Verità e giustizia n.80

21
16 novembre 2011 La newsletter di liberainformazione n.80 verità e giustizia Mafie da contaminazione

description

La newsletter di Libera Informazione

Transcript of Verità e giustizia n.80

Page 1: Verità e giustizia n.80

16 novembre 2011

La newsletter di liberainformazione

n.80

veritàegiustizia

Mafie da contaminazione

Page 2: Verità e giustizia n.80

2 verità e giustizia - 16 novembre 2011

Da Fondi a Roma

di Santo Della Volpe

>>editoriale

Il fratello di Totò Riina, Gaetano ed il figlio di Sandokan, Nico-la Schiavone, arrestati con altri complici per il controllo del tra-

sporto di frutta e verdura, per e dal Mof di Fondi, il più grosso mercato ortofrutticolo d’Europa. Cassette di frutta sotto le quali si nascondevano anche mitra, bombe ed esplosivo in viaggio nei camion frigorifero. Mafia e camorra alleate ai più alti livelli dunque per il con-trollo di una “stazione” di smista-mento di importanza capitale per il Lazio, il Nord Italia e l’Europa: ecco perché Fondi doveva restare in orbi-ta politica perlomeno compiacente, comunque silenziosa e tranquilla perché si trafficasse con comodo; perché il controllo del territorio ser-ve per fare affari e la politica deve es-sere amica,per mafiosi e camorristi. Un’altra delle motivazioni per le quali il Consiglio Comunale di Fondi non è stato sciolto dal governo Berlusconi nonostante (caso unico in Italia, ma poi imitato in altre occasioni…) ben due richieste da parte del prefetto di Latina: troppi interessi in gioco

in quel territorio perché prevalesse la legalità... Lo ha svelato ora una in-chiesta della magistratura, dopo nu-merosi articoli giornalistici (anche di Libera Informazione), dopo le inda-gini di Polizia e Carabinieri e dopo le due relazioni dell’allora prefetto Frat-tasi: nel Mof di Fondi l’alleanza ma-fia-camorra era ferrea e serviva per coprire non solo i traffici locali,ma la penetrazione malavitosa nel basso Lazio, usata a fini politico-affaristici per aprirsi la strada verso la capita-le. Per questo l’indagine della magi-stratura su Fondi è l’angolatura per capire le “Mafie nel Lazio”, cui dedi-chiamo buona parte di questa new-sletter. Perché in questo finale di par-tita italiano, che è anche l’inizio di una operazione verità necessaria ora in Italia se vogliamo che prevalga la legalità, partire dal Lazio, da Roma, significa ripercorrere la strada della penetrazione mafiosa nei gangli vi-tali del nostro paese, per svelarne gli intrecci e dare linfa alla battaglia per una giusta economia ed una normale convivenza civile. Da Fondi a Roma, dunque, ma facen-

do anche un ampio giro per le capi-tali del riciclaggio e della politica collusa. E per capire quanto sia fa-stidiosa per le mafie e camorre varie, la presenza, in provincia di Latina, di un “Villaggio per la legalità” su un terreno confiscato ad un boss mafio-so. Dà fastidio: perché fa intravedere la possibilità di riscatto, cercata dai giovani e dagli onesti, dalle donne e dagli uomini che vogliono bloccare il cammino delle mafie. Per questo l’hanno preso di mira con atti di vandalismo, ripetutamente: e per questo noi torniamo a parlarne ed a chiedere alle istituzioni di fare tutto quel che è necessario per arre-stare i colpevoli di quelle devastazio-ni. Ed ai politici di abbandonare ogni compiacenza verso questi malviven-ti, a Fondi, nel mercato ortofruttico-lo, così come nelle amministrazioni pubbliche. Ora si chiede a tutti loro un passo avanti: per non restare in-dietro nella via del riscatto di questo paese verso un’aria più pulita e respi-rabile. Nel Lazio, come a Roma e nei luoghi del potere; speriamo, final-mente, responsabile.

Il Premio "Roberto Morrione" e’ rivolto ai giovani giornalisti, free lance, studenti, volontari dell'informazione ed ha l'obiettivo di promuovere, sostenere e incentivare concretamente la realizzazione di inchieste televisive di giornalismo investigativo nel nome di Roberto Morrione che, nella sua lunga carriera di giornalista, ha sostenuto con forza l'importanza dell'inchiesta per restituire

un contesto alle notizie e far comprendere i fatti.

tre grandi giornalisti d’inchiesta:

Ennio Remondino, Sigfrido Ranucci, Maurizio Torrealta.

L’inchiesta premiata sarà trasmessa da Rainews. La premiazione si svolgerà durante le giornate del Premio Ilaria Alpi.

Premio Tvper il giornalismo investigativo

www.premiorobertomorrione.itIN COLLABORAZIONE CON: LIBERAINFORMAZIONE.ORG, ARTICOLO21, FNSI, USIGRAI, MISTERIDITALIA.IT, TECHE RAI, SCUOLA GIORNALISMO L.BASSO

MEDIA PARTNER: INTERNAZIONALE, IL CALENDARIO DEL POPOLO

COMMUNICATIONS

Page 3: Verità e giustizia n.80

3verità e giustizia - 16 novembre 2011

Il Premio "Roberto Morrione" e’ rivolto ai giovani giornalisti, free lance, studenti, volontari dell'informazione ed ha l'obiettivo di promuovere, sostenere e incentivare concretamente la realizzazione di inchieste televisive di giornalismo investigativo nel nome di Roberto Morrione che, nella sua lunga carriera di giornalista, ha sostenuto con forza l'importanza dell'inchiesta per restituire

un contesto alle notizie e far comprendere i fatti.

tre grandi giornalisti d’inchiesta:

Ennio Remondino, Sigfrido Ranucci, Maurizio Torrealta.

L’inchiesta premiata sarà trasmessa da Rainews. La premiazione si svolgerà durante le giornate del Premio Ilaria Alpi.

Premio Tvper il giornalismo investigativo

www.premiorobertomorrione.itIN COLLABORAZIONE CON: LIBERAINFORMAZIONE.ORG, ARTICOLO21, FNSI, USIGRAI, MISTERIDITALIA.IT, TECHE RAI, SCUOLA GIORNALISMO L.BASSO

MEDIA PARTNER: INTERNAZIONALE, IL CALENDARIO DEL POPOLO

COMMUNICATIONS

Page 4: Verità e giustizia n.80

4 verità e giustizia - 16 novembre 2011

speciale Lazio <<

Mafie da contaminazione

La Quinta mafia nasce e si sviluppa in quell’area a sud di Roma, il "basso Lazio" e

da quel laboratorio criminale si estende nelle altre regioni del centro e del nord

Italia. Leonardo Sciascia una volta disse, secco e pungente come lui sapeva essere,

che «La linea della palma mafiosa va a nord». Oggi quella linea corre più spedita

e i clan si trasformano nella composizione rendendosi meno penetrabili e meno

perseguibili, se non si sapranno riconoscere nei nuovi assetti e nei nuovi modus

operandi. Questa è la Quinta mafia o mafia da contaminazione. Pubblichiamo una

ricostruzione storica e sociale del fenomeno nella regione

di redazione*

>> speciale Lazio

Page 5: Verità e giustizia n.80

5verità e giustizia - 16 novembre 2011

Puoi notare i mafiosi di “casa nostra” indaffarati e sorriden-ti in via Veneto a Roma, nella piazza del comune di Latina,

nelle zone antistanti i porti di Anzio e Nettuno, nelle vie del centro di Fondi, nelle piazze di Sabaudia, di San Feli-ce Circeo, di Terracina, di Formia, di Ostia, di Civitavecchia o di Cassino, intenti a decidere le strategie econo-miche e politiche finalizzate, sempre e comunque, al denaro e al potere. I capi di questa Quinta mafia sono no-stri corregionali, nati a Roma o nei centri del Lazio o da moltissimi anni qui residenti, hanno appreso e mes-so in pratica, negli anni, le strategie e i metodi dei vecchi boss, giunti sulle terre degli antichi Latini sin dagli anni 70, chi al soggiorno obbligato, chi per

Tutti presenti nella Capitale

fungere da ambasciatore delle cosche, come Frank Coppola e Pippo Calò, solo per citare i due più famosi. La Quinta mafia è un mix esplosivo composto da colletti bianchi, faccendieri della poli-tica, delinquenti comuni in carriera ed elementi di spicco delle mafie “tradi-zionali” che, da anni, sono presenti e operanti a Roma e nel Lazio. I boss di casa nostra sono specialisti nel reinve-stire a Roma, e da qui nel resto d’Italia, i capitali sporchi delle famiglie della ca-morra, della mafia e della ’ndrangheta e quelli di provenienza autoctona. Per avere un’idea di cosa sia successo basta percorrere le strade litoranee che, subi-to dopo il fiume Garigliano, da Marina di Minturno, passando per Sperlonga, Fondi, il lido di Lavinio, Torvaianica, Ostia, giungono a Civitavecchia o che

dal confine con la Campania risalgono nel Cassinate e in gran parte della pro-vincia di Frosinone. Per comprendere come sia possibile realizzare grattacieli e centri commerciali che rimangono vuoti, è sufficiente fare un giro all’in-terno delle città che costeggiano la strada Pontina, da Latina ad Aprilia a Pomezia sino al quartiere Spinaceto, alle porte di Roma. O assistere incredu-li ad episodi strabilianti come quello di un pensionato a basso reddito di Casal di Principe ed una anziana signora di Aprilia (Lt) che acquistano, con alcuni milioni di euro, le quote societarie di un grattacielo in pieno centro a Latina. C’era da aspettarselo. Le mafie come il cancro tendono ad invadere tessuti sani, sviluppando metastasi. Roma e il Lazio, in particolare il sud della re-gione, non dovevano avere come fron-te contro la penetrazione dei “clan” il solo confine rappresentato dal fiume Garigliano: parte consistente di questi territori restano presidiati da poche decine di carabinieri e poliziotti e sono amministrati da “pezzi” della politica che negano tuttora l’emergenza mafie. In queste aree, esponenti della politica e dell’imprenditoria locale sono collusi con le cosche o ne sono parte costi-tuente e hanno fatto della corruzione e del voto di scambio una sorta di modus operandi perpetuo e impunito. I casi eclatanti che hanno riguardato le note vicende di Nettuno e Fondi sono solo la punta dell’iceberg. L’ascesa dei boss senza lupara Le mafie autoctone laziali e quelle d’importazione, forti della ca-pacità corruttrice dovuta alle ingenti quantità di ricchezze accumulate me-diante il traffico degli stupefacenti, la tratta degli esseri umani, lo sviluppo della pratica dell’usura, della gestione del gioco d’azzardo e del riciclaggio del denaro sporco, hanno ben compreso come qualunque strategia di conso-lidamento criminale non poteva non passare per il centro politico ed eco-nomico del Paese: Roma. I boss senza coppola e lupara hanno sviluppato le loro innumerevoli attività criminali e di riciclaggio del denaro sporco nel nord d’Italia e in importanti Paesi europei ed extraeuropei, favorendo anche in altre realtà la nascita e lo sviluppo di mafie autoctone, capaci di collaborare con le mafie “storiche” e con le mafie stra-niere, in particolare con quella cinese e quella emergente russa.

Dagli anni '70 i clan si sono infiltrati nelle più importanti attività economiche a Roma, come a Latina, a Sabaudia, a Formia e a Terracina. E oggi ad operare sono anche nostri corregionali, residenti da anni nel Lazio

speciale Lazio <<

Page 6: Verità e giustizia n.80

6 verità e giustizia - 16 novembre 2011

speciale Lazio <<>> speciale Lazio

L'arrivo e il radicamento delle mafie nella regione ha attraver-sato diverse fasi. Tutte hanno preparato il terreno per una

contaminazione del territorio che oggi fa registrare una escalation di violenze, traffici illeciti e investimenti di capitali criminali nel circuito dell'economia le-gale. Ripercorriamole.

Fase dell’infiltrazione - anni Settan-ta. Dai primi anni ‘80 si stabiliscono in quest’area molti dei capi della camorra casertana e napoletana, di ‘ndrangheta e cosa nostra. Tutti di elevato spessore criminale come il clan dei casalesi e i La Torre a Formia, i Moccia e i Magliulo a Gaeta, i Tripodo a Fondi, i Cava a Sa-baudia, i Santapaola e le ‘ndrine di Po-

listena a Latina, la ‘ndrina degli Alvaro ad Aprilia, i corleonesi e la mafia italo-americana a Pomezia (Rm) con Frank Coppola detto “Tre dita”, le ‘ndrine dei Gallace - Novella a Nettuno, Anzio e su parte del litorale romano. Negli anni ‘70, metà degli anni ‘80, arriva e opera a Roma Pippo Calò che entra in contatto con i boss della Banda della Magliana.

Fase del radicamento mafioso- anni Novanta. A decorrere dagli novanta le mafie d’importazione si radicano, aven-do tessuto e consolidato sul territorio, anche a causa della negazione e sot-tovalutazione del fenomeno da parte della politica locale, rapporti con la cri-minalità organizzata autoctona e con settori dell’economia locale. Ad esem-

pio i clan della ‘ndrangheta sono pre-senti nella città di Aprilia sin dalla fine degli anni ottanta. Quei clan, da allora, controllano pezzi importanti dell’eco-nomia agricola e del ciclo del cemento a sud di Roma e sono entrati in contatto con settori importanti dell’alta finanza e con pezzi della politica romana, (c.d. colletti bianchi). A Fondi il clan Tripo-do e quelli della camorra casalese sono stabilmente presenti nelle attività eco-nomiche del locale mercato ortofrut-ticolo, uno dei più importanti d’Italia. Sono rimasti più o meno indisturbati sino all’arrivo a Latina del Prefetto Bru-no Frattasi.

Fase della contaminazione - Quinta mafia. Dall’inizio degli anni duemila, dopo l’infiltrazione e la fase del radica-mento, si è passati alla fase della con-taminazione di persone e settori dell’e-conomia e della politica locale e della criminalità autoctona. I processi che si sono tenuti e che si stanno tenendo nei tribunali del Lazio vedono come impu-tati del delitto di associazione mafiosa (416 bis) o reati collegati, moltissimi cit-tadini laziali con ruoli di organizzatori o comunque di primo piano. I magistrati della Dda di Roma nell’annuale relazio-ne dell’Ufficio segnalano come in tutto il basso Lazio ed in consistenti territori della Capitale sia in aumento la perva-sività delle mafie nel controllo dei mer-cati criminali del traffico delle sostanze stupefacenti, dell’usura e del riciclaggio del danaro sporco nei redditizi settori dell’edilizia e del commercio. Ad oggi, non pochi politici ed imprenditori la-

Storia di una contaminazione in corso

La Quinta mafia o da contaminazioneLa Quinta mafia è un nuovo e com-plesso tipo di aggregazione crimi-nale, sviluppatosi, con probabilità, dapprima nel basso Lazio e succes-sivamente operante a Roma e da qui nel resto del Paese. La Quinta mafia è il risultato della contaminazione delle mafie di importazione (cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta) sui

‘ndrangheta e camorra, sottoposti al divieto di soggiorno, ha sperimenta-to tutte le fasi di infiltrazione e tra-sformazione dei clan sui territori a non tradizionale presenza mafiosa come la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Campania. Il basso Lazio, che dal confine della provincia di Caserta si estende lungo tutto il litorale pon-tino e che comprende centri come Formia, Gaeta, Fondi, Sabaudia, La-tina e Aprilia, ha un naturale e solido sbocco con il sud della provincia di Roma, lungo l’asse Nettuno, Anzio, Ardea, Pomezia e con l’area di Cas-sino che rientra nella provincia di Frosinone.

gruppi criminali autoctoni, sulle cri-minalità organizzate straniere e su quei pezzi dell’economia e della poli-tica locale (colletti bianchi), contigui o parte integrante dell’organizzazione. Sin dai primi anni ‘70 il Lazio, sia per la continuità con le regioni del sud del Paese, sia per il consistente arrivo ed insediamento stabile dei boss di mafia,

Dall'infiltrazione al radicamento, le mafie mirano a prendere il controllo dell'economia, della società civile, attraverso uso della violenza e gestione silenziosa dei grandi affari nella capitale e nel sud pontino

Page 7: Verità e giustizia n.80

7verità e giustizia - 16 novembre 2011

speciale Lazio <<

ziali sono indagati o imputai di asso-ciazione mafiosa in indagini o processi così come sta avvenendo sempre più spesso nelle regioni a nord del Lazio. Le mafie dopo la fase del radicamento riescono con facilità a contaminare set-tori della delinquenza locale e di quelle straniere che, una volta conosciuto e sperimentato il metodo mafioso di in-tervento sui “mercati criminali” e sull’e-conomia tendono ad emulare le forme di criminalità organizzata in proprio o in collaborazione con i”cattivi maestri” venuti dal sud. Le mafie nei nuovi ter-ritori, dapprima investono, poi tendo-no a contaminare. Creano metastasi. Si diffondono, corrompe lentamente. In silenzio. Questa è la Quinta mafia. Questo è il nuovo fronte della lotta alle mafie. Il pericolo è rappresentato da un sistema di criminalità economica che contamina anche i territori dal punto di vista sociale e culturale. Le conseguen-ze di questo processo di trasformazione fanno si che a Fondi i cittadini abbiano più paura dei mafiosi autoctoni che dei Tripodo. Ancor di più dei politici e degli “imprenditori” imputati di 416 bis nati a Fondi o a Roma. A Nettuno molti cit-tadini sono più omertosi per paura dei mafiosi rinviati a giudizio nati nel Lazio che dei Gallace - Novella provenienti dalla Calabria. A Roma i cittadini di Tor Bella Monaca hanno più paura dei clan di origine nomade che dei loro soci di Casal di Principe. A Parma i parmensi sono più preoccupati dell’imprenditore locale imparentato con un capo della camorra campana che dei boss napo-letani.

I magistrati della Dda di

Roma segnalano aumento traffico

delle sostanze stupefacenti, usura

e riciclaggio

Page 8: Verità e giustizia n.80

8 verità e giustizia - 16 novembre 2011

speciale Lazio <<>> speciale Lazio

Da gennaio 2011 nella Ca-pitale si sono consumati 27 omicidi. Tra questi, per modus operandi e ri-

scontri investigativi, alcuni sono ri-conducibili alla criminalità organiz-zata. Molti di questi hanno destato viva preoccupazione tra i cittadini, come quello del giovane gioielliere Flavio Simmi, avvenuto con le tipi-che modalità dell’esecuzione mafio-sa, nel pieno centro della Capitale, nel quartiere Prati, il giorno 5 luglio 2011. Secondo il Procuratore Capo di Roma Giovanni Ferrara: «Nella società romana c’è una violenza ec-cessiva e incontrollata, anche quella spicciola». Per il Procuratore Ag-giunto Giancarlo Capaldo della Dda di Roma: «più che essere gli omicidi a destare allarme, ildato che dovreb-be preoccupare di più sono le gam-bizzazioni... la criminalità organiz-zata mira alla finanza e ha lasciato il controllo a gruppi autoctoni di livelli medio bassi». Nella strage di Cecchina, località alle porte di Roma, avvenuta il 29 maggio 2011, il duplice omicidio, vide coinvolti tra i presunti killer, oltre a tre per-sonaggi legati al clan mafioso cata-nese dei Santapaola, una vigilessa di Albano Laziale. Nell’ordinaza di arresto, richiesta dal magistrato Ca-paldo della Dda di Roma, si legge, tra l’altro: «la sparatoria si inserisce in un contesto criminale di elevata pericolosità, una vera azione mafio-sa all’interno di contrasti tra gruppi criminali dediti al traffico interna-zionale di stupefacenti radicati a Catania e nell’area sud del Lazio». Ma si dovrebbe riflettere, come so-stenuto dal Procuratore, sugli episo-di di gambizzazione che vanno letti nel contesto ambientale. E collegati con altri episodi. Altre inchieste. Il 29 settembre 2010 viene gambiz-zato nel quartiere Paroli, l’avvoca-to penalista Piergiorgio Manca, Il noto professionista risulta tra gli altri difensore di un personaggio rimasto coinvolto nell’inchiesta sul maxiriciclaggio da oltre due milioni di euro che ha coinvolto i vertici di Fastweb e Telecom Sparkle e che ha come personaggio centrale nell’in-chiesta Gennaro Mokbel. E devono far riflettere e porre interrogativi le

decine di aggressioni legate a rego-lamenti di conti per il controllo dei traffici criminali che avvengono nel-la zona del litorale romano. Questa zona della Capitale da anni è segna-lata nelle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia e vede agire personaggi della crimi-nalità autoctona e di cosa nostra. Nella relazione del secondo trime-

stre del 2010 della Dia si segnala l’o-peratività di gruppi misti criminali riconducibili alle mafie tradizionali come quella del clan Triassi, dira-mazione del clan siciliano dei Cun-trera Caruana. A più riprese la Dda di Roma ha coordinato inchieste nei confronti di sodalizi criminali dediti al narcotraffico guidati dal noto pregiudicato di Ostia, Carmine

Le armi rompono la pax mafiosa e portano la città a cambiare volto. Dal gennaio ad oggi 27 morti e molti riconducibili alla criminalità organizzata. Principale causa dei delitti il controllo del mercato della droga

Quinta mafia tra omicidi e gambizzazione

Page 9: Verità e giustizia n.80

9verità e giustizia - 16 novembre 2011

speciale Lazio <<

Fasciani, esponente di spicco del-la malavita organizzata locale. Dal 2007 al 2011 nel Municipio di Ostia si sono verificati decine di attentati ai danni di stabilimenti balneari ed esercizi commerciali: nella notte del primo gennaio del 2007 bruciava il ristorante annesso allo stabilimen-to balneare Med, il 18 luglio del 2007 veniva incendiato lo stabilimento balneare Happy surf, il 18 marzo del 2009 venivano bruciati i locali dello stabilimento Buca Beach, il 22 novembre 2009 il bar dello sta-bilimento balneare Punto Ovest, il 19 luglio del 2010 venivano nuova-mente distrutte dalle fiamme dolo-se le attrezzature dello stesso stabi-limento balneare, il 14 maggio 2010 veniva data alle fiamme parte dal Caffè Salerno, il 3 gennaio del 2011 bruciavano le strutture dello stabi-limento balneare Anima e Core, l’11 aprile del 2011, veniva distrutto da un incendio doloso il chiosco Blan-co, la notte tra il 27 e il 8 luglio del 2011 venivano incendiati la discote-ca Kristal e il ristorante Villa Irma, all’alba del 29 luglio 2011 esplode-va una bomba che danneggiava il

locale Pronto Pizza. Questi fatti seppur a titolo esemplificativo, rap-presentano le modalità di condizio-namento dell’economia del litorale di Ostia e più in generale di quella dell’intero litorale romano messe in atto seguendo lo stile mafioso. Nel solo territorio di Ostia si contano come attivi ben cinque clan crimi-nali alcuni di origine autoctona, al-tri di importazione che dimostrano al momento buoni livelli di colla-borazione specie nel riciclaggio del denaro accumulato con le attività delinquenziali: Fasciani, Senese,

Contrera-Caruano, Trassi ed ex del-la Banda della Magliana. Già nella relazione della Dna del 2007, si leg-geva tra l’altro: «il litorale romano conferma la sua attrazione anche per altri gruppi criminali di origine siciliana interessati all’affidamento e alla gestione di lotti di spiaggia libera del litorale di Ostia . Agli in-cendi verificatisi negli anni scorsi a danno di stabilimenti balneari sono seguite indagini su intimidazioni e pressioni subite da rappresentati di cooperative sociali e da ammini-stratori pubblici locali nell’ambito dei bandi indetti per l’assegnazione delle spiagge».

Capaldo della Dda di Roma:

«gambizzazioni segnale di una

mafia che mira alla finanza e ha lasciato il territorio a piccoli

gruppi»

*Estratto del documento realizzato dai giornalisti del coordinamento di Libera Lazio, presentato al convegno del 26 ottobre all’Università La Sapienza di Roma

Page 10: Verità e giustizia n.80

10 verità e giustizia - 16 novembre 2011

«Immagini Fondi ne-gli anni '70, c'era-no i Tripodo. A Net-tuno negli anni' 60

c'erano già i Gallace. Quella delle mafie nel Lazio è una presenza antica e non sempre stata atten-zionata con sufficiente rigore. Quello che è certo, a tanti anni di distanza da quelle presenze, è che le mafie hanno messo le mani sull'economia, hanno fatto affari e nel tempo, inevitabilmente, si sono incontrati con la politica». Nella giornata in cui la squadra mobile della Questura di Caserta e la Dia di Roma hanno eseguito nove ordinanze di custodia cau-telare in carcere nei confronti di esponenti di spicco del clan dei ca-salesi, dei Mallardo di Napoli e dei corleonesi che operavano nel Mer-cato ortofrutticolo di Fondi (Lt), abbiamo intervistato il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Tivoli, Luigi De Ficchy, profondo conoscitore del fenomeno mafioso nella regione, delle origini e delle caratteristiche di questa mafia da contaminazione.

Procuratore Luigi De Ficchy: «i boss nella regione hanno messo le mani su economia e dialogato anche con la politica»

Mafie radicatenel Lazio

Qual è la situazione delle mafie nel Lazio, cosa è cambiato dagli anni ’80 ad oggi? La situazione attuale è quella di un radicamento delle mafie nel Lazio, ci sono gruppi presenti da tantissimi anni, ormai anche su Roma e paradossalmente anche nel nord della regione. Dal 1980 ad oggi tutto è cambiato: dal-la Magliana che aveva un tipo di organizzazione egemonica molto forte e collegamenti con le mafie del sud agli anni ’90 è cambiato lo scenario internazionale criminale. Disgregata la banda della Ma-gliana in gruppi separati, si sono andati ad inserire nel tessuto cri-minale, da un lato le mafie invisi-bili che vengono ad investire nella regione e dall’altro quelle interna-zionali che gestiscono il business del traffico di droga e esseri uma-ni. Oggi è difficile riuscire a risali-re alla rete internazionale che co-ordina questi affari criminali ma anche rintracciare i movimenti di capitali della mafie provenien-ti dal sud che qui sono infiltrate nell’economica legale.

Una operazione antimafia ha colpito ieri casalesi e corleone-si che controllavano il MOF di Fondi: perché diverse organiz-zazioni criminali gestiscono lo stesso business? E’ nota da tempo la capacità del-le mafie di ottimizzare il guada-gno, attraverso uno scambio di affari. Per fare questo, i vari seg-menti criminali si mettono d’ac-cordo, magari operando su diver-si mercati. In particolare nella distribuzione dei prodotti orto-frutticoli gestiscono il trasporto. Da anni hanno investito denaro sporco in aziende di trasporti, con queste possono controllare tutta la filiera. Dopo gli anni ’80 il mafioso si è fatto imprendito-re, con i capitali di cui dispone è in grado di investire nella rete di trasporti su gomma. Un sistema a catena che permette alle ma-fie di essere presenti da nord a sud e nel caso in cui non lo sono direttamente, come dimostrato, esercitare la loro tipica attività estorsiva sulle imprese che se ne occupano.

di Norma Ferrara

speciale Lazio <<>> speciale Lazio

Page 11: Verità e giustizia n.80

11verità e giustizia - 16 novembre 2011

Nelle cassette della frutta na-scondevano kalashnikov, un traffico d’armi che passa anche per la capitale, dove da genna-io si registra una escalation di omicidi … Faccio una premessa: io non credo che ci sia stata una escalation di violenza nella capitale. Gli omici-di fatti registrare da gennaio non hanno niente di diverso dalle cifre che ogni anno si riscontrano, pur-troppo. La differenza sostanziale che ha fatto parlare di escalation di violenza è che questi omicidi sono avvenuti in pieno centro a Roma. Sono stati maggiormente visibili e questo ha colpito l’opi-nione pubblica. In realtà siamo di fronte ad un dato fisiologico per questo territorio.

Cosa significa “dato fisiologico” per questi omicidi? I contrasti che portano da anni a questi delitti sono direttamente collegati alla gestione del traffico di droga nella Capitale. Le orga-nizzazioni criminali che traffica-no stupefacenti sono collegate

ad anello fra loro: c’è chi gestisce l’arrivo, chi lo spaccio, chi altre fasi di transazione. Le une dipendono dalle altre e da questo derivano tensioni e contrasti interni. E’ sull’enorme traffico e consumo di sostanze stupefacenti nella ca-pitale che si dovrebbe tornare a ragionare e intervenire. Dagli anni ’70 c’è un consumo che è sempre

in crescita e poi è sullo stesso ter-ritorio che vengono riciclati i soldi sporchi provenienti da questo bu-siness. Le mafie nel sud pontino e a Roma investono, trafficano ma impongono già un clima di omertà e silenzi. A Borgo Sabo-tino (LT) ci sono stati ripetuti danneggiamenti al “Villaggio della Legalità”. A chi da fastidio l’azione della rete di Libera su quel territorio?

Quell’area subisce, come avevo già indicato in una mia relazione, una pressione pesantissima da parte di organizzazioni criminali; all’epo-ca ne avevamo individuati 5 - 6 in particolare. E’ chiaro che le mafie mirano al controllo della società e delle dinamiche culturali che le governano. Libera è il loro nemi-co principale perchè crea cultura su quei territori, fattore essenziale per una efficace azione antimafia. Dopo i ripetuti danneggiamenti sul bene confiscato è opportuno che le istituzioni si pongano a di-fesa di queste attività.

Dopo gli anni ’80 il mafioso si è fatto

imprenditore, con i capitali di cui

dispone è in grado di investire in tutta la rete di trasporti

su gomma. Un sistema a catena

che è diventato business

speciale Lazio <<

Page 12: Verità e giustizia n.80

12 verità e giustizia - 16 novembre 2011

Noi ci mettiamola faccia ed il cuore

E’ una lunga strada di breccia, rea-lizzata proprio accanto l’ormai noto Canale Mussolini quella che porta al Villaggio della Legalità Serafino Famà di Borgo Sabotino. Non si trat-ta di un percorso panoramico né di un tracciato per ripercorrere la sto-ria della Bonifica bensì di una strada abusiva che porta diritta ad una ten-sostruttura che per anni, nessuno ha visto. Si fa per dire. Ma andiamo con ordine. Lo scorso 12 Aprile il Comune di Latina ospita una cerimonia “diversa”. Perché due beni confiscati per abusivismo edili-zio ovvero il villaggio ed un comples-so sportivo in via Helsinki a Latina vengono assegnati a Libera. A firmare insieme al commissario prefettizio Guido Nardone ed ai tec-

nici del Comune di Latina c’è Don Luigi Ciotti. Da quel giorno passano circa tre mesi prima che i ragazzi di Libera del coordinamento di Latina insieme al referente regionale Anto-nio Turri riescano ad entrare nel vil-laggio turistico. Il “campetto” di via Helsinki resta an-cora una situazione “congelata”. Un abuso nell’abuso quello del campo sportivo realizzato su terreno dema-niale e “spesato” per quanto riguar-da luce ed acqua dal Comune. Nella calda ed umida estate delle ex paludi pontine però il villaggio a Borgo Sa-botino viene avviato ed intitolato a Serafino Famà. E’ il 18 luglio, l’atten-zione mediatica è altissima ci sono le autorità, le associazioni ma so-prattutto c’è la gente. A parlare, con

forza, c’è Don Luigi Ciotti davanti ad una provincia spaesata che ancora non si rende ben conto, fatta ecce-zione che per le buone intenzioni, di cosa voglia dire metterci la faccia su un bene sottratto all’illegalità. Ma lo capiscono bene gli scout che prima da Roma e poi da Verona partecipa-no al progetto EstateLiberi. I sabo-taggi sono continui: dalla soda cau-stica nell’acqua al danneggiamento degli impianti elettrici e poi quelle presenze, quei presunti soci della ex gestione che restano all’interno del villaggio anzi ci vivono. Formalmen-te uno di loro, chi cioè aveva inve-stito soldi in una struttura turistica come poche sul litorale di Latina con opere di urbanizzazione su ben quattro ettari di terreno, viveva in

Ennesimo danneggiamento del bene confiscato a Borgo Sabotino. Messo fuori uso l'impianto idrico al "Villaggio della legalità" ma la società civile e i giovani alla violenza mafiosa rispondono praticando legalità, formazione e informazione

di Maria Sole Galeazzi

speciale Lazio <<>> speciale Lazio

Page 13: Verità e giustizia n.80

13verità e giustizia - 16 novembre 2011

una baracca dentro il villaggio. Gli-scout comunque continuano nel loro lavoro e smontano le casette di chi abusivamente alloggiava nel campo.Coraggiosi. Poi le associazioni fanno quadrato, il Villaggio della Legalità ospita prima Festambiente poi un convegnoregionale dell’Aifo. Le attività procedono frenetiche e viene il momento di proiettare “La Quinta mafia”. Storie di fusti tossi-ci interrati nella vicina discarica di Borgo Montello, storie di Casalesi e di pentiti ma soprattutto la storia di Don Cesare Boschin il vecchio parro-co di Borgo Montello incaprettato ed ucciso perché sapeva troppo. Di que-sta morte a Latina ancora non si può parlare. E’ bastato preannunciare la proiezione del documentario per se-

gnare la devastazione del villaggio nella notte tra il 21ed il 22 ottobre. Tutto distrutto, escrementi sparsi ovunque e due coltelli lasciati come monito. Sul posto oltre ai ragazzi di Libera ci sono il cuore e le braccia dei rom di Al – Karama. Il villaggio viene sistemato, la Quinta mafia viene proiettata. La solidarietà che segue il raid è tan-ta, dalla fiaccolata della Cgil alla se-duta straordinaria della Commissio-ne regionale per la sicurezza tenutasi proprio al villaggio. Ma qualcuno mi-nimizza: sono vandali.Il Comune di Latina intanto si im-pegna a riparare ma arriva un altro sabotaggio. Vengono sottratte due pompe idrauliche proprio la notte prima che venisse nuovamente pro-

iettato il documentario.L’iniziativa si svolge lo stesso ed il-giorno dopo arrivano 500 scout ed una cisterna di acqua dalla protezio-ne civile. Quello di Latina è un fron-te aperto alle porte di Roma, non va dimenticato. La dormiente palude, quella morale, esiste ancora e per anni ha nascosto il malsano radica-mento delle mafie e lo svilupparsi di un’ ancora più letale mafia autoc-tona. Una malattia che contamina una terra che ha già le sue “leggende metropolitane” come quella di un ca-terpillar rubato da un’autostrada del nord e rinvenuto a Borgo Sabotino in un campo, proprio accanto al Villag-gio della Legalità. Ma rubato da chi? E per fare cosa? Forse più di qualcu-no un’idea se l’è fatta.

Il documentario della Quinta mafia racconta di rifiuti tossici interrati a

Borgo Montello, di casalesi e

dell'omicidio di Don Cesare Boschin

speciale Lazio <<

Page 14: Verità e giustizia n.80

14 verità e giustizia - 16 novembre 2011

Page 15: Verità e giustizia n.80

15verità e giustizia - 16 novembre 2011

Fra gli strumenti che colpiscono la libertà di stampa, insieme con le intimidazioni ai cronisti, c’è l’uso strumentale della legge sulla diffamazione, con esose richieste di risarcimento danni in sede civile, senza alcun rischio per il querelante.Un’arma in grado di annientare iniziative editoriali, scoraggiare e intimidire singoli giornalisti, impedire di far luce su oscure vicende di illegalità e di potere.

Per non lasciare soli i cronisti minacciati che siano in grado di dimostrare la loro buona fede e la loro correttezza, Federazione Nazionale della Stampa, Associazione Stampa Romana, Ordine Nazionale e regionale dei giornalisti, Unione Cronisti Italiani, Libera, Fondazione Libera Informazione, Articolo 21, Osservatorio Ossigeno, Open Society Foundations hanno deciso di costituire uno sportello che si avvale della consulenza di studi legali da tempo impegnati in questa battaglia per la libertà di informazione.Per usufruire di consulenza e

di assistenza legale giornalisti e giornaliste possono:

Inviare una e-mail all’indirizzo:

sportelloantiquerele. [email protected] inserendo in oggetto la specificazione “sportello antiquerele"

Telefonare al numero :06/67664896-97

Page 16: Verità e giustizia n.80

16 verità e giustizia - 16 novembre 2011

internazionale <<

di Norma Ferrara

Le mani sulla discarica

A Chiaiano i clan hanno gestito affari mentre lo Stato presidiava l'area. Intercettazioni telefoniche raccontano la spartizione degli appalti. Rainews24 torna in Campania per capire qual è la situazione dopo la fase “dell'emergenza rifiuti”

La trasmissione d’approfondi-mento di Rainews24, “L’in-chiesta”, a cura di Maurizio Torrealta torna a parlare di

criminalità organizzata con un ser-vizio realizzato dai giornalisti, Nello Trocchia e Giorgio Mottola. E lo fa a partire dalla questione, ancora tutta aperta e oggetto di indagine, dello smaltimento dei rifiuti. «Siamo tor-nati in Campania – dichiara il gior-nalista Nello Trocchia – perché ci siamo posti una domanda: che fine ha fatto il progetto di smaltimento di rifiuti, dopo il periodo di mas-sima emergenza? Abbiamo scelto il caso della discarica di Chiaiano come occasione per provare a dare una prima risposta». E lo scenario che viene fuori dall’inchiesta “L’in-spiegabile preveggenza dei Casalesi per gli appalti” è dei più inquietanti. I fatti di cui si sono occupati i due giornalisti risalgono al 2009 e arri-vano sino ad oggi: proprio di questi giorni la notizia che la provincia di Napoli ha deciso di chiudere que-sta discarica. L’inchiesta parte dal-la frase che in diretta tv, nella tra-smissione di Santoro “Annozero” il

sottosegretario all’interno Alfredo Mantovano disse nei giorni difficili delle proteste dei cittadini contro l’a-pertura della discarica: «La camorra in questo momento aspetta, se va a finire male per lo Stato, sarà pronta con i propri camion a portare i rifiuti anche tossici». Era il giugno 2008 e Mantovano chiedeva ai cittadini di collaborare, rassicu-randoli sull’operato dello Stato, senza sa-pere che le ditte, rite-nute vicine ai clan, si stavano già organiz-zando per la gestio-ne della discarica e ben prima dell’asse-gnazione dell’appal-to si dicevano certe dell’aggiudicazione. Questi elementi, inquietanti, emer-gono dalle intercettazioni telefo-niche contenute nell’inchiesta dei magistrati, partita dall’ indagine del Noe di Napoli. «Già certi di ottenere l’appalto per la discarica di Chiaiano – continua Trocchia – i clan parla-vano di spartizioni e di subappalti e delle particelle dell’area che sarebbe-

Il giornalista Trocchia: «C'è stato un vuoto nelle indagini. Ancora oggi non sappiamo la verità»

>> i media ne parlanoro state destinate alla discarica e di quelle, invece, dove sarebbero sorti gli uffici. In una intercettazione la dit-ta che avrebbe vinto l’appalto, la Ibi idroimpianti sottolineava che Chia-iano sarebbe stata gestita da loro». Dietro il business di questi allarga-menti, attraverso buchi, continuano ad esserci i Casalesi e i Mallardo. E questo, nonostante le rassicurazio-ni della politica. Durante l’inchiesta di Trocchia e Mottola sono tante le domande che rimangono senza ri-sposta e molte riguardano le dina-miche della gara di appalto: nessuna testimonianza ha chiarito quei pas-saggi delicati che hanno consentito alla camorra di entrare in questo business, proprio sotto il naso della protezione civile, dell’esercito e delle istituzioni che erano lì per garantire il rispetto della legge. E infine una testimonianza, caduta nel vuoto. I due autori dell’inchiesta mettono mano a documenti, atti di processi e anche all’audizione in Commissione ecomafie del comandante dei cara-binieri che ha condotto queste inda-gini. «Mentre racconta dell’inchiesta – prosegue Trocchia – il comandan-te dice chiaramente che c’è stato un vuoto nelle indagini e che - ad un certo punto - non si è riusciti a fare chiarezza. E poi aggiunge: l’inchiesta è stata tolta, dopo ho avuto l’impres-sione che gli appalti siano stati divisi a tavolino. Una dichiarazione come questa – precisa Trocchia – avrebbe dovuto richiedere una contro-do-

manda (chi ha tol-to l’inchiesta, chi non ha permesso di accertare i fat-ti?) e subito un approfondimento. E invece tutto è ri-masto avvolto dal silenzio». In nome di una emergenza rifiuti, nonostante le garanzie del-

la presenza dello Stato, la camorra ha messo le mani sulla discarica di Chiaiano. «Per risolvere l’emergenza rifiuti si è chiuso un occhio ma - con-clude Trocchia – vista lo scarso ma-teriale utilizzato per la discarica, chi pagherà i danni di questo ennesimo danno alla salute dei cittadini e la violazione della legge?».

Page 17: Verità e giustizia n.80

17verità e giustizia - 16 novembre 2011

di Gaetano Liardo

Le Nazioni Unite mettono la società civile alla porta

Alla conferenza contro la corruzione di Marrakesh persa una buona occasione. L'assenza dell'associazionismo nella verifica dell'adempimento delle norme del trattato internazionale segna una battuta d'arresto di un processo globale

Il vento del cambiamento spira ovunque ma non alle Nazioni Uni-te. Il clima all'Onu, nonostante le proteste in Nordafrica, Europa,

Stati Uniti, America Latina resta asetti-co, fermo, asciutto. Così, ad esempio, la Conferenza delle Nazioni Unite contro la corruzione svoltasi a Marrakesh, ha deciso di fare a meno della spinta pro-pulsiva della società civile. Le delega-zioni dei 154 paesi che hanno firmato la Convenzione Onu contro la corru-zione, hanno deciso di marginalizzare le società dei loro paesi. Associazioni e gruppi economici e sociali non avranno alcun ruolo decisivo nel monitorare gli adempimenti dei governi previsti dalla Convenzione. «La società civile ha uno status di invitato senza potere consulti-vo», commenta Monica Massari, docen-te universitaria, collaboratrice di Libera International, che ha partecipato ai la-vori di Marrakesh. «Questo – aggiunge - nonostante pro-prio nel testo della convenzione sia pre-vista esplicitamente la presenza della società come attore non secondario». Una decisione che ha fatto scattare la protesta delle associazioni. La Uncac Coalition, che raggruppa 310 associa-

zioni di 60 diversi paesi non usa mezzi termini: «I governi hanno raggiunto un misero compromesso che restringe drammaticamente l'accesso delle orga-nizzazioni della società civile. Piuttosto che poter contare sul riconoscimento di un pieno status come osservatori, esse avranno accesso unicamente ai cosid-detti briefings sui lavori condotti dal gruppo di revisione». Un passo indietro che non coglie i cam-biamenti in corso a livello globale, dove la mobilitazione del-la società civile ha portato dei risultati importanti nei con-fronti di regimi auto-cratici e corrotti. «La conferenza – sottolinea Monica Massari - avrebbe dovuto segnare un momento di chiarezza perchè prevede un mecca-nismo – l'Implementation review group – di verifica e monitoraggio dell'imple-mentazione della Convenzione da parte degli Stati membri – un monitoraggio che è opportuno se è presente la società civile, ma ciò è stato impedito». Nel 2009 gli Stati firmatari della Convenzione

Onu hanno adottato un documento che regola il meccanismo di esame e verifi-ca. Il testo prevede che il monitoraggio sia: «Trasparente, efficiente, inclusivo e imparziale». Inoltre che: «lo Stato membro sotto esame deve sforzarsi a preparare le sue risposte alla lista di autovalutazione at-traverso ampie consultazioni a livello nazionale con tutte le parti interessate, inclusi il settore privato, gruppi e sog-getti al di fuori del settore pubblico». Una autovalutazione fatta soltanto dal governo sotto esame è, sicuramente, inattendibile. Basti citare l'esempio dell'Italia alla conferenza di Marrakesh, presente con una delegazione guidata dal (ex?) ministro della Giustizia Nitto Palma. Palma, infatti, ha elencato i suc-cessi dell'esecutivo nel contrastare la corruzione in Italia. Una valutazione del tutto discutibile, considerata l'impenna-ta di arresti per corruzione degli ultimi due anni. Comportamenti, questi, che indeboliscono la portata, di certo stori-ca, della Convenzione contro la corru-zione. A valutare l'adesione, o meno, agli adempimenti previsti nel trattato non può essere il solo governo sotto esame. Serve assolutamente la presenza di altri attori come la società civile, la cui esclu-sione, denuncia Transparency interna-tional: «segna una battuta d'arresto per la lotta globale contro la corruzione che potrà avere un impatto, alla fine, anche sui cittadini di tutto il mondo». Ultima nota emersa a Marrakesh, la richiesta dei Paesi della Primavera araba di poter incamerare i beni illecitamente sottratti

dai vecchi regimi cor-rotti. Si tratta di patrimoni enormi, da quelli di Gheddafi a quelli di Mubarak fino a quelli del rais tunisino Ben Ali. Beni sotto forma di azioni, titoli di sta-to, lingotti d'oro, oltre che proprietà mobili

e immobili di lusso, che si trovano per lo più nei paesi occidentali. Transparency International calcola che nel 2011 Sviz-zera, Stati Uniti, Canada e Gran Breta-gna hanno “congelato” patrimoni agli ex rais arabi per il valore di 50 miliardi di dollari. Un calcolo sicuramente ridut-tivo. Questi beni torneranno nella di-sponibilità dei paesi depredati dai loro vecchi dittatori?

La conferenza avrebbe dovuto segnare un momento di chiarezza ma non è stato consentito

internazionale <<

Page 18: Verità e giustizia n.80

18 verità e giustizia - 16 novembre 2011

>> dai territoria cura di Norma Ferrara

Ennesimo attacco a Borgo Sabotino in provincia di Latina ad un bene confiscato alla mafia. Per la seconda volta in poche settimane sono stati arrecati danni alla struttura sorta su quel terreno: il “Villaggio della legali-tà”. Questa volta è stato messo fuori uso l’impianto idraulico del villaggio a poche ore da una iniziativa che prevedeva la partecipazione di più di 300 giovani scout e la proiezione di un documentario sulla “Quinta mafia”.

Prosegue a Trapani il processo per l’omicidio di Mauro Rostagno, so-ciologo - giornalista ucciso il 26 settembre del 1988. Al centro della diciannovesima udienza ancora la perizia balistica che ha permesso, dopo tanti anni, di riaprire le indagi-ni e di arrivare ad un procedimento giudiziario a carico del presunto killer, Vito Mazzara, e dell’allora ca-pomandamento, come mandante, Vincenzo Virga. Il processo conti-nua il 23 novembre con una nuova udienza. Sul portale di Libera Infor-mazione è possibile seguire la cro-naca in diretta a cura del giornalista, Rino Giacalone.

Lazio

Sicilia

Gli azzurri a Rizziconi su invito di Don Ciotti e di Libera. La Nazionale si è alle-nata domenica scorsa un campo sportivo confiscato alla ‘ndrangheta. Tanti i giovani arrivati a vedere i campioni di Prandelli giocare su quel campo un tem-po segno del potere delle ‘ndrine e della violenza mafiosa. Oggi una squadra di calcio si allena regolarmente su quel bene confiscato ma il percorso di riutilizzo sociale non è stato facile. Da domenica scorsa però un nuovo calcio alle mafie è stato segnato dalla società civile.

Calabria

Page 19: Verità e giustizia n.80

19verità e giustizia - 16 novembre 2011

Nella sua ultima fatica letteraria, Giancarlo De Cataldo mette la sua straordinaria ca-pacità di scrittura al servizio di oltre ven-ticinque anni passati in magistratura. “In giustizia” non è certo un romanzo, eppure

qui pubblicati dal giudice scrittore, noto al grande pubblico per il suo “Romanzo cri-minale” che racconta, tra realtà e fantasia, le vicende della Banda della Magliana. De Cataldo, in questo caso, sceglie di fotogra-fare il pianeta giustizia, con una serie di

l’apprendistato di un giovane uditore pri-ma, il servizio quotidiano di un giudice poi, ci riportano all’essenza stessa del concetto di giustizia. Un punto di vista personale, ovviamente, dietro il quale l’autore non si

-nizio, serve a restituire con freschezza il

ad applicare le leggi e i codici alle vite del-le persone, non senza qualche problema di coscienza, dovuto alla naturale complessità del genere umano.Scrive De Cataldo: «è stata l’esperienza a convincermi che l’unico modo accettabile per parlare di giustizia è farlo in termini di “aspirazione”. Un’aspirazione nel cui nome, nel corso dei secoli, donne e uomini colpe-voli di sognare un mondo migliore hanno conosciuto l’ostracismo, la repressione, la tortura, il martirio». È da tutte le pagine del libro trasuda questa incessante ricerca della giustizia, questa volontà persistente di coltivare un’aspirazione in grado di mo-

-

uomini e delle comunità nelle quali vivono. L’autore ci accompagna per mano alla sco-

-dio nel 1981 come uditore, catapultato nel-la dura realtà dall’impatto con il Tribunale civile e penale di Roma: un universo caotico e indecifrabile a prima vista, che i libri uti-lizzati nel corso degli studi non possono

-to il primo incarico, quello di magistrato di sorveglianza che mette De Cataldo di

si trova a decidere i destini di un’umanità

sistema carcerario e della pena in quanto strumento di reinserimento sociale. Nell’e-conomia del racconto, rapidi accenni sono dedicati a vicende di carattere nazionale che interrogano il rapporto tra magistratu-ra e cittadinanza, come il referendum sulla responsabilità civile dei giudici, o quello tra magistratura e poteri occulti, come lo scan-dalo della P2.Il successivo approdo alle funzioni di Tribu-nale per l’autore coincide con l’entrata in vi-gore del nuovo codice di procedura penale, salutato all’epoca come la riforma in grado di far funzionare la giustizia, ma che in re-

-nici del sistema, dovuti a carenze di mezzi e di personale, oltre che a incomprensibili

ogni processo, anche di quello più banale.Si arriva così al periodo di Tangentopoli

-so che interessa ancora oggi il nostro Paese. Il 1995 è un altro anno cruciale nel raccon-to, perché coincide con l’avvio del processo alla Banda della Magliana e questo è uno spartiacque professionale e umano per De Cataldo che continua, comunque a misu-rarsi con la folla di disperati che ogni giorno incontra. C’è spazio anche per il caso Marta Russo, con tutti gli interrogativi posti anche dal ruolo dei media dentro e fuori le aule di

-sto processo” ci introduce ai giorni nostri, dove lo scontro tra magistratura e politica viene ricondotto dall’autore ai termini di un’aggressione della politica alla magistra-tura. Uno scontro che è tuttora in atto, for-se il problema principale, accanto alla crisi economica, di questi ultimi anni.Lungo tutto il suo racconto, De Cataldo oscilla tra pessimismo e ottimismo, facen-

-mento, perché ci ricorda che la giustizia è «un’aspirazione per la quale vale ancora, e varrà sempre, la pena di spendersi».

In giustiziadi Lorenzo Frigerio

libri <<

Giancarlo De CataldoIN GIUSTIZIARizzoli, Milano 2011pp. 227 € 15,00

LIBRI

C

M

Y

CM

MY

CY

CMY

K

veritaegiustizia_N_80.pdf 1 17/11/11 15.59

Page 20: Verità e giustizia n.80

20 verità e giustizia - 16 novembre 2011

Solo che Dell’Utri non è mai stato l’estorto. Non vi è dubbio, infatti, che le somme incassate dalla

mafia provenissero dalla Finin-vest e non dal patrimonio per-sonale dell’imputato.Egli “rappresentava” presso i mafiosi gli interessi del gruppo, per conto di Silvio Berlusconi.Era un manager dotato di altis-sima autonomia e di capacità decisionali, non un qualunque sottoposto al quale non restava altro che eseguire le decisioni del proprietario dell’azienda, in ipotesi impostegli.È significativo che egli, anzi-ché astenersi dal trattare con la mafia (come la sua autonomia decisionale dal proprietario ed il suo livello culturale avrebbe-ro potuto consentirgli, sempre nell’indimostrata ipotesi che fosse stato lo stesso Berlusco-ni a chiederglielo), ha scelto, nella piena consapevolezza di tutte le possibili conseguen-ze, di mediare tra gli interessi di “cosa nostra” e gli interessi imprenditoriali di Berlusconi (un industriale, come si è visto, disposto a pagare pur di stare tranquillo).Dunque, Marcello Dell’Utri ha non solo oggettivamente con-sentito a “cosa nostra” di perce-pire un vantaggio, ma questo ri-sultato si è potuto raggiungere

IPSE DIXITTribunale Palermo: “Berlusconi ha scelto il silenzio”

grazie e solo grazie a lui. Nel corso dell’udienza del 26 novembre 2002, tenutasi nel-la sede istituzionale di Palazzo Chigi in Roma, l’on.le Silvio Ber-lusconi, Presidente del Consi-glio dei Ministri in carica, sen-tito nella qualità di indagato in procedimento collegato per il reato di riciclaggio (lo stesso in ordine al quale era stato in-dagato Marcello Dell’Utri), si è avvalso della facoltà di non ren-dere interrogatorio.L’on.le Berlusconi ha esercita-to legittimamente un diritto riconosciuto dal codice di rito ma, ad avviso del Tribunale, si è lasciato sfuggire l’imperdibile

a cura di Lorenzo Frigerio

rubriche <<

occasione di fare personalmen-te, pubblicamente e definitiva-mente chiarezza sulla delicata tematica in esame, incidente sulla correttezza e trasparenza del suo precedente operato di imprenditore che solo lui, me-glio di qualunque consulente o testimone e con ben altra auto-revolezza e capacità di convin-cimento, avrebbe potuto illu-strare.Invece, ha scelto il silenzio.

Tribunale di Palermo, II Se-zione Penale

Sentenza 11 dicembre 2004 vs Marcello Dell’Utri

Page 21: Verità e giustizia n.80

21verità e giustizia - 16 novembre 2011

Verità e giustizia newsletter a cura della Fondazione Libera InformazioneOsservatorio nazionale sull’informazione per la legalità e contro le mafie

Sede legalevia IV Novembre, 98 - 00187 Romatel. 06.67.66.48.97www.liberainformazione.org

Direttore responsabile:Santo Della Volpe

Coordinatore:Lorenzo Frigerio

Redazione:Peppe Ruggiero, Antonio Turri,Gaetano Liardo, Norma Ferrara

Hanno collaborato a questo numero:Maria Sole Galeazzi e la rete dei giornalisti di Libera Lazio, Ufficio stampa di Libera

Grafica:Giacomo Governatori