ricreatil’atmosfera e lo spirito dei clublondinesi degli anni ’70, quandotutto quello che contava era fare eascoltare musica dal vivo. La pre-rogativa che ha determinato il

successo del locale è quella di ave-re il palco allo stesso piano delpubblico, senza divisioni. Questopiace molto sia agli spettatori, chesi sentono partecipi dello spetta-colo, sia agli artisti che si sentonotutt’uno con il loro pubblico. La programmazione degli eventiè fatta in modo da lasciare spazioalle band locali il giovedì e il ve-nerdì sera, che tra l’altro sono se-rate ad ingresso libero, mentre ilsabato è riservato a gruppi più af-fermati. Il progetto ha avuto molto suc-cesso soprattutto tra i giovanissi-mi, cioè quelle formazioni com-poste da ragazzi di diciannove-vent’anni che non troverebberoposto per esibirsi, perché chi or-ganizza serate, generalmente è in-teressato solo a nomi che possanogarantire un incasso sicuro.L’intraprendenza e l’amore per ilprogressive di Zorzan e dello staffde Il Giardino non si ferma qui.Da cinque anni, infatti, sono tra

Cultura

35

MUSICA

Club Il GiardinoLa formula del locale di Lugagnano di Sona funziona, perché si sono ricreatil’atmosfera e lo spirito dei club londinesi degli anni ’70, quando quello che contava era fare e ascoltare musica dal vivo. Largo spazio alle band veronesi

gli organizzatori e i promotori delVerona Prog Fest, manifestazione,nell’ambito della musica progres-siva, tra le più importanti in Italiae non solo. Anche qui lo spiritoche promuove l’iniziativa è lostesso, così il cartellone dà moltospazio a band emergenti italiane everonesi. Ecco allora che vicino aimostri sacri David Jackson, TruyGunn, Gianni Leone, Lino Vaie-retti, Fabrizio Fariselli, padri delgenere prog, ci sono gruppi comei Conqueror di Messina, VIIIStrada di Milano, gli emiliani Al-tare Thotemico, i veronesi Logose Gran Torino che parlano unaloro lingua nel panorama delprog, non imitando i grandi delpassato, ma prendendone spuntopercorrono strade nuove, consa-pevoli della difficoltà del cammi-no intrapreso.

Il Club Il Giardino è a Lugagnanodi Sona e ha un sito web:www.clubilgiardino.org.

Giamprimo Zorzan, Filippo Perbellini, Sonny Rhodes

inVERONA

Page 52: Verona In 25/2010

di Cinzia Inguanta

La luce è uno degli elementi rive-latori della vita, illumina e con-temporaneamente genera om-bra. La luce, la sua ricerca è ancheuna costante nelle opere di PaolaBozzini, varie per tecnica e temi –tanto da sembrare eseguite damani diverse, – ma in tutte è laluce a prevalere, il traguardo daraggiungere. Paola senza mai stancarsi, nellavita come nell’arte insegue la lu-ce: per questo i suoi quadri sonocoinvolgenti, emozionanti, istan-ti di una vita che sembra scrittada uno sceneggiatore, istanti fer-mati sulle tele con il colore. Paola nasce figlia d’arte in una fa-miglia alto borghese. La madre, at-trice teatrale e fondatrice di un’ac-cademia d’arte dalla quale sonousciti grandi artisti (AlessandroHaber un nome per tutti), ha unsalotto letterario frequentato daipiù bei nomi della cultura dell’e-poca. Per una ragazza che cresce inun simile ambiente è impossibilenon essere coinvolta dal fascinodell’arte e iniziare a sognare un fu-turo in cui poter esprimere la pro-pria creatività sotto il profilo dellaforma e del colore. La prematura morte del padresconvolge la vita della famiglia e ilfuturo diventa incerto, precario.Paola che sa essere anche moltoconcreta, cambia indirizzo di studidiplomandosi alle magistrali senzarinunciare al sogno di frequentarel’accademia di Brera. La madre pe-rò contrasta le aspirazioni artisti-

Cultura

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I coloridell’anima

I ricordi dell’artista e giornalista PaolaBozzini raccontati attraverso la pittura

che della figlia spingendola versoun matrimonio di convenienza, incui Paola si sente intrappolata. Sono anni emotivamente difficili,così tormentati che alla fine l’unicacosa da fare è dare un taglio netto.Così Paola lascia tutto e tutti perricominciare da sola a riscrivere lepagine di una vita da protagonista.Si reca a Roma, poi in Toscana do-ve inizia la collaborazione con unacasa editrice, comincia a scriverepoesie e riprende in mano il bloccodegli schizzi. È un periodo fecondo, la vita sem-bra tornare luminosa. Il lavoro etutto quello che ha fatto parlanoper lei: scrittrice, giornalista per IlTempo, Il Gazzettino, Verona Ma-gazine, insegnante e poi... poi lesue poesie, i suoi quadri. L’opera pittorica di Paola ci svela lasua vita, i ricordi, le sensazioni,racconta il colore della sua animaattraverso paesaggi che rivivono intagli di luce colti per lo più nellanatura. Ai ricordi appartengonoanche i luoghi amati come Vene-zia, ritratta più volte cercando dicogliere le sfumature suggestivedegli scorci novembrini. La luce che nei suoi vari aspetti –naturalistico, simbolico, emotivo –diviene il mezzo di comunicazionevisiva della complessa personalitàdell’artista. Non importa quante equante volte la luce fugga via o in-ganni, quante volte vada ricomin-ciata la ricerca; importa che lacorsa continui e dia vita ad altresuggestioni, ad altri lavori, ali-mentando nuove scoperte e nuo-ve idee.

Paola Bozzini

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Cultura

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di Alvise Pettoello

Il 12-13 giugno si è tenuto a Vero-na il meetup nazionale dei book-crosser o book corsari, coloro iquali si dedicano al bookcrossing,una pratica gratuita e volontariainiziata circa dieci anni fa negliStati Uniti, dove esiste la comuni-tà più numerosa, e che negli annisuccessivi ha avuto diffusione inaltri 130 paesi, nei cinque conti-nenti. Il bookcrossing prevede la libera-zione di libri: il libro viene lascia-to volutamente in luoghi pubbliciallo scopo di farlo recuperare daaltre persone favorendone la cir-colazione e quindi la diffusionedei contenuti. Ma nel suo percor-so il libro viene costantemente se-guito: dietro al bookcrossing esisteuna procedura che consiste nelregistrare sul sito www.bookcros-sing-italy.com il libro. Con la re-gistrazione viene assegnato unnumero univoco (il BCID) chedeve essere applicato sulla coper-tina tramite un etichetta, reperi-bile sul sito. Il BCID è la chiavedel successo di questa pratica:permette il riconoscimento del li-bro, consente di segnalarne sul si-to il ritrovamento in un determi-nato luogo e di lasciare commentie pensieri ispirati dal libro chetracceranno il suo percorso. Nel 2001 Ron Hornbaker ebbel’intuizione di progettare un sitointernet allo scopo di tracciare eseguire i libri. Il sito riscosse un

successo immediato. Ad oggi sonoquasi 500 mila iscritti in tutto ilmondo. Al sito gemello italianosono registrati quasi 3.000 utenti. Il bookcrossing ha come principa-li nemici le case editrici che lovedono come una minaccia seriaa propri affari, vista la rapiditàcon la quale sta prendendo pie-de. I bookcrosser invece sonoconvinti che questa libera inizia-tiva favorisca lo sviluppo delmercato editoriale in quanto lalibera circolazione dei volumistimola nuove letture e quindianche nuovi acquisti. A chi si registra sul sito vengonoconsigliate delle Official CrossingZone (OCZ), luoghi officiali, se-gnalati solitamente con locandineo poster, dove i bookcrosser pos-sono depositare o prelevare i lorolibri con una frequenza maggiorerispetto a luoghi non ufficiali.Anche a Verona, se pur quasi sco-nosciute, esistono delle OCZ: ilComitato territoriale dell’ARCIdi Verona, il Buri Bar presso VillaBuri, il Cinema Fiume, la pizzeria

EDITORIA

Bookcrossing:la liberazione dei libri

Abbandonare testi in luoghi pubblici della città perché possano essere letti: è il principio dell’attività nata dieci anni fa negli USA e praticata anche a Verona

al taglio “Zio Lele”, il Centro cul-turale “Corte Salvi” a Bovolone, laCooperativa PaneVino a Pede-monte. È sempre possibile regi-strarne anche di nuove, collegan-dosi semplicemente al sito e dan-done comunicazione.Quasi nulla viene lasciato al caso:sul sito sono riportate regole perrendere facilmente riconoscibileil libro e agevolare lo scambio.L’etichetta deve essere posta inmaniera visibile e chiara, magarisulla copertina o sul retro del li-bro. All’interno del libro megliodescrivere brevemente cos’è ilbookcrossing, perché chi raccoglieil libro, specialmente se lasciatonon in zone OCZ, deve capire ra-pidamente che il libro non è statoperso o dimenticato ma che stafacendo un percorso. A Verona sono circa una ventinai corsari più attivi. Più quasi 300iscritti al forum ufficiale fo-rum.bookcrossing-italy.com. Siincontrano una volta al mese, so-litamente in qualche locale delcentro storico o presso una OCZ.

Il bookcrossing hacome principali

nemici le case editriciche lo vedono come

una minaccia seria apropri affari, vista larapidità con la quale

sta prendendo piede. Ibookcrosser invecesono convinti che

questa libera iniziativafavorisca lo sviluppo

del mercato editorialein quanto la libera

circolazione deivolumi stimola nuoveletture e quindi anche

nuovi acquisti

inVERONA

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Perosini EditoreBozidar StanisicIl cane alatoEuro 14,00

Una fragile li-nea di confinealle porte dicasa, poco lon-tano da Trieste,separa il mon-do occidentale

da quello dell’Est. Stanisic, in-tellettuale bosniaco, ha attra-versato questa linea sia fisica-mente, da esule pacifista, siacome scrittore che osserva ilnostro “Nord-Est”: un model-lo di sviluppo, con i suoi eroi-protagonisti e i suoi modelli. Iracconti di Stanisic sono sto-rie individuali che si dibatto-no nel “migliore dei mondipossibili”, il quale, tra succes-so e ipocrisia, mostra ungrande vuoto morale. Stanisicci ricorda che c’è un impegnonecessario per tutti: recupera-re il senso della comune uma-nità al di là di ogni frontiera,anche da quella illusoria delbenessere.

Perosini EditoreItalo BosettoLa luce di EmmausEuro 13,00

Il Vangelo di Luca riscritto inversi. Italo Bosetto, poeta vero-nese, interpreta l’intero Vange-lo lucano, dando vita a un’ope-ra che costituisce un’assoluta

novità. Le cin-que sezioni dellaraccolta accom-pagnano, comelungo uno stes-so cammino, iltesto di Luca e lapoesia di Boset-

to regala intense emozioni e favivere la narrazione di una parti-colare luce, capace di evocare lavita della Palestina ai tempi diGesù. Nel testo s’incontra un Ge-sù di Nazareth vicino all’uomodi oggi, una Miriàm, una Madresimbolo universale, alla quale so-no dedicati i versi più profondi edelicati.

EMIGiampaolo TrevisiFogli di via. Racconti di un vice questoreEuro 8,00

I Fogli di via han-no il timbro delleQuesture e le fir-me dei Vice Que-stori, proprio co-me questo primolibro scritto da

Giampaolo Trevisi, Vice Questoredi Verona. I racconti, pieni d’uma-nità, prendono il posto delle stati-stiche, fatte di numeri freddi e im-personali. L’autore porta a sognareun mondo le cui uniche frontiereinvalicabili sono quelle dell’emar-ginazione del più debole, del dirit-to alla vita e del rispetto per tuttinella diversità delle culture. Pre-sentazione di Gad Lerner.

Cierre edizioni in coedizione con IVRRAlessia Bussola«Parto domani, tornerò certamen-te». Verona dalle leggi razziali alladeportazione (1938-1945). Euro12,50

Le leggi razziali del 1938, furonoaccolte dai veronesi con “sostan-ziale indifferenza”.Attraverso nuove ricerche d’archi-vio e preziose testimonianze, l’au-trice dà un’interpretazione storicaimpietosa del periodo, dando spa-zio a una memoria «che moltiavrebbero preferito tenere sopita».L’indifferenza dei veronesi perquelle leggi vergognose è analoga aquella che si registra nello stessoperiodo nei confronti di fascisti epartigiani, tanto che i primi parla-no di una popolazione lontana dalfascismo e i secondi si lamentanoperché Verona si risveglia solo a co-se fatte, il 26 aprile 1945, «con lamascherata della cosiddetta insur-rezione».

Cierre edizioniin coedizione con IVRRBeppe Muraro, Lorenzo Rocca,Marco SolazziSui sentieri della libertà. I luoghidella Resistenza sulla montagnaveroneseEuro 12,50

Descrivendo quattordici itineraritra Baldo e Lessini, “Sui sentieridella Libertà” è una guida escur-sionistica e un percorso storicoattraverso le vicende della guerra

di liberazione partigiana dall’oc-cupazione nazifascista. Attraversointerviste e documenti d’epoca,gli autori ci guidano alla scopertadi una pagina spesso dimenticatadella resistenza veronese, merite-vole di essere raccontata. Questolibro è un invito ad andare inmontagna con spirito diverso, persentirsi liberi. Oggi come ieri.

Bonaccorso EditoreFilippo BombaraIl violino di York e altri raccontiEuro 14,00

L’infanzia e le sue ingenuità, l’a-more e i suoi risvolti anche dram-matici, l’amicizia e i rapporti fa-miliari. Sono questi i temi dei 18racconti che compongono il pri-mo libro di Filippo Bombara.Ufficiale dell’Esercito, l’autore vi-ve a Verona dal 1991 e fin da ado-lescente coltiva la passione per lascrittura. In questa sua primapubblicazione, Bombara raccontaquadri di vita quotidiana, alla ri-scoperta di sentimenti del passa-to. Con uno stile sobrio e pene-trante, l’autore accompagna il let-tore nei suoi racconti attraversosplendidi paesaggi meridionali.

Libri

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NEWS DAL MONDO EDITORIALE

Giornale di attualità e cultura

DirettoreGiorgio Montolli

Lungadige Re Teodorico, 10 37129 -Verona. Tel. 045.592695

Stampa Croma Srl

Registrazione al Tribunale di Veronan° 1557 del 29 settembre 2003

Iscrizione ROC 18748N° 25/giugno 2010

Copia venduta in abbonamentoal prezzo di 15 euro l’anno

www.verona-in.it

STUDIOeDITORIALEGiorgio Montoll i

inVERONA

di Giordano Fenzi

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VERONA IN: PERCHÉ FARE L’ABBONAMENTO15 euro l’anno per crescere insieme

IL PROGETTO EDITORIALEVerona In è un trimestrale di attualità e cultura edito dallo Studio Editoriale Giorgio Mon-tolli (dove si impaginano libri e giornali). La redazione è costituita da volontari che hannocome obiettivo quello di produrre una comunicazione libera e responsabile attorno a temiritenuti sensibili:

– L’attenzione alla salute, all’educazione, al lavoro e all’ambiente– La valorizzazione di una politica responsabile al servizio dei cittadini – La diffusione dei valori che ispirano l’associazionismo e il volontariato– La promozione culturale attraverso un linguaggio semplice e accessibile a tutti– L’attenzione alle nuove culture in un’ottica di integrazione– Il sostegno al dialogo e al confronto per una convivenza civile e pacifica– La riscoperta dei valori della tradizione

Verona In è distribuito gratuitamente in determinate occasioni, ma per sostenere il progettoè stata introdotta la formula dell’abbonamento (15 euro/anno). Gli abbonamenti sono im-portantissimi perché permettono all’editore di essere libero da certi condizionamenti. I con-tributi degli abbonati e la pubblicità consentono di pagare le spese di base (impaginazionee stampa) e di impiegare quanto eventualmente rimane per far crescere il giornale.

ANDANDO SUL SITO www.verona-in.it PUOI:• Scaricare GRATUITAMENTE i pdf del giornale (compreso il numero in distribuzione)• Scaricare il progetto editoriale completo e il modulo per fare l’abbonamento• Cliccare su «Il giornale e la città» e partecipare alle nostre iniziative

IL GIORNALE E LA CITTÀ: 15 EURO BEN SPESIL’abbonamento serve anche a finanziare alcuni incontri di carattere ludico e culturale, of-ferti gratuitamente, durante i quali viene fatto dono della rivista a scopo promozionale.

Alcune iniziative in corso• Tour per conoscere la storia, le opere e i monumenti di Verona• Visita ad alcune mostre cittadine • Corso di giornalismo per studenti delle scuole medie superiori• Campagna di impegno civico contro la dipendenza da gioco• Gite in montagna e in bicicletta

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