Vere Allucinazioni

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Vere allucinazioni c il diario di mi viaggio compiuto in Amazzo- nia da un gruppo di psiconauti alla ricerca di un mitico al.fucino geno chiamato oa-koo-bd. Partiti per esplorare le relazioni tra la psilocibina, il principio attivo contenuto nei funghi della specie stropharia cubensis, e lo sviluppo della consapevolezza e del Lin- guaggio umano, troveranno, o meglio, saranno trovati da "altro". Giorcíann Bruno e Castaneda, William Blake, mantidi pirata del- lo spazio e cospirazioni naziste, roventi sedute tantriche e so- vraccarichi neuronali, piante aliene e hippy fuorilegge, teorie in- quietanti sul destino del pianeta _l egate a psicofiuidi viola... Te- rence McKenna, etnoboranico cd enfant terrible della rivoluzio- ne psichedelica sfida duemila anni di logica giudaico-cristiana per scaraventarci in una dimensione potentemente visionaria. Allo strabiliante racconto di Terence McKenna fanno da sup- porto una serie di 31 tavole di Matteo Guarnaccia che illustrano in maniera altrettanto visionaria (unita a una precisione enciclo- pedica nel descriverne gli aspetti but an ici) le fasi dell'esperienza nella foresta pluviale Amazzonica. Terence McKenna, considerato il "Timothy Leary degli anni Novanta ", ë in realtà un cantastorie, un visionaria, un eccentrico. Parte scienziato e parte sciamano, c tut esperto in "etnofarmacologia della trasformazio- ne spirituale'_ Dirige un p rogetto diretto alla conse rvazione c alla pro- pagazione di piante di interesse etnofarmacologico alle Hawaii. Ha pubblicato Food of the Gods 1992, The Invisible Landscape 1975, The Archaic Revival 1991. Marten Guamaccia, artista multimediale è una figura cult della psiche - delia in Italia. La sua ricerca si può definire un intreccio di echi prove- nienti simultaneamente da culture arcaiche, moderne tecniche di analisi psichica, ricerche scien ti fiche so]]'sttiuirà delta mente, iI tutu) opportu- namente miscelato con robuste dosi di ironia. Ha pubbli cato, rra l'altro; Arte psichedelica e controcultura in Italia, The Born Again Pagan Travel Book, A Tribal Education, Magickal Mystery Book, Summer of Love, Pro- vos, Paradiso Psichedelico, Smilin' Shaman. I IN-trot-1m" inn ii !LICK UKWWI ii i Lire 23.000 Terence McKenna ALLUCINAZIONI SECONDA EDIZIONE RIVEDU TA I3,4^R1P CON 1 FuNGKt MAG 1 Cl! ShaKe I VERE 11111MMI11

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Vere allucinazioni, di Terence McKenna.

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Vere allucinazioni c il diario di mi viaggio compiuto in Amazzo-nia da un gruppo di psiconauti alla ricerca di un mitico al.fucino geno chiamato oa-koo-bd. Partiti per esplorare le relazioni tra la

psilocibina, il principio attivo contenuto nei funghi della specie stropharia cubensis, e lo sviluppo della consapevolezza e del Lin-guaggio umano, troveranno, o meglio, saranno trovati da "altro". Giorcíann Bruno e Castaneda, William Blake, mantidi pirata del-lo spazio e cospirazioni naziste, roventi sedute tantriche e so-vraccarichi neuronali, piante aliene e hippy fuorilegge, teorie in-quietanti sul destino del pianeta _legate a psicofiuidi viola... Te-rence McKenna, etnoboranico cd enfant terrible della rivoluzio-ne psichedelica sfida duemila anni di logica giudaico-cristiana per scaraventarci in una dimensione potentemente visionaria.

Allo strabiliante racconto di Terence McKenna fanno da sup-porto una serie di 31 tavole di Matteo Guarnaccia che illustrano in maniera altrettanto visionaria (unita a una precisione enciclo-pedica nel descriverne gli aspetti but an ici) le fasi dell'esperienza nella foresta pluviale Amazzonica.

Terence McKenna, considerato il "Timothy Leary degli anni Novanta ", ë in realtà un cantastorie, un visionaria, un eccentrico. Parte scienziato

e parte sciamano, c tut esperto in "etnofarmacologia della trasformazio-ne spirituale'_ Dirige un p rogetto diretto alla conse rvazione c alla pro-pagazione di piante di interesse etnofarmacologico alle Hawaii. Ha pubblicato Food of the Gods 1992, The Invisible Landscape 1975, The Archaic Revival 1991.

Marten Guamaccia, artista multimediale è una figura cult della psiche -

delia in Italia. La sua ricerca si può definire un intreccio di echi prove-nienti simultaneamente da culture arcaiche, moderne tecniche di analisi psichica, ricerche scien tifiche so]]'sttiuirà delta mente, iI tutu) opportu-namente miscelato con robuste dosi di ironia. Ha pubblicato, rra l'altro; Arte psichedelica e controcultura in Italia, The Born Again Pagan Travel Book, A Tribal Education, Magickal Mystery Book, Summer of Love, Pro-vos, Paradiso Psichedelico, Smilin' Shaman.

I IN-trot-1m" inn ii

!LICK UKWWI ii i

Lire 23.000

Terence McKenna

ALLUCINAZIONI

SECONDA EDIZIONE RIVEDUTA

I3,4^R1P CON 1 FuNGKt

MAG1 Cl!

ShaKe

I

VERE 1111■1■MMI11

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IMMAGINE DI COPERTINA (TECNICA MISTA): Matteo Guarnaccia

PROGETTO GRAFICO: Paoletta Nevrosi

TRADUZIONI: Daniele Bolelli ed Ermanno "Gomma" Guarneri

FOTOCOMPOSIZIONE: ShaKe Edizioni

CONTATTI POSTALI: Shake, via C. Balbo 10, 20136 Milano CONTATTI TELEFONICI: 02/5 83 173 06 CONTATTI ELETTRONICI: Decoder BBS, 02/29527597; N-8-1; 300-28.800 bd,

dalle 14.00 alle 8.00; http//www4.iol.it/decoder

STAMPA: Grafica Sipiel, Milano

TITOLO ORIGINALE DELL'OPERA: True Hallucinations

© 1993, by Terence McKenna © 1995, ShaKe

SECONDA EDIZIONE: Settembre 1998

ISBN 88-86926-23-5

Terence McKenna

VERE ALLUCINAZIONI

SHAKE EDIZIONI UNDERGROUND

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INDICE

PREFAZIONE

I IL RICHIAMO DEL SEGRETO In cui il nostro cast di personaggi, tra cui un fungo, viene presentato e i loro peculiari interessi vengono abbozzati. Viene invocata la giungla amazzonica e si intraprende la discesa di uno dei suoi fiumi.

2 NEL PARADISO DEL DIAVOLO In cui Solo Dark ed Ev vengono presentati e il passato di ognuno di noi viene narrato. Riflessioni filosofiche durante una languida discesa del fiume Putumayo.

3 LUNGO UN CAMMINO SPETTRALE In cui incontriamo un bizzarro antropologo e sua moglie, ci separiamo da Solo Dark, e raggiungiamo la nostra destinazione alla Missione La Chorrera.

4 ACCAMPATI PATI SULLA PORTA D'INGRESSO In cui facciamo la conoscenza dei funghi e degli sciamani di La Chorrera.

5 UNA SCHEI" MAGLIA CON L'ALTRA DIMENSIONE 57 In cui ci trasferiamo in una casa nuova e Dennis ha una bizzarra esperienza che divide il nostro gruppo.

"Intorno a noi la giungla; davanti a noi il segreto..."

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17 I L ALLANDO CON L'ENIGMA

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14 GUARDANDO DIETRO In cui si raccontano diversi fatti miracolosi fra i quali uno di relativa importanza è l'apparizione di James e Nora Joyce travestiti da ruspanti.

15 UN DISCO VOLANTE PIENO DI SEGRETI In cui si organizza la nostra partenza, io incontro un disco volante e le teorie nascono come funghi, non appena torniamo a Berkeley.

16 IL RITORNO In cui Ev e io torniamo da soli a La Chorrera e una nuova cometa si dirige verso la terra.

In cui ricordo il mio pseudoreclutamento da parte di una banda di scienziati nazisti rinnegati, mentre visito Timor.

18 COSA SIGNIFICA? In cui tento di collegare le nostre esperienze a una scienza che è tutt'altro che canonica.

19 L'AVVENTO DELLA STROFARIDE In cui io ed Ev ci lasciamo e il fungo declama un discorso solenne, mentre si trasforma in produzione industriale clandestina.

20 L"`HAWAIIIIAN CONNECTION" In cui le mantidi pirata provenienti dall'iperspazio attaccano me e la mia nuova amante nei territori vulcanici di Kau, nelle Hawaii, e io consegno le mie ultime parole riguardo all'indicibile.

EPILOGO In cui ritorno al presente, descrivo come sono diventati i miei compagni di viaggio e m'inginocchio davanti al soprannaturale.

6 INTERLUDIO A KATHMANDU In cui il ricordo di eccessi tantrici nei covi hippy dell'Asia, getta una strana luce sulle esperienze con i funghi a La Chorrera.

7 UNO PSICOFLUIDO VIOLA In cui Dennis comincia a schematizzare il suo approccio all"`opera" alchemica e si discute se uno pskofluido possa o meno essere una sostanza traslinguistica.

8 L"`OPERA" VIENE ILLUSTRATA In cui Dennis rivela la sua strategia per cominciare la grande impresa.

9 UNA CONVERSAZIONE SUI DISCHI VOLANTI In cui si ribadiscono, una volta per tutte, i dettagli della resurrezione del corpo e si compie un parziale test della nostra teoria.

10 ANCORA SULL"'OPERA°' In cui rifiniamo la teoria e cominciamo i preparativi per i voli sperimentali dell'aerolite de lla conoscenza.

11 L'ESPERIMENTO ALLA CHORRERA In cui si tenta l'esperimento e i fratelli McKenna sono sconvolti dalle sue inaspettate conseguenze.

12 NEL VORTICE In cui scopriamo che l'universo è più strano di quel che possiamo pensare, Dennis compie un viaggio sciamanico e il nostro gruppo si polarizza e si divide.

13 GIOCANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE In cui io e Dennis esploriamo i contenuti delle nostre reciproche illusioni e illuminazioni naturali.

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PREFAZIONE

NA VOLTA, ALL'INIZIO DEGLI ANNI OTTANTA, MENTRE VISITAVO

1'"Esalen Institute" dove ero stato invitato a partecipare a una conferenza sullo sciamanesimo, mi resi conto che la mia innata

logorrea, tipica degli irlandesi, era stata decisamente amplificata da anni di consumo di funghi magici. Aiutato dalla mia devozione alla psilocibina e dall'esperimento a La Chorrera, che è l'argomento di questo libro, mi ero apparentemente trasformato in un portavoce del logos incarnato. Po-tevo parlare con ricadute elettrizzanti a piccoli gruppi di persone riguardo agli argomenti trascendentali di cui leggerete in questo libro.

In un primo momento queste performance verbali mi sembravano relati-vamente normali, ma riascoltandone le registrazioni riuscii a capire il moti-vo per cui le altre persone ne erano affascinate. Era come se la mia persona-lità, ordinaria e noiosa, fosse svanita e, attraverso di me, parlasse la voce di un altro, una voce calma, chiara, senza esitazioni, una voce che cercava di informare gli altri sul potere, sulle speranze delle dimensioni psichedeliche.

Decine, ormai quasi un centinaio, delle mie conferenze sono state regi-strate, distribuite a volte illegalmente, passate tra amici e trasmesse da sta-zioni radio underground. Ho cominciato la mia vita come conferenziere e insegnante presso vari centri di crescita spirituale, ma a farmi uscire dall'anonimato è stato Roy di Ho llywood, la cui trasmissione notturna alla radio, mi ha reso una piccola stella underground, almeno presso i son-nambuli di Los Angeles. Solo parlando degli eventi di La Chorrera ero di-ventato una celebrità.

La mia fama di pazzoide e di personaggio underground de lla West

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A® VERE ALLUCINAZIONI

Coast arrivò fino ai grandi edifici di vetro della Quinta strada a Gotham [New York, N.d.R.]. Editori che, normalmente, non mi avrebbero dato un secondo di attenzione, si sono improvvisamente interessati al mio lavo-ro. Mentre leggete, spero che i miei libri, questo e quelli che l'hanno pre-ceduto, stiano diffondendo queste idee particolari e possano rendere la mia vita più agiata e la vostra più ricca.

C'è uno strano paradosso intorno a tutto ciò: queste idee sono ormai di dominio pubblico e soggette a un plebiscito informale. Se si diffonderan-no diventeranno popolari e funzioneranno come catalizzatori di un cam-biamento sociale e, allora, troverebbe conferma la speranza che esse ab-biano un destino speciale. Se, d'altra parte, dopo il loro momento di glo-ria sparissero dalla scena pubblica, vorrà dire che il mio lavoro e le mie opinioni sono state giudicate niente di più che riflessioni irrilevanti da lla nostra cultura surreale e paranoica. Non ho idea di dove questi ragiona-menti possano portare ma, avendo alle spalle parecchi libri pubblicati, non posso certo dire che non mi sia stata data un'opportunità. Ora è il pubblico che deciderà se questo fenomeno ha già fatto il suo tempo o se siamo solo all'inizio

Menziono tutto questo, non per informare il lettore dei tentativi poco interessanti di sfamare la mia famiglia, ma perché la mia carriera è l'unica testimonianza che qualcosa di straordinario, forse di importanza storica, è accaduto a La Chorrera. I funghi parlanti incontrati laggiù hanno origina-to un mito e annunciato dettagliatamente una profezia relativa a un cam-biamento globale, per la presa di coscienza, destinato a salvare l'intero pia-neta. Hanno predetto tutto ciò che mi è accaduto nei successivi vent'anni e hanno promesso molto di più per il futuro. Se continuerete a leggere di-verrete parte di questa storia. Caveat lector.

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ILR

CHIAMO DE T, SEGRETO

In cui il nostro cast di personaggi, tra cui un fungo, viene presentato e i loro peculiari interessi vengono

abbozzati. Viene invocata la giungla amazzonica e si intraprende la discesa di uno dei suoi fiumi.

ER MIGLIAIA DI ANNI LE VISIONI RIVELATE DAI FUNGHI

allucinogeni sono state ricercate e venerate come un vero mistero

religioso. La maggior parte del mio pensiero negli ultimi vent'anni

è stato impegnato nel descrivere e nel contemplare questo mistero. Pro-tetto da vicino da angeli caoticamente ingioiellati — "Ogni angelo è tre-mendo", ha scritto Rilke, e al tempo stesso è sacro e profano — il fungo è

sbucato nella mia vita allo stesso modo in cui in futuro potrebbe giungere

agli onori della cronaca della storia umana. Per raccontare questa storia

ho scelto un approccio narrativo. Un mistero vivente potrebbe assumere

qualsiasi sembianza, esso è il padrone di luogo e spazio, di tempo e spiri-to, però la mia ricerca del modo per comunicare questo mistero mi ha

spinto a seguire la tradizione: scrivere una narrazione cronologica di una

storia al contempo vera e straordinariamente bizzarra.

All'inizio di febbraio del 1971, stavo viaggiando nella Colombia meri-dionale con mio fratello e alcuni amici, pronti per una spedizione nella fo-resta amazzonica colombiana. La nostra strada ci portò a Florencia, il ca-poluogo provinciale della regione del Caquetà. Là ci fermammo per alcuni

giorni, in attesa di un aereo che ci portasse all'imbarco sul Rio Putumayo,

un fiume che segna il confine tra Colombia, Ecuador e Perù.

Il giorno in cui dovevamo partire era particolarmente caldo, così ab-

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bandonammo le mura oppressive del nostro albergo che era vicino al ru-moroso mercato centrale e a lla stazione degli autobus. Ci inoltrammo fuo-ri città a piedi, camminando per un paio di chilometri dove c'erano le cal-de acque del Rio Hacha, visibile al di là di pascoli ondulati dall'erba alta. Dopo aver nuotato nel fiume ed esplorato le profonde pozze scolpite dal-le calde acque del torrente nel nero letto basaltico del fiume, tornammo attraverso gli stessi prati. Qualcuno più esperto di me sull'aspetto del fun-go stropharia cubensis ne indicò un grande esemplare che se ne stava, da solo, in mezzo a un mucchietto di concime. Impulsivamente e consigliato dai miei compagni, mi mangiai tutto il fungo: ci misi un attimo e subito dopo riprendemmo la marcia, stanchi della nuotata, mentre una tempesta tropicale si muoveva verso di noi dalla Cordigliera de lle Ande, dove si tro- va Florencia.

Per un qua rto d'ora camminammo in silenzio. Sollevavo stancamente la testa, quasi ipnotizzato da lla vista del movimento regolare degli stivali che affondavano nell'erba. Per raddrizzarmi e scuotere via il torpore mi fermai stiracchiandomi a osservare l'orizzonte. La sensazione dell'imponenza del cielo, che per me si associa a lla psilocibina, mi colpì là, per la prima volta. Chiesi ai miei amici di fermarsi e mi buttai a terra. Sembrava che un tuono silenzioso muovesse l'aria intorno a me; tutto si mostrava con un nuovo aspetto e un nuovo significato. Questa sensazione arrivò e mi passò sopra come un'onda, proprio nel momento in cui la furia della tempesta tropica-le esplose sopra le nostre teste, bagnandoci da capo a piedi. La sensazione terrificante che un'altra dimensione o una diversa specie di esseri viventi si fosse intersecata con quello splendido giorno tropicale, durò solo pochi minuti. Elusivo, ma fo rte, era un qualcosa che non avevo mai provato.

Durante la nostra fradicia ritirata non notai nemmeno il lungo e strano momento di grande luminosità che la precedette. Riconobbi che la mia esperienza era stata provocata dal fungo, ma non volevo che i pensieri a ri-guardo mi distraessero, perché eravamo coinvolti in un gioco ben più grande. Eravamo impegnati, infatti, in una ricerca nella giungla profonda di differenti allucinogeni: piante contenenti la dimetil-triptammina (o DMT) e l'infuso psichedelico dell'ayahuasca. Queste piante erano associa- te con le abilità telepatiche e a fatti paranormali, però le modalità del loro uso peculiari della giungla amazzonica, non erano ancora stati studiate.

Una volta svanitone l'effetto, liquidai l'esperienza del fungo come qual-cosa a cui dar retta in un altro momento. Alcuni colombiani mi avevano as-sicurato che la stropharia si trovava solo nello sterco di zebù, così conclusi

che nella giungla, dove sarei andato da lì a poco, non avrei trovato né be-stiame né concime. Allontanando il pensiero dei funghi da lla mia mente, mi preparai per i brividi de lla nostra discesa lungo il Rio Putumayo verso la nostra destinazione, una remota missione chiamata La Chorrera.

Perché una banda di zingari come noi si stava inoltrando nella fumante giungla dell'Amazzonia colombiana? Il nostro gruppo era composto da cinque persone legate dall'amicizia, da un'immaginazione stravagante, dal-l'ingenuità e da una dedizione ai viaggi e alle esperienze esotiche. Ev, la no-stra traduttrice e mia nuova fiamma, era appena entrata a far parte del no-stro gruppo. Americana come tutti noi, aveva vissuto parecchi anni in Sud America e aveva viaggiato in Oriente, dove l'avevo incontrata, all'aeropor-to di Katmandu, durante un momento molto duro per entrambi, ma, que-sta è un'altra storia. Si era recentemente liberata da una lunga relazione e, rimasta sola, e non avendo niente di meglio da fare, si era unita a noi. Quando arrivammo a La Chorrera io e lei eravamo insieme da meno di tre settimane. Gli altri tre membri del gruppo erano mio fratello Dennis, il più giovane di noi, studente di botanica e compagno di lunga data; Vanessa, una mia vecchia amica del college di Berkeley, esperta in antropologia e fo-tografia, e Dave, un altro vecchio amico, un gioioso meditatore e ceramista, ricamatore di blue-jeans e, come Vanessa, newyorkese.

Quattro mesi prima della nostra discesa nell'inferno liquido del basso Putumayo, mio fratello e io eravamo passati attraverso il terribile dolore dovuto alla perdita di nostra madre. Prima ancora, avevo viaggiato per tre anni in India e in Indonesia, poi avevo lavorato come insegnante per società inglesi a Tokyo e, quando non ne potei più, me ne ero andato in Canada. A Vancouver il nostro gruppo tenne una riunione e pianificò questa spedizione in Amazzonia per sondare le profondità dell'esperien-za psichedelica.

Deliberatamente non dirò molto su di noi: forse eravamo educati in modo assurdo, ma di certo eravamo ben educati. Nessuno di noi aveva ancora venticinque anni ed eravamo stati uniti dall'esplosione politica che aveva caratterizzato gli anni passati insieme a Berkeley. Eravamo pro-fughi di una società che si stava avvelenando, scaricando il proprio odio e le proprie contraddizioni verso se stessa. Ci eravamo dati con passione al-l'ideologiâ, e avevamo finito per puntare tutto sull'esperienza psichedeli-ca come la via più breve per realizzare la nostra utopia, quella che la no-stra passione politica ci infervorava a sognare. Non avevamo idea di cosa avessimo dovuto aspettarci dall'Amazzonia, ma avevamo collezionato

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una grande quantità di informazioni etnobotaniche e queste ci dicevano dove trovare vari allucinogeni, ma non cosa aspettarci una volta che li avessimo trovati.

Ho pensato molte volte a come eravamo poco preparati alle esperienze in cui ci saremmo imbattuti. Spesso le nostre interpretazioni non coinci-devano, come è comune tra personalità forti o tra persone che assistono a eventi straordinari: eravamo gente strana, altrimenti non avremmo fatto ciò che stavamo facendo.

Già a ventiquattro anni potevo riguardare a dieci anni di coinvolgi-mento con cose che la maggior parte della gente considerava estreme. Il mio interesse nelle droghe, nella magia e nelle più sconosciute branche della storia naturale e della teologia, mi davano l'aspetto di un eccentrico principe fiorentino più che di un ragazzo che era cresciuto nel cuore degli Stati Uniti negli anni Cinquanta. Con disperazione dei nostri convenzio-nali genitori, Dennis aveva condiviso tutti questi interessi. Per qualche ra-gione eravamo strani sin dall'inizio, scelti dal fato per un destino troppo assurdo per essere immaginato.

In una lettera scritta undici mesi prima della nostra spedizione, trovai che Dennis aveva un'idea di ciò che sarebbe potuto accadere. Mi scrisse, quando ero a Taiwan nel 1970, per dirmi:

Riguardo la vera ricerca sciamanica e l'idea che la sua soluzione possa implicare la morte fisica — che allegra riflessione... — sarei in-teressato a sapere come e perché consideri questa possibilità. Non ci ho pensato in termini di morte, sebbene abbia pensato che po-trebbe farci passare, in quanto esseri viventi, attraverso la stessa porta usata ogni giorno dalla morte. Considero questa una proie-zione astrale iperspaziale che permette all'iperorgano, la consape-volezza, di manifestarsi istantaneamente in ogni punto della matrice spazio-tempo, o in tutti i punti simultaneamente.

Le sue lettere mi resero chiaro che la sua immaginazione non si era atrofizzata durante gli ultimi anni di liceo nella nostra piccola città natale nel Colorado. Una rigida dieta a base di fantascienza aveva reso i frutti della sua immaginazione veramente spettacolari, ma mi domandavo se stesse parlando sul serio.

Un UFO è sostanzialmente un vortice psichico che si muove nel-

l'iperspazio e un trip può implicare un contatto con una razza di navigatori stellari Probabilmente sarà un incontro simile a una le-zione di volo: delle istruzioni per l'uso della pietra tridimensionale, come navigare nell'iperspazio e, forse, un corso introduttivo di ecologia cosmica.

Come me, stava cercando di prendere contatto con i paesaggi psichici abitati dagli elfi, rivelati dalla dimetil-triptammina. Avevamo fatto la no-stra conoscenza con il DMT nell'atmosfera surreale di Berkeley, all'apice della Summer of Love, ed era subito diventato il principale mistero, o l'ar-ma più efficace per la riuscita de lla nostra impresa.

ll mantenimento della forma fisica è, in simili circostanze, una que-stione di scelta più che di necessità, oppure è indifferente perché nella rete iperspaziale tutte le forme fisiche sarebbero aperte. Direi che il tempo non è l'essenza dell'impresa, se non fosse che la morte culturale delle tribù che stiamo ricercando procede a un ritmo spa-ventoso.

Non erano solo le nostre vivaci fantasie a essere concentrate sulle allu-cinazioni del DMT: anche il nostro approccio per scoprire i segreti de lla dimensione allucinogena lo era. Era così perché, fra i componenti psicoat-tivi che conoscevamo, l'azione del DMT, sebbene molto rapida, sembrava essere la più potente. Il DMT non è una sostanza comunemente speri-mentata, nemmeno tra gli psiconauti dello spazio interiore, quindi spen-derò un paio di parole di spiegazione. Nella sua forma sintetica pura, ap-pare come una pasta o una polvere cristallina che viene fumata in una pi-pa di vetro. Dopo qualche inalazione, l'inizio dell'esperienza viene inne-scato rapidamente, da quindici secondi a un minuto. L'esperienza alluci-nogena dura da tre a sette minuti ed è estremamente particolare: è così bizzarra e intensa che persino molti tra i più devoti aficionados degli allu-cinogeni la evitano. Però è anche il più comune e reperibile tra gli alluci-nogeni naturali e la base della maggior parte degli allucinogeni usati da lle tribù aborigene del Sud America. In natura, essendo prodotto dal meta-bolismo delle piante, non si avvicina neanche lontanamente a lla concen-trazione prodotta in laboratorio, ma gli sciamani sudamericani, predispo-nendosi chimicamente ai suoi effetti, raggiungono gli stessi stati di co-scienza alterata prodotti dal DMT puro. La sua potenza e la sua peculia-

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rità superano in tal modo que lle degli altri allucinogeni che la dimetil-triptammina e i suoi derivati chimici erano, per íl nostro piccolo circolo, la più grande rivelazione e lo schiudersi più radicale degli stati alterati che potessero essere raggiunti senza seri danni fisici o psichici.

Quindi pensavamo che la nostra descrizione fenomenologica degli stati di allucinazione dovesse cominciare con l'individuazione di un forte alluci-nogeno aborigeno contenente DMT e proseguisse esplorando con mente aperta le dimensioni sciamaniche che questo avrebbe reso accessibili. Per questo avevamo studiato tutti gli scritti sulle droghe contenenti triptammi-na nel bacino delle Amazzoni e avevamo appreso che l'ayahuasca o yagé, l'infuso di banisteriopsis caapi contenente DMT, è diffuso in un'area molto vasta* così come diversi tipi di polveri contenenti DMT, ma c'era un solo allucinogeno contenente DMT il cui uso fosse soggetto a restrizioni.

L'oo -koo -hé è ricavato dalla resina di certi alberi de lla specie virola me-scolata con le ceneri di altre piante, ridotta in forma di palline e inghiotti-ta. Quello che ci colpiva nella descrizione della preparazione della pianta allucinogena era che la tribù Witoto del Nord delle Amazzoni, che era l'unica a conoscere il segreto della sua preparazione, la usava per parlare a "piccoli uomini" da cui ricevevano la conoscenza.

Questo piccolo popolo era una specie di ponte tra un contatto alieno e più tradizionali elfi e fate dei boschi. La tradizione diffusa in tutto il mon-do riguardante l'esistenza del piccolo popolo è ben descritta nel libro The Fairy Faith in Celtic Countries di W.E. Evans-Entz, uno studio di cultura celtica che ha influenzato tanto l'opera del ricercatore di UFO Jacques Vallee quanto la mia. Il riferimento a dei piccoli uomini fece suonare den-tro di me una campana, perché durante le mie esperienze fumando DMT a Berkeley, ebbi l'impressione di trovarmi in uno spazio abitato da degli allegri elfi che cambiavano forma, o da delle creature meccaniche che si trasformavano in continuazione. Decine di queste entità frattali amiche, somiglianti a uova Fabergé rimbalzanti, mi avevano circondato e avevano cercato di insegnarmi il linguaggio perduto della vera poesia. Sembravano parlare in una forma visibile a cinque dimensioni, mentre fiumi di signifi-

* Ayahuasca è un termine usato nel bacino superiore delle Amazzoni. Non si riferisce solo alla bevan-da allucinogena ma anche al suo ingrediente principale, il banisteriopsis caapi. Questo rampicante del-la giungla, spesso gigantesco, viene polverizzato e bollito con una pianta che contiene DMT, di solito psychotria viridis e raramente diploterus cabrerena. L'estratto liquido viene poi ulteriormente concen-trato attraverso un'altra bollitura. L'ayahuasca, detta anche natema, yagé o pildé, è l'allucinogeno più usato e diffuso tra gli sciamani dell'area equatoriale americana.

cati ricoperti di specchi mi fluivano intorno. Questo mi accadde in più di un'occasione ed era nello specifico la trasformazione del linguaggio a ren-dere questo esperimento così memorabile e particolare.

Sotto l'influenza del DMT, il linguaggio veniva trasformato da una co-sa che si ascolta a una cosa che si vede. La sintassi diveniva visibile. Cer-cando dei paralleli con la mia esperienza mi tornò in mente la splendida scena della versione di disneyana di Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui Alice incontra il bruco che fuma un narghilé seduto su di un fungo. "Chi 6?" domanda il bruco, con lettere fumose che gli escono da lla bocca. A dire il vero una connessione tra l'esperienza psichedelica e Lewis Caroll e il suo Paese delle Meraviglie è sempre stata sospettata. Nelle mani dei dise-gnatori di Walt Disney, la miscela sensoriale è esagerata e resa esplicita: ciò che il bruco comunica non è sentito, ma viene visto fluttuare nello spa-zio intorno a lui, un linguaggio reso visibile dal fumo che il bruco produce in grande quantità.*

Questo non significa che il DMT sia semplicemente un mezzo per di-venire parte di un cartone animato. Per niente. La sensazione che deriva dal DMT è così bizzarra da far rizzare i capelli sulla testa, è il massimo che un essere umano possa sperimentare senza che la sua consapevolezza ven-ga alterata per sempre. A volte mi è stato chiesto se il DMT è pericoloso: la mia risposta è che è pericoloso solo per chi si sente minacciato da lla possibilità di morire di meraviglia. L'onda di stupore che accompagna il dissolversi dei confini tra il nostro mondo e il continuum è così grande da essere una forma d'estasi in se stessa.

La sensazione, che queste bizzarre esperienze con il DMT avevano procurato, e cioè di trovarsi in un'altra dimensione, era stata il motivo che ci aveva spinto a concentrarci sugli allucinogeni contenenti triptammina. Dopo aver letto tutto ciò che esisteva sulla triptammina, ci imbattemmo nel lavoro dell'etnobotanico Richard Evans Schultes. La sua posizione di professore di botanica ad Harvard gli aveva permesso di dedicare la sua vita a collezionare e a catalogare le piante psicoattive. Il suo scritto Virola

* Che un film di Disney possa essere una rappresentazione di questo concetto non è poi così sorpren-dente. Basti citare le danze, coreograficamente perfette, dei funghi orientali in Fantasia, per chiedersi se qualche membro della Disney non fosse stato ispirato dallo sciamanesimo. D'altra parte Fantasia è stato un serio tentativo di rendere la sinestesia un elemento di divertimento per tutti. Girano ancora voci sul fatto che molti tra gli operatori delle animazioni che la Disney assoldò per questo stravagante progetto fossero consci dell'esperienza psichedelica. Tra questi, c'erano alcuni cecoslovacchi che, probabilmente, avevano provato il peyote e la mescalina.

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as an Orally Administered Hallucinogen era un punto fermo nella nostra ricerca. Eravamo affascinati dalla descrizione dell'uso della resina degli al-beri di virola theiodora come forma di DMT attivo, allo stesso modo in cui l'uso di questa pianta sembrava specifico di una zona geografica estrema-mente limitata. Schultes ci ispirava scrivendo dell'oo-koo-hé:

Uno studio approfondito sul campo, nella regione di questi indio, sarà necessario per una comprensione totale di questo interessante allucinogeno... L'interesse per questo allucinogeno recentemente scoperto non è limitato al campo dell'antropologia e della etnobo-tanica, ma ha un'importanza diretta su certi aspetti farmacologici e, paragonata con altre piante aventi proprietà psicomimetiche dovu-te alla triptammina, questa sostanza pone problemi con cui ci si de-ve confrontare e a cui, se possibile, trovare risposte dal punto di vi-sta tossicologico.*

Basandoci sullo scritto di Schultes, decidemmo di abbandonare i no-stri studi, le carriere e di fiondarci in Amazzonia a La Chorrera alla ricerca dell'oo-koo-hé. Volevamo scoprire se le dimensioni titanicamente assurde sperimentate grazie alla trance del DMT erano più accessibili attraverso le piante usate dagli sciamani amazzonici.

Era a uno di questi sacramenti sciamanici a cui stavo pensando, mentre cercavo di dimenticarmi del fungo stropharia incontrato nei prati vicino a Florencia. Ero ansioso di tuffarmi nella ricerca dell'esotico oo-koo-hé. Certo non immaginavo che, poco dopo essere arrivati a La Chorrera la ri-cerca dell'oo-koo-hé sarebbe stata dimenticata. L'allucinogeno witoto ven-ne eclissato da lla scoperta di funghi di psilocibina che crescevano in ab-bondanza e dallo strano potere emanato dai prati color smeraldo, avvolti di nebbia, in cui i funghi crescevano

Il primo segnale che La Chorrera non fosse un posto come un altro mi giunse quando arrivammo a Pue rto Leguizamo, il nostro luogo d'imbarco sul Rio Putumayo. Esso può essere raggiunto solo per via aerea, poiché

* R.E. Schuhes, Virola as an Orally Administered Hallucinogen, in "Botanical Leaflets of Ha rvard University", vol. 2, n. 6, pp. 229-40.

nessuna strada era riuscita a passare attraverso la giungla circostante, un posto noioso e oppressivo come ti puoi immaginare che sia un paese suda-mericano sul fiume. William Burroughs, che passò di qui alla ricerca dell'ayahuasca negli anni Cinquanta, la descrisse dicendo che "sembra un paese dopo un'inondazione". Fino al 1971 poco era cambiato.

C'eravamo appena piazzati nel nostro hotel, dopo esserci fatti registra-re dalle autorità come è di routine per gli stranieri in viaggio nelle zone di frontiera de lla Colombia, quando la padrona dell'hotel ci informò che c'era un nostro connazionale che viveva da quelle parti. Sembrava incredi-bile che un americano vivesse in un posto così fuori dal mondo, in un pae-se su di un fiume colombiano. Quando la senora sottolineò che quest'uo-mo, el Senor Brown, era molto vecchio e scurissimo di pelle, la cosa diven-ne ancor più interessante. La mia curiosità si risvegliò, così partii imme-diatamente in compagnia di uno dei figli della padrona dell'hotel. Mentre cominciavamo a incamminarci, la mia guida si affrettò a informarmi che l'uomo che andavamo a incontrare era "mal y bizarro" .

"El Senor Brown es un sanguinero", disse. Un killer? Stavo per fare visita a un assassino? Non mi sembrava possi-

bile. Non ci credetti nemmeno per un istante. "e, Un sanguinero, dice?" L'orrore che il boom della gomma aveva portato agli indio amazzonici

nei primi anni del secolo era ancora vivo, un ricordo per le persone più anziane e una terrificante leggenda per i più giovani. Nell'area vicino a La Chorrera, la popolazione witoto era stata sterminata sistematicamente e ridotta dalle quarantamila persone del 1905 alle cinquemila del 1970. Non potevo immaginare che l'uomo che stavo per incontrare avesse qual-cosa a che vedere con quegli eventi così lontani. Pensai che la storia che íl ragazzo mi raccontava significasse che avrei incontrato il babau locale in-torno a cui erano nate storie stravaganti. Arrivammo in fretta a una casa indistinguibile dalle altre, che aveva un piccolo giardino recintato da uno steccato. Il mio compagno bussò e chiamò. Subito, un ragazzo simile a lla mia guida arrivò e aprì il cancello: la mia guida sparì in un baleno e il can-cello si richiuse dietro di me. Un enorme maiale stava sdraiato nella parte più umida del cortile; tre gradini più su c'era la veranda. Sulla veranda se-deva un uomo molto magro, vecchio e raggrinzito che mi sorrideva e mi faceva cenno di avvicinarmi: John Brown. Non capita spesso di incontrare una leggenda vivente, se avessi saputo di più sulla persona che mi stava davanti sarei stato più rispettoso ed emozionato.

"Si," disse, "sono americano". E poi: "Sì, dannazione sì, sono vecchio,

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22 VERE ALLUCINAZIONI

ho novantatré anni. La mia storia, bambino, è proprio lunga". Rise produ-cendo un suono come il fruscio di un tetto di paglia quando vi si agita so-pra una tarantola.

Figlio di uno schiavo, John Brown aveva lasciato l'America nel 1885, per non tornare mai più. Era andato alle Barbados, poi in Francia, era sta-to un mercante marittimo e aveva visto Aden e Bombay. Nel 1910 era ve-nuto in Perù, a Iquitos. Lì era stato nominato caposquadra nella famosa "Casa di Arana", che era la fonte principale dello sfruttamento e dello sterminio degli indio amazzonici durante il boom della gomma.

Passai parecchie ore de lla giornata con el Senor Brown. Era una perso-na straordinaria, al tempo stesso vicino e lontanissimo, un pezzo vivente di storia. Era stato il servitore personale del capitano Thomas Whiffen del XIV Ussari, un avventuriero inglese che aveva esplorato l'area di La Chor-rera già nel 1912. Brown, che è descritto nel raro lavoro di Whiffen, Ex-plorations of the Upper Amazon, fu l'ultima persona a vedere il francese Eugene Roguchion, che sparì nel Rio Caquetà nel 1913. "Sì, aveva una moglie witoto e un enorme cane nero che gli stava sempre attaccato", commentò Brown.

John Brown parlava witoto, una volta aveva vissuto con una donna wi-toto per alcuni anni e conosceva perfettamente l'area in cui ci stavamo di-rigendo. Non aveva mai sentito parlare dell 'oo-koo-hé ma, nel 1915, aveva preso l'ayahuasca a La Chorrera. La descrizione de lle sue esperienze era un'ulteriore ispirazione a continuare verso la nostra meta.

Fu solo dopo il mio ritorno dall'Amazzonia che appresi che quello era lo stesso John Brown che aveva informato le autorità inglesi de lle atrocità perpetrate dai baroni della gomma nella zona del Putumayo. Aveva parlato a Roger Casement e, poi, al console inglese a Rio de Janeiro che era andato in Perù nel 1910 per investigare a proposito dei soprusi.* Poiché la storia del Ventesimo secolo è così piena di orrori, pochi ricordano che, prima di Guernica e di Auschwitz, l'Amazzonia settentrionale fu teatro di uno degli episodi di sterminio scientifico così comune a lla nostra epoca. Le banche inglesi, in collusione con il "clan di Arana" e con tutti gli altri operatori pronti a chiudere un occhio, sostennero l'uso del terrore, dell'intimidazio-ne e dell'omicidio per obbligare gli indio della foresta a raccogliere la gom-

* Per ulteriori approfondimenti vedi W.E. Hardenburg, The Putumayo: The Devil's Paradise, Londra 1912. Vi sono anche ristampati estratti del rapporto di Casement. Vedi anche Michael Taussig, Sha-manism, Colonialism and the Wildman, University Press of Chicago, Chicago 1987.

IL RICHIAMO DEL SEGRETO TO 23

ma. Fu John Brown che andò a Londra con Casement per portare prove alla commissione d'inchiesta dell'Alta commissione reale."

Ritornai a parlare con lui i due giorni seguenti, mentre venivano fatti i preparativi per la nostra spedizione lungo il fiume. Fui impressionato dal-la sincerità di Brown, dalla profondità della sua comprensione di me, dal modo in cui Roger Casement e un mondo quasi dimenticato, un mondo da me conosciuto solo dai brevi riferimenti dell' Ulisse di James Joyce, rivi-vevano e si muovevano davanti ai miei occhi durante quelle lunghe con-versazioni sulla veranda.

Parlò a lungo di La Chorrera. Non era stato là dal 1935, ma finii per trovarla quasi come lui me la aveva descritta. La vecchia città infestata dal-la febbre al di là del lago non era più là, ma si potevano ancora vedere i sotterranei degli schiavi indio con gli anelli di ferro ancora ben fissati nella pietra basaltica sudaticcia. Non c'era più la famosa "Casa di Arana" e il Perù aveva da tempo rinunciato a reclamare quell'area alla Colombia. Ma la vecchia città di La Chorrera era spettrale così come la vecchia pista del-la gomma, chiamata trocha, che noi avremmo utilizzato per percorrere i centodieci chilometri che separavano La Chorrera dal Rio Putumayo. Nel 1911 ventimila indio avevano dato la vita per costruire quella pista nella giungla. Agli indio che si rifiutavano di lavorare venivano tagliati con il machete la pianta dei piedi e i glutei. Ma per cosa? Affinché, secondo un tipico e surreale atto di ubris tecnocoloniale, un carro a motore potesse, nel 1915, percorrere quella pista. Era un viaggio dal nulla al nulla.

Camminando lungo quei sentieri tristi e deserti, a volte mi sembrava di udire il suono delle voci e il rumore dei piedi incatenati. I monologhi di John Brown mi avevano preparato solo un poco a lla singolarità di La Chorrera. La mattina in cui la nostra barca stava partendo per condurci lungo il fiume, facemmo una sosta presso la sua casa. Gli occhi e la pelle gli luccicavano. Era il custode della porta del plutonico mondo a Sud di Puerto Leguizamo e sapeva di esserlo. Mi sentivo come un bambino da-vanti a lui e lui sapeva anche questo.

"Bye, Bye, babies. Bye bye", fu il suo secco addio.

* John Estacion Riverà, uno storico colombiano, ha raccontato la storia in modo differente sostenen-do che Brown era implicato negli omicidi e creando così le basi per la storia del sanguinero.

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2 NEL PARADISO D L DIAVOLO

In cui Solo Dark ed Ev vengono presentati e il passato di ognuno di noi viene narrato. Riflessioni filosofiche durante una languida

discesa del fiume Putumayo.

11 0 DETTO CHE ERAVAMO UN GRUPPO DI CINQUE? ERAVAMO

cinque quando arrivammo a La Chorrera, ma eravamo sei a ri-partire da Puerto Leguizamo. Io ed Ev vivevamo insieme, per

quanto una coppia possa vivere insieme quando ogni notte deve scendere da una barca per appendere le proprie amache agli alberi, in compagnia di altre quattro persone. Ma anche lui era con noi: Solo Dark.

Devo descrivervi Solo. Faceva parte di una setta religiosa con sede in Sud America e che non avevo visto nemmeno in India, chiamata la "Nuo-va Gerusalemme". I devoti, che erano quasi tutti fruttivori, erano una tribù composta principalmente di americani, che dal 1962 o 1963 avevano scorrazzato per l'America latina, imbrogliandosi gli uni con gli altri, vi-vendo insieme, odiandosi e organizzando loschi intrighi. Comunicavano per mezzo di tavole ouija con entità che chiamavano "esseri di luce". Ave-vano costruito un'intera mitologia a proposito de lla reincarnazione. Se-condo loro, ognuno di noi è una reincarnazione.

Alcuni sostenevano di essere la reincarnazione di Rasputin; un altro, che era fuggito dalle alte sfere degli Hare Krishna e indossava sempre vesti bianche e stivali da pioggia anch'essi bianchi, era la reincarnazione di Erwin Rommell. Il leader dagli occhi infuocati dell'intero gruppo era Solo. Era stato il compagno di Ev per quattro anni.

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NEI. PARADISO I>EI. DIAVOLO 27 26 VERE ALLUCINAZIONI

Devo forse chiarire che Solo era un tipo strano? Con la sua insondabile melanconia infantile e i suoi lunghissimi capelli selvaggi, aveva un aspetto imponente. Credeva di essersi incarnato in parecchi importanti personag-gi storici: Cristo, Hitler, Lucifero. Era un cliché deprimente e prevedibile al tempo stesso.

Mi trovavo davanti a un dilemma assai strano, sebbene le mie categorie di pensiero non fossero affatto rigide. Avevo passato la maggior parte dei tre anni precedenti vivendo come un eremita solitario, imparando lingue asiatiche ormai morte e studiando lepidotteri nell'entroterra indonesiano, e non avevo familiarità con le abitudini tipiche dei più esotici fra i miei coetanei nell'era del post-Charles Manson. Pensavo: "Non possiamo risol-vere tutto amichevolmente? Non siamo tutti hippy felici?" Forse ero stato in Asia troppo a lungo; in ogni modo, stavo per imparare che tra gli entu-siasti della "Nuova Gerusalemme" c'erano un sacco di personaggi alluci-nanti e difficili da sopportare. Se Solo non approvava qualcosa che stavi facendo, guardava nel vuoto per un attimo e poi annunciava che proprio in quel momento gli "esseri di luce" gli avevano rivelato che non dovevi, per esempio, pelare la frutta con un coltello. Ogni piccola parte dell'esi-stenza era controllata da queste forze nascoste. Solo viaggiava con alcuni animali: cani, gatti, scimmie e aveva appunto una scimmia che pensava es-sere l'incarnazione di Cristo. Insisteva perché tutti gli animali fossero ve-getariani e così erano malnutriti e in cattiva salute e, mentre roteava gli oc-chi, mi diceva: "Questo è Budda, questo è Cristo, quello è Hitler". Non che fosse proprio così demente, esagero un po' per dare colore, ma era chiaro che nella mente di Solo la cosa si avvicinava alla mia descrizione.

Quando partimmo da Puerto Leguizamo, eravamo in sei: io,Vanessa, Dave, Ev e Dennis. E Solo. Sei freak. Il nostro gruppo si era incontrato per la prima volta a Capodanno, poco più di due mesi prima, quando ci imbattemmo in Solo ed Ev, che stavamo ancora insieme e non avevano al-cuna intenzione di unirsi a noi. Il nostro incontro avvenne a San Augusti-ne, una città colombiana avvolta nella nebbia. Quella notte sembrava ap-partenere a un passato lontano. Soltanto un giorno o due dopo quella se-ra, io, Vanessa e Dave eravamo partiti per Bogotà. Nei giorni seguenti alla nostra partenza, Ev e Solo litigarono furiosamente; all'apice della lite, So-lo, in presenza di ospiti, la disarcionò da cavallo gettandola in una profon-da pozza di fango. Immediatamente Ev lo lasciò e venne a Bogotà in un appartamento che lei e Solo ci avevano offerto. Nelle due settimane in cui ci procurammo i materiali per la spedizione, io ed Ev cominciammo a es-

sere sempre più vicini, così lei si aggregò a noi quattro che costituivamo il gruppo originario. La forte luce andina che passava attraverso il lucerna-rio del nostro appartamento diventava sempre più intensa a causa dei riti di distacco e contaminazione che unirono me ed Ev. Ma questo non era un idillio per tutti. Per Vanessa, che una volta era stata la mia fidanzata, era certamente una fonte di risentimento; all'interno del labirinto spec-chiato dei sentimenti, le vie d'accesso erano aperte e invitanti.

Le dissi: "Mi piace questa donna e per di più parla spagnolo". Era il mio argomento migliore, ovvero l'unico che inducesse alla ragione. "Se davvero pensi che dobbiamo imbarcarci in un viaggio nel bacino delle Amazzoni, con la scarsa conoscenza della lingua che abbiamo, allora la cosa più sensata è che Ev venga con noi".

Alla fine Vanessa approvò. Nel frattempo, la situazione si era compli-cata: Dave, ignaro del legame tra me ed Ev e de lla sua rinuncia ad andare in Perù, aveva invitato anche Solo. Durante il nostro primo incontro a San Augustine, Dave era stato molto impressionato da lla conoscenza della Co-lombia che Solo aveva dimostrato e quindi gli aveva telegrafato, invitan-dolo a unirsi a noi a Florencia e a viaggiare con noi nelle Amazzoni! Quando a Florencia scendemmo da un vecchissimo aeroplano de lla Co-lombian Air Force, con me c'erano Dave, Vanessa, Ev, Lhasa, quello era il nome del cucciolo di Ev, e mezza tonnellata di materiali che doveva essere trasportata lungo il Putumayo. Ad aspettarci all'aeroporto c'era Solo che pensava che la donna che aveva vissuto con lui per quattro anni fosse an-data in Perù con la reincarnazione di Rommell. All'aeroporto, quando scoprì la verità, ci fu una scena patetica.

Più tardi, in città, io ed Ev prendemmo una stanza d'albergo, lasciando a Solo il compito di tirare le sue conclusioni. La mia speranza era che Solo, vedendo che la vita di Ev aveva preso una nuova piega, se ne andasse per la propria strada. Ero sconcertato dal nostro incontro e siccome non brillo per coraggio e odio le tensioni, decisi di non affrontare la situazione.

Solo venne nella nostra stanza. Parlò della necessità di analizzare ogni punto di vista e poi concluse: "Sembra che io non abbia niente da fare qui. Penso che me ne tornerò a Bogotà".

"Grazie a Dio! ", pensai. Poi tornò nella sua stanza a comunicare con gli "esseri di luce". Tornò

indietro dopo due ore dicendo: "Non lo potete trovare senza di me," si ri-feriva all 'oo-koo-hé, "non sapete nulla della giungla. Io sono un uomo del-la foresta".

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28 VERE ALLIJL,INAZIfDNI NEL PARAIL1 1 SCD D EL IL) I â V f)L O 29

Con grande riluttanza approvai la sua idea e subito dopo volammo a Puerto Leguizamo. A questo punto con noi c'erano anche Solo, il suo ca-ne, il suo gatto e la sua scimmia. Indossava una toga e aveva un bastone ornato di fasce di stoffa brillanti. Appariva minaccioso e ridicolo.

Sapevo che le barche partivano da Pue rto Leguizamo irregolarmente e pensai che forse avremmo dovuto aspettare per due settimane. L'albergo era minuscolo, il cibo terribile. Forse ci saremmo sfregati l'un con l'altra e allora Solo se ne sarebbe andato, ma lui si divertiva a obbligare Ev a lun-ghe e intense conversazioni: stava diventando un peso per tutti.

Le cose non andavano così come avevamo pensato. Trovammo una barca, la Fabiolita, che sarebbe partita entro due giorni; quindi ci accor-dammo e pagammo seicento pesos per la tariffa. All'alba della mattina sta-bilita, i nostri animali, le macchine fotografiche, l'I-Ching, le reti da farfal-le, i blocchi per gli appunti, una copia di Finnegans Wake, l'insetticida, le zanzariere, le amache, i binocoli, i registratori, il burro di noccioline, un po' di droghe e tutte le altre cose di cui si può avere bisogno nel bacino delle Amazzoni vennero ammucchiate sulla riva del fiume. Una volta saliti sulla piccola barca che sarebbe stata il nostro vascello, Ermito, il nostro capitano, ci indicò la nostra cuccetta sopra le casse di soda. Ci informò che ci volevano da sei a dodici giorni per la nostra destinazione, a seconda di come sarebbero andati gli affari. John Brown venne a salutarci. Svento-lava un grande fazzoletto bianco e, mentre salpavamo, si rimpicciolì fino a diventare un puntino lontano. Pue rto Leguizamo sparì e il nostro mondo divenne il fiume, il verde, le nuvole di insetti, di pappagalli e l'acqua mar-rone. Eravamo nel mezzo del fiume sotto un cielo immenso. È un momen-to delizioso quando uno ha fatto tutti i preparativi per un viaggio ed è fi-nalmente in movimento, senza più alcuna responsabilità, poiché quel peso è stato passato a un pilota. Staccati dal mondo che stavamo lasciando, ver-so una destinazione ancora sconosciuta.

Guadagnai un piccolo spazio dove mi sedetti a gambe incrociate e mi rollai una canna di erba proveniente dal chilo di Santa Marta Gold che ci eravamo portati dietro durante il mese trascorso a Bogotà. Il flusso del fiume era come il ricco fumo che inalavo. Il flusso del fumo, il flusso dell'acqua e del tempo. "Tutto scorre", aveva scritto una volta un amato greco. Eraclito era noto come il filosofo piangente, come se le sue parole nascessero dalla disperazione. Ma perché piangere? Amo ciò che dice e non mi fa piangere. Invece di interpretare panta rei come "niente resta uguale nel tempo", l'avevo sempre considerato come un'espressione occi-

dentale dell'idea di tao. E così noi eravamo qui, nel flusso del Putumayo. Che lusso essere qui a fumare, ancora ai tropici, ancora nella luce, lonta-no dai luoghi della mo rte. Lontano dalla vita vissuta in Canada sotto lo stato d'emergenza, sul confine di un'America folle e pregna di guerra. La morte di mia madre aveva coinciso con la perdita di tutti i miei libri e le mie pitture, che avevo collezionato e custodito e che erano bruciati in uno dei periodici roghi che devastano le colline di Berkeley. Cancro e fuoco. Fuoco e cancro. Via da queste cose terribili, dove gli edifici da Mo-nopoli e la vegetazione simile a cera, crollavano nelle fenditure del pae-saggio psichico vivente.

Prima di tutto questo, c'era stata Tokyo: la sua atmosfera da pianeta nello spazio galattico, la pretesa di funzionare al ritmo del lavoro. Quanto disumano si può diventare vivendo per un po' in una situazione disuma-na? Le notti in treno, le stanze senz'aria delle scuole di inglese akihabara: ma Tokyo ti faceva spendere quei soldi che potevano garantirti l'unica via d'uscita da quel circolo vizioso.

Ripensai ai dieci mesi di alienazione che erano cominciati lasciando l'Asia tropicale. Come una cometa che viene attratta fino a scontrarsi con la propria stella, mi sentivo trascinato tra Hong Kong, Taipei, Tokyo e Vancouver, prima di passare per un'America assetata di guerra e poi fino all'oscurità di altri, nuovi e disperatamente poveri paesi tropicali. Il volo da Vancouver a Città del Messico passò sopra mia madre che, per il primo inverno, dormiva nella sua tomba. Albuquerque era solo un intricarsi di autostrade nel vuoto della notte del deserto. Durante tutto questo tempo avevo un solo pensiero: l'Amazzonia.

Là, sul fiume, il passato tornava rompendo la tranquillità e scorrendo davanti all'occhio della mente, rivelando un'oscura struttura di sofismi in-terdipendenti. Forze visibili e nascoste che si estendevano nel passato, mi-grazioni, conversioni religiose: le nostre scoperte personali ci rendono un microcosmo di un più grande disegno della storia. L'inerzia dell'introspe-zione conduce ai ricordi, poiché solo attraverso il ricordo possiamo cattu-rare e capire il passato. Siamo tutti attori nel gioco de lla creazione del pre-sente. Ma nei vuoti, nei rari momenti di deprivazione sensoriale, quando l'esperienza nel presente è ridotta al minimo, come per esempio durante dei lunghi viaggi in aereo, o come durante un tranquillo viaggio interiore, allora la memoria è libera di parlare e di richiamare i paesaggi dei nostri sforzi dai momenti ormai passati.

Oggi, un oggi che è oltre i confini di questa storia, un oggi in cui questa

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VERE AILLUC'1(NAZUCDN11 NEL PARADISO D EL DIAVOLO 31

storia è lontana, non mi preoccupo più del passato come facevo allora: vi-vo l'attimo presente in modo molto diverso.

Ci aspettavano cinque giorni di viaggio lungo il fiume, cinque giorni in cui la mente avrebbe potuto giocare liberamente. Sul grande fiume le cui rive apparivano lontane, soltanto una linea verde separava il fiume dal cie-lo, il nostro mondo era diviso in due categorie: il conosciuto e íl mistero. Il mistero spingeva le nostre conversazioni a cercare vuote analogie: il Putu-mayo era come il sacro Gange. La giungla evocava Ambon. Il cielo era co-me il cielo sopra la pianura di Serengeti e così via. L'illusione di capire era una via distorta per sentirsi a proprio agio. Ma in questo gioco il mistero non rivelava i propri segreti, il Putumayo non diventava come il Gange: il mistero vuole essere trattato come tale, prima di essere svelato.

Le sole cose familiari qui sono le persone venute con me. Esse appaiono come misure conosciute perché le ho conosciute nel passato. Così quanto a lungo il futuro resterà nella medesima relazione col passato, loro rimar-ranno conosciute. Certamente questa non era New York, Boulder o Berke-ley e non è facile prescindere dall'ambiente intorno, sviluppare un senso dell'azione più appropriata senza andare alla ricerca del savoir faire. La fredda estetica dello straniero: "Chi, io? ! Io sono solo di passaggio". È la conoscenza dei miei amici che, ai miei occhi, rende loro come finestre spa-lancate sul passato. Dennis più di ogni altro. Aveva percorso un cammino lunghissimo vicino a me, non c'è bisogno di tirare in ballo i geni che abbia-mo in comune. La nostra connessione è oltre il linguaggio e le parole, sia-mo cresciuti nella stessa casa e abbiamo condiviso gli stessi divieti e libertà finché a sedici anni non me ne andai di casa. Ma in tutto quel tempo ero ri-masto vicino a Dennis.

Due anni e mezzo prima, quando avevo ventidue anni, viaggiavo nella stiva del Karanja di proprietà della British Steam Navigation Company, ero debole e semidelirante, distrutto dall'orticaria, dal crepacuore e da lla dissenteria. Gli otto giorni da Po rto Victoria, nelle Seyche lles, a Bombay, nel 1968 costavano trentacinque dollari e nonostante fossi malato, ero co-stretto a viaggiare nella classe più scadente, altrimenti le mie finanze non sarebbero mai bastate per portarmi a casa. La mia cuccetta era fatta da una lastra di metallo che usciva dal muro. Cessi pubblici e il martello dei motori. L'acqua di sentina paludeggiava da un angolo all'altro del corri-doio. Millecinquecento indiani cacciati dall'Uganda per la decisione del governo di africanizzare la nazione, viaggiavano nella stiva. Per tutta la notte le donne indiane andarono avanti e indietro dai bagni davanti al mio

corridoio pieno di melma e sussulti di motore. Senza hashish e oppio sa-rebbe stato insopportabile. Agli occhi di questi indiani borghesi, io e le mie consolazioni eravamo un esempio di assoluta depravazione e inde-gnità morale, così mi additavano mostrando ai loro figli i mali degli hippy e della vita in generale.

Dopo molti giorni in queste condizioni, mi svegliai febbricitante in piena notte. Nell'aria c'era un odore di curry, escrementi e olio di macchi-na. In qualche modo raggiunsi il ponte. La notte era calda e l'odore del curry mi inseguiva anche là fuori. Mi sedetti appoggiandomi a una scatola di metallo dai colori sgargianti contenente un estintore. Sentii che la feb-bre se ne andava e subito arrivò una sensazione di sollievo. Il passato re-cente, la mia delusione romantica a lle Seychelles e a Gerusalemme, sem-brarono abbandonarmi per un attimo. Finalmente potevo pensare al futu-ro. Senza preavviso, un'idea mi attraversò la testa: sarei andato in Sud America con Dennis; ne ero sicuro.

E, con il tempo, questo accadde. Non subito, avrei vagato ancora un po' in Oriente ma infine, nel febbraio del 1971, la profezia si avverò. Il fiume, la giungla e il cielo ci conducevano a La Chorrera. Questa barca era molto piccola, come la Karanja, ma il suo motorino a diesel era un'eco di più grandi motori futuri. Sì, Dennis fu il primo. Mi venne in mente con i ricordi dei nostri giorni passati insieme in Colorado; era lì, come sempre, vicino a me, eravamo due mosche congelate in ricordi d'ambra di gite nei pomeriggi d'estate.

Per gli altri, un'altra storia. Io e Vanessa eravamo stati insieme a Berkeley dal 1965 al 1967. Erava-

mo due studenti su posizioni politiche radicali. Lei veniva da New York, dall'Upper East Side. Suo padre era un grande chirurgo, la sorella maggio-re una psicanalista, sua madre dava ricevimenti per le mogli dei delegati delle Nazioni unite. Vanessa era passata per varie scuole private poi, con un gesto liberal, i suoi genitori l'avevano mandata a Berkeley, un'università statale. Lei era intel ligente e aveva un'inclinazione selvaggia per la sua biz-zarra sessualità e i suoi grandi occhi marroni non potevano nascondere una crudeltà da gatto e il suo amore per i giochi di parole. Facevamo pa rte del college sperimentale a Berkeley ma, nell'autunno del 1968, io andai a New York cercando di vendere il manoscritto che avevo scritto durante il mio

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isolamento alle Seychelles. Era una folle dissertazione in stile McLuhan che, fortunatamente, nessuno pubblicò ma, durante lo strano autunno di quell'anno, con quel lavoro, volai a New York, dove non conoscevo nessun altro all'infuori di Vanessa. Mi tirò fuori dal dormitorio della Quaranta-treesima Strada e mi convinse a trasferirmi all"`Hotel Alden" a Central Park West, un posto che sua madre aveva scelto per me. La nostra partenza sul fiume, verso il cuore de lle Amazzoni, avvenne tre anni dopo il languido momento in cui io e Vanessa sedevamo insieme in un ristorante all'aperto vicino alla fontana di Central Park, lei con il suo Dubonnet e io con la mia Lowenbrau. Agli occhi del povero studioso e del rivoluzionario che pensa-vo di essere, la scena nella sua casuale eleganza appariva da film, ma i costi di produzione erano decisamente più alti di quelli che potevo permetter-mi. La conversazione si spostò su mio fratello, che allora aveva solo diciot-to anni e che Vanessa non aveva mai incontrato: "Dennis è davvero una sorta di genio. In ogni modo, sono suo fratello e ho grande stima per lui, perché l'ho visto crescere da vicino".

"E lui ha avuto un'idea che consideri ricca di potenzialità, non è ve-ro?", domandò lei.

"Detta così, è una banalizzazione. Penso che abbia preso l'angelo della gnosi per la gola e che l'abbia messo al tappeto. Quest'idea secondo cui alcuni allucinogeni lavorano inserendosi nel DNA è grandiosa. Contiene una parte di verità che non posso ignorare. La rivoluzione politica si sta sputtanando. Quindi adesso la cosa più interessante nella nostra vita è il DMT, no?"

"Rispondo di sì, ma ho dei seri dubbi." "Dubbi solo perché po rta a conclusioni estreme e sconvolgenti. Forse

dovremmo smetterla di cazzeggiare e dovremmo affrontare il mistero del DMT. Chiunque abbia studiato la storia de lla civiltà occidentale per alme-no dieci minuti può capire che questa cosa ti mette in contatto con... È una specie di oltraggio che, se lo capisci, potrebbe, e sai che penso proprio di sì, avere una grandissima importanza per la crisi storica che coinvolge tutti."

"OK. Diciamo che sospendo ogni giudizio. Allora che si fa?" "Non sono sicuro. Cosa ne dici di un viaggio in Amazzonia? Là le

piante allucinogene sono endemiche e, sempre là, c'è abbastanza isola-mento per tutti."

"Forse. Io sto cercando di partecipare a uno scavo nel deserto di Gib-son, in Australia, l'anno prossimo."

"Capisco. Io, invece, ho deciso di darmi al commercio di hashish in

Asia per qualche mese. No, questo viaggio amazzonico, se mai avverrà, è per il futuro. Ma dovresti pensarci e c'è dell'altro..."

"Lui abbassò la voce in tono misterioso...", disse Vanessa imitando un commentatore radiofonico.

"Sì. L'altro sono i dischi volanti. So che sembra demenziale, ma credo che le due cose siano connesse. Non mi è ancora chiaro come. Fortunata-mente c'è tempo di scoprirlo, ma credo che il DMT sia connesso con la parte psichica-junghiana dei dischi volanti. È un po' oscuro, lo so. È solo un sospetto, ma è forte."

Dave era qualcosa di diverso. Lo chiamavamo "il figlio dei fiori". Era divertente, un'amalgama paradossale di ingenuità e intuizioni. Se nei ne-gozi avessero venduto un costume da Arlecchino, lui l'avrebbe comprato. Un conte polacco, ambasciatore a lla corte di Elisabetta la Grande e amico del dottor John Dee, uno dei miei idoli personali, dava lustro alla sua ge-nealogia. Avevo incontrato Dave nell'estate del 1967 a Berkeley. Faceva-mo l'autostop insieme all'incrocio della Ashby e della Telegraph, e quan-do un'anima pia ci caricò entrambi, facemmo conoscenza mentre la mac-china passava sul ponte per San Fr ancisco. A Berkeley, Dave si manteneva vendendo il "Berkeley Barb" e ogni altra cosa che puoi vendere quando te ne stai sempre in giro. Dopo quei tempi, Dave si era laureato, sia alla co-mune newyorkese che aveva idealizzato sia alla Syracuse University in et-nobotanica. Ci scrivemmo quando ero a Benares e lui si convinse a venire con me nel bacino delle Amazzoni. Nelle giungle e nelle montagne del Sud America avrebbe trovato un mondo ancora più affascinante di come se lo immaginava. Oggigiorno, non è ancora ritornato dal nostro viaggio.

Ci vollero quasi due anni prima di mettere in pratica i nostri piani. A fine agosto del 1969, il destino mi aveva tramutato da contrabbandiere di hashish in fuggitivo, quando una delle mie spedizioni Bombay-Aspen non era passata inosservata a lla dogana americana. Passai in clandestinità e me ne andai per il Sud-Est asiatico e l'Indonesia, ad ammirare rovine e colle-zionare farfalle. Poi andai in Giappone. Dubito che questo mi desse il pri-mato in esperienza sugli altri. In ogni modo, il mio nuovo status di despe-rado non arginò la mia passione per l'Amazzonia. Sognavo ancora di visi-tare le verdi dimore dei nativi.

Infine, io, Vanessa e Dave ci incontrammo a Victoria, nella Colombia

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NE L ;PAì[gAD1SO ][DIEL DIAVOLO 35 34 VERE ALLUCINAZIONI

Il conosciuto svanisce. Il fiume è immenso. Il mistero della situazione presente sta nella stranezza di questo posto. La monotonia dell'acqua. Di-scendere il Rio Putumayo per cinque giorni ci porterà alla foce del Rio Ca-ra-Parana. Là c'è una missione chiamata San Raphael. Stiamo cercando il dottor Alfredo Guzman, citato in uno dei nostri documenti come il pos-sessore di un campione dell'oo-koo-hé che stiamo cercando. Guzman è un antropologo che lavora con i witoto a Nord di San Raphael, in un minu-scolo villaggio suggestivamente chiamato San Jose del Encanto. Questo villaggio è situato all'inizio delle antiche piste dei raccoglitori di gomma che conducono attraverso la giungla fino a La Chorrera. Guzman potreb-be aiutarci nella nostra ricerca e trovarci dei portatori da ingaggiare per il viaggio sulla terraferma. Ma ancora molti giorni ci separano da lui.

Nel frattempo, l'affollato mondo di questa barca per commerci, la Fa-biolita, diventa il nostro; il suo scopo è vendere scarpe di plastica, cibo in scatola e lenze da pesca ai piccoli agglomerati di case che appaiono sulla riva ogni giorno. Quando arriviamo e sbarchiamo, mentre il jefe della bar-ca fa negocios con i colonialistas, cammino nella giungla con il mio retino da farfalle, sperando di sfuggire a lle fameliche zanzare che sciamano vici-no alla barca all'ancora.

A volte ci sono lunghe animate conversazioni a cui tutti prendono par-te. A volte, cade su di noi un silenzio che continua per ore, ogni volta che ci rilassiamo osservando la riva o scivolando nella siesta.

Britannica. Vivemmo lì per tre mesi in una casa di legno che affittammo da una famiglia di sikh. Frugavamo a lla ricerca di articoli, scrivevamo let-tere e mantenevamo una corrispondenza costante con Dennis che era in Colorado. Preparando l'impresa, ammassavamo informazioni su quel mondo quasi mitico che nessuno di noi aveva mai visto.

Mentre vivevo in Canada mia madre morì, dopo una lotta con il can-cro. Quando venne sepolta, l'isola di Vancouver, persa in un vortice di ne-ve, sparì finalmente dal nostro orizzonte. Alla fine, il nostro viaggio stava cominciando a sembrare possibile: una dopo l'altra le barriere che ostaco-lavano la nostra entrata nel mondo magico svanirono. Dal diario del mio primo giorno sul fiume:

6 febbraio 1971 Siamo finalmente liberi dal cordone ombelicale che ci lega alla civiltà. Questa mattina, sotto l'incerto cielo che caratterizza l'Amazzonia du-rante la stagione secca, siamo partiti. Siamo parte di una flotta di ven-ditori di benzina e bibite diretta a La Chorrera, flotta che ci porterà fi-no a El Encanto sul Rio Cara-Parana. Mentre mi muovo verso il cen-tro della geografia del segreto, sono indotto più che mai a considerare il significato di questa strana ricerca. Ho difficoltà ad analizzare il contenuto delle mie aspettative. Non ho dubbi che, procedendo oltre, raggiungeremo ciò che vogliamo. Abbiamo cercato così a lungo questa cosa ed è così difficile da capire. Le proiezioni, riguardo chi saremmo stati o cosa avremmo fatto una volta finito il viaggio, sono inconscia-mente basate sul presupposto che la nostra esperienza non ci trasfor-merà, presupposto che è senz'altro falso, ma l'alternativa può essere immaginata solo con grandi difficoltà intellettive. Più tardi: due ore da Puerto Leguizamo, i venti ci hanno obbligato a fermarci sulla riva peruviana per aspettare che il tempo migliori. Sia-mo a Puerto Naranja. Non è nemmeno segnalato sull'atlante. Diviene subito chiaro cosa significhi viaggiare su questo fiume. Seguire il cana-le implica muoversi da una riva all'altra, molto vicino a terra. La terra è ricoperta dalla giungla come da un baldacchino. Mi ricorda Central Seram o la costa di Ambon, una foresta venusiana. Il sordo tamburo del motore, il tubare dei piccioni che fanno parte del nostro carico. Come il sacro Gange, la scura e tranquilla acqua del Putumayo scorre in fretta attraverso i nostri sogni e i nostri castelli in aria. Solo mi fissa in continuazione.

7 febbraio 1971 Domenica. Ieri notte siamo arrivati in un luogo senza nome e abbiamo usato le zanzariere e le amache per la prima volta da quando siamo nel-le Amazzoni. Alle otto del mattino siamo di nuovo sul fiume sotto un plumbeo cielo piovoso. Gli umori via via che ci avviciniamo al segreto sono molti. L'aria è ricca di ossigeno e gli odori che ci raggiungono dal-la foresta di liane cambiano con la frequenza di una sonata. Brevi fer-mate ai controlli di polizia e su rive deserte, caratterizzano anche que-sta giornata. Oggi, dopo quaranta minuti di viaggio mattutino, passan-do per un punto dove l'acqua era poco profonda, siamo arrivati su di un argine di creta nella parte peruviana del fiume. Qui, migliaia di pappagalli erano riuniti intorno a una pozza di sale. L'acuto suono del-la loro voce collettiva e i corpi verdi iridescenti che attraversavano l'aria aumentavano l'impressione di muoversi in un mondo acquatico venusiano. Siamo sbarcati e alcuni dell'equipaggio hanno catturato

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36 VERE ALLUCINAZIONI NEQ. PARADISO DEL DIAVOLO

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qualche pappagallo, aggiungendoli alla lunga lista di mercanzie della barca. Includendo la nostra piccola scimmia, la popolazione animale di quest'arca dei folli conta due cani, tre scimmie, un gattino, una specie di daino, un gallo, un maiale e una gabbia di piccioni. Oggi è luna pie-na e domani arriveremo a El Encanto. Là, secondo i piani, dovremmo incontrare il dottor Guzman. Le tensioni che ci dividono sono eviden-ti. Vanessa e Solo, che hanno pochissimo in comune, sembrano buoni amici. È forse perché ho fatto incazzare Vanessa? Non va affatto bene. Dennis è calmo. Dave si preoccupa della scorta di cibo; è cronicamente preoccupato. Ed è pure ingenuo. Pensa addirittura che uno possa to-gliersi le scarpe, andare da un fratello indiano, dirgli che vuole impara-re i segreti della foresta e che l'indiano risponderebbe: "Certo, figlio. Vieni con noi e ti insegneremo i segreti della foresta". Ora che si deve confrontare con la realtà della giungla, non sembra più così sicuro. Gli animali di Solo cadono dalla barca quasi ogni ora. Il capitano ci odia perché dobbiamo fermarci a ripescare le scimmie a mollo.

Quella notte campeggiammo sulla riva peruviana. Dopo il tramonto, intorno al fuoco, la conversazione si spostò sull'imminente eclissi di luna. Pensammo al destino dell'equipaggio dell'Apollo 14 che quella sera stava tornando da quella stessa luna. Quella era l'ultima notizia che avevamo ri-cevuto prima di partire da Pue rto Leguizamo.

A un certo punto, nel cuore della notte, mi svegliai nell'amaca e, dopo aver ascoltato i rumori degli insetti, mi misi gli stivali e me ne andai su una piccola collina che stava sopra il luogo dove avevamo lasciato la barca. Là osservai il fiume e la via per cui eravamo giunti. Ora tutto era trasformato, la giungla era spettralmente silenziosa, la luna era ridotta a una fetta aran-cio-rossa, l'eclissi era vicino alla totalità.

Lo spettacolo e la sensazione erano totalmente "altro". Soli, nell'im-mensità della giungla e di fiumi grandi più di quanto avessi mai visto, sem-bravamo testimoni di una diversa dimensionalità, dello scontro di geome-trie extraterrestri: signori di luoghi mai visti né sognati dall'uomo. Pochi chilometri lontano, la pioggia stava cadendo da una nuvola immobile nel cielo; il fogliame sembrava nero con frecce d'arancio.

In quel momento non sapevo che l'eclissi, che mi aveva chiamato dal-l'amaca a questa vista soprannaturale, avrebbe innescato uno spostamento di miliardi di tonnellate di roccia lungo la faglia di Sant'Andrea in Califor-nia. Il caos stava per scoppiare nell'inferno di Los Angeles. In una specie

di cartone animato, mi posso immaginare gli abitanti che si riversavano terrorizzati per le strade con gli occhi fuori da lle orbite e con pettinature bombate stile anni Cinquanta, tra le luci e lo smog, per sfogare la loro iste-ria davanti alle inquadrature dei telegiornali. Non sapendo nulla del mon-do al di là della foresta e del fiume, tornai all'amaca esaltato e su di giri, quel bizzarro momento così strano sembrava un presagio di grandi eventi.

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3 LUNGO tC7N C AM M NO

SP N,TTRAII,E

In cui incontriamo un bizzarro antropologo e sua moglie, ci separiamo da Solo Dark, e raggiungiamo la nostra destinazione

alla Missione La Chorrera.

L GIORNO SUCCESSIVO, POCO DOPO L'ALBA, LA NOSTRA BARCA

abbandonò il vasto corso del Putumayo e voltò verso il Rio Cara-Para- na per gli ultimi chilometri prima di San Raphael, dove saremmo

sbarcati. Il Cara-Parana rientrava perfettamente nella mia idea di vero fiu-me della giungla, dal momento che era largo poche decine di metri nel punto più ampio e aveva una vegetazione rigogliosa che cresceva sulle ri-ve. Il suo flusso era così sinuoso e imprevedibile che non si riusciva mai vedere oltre qualche centinaio di metri. A metà mattina arrivammo a un promontorio sulla cui cima era issata una bandiera bianca e dove si pote-vano scorgere alcuni costruzioni sgangherate che per gli standard del po- sto, delle palafitte col tetto di paglia, parevano lussuose.

Quella era la "Missione San Raphael". Fummo ricevuti senz'alcun entusiasmo da Padre Miguel. Era un castigliano magro, con occhi sca-vati e un inizio di paralisi provocato anni prima dalla malaria. Era stato in Amazzonia per più di trent'anni. Non era possibile leggere sul suo volto cosa pensasse di noi. Aveva visto antropologi, botanici e avventu-rieri, ma percepii che i nostri capelli lunghi e il nostro atteggiamento ri-lassato lo innervosivano. Il suo nervosismo aumentò quando domandai del dottor Guzman.

L'aggrottarsi del suo volto rese chiaro che la mia domanda toccava un

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LUNGO YJN CAMMINO SPETTRALE 41 40 VERE ALLUCaNAZ1ONIl

punto dolente. In ogni modo ci fu offerto un passaggio fin dove partiva un sentiero per San Jose del Encanto.

"Si, il dottor Guzman è senza dubbio là. È passato di qua tre settimane fa per tornare ai suoi studi linguistici. Sua moglie era con lui". Il volto del prete si fece più duro. "Potete essere sicuri di trovarlo."

Ci fu offerto il pranzo da lla suora in servizio; La Madré era il nome desi-gnato per la madre superiora in queste missioni. Mentre mangiavamo, Ev fece altre domande al prete riguardo a La Chorrera. Lui confermò che a una spedizione sarebbero occorsi cinque giorni per percorrere il sentiero. Quando gli facemmo presente il nostro bisogno di portatori, Padre Miguel ci disse che forse avremmo trovato aiuto a El Encanto, ma eravamo nella stagione di caccia e gli uomini sarebbero stati riluttanti ad abbandonarla per andare a La Chorrera. Poiché non volevamo caricarci di pesi nell'ulti-mo tratto per La Chorrera, dopo pranzo ricontrollammo i nostri bagagli. Con riluttanza abbandonammo molti libri mentre il nostro archivio di piante e droghe fu ridotto all'essenziale; le macchine fotografiche e l'equi-paggiamento per collezionare insetti furono depositati e tutto venne messo in un baule e dato in custodia al prete fino al nostro ritorno. Il cucciolo di Ev, Lhasa, finì nelle mani della Madré, la cui ammirazione per la bestia sembrò un'opportunità troppo ghiotta per non essere sfruttata. Il lavoro finì e noi caricammo i nostri bagagli alleggeriti sulla veloce barca del prete: un grande lusso in un mondo dove una canoa è il mezzo di trasporto mi-gliore. In pochi minuti eravamo sulla superficie marrone del fiume, al cen-tro di un'onda di tremendo rumore meccanico. Il prete sembrava più uma-no e tranquillo, con la sua tunica marrone mossa dal vento e la sua lunga barba che ondeggiava a lla luce del sole. Dopo quaranta minuti di viaggio, avevamo già coperto la distanza percorribile in un giorno da una canoa. Improvvisamente il prete girò la piccola barca ad angolo retto rispetto al flusso del fiume e la diresse verso una striscia di terra. Il posto non sembra-va essere meno desolato di qualunque altro luogo che avessimo incontrato durante la nostra selvaggia discesa del fiume, ma il prete si arrampicò sulla sponda e ci indicò un largo sentiero parzialmente ricoperto di rampicanti. Mentre scaricavamo le nostre scorte sulla sabbia, Padre Miguel ci spiegò che c'era un chilometro per raggiungere il villaggio.

"Sono sicuro che verrete degnamente ricevuti", disse il prete dal fiu-me mentre girava la sua piccola barca. Poi sparì. Per molto tempo, do-po che lo avevamo visto scomparire dietro una curva sul fiume e che il suono dei motore era cessato, la superficie cristallina del fiume continuò

a muoversi mentre si infrangeva sulle rive come l'ultima eco di un inso-lito turbamento.

Silenzio. Poi íl suono acuto degli insetti attraversò la zona come un si-pario che si apre. Silenzio di nuovo. C'era la giungla, il fiume e il cielo. Nient'altro. Eravamo soli ora, senza alcuna guida e, in quel momento, su quella lingua di terra sulla sponda di un fiume de lla giungla identico a centinaia di altri fiumi, ce ne rendemmo tutti conto.

Il senso di sospensione del tempo non poteva durare. Dovevamo tro-vare il villaggio e fare tutto il possibile per trasferire le nostre provviste lontano dal fiume. Dovevamo agire prima del tramonto; ci sarebbe stato tempo più tardi per contemplare la situazione. Nessuno voleva rimanere di guardia al mucchio delle provviste, quindi le nascondemmo nei cespu-gli lontano dalla sponda e ci incamminammo lungo il sentiero.

Vanessa portò le sue macchine fotografiche, io portai la mia rete da far-falle col manico retrattile in vibra di vetro.

Il sentiero, ben curato, era largo e facile da seguire. Lontano dalla riva, la vegetazione diveniva meno rigogliosa, così camminammo attraverso un terreno spelacchiato ed eroso. Il terreno era fatto di argilla lateritica rossa che, dove era esposta al sole, era cotta e divisa in frammenti a forma di cu-bo. Dopo mezz'ora di cammino, incontrammo una lenta e lunga salita e ci trovammo di fronte a un gruppo di case costruite su un terreno sabbioso vicino ad alcune palme. Ci colpì la forma di una strana casa al centro del villaggio, che era diversa da tutte le altre. Mentre osservavamo la scena, qualcuno stava osservando noi e la gente cominciò a correre e urlare. Alcu-ni correvano in una direzione, alcuni in un'altra. A lla prima persona che ci raggiunse chiedemmo del dottor Guzman. Circondati dalla gente che ri-dacchiava e sussurrava, fummo scortati a lla casa più curiosa.

La struttura era fatta di foglie di palma infilate tra lunghi bastoni ar-cuati. Non aveva finestre e appoggiava sul terreno, assomigliava a una pa-gnotta di pane integrale. La riconoscemmo come una malloca, il tipo di casa tipico dei witoto. Dentro c'era Alfredo Guzman che riposava su un'amaca appesa tra due pali anneriti dal fumo. La sua faccia era innatu-ralmente scarna, aveva occhi scuri e scavati, e le sue mani erano nervose e scheletriche. Non si alzò, ma fece cenno di sederci a terra. Solo quando mi accomodai vidi che dietro l'amaca, nell'angolo buio della malloca, c'era una donna bianca grassoccia con pantaloni color kaki che puliva dei fa-gioli in una pentola witoto. Dopo che ci fummo seduti, lei alzò lo sguardo. Aveva gli occhi azzurri e anche tutti i denti.

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42 -WERE ALLUCINAZIONJ LUNGO U N CAMMINO SPETTRALE 43

Poi Guzman parlò rivolgendosi a nessuno di noi in particolare: "Mia moglie condivide i miei interessi professionali".

"È fortunato," commentò Vanessa, "le sarà d'aiuto". "Sì". L'asciutta risposta lasciò un silenzio teso. Decisi di andare al punto. "Dottore, le mie scuse per avere disturbato la sua solitudine e l'am-

biente intorno. Capiamo perfettamente íl suo desiderio di non essere di-stratto dal suo lavoro. Vogliamo andare a La Chorrera prima possibile e speriamo che lei possa aiutarci a ingaggiare portatori. Inoltre abbiamo uno scopo particolare. Mi riferisco all'allucinogeno virola di cui lei ha par-lato a Schultes."

Chiaramente sto facendo una sintesi di quanto gli dissi. Parlai più a lungo e arrivai al punto in maniera meno diretta. Parlammo più o meno venti minuti. Alla fine Guzman disse che ci avrebbe aiutato con i portato-ri, ma che ci sarebbe voluto qualche giorno. Scoprimmo che Guzman era un ardente strutturalista, marxista e maschilista e che il suo coinvolgimen-to con i witoto raggiungeva livelli maniacali. I suoi colleghi a Bogotà lo consideravano un po' picchiato. La nostra ricerca dell'oo-koo -hé non rice-vette nessun incoraggiamento da parte sua, anzi ci disse che era un segreto maschile che stava morendo lentamente. A lla fine della discussione, il no-stro piccolo gruppo, accompagnato da una dozzina di indigeni, si diresse verso il fiume e trasportò il nostro equipaggiamento fino a una capanna in disuso vicino al villaggio.

Mentre preparavamo il campo, Annalise Guzman ci portò del caffè fu-mante e si fermò a chiacchierare con noi. Al contrario di suo marito, lei sembrava contenta più che disturbata da lla nostra presenza. Mentre par-lava, cominciammo a farcene un'idea. Aveva frequentato la London School of Economics, aveva studiato antropologia e proseguito gli studi in Colombia, dove aveva incontrato Guzman, più vecchio di lei ma entusia-sta della professione. Ora viveva una vita da pendolare, spostandosi tra il mondo duro e competitivo dell'Università di Bogotà e il piccolo villaggio di San Jose del Encanto. La dipendenza di suo marito alle foglie di coca la preoccupava.

Come tutti gli uomini witoto, Guzman era un entusiasta de lla coca e, masticandola costantemente, era diventato un po' paranoico. Ogni volta che lo vedevamo al mattino, lui aveva il mento macchiato di coca. Poiché la tribù era dura verso le donne, Alfredo, per meglio integrarsi nella so-cietà, aveva imposto ad Annalise di comportarsi come le donne witoto. La cosa richiedeva il macinare le radici di yucca con le pietre e il preparare le

foglie di coca il cui uso era proibito alle donne. Mentre gli uomini se ne stanno sdraiati sulle amache ascoltando la radio, le donne devono stare con i cani e i figli per terra. A lle cinque di pomeriggio, le donne vengono mandate a dormire con i cani e i figli. Gli uomini si ritirano nella capanna riservata agli uomini a raccontarsi storie e masticare coca fino a lle quattro di mattina. Scoreggiare è la loro forma di divertimento favorita. Ci sono diecimila varietà di scoreggia e sono tutte sguaiatamente apprezzate.

Vivemmo con questa gente gomito a gomito, rimanendo in quella spia-cevole situazione fino alla mattina del 18 febbraio. Infatti ci volle una set-timana perché due ragazzi lasciassero la caccia per aiutarci a portare le no-stre provviste a La Chorrera. Eravamo contenti della pausa nel viaggio, poiché la discesa con la Fabiolita ci aveva stremato. Passai un po' di tem-po collezionando insetti, scrivendo o meditando sull'amaca. Quella setti-mana vedemmo raramente Guzman. Ci trattava con la stessa noncuranza con cui ci trattavano gli altri capi della tribù. Non erano tutti così timidi; c'erano sempre alcuni witoto di tutte le età a osservare le nostre attività. In una delle sue uscite più bizzarre, Guzman ci invitò a rispondere a tutte le domande riguardo le relazioni sessuali all'interno del nostro gruppo, di-cendo che eravamo tutti fratelli e sorelle. Questa affermazione suscitò chiaramente lo stupore di ogni essere senziente lì presente. Ma la gente del villaggio ci trovava interessanti, proprio perché l'uomo esperto in tut-to ciò che proveniva dal mondo esterno, cercava di convincerli che un gruppo di gente così diversa tra loro era formato da fratelli. Così era fatto il buon dottore.

Una volta, nel caldo pomeridiano, mentre ero solo a collezionare inset-ti nella foresta, salii su un albero da cui vidi Guzman, immobile di fianco a un piccolo ruscello con in mano una lancia da pesca. Tornammo al villag-gio insieme e mentre camminavamo mi parlò della sua visione della vita.

"Il pericolo si nasconde ovunque. Non nuotare mai solo nel fiume. Es-seri enormi stanno nascosti sotto la superficie. C'è l'anaconda. I fiumi ne sono pieni. I serpenti sono dovunque. Stateci attenti andando a La Chor-rera. La foresta non perdona gli errori."

Avevo passato mesi nelle giungle dell'Indonesia e ogni giorno dall'inizio del viaggio, in queste foreste amazzoniche, avevo collezionato insetti. Ri-guardo ai rischi della foresta avevo un'idea personale che non era così cupa come i pensieri del personaggio che gesticolava freneticamente camminan-do al mio fianco. Chiaramente era stata una sfortuna imbattersi in una situa-zione così tesa. Guzman trattava sua moglie con il pugno di ferro. Viveva in

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un mondo da incubo e di delusioni portate all'estremo dal consumo di co-ca. Sua moglie non aveva parlato con nessun anglos dal suo arrivo nella giungla. Lei naturalmente si chiedeva cosa stesse accadendo. Non le era permesso masticare coca e lui si comportava sempre di più come un witoto.

Ci furono strani incidenti che innervosirono tutti. Un serpente di una specie più velenosa di ogni tipo di vipera fu ucciso vicino al villaggio, por-tato indietro e mostrato in giro. Incidenti? Diciamo piuttosto sfortuna e presagi. Un mattino un'enorme tarantola, la più grande che avessi mai vi-sto, fu trovata in mezzo al villaggio. Ce l'aveva forse messa qualcuno? Due notti prima della partenza, un albero bruciò vicino a lla nostra capanna. L'evento sembrò indubbiamente ostile e così accelerammo i preparativi per la partenza. Ma senza i portatori non potevamo andarcene e avremmo potuto ingaggiarli solo quando gli uomini fossero tornati da lla caccia.

Da Guzman non strappammo alcuna informazione. Riguardo l' oo-koo-hé disse: "Ridicolo, amici miei. Non lo troverete. Questa gente non parla nemmeno lo spagnolo, ma solo witoto. Quarantamila di loro furono uccisi qui, cinquant'anni fa. Non c'è nessuna ragione perché voi gli siate simpatici, e la droga è supersegreta. Che ci fate qui? Vi invito ad andarve-ne finché potete". In ogni modo qualche informazione la ricavammo. Scoprimmo che l'oo-koo-hé era fatto con la cenere di alcuni alberi mesco-lata con la resina di DMT. Questa sintesi era la chiave per la sua attività orale, infatti normalmente il DMT verrebbe distrutto dagli enzimi intesti-nali. Dennis era determinato a fare un'identificazione botanica degli atti-vatori segreti. Idealmente, speravamo di essere i primi ad avere buoni campioni di queste piante. Sarebbe stato il nostro piccolo contributo all'etnobotanica amazzonica.

Finalmente, il 18, noi sei, in compagnia di due witoto, partimmo. Il ca-pitan del villaggio ci salutò. Anche Guzman sorrise, felice all'idea di tor-nare alla vita normale dopo aver dovuto ospitare una delegazione della tribù elettronica globale.

Nessuno più di me era felice di lasciare il villaggio. Mentre camminava-mo sul sentiero, la trocha, sentii il mio spirito risollevarsi. Finalmente tutti gli ostacoli erano passati. Esclusivamente Solo rimaneva a tormentarmi. De-cisi che avrei dovuto far esplodere il problema. Le relazioni all'interno del nostro gruppo stavano diventando veramente strane. Solo combinava casi-ni. Insisteva per essere il primo sul sentiero. Si allontanava di molto e poi la-sciava bastoncini appuntiti sul terreno formando strani disegni: feticci.

Durante il nostro viaggio lungo il fiume prima di arrivare a El Encanto,

fumavamo erba tutto il tempo. Solo se ne stava seduto a fissarci per ore. Alla fine arrivai alla conclusione che volesse uccidermi e che probabil-mente era andato di testa. Per strano che potesse apparire, il mio destino sembrava quello di essere accoppato dall'ex fidanzato psicotico di una ti-zia, il quale era riuscito a infiltrarsi nella nostra spedizione.

Contemplai l'ironia della situazione. Ricordai che il guru dei funghi Gordon Wasson e sua moglie erano stati accompagnati da un agente della CIA in incognito durante il loro secondo viaggio al villaggio dei funghi di Huatla de Jimenez, sulle remote montagne di Mazatecan, in Messico. La storia psichedelica sarebbe stata differente se Wasson si fosse accorto di quel goffo tentativo di controllarlo. Poi, quell'assurda convinzione della CIA, secondo cui la psilocibina avrebbe dovuto rimanere per sempre "un caso sotto controllo", non sarebbe stata concepita. Fu solo infatti con la rapida pubblicazione della struttura molecolare della psilocibina da parte di Albert Hofmann, il farmacologo svizzero che aveva inventato l'LSD, a scombinare quegli oscuri piani. Ripensai ai grandi momenti decisivi della storia. Ricordai la frase di John Wayne: "Un vero uomo si deve solo com-portare da vero uomo! "

Con questo pensiero in testa, colsi l'occasione, mi fermai lungo il sen-tiero e, ad alta voce, feci presente che Solo era la più grande testa di cazzo della terra. In altre parole, buttai benzina sul fuoco. Per un momento sembrò che ci saremmo scannati. Vanessa cominciò a urlare e a spingerci da parte. I portatori witoto erano rimasti a bocca aperta. La rissa non con-tinuò, ma alla fine della giornata Solo decise di tornare indietro. Non ave-va soldi e soffriva terribilmente per un ascesso a un dente. Non c'era moti-vo per lui di stare lì. Lo stress da isolamento e íl pessimo cibo possono spingere anche una persona normale oltre il limite e io ero convinto che lui fosse completamente fuori e pronto a tutto. Masticava coca per ridurre il dolore al dente, ma ciò non lo aiutava. Aveva bisogno di cure mediche. Quella notte venne da me e mi disse che non aveva abbastanza soldi per tornare indietro risalendo il fiume. Mi offri un chilo della sua erba e io non ci pensai due volte e gli diedi cento dollari. Quando al mattino smon-tammo il campo, se n'era già andato.

Intorno a noi la giungla, davanti a noi il segreto. Dopo la partenza di Solo, mi sentivo come Van Veen, il priapico eroe di Ada, la surreale storia d'amore scritta da Nabokov. Dopo tutto, quante volte abbiamo la soddi-sfazione di vincere un rivale? Soprattutto un rivale che sostiene sincera-mente di essere Gesù Cristo e Hitler?

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46 VERE ALLUCINAZIONI

Era splendido andare verso La Chorrera, sotto il baldacchino di liane della foresta amazzonica. Di tanto in tanto, sorprendevamo iridescenti morphoea azzurre, farfalle della dimensione di un piatto, mentre oziavano tranquillamente su grandi foglie, lungo la pista. All'improvviso, si alzava-no in volo con un meraviglioso spettacolo di azzurro sgargiante che in breve svaniva nel cielo. Procedevamo con passo veloce e, mentre andava-mo, i miei pensieri tornavano a Nabokov e alle profetiche parole scritte in Pale Fire dal suo personaggio, il poeta americano apocrifo John Shade:

e quella volta rara l'iridescenza, quando così be lla e strana nel cielo luminoso sopra la montagna la nuvoletta opale dalla forma ovale riflette l'arcobaleno di un temporale che in una lontana valle si è scatenato, essa nella sua arte ci ha imprigionato.

Quella notte ci accampammo sotto una tettoia di paglia dove c'era un segnale che ci fece capire di aver percorso durante la giornata venticinque chilometri. Mangiammo bene quella sera: formaggio in scatola e un mine-strone liofilizzato e, al mattino, eravamo di nuovo in marcia mentre la nebbia mattutina svaniva. Fu un giorno di duro lavoro, portando bagagli pesantissimi grazie a un metodo che permetteva a ogni persona di portare i carichi più pesanti per due ore e per un'ora niente. Una vera impresa fisi-ca. Penso che fossimo già sotto l'effetto del "fenomeno", un'anticipazione dei nostri giochi con le leggi fisiche che giacevamo ancora nel futuro. Co-munque, tutto questo è impossibile da dimostrare. Riducemmo la nostra dieta. Le donne annunciarono che, per fare prima, avremmo eliminato la colazione e il pranzo. Era una loro decisione, dal momento che erano loro a cucinare; era troppo duro fare un fuoco tre volte al giorno nell'umidità della foresta amazzonica.

Ci svegliavamo alle quattro e mezza del mattino, facevamo il caffè e poi camminavamo per venticinque chilometri, fino alle tre e mezza del pome-riggio. Senza dubbio ci stavamo facendo un culo così. La trocha andava su e giù, giù e su. Spesso arrivavamo dove c'era un fiume senza alcun ponte e dovevamo inventare un modo di guadarlo. Dovevamo anche tenere d'oc-chio i portatori perché non rubassero niente e non se la filassero. Nono-stante lo sforzo, le giornate erano squisite immersioni nell'immensa e vi-

LUNGO UN 'CAMAAIlNG SPETTRALE

brante foresta che stavamo attraversando. Per tutto il giorno, il secondo giorno, andammo avanti nonostante le nostre energie scarseggiassero. In-fine, raggiungemmo una capanna simile a quella che avevamo usato la notte prima. Era situata sulla cima di una piccola collina, proprio al di là di un rozzo ponte su di un piccolo fiume. Dopo il tramonto, intorno al fuoco, fumammo e parlammo a lungo nella notte, anticipando l'avventura a venire che potevamo già percepire, ma non immaginare. I portatori wi-toto scartarono pacchetti di cibo avvolto in grandi foglie e mangiarono se-parati da noi. Erano amichevoli, ma lontani.

Il pomeriggio del quarto giorno, i portatori erano visibilmente eccitati dal nostro arrivo a La Chorrera. Durante una pausa, Vanessa indicò un ar-cobaleno che si trovava esattamente al di sopra del nostro sentiero. Ci scherzammo un po' su e accelerammo. In pochi minuti passammo un punto della foresta meno fitta e subito dopo ci trovammo sul confine di una grande area per il pascolo. Si potevano già vedere gli edifici della mis-sione. Mentre camminavamo, un indio ci venne incontro. Dialogammo in uno spagnolo stentato e poi lui si rivolse ai nostri portatori in witoto e ci mostrò la strada attraverso cui era venuto.

Passammo per uno spazio recintato e attraversammo un cortile. Sui muri c'erano disegni a tempera di elfi da cartone animato con le orecchie a punta. Fummo finalmente condotti nella veranda di una solida casa di legno che era senza dubbio quella del prete. Un uomo enorme, barbuto e rude emerse da lla porta. Peter Ustinov l'avrebbe impersonato divinamen-te. Sebbene avesse l'aspetto una persona allegra, non sembrava contento di vederci. Perché questa gente era sempre così scontrosa? Forse perché non amavano gli antropologi, ma noi eravamo soprattutto botanici: come potevamo superare l'ostacolo? In ogni caso l'accoglienza non fu delle peg-giori. Non facemmo troppe domande e appendemmo le amache nella ca-sa per gli ospiti. Ci sentivamo sollevati per aver finalmente raggiunto la nostra destinazione.

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4 ACCAMPATI

SUL

A PORTA D'INGRESSO

In cui facciamo la conoscenza dei funghi e degli sciamani di La Chorrera.

L GROSSO DEL BACINO AMAZZONICO E FORMATO DAI DEPOSITI

alluvionali andini. La Chorrera è differente. Un fiume, il Rio Igara-Pa- rana, si stringe e scorre attraverso una fenditura. Diviene molto rapi-

do e poi scende da un dirupo creando, se non proprio una cascata, uno stretto canale d'acqua (la parola chorrera significa "cascata"), un fiume il cui violento espandersi ha prodotto un lago di notevoli dimensioni.

La Chorrera è un posto paradisiaco. Fatichi molto per arrivarci ma ne vale la pena. Non ci sono insetti che pungono o mordono. A lla sera, la fo- schia scende sul pascolo creando una splendida scena pastorale. Sotto il lago spumeggiante c'è la missione, intorno la giungla e, con mia grande sorpresa, anche del bestiame.

Il pomeriggio dopo il nostro arrivo, sull'orlo del pascolo creato dai preti spagnoli che avevano diretto la missione di La Chorrera dalla sua fondazione negli anni Venti, presi alcuni campioni dello stesso fungo che avevo mangiato vicino Florencia. Nel pascolo davanti a me crescevano dozzine di questi funghi. Dopo averne esaminati parecchi insieme a mio fratello, concludemmo con sicurezza che quelli erano stropharia cubensis, i più grandi, i più potenti e i più diffusi fra i funghi contenenti psilocibina.

Cosa dovevamo fare? Non avevamo informazioni riguardo al dosaggio della psilocibina. L'archivio di droghe e piante che ci eravamo portati die-

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50 VERE ALLUCINAZIONI

tro riguardava le piante e i fiori, non i funghi. Qualcuno di noi era convin-to di ricordare che nei rituali con i funghi di Oaxaca descritti da Gordon Wasson su "Life", i funghi venivano mangiati a coppie e che numerose coppie venivano ingerite. Decidemmo di mangiare sei funghi a testa quel-la sera. Il mio diario, scritto il giorno successivo, parlava chiaro.

23 febbraio 1971 Siamo forse accampati alle porte di un'altra dimensione? Ieri Dave ha scoperto la stropharia cubensis nei pascoli dietro la casa dove dormia-mo. Io e lui in mezz'ora abbiamo raccolto trenta deliziosi esemplari pieni di psilocibina. Ne abbiamo mangiati sei e abbiamo passato la notte in preda a un viaggio ricco e vivo, ma anche delicato ed elusivo. Tra strane luci viste nei pascoli e una discussione dei nostri progetti, rimango con la sensazione che penetrando nella locale flora psichede-lica abbiamo fatto un immenso passo verso una consapevolezza più profonda. Benevolo e con molte facce, complesso come la mescalina e intenso come l'LSD, si può parlare del fungo con le stesse parole usate per il peyote: "insegna il giusto modo di vivere". Per quanto ne so, la proprietà di questa particolare specie di fungo, non viene rivendicata da alcuna tribù nelle vicinanze e perciò ci colloca su di un terreno neu-tro rispetto al problema della triptammina che stiamo esplorando. At-traverso questo insegnante vegetale non richiesto, si può entrare nel mondo degli elfi chimici. L'esperienza del fungo è sottile ma può rag-giungere la profondità e la vastità di una vera e intensa esperienza psi-chedelica. È però estremamente mutevole e difficile da analizzare. Io e Dennis, dopo una confusa descrizione delle nostre visioni, abbia-mo notato una somiglianza di contenuti che sembrava suggerire un fe-nomeno telepatico o una qualche sorta di percezione simultanea dello stesso paesaggio invisibile. Un forte mal di testa ha accompagnato l'esperienza nelle fasi finali, ma è stato rapido a svanire e non abbia-mo subìto la stanchezza fisica spesso comune alle droghe vegetali co-me il peyote e la datura. Questo fungo è un paesaggio tridimensionale lasciato socchiuso da fatine maliziose per chiunque trovi la chiave e il desiderio di usare questo potere, il potere della visione, per esplorare questo particolare complesso psicoattivo e totalmente naturale. Ci stiamo avvicinando all'evento più profondo che l'ecologia planetaria possa incontrare. L'emergere della vita dall'oscura crisalide della materia.

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Queste erano le mie impressioni dopo una sola visita al regno della vi-sione su cui il fungo detiene il potere. Devo spiegare íl riferimento alle "strane luci viste nei pascoli" poiché forse avevano una relazione con gli eventi successivi. Un'ora dopo aver mangiato i funghi, mentre eravamo tutti immersi in un gradevole susseguirsi di immagini colorate che sfrec-ciavano sotto le palpebre, qualcuno di noi cominciò una discussione.

Forse era Dave, o forse era mio fratello Dennis, più probabilmente si trattava di Dennis. Disse che stavamo sballando nel territorio di caccia del segreto e che, quindi, non era il caso di rimanere confinati nello spazio an-gusto della nostra capanna. Sarebbe stato meglio uscire nella notte, nella nebbia che avvolgeva il pascolo. Non tutti noi, ma solo un gruppetto. Chi furono i candidati? Dennis propose me e Dave, dicendo che eravamo ri-spettivamente il più e il meno scettico. Vanessa obiettò riguardo al fatto che io fossi "il più scettico" e suggerì che andassero solo Dave e Dennis. Io approvai di cuore la sua idea, poiché non desideravo visitare il pascolo al buio e, inoltre, il mio scetticismo non mi dava fiducia nei potenziali tra-scendentali di quell'incarico.

Così se ne andarono da so li , dapprima proclamando ad alta voce il po-tere oscurante della nebbia e subito dopo, da fuori campo, gridarono che vedevano una luce diffusa nel pascolo. La loro ricerca continuò. Anche il vociare continuò per un po', poi svanì. La luce persisteva. Decisi che era giunto il momento che teste più logiche entrassero in gioco. Così mi decisi e uscii nell'umidità notturna. Attraversai con attenzione il filo spinato che circondava i pascoli; al tatto era bagnato ma sembrava caldo persino di notte, tale è l'umidità dell'Amazzonia.

Quando raggiunsi Dave e Dennis, trovai che la situazione era più vici-na alla loro descrizione di quanto mi aspettassi. C'era effettivamente una fioca luce sul terreno a pochi metri da me che sembrava ritirarsi al mio avanzare. Camminammo per una trentina di metri in quella direzione in una serie di brevi movimenti in avanti. Avvolti in una densa nebbia flut-tuante, ci sentimmo improvvisamente lontani da lle nostre amiche rimaste nella capanna.

"Possiamo seguire questa luce, ma non dobbiamo andare troppo lon-tano o ci perderemo". Dave insisteva perché tornassimo indietro, ma con-tinuammo. A volte sembrava che la luce levitasse nell'aria a sette, otto me-tri da noi, sollevandosi e riabbassandosi, ma ritirandosi quando ci avvici-navamo. Corremmo per raggiungerla, ma era più veloce di noi. Per dieci minuti inseguimmo la luce fuggitiva, poi decidemmo di non andare oltre.

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Mentre ci voltavamo per tornare, credetti di vedere un tremolio che sem-brava suggerire l'idea di qualcuno che danzasse davanti a un fuoco.

Abbandonai per un attimo ogni pensiero riguardo agli UFO e ricordai la serie di strani eventi accaduti a S an Jose del Encanto. Stavo forse veden-do uno sciamano danzare davanti al fuoco? Aveva qualcosa a che fare con noi? Non capii mai ciò che accadde quella notte, ma quella sensazione so-prannaturale anticipò gli eventi a venire.

Le parole che scrissi nel mio diario erano rivelatorie. Accennai a "l'en-trata nel mondo dei elfi chimici", definii il fungo una po rta tridimensiona-le e lo collegai a una trasformazione della vita sul pianeta. Da queste paro-le emergeva un sé più giovane, più naïve, più poetico, un sé più intuitivo, tranquillo, mentre pronuncia parole di saggezza selvaggia come se fosse la verità gnostica raggiunta attraverso gli allucinogeni.

Queste idee sono cambiate pochissimo negli ultimi vent'anni; ero an-sioso di essere convinto da prove e lo fui. Ero cambiato ed ero certo desi-deroso di essere cambiato. Era vero per me allora, ed è vero anche oggi, poiché dalla venuta del fungo tutto è stato in continua trasformazione. Ora, anni dopo, e con due decenni di riflessioni su queste cose, posso an-cora riconoscere in quell'esperienza alcuni dei temi ricorrenti e rimasti misteriosi negli anni. A un certo punto, quella sera, io e Dennis fummo in grado di vedere e descrivere le stesse visioni interiori. Negli anni a seguire, questo fenomeno mi è accaduto altre volte quando ho usato la psilocibina. Ogni volta l'esperienza mi lascia stupito.

Durante quelle prime esperienze con i funghi a La Chorrera, c'era un aura strana e animata, l'idea era che il fungo fosse qualcosa di più di una pianta allucinogena, e anche qualcosa di più di un alleato sciamanico di ti-po classico. Avevo cominciato a intravedere la possibilità che il fungo fos-se un'entità aliena intel ligente che, durante gli stati di trance, poteva co-municare la propria personalità come presenza nelle percezioni interiori di chi l'aveva mangiato.

I giorni seguenti alla prima esperienza con il fungo, la mia vita e quella di mio fratello subirono una strana e terrificante trasformazione. Fu solo quando Jacques ValleJ`scrisse The Invisible College, nel 1975, dicendo che qualche esperienza apparentemente assurda è pa rte costante dei contatti extraterrestri, che trovai il coraggio di riesaminare gli eventi di La Chorre-ra cercando di collocarli in un quadro più ampio.

Nel corso degli anni ho raccontato varie pa rti della mia storia, ma non ho mai rivelato la sua intera incredibile natura a nessuno, sapendo bene quali sa-

rebbero i commenti sulle nostre condizioni mentali al tempo dell'esperienza. Ogni storia di contatti alieni è abbastanza incredibile di per sé ma, oltretut-to, al centro de lla nostra storia c'erano anche i funghi allucinogeni che sta-vamo sperimentando. Il fatto stesso che avessimo a che fare con queste piante è sufficiente per screditare una storia di contatto alieno agli occhi di chiunque non abbia usato allucinogeni. Chi non attribuirebbe la nostra " esperienza UFO" al fatto che eravamo sballati? Ma questa non è l'unica difficoltà nel raccontare questa storia. Gli eventi di La Chorrera generaro-no una grande controversia e un duro contrasto fra i suoi attori. Riguardo ciò che stava accadendo venivano proposte parecchie idee, ognuna delle quali si basava su informazioni sconosciute o reputate irrilevanti da coloro che proponevano interpretazioni alternative. Ciò che alcuni di noi presero come una metamorfosi verso il trascendente, altri lo considerarono un'esplosione di fantasie ossessive. Eravamo poco preparati per gli eventi che ci sommersero. Cominciammo come ingenui osservatori di qualcosa, non sapevamo cosa, e poiché il nostro coinvolgimento con questo fenome-no continuò per parecchi giorni, fummo in grado di osservarne più di un aspetto. Sono soddisfatto che il metodo operativo qui descritto sia efficace nell'innéscare ciò che chiamo l'esperienza di contatto alieno. (Gente, può anche essere pericoloso quindi non provateci a casa!)

Il nostro primo viaggio con la stropharia a La Chorrera avvenne il 22 febbraio 1971, poco più di ventiquattr'ore dopo il nostro arrivo. L'inizio del mio diario del giorno dopo rendeva chiaramente l'idea che ero preda del meraviglioso. Fu l'ultima cosa che fui in grado di scrivere per parec-chie settimane. Per tutto il giorno fui pieno di gioia. Capivo solo che il fungo era il migliore allucinogeno che avessi mai assunto e che possedeva una vitalità che non avevo mai sperimentato prima. Sembrava in grado di aprire passaggi per luoghi che, a causa de lla mia mania di analizzare le co-se e mantenermi realista, non avevo mai pensato di poter raggiungere. Non avevo mai preso la psilocibina prima e mi colpiva la differenza con l'LSD, che mi sembrava essere più personale e psicanalitico. Al contrario, i funghi sembravano pieni di gioiosa energia elfica che, sbucando nel mez-zo di una trance visionaria, era quanto mai allettante. Non potevo ancora percepire la grandezza delle forze che si stavano radunando intorno a lla nostra piccola spedizione. Sapevo solo di essere felice che quei funghi fos-sero lì. Anche se non avessimo trovato l'oo-koo-hé o l'ayahuasca, avevamo sempre i funghi e, certamente, erano più che interessanti. Il nostro piano era di trascorrere tre mesi per conoscere un po' dell'ambiente botanico e

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naturale dei witoto che vivevano in modo tradizionale in un villaggio a quattordici chilometri sul sentiero da lla missione di La Chorrera. Sapeva-mo che l'oo-koo-hé era tabù, quindi non avevamo fretta.

Passammo il giorno seguente alla nostra prima esperienza con il fungo controllando il nostro equipaggiamento e rilassandoci nella casita che Pa-dre José Maria, il cappuccino che dirigeva la missione, ci aveva offerto. Nel pomeriggio raccogliemmo altri funghi e seccammo vicino al fuoco.

Decidemmo che avremmo ripreso i funghi quella notte. Li ridussi a una polvere che tutti consumammo. Era deliziosa, come un'essenza di cioccolato che ci appagò ampiamente. Mi sentivo esultante, radioso per ogni cosa e impressionato dal bellissimo luogo in cui ci trovavamo.

Fu un'esperienza differente. Eravamo esausti dal viaggio della notte prima e, mentre sedevamo intorno al fuoco in attesa che l'effetto salisse, ci fu un litigio tra Vanessa e Dennis. Apparentemente lui ne aveva abbastan-za di lei e disse: "Sai, tu sei una vera strega e ti dirò perché". A quel punto si lanciò in un lungo monologo a base di lamentele accumulate.

Passammo il giorno successivo a rilassarci, catturando insetti, racco-gliendo piante, lavando vestiti, chiacchierando con il prete e con il suo aiutante, entrambi membri di un austero ordine francescano dedito al la-voro missionario. Tramite loro, diffondemmo la voce che volevamo cono-scere esperti in piante medicinali.

Quello stesso pomeriggio, un giovane witoto chiamato Basilio venne al-la casita e si offrì di farci incontrare suo padre, uno sciamano con una buo-na fama locale. Basilio pensava che fossimo interessati all'ayahuasca, il più famoso allucinogeno della zona, che è generalmente facile da ottenere.

L'oo-koo-hé era un argomento più scottante. C'era stato un omicidio a La Chorrera un mese prima che arrivassimo, in realtà c'erano stati più omicidi, e Guzman sosteneva che avessero tutti a che fare con l'oo-koo-hé. Si diceva che uno sciamano ne avesse ucciso un altro spennellando il piolo più alto di una scala con una resina contenete DMT. Quando la vittima aveva afferrato il piolo, aveva assorbito la resina attraverso i polpastrelli e, in preda a lle vertigini, era caduto spezzandosi il collo. Lo sciamano fratel-lo della vittima si vendicò provocando un ulteriore incidente. La moglie, la figlia e il nipote del sospetto omicida erano stati spazzati via dopo aver inspiegabilmente perso il controllo della loro canoa sopra la cascata. Si di-ceva che fossero state vittime della magia. Solo la moglie era sopravvissu-ta. Non era quindi íl momento migliore per giocare con l'oo-koo-hé.

Basilio insisteva che l' ayahuasca si trovava a un giorno di distanza,

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presso la casa di suo padre. Possedeva una canoa molto piccola, così solo due di noi sarebbero potuti andare con lui. Dopo una discussione, deci-demmo che saremmo stati io ed Ev ad andarci. Partimmo per il fiume e io presi con me la scatola per pellicole dove tenevo il tabacco da fiuto.

La giornata era calma e il cielo blu. Una pace straordinaria e una pro-fonda serenità sembravano toccare ogni cosa. Era come se la terra stesse esalando la propria gioia. A lla luce degli eventi successivi, ora guardo in-dietro a quel giorno di rilassamento bucolico come il primo brivido di una corrente che mi avrebbe presto trascinato verso emozioni inimmaginabili e titaniche. Quando arrivammo al villaggio di Basilio nel tardo pomerig-gio, trovammo che le nostre nuove conoscenze witoto erano molto gentili e differenti dai witoto di San Jose del Encanto. Ci fu mostrato un groviglio di piante di ayahuasca coltivata e ce ne fu data un po' con un pezzo di tral-ci, affinché potessimo preparare la nostra mistura personale. Basilio ci de-scrisse la sua unica esperienza con l' ayahuasca quando, parecchi anni ad-dietro, dopo giorni passati con una febbre di origine sconosciuta, l'aveva presa con suo padre. Descrisse l' ayahuasca come un infuso di acqua fred-da, raro per quella zona, dove, al contrario, una forte bollitura è di solito alla base della preparazione. Dopo aver tenuto in infusione l' ayahuasca per un giorno e una notte, l'acqua, anche se non bollita, diventa un poten-te allucinogeno. C'erano stati molti "cancelli" da attraversare nella visione di Basilio. Gli sembrava di volare. Il padre aveva visto l'" aria cattiva", che aveva indebolito il figlio, come qualcosa proveniente dalla missione, che da allora in poi fu considerata come un luogo funesto. Dopo quell'espe-rienza, Basilio cominciò a frequentare la missione con minor frequenza. Come prima testimonianza registrata sul campo questa si rivelò molto in-teressante e concordava con le informazioni che avevamo sull'uso del-l'ayahuasca in quella zona.

Alla sera, appendemmo le amache in una capanna vicino a lla malloca più grande. Sognai alcuni steccati e il pascolo de lla missione. Presto, al mattino seguente, tornammo a lla missione guidati da Basilio. La nostra raccolta di banisteriopsis caapi era una ragione sufficiente d'orgoglio, ma di nuovo sentii un'esaltazione la cui profondità non poteva essere misurata. "Strano...", mi dissi mentre giungevamo in vista della missione che domi-nava dall'alto il suo placido lago, con un filare di palme da dattero che spazzavano l'aria sopra l'imbarcadero, "veramente strano".

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5 KRMAGLIA

ENSIONE UNA SCH

CON EAL RA DIM

In cui ci trasferiamo in una casa nuova e Dennis ha una bizzarra esperienza che divide il nostro gruppo.

ORNANDO DAI NOSTRI AMICI, APPRENDEMMO CHE, DURANTE

la nostra assenza, erano arrivati alcuni insegnanti che erano attesi

da tempo alla scuola della missione. Erano stati trasportati da un

pilota, il famoso George Tsalikas, che serviva come contatto di emergenza

tra La Chorrera e il mondo esterno e che portava la posta una volta al me-se. Questo significava che dovevamo trovarci una nuova casa, dal momen-to che eravamo alloggiati negli appartamenti dei professores. Il prete ci of-frì l'uso temporaneo di una capanna-palafitta che si trovava sopra una pic-cola altura, tra la missione e il lago. Era in questa piccola capanna, subito

battezzata "the knoll house" (gioco di parole con il famoso dramma The Doll House, La casa delle bambole di Ibsen, N.d.T), che decidemmo di abitare finché non avessimo trovato un posto più immerso nella giungla e più lontano dall'aria coercitiva della missione. Quella mattina riposammo,

fumammo canne e facemmo piani per le successive mosse. Dave e Vanessa avevano appreso da Fratello Luis, un vecchio con la

barba bianca e unico altro rappresentante de lla chiesa oltre a Padre José

Maria, che c'era una casa witoto in disuso che si trovava sul sentiero verso

il villaggio dove speravamo di trovare l' oo-koo -hé. Di solito era vuota, ma ora era occupata dalla gente che aveva portato i propri bimbi alla missio-ne per l'inizio dell'anno scolastico. È comune tra i witoto lasciare i propri

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figli in custodia dai frati per sei mesi all'anno; il periodo di riunione a lla missione all'inizio e alla fine dell'anno scolastico, è uno dei momenti più importanti della loro vita sociale ed è una buona scusa per le partite di cal-cio e i balli serali, che i witoto amano molto essendo degli ottimi danzato-ri. Ci trovavamo proprio nel bel mezzo di uno di quei periodi di riunione, ma dopo pochi giorni tutte le famiglie se ne sarebbero andate e così la ca-sa nella giungla sarebbe stata presto libera. Dave, Dennis e V anessa aveva-no già esaminato il posto e avevano concluso che era l'ideale, dato che era un buon posto per raccogliere piante e insetti e si trovava nel bel mezzo della giungla.

Trasferimmo il nostro equipaggiamento nella capanna e preparammo le amache. Stavamo stretti, ma era una sistemazione temporanea. Nel po-meriggio ci spostammo all'unisono nel pascolo dietro la missione. "Trova-re i funghi": questo era il pensiero nella testa di tutti. Quando tornammo a casa quella sera, ognuno di noi aveva da sei a otto esemplari. Li man-giammo e poi, mentre il trip serale saliva, fumammo alcune canne di bani-steriopsis caapi. Il fumo di caapi era delizioso, odorava di incenso e ogni ti-ro innescava una scarica di allucinazioni lente e delicate, che immediata-mente battezzammo la "TV vegetale".

Ogni esplosione di immagini durava più o meno quindici minuti e sva-niva, poi ricominciavamo facendo un altro tiro del fumo di caapi. L'effetto cumulativo durò un paio d'ore. Ripetemmo l'esperimento più volte e ne parlammo come di un esempio di ciò che sofisticati tecnici sciamani ave-vano sperimentato fin dal Paleolitico.

Mentre scendeva la sera, la nostra conversazione si orientò verso la possibilità di violare le usuali leggi fisiche, dibattendo i fenomeni sciama-nici tra interpretazioni psicologiche e un ingenuo realismo. Eravamo inte-ressati soprattutto ai liquidi di ossidiana che, si diceva, venissero prodotti dagli ayahuasqueros sulla loro epidermide e che venissero usati per guar-dare nel futuro.*

L'idea di un tipo di fluido ologrammatico alchemico, una palla di cri-stallo liquido generata dal proprio corpo, mi sembrava assurda ma irresi-stibile. Il problema, se ciò sia possibile o no, è una questione di fegato: ciò che noi moderni abbiamo da imparare riguardo la natura della realtà, è so-lo una piccola cosa che richiede un aggiustamento di percezione. Oppure ne capiamo molto poco ed è il nocciolo della nostra natura che ci sfug-

* Vedi Terence e Dennis McKenna, The Invisible Landscape, The Seabury Press, New York 1975, cap. 6.

ge? Mi trovai a sostenere che la nostra realtà è formata dal linguaggio e che dobbiamo uscire dalla prigione culturale di questo per confrontare la realtà al di là delle apparenze.

"Se devi sparare, spara per uccidere". La retorica salì di tono. Io, Ev e Dennis divenimmo appassionati difensori di questa visione. Vanessa e Da-ve insistevano con un riduttivo approccio psicologico riguardo a ogni evento. Sostenevano che ogni cosa può essere inquadrata in un contesto di fantasia, delusione di ricerca dei propri desideri. Per loro, nulla di ciò che avviene néné allúcinazioni è reale: ciò che accade è solo mentale. Poi, di-menticando l'ideologia, denunciarono la passione de lla nostra tesi come ingenua e ossessiva. Noi ribadimmo che stavano reprimendo il vero potere dell'inconscio e che, se avevano in mente di sostenere un punto di vista materialista, avrebbero avuto qualche sorpresa. E così via.

La vita di una spedizione è piena di stress, le differenze saltano fuori e, nel nostro caso, la tensione aveva covato sotto la superficie per settimane. Ma io ero convinto che la vera causa della tensione fosse qualcosa nel-l'esperienza con i funghi che attirava ognuno verso di sé, o che comunque stava causando una crisi in cui dovevamo decidere se immergerci o no in una dimensione di cui non conoscevamo la natura.

Ogni esposizione al fungo era un'esperienza istruttiva con conclusioni inaspettate. Tre di noi erano pronti a divenire figli dell'alchimia, pronti a spogliarsi, a tuffarsi nella fontana della conoscenza e a misurare l'espe-rienza dall'interno.

Per faustiana e ossessiva che fosse, quella era la nostra posizione. La consideravo una conseguenza de lle ragioni che ci avevano portato a La Chorrera. Da Vanessa e Dave, la realtà della dimensione che stavamo esplorando, o meglio la nostra insistenza riguardo al fatto che fosse una dimensione più che psicologica, era vista come una minaccia. Così erava-mo là, un gruppo di amici che condividevano simboli più o meno simi li , isolati nella giungla, in lotta con i problemi epistemologici dalla cui solu-zione dipendeva la nostra salute mentale.

Vanessa e Dave si allontanarono da noi e da lle eccitate conversazioni speculative che implicavano l'essere sommersi dall'invisibile. Non ci furo-no litigate, ma dopo quella notte ci fu una tacita e mutua comprensione sul fatto che il nostro sentiero si fosse diviso. Alcuni di noi erano intenzionati ad andare più in profondità nella trance da funghi, altri erano disturbati dall'improvvisa piega degli eventi e preferivano essere semplici spettatori. L'affollamento della capanna e le nostre divergenze indussero Vanessa a

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intensificare le sue visite ai componenti de lla guarnigione di polizia per giocare con loro a scacchi. La guarnigione era formata da tre giovani co-lombiani malati di nostalgia per le loro case nelle Ande. Dopo parecchie partite combattute duramente, fu caldamente invitata a trasferirsi con Da-ve in una casa abbandonata situata presso il fiume, che era di proprietà della polizia. Più tardi, quella casa, che si trovava all'imbarco di La Chor-rera, sarebbe stata il luogo de lla mia schermaglia con l'altra dimensione. Vanessa e Dave tolsero le amache e traslocarono dalla collina verso la loro nuova casa. La loro partenza fu tranquilla. Vanessa rise dicendo che avreb-bero passato più tempo nell'acqua.

Era il sesto giorno di permanenza a La Chorrera. Avevamo preso i fun-ghi tre volte. Eravamo in forze, rilassati e felici di essere arrivati così lonta-no e in così buone condizioni. C'erano insetti e piante da prendere e c'era il lago in cui nuotare. La mia relazione con Ev sembrava promettente. Ve-nivamo cullati dal caldo sole tropicale che oziava nel profondo cielo az-zurro. Un simile stato di abbandono sembrava una condizione essenziale per il cambiamento. Gli eventi si muovevano a qualche livello profondo e invisibile.

Quella mattina, dopo la partenza dei nostri due amici, io, Dennis ed Ev rimanemmo sulle amache, persi nei nostri pensieri, mentre il caldo e gli insetti si facevano sentire. Avevo smesso di tenere un diario, la scrittura era stata rimpiazzata da voli di fantasia, pallide tracce di profondi contatti con l'altra dimensione, sebbene non me ne rendessi ancora conto. Un'al-tra calda notte calò su di noi e così dormimmo bene per lungo tempo. Quando le nebbie mattutine se ne furono andate, il nuovo giorno apparì perfetto come erano perfetti tutti i giorni in questo splendido posto nella giungla. Ogni giorno sembrava una perla alchemica nata dalla notte pre-cedente, calda e stellata.

Usammo quel giorno per esplorare i confini dello straordinario lago vi-cino al chorro. A causa del restringersi dell'Igara-Parana che provocava un'improvvisa crescita di potenza e velocità delle acque, il chorro era ab-bastanza impressionante. Ma il lago in cui si svuotava non era un semplice bacino: era il luogo di qualche antica catastrofe geologica che aveva di-strutto il deposito basaltico sotto la superficie della terra, lasciando sco-perto un grande buco e spandendo vicino al dirupo migliaia di frammenti di roccia grandi come case. La missione era appollaiata sulla cima di una collinetta basaltica ed era il luogo più alto della zona.

Seguimmo il fiume passando per le ripide sponde che conducevano al

chorro, finché, a sette metri di distanza, il terreno divenne così ripido da non poter proseguire. Ma anche a quella distanza, vibrava per la pulsante energia di milioni di tonnellate d'acqua che scivolavano attraverso le pare-ti rocciose del chorro. Le piante più insolite erano endemiche in quell'at-mosfera piena di foschia e di fragore tuonante. La sensazione di essere co-sì piccolo a confronto con quelle rocce e all'energia delle rapide era so-prannaturale e inquietante. Mi sentii considerevolmente sollevato quando scalammo la scogliera e raggiungemmo gli stagni e i pascoli ripuliti da lla missione grazie ad anni di sfruttamento del lavoro witoto.

Una volta raggiunto un terreno più solido, ma ancora nell'area del chor-ro, ci riposammo. Là, in una striscia di terra che dominava l'area circostan-te, la missione aveva costruito un piccolo cimitero. All'interno di un'area esagonale rozzamente cintata, c'erano una ventina di tombe in rovina e molte di esse erano chiaramente di bambini. Lo scioccante rosso del suolo laterico era allo scoperto per l'erosione. Era un luogo toccato da una triste solitudine anche in un bellissimo giorno di sole. La nostra pausa finì e ce ne andammo in fretta con una sensazione di vuoto, di abbandono, accom-pagnati dal lontano ruggito dell'acqua che scorreva.

La camminata e l'esposizione al sole ci indussero a dirigerci verso il muro verde di giungla al di là dei pascoli, oltre la missione. Vasti sentieri sabbiosi conducevano al sistema di villaggi witoto, Bora e Muinane, che rappresentano la "componente indigena" de lla "Comasaria" amazzonica, il resto comprende qualche missione, la caserma della polizia e alcuni per-sonaggi non catalogabili, per lo più commercianti, oltre a noi stessi. Esplorammo il sentiero, dando un'occhiata a lla nostra futura casa e la tro-vammo ancora occupata. Tornando per i pascoli sotto uno spettacolare tramonto, raccogliemmo altri funghi, venti a testa tra Ev, Dennis e me.

Fu durante la camminata nel pascolo che notai per la prima volta che tutto era fantastico e che avevo la sensazione di trovarmi in un film, o in qualcosa di più grande della vita. Anche il cielo sembrava distorto con ef-fetti speciali, come se tutto fosse cinematograficamente esagerato. Che cos'era? Era una distorsione dello spazio data dal consumo di psilocibi-na? La psilocibina può indurre simili distorsioni. Mi sentivo alto dieci me-tri, a metà tra il superuomo e A lice, il cui consumo di funghi la rendeva al-ternativamente gr ande e piccola. Era strano, ma piacevole.

Tornati a casa, accendemmo un fuoco e bollimmo del riso per una cena leggera. La pioggia cadeva a intermittenza. Dopo cena, fumammo e aspet-tammo per un po', pensando che Vanessa e Dave ci avrebbero fatto visita.

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62 VERE ALLUCINAZIONI UNA SCHERMAGLIA CON L'ALTRA DIMENSIONE 63

Infine, cominciò a piovere più forte, così ci ritirammo in casa e ognuno di noi mangiò parecchi funghi. Salirono rapidamente e le allucinazioni furo-no molto vivide ma, nonostante l'abbondante dose, dopo un'ora l'espe-rienza non sembrò differente dagli altri viaggi. Uscimmo da lle visioni e conversammo tranquillamente riguardo le nostre reazioni.

Dennis si lamentò di sentirsi bloccato da una grossa preoccupazione per nostro padre in Colorado, chiedendosi se avesse mai ricevuto i nostri ultimi messaggi scritti prima di partire per il Rio Putumayo. Dennis sem-brava malinconico come se la sua nostalgia di casa fosse stata amplificata dall'allucinogeno. Almeno così supponevo. Tentai di rassicurarlo e par-lammo al buio per parecchi minuti. Disse che il suo trip era ricco di sensa-zioni, un calore interiore e uno strano ronzio che, a suo dire, gli suggeriva alcune intuizioni sui fenomeni linguistici che avevo sperimentato con il DMT e che gli avevo descritto. Gli domandai di imitare i suoni che stava udendo, ma lui non pensava che fosse possibile. Mentre parlavamo, la pioggia cessò per qualche minuto e così sentimmo il suono di una radio trasportata da qualcuno che aveva scelto la pausa de lla tempesta per rag-giungere la collina, seguendo un sentiero che passava a pochi metri da lla nostra capanna. La conversazione si interruppe mentre ascoltavamo il suono della radio che si avvicinava e poi svaniva.

Ciò che accadde dopo ci proiettò in un altro mondo. Infatti, mentre la radio si allontanava, Dennis produsse per qualche secondo un forte ron-zio che sembrava meccanico mentre il suo corpo si irrigidiva. Dopo un at-timo di silenzio lui, in preda al panico, esplose in una serie di domande. "Cos'è successo?" e, mi ricordo benissimo, "Non voglio diventare un in-setto gigante!"

Dennis era chiaramente scosso da ciò che era accaduto, così, sia io sia Ev, cercammo di calmarlo. Era chiaro che ciò che a noi era sembrato solo uno strano suono, aveva avuto un effetto ben diverso sulla persona che l'aveva prodotto. Capii la sua situazione perché avevo avuto sensazioni si-mili con il DMT, quando una glossolalia che a me era sembrata pregna di significato, sembrava invece un borbottio a coloro che l'avevano sentita.

Dennis disse che c'era un'energia terrificante nel suono e che l'aveva percepito come fosse una qualche forma di forza fisica. Ne discutemmo per parecchi minuti, poi Dennis decise che desiderava riprovarci. Lo fece, ma per molto meno tempo e, di nuovo, disse che aveva avvertito una gran-de quantità di energia che veniva liberata. Disse di sentirsi come se si fosse sollevato dal terreno e avesse diretto la sua voce verso l'interno. Ci do-

mandammo se fosse possibile produrre un suono capace di avere un effet-to sinergico sulle droghe metabolizzanti, mentre Dennis sosteneva che cantare poteva far metabolizzare alcune droghe più velocemente. Dennis sentiva di aver acquisito un qualche potere sciamanico.

Cominciò a passeggiare, dicendo che sperava che Vanessa saltasse fuo-ri ora con il suo scetticismo che, secondo lui, sarebbe crollato davanti alla sua testimonianza dell'esperienza. Gli feci presente che lei l'avrebbe con-siderato solo un suono particolare suscitato da un allucinogeno di cui ca-piva ben poco.

A un certo punto, Dennis si sentì così esaltato che lasciammo la capan-na e andammo fuori a guardare l'oscurità. Dennis voleva andare da Vanes-sa e Dave per discutere con loro ciò che era successo. Infine, io e una scon-certata Ev lo convincemmo a torre a lla capanna e a ripensarci al mattino.

Una volta nella capanna, cercammo di capire cosa stava succedendo. Sentii che la meraviglia di Dennis era perfettamente giustificata: era stato proprio il mio incontro con i poteri visionari e linguistici del DMT che mi aveva indotto a cercare gli allucinogeni nel loro ambiente naturale. È in-credibile vedere la tua concezione della realtà trasformata da queste pian-te. L'eccitazione è una reazione normale a una esperienza così terrificante.

Io e mio fratello eravamo stati vicini per anni, specialmente dopo la morte di nostra madre, ma c'erano esperienze avute in Asia che non gli avevo raccontato. Per calmare tutti noi e per sostenere l'universalità del-l'esperienza che Dennis aveva avuto, decisi di raccontare una storia.

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6 ENT .ERIeUDIO A KA I-IMANDU

In cui il ricordo di eccessi tantrici nei covi hippy dell'Asia, getta una strana luce sulle esperienze con i funghi a La Chorrera.

UE ANNI PRIMA, DURANTE LA PRIMAVERA DELL'ESTATE DEL 1969, avevo vissuto in Nepal e studiato la lingua tibetana. L'ondata di interesse per lo studio del buddismo era appena cominciata, così

coloro che in Nepal amavano il Tibet formavano un gruppo molto ristret-to. La mia ragione per studiare il tibetano era diversa da quella de lla mag-gior parte degli occidentali che lo volevano imparare in Nepal. Quasi tutti erano infatti interessati al buddismo mahayana, mentre io ero interessato a una tradizione religiosa che risaliva a un periodo precedente il Settimo secolo e l'introduzione del buddismo in Tibet.

Questa religione prebuddista, nativa del Tibet, era un tipo di sciama-nesimo connesso ai temi e alla cosmologia dello sciamanesimo siberiano. Lo sciamanesimo siberiano, chiamato bön, continua a essere praticato og-gigiorno nelle aree montagnose del Nepal confinanti con il Tibet. I suoi praticanti sono generalmente disprezzati da lla comunità buddista e ven-gono considerati eretici poco raccomandabili.

Il mio interesse per il bön e i suoi praticanti, i bön-po, nacque da lla mia passione per la pittura tibetana. In questo tipo di pittura, le più fanta-stiche, stravaganti e feroci immagini sono comunemente attribuite all'im-maginazione popolare prebuddista.

I terrificanti guardiani da lle molte braccia e dalle molte teste della fede

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66 VERE ALLUCINAZIONI INTERLUDIO A KATHMANDU 67

buddista, chiamati dharmapalas, con le loro aure di fuoco e luce, sono di-vinità autoctone bön e la loro alleanza con il buddismo è mantenuta solo grazie a potenti incantesimi e rituali che assicurano la fedeltà di questi po-tenti demoni.

Ero convinto che la tradizione sciamanica che aveva creato tali imma- gini esotiche e fantastiche dovesse aver conoscenza delle piante allucino-gene. In Siberia, l'estasi sciamanica veniva raggiunta tramite l'uso del fun-go amanita muscaria e Gordon Wasson sosteneva la tesi secondo cui lo stesso fungo veniva usato nell'India vedica. Siccome il Tibet si trova tra queste due aree geografiche, non mi sembrava strano pensare che, prima della venuta del buddismo, gli allucinogeni fossero parte de lla tradizione sciamanica locale.

L'amanita muscaria era solo uno dei possibili allucinogeni usati in Ti-bet. Il pegamum harmala della famiglia zyogophallacea era un altro candi-dato. Quest'ultimo, come il banisteriopsis caapi, contiene in grande quan-tità l'alcaloide allucinogeno beta-carbolina-armalina e, probabilmente, è un allucinogeno anche se consumato da solo. Di certo, la combinazione con piante contenenti DMT, di cui la flora indiana era abbondante, avreb-be prodotto un forte allucinogeno, la cui composizione non era chimica-mente differente dagli infusi di ayahuasca amazzonica.*

Il mio interesse per la pittura tibetana e per lo sciamanesimo mi aveva condotto in Nepal. Avevo saputo che c'erano campi profughi in Nepal e anche vicino a Simla, in India, la cui popolazione era composta da bön-po fuorilegge, che non erano benvenuti nei campi dei profughi buddisti. Era mia intenzione apprendere dai bön-po qualunque conoscenza avessero degli allucinogeni conosciuti e utilizzati nel passato. Nella mia ingenuità, desideravo dimostrare la mia ipotesi riguardo l'influenza delle piante allu-cinogene sulla pittura tibetana e volevo scrivere un saggio sull'argomento.

Appena arrivai in Asia, compresi chiaramente la vastità del compito e dello sforzo richiesto. Il piano che mi ero proposto era soltanto un'abboz-zo per una vita di dotte ricerche! Naturalmente, scoprii che non potevo fare nulla finché non avessi padroneggiato la lingua tibetana, così misi da parte i miei progetti di ricerca e mi dedicai a imparare più tibetano possi-bile nei pochi mesi che potevo passare in Nepal.

La canna fluviale gigante arundo donax, per esempio, si trova in India e le sue radici contengono DMT. Vedi S. Ghosal, S.K. Dutta, A.K. Sanyal e Bhattacharya, Arundo donax L." (Graminae), Phyto-chemical and Pharmacological Evaluation, in "The Journal of Medical Chemistry", vol. 12,1969, p. 480.

Mi spostai da Kathmandu, lontano dai piaceri delle fumerie di hashish e dal turbine sociale della comunità internazionale dei turisti, degli spac-ciatori e degli avventurieri che si erano appropriati della città. Andai a Boudanath, un piccolo villaggio molto antico a pochi chilometri a Est di Kathmandu, recentemente invaso dai tibetani di Lhasa, gente che parlava il dialetto di Lhasa diffuso in tutto l'Himalaya. La gente del villaggio era buddista e io mi ero accordato per studiare con i monaci locali, chiara-mente senza menzionare il mio interesse per i bön-po. Trovai alloggio ve-nendo a patti con Den Ba-do, il mugnaio locale, che era un newari, uno dei più importanti gruppi etnici del Nepal. Si accordò con me per affittar-mi una camera al terzo piano de lla sua grande casa di mattoni, che fron-teggiava la strada fangosa di Boudanath. Contrattai con una ragazza locale perché mi portasse un po' d'acqua fresca ogni giorno e così mi ci installai comodamente Imbiancai i muri de lla mia camera, commissionai una grande zanzariera nel mercato di Kathmandu, e misi in casa i miei libri e una scrivania tibetana. Finalmente a mio agio, mi dedicai a coltivare la mia immagine di giovane viaggiatore e studente.

Lama Tashi Gyaltsen fu il mio insegnante. Era molto gentile. Nono-stante la sua età avanzata, arrivava ogni mattina a lle sette per una lezione di due ore. Ero come un bambino: cominciammo con la grafia e l'alfabe-to Ogni mattina, dopo che il lama se n'era andato, studiavo per qualche altra ora e poi avevo il giorno libero. Esplorai íl santuario del re del Nepal, a Est di Boudanath, e i luoghi indù dove si svolgevano le cremazioni vici-no a Pashupathipath. Feci anche conoscenza con i pochi occidentali che vivevano nelle vicinanze.

Tra questi c'era una coppia inglese della mia stessa età. Erano molto af-fascinanti. Lui era magro e biondo, con un naso aquilino e le maniere tipi-che della scuola pubblica britannica. Era urbano e arrogante, ma eccentri-co e spesso divertente. Lei era pazzescamente magra, tutta pe lle e ossa. Aveva i capelli rossi, un temperamento selvaggio, era cinica e, come il suo compagno, possedeva un'intelligenza acuta.

Erano stati entrambi ripudiati da lle loro famiglie ed erano divenuti hippy vagabondi, come eravamo tutti allora. La loro relazione era bizzar-ra: erano venuti dall'Inghilterra, ma il rilassarsi della tensione, avvenuta nel bucolico Nepal, era stato troppo per il loro equilibrio. Ora vivevano separati, ai confini opposti di Boudanath. Si incontravano solo per inner-vosirsi vicendevolmente. Per qualche strana ragione mi attraevano. Ero sempre pronto a interrompere gli studi per passare un po' di tempo con

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INTERLUDIO A KATHMANDU 69 68 FEIRE ALLUCINAZIONI

loro. Diventammo amici velocemente. Naturalmente discutemmo del mio lavoro, che li interessava molto perché, usando spesso l'LSD anche a Lon-dra, erano presi da qualunque cosa riguardasse gli allucinogeni. Scoprim-mo anche di avere amici comuni in India e che amavamo tutti i racconti di Thomas Hardy. Era un piacevole idillio

In quel periodo, il metodo che stavo sperimentando per raggiungere la dimensione sciamanica consisteva nel fumare DMT all'apice di un'espe-rienza di LSD. Lo facevo ogni volta che prendevo dell'acido, cosa che ca-pitava abbastanza spesso. Mi faceva entrare nella dimensione triptammi-nica per un periodo di tempo abbastanza lungo. Mentre il solstizio del-l'estate del 1969 si avvicinava, mi preparavo per un altro esperimento.

Avrei preso LSD la sera del solstizio e sarei rimasto tutta la notte sul tetto fumando hashish e osservando le ste lle. Parlai del mio piano ai miei amici inglesi che si dissero felici di partecipare. A me andava molto bene, ma c'era un problema: non c'era abbastanza acido per tutti. La mia picco-la scorta era arrivata a Kathmandu profeticamente nascosta in un fungo di ceramica spedito da Aspen.

Scherzando, suggerii che sostituissero l'LSD con i semi de lla datura hi-malayana, la datura metel. La datura è un cespuglio fonte di un certo nu-mero di alcaloidi tropano: la scopolamina, l'iosciamina e altri componenti che producevano un effetto pseudoallucinogeno. Ti danno la sensazione di volare o di confrontarti con indistinte e fugaci visioni, ma il tutto è diffi-cile da controllare e da ricordare più tardi. I semi della datura metel sono usati in Nepal dai saddhus, eremiti vaganti e uomini sacri, così il loro uso in quella zona era conosciuto. Ma il mio suggerimento era uno scherzo, dal momento che la difficoltà di controllare l'effetto della datura è leggen-daria. Con mia sorpresa, i miei amici si dissero d'accordo, così stabilimmo che ci saremmo trovati a casa mia alle sei di pomeriggio per l'esperimento.

Quando infine la sera arrivò, preparai le coperte e le pipe sul tetto. Da lì si poteva avere una bellissima vista del villaggio e del suo enorme stupa, un tempio conico con gli occhi di Budda dipinti nelle lamine d'oro sulla parte più alta. Gli alti livelli dorati dello stupa erano avvolti da impalcatu-re dove c'era bisogno di riparazioni per via di un crollo avvenuto mesi pri-ma. La massa bianca dello stupa dava al villaggio di Boudanath una qua-lità extraterrestre. Potevo vedere ancora più lontano, fin dove la grande catena Annapurna si elevava per migliaia di metri; a metà strada, la terra era un mosaico di risaie color smeraldo.

Le sei di pomeriggio giunsero, ma non i miei amici. A lle sette non ce

n'era ancora traccia e così presi la mia tavoletta di Orange Sunshine [un ti-po di LSD molto famosa negli anni Sessanta, N.d.R.] custodita gelosa-mente e mi misi ad aspettare. Dieci minuti dopo, arrivarono. Potevo già sentire l'effetto salire, così feci loro un cenno verso i semi di datura che avevo preparato. Li portarono giù nella mia camera dove con un mortaio e un pestello li schiacciarono, poi aiutati da un po' di tè li ingoiarono. Quando raggiunsero il tetto e si sistemarono comodamente, io stavo già partendo per lo spazio mentale.

Passarono alcune ore. Quando si sedettero, ero troppo partito per ac-corgermi di loro. Lei era seduta di fronte a me e lui era dietro, nell'ombra. Lui suonava il flauto, io passai in giro una pipa di hashish. La luna piena salì alta nel cielo. Scivolai in una lunga serie di fantasie allucinate che du-rarono pochi minuti, ma che a me sembravano vite intere.

Quando emersi dal lungo incanto visionario, scoprii che il mio amico aveva smesso di suonare e mi aveva lasciato solo con la sua ragazza.

Avevo promesso loro che gli avrei fatto provare un po' di DMT. La mia pipa di vetro e la mia piccola riserva di DMT arancione erano davanti a me. Lentamente, con fluidi movimenti di sogno, riempii la pipa e la pas-sai a lei. Le stelle ci osservavano da un enorme distanza. Lei prese la pipa e fece un paio di tiri, più che sufficienti per una persona di così scarso peso, poi la pipa tornò a me e feci quattro enormi tiri, l'ultimo dei quali fu così lungo che mi staccai dal bocchino solo quando non fui più in grado di continuare. Era un'enorme quantità di DMT e, immediatamente, ebbi la sensazione di entrare nel vuoto. Udii un acuto lamento e un suono di cel-lophane strappato, mentre mi trasformavo nel goblin orgasmico ad alta fre-quenza che sarebbe poi un essere umano in preda all'estasi da DMT. Ero circondato dal chiacchierare di macchine elfiche e soffitti a volta più belli di quelli arabi che avrebbero fatto arrossire Bibiena Migliaia di manife-stazioni di un potere al contempo alieno e bizzarramente bello ruotavano intorno a me.

Quando le visioni cominciarono a svanire, l'LSD salì portando il mio stato a un livello più alto. Mentre la folla elfica se ne andava le saltellanti orde di macchine elfiche del DMT si ridussero a un leggero ululato. Al-l'improvviso, mi trovai a volare a centinaia di chilometri da terra in com-pagnia di dischi argentati. Non potevo contarli. Ero estasiato dallo spetta-colo della terra sotto di me e realizzai che mi muovevo verso Sud, appa-rentemente in orbita polare, sopra la Siberia. Davanti a me potevo vedere la grande pianura di Shang e la massa himalayana che si ergeva davanti al-

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la desolazione giallo-rossa dell'India. Il sole sarebbe sorto dopo un paio di ore. Con una serie di salti telescopici, andai fino a un punto dove potevo vedere la depressione circolare de lla valle di Kathmandu. Con il balzo successivo la valle riempì la mia visione. Mi avvicinavo a grande velocità. Potevo veder un tempio indù e le case di Kathmandu, il tempio di Svayambhunath a Ovest della città e lo stupa di Boudanath che brillava di luce bianca pochi chilometri a Est. Poi Boudanath divenne un mandala di case e strade circolari che riempivano la mia visione. Tra le centinaia di tetti trovai il mio. L'attimo dopo andai a sbattere nel mio corpo e tutto si rifocalizzò sui tetto e nella donna di fronte a me.

Lei era vestita con un vestito lungo da sera di raso d'argento, un bene di famiglia, il tipo di cosa che si può trovare in un negozio d'antichità a Notting-Hill Gate. Caddi in avanti credendo che la mia mano fosse coper-ta da qualche fresco liquido bianco. Era la tessitura del vestito di lei. Fino a quel momento nessuno dei due aveva considerato l'altro un potenziale amante. Il nostro rapporto era funzionato a un altro livello. Ma improvvi-samente i rapporti normali furono dimenticati. Ci avvicinammo ed ebbi l'impressione di passare attraverso di lei. Lei si tolse il vestito con un solo gesto. Feci la stessa cosa con la mia camicia che si distrusse tra le mie ma-ni. Udii il rumore di bottoni che volavano e dei miei occhiali che erano ca-duti da qualche parte e si erano schiantati.

Poi facemmo l'amore. O per dirla meglio, partecipammo a un'espe-rienza che ricordava vagamente il fare l'amore, ma che era un'altra cosa. Entrambi urlavamo e cantavamo nel linguaggio del DMT, rotolandoci sul terreno in allucinazioni vivide e geometriche. Lei era trasformata, poche parole esistono per descrivere ciò che era diventata: puro spirito, Kali, Leucotea, qualcosa di erotico, ma non umano, qualcosa che riguardava l'archetipo de lla specie e non l'individuo, qualcosa che faceva balenare la possibilità del cannibalismo, della follia, dello spazio e dell'estinzione. Sembrava sul punto di divorarmi.

La realtà era a pezzi. Scopare in questo modo può accadere solo al li-mite di ciò che è possibile. Ogni cosa era trasformata in orgasmo e negli oceani visibili e vocianti del linguaggio elfico. Poi vidi che, dove i nostri corpi erano incollati insieme, stava uscendo da lei una sorta di liquido di ossidiana scuro e bri llante, con colori e luci dentro, che fluiva su di me, sul tetto, ovunque. Dopo il flash del DMT, dopo gli svariati orgasmi, dopo tutto questo, quest'altra cosa mi scioccò. Che cos'era quel liquido e dove stava andando? Lo guardai. Lo guardai bene e capii che era la superificie

della mia mente riflessa davanti a me. Era una sostanza traslinguistica, l'escrescenza vivente dell'abisso alchemico dell'iperspazio, qualcosa gene-rato dall'atto sessuale in condizioni così pazzesche? Guardai di nuovo e ci vidi il lama che mi insegnava tibetano e che stava dormendo in realtà a un paio di chilometri di distanza. Nel fluido, lo notai in compagnia di un mo-naco che non avevo mai visto: stavano fissando un piatto specchiato. Poi realizzai che stavano guardando me! Non capivo. Diressi lo sguardo lon-tano dal fluido e dalla mia compagna, perché lei aveva un'aura di stranez-za troppo intensa.

Mi resi conto che avevamo cantato, intonato yodel, lanciato selvagge urla orgasmiche per parecchi minuti sul mio tetto! Probabilmente tutti a Boudanath erano stati svegliati e stavano per aprire porte e finestre per ca-pire cosa stesse succedendo. Cosa stava succedendo? La frase favorita di mio nonno sembrò appropriata: "Buon Dio!', disse la beccaccia quando il falco la colpì". Questo ricordo grottesco e fuori luogo mi fece ridere co-me un pazzo.

Poi il pensiero di essere scoperto mi riportò abbastanza in me per capi-re che dovevamo nasconderci in fretta. Eravamo entrambi nudi e la scena intorno a noi era di totale e inspiegabile caos. Lei era sdraiata, incapace di rialzarsi. Quindi la presi in braccio e raggiunsi le scale, oltre il deposito di grano, fino in camera mia. Ricordo che per tutto il tempo continuavo a di-re a me stesso e a lei: "Sono un essere umano. Sono un essere umano". Avevo bisogno di ripeterlo perché non ne ero molto convinto al momento.

Aspettammo nella mia stanza per qualche minuto. Lentamente capim-mo che per qualche miracolo, non più strano di tutto il resto, nessuno si era svegliato, sembrava che nessuno avesse sentito! Per calmarci feci del tè e nel frattempo controllai il suo stato mentale. Lei sembrava in pieno deli-rio e non in grado di discutere con me di cosa fosse successo sul tetto. È un tipico effetto della datura non ricordarsi ciò che sperimenti. Sembrava che sebbene fossimo stati partecipi dell'atto più intimo tra due persone, io fos-si l'unico testimone che potesse ricordare qualcosa di ciò che era accaduto.

Considerando questo, tornai sul tetto e presi i miei occhiali. Incredibil-mente erano interi, sebbene io fossi sicuro di aver sentito il rumore delle lenti che si infrangevano. I liquidi di ossidiana, escrescenze ectoplasmati-che dei giochi tantrici, erano sparite. Con i miei occhiali e i nostri vestiti, tornai nella stanza dove lei dormiva. Fumai un po' di hashish e mi sdraiai vicino a lei sotto la zanzariera. Nonostante tutta l'eccitazione e la stimola-zione del mio sistema nervoso, mi addormentai subito.

70 \'EIFE ALLIILIIaAZIU!ö1 INTLRLL"DI0 A KATHMANDU' 71

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72 S' ERE ALLUCINAZIONI

Non ho idea di quanto dormii. Quando mi svegliai di colpo e diretta-mente da un sonno profondo, era ancora buio. Non c'era traccia della mia

amica. Dentro di me suonò un campanello d'allarme: se stava ancora deli-rando, era pericoloso per lei andarsene in giro di notte. Saltai in piedi, mi

misi il jalaba e cominciai la ricerca. Non era sul tetto né vicino al deposito

di grano. La trovai al piano terra dell'edificio. Era seduta per terra e fissava il

proprio riflesso nella tanica de lla benzina che apparteneva al genero del

mugnaio. Ancora disorientata, vedeva persone che non c'erano e confon-deva una persona con l'altra. "Sei il mio sarto?" mi chiese molte volte

mentre la riportavo in camera, "Sei il mio sarto?" Quando fummo di nuovo di sopra, mi tolsi il mio jalaba e scoprimmo

che avevo indosso le sue mutandine. Erano troppo piccole per me e nes-suno di noi sapeva come fossero finite lì. Questo errore coronò una serata

assurda e io ruggii una risata. Le ridiedi le sue mutandine e andammo a

letto, sconvolti, rassicurati, esausti e felici.

Passata questa esperienza, io e la ragazza diventammo ancora più

amici; non facemmo più l'amore, non eravamo fatti per una relazione.

Non si ricordava nulla di ciò che era successo sul tetto. Dopo una setti-mana, le rivelai i miei ricordi. Battezzai ii flusso di ossidiana "Luv", qual-cosa di più dell'amore, qualcosa di meno dell'amore, forse non del tutto

amore, ma qualche inesplorata e potenziale esperienza umana di cui si

conosce molto poco.

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Questa era la storia che raccontai a Dennis e a Ev quella notte a La

Chorrera, mentre le amache oscillavano alla luce della lampada e una

pioggia intermittente tambureggiava sul tetto della capanna. Fu questo in-cidente ad accendere il mio interesse per i fluidi viola che si dice gli scia-mani dell 'ayahuasca generino sulla superficie della loro pelle e che usino per divinare e guarire. Ogni volta che racconto questa storia, metto l'ac-cento sul liquido. Quella sera nebbiosa, ne parlai per rassicurare Dennis.

Non parlai dell'assurdità di svegliarsi con le mutande di qualcun altro.

Era un particolare imbarazzante e non contribuiva alla storia. A quel tem-po, non avevo detto a nessuno di quell'incidente: era un ricordo persona-le. Lo ricordo ora perché quest'assurdo evento fu poi il centro dell'episo-dio di telepatia più convincente di cui sia stato testimone.

Page 38: Vere Allucinazioni

LA MIA STORIA FINÌ E ANDAMMO TUTTI A DORMIRE SONNI AGITATI

per qualche ora. Alle prime luci dell'alba, io ed Ev raggiungem-mo un gruppo di capanne a un chilometro di distanza, presso la

sponda dell'Igara-Parana oltre il chorro. Sapevamo che i witoto, scenden-do il fiume verso la missione per portare a scuola i loro figli, si sarebbero fermati presso quelle case solitamente abbandonate. La nostra speranza era di comprare alcune uova e un po' di papaya da aggiungere a lla nostra dieta di riso integrale, yucca e banane.

Trovammo solo un piccolo gruppo di persone, il cui unico alimento in vendita era un frutto verde a forma di cuore, grande come uva, pieno di semi vagamente dolci affogati in una melassa color porpora. A quel tempo questo frutto era sconosciuto alla scienza: pochi anni dopo Schultes l'avrebbe descritto e chiamato macoubea witotorum. Non rividi mai più questi frutti. Erano poco costosi e, siccome eravamo venuti per comprare qualcosa, spendemmo quindici pesos per quasi venticinque chi li di cibo. Sebbene la notte prima fossi rimasto alzato a giocare con gli oceani alluci-nogeni della mente, mi sentivo a posto e pieno di vitalità. Sollevai un sac-co gonfio, i nostri acquisti, e mi diressi a passo spedito verso la missione.

Mi godetti questa fatica. Il costal, cioè il sacco, sembrava leggero, quasi un piacere da portare. Senza pause, io ed Ev andammo a lla missione e alla

7 UNO PSICOFLU DO V OLA

In cui Dennis comincia a schematizzare il suo approccio all"`opera" alchemica

e si discute se uno psicofluido possa o meno essere una sostanza traslinguistica.

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77 76 VERE ALLUC;lNAZION1 UNO PSICCFLUI 0 VIOLA

residenza di Dave e Vanessa per una colazione tutti insieme. Quando ave-vamo lasciato la capanna a lla ricerca di cibo, Dennis era addormentato profondamente ma, nel frattempo, si era svegliato ed era andato a sveglia-re Vanessa per descriverle le proprie esperienze notturne: il ronzio interno e la sensazione di essere posseduto. Stava raccontando tutto, quando arri-vammo in casa e depositammo il costal. Mentre facevamo colazione, di-scutemmo gli eventi della sera precedente. Vanessa e Dave non furono toccati dall'eccitazione di Dennis che sosteneva di essere entrato in con-tatto con qualche tipo particolare di energia. A lla fine della colazione, sug-gerii a Dennis che invece di litigare sulla natura dell'esperienza, avrebbe dovuto scrivere i suoi pensieri riguardo allo strano suono. Lui accettò l'in-vito e tornò alla collina della nostra capanna per stare da solo e scrivere:

28 febbraio 1971 Scrivo queste pagine con una particolare sensazione di urgenza, come un uomo che si sia confrontato con un fenomeno inspiegabile, quale un'impossibile creazione di sogni o un principio naturale inenarrabi-le. Il compito è complicato dal fatto che il fenomeno che devo tentare di descrivere ha a che fare con gli stessi strumenti di descrizione, vale a dire il linguaggio. Questa frase sembrerà più sensata esplorando più a fondo il concetto. Prima di andare oltre, qualcosa mi dice che è necessario analizzare chi sono. Ventiquattro ore fa pensavo di saperlo: adesso è la domanda più inquietante che mi sia mai posto. Le domande nate da questa daranno le risposte che ci permetteranno di capire e di usare questo fenomeno così difficile da descrivere. Queste potrebbero essere le ultime parole che spenderò a descrivere qualcosa in un rozzo linguaggio; dal mo-mento che il fenomeno comincia al confine del linguaggio, dove la fa-coltà di formare concetti brancola ma non trova parole, devo stare at-tento a distinguere tra il linguaggio di simboli e metafore e la realtà cui sto tentando di applicarlo.

Quando lessi questo prologo, esso mi sembrò grandioso e allarmante, ma Dennis aveva un'aura di calma e di certezza che imponeva rispetto. Sentivo che il logos stava lottando con il vocabolario del suo ultimo aral-do. Sembrava avere via via più senso, come se fosse vicino a qualcosa. Continuai a leggere:

Poiché ogni fenomeno è più o meno descrivibile in termini empirici, ciò deve essere vero anche per questa esperienza. Essa ha a che fare con il controllo della chimica del proprio corpo e la produzione di specifici fe-nomeni vocali e acustici: la cosa diviene possibile quando vegetali alca-loidi altamente biodinamici, i composti triptamminici e gli inibitori MAO," vengono introdotti nel corpo secondo parametri accuratamente regolata: Questo fenomeno è apparentemente possibile in presenza del-la sola triptammina, sebbene l'inibizione MAO sicuramente aiuti a in-nescarla, facilitando l'assorbimento della triptammina. Il fenomeno è stato innescato da due persone del nostro gruppo: alcuni anni fa Teren-ce ha sperimentato con fenomeni vocali sotto l'influenza del DMT. *'' Fino alla notte scorsa, quando ho sperimentato questa onda sonora per qualche secondo sotto l'influenza di diciannove funghi di stropharia, Terence era l'unica persona di mia conoscenza che sosteneva di essere in grado di emettere questo suono. Ma ieri notte, dopo aver consumato i funghi, ci siamo sdraiati sulle amache; la forte sensazione d'intossica-zione che di solito sfiora le membra all'inizio delle visioni di stropha-ria era svanita. In me si era trasformata in una calda soddisfazione che sembrava bruciare da qualche parte dentro di me. Avevo avuto sensa-zioni simili prima, sia con i funghi sia appena dopo i flash da DMT. Poi parlammo di persone lontane e di come avremmo potuto tentare di contattarle nella quarta dimensione; poiché, apparentemente, la con-nessione magica a distanza è parte dello sciamanesimo, questo non era un tipo di comunicazione per noi inusuale. Poco dopo questa conversa-zione, udii il suono per la prima volta, debole e lontano, tra le orec-chie, interno, ma distinto per quanto possa esserlo un suono sul confi-ne della percezione. Come un segnale o come una debole trasmissione radio, inizialmente come il suono delle campane, che poi si trasforma-va in un suono elettrico, scoppiettante, scioccante e gorgogliante. Ho

* Gli inibitori MAO sono composti chimici la cui attività nel corpo rallenta o interferisce con la mo-noamminoossidasi, un sistema enzimatico che ossida molti composti presenti all'interno di cibo e dro-ghe riducendoli a sottoprodotti non dannosi. In presenza degli inibitori MAO, i composti che nor-malmente sarebbero ridotti metabolicamente in sottoprodotti inerti, subiscono al contrario un'esten-sione nella durata della loro attività fisiologica e psicologica. ** I miei esperimenti sono consistiti nell'osservazione del fatto che la spontanea glossolalia che il

DMT causava in me, innescava talvolta una sorta di attacco sinestetico, durante il quale le strutture sintattiche nel linguaggio parlato divenivano realmente visibili. Effetti come questo potrebbero spie-gare la mia esperienza sul tetto della casa in Nepal. Insoliti dispositivi linguistici e vocali sembrano ca-ratterizzare l'intossicazione da DMT.

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tentato di imitare questi rumori con le mie corde vocali, sperimentan-do con un vocalizzo ronzante. All'improvviso, fu come se il suono e la mia voce si incontrassero e il suono divenne la mia voce, però veniva da fuori di me in un modo che nessuna voce umana avrebbe potuto imitare. All'improvviso, il suono fu intensificato e divenne come il suono di un insetto gigante.

Mentre Dennis scriveva, noi nuotavamo pigramente nel fiume e vi fa-cemmo il bucato sotto un cielo amazzonico chiaro, infinitamente azzurro e pulito. Il ronzio di sottofondo de lle cicale aumentava d'intensità e domi-nava sulla calda e luccicante superficie dell'Igara-Parana, che scivolava come elettricità, attraverso la terra, nel caldo de lla giornata equatoriale.

Più tardi, quel pomeriggio, Dennis venne al fiume a cercarmi. Mi trovò che lavavo le scarpe da tennis su una roccia piatta che stava appena sopra la superficie dell'acqua. Senza dubbio quando l'acqua non lo sommergeva era un luogo perfetto per fare il bucato. Era un posto magico, ma in quel momento la sua magia era ancora lontana quattordici giorni. Ci sedemmo e parlammo. Erano passate sedici ore dall'episodio de lla notte preceden-te. Dennis disse che l'esercizio di scrittura era stato molto utile.

"Grande! E cosa ne hai concluso?" "Non sono sicuro. Sono molto eccitato, ma qualunque sia la causa

dell'eccitazione, sta seminando idee più velocemente di quanto io possa scrivere."

"Idee di che genere?" "Idee divertenti. Idee riguardo i modi di utilizzare questo effetto, que-

sta cosa sconosciuta con cui abbiamo a che fare. La mia intuizione è che sia relazionato agli psicofluidi di cui Michael Harner parlò nel numero di `Natural History' nel luglio del 1969 e a ciò che ti è accaduto a Bouda-nath. Ricordi come Harner sostenesse che gli ayahuasqueros vomitano una sostanza magica che è alla base della loro capacità di divinazione? Quello che mi è successo è qualcosa di simile, una sorta di sostanza translinguisti-ca creata da lla voce."

Parlammo a lungo vicino al fiume, sondando varie opzioni. Dennis in-sisteva a collegare la mia esperienza in Nepal con lo strano fenomeno spe-rimentato dagli sciamani jivaro in Ecuador. Questi sono soliti prendere l'ayahuasca così da riuscire a vedere una sostanza di colore viola, o blu scuro, che ribolle come un liquido. Vomitando, dopo aver preso l' ayahua-sca, questo fluido viene emesso dal corpo; a volte si forma anche sulla su-

perficie della pelle sotto forma di sudore. Gli jivaro basano gran parte del-la loro pratica magica su questa sostanza di cui praticamente nulla si sa, poiché questo tipo di conoscenza è avvolta da un manto di segretezza. I pochi che parlano insistono che gli sciamani jivaro spargono la sostanza sul terreno davanti a loro, e che riescono a veder altri luoghi e altri tempi. Secondo i racconti, la natura di questo fluido è completamente al di là dell'esperienza ordinaria: si dice che sia fatta de lla stessa materia di cui è composta la mente o lo spazio-tempo oppure ancora che sia una pura al-lucinazione espressa oggettivamente, ma sempre tenendosi all'interno dei confini del liquido.

Il lavoro di Harner riguardo gli jivaro non era l'unica testimonianza. Fin dai primi studi etnografici dei popoli amazzonici, erano corse voci a proposito di escrezioni magiche e di oggetti psicofisici resi potenti da lla magia, che venivano prodotti dal corpo degli sciamani dopo che questi avevano ingerito allucinogeni e avevano cantato a lungo. Ricordai l'osser-vazione alchemica secondo cui íl segreto è nascosto nelle feci.

"Una sostanza iperdimensionale e quindi translinguistica?", domandai a Dennis, "È questo di cui parli?"

"Sì, qualunque cosa questo significhi. Perché no? Certo, è un'idea da pazzi, ma è anche il sistema simbolo che abbiamo portato con noi alla ri-cerca della magia sciamanica. `Questo è ciò per cui ti sei imbarcato, uomo, per inseguire la balena bianca in tutti gli oceani, su entrambi i lati della terra finché non sputerai sangue nero.' Non è questo il tuo rap?"

L'uso della retorica melvilliana era fuori luogo, e non da lui. Da dove le tirava fuori certe cose?

"Sì, suppongo di sì." "Questo è il punto. Se c'è qualcosa di strano dovremmo vedere di cosa

si tratta e renderlo coerente. Ammettiamo di non sapere con cosa abbia-mo a che fare, ma sappiamo che siamo venuti qui per investigare la magia sciamanica, così ora dobbiamo lavorare su questo effetto, sperare di sape-re ciò che facciamo e avere abbastanza informazioni. Siamo troppo isolati per fare altro e per ignorare che rischiamo di gettare al vento un'opportu-nità d'oro."

"Sì, hai ragione," dissi, "eccoci in acque profonde. Abbiamo avuto la fortuna del principiante nel trovare l'altra dimensione così accessibile. Il fungo ce l'ha permesso, o forse la somma del fungo e del fumo di ayahua-

sca. È difficile da stabilire. Ci sono così tante variabili. Ci sono anche un sacco di episodi di sincronia".

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"Giusto. Mi sento vicino a qualcosa di grandioso. Dobbiamo osservare da vicino la nostra fantasia, cercare di costruirci sopra. Il buon vecchio metodo junghiano."

"Sì," dissi, "idealmente possiamo sperare di creare le condizioni per un test scientifico."

Ricordai che nel libro A scuola dallo stregone c'è un episodio in cui Me- scalito, l'entità del peyote, solleva la mano e nel suo palmo Carlos Castane-da vede un incidente accadutogli tanto tempo addietro. Se questo fenome- no avesse una validità empirica, forse suggerirebbe la presenza di una sotti-lissima pellicola di proiezione transdimensionale. Osservando, si potrebbe ricevere un perfetto feedback. È uno specchio, non del tuo riflesso fisico, ma della tua essenza. Certo, tutto questo era speculazione: questa sostanza esisteva davvero o era solo un'allucinazione? Chi può credere a cose simi li?

Dennis era convinto che la cosa fosse connessa con il suono e che si po-tesse creare la sostanza con la voce. Era un'idea strana e senza fondamen-to, su cui potevamo speculare a lungo, poiché, qualunque cosa fosse, era fatta della stessa sostanza di cui è fatta l'immaginazione. In tre dimensioni, poteva assumere qualunque forma, ma questo liquido mentale ectoplasmi-co viola esisteva solo nella quarta dimensione. Sembrava possibile immagi-nare di entrare nell'altra dimensione e di produrre questo liquido. Parlò a lungo di questa cosa. Ero in estasi: mi piacevano le sue idee. Sentivo che era un'altra idea proveniente dall'oceano triptamminico in cui nuotavamo. La domanda era: cosa potevamo fare? Adesso, dopo tutto ciò che ho impa-rato negli ultimi vent'anni, è difficile essere sicuro di ciò che credevamo a La Chorrera. Il nostro umore era a llegro e positivo, le diverse esperienze con i funghi avute in quello splendido luogo ci avevano condotto a una de-licata euforia. Era un gran periodo. Eravamo eccitati all'idea di entrare in contatto con il segreto (così chiamavamo la gamma di effetti incontrati nell'esperienza triptamminica). Era il veicolo della nostra ricerca: le topo-logie a rosone degli alveari galattici del flash di dimetil-triptammina, quella combinazione di chiacchiera da bar e matematiche formali dove i desideri diventavano cavalli e ognuno poteva cavalcare. Non eravamo nuovi all'idea dell'altra dimensione, ma l'avevamo sfiorata solo in brevi momenti nella sua manifestazione di lux natura, la luce spirituale dietro la natura or-ganica. Al momento, eravamo fan della dea, non ancora i suoi amanti.

Ogni componente della spedizione sperimentò la sensazione dello schiudersi di qualcosa intorno a noi, della sospensione del tempo, di en-trare in un mondo verde che era stranamente e quasi eroticamente vivo,

che ci circondava per migliaia di chilometri. La giungla era come una mente, il mondo sospeso nello spazio era come mente, immagini di un or-dine e di un'organizzazione cosciente si affollavano intorno a noi. Come eravamo piccoli, le nostre conoscenze erano limitate, ma di quel poco che sapevamo eravamo fieramente orgogliosi. Ci sentivamo in qualche modo come dei rappresentanti dell'umanità che stavano per venire in contatto con l'altra dimensione, quel qualcosa al confine dell'esperienza umana. In quei primi giorni a La Chorrera una magnificenza orgogliosa e sopranna-turale era associata a lla nostra impresa.

Il giorno successivo, il primo di marzo, passò tranquillamente. Dennis scriveva il suo diario Io prendevo insetti e Vanessa faceva foto intorno a lla missione. La sera ci riunimmo di nuovo presso la capanna. In silenziosa co-munione con il fiume e con noi stessi, Ev e io sedemmo guardando il lago.

Ev lo notò per prima. Il lago era invaso dalla nebbia generata dalla cor-sa dell'acqua nella stretta gola. La foschia che ondeggiava sull'acqua mar-rone segnalava la corrente del fiume, dove si allargava nel lago e prosegui-va dall'altra parte. Osservandolo, Ev sussultò. La marmorea superficie del lato più lontano del fiume era cambiata. L'acqua sembrava essersi ferma-ta. Proprio così: ferma! La superficie sembrava congelata, ma l'altra metà del fiume continuava a scorrere.

Chiamammo Dennis e Vanessa che ammisero l'assurdità di ciò che ve-devamo. Mi allontanai, mentre loro speculavano sulle possibili cause: l'ora del giorno, la luce, un'illusione ottica e tutto il resto. Non mi curavo di queste discussioni. Ogni volta che cominciavano, sentivo che tutto sta-va procedendo per il verso giusto e che ognuno stava recitando bene la propria parte.

Questa passività calma e intuitiva era nuova per me: forse intensificata dall'uso dei funghi, si era sviluppata nel mese passato in Colombia, prima di entrare nella giungla. Di solito avrei partecipato a queste discussioni, ora le lasciavo passare. Mentre camminavo, cercavo un posto per seder-mi; Dennis mi diede da leggere il suo diario:

1 marzo 1971 Ieri notte, ho innescato nuovamente il fenomeno dopo aver mangiato un fungo e fumato dell'erba. È stato uguale alla prima volta, un'onda che si sollevava, pulsando con un ronzio vocale sempre più forte ac-quistando un'energia scioccante. Avrei potuto prolungare il suono, ma non l'ho fatto a causa dell'energia. Sono certo che presto potrò

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Una cosa normalmente invisibile, come la rete sintattica che tiene in-sieme il mondo e il linguaggio, può condensarsi o cambiare il suo stato on-tologico e diventare visibile. Sembra esserci una dimensione mentale pa-rallela in cui ogni cosa è fatta della materia di un linguaggio visibile, un ti-po di universo a noi prossimo abitato da elfi che cantano la propria esi-stenza e invitano coloro che incontrano a fare lo stesso.

Non essendo chimici, avevamo reso la condensazione dello spirito con l'idea di una sostanza translinguistica. Parole, oggetti e cognizioni erano stati fusi nella migliore tradizione dello yoga tantrico. Mio fratello era im-merso nell'impresa di rivelare il mistero alchemico tradizionale.

produrre il suono senza triptammina o altre droghe. È via via più faci-le connettersi e sento che è possibile in ogni momento. È una cosa che si può imparare e, in questo processo di apprendimento, la triptam-mina può aiutare ma, una volta capito e controllato, il fenomeno può essere prodotto senza triptammina. Per adesso, abbiamo provato l'esi-stenza di un particolare fenomeno vocale in due individui sottoposti a simili esperimenti. Ora dobbiamo capire che cos'è il fenomeno. Dob-biamo sperimentare con il suono e sviluppare teorie dai risultati. Te-rence ha sperimentato con questi suoni più di chiunque altro e ha sco-perto cose interessanti.

Lo stato innescato dal DMT, che permette esplosioni prolungate di questa energia, lui lo descrive come un livello sonoro che diviene più denso e si materializza in piccole creature simili a gnomi fatti di un materiale simile all'ossidiana, emesso dal corpo, dalla bocca e dagli organi sessuali, per tutta la durata del suono. È effervescente, fosfore-scente e indescrivibile. Le metafore linguistiche diventano inutili, perché questa materia è al di là del linguaggio, non un linguaggio fat-to di parole, un linguaggio che diviene le cose che descrive. È un logos archetipo più che perfetto. Sono convinto che attraverso la sperimen-tazione con questi fenomeni vocali, con o senza droghe, sarà possibile capire e usare la sostanza translinguistica per raggiungere ogni realtà, poiché dire qualcosa con il suono significa farla accadere!

Una frase così radicale potrebbe suonare esagerata se non fosse per le nostre lunghe e tediose speculazioni. I nostri studi in chimica della

mente, il metabolismo della triptammina, la natura del pensiero, del-la consapevolezza, di storia, magia, sciamanesimo, fisica quantistica e relativistica, metamorfosi degli insetti, processi alchemici ecc., insie-me all'intuitiva comprensione di eventi senza causa e sincronici ispi-rati dalla stropharia, ti permettono di tentare di capire da dove venga questo suono. Gli allucinogeni, toccando la matrice neurale, possono produrre cambiamenti della consapevolezza nella dimensione tempo-rale. Certo, la consapevolezza può produrre cambiamenti anche a tre dimensiona: In triptammina è possibile, in condizioni particolari; sen-tire e vocalizzare un suono che passa attraverso una dimensione supe-riore e multiforme e si condensa come sostanza translinguistica, come per esempio materia che si duplica nel tempo, come un ologramma si duplica attraverso lo spazio. La sostanza prodotta dal suono è triptam-mina metabolizzata dalla mente in una dimensione spaziale superio-re. È una molecola iperdimensionale che si trasporta in `questo" mon-do. La natura iperdimensionale di questa materia è tale da essere fatta di tutti i materiali, concetti, eventi, parole, persone e idee omogeneiz-zate in una cosa sola tramite una più alta alchimia mentale.

Ci sono molte domande riguardo la fenomenologia di questo olo-gramma temporale come matrice fluida. Speculando, direi che è tript-ammina metabolizzata iperdimensionalmente, un fenomeno alche-mico che è la corretta unione di triptammina (un composto onnipre-sente in natura) con il suono prodotto dalla voce e mediato dalla mente. È la mente che dirige questo processo e la direzione consiste in un'armoniosa sintonia di un fenomeno audiolinguistico interioriz-zato che potrebbe essere un tono di risonanza ESR, della molecola di psilocibina. Quando questo suono è esternato imitando a perfezione

Questa è l'idea del muco misterioso, la leggenda che sopravvive nelle zone meno conosciute dell'Amazzonia. Circolano voci circa un materiale magico generato dal corpo degli sciamani, che permette di curare, fare magie e ottenere informazioni non ottenibili attraverso i canali normali. Come gli specchi magici delle fiabe, i fluidi magici della foresta pluviale sono finestre aperte su tempi e spazi lontani. Il nostro compito era di crea-re un modello credibile riguardo al funzionamento del fenomeno, senza tralasciare le leggi fisiche o chimiche conosciute o quelle incerte. Dennis speculava nel suo diario.

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il suono interno, si crea la triptammina iperdimensionale. Questa so-stanza è mentale come un'idea normale? È reale come un liquido normale, come l'acqua? Harner insisteva che, sotto l'influenza di triptammina inibitore MAO e di infusi di ayahuasca, gli sciamani ji-varo producono un liquido fluorescente che è la base delle loro magie. Sebbene invisibile alla percezione ordinaria, si dice che questo fluido sia visibile a tutti coloro che hanno consumato la sostanza. L'ayahua-sca è spesso associata ad aure viola e allucinazioni blu scuro. Questo può indicare un plasma termico, forse visibile solo nello spettro UV. Se questo fenomeno ricade nella categoria "mentale', rappresenta una comprensione perfezionata dell'iperdimensione chiamata da Jung inconscio collettivo, anche se ha il limite di non toccare lo spa-zio-tempo ordinario.

Cpn vent'anni di esperienza a lle spalle, accumulati vivendo in un os-servatorio privilegiato, queste parole mi sembrano arcane e ingenue. L'idea di una possibile metamorfosi unitaria dei mondi fisici e mentali è concettualmente difficile e antiintuitiva, ma la convinzione che ci fosse qualcosa dietro al fenomeno, o all'idea di esso, era un fattore centrale nell'indurci a esplorare lo sciamanesimo del bacino amazzonico. Quando lessi per la prima volta questi appunti, dubitavo di ciò che leggevo. Era contro ogni senso comune, non lo capivo. Oggi, dopo anni di studio dedi-ti a capire gli eventi di La Chorrera, queste idee sembrano magicamente vicine e al tempo stesso lontane. Avevamo una teoria e un'esperienza e de-cidemmo che era venuto il momento di provare a unirle in un esperimen-to i cui risultati sarebbero stati ridicoli, a meno che non ci fosse un seme di verità nelle pazze idee nate in quel periodo.

Più tardi, quella sera, io, Dennis ed Ev fumammo una canna di Santa Marta Gold. Era una notte calda e limpida. Quando ci sedemmo e comin-ciammo questo rito, Ev fece commenti sulla limpidezza serale e tutti e tre guardammo il cielo. La notte era inondata di stelle. Fumammo in silenzio. Dopo forse cinque minuti, ognuno di noi era perso nella propria mente. La cosa finì quando Dennis esclamò: "Guarda come sono cambiate in fretta le condizioni dell'aria. Ora si sta levando la nebbia".

Era vero. Per venti metri in tutte le direzioni, c'era una fitta nebbia che avvolgeva il terreno. Mentre guardavamo, la nebbia divenne più spessa e si allargò su tutta la zona. In pochi minuti eravamo passati da un limpido cielo notturno alla nebbia più totale. Ero sinceramente colpito. Dennis fu

il primo a fornire una spiegazione, con una convinzione che era più scon-certante del fenomeno: "È qualche instabilità barometrica causata dalla combustione della nostra canna".

"Mi prendi in giro?" dissi, "Stai dicendo che il calore della nostra can-na ha fatto condensare l'acqua in nebbia davanti a noi e che ha creato una reazione a catena in tutta l'aria saturata della zona? Stai scherzando vera-mente".

"No, no, è così! E per di più accade per una ragione, forse il fungo ci sta dando un esempio. È un modo di mostrarci che piccole instabilità in un sistema possono innescare cambiamenti più grandi."

"Oh, Cristo." L'idea di Dennis mi sconvolgeva. Non potevo pensare che la sua spie-

gazione fosse vera, né potevo capire cosa ci trovasse di sensato.* Per la prima volta, mi passò per la testa che stesse impazzendo. Non che ragio-nassi in termini psicanalitici, ma avevo l'idea che si stesse infilando in una realtà mitopoietica, o in altri termini che si fosse "fumato il cervello".

A quel punto, la nebbia era impenetrabile e così ci ritirammo per la notte, ma non prima che Ev dicesse che nel silenzio che aveva preceduto l'apparizione della nebbia, aveva avuto un'allucinazione. Con gli occhi chiusi, aveva visto una strana creatura elfica che faceva rotolare per terra un poliedro complesso. Ogni faccia del poliedro sembrava una finestra aperta su un altro luogo nel tempo o su altro mondo.

"È la pietra!", esclamai. Potevo quasi vedere la sua visione della lapis philosophorum, l'ambita meta di secoli di speculazione alchemica ed er-metica che faceva capolino nella notte amazzonica, e ora appariva come un grande gioiello multidimensionale, la pietra filosofale in custodia di uno gnomo tellurico. Il potere dell'immagine era profondo e toccante. Potevo sentire i sogni spirituali degli antichi alchimisti, grandi e piccoli, che avevano cercato la pietra nei loro laboratori fumosi. Potevo sentire la catena d'oro degli adepti che si estendeva nel lontano passato ellenistico, 1'"opera" ermetica, un progetto più grande dei secoli e degli imperi: nien-te di meno della redenzione di un'umanità decaduta attraverso la rispiri-tualizzazione della materia. Non avevo mai visto o immaginato il mistero della pietra, ma ascoltando la descrizione della visione di Ev, si formò un'immagine nella mia mente che è rimasta fino a oggi. È quest'immagine

* Naturalmente, nessuno di noi poteva sapere che gr an parte delle ricerche matematiche nei decenni successivi avrebbe esplorato proprio questi concetti sotto il nome di teoria e dinamica del caos.

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VERE ALLUCINAZIONI

della pietra filosofale come un gioiello iperdimensionale che si trasforma

in un UFO, l'anima umana come un'astronave. È la panacea universale al-la fine del tempo, tutta la storia non è che l'onda d'urto di questa realizza-zione del potenziale nella psiche umana. Questi pensieri mi sembravano

come l'agitarsi di qualcosa di vasto, qualcosa appena percepito che si dila-tava su milioni d'anni, qualcosa come il destino dell'umanità e il ritorno

dell'anima alla sua terrificante fonte nascosta. Cosa ci stava succedendo?

La sensazione di stranezza era quasi palpabile. Scuri oceani di tempo e

spazio sembravano fluire sotto i nostri piedi. L'immagine della terra nello

spazio era emotivamente impressa nella situazione intorno a noi. E in che cosa consisteva quella situazione veramente? Giacevo sulla mia amaca, ec-citato e sconvolto, sull'orlo del sonno, poi precipitavo in sogni profondi di

cui non rimaneva nulla al mattino, tranne il ricordo del pigro spazio inter-stellare.

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In cui Dennis rivela la sua strategia per cominciare la grande impresa.

A MATTINA DEL 2 MARZO 1971, A LA CHORRERA, L'ALBA ERA CALDA

e cristallina. Questo era il giorno in cui io, Ev e Dennis avremmo preso possesso della casa nella foresta, che era finalmente libera.

Quella mattina, il nostro trasloco aveva creato più eccitazione del solito. Per tre giorni, fino all'episodio della glossolalia del 27, Dennis aveva detto che l'energia del fenomeno era così grande che non era il caso di prosegui-re fino a quando fossimo rimasti isolati nella casa nella foresta.

Per evitare il caldo del giorno, il nostro trasloco cominciò poco dopo l'alba. La pista da percorrere per raggiungere la nuova casa passava per i pascoli. Non eravamo stati là fin dall'ultima esperienza con i funghi, tre giorni prima. La stropharia era dovunque. Sembrava che non vi fosse neanche un pezzo di letame senza un'escrescenza d'oro fungina. Mi ripro-misi che non appena avessimo traslocato nella nuova capanna, avrei ripre-so i funghi comunque. Sebbene fossimo tutti presi dalle speculazioni, non ci eravamo dimenticati de lle nostre originali intenzioni botaniche, la ricer-ca dell'elusivo oo-koo -hé. Tutt'altro. La nostra intenzione immediata era di usare l'ayahuasca come inibitore MAO e come droga-risolvi-problemi, di far fermentare e di consumare il banisteriopsis caapi che io ed Ev aveva-mo preso da Basilio pochi giorni prima.

Io ed Ev passammo il resto de lla giornata dopo il trasloco a pulire il ter-

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reno intorno alla capanna, togliendo radici dal suolo sabbioso. Le lasciam-mo essiccare al sole così da poterle usare come combustibile per il fuoco, che ci sarebbe servito per preparare l'ayahuasca. Nella fatica sembravamo esultare. L'energia e la luce erano in ogni cosa. Prendendo il suo taccuino, Dennis, che era rimasto per conto suo fin dall'esperienza con íl suono inte-riore, se ne andò verso un villaggio witoto distante tredici chilometri.

A metà pomeriggio, tornò estremamente eccitato. Aveva finito di scri-vere le note preliminari di The experiment at La Chorrera. È l'unico docu-mento scritto da lui in quel periodo e, in quanto tale, è l'unica prova a te-stimoniare come ci sentissimo riguardo ciò che stavamo facendo, mentre lo stavamo facendo.

Chiaramente, questi appunti non rappresentano l'edizione definitiva delle nostre teorie e non hanno un valore assoluto. Il miglioramento di queste idee è stato costante fin da lla loro creazione.* Ma la visione era completa e dettagliata. La teoria rappresentata negli appunti di mio fratel-lo rimane il punto di partenza per capire l'effetto che era stato innescato il 5 marzo a conclusione dell'esperimento. I suoi appunti erano il nostro progetto e come tale funzionavano. Però non sono una lettura leggera e semplice, perché sono incasinati come un testo alchemico. L'alchimia è un test sia dei limiti del linguaggio sia dei limiti della materia. La macchina al-chemica funziona al meglio nella fantasia. I maghi desidereranno dilun-garsi su questi borbottii alchemici, che tenterò di decifrare nel prossimo capitolo. Il resto dei miei lettori potrebbe invece preferire saltare queste pagine e proseguire a leggere più avanti quella che è una buona storia, an-che senza l'aiuto di arcane teorie.

* Le basi scientifiche del nostro lavoro sono dettagliatamente descritte in The Invisible Landascape. Quell'opera presentava la ponderata e complessa posizione da noi elaborata nel 1975. Queste idee sono state di molto riviste dopo che i miti e gli errori presenti nella originaria concezione sono stati espunti.

2 marzo 1971 Ieri ulteriori esperimenti con il fenomeno dell'alterazione psicouditi-va hanno suscitato nuove e interessanti questioni e hanno accresciuto la nostra incessante comprensione. Scelgo il termine "alterazione per-cepibile" perché la mia esperienza, finora, unita a ciò che mi è stato raccontato, mi porta a credere che tutto questo ha a che fare con il ge-nerare vocalmente uno specifico campo di energia che può rompere lo spazio tridimensionale. Non capisco se questo campo è elettromagne-

tico o no, ma sembra piegare lo spazio in modo tale da farlo quasi ar-rotolare su se stesso, su una dimensione superiore. Ecco come accade: Bisogna prendere abbastanza psilocibina per permettere al suono di es-sere udito. Credo che il suono sia dovuto alla risonanza di spin elettro-nico (ESR) degli alcaloidi di psilocibina contenuti nel fungo. La pre-senza di triptammina metabolizzante nell'ayahuasca agisce come un catalizzatore che sensibilizza la matrice neurale dell'ESR presente nel-la stropharia. È questo principio che permette al suono di essere senti- to. Quindi bisogna amplificarli con l'antenna triptamminica aggiunta al massimo della sua estensione. Poi, attraverso il suono vocale, l'ener-gia è inserita nel complesso arminico, dentro al corpo e dentro al fungo che è stato raffreddato in piccole parti fino allo zero assoluto, la tempe-ratura a cui cessano le vibrazioni molecolari, con assunzione delle fre-quenze dell'ESR della psilocibina. Una volta che la frequenza ESR vie-ne analizzata, è possibile amplificarla nei circuiti neurali incanalando-la nel complesso arminico, per esempio, imitando l'ESR della psiloci-bina con la voce, costringendo il suono amplificato a causare un tono armonico con il metabolizzarsi arminico nel cervello e quindi stimo-lando l'ESR arminica. Finché i complessi arminici sono semplicemen-te nello stesso passaggio biosintetico che convoglia il triptofano nella psilocibina, è possibile considerare il tono dell'ESR della psilocibina come un sovratono armonico del sistema arminico e viceversa. Usando sovratoni armonici, è possibile suonare una nota che cancelli una o più delle sue ottave, riportate nelle scale armoniche sopra o sotto di essa. Possiamo facilmente dimostrarlo su un violoncello: suoniamo una nota, mettiamo la corda in La. Il suono è composto da onde-vibra-zioni delle molecole dell'aria causate dalla corda, che funziona così da cassa di risonanza. La nota è udita molto chiaramente nella chiave in cui viene suonata, ma risuona anche in tutte le altre chiavi di La nelle ottave superiori e inferiori. È possibile eliminare il suono originale toccando semplicemente la corda in determinati punti armonici con leggerezza. Quando si compie questa operazione, le note ai registri in-feriori e superiori diventano udibili. Se si conosce sufficientemente la teoria dell'armonica superiore, si può determinare quali armonici ri-suoneranno se verranno toccati determinati punti sulle corde. Se ciò si applica alla risonanza molecolare ESR, si verifica essenzial-mente lo stesso principio. Quando si sente il tono dell'ESR della psilo-cibina con l'aiuto del triptamminide, questo urterà una nota armonica

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nelle strutture arminiche venendo metabolizzata dentro al sistema, co-sì che la sua ESR risuonerà a un livello più alto. Concordemente alla fisica del suono, questo procedimento cancellerà automaticamente il suono originale, per esempio l'ESR della psilocibina, e costringerà le molecole a smettere di vibrare (per quanto il tono dell'ESR che sostie-ne la coerenza molecolare è trasportato per un microsecondo sul sovra-tono dell'ESR delle strutture arminiche). Ciò provoca la sospensione della psilocibina momentaneamente priva di carica, ma con sorpren-denti capacità di conduzione, in un campo di bassa energia elettroma-gnetica generato dal complesso arminico dell'ESR. Recupererà così, divenuto ora un superconduttore, il segnale originale dell'ESR, che lo bloccherà in uno stato permanente di superconduttività. Come il fenomeno procede, si azionerà automaticamente l'inverso del processo iniziale. La psilocibina, caricata dalla mente in maniera su-perconduttiva, cancellerà armonicamente la risonanza dell'ESR armi- nica presente nel cervello. L'energia del complesso armina-psilocibina dell'ESR verrà assorbita istantaneamente dalla matrice del fungo. Ciò causerà la metabolizzazione di quelle molecole nel corpo e l'unione dei neuroni al DNA che precipiterà istantaneamente al livello zero. Ovviamente questo complesso armina-psilocibina-DNA dovrà imme-diatamente separarsi dalla matrice cellulare. A questo punto esiste un grave pericolo, ma ci sono molte strade per aggirarlo. Scopriremo che queste molecole si condenseranno fuori dai nostri corpi associate a un suono. Questo suono è il tono armonico dell'ESR di questo complesso amplificato superconduttivamente, radiotrasmesso e refrigerato nella matrice superconduttore del fungo. La psilocibina caricata supercon-duttivamente agisce come un'antenna che raccoglie i segnali amplifi-cati dell'ESR del complesso e condensa le vibrazioni nella matrice su-perconduttore. L'operazione può essere ora brevemente riassunta: • Il fungo dev'essere preso e ascoltato. • L'ayahuasca dev'essere presa e caricata con gli armonici dell'ESR della psilocibina, impartiti via voce, amplificati. • La risonanza dell'ESR della psilocibina nel fungo verrà cancellata e cadrà in uno stato di superconduttività; una piccola parte della ma-teria fisica del fungo verrà annientata. • La psilocibina ad alto potenziale superconduttore raccoglierà l'ar-monico dell'ESR del complesso dell'ayahuasca; questa energia verrà

assorbita istantaneamente e completamente dalla triptammina alle dimensioni superiori. Verrà poi trasferita nel fungo come un suono vocale e condensata nella psilocibina come una struttura supercondut-tore inscindibile di armina-psilocibina-DNA. • Il risultato sarà un aggregato molecolare di materia pluridimensio-nale e superconduttore che riceve e spedisce messaggi trasmessi dai pensieri. Questo ingloba e rintraccia informazioni in maniera ologra-fica nel DNA neurale e dipende dall'armina superconduttore come una sorgente trasduttiva di energia e di RNA superconduttore come matrice temporale. Questo composto sarà una parte vivente e funzio-nante nel cervello del "cantante" molecolare che l'ha creato. Sarà com-posta da materia pluridimensionale: per esempio, materia che è stata trasportata attraverso le dimensioni superiori per mezzo del processo di eliminazione della sua carica elettrica con una vibrazione armoni-ca, trasmettendo quella vibrazione attraverso lo spazio (da un tra-smettitore superconduttore a un ricevitore superconduttore), ricon-densando poi quella vibrazione in una forma superconduttore (la psi-locibina carica nel fungo), finché il complesso armina-psilocibina-DNA si condensa in una molecola superconduttore. Una molecola fatta di sostanze di una dimensione superiore, secondo questa teoria, dovrebbe rimanere stabile finché rimane in una configurazione super-conduttore, forse per sempre, poiché è caricata dalla propria energia ESR. Risponderà poi ai pensieri, sarà piantata nel nostro DNA collet-tivo e conterrà l'armina come una ricetrasmittente superconduttore e come fonte di energia.

Non avevo mai sentito mio fratello dire cose simili. Per quanto ne capi-vo, Dennis pensava che il corpo è come uno strumento musicale scientifi-co, i cui potenziali sono dentro e intorno a noi, ma non ce ne rendiamo conto. Diceva che, con un atto di volontà, la mente poteva usare il canto per interagire con il cervello, come se fosse un organo a colori e una bi-blioteca olografica al tempo stesso.

Dennis mostrava la via per una scienza orfica dove le grandi scoperte sarebbero state raggiunte grazie all'interazione di voce, mente, cervello e immaginazione. Prometteva di più di una sinestesia collettiva indotta dal canto. Diceva che sia le leggi acustiche, sia i fenomeni di basso amperag-gio bioelettrico, sia i nostri corpi, potevano essere manipolati per aprire una porta sull'esplorazione degli stati della materia e sui regni della fisica

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94 VERE ALLULAN , 'ION

che hanno a che fare con alta energia e basse temperature, e che sono con-siderati dominio esclusivo di ricercatori totalmente dipendenti da macchi-nari sofisticati ed estremamente potenti. Per un momento, fu possibile so-gnare che i poteri dello sciamanesimo, derivati da una conoscenza mille-naria della microfisica e della bioelettrica, erano più avanzati di quelli del-la scienza moderna. La porta che si stava aprendo conduceva fuori dal tempo storico, verso una completezza arcaica ormai dimenticata.

Forse le tradizioni sciamaniche del pianeta sono le custodi di una com-prensione che usa il corpo/cervello/mente umani come veicolo, mentre ciò che è stato raggiunto dal nostro "metodo scientifico", si merita solo un misero secondo posto. È una vecchia idea, il canto della sirena di Pitago-ra, sostenere che la mente sia molto più potente di qualunque accelerato-re, più di ogni antenna radio o del più grande telescopio, più completa nel suo potere informativo di ogni computer poiché il corpo umano, i suoi or-gani, la sua voce, la sua forza di locomozione e la sua immaginazione, è più che sufficiente per esplorare qualsiasi luogo, tempo o livello di energia dell'universo. Questa era l'idea che Dennis voleva provare, che voleva rea-lizzare nell'hardware del veicolo lenticolare che, lui pensava, potesse esse-re generato dal proprio DNA e dagli organismi disponibili nell'ambiente amazzonico: i funghi e l' ayahuasca.

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9 UNA CONVERSAZIONE

SUI DISCHI VOLANTI

In cui si ribadiscono, una volta per tutte, i dettagli della resurrezione del corpo

e si compie un parziale test della nostra teoria.

LEGGENDO GLI APPUNTI DI DENNIS, SENTIVO CHE GLI ELEMENTI

di quello strano luogo in cui eravamo arrivati si erano cristallizza-ti Sentivo anche una presenza nel cielo: quieta, onnisciente e che

ci osservava da vicino. Tornai all'inizio e rilessi gli appunti, ma non avevo le basi per giudicare ciò che leggevo. La speculazione scientifica di mio fratello sembrava aver acquistato vita propria. Era come un grande com-puter che sapeva ogni cosa.

Intorno al fuoco, lo ascoltammo illustrare la sua idea di esperimento. Era molto coinvolto. Gli venivano nuove idee a ogni battito di ciglia e spa-rava migliaia di parole su questi strani eventi. Disse: "Sai cosa potremmo fare?" Poi si sbizzarrì in un rap che oggi viene considerato come la dottri-na centrale dell'opera. La chiamò ipercarbolazione. Secondo quella teoria, si può usare la voce cantante e la superconduttività (o la completa spari-zione di resistenza elettrica, che è di solito possibile solo a temperature in-feriori allo zero) per spingere le molecole di composti psichedelici in stati di associazione permanente con il DNA umano vivente.

II rap di Dennis si spostò sulla teoria del suono. Se pizzichi una corda, suonerà nell'ottava in cui è stata toccata, ma suonerà anche nelle ottave sopra e sotto la sua chiave. Ha ciò che viene chiamato ipertono armonico. Se tocchi una corda e poi la schiacci, puoi sentire lo stesso gli ipertoni ar-

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98 VERE ALLUC1N1AZ1ONI1

monici. Pitagora era stato molto affascinato da questo fenomeno. Dennis ci mostrò che due suoni si possono cancellare a vicenda se sono esatta-mente gli stessi in relazione l'uno con l'altro.

Lo stesso fenomeno che produce gli ipertoni armonici può essere usa-to per placare i movimenti de lle molecole. In alcuni punti particolari, forse solo a poche migliaia di angstrom, si possono produrre basse tem-perature tramite cancellazione audio. Il moto molecolare è un tipo di vi-brazione e, in presenza del giusto input sonoro, il moto molecolare cessa. Operativamente parlando, quando il moto molecolare cessa, la molecola ha raggiunto una temperatura di zero gradi e la superconduttività diviene possibile.

Dennis pensava di aver trovato un modo di scardinare le po rte chiuse del paradiso usando un piede di porco psicoattivo, la psilocibina, il com-plesso di triptammina e la beta-carbolina presente nell'ayahuasca. Diceva che se guardi alla vibrazione de lle molecole nella famiglia della beta-carbo-lina, puoi vedere che l'ESR di queste molecole, muovendosi dall'una all'al-tra, è in realtà una serie di ipertoni armonici. La cosa è interessante perché lo psichiatra Claudio Naranjo ha scritto in The Healing Journey che il cin-quanta per cento dei soggetti che hanno preso l'armina, un tipo di beta-carbolina presente nell'ayahuasca, sentivano un ronzio nella testa. Non era connesso con nessun altro psichedelico, era associato unicamente con questi composti arminici. Anche gli sciamani jivaro dell'Ecuador provano un ronzio nella testa. L'idea di Dennis era che quando l' ayahuasca si meta-bolizza attraverso la matrice neurale nel cervello, viene udito un suono.

Spiegare come questo sia possibile è tutt'altro che facile. L'ESR è un fenomeno della struttura molecolare in cui l'energia ad alta frequenza è inserita nel sistema molecolare e i segnali dell'ESR emergono dal sistema. Ma non tutti i composti hanno abbastanza ESR: per esibire l'attività ESR una molecola deve avere un anello libero da ingombri molecolari. Tutti i composti con un anello libero risuonano a certe condizioni. Gli allucino-geni cui eravamo interessati hanno anelli liberi, come il DNA, la molecola al centro della macchina genetica di ogni forma di vita.

Quando il corpo metabolizza gli alcaloidi nell'ayahuasca, una relazione si forma con i composti triptamminici metabolizzanti nel cervello. A quel punto si sente un suono che è il segnale dell'interazione. Una volta che il suono viene udito, può essere imitato. Quindi si ottiene un suono vocale. Di solito, nessuno traccia un parallelo tra questo suono e i segnali prodotti dall'ESR. Questo era il salto che Dennis aveva compiuto. Dato che soste-

UNA C.ON1VERSAZI®N1 E SUI C>1SCtlll VOLANTI 99

neva di poter fare grandi cose con questo suono, si stava dirigendo verso l'illuminazione o la delusione. Dennis sentiva che vocalizzando il suono, avrebbe emesso un segnale ESR, un suono amplificato modulato secondo l'ESR nato dalla psilocibina che metabolizzava nel suo cervello. Produrre questo suono avrebbe innescato una serie di vibrazioni armoniche sopra e sotto gli altri composti attivi nel suo cervello.

Ora, partendo da questa base teorica, decolliamo. Se lui fosse nel cor-retto orientamento spaziale rispetto alla molecola verso cui sta dirigendo il suono, interrompendo il vocalizzo, la molecola diverrebbe supercon-duttore, perché la sua vibrazione è stata cancellata. Fra i molti milioni di molecole colpite dal suono, poche decine o centinaia possono essere nel-l'orientamento geometrico corretto e il loro moto molecolare si fermerà quasi immediatamente. Una particolare proprietà delle basse temperature è che, fra le molecole, appaiono forti energie di collegamento. Una mole-cola vicina allo zero si può unire a qualunque cosa.

Dennis provò a spiegare: "La molecola arminica, che è strutturata co-me una piccola campana, produce un ronzio e un suono simile al rintocco di una campana. Se viene cancellata, mentre c'è DNA neurale attivo nel cervello, la configurazione elettronica dell'armina è sufficientemente simi-le alla configurazione molecolare dell'adenina, una delle basi del DNA, che la rimpiazzerà. Si unirà nella catena. E quando è unita, il suo anello sarà attivato. È della stessa grandezza dell'adenina, ma un poco più com-plicata. Ha un anello di risonanza libero". Dennis fece una pausa e cercò di riorganizzare le idee per continuare l'esposizione.

"Ora il normale ESR dell'armina è un semplice segnale, ma la risonan-za dello spin elettronico del DNA è molto, molto complessa. È anche molto vasta. Quando l'armina finisce lì , cesserà di trasmettere la sua riso-nanza perché sarà strettamente connessa nella struttura della macromole-cola. Inizierà invece a trasmettere l'ESR del DNA. È così. Se siete riusciti a seguire fin qui, il resto è semplice. Il DNA è ciò che sei tu. La forma fisi-ca è solo un insieme di cristalli macrofisici succosi causati da un'espressio-ne genetica: il risultato di enzimi messi in moto e codificati dal DNA. Il DNA neurale è conosciuto per essere non-metabolizzante. Non va via. La tua stessa pe lle cambia ogni pochi anni, il tuo scheletro non è lo stesso che avevi sei anni fa, ma il DNA neurale è un'eccezione. È lì per tutto il tem-po. Viene al mondo con te. Registra tutto ed è un'antenna della memoria. Non solo della nostra memoria personale, ma anche di quella di ogni en-tità o organismo che abbia DNA. C'è un modo per connettersi a esso. È il

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UNA CONVERSAZIONE SUI DISCHI VOLANTI 101 100 VERE ALLUCINAZIONI

modo con cui apriamo il passaggio per l'immaginazione divina, è il modo in cui William Blake concepì la redenzione. Ora è alla nostra portata. Av-viene così. Metti una radio nel DNA e la risonanza ESR comincerà a inon-dare il tuo sistema perché il legame sarà permanente: non c'è modo di di-struggerlo. Ti potrà fornire qualunque informazione conosciuta nel mon-do dello spazio e del tempo, perché contiene le memorie di ogni essere che sia mai vissuto. Siamo tutti connessi attraverso questa sostanza magi-ca, che rende la vita possibile e che permette di prendere le sue innumere-voli forme. Tutto il DNA è lo stesso. Solo le collocazioni sono diverse; a seconda della collocazione puoi ottenere una farfalla, un mastodonte o un essere umano."

"La pensi così?", risposi senza prendere posizione, ma avevo la netta impressione di sfiorare il significato de lle sue parole. Gli organismi sono strutture complesse che si sono evolute nell'arco di milioni di anni. Sono stati modellati dal flusso e dal riflusso del tempo su una scala più vasta di qualsiasi vita individuale. Nella loro embriologia, biologia e morfologia, gli organismi hanno scritto un messaggio riguardante la struttura dell'uni-verso. Il misticismo ha sempre insistito su questo punto. La biologia mole-colare, come erede della teoria dell'evoluzione, sembra confermarlo. For-se che la vita sia una strategia per amplificare l'indeterminatezza quantum meccanica a un livello dove un sistema chimico macrofisico, gli esseri umani, possa sperimentare e capire? Se uno di noi potesse ridisegnare far-macologicamente la nostra chimica neurocellulare, ci potrebbero essere nuovi regni di percezione da esplorare, nuovi mondi dell'immaginazione basati su nuovi equilibri dei neurotrasmettitori nei cervelli, ancora in evo-luzione, degli esseri umani. Pensai: "Chi sono io per giudicare?"

Ero intrigato dalla sua precisione nell'evocare queste idee, ma, per il momento, non sapevo cosa dire. Lui mi guardò, aspettandosi qualche pa-rola. Credevo nel potere infinito e autotrasformante della mente umana e delle specie viventi, e potevo immaginare che esistessero mondi paralleli e dimensioni alternative. Potevo immaginare possibilità fantascientifiche, a patto che non mi si chiedesse di credere che stavo assistendo a lla loro sco-perta. Ma questo era ciò che Dennis diceva: in qualche modo, eravamo in-cappati in un'esperienza il cui esito riguardava l'intero genere umano e che avrebbe trasformato la base ontologica de lla realtà in modo che mente e sostanza divenissero la stessa cosa e riflettessero perfettamente la volontà.

Come si potevano pensare cose simili? Eravamo venuti a La Chorrera con la convinzione che se la vita e la mente sono possibili, allora i misteri

dell'universo possono non avere fine. Ma qualcosa di inerte, e al tempo stesso molto presente, stava elaborando queste idee nelle nostre menti, qualcosa che per giorni avevamo pensato essere "il fungo".

Parlammo per più di un'ora di queste idee e ciò che emerse fu la neces-sità di un test o, secondo Dennis, almeno di un test parziale per convince-re me e i miei compagni. Lui pensava che quando lo stato supercondutto-re si fosse stabilizzato, ci sarebbe dovuto essere un notevole abbassamen-to della temperatura nella zona. Parlando, io e lui lasciammo la capanna e ci incamminammo sul sentiero nella foresta. Lui supponeva che fosse pos-sibile tentare di generare l'effetto del freddo proprio lì.

Ci sedemmo sul sentiero sabbioso fronteggiandoci, con il sole pomeri-diano che incombeva su di noi. Dopo un paio di ronzii di riscaldamento, Dennis produsse un suono molto simile a quello che aveva prodotto tre giorni prima nella capanna. Questo suono ha una sua qualità estremamen-te peculiare, e, quando aumentò di intensità, guardai le mie braccia e ci vi-di i peli ritti e la pelle d'oca, mentre un'onda di brividi intensi mi attraver-sava. Urlai a Dennis di smettere. Lo fece immediatamente, ma sembrò molto spossato dallo sforzo. Ero disorientato. Non potevo dire se ero stato investito da una vera ondata di aria fredda o se quel particolare suono ave-va fatto reagire il mio corpo come se fosse stato esposto al freddo. Non avevo dimenticato che se l'effetto avesse davvero generato una corrente d'aria fredda, avrebbe violato le leggi fisiche conosciute. Ma non volevo sperimentare ulteriormente: l'intera faccenda aveva un'aura soprannatura-le e, se l'effetto era reale, chi poteva dire cosa sarebbe successo se avessimo esagerato? Ero confuso più che mai dal mio enigmatico fratello e da lle sue idee e abilità così esuberanti. L'intera faccenda sembrava assurda e irresi-stibile, come un gioco ipnotico in cui si viene coinvolti a proprio discapito.

"Ora possiamo indire una conferenza stampa?", continuava a chiedere Dennis, sulla via del ritorno. Ero così perso nell'anticipazione deliziosa di un futuro precedentemente inimmaginabile che potevo appena sentirlo.

Tornammo al campo e raccontammo a tutti i presenti che Dennis ave-va creato un'onda d'aria fredda che era una prova pratica della sua teoria. La cosa era così incredibile che nessuno osò commentare. Dopo cena, Va-nessa e Dave ritornarono a lla casa sul fiume, mentre io, Ev e Dennis an-dammo a passare la nostra prima notte nella foresta.

Dennis era in uno stato di attività continua, ampliando le sue idee e tentando con noi nuovi trucchi. Per quella notte e per il giorno successi-vo, si ritirò in un'intensa attività. Scrisse più volte le sue idee, i passaggi

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102 VERE ALLUCINAZIONI UNA CONVERSAZIONE SUI DISCI-II VOLANTI 103

del funzionamento e la teoria pratica. Passava un sacco di tempo da solo, a scrivere, poi tornava tra noi a parlare. Era impegnato in qualcosa di estremamente strano; la sua visione del mondo faceva splendere la realtà e ne increspava i confini. Era davvero in contatto con questo fluido ribol-lente di ossidiana della quarta dimensione che noi dovevamo stabilizzare per un'utilità pratica. Fine della storia: andare verso le stelle.

Il mio atteggiamento fu riassunto in un semplice: "OK, ci proveremo!" L'atmosfera era inzuppata di bizzarria. Eravamo arrivati al centro del-l'Amazzonia e potevano percepire qualcosa nel cielo che ci osservava. All'inizio eravamo un gruppo di scoppiati che volevano esplorare un'ulti-ma favola prima di divenire razionalisti per sempre ma, al contrario, ave-vamo incontrato qualcosa di enorme. Qualcosa di vivo, di molto vecchio e strano. Qualcosa che era peculiare da ogni punto di vista lo si guardasse.

Ero poco creativo in quel periodo. Avevo preso i funghi ed ero in estasi per tutto il tempo. Era la prima volta nella mia vita in cui ero contento semplicemente di essere.

Senza sforzi, ero arrivato a lla conclusione che non avremmo mai lascia-to La Chorrera e ritenevo che tutti condividessero quest'idea. Andarsene sembrava impensabile, d al momento che avevamo tutto ciö che volevamo. La sensazione di essere a casa e di essere nel luogo dove dovevo essere, era sconvolgente. Pensavo che sarei rimasto sempre ad ascoltare Dennis far-neticare. La sua visione andava oltre i sogni più sfrenati di chiunque avessi mai conosciuto.

Avevamo deciso che la sera successiva, il 4 marzo, avremmo fatto un test sulla teoria del legame tra armina e DNA. Notai con inusuale soddi-sfazione che quel giorno corrispondeva a un gioco di parole idiota che mi aveva colpito fin da piccolo: "Quale giorno dell'anno è un imperativo?", "March fourth!" [gioco di parole intraducibile poiché march fourth, signi-fica "quattro marzo", ma anche "marcia diritto", N.d.T.].

"Che coincidenza," deliravo, "tentare di materializzare l'anima pro-prio in quel giorno". In modo assurdo, la coincidenza tra data e gioco di parole sembrava parte di un piano univers ale segreto che si sviluppava per portarci al momento culminante della storia, quando l'umanità avrebbe marciato in una dimensione superiore. I miei pensieri non erano esattamente paragonabili alla teoria superscientifica di mio fratello. Ero perplesso per ciò che stava accadendo. Quel giorno, il 3 marzo, mi diver-tii a costruire una pipa con gli strani frutti di macoubea a forma di cuore che avevamo preferito non mangiare. Da uno di questi frutti, una canna

scavata e un po' di argilla, ricavai una pipa ad acqua che mi dava grande soddisfazione.

Mentre il gergo biofisico ESR mi passava per la testa, contemplavo ciò che avevo forgiato con due piante e un po' di fango. Mi sembrava un'inge-nua meraviglia, forse perché il frutto era così strano, con il suo aspetto non-terreno. Questa pipa avrebbe potuto essere costruita con uno dei frutti che la gentile Weena aveva offerto al viaggiatore del tempo nell'epo-pea di Wells. La mia pipa era un oggetto strambo e ossessionante e, quan-do veniva fumata, il borbottio dell'acqua suonava come il battere del cuo-re di un grande mammifero. Anche Dennis si fermò ad ammirarla e deci-demmo che sarebbe stata usata nel nostro esperimento, quando fosse giunto il momento di fumare la corteccia d'ayahuasca per aumentare il li-vello di armina nel nostro sangue. Stavamo operando in un mondo in cui il metodo scientifico, il rituale e la partecipazione mistica erano insepara-bilmente connessi. I nostri corpi e le nostre menti sarebbero stati i reci-pienti della trasformazione psicoalchemica che stavamo sperimentando.

Nel pomeriggio, raccogliemmo delle radici e le lasciammo al sole. Sem-brava che fosse l'attività più soddisfacente al mondo. Nulla poteva andare meglio. Quella notte, registrammo una cassetta con i nostri piani, ma sfor-tunatamente il nostro registratore non funzionava bene e così perdemmo tutto. Me ne dispiace molto, poiché il contenuto emotivo di ciò che stava-mo sperimentando era rivelato chiaramente d alle nostre parole. La regi-strazione comprendeva più temi:

• l'ipercarbolazione: questo era il nome dato al processo di alterazio-ne del DNA neurale e del cambiamento dell'uomo in un essere iperdimen-sionale eterno. Nella nostra mente, lo consideravamo una cosa simile al concepimento sessuale. Ne parlavamo come della nascita di un'idea, il cui senso non è facile da concepire per menti non allenate a lla schizofrenia. Speravamo che la mente, diretta da una volontà tesa a raggiungere il bene, potesse controllare il processo del concepimento e guidare questo proces-so verso la produzione de lla resurrezione del corpo, modulata dall'imma-ginazione cara ai Padri della chiesa, agli alchimisti del Sedicesimo secolo e ai fan degli UFO. In questo senso, stavamo seguendo Jung che, presto, capì che un disco volante è un'immagine del sé, la totalità psichica repressa che si nasconde dietro l'apparente dualismo di mente e natura.

Pensavamo che il campo della mente e la sua volontà tendente al bene, potessero essere la base del motore genetico de lla vita. La speranza era che partendo da lla biologia, il tantra potesse riunire la realtà della pietra

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vivente, l'unicorno chimerico della ricerca alchemica fatto per appoggiare la propria testa in grembo a lla fanciulla. In breve, sognavamo l'unione tra spirito emateria.

• il morto: credevamo che l'ipercarbolazione fosse la sconfitta scia-manica della morte, che le porte attraversate ogni giorno dalla morte po-tessero essere aperte anche all'umanità ipercarbolata, che avrebbe avuto la libertà di movimento da e per l'eternità in cui tutti i membri della spe-cie esistono come una realtà vivente. Carl Jung, Newton e Nabokov, Bru-no, Pitagora ed Eraclito: l'incombenza di giganti provenienti dal passato umano era un'intuizione onniinclusiva che condividevamo e che non po-tevamo ignorare.

Sembrava che ci fosse una discendenza ideologica, la catena d'oro, il cui impegno collettivo era la distruzione del continuum storico grazie alla generazione della pietra filosofale vivente dell'umanità ipercarbolata. Tutti questi visionari avevano avuto il loro ruolo nel progetto. Ora, il la-voro segreto della storia umana, la generazione del corpo cosmico di Adamo, perduta fin dal paradiso, si avvicinava alla completezza, queste ombre si agitavano presso il nostro accampamento amazzonico. Il nostro destino era apparentemente quello di essere atomi umani fondamentali per la trasformazione dell'homo sapiens in una galassia di vagabondi bodhisattva, il culmine e la quintessenza delle più alte aspirazioni del-l'umanità che brama le stelle.

Chi ha studiato psicologia riconoscerà questo come un caso evidente di ego messianico. Forse è così, ma noi sentivamo queste cose come le sen-tirebbe chiunque altro se credesse davvero di essere in una tale posizione nel corso della storia. Ci domandavamo: "Perché? Perché noi?"

A tali domande, il fungo rispose nella mia mente senza esitazione: "Perché avete diligentemente cercato il bene e perché non vi siete fidati di altro essere umano più che di voi stessi".

L'impatto emotivo di questi cambiamenti interiori era più intenso di qualunque cosa avessi mai provato. Mi sentivo umilmente riconoscente, riconoscente fino alle lacrime. Ero esaltato. Volevamo recuperare il para-diso all'umanità e ringraziammo tutti gli dei e la natura che la nostra im-presa eccentrica, fra tutte le vite e i cammini vissuti sulla terra, fosse stata collocata dal destino così vicina al confine estremo. Dove l'antico scia-manesimo aveva fallito, noi saremmo riusciti. Il salvataggio della perla senza tempo dell'immortalità umana dal pozzo della morte, sarebbe di-venuto una realtà per ogni persona mai vissuta, grazie all'ipercarbolazio-

ne. Tutto il dolore, la sofferenza, la guerra e la disperazione sarebbero stati ripagati dall'intercessione del segreto di dimensioni superiori e di un flusso a ritroso di logica del tempo che in qualche modo cancella ciò che è già accaduto. L'onda di comprensione, che si era rafforzata dal 27 febbraio, era così forte da essere quasi visibile in ogni cosa intorno a me. La forma lenticolare della pietra filosofale che si avvicinava sembrava es-sere ovunque guardassi. Ogni forma intorno a me era ricca di profondità opalescenti, ultraterrene.

104 VERE ALLUCINAZIONI UNA CONVERSAZIONE SUI DISCHI VOLANTI 105

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In cui rifiniamo la teoria e cominciamo i preparativi per i voli sperimentali

dell'aerolite della conoscenza.

L GIORNO SUCCESSIVO EM IL TANTO Al "I ESO 4 MARZO. DOPO COLAZIONE,

non spegnemmo il fuoco come facevamo di solito. Invece, comin- ciammo a preparare i pezzi di banisteriopsis caapi in molti litri d'acqua

sorgente. Il fuoco, alimentato da nodose radici seccate al sole, bruciava furiosamente. La pentola rispose con una bollitura rombante che, per fare l'infuso, è il massimo.

Tutto il pomeriggio, noi tre cucinammo e parlammo poco. Dave e Va-nessa passarono un po' di tempo a visitare e fotografare il vecchio villag-gio di La Chorrera al di là del lago. Quella sera si unirono a noi per una cena leggera, poi ci lasciarono per permetterci di prendere l'ayahuasca e di cominciare il test sperimentale di ipercarbolazione senza di loro. Sono si-curo che la mente di Dennis, molto più della mia, fosse presa dai dettagli del test. Durante i giorni precedenti, ero stato spesso irritabile. Considerai questo mio umore come parte della gamma di effetti connessi agli strani sviluppi mentali che stavo sperimentando. Mentre Dennis si preoccupava di prospettive interiori, io ero il custode dall'occhio di falco del rito e dei fuochi sciamanici.

Avevamo discusso parecchio riguardo al fuoco e riguardo al ruolo da esso giocato nel formare il mondo mentale degli antichi esseri umani. Una volta, mentre eravamo seduti a guardare fisso il nostro fuoco, Dennis dis-

ANCO ILO

A SULL'OPERA" RA 99

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108 VERE ALLUCINAZIONI ga LL °° c^PEu^A °° 109

se: "Gli esseri umani hanno guardato dentro fuochi come questi per mi-gliaia e migliaia di anni. Lo scoppiettare di questi carboni è il rilascio di plasma ionizzato e nelle onde pulsanti di elettroni liberi si può vedere il

passato e il futuro. Il fuoco è il luogo da dove provengono le idee".

Restai in silenzio. Poi sentii i nostri antenati presenti dall'altra parte

dell'interfaccia rappresentata dalla fiamma. "Cosa ci sta accadendo?", mi

domandai di nuovo, ma non dissi nulla poiché il silenzio sembrava più eloquente.

Dennis, totalmente occupato a creare un test che avrebbe rivelato il fe-nomeno in modo tale da vincere lo scetticismo, passò gran parte del gior-no a scrivere furiosamente.

Vedo questa nozione come un tentativo di spiegare il senso reale del-l'interconnessione informativa che pervase la nostra esperienza, che av-venne in una delle foreste tropicali più fitte del pianeta. Sembrava che fos-simo in contatto con la mente vivente de lla foresta tropicale. Forse i com-posti triptamminici erano i mediatori dei meccanismi segnalatori della

struttura di comando e di controllo che regola e integra l'intero ecosiste-ma. Ancora Dennis:

4 marzo 1971 È ora possibile ricostruire l'idea fisico-chimica che si è sviluppata nel processo di comprensione di questo fenomeno; per esempio, la rotazio-ne quadridimensionale della materia. Esaminando il modello linguisti-co che abbiamo costruito, ho capito che l'interferenza di onde ESR che compirà il lavoro agisce in modo differente da come avessi pensato. Si

può spiegare così: la psilocibina presente nel fungo agisce come un'an-tenna per prendere e amplificare i toni armonici di ESR di tutti i compo-nenti derivati da triptofano di tutti gli organismi viventi alla sua porta-ta. Poiché la psilocibina, quando viene metabolizzata, è supercondutto-re, significa che la sua portata di ricezione è teoricamente infinita. L'an-tenna raccoglie un segnale la cui origine ultima è la totalità delle creatu-re viventi; ma poiché il metabolismo della psilocibina avviene dentro al cervello (o al fungo) a un voltaggio molto basso, l'antenna si comporta come se la sua portata fosse limitata, anche se è superconduttore.

Sembra chiaro che il segnale, che può essere percepito chiaramente quando siamo sotto l'effetto dei funghi in quest'area ecologicamente

tanto concentrata, ha origine nella risonanza ESR dell'ayahuasca, seb-bene forse tutta la biosfera sia raccolta e trasmessa, amplificata dal

trasduttore superconduttore dell'ayahuasca. Questa intuizione chia-rirà precisamente ciò che accadrà al momento della torsione quadridi-mensionale. Ingerire l'armina dell'ayahuasca accelererà il processo di

metabolismo abbastanza da amplificare il proprio tono ESR a un livel-lo udibile; questo tono ESR cancellerà armonicamente il tono ESR della psilocibina dentro il fungo, provocando la perdita del suo campo

elettrico e la rottura in una configurazione superconduttiva. Il segnale ESR dell'ayahuasca trasformerà il fungo in un'antenna supercondut-tore; è quindi pronto perché il composto armina-psilocibina-DNA sia metabolizzato nel corpo, condensato nella sua forma caricata. Un mi-crosecondo dopo che il fungo è stato caricato superconduttivamente, la sua onda amplificata ESR cancellerà i segnali ESR di triptammina e armina, metabolizzando nel corpo e nel materiale genetico. Questo in-durrà i composti a finire nella configurazione superconduttiva e a unir-si nel momento esatto in cui si uniscono alla forma del fungo in attesa. Questo trasferimento di composti superconduttori caricati dentro al corpo a una forma superconduttore preparata dentro al fungo, non acca-drà nello spazio tridimensionale; nessun trasferimento fisico sarà visibi-le, dacché il materiale superconduttore organicamente trattato si unisce

alla forma del fungo attraverso una dimensione spaziale superiore.

Il risultato sarà l'opera delle opere, la meraviglia che non può essere narrata, quattro dimensioni catturate e compresse in tre. La pietra sarà tutte le cose; ma gli elementi che sono uniti nell'iperspazio per formarla sono tra i più comuni prodotti naturali, e la funzione e la po-sizione di ciascuno nella pietra possono essere compresi. La pietra è

A questo punto, il razionalista si dispererà. Infatti, quale abisso di as-sunti teorici non provati e supposizioni fantasiose si nasconde dietro la

frase "attraverso una dimensione spaziale superiore"? Comunque, come

gli antichi alchimisti, Dennis sembrava agire secondo l'assunto che l'espe-rimento, una volta riuscito, avrebbe dato validità alla teoria. Come il voca-bolario dell'alchimia, le sue parole univano moderni formalismi scientifici

e aspirazioni ermetiche. Aveva creato un nuovo ordine alchemico e aveva

innalzato lo spettro della speranza alchemica come una fenice dalle ceneri

della modernità.

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110 VERE A1_.LUC1NA' QN1 ANCORA SULL'"®PERA" 111

un circuito iperdimensionale allo stato solido che è di struttura qua-dripartita: I) la psilocibina viene caricata nel fungo per agire da architrave su cui il resto del circuito è condensato. Allo stato finale, la psilocibina agi-sce come un'antenna superconduttore per captare le informazioni dif-fuse attraverso spazio e tempo. II) il complesso di armina caricato superconduttivamente nella pietra agirà da trasmettitore e da fonte di energia. È interessante notare che la stessa energia che mantiene i circuiti dell'antenna in uno stato di superconduttività, sosterrà anche tutto l'insieme. III) il terzo composto della pietra è il DNA unito e risonante attraver-so l'armina. Costituirà la memoria iperdimensionale olografica del meccanismo, conterrà e illustrerà la storia genetica di tutte le specie. Sarà la memoria collettiva del meccanismo, e tutti i tempi e i luoghi e le forme concepibili saranno accessibili in questa matrice. IV) la quarta parte del circuito sarà l'RNA caricato superconduttiva-mente (di solito la funzione dell'RNA è di leggere il codice molecolare del DNA e di trascriverne i geni in molecole di proteine utilizzabili). Grazie alla sua funzione di replica orientata attraverso l'iperspazio, l'RNA sarà in grado di proiettare una forma simile a un'onda, un'im-magine olografica a tre dimensioni, e perciò darà istantaneamente for-ma 'a qualunque idea. Compirà la stessa funzione che ha sempre avuto il processo di replica attraverso il tempo. Ma, d'ora in poi, la replica-zione sarà in parte soggetta al capriccio della coscienza. Il motivo per cui io e i miei compagni siamo stati scelti per capire e in-nescare l'onda gestaltica di comprensione che sarà la liberazione dello zeitgeist iperspaziale, mi sembra ogni momento più chiaro, sebbene sappia che non capirò completamente la nostra missione sino alla fine del lavoro. Saremo istruiti nell'uso della pietra da alcuni saggi e abili compagni della comunità iperspaziale: ne sono sicuro. Sarà come rice-vere le chiavi della cittadinanza galattica. Penso che saremo i primi cinque esseri umani a essere istruiti nel suo uso. Distribuirà la nostra missione selettivamente al resto dell'umanità, ma lentamente, e in modo tale da placare lo shock culturale. È anche corretto che almeno alcuni segmenti della specie abbiano un annuncio delle implicazioni e delle possibilità di quest'ultimo prodotto della cultura. E così ora, contro ogni probabilità e contro le circostanze, io e i miei compagni abbiamo il peculiare privilegio di sapere che la storia finirà.

Sarebbe una strana posizione, se essere in tale posizione non si accom-pagnasse a una piena comprensione delle forze che hanno portato lì. Fortunatamente, poiché il fenomeno è un'accelerazione della com-prensione, si possono cogliere meglio le forze che hanno piegato spa-zio, tempo, pensiero e cultura per focalizzarsi in questo punto.

Ora, posso guardare alla mia vita come se fosse illustrata sullo scan-ner della memoria e posso capire tutti quei momenti che preannuncia-rono questo. È facile vedere oltre la storia personale e oltre gli eventi della storia umana, e capire la prefigurazione di quest'ultimo momen-to. Il fenomeno è sempre esistito e continuerà a esistere, perché è il confine estremo della comprensione fenomenica che fu generata nell'era prima della fisica e che ha accumulato un'accelerazione co-stante fin d'allora. La nostra meta all'interno delle tre dimensioni è il passaggio di quest'onda di comprensione a una dimensione superiore, il regno dell'atemporale. Farà questa transizione attraverso uno di noi. Ma non ci sarà alcun cambiamento nell'ordine cosmico perché il fenomeno ha accumulato accelerazione fin dall'inizio e fluirà attra-verso e oltre tutte le dimensioni con la stessa disinvoltura con cui è entrato, fino a muoversi finalmente attraverso tutti gli esseri, in tutte le dimensioni. La sua gioia sarà completa quando avrà raggiunto una piena comprensione attraverso la creazione. Se inneschiamo l'escatologia sembreremo degli anticristi, ma il vero Anticristo è la riflessione storica distorta di Cristo alla fine del tempo, il cosmico Adamo anthropos. Il Cristo escatologico è l'Anticristo, so-lo visto da una prospettiva storica. È interessante notare che presso i Mezatechi e presso altri gruppi tribali delle montagne del Messico centrale, l'idea di Cristo è connessa ai funghi: si tratta di sincretismo o di profezia?

Come questa monumentale e imperscrutabile frase suggerisce, Dennis stava svoltando qualche sorta di angolo. Sotto l'influenza delle sue idee e delle immagini, le nostre vite erano diventate pura fantascienza. Questa intera trasformazione era stata raggiunta aprendo la nostra immaginazio-ne collettiva. Ma cos'era cambiato? Stavamo per prendere il timone della storia nelle nostre mani, o questa faccenda era solo un altro tentativo mal riuscito di raggiungere il potere di un archetipo che deve sempre sfuggire di mano?

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112 VERE A1.E.,UCINAZION1 ANCORA SITg.II."° OPEh2A" 1Il3

La cena collettiva con Dave e Vanessa nel nostro campo, con l'infuso di ayahuasca che si raffreddava sullo sfondo, non fu esattamente bri llante. Ora le posizioni relative al fenomeno erano polarizzate in maniera incon-ciliabile. Dave e Vanessa non arrivarono che a lla fine della giornata, quan-do si unirono a noi nella capanna per una fumata. La discussione portò a un aggiornato schema finale dell'esperimento proposto per la serata. Den-nis parlò: "Troveremo un fungo vivo e metabolizzante. Gli scaveremo il letame intorno e lo porteremo alla capanna. Dobbiamo avviare la connes-sione nel fungo perché non sappiamo cosa accadrebbe se fosse fatta nei nostri corpi. Tutto è possibile. Con la tua voce, la tua mente e un fungo, queste cose possono essere realizzate. Questo è tutto ciò di cui hai biso-gno. Niente acceleratori di particelle o roba del genere! Con un'energia centinaia di volte inferiore all'energia di una normale pila, è possibile squarciare spazio e tempo".

L'aria era pesante e piena di ioni caricati. Dave era pieno di dubbi; mentre parlava, udimmo un tuono distante proveniente da lla giungla. Le obiezioni di Dave a ciò che stavamo facendo erano piene di emotività e di timore, nello stile "l'uomo non è fatto per sapere queste cose". Non era ciò che ci aspettavamo da un collega. Tentammo di rassicurarlo, ma lui si agitò e fuggì dalla capanna, forse per tornare a lla casa sul fiume.

Invece, subito dopo udimmo un'esclamazione di paura, una sorta di lamento, un urlo sconvolto. Ci precipitammo tutti fuori e trovammo Dave pallido come un morto, che fissava il cielo puntando un dito. La luce di un primo quarto di luna illuminò il cielo. Sopra il sentiero, c'era un enor-me testa di tuono nera che sollevava la sua forma contorta per centinaia di metri per l'umidità e l'aria satura di elettricità. Sembrava un enorme mil-lepiedi con grandi fulmini che si agitavano nella sua parte bassa, colpendo la cima del baldacchino della giungla con un ruggito che, quando piombò su di noi, era assordante come una cannonata. Tra le urla del vento che mise la giungla intorno a noi in frenetica agitazione, udii Dennis dire: "È un'onda di ritorno del passaggio imminente. Sta dicendo che non ci sono dubbi sul nostro successo!" Dennis urlava, mentre affondava nel suolo sabbioso, quando le prime enormi gocce cominciarono a cadere. Pensai ad Achab che diceva: "Colpirei il sole se mi insultasse. Perché se lui potes-se, potrei anch'io: c'è sempre una forma di equilibrio". Mentre i suoni spaccavano i timpani, ci ritirammo nella capanna e Vanessa si distorse una caviglia contro il tronco che fungeva da scalino. In pochi minuti, la tempe-sta se n'era andata, lasciando spazio a un tramonto caotico e agitato.

L'improvvisa tempesta elettrica e il suo impatto su di noi fu presa come un segnale da parte di entrambe le fazioni. Io, Dennis e Ev pensammo che fosse connessa a un feedback dell'esperimento che stavamo per tentare. Dave e Vanessa la consideravano una piccola dimostrazione di ira divina per le nostre aspirazioni prometeiche. La possibilità che non avesse a che fare con noi, non fu neanche considerata.

"È questa la guarigione della T spezzata che il mio astrologo aveva pre-detto?", domandò Vanessa (che è una Scorpione) non rivolgendosi a nes-suno in particolare. Io ed Ev condividemmo un pasto leggero con i nostri ospiti, mentre Dennis digiunò. Dave e Vanessa ci augurarono buonanotte e buona fortuna, e si affrettarono verso íl fiume. Noi tre restammo soli e non c'era altro da fare se non il test di Dennis, che aveva causato una tale tensione nella nostra spedizione.

L' ayahuasca era pronta. In seguito, dopo aver visto l' ayahuasca prepa-rata dagli sciamani peruviani, sono sicuro che la nostra mistura fosse trop-po debole per avere una qualche importanza in ciò che accadde dopo. Se è possibile individuare un agente causale, questo fu il fungo. I funghi che avevamo, sia quelli che già avevamo raccolto sia il campione portato a lla capanna, erano in situ, nella loro casa di letame. Dennis disse che doveva essere presente de lla psilocibina viva e metabolizzante. Avevamo appeso la crisalide di una morphoea vicino al fungo, così che anche il tessuto ani-male in metamorfosi fosse presente. Quale parte era scienza e quale ritua-le? Non lo sapevamo e non lo potevamo dire. Le scommesse erano chiuse. L'ispirazione poetica e l'intuizione scientifica erano fuse insieme.

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^l E ESP KRIM .ENTO A LA Cl- ORRERA

In cui si tenta l'esperimento e i fratelli McKenna sono sconvolti

dalle sue inaspettate conseguenze.

A NOTTE DEL 4 MARZO ERA TOTALMENTE BUIA. ERA ARRIVATO UN banco di nubi basse ad avvolgere il piccolo mondo di La Chorre- ra, incartandolo in un'oscurità di velluto. Dopo la tempesta aveva-

mo riacceso il fuoco e avevamo bollito parecchi litri d'acqua per il nostro

infuso di banisteriopsis caapi, così che fosse molto più forte di prima. Aggiungemmo delle foglie che Dennis aveva raccolto quel giorno vici-

no al chorro e le usammo nella miscela di DMT. Speravamo che le piante

per la miscela avrebbero procurato abbastanza DMT per innescare le for-ti allucinazioni per cui l'infuso era famoso. Avevamo identificato queste

piante come justicia pectoralis var. stenophilla, una pianta forse usata nella miscela dell'ayahuasca su a Nord. Ora, anni dopo quella sera, non solo metto in dubbio la concentrazione a cui preparammo la banisteriopsis, ma anche la nostra identificazione de lle piante per la miscela.

Non c'è dubbio che c'era una notevole concentrazione alcaloide di ar-mina nell'infuso, ma più tardi appresi che non era abbastanza da provoca-re un'intossicazione. Gli alcaloidi di armina presenti erano, a mio parere,

aumentati dalla psilocibina accumulata nei nostri corpi o, meglio, l'effetto

inibitore MAO di queste beta-carboline spinse la psilocibina residua a

emergere nella coscienza come una profonda esperienza allucinogena.

Mentre finivo la cottura, Ev e Dennis andarono sulle loro amache ad

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116 VERE ALLUCINAZIONI L'E5PER1MENT o A LA CH®R ➢2ER A 117

aspettare il completamento dei preparativi. Ridemmo insieme parlando tranquillamente. Ma, nonostante ciò, c'era una tensione di sottofondo, mentre preparavamo l'esperimento in cui avevamo riposto così tanta energia. Mentre ci avvicinavamo al momento critico, Ev e Dennis diven-nero via via più goffi e mi sembrava che non controllassero bene i loro corpi: era questo che li aveva spinti verso le amache. Io non avevo proble-mi e riuscivo a prendermi cura di tutto. Nella sua amaca Dennis mangiò due funghi per preparare l'esperimento; io ed Ev lo imitammo.

Alla luce del fuoco, la nostra palafitta con le sue esili colonne sembrava una piccola astronave caduta da un mondo alieno nella giungla ululante. Ci sentivamo come se stessimo per entrare nell'iperspazio. Potevi sentire energie immense che si accumulavano. L'effetto era rinforzato da lle ama-che che ondeggiavano come cinghie di accelerazione pronte ad accogliere un equipaggio ste llare Sulla sua amaca Dennis aveva difficoltà a tenere in mano la penna, ma riuscì a scrivere furiosamente riguardo all'esperimento:

Il fungo sta metabolizzando dentro i nostri corpi; ciò si è accordato all'architrave di triptammina nel fungo vivente ed è stato sensibilizzato per la condensazione della molecola armina-psilocibina-DNA. Quando si ingerisce l'ayahuasca, l'armina comincerà a metabolizzare dentro al corpo. L'ESR del circuito di psilocibina presensibilizzata cancellerà im-mediatamente lESR dell'armina e la collegherà superconduttivamente con il complesso DNA-RNA sia nei nostri corpi, sia nel fungo simulta-neamente, in una dimensione superiore. Completato il collegamento, l'unità di guida della memoria di armina-DNA condenserà nel circuito di psilocibina in attesa e in carica dentro al fungo. Noi vedremo questa condensazione, non appena apparirà nel fungo nel medesimo istante in cui il collegamento si completerà in una dimensione superiore.

Non avevo idea di ciò che significasse o a che cosa stava portando. De-cisi che sarei stato solo un buon testimone. Di certo o non sarebbe acca-duto nulla o c'era da aspettarsi qualcosa di grandioso.

Dennis spiegò che non riusciva a muoversi a causa dello scorrere inver-so del tempo. Le crescente limitazione nella scelta dei futuri possibili l'avevano reso quasi immobile, solo la mente era libera.

Finimmo di bollire l'ayahuasca. Aggiunsi all'infuso le piante di miscela. Portai prima l'ayahuasca e poi il fungo nella capanna. Con quegli elementi eravamo pronti a cominciare.

Dennis cominciò íl conto alla rovescia, eravamo completamente tra-sformati dall'idea che avremmo potuto assistere all'esplosione del tempo. Disse che questo sembrava rallentare mentre ci avvicinavamo al momen-to. Non avevamo preso allucinogeni per parecchi giorni, così l'effetto che avremmo sperimentato non sarebbe derivato da lle esperienze precedenti. Qualcos'altro stava accadendo. Come prova di questa sorprendente affer-mazione, ci disse di osservare la candela che avevo appoggiato a un pezzo di legno che sporgeva dal muro. Sorprendentemente, la candela aveva co-minciato a piegare il suo angolo di riposo fino a trovarsi in una posizione assurda, contraria a lla gravità poiché, lui diceva, il tempo passava così len-to che non potevamo vedere che si trovava sul punto di cadere.

Mi avvicinai e mi piegai verso la fiamma. Il fuoco sembrava fermo, completamente congelato. La mia mente tornò al momento in cui il fiume sembrava essersi fermato. La fiamma era magica. Sebbene tentassi, non vidi movimento di particelle né di gas. Sembrava che io possedessi la mia consueta libertà di movimento, ma che il mondo intorno a me fosse arri-vato a uno stato cristallino e soprannaturale.

Fu infine Dennis a dire: "Una serie di livelli d'energia deve essere spez-zata per unire il tutto. È in pa rte mitologia, parte psicologia, parte fisica applicata. Chi lo sa? Faremo tre tentativi prima di interrompere l'esperi-mento".

Bevemmo tutti l'ayahuasca. Il gusto era aspro e astringente, come una salsa di cuoio, ma svanì in fretta mentre il liquido scendeva ribollendo nel-le nostre budella. Dennis prese un altro fungo per aiutarsi a sentire la no-ta. L'oscurità fuori era totale e noi non avevamo orologi; sembravano ore da quando Dave e Vanessa se ne erano andati. Tutto era finalmente pron-to: il fungo vivente, l'infuso di armina e una mistura di armina da fumare, caso mai... Dopo aver bevuto circa mezza tazza di infuso di ayahuasca, ci fermammo ad aspettare.

Per parecchi giorni Dennis era stato ad ascoltare la nota ESR che sti-maya essere il sine qua non per ciò che stavamo tentando. Dopo circa un quarto d'ora, annunciò che poteva sentirla più chiaramente e che stava aumentando d'intensità. Ci disse che si sentiva pronto a tentare l'esperi-mento in ogni momento.

Ci accordammo per spegnere la candela ogni volta che si fosse formato il suono, per non appesantire le nostre menti a lla vista delle distorsioni facciali triptamminiche causate dallo stesso strano suono. Anni prima, all'apice delle avventure da DMT con la nostra gang a Berkeley, eravamo

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118 VERE ALLIJC1NAZ7ON1 L'ESPERIMENTO A LA CFiORRERA 119

stati testimoni di spasmi della muscolatura del volto da far venire la pe lle d'oca, poiché evocavano le entità del buddismo tantrico: gli occhi fuori dalle orbite, la lingua in fuori e incredibilmente lunga o cose del genere.

Dennis, poi, si sedette sull'amaca. Spensi la candela e lui emise il suo primo urlo di ipercarbolazione. Era meccanico e forte, come un muggito di toro e finì con una convulsione che gli attraversò il corpo e lo fece cade-re giù dall'amaca, sul pavimento.

Riaccendemmo la candela solo per verificare che tutti volessimo conti-nuare e ci accordammo: Dennis avrebbe fatto il prossimo tentativo stando seduto sul pavimento. Così accadde. Di nuovo seguì un lungo, rombante yodel, strano e meccanico.

Suggerii una pausa prima del terzo tentativo, ma Dennis era agitato e ansioso di farcela. Ci preparammo per il terzo urlo e quando arrivò fu co-me gli altri ma molto più lungo e più rumoroso. Come una sirena elettrica che ululava nell'immobile giungla notturna, continuò a lungo e, quando finalmente si affievolì, anche questo fu come lo spegnersi di una sirena. Poi nell'assoluta oscurità de lla capanna amazzonica, si fece silenzio, il si-lenzio della transizione da un mondo all'altro; il silenzio del Ginnunga gap*, quella cruciale esitazione fra un evo terreno e la susseguente mitolo-gia scandinava.

In quel gap s'intromise il canto del gallo de lla missione. Cantò per tre volte, chiaro ma lontano e sembrava confermarci come attori sulla scena e parte di un progetto drammatico. Dennis aveva detto che se l'esperimento fosse riuscito, il fungo si sarebbe distrutto. Il fenomeno di bassa tempera-tura avrebbe fatto esplodere la materia cellulare e sarebbe rimasto un anello viola di luce della grandezza della cappe lla del fungo. Sarebbe stato il modello lenticolare, o la pietra filosofale, o chissà cos'altro. Poi qualcu-no ne avrebbe preso il controllo. Sarebbe stato come se qualcuno avesse partorito la propria anima, il proprio DNA esteriorizzato come una specie di fluido vivente fatto di linguaggio. Sarebbe stata una mente che poteva essere vista e tenuta in mano. Indistruttibile. Un universo in miniatura, una monade, una parte di spazio e tempo che magicamente condensa in sé tutto lo spazio e il tempo, compresa la propria mente, una mappa del co-smo così vera da essere il cosmo: quello era il coniglio che Dennis voleva estrarre dal cappello quel mattino.

* L'immenso spazio cosmico della mitologia scandinava e germanica, dove si stendevano i regni di Niflheim (il luogo dei morti) e Mulpelsheim.

Dennis si chinò verso íl fungo ancora intero che stava nell'area del-l'esperimento: "Guarda!" Mentre seguivo il suo sguardo, alzò il braccio e attraverso il cappello espanso del fungo cadde l'ombra del suo ruana, una specie di poncho usato dai contadini sudamericani. Chiaramente, ma solo per un momento, quando l'ombra tagliava in due la cima bri llante del fun-go, vidi non un fungo maturo ma un pianeta, la terra, lucente e viva, blu, marrone e splendidamente bianca.

"È il nostro mondo", la voce di Dennis era piena di emozioni insonda-bili. Potevo solo annuire. Non capivo, ma lo vidi chiaramente, sebbene la mia visione fosse solo l'impressione di un momento. "Ce l'abbiamo fatta", proclamò Dennis.

"Non capisco!" dissi subito, ed era vero, "Andiamo ai pascoli. Ho bi-sogno di pensare", aggiunse Dennis.

Ev era distrutta dalle attività della notte e probabilmente era contenta che la lasciassimo nella capanna con l'arrivo dell'alba che prometteva un nuovo giorno. Mentre scendevamo la scala fino a terra, ero colpito dallo scenario di assoluta confusione che le nostre attività si erano lasciate die-tro durante le ultime frenetiche ore. Il nostro immenso fuoco ora non era altro che ceneri bianche. I rifiuti de lla preparazione dell 'ayahuasca stava-no lì vicino e sembravano un mucchio di alghe marine sulla spiaggia. Ogni cosa era sparpagliata in giro. Camminavamo attraverso tutto questo, scrollandoci la stanchezza dal corpo e fermandoci per spruzzarci il viso d'acqua presso il piccolo ruscello che attraversava il sentiero.

Non avevamo ancora parlato, quando Dennis ruppe il silenzio: "Ti stai chiedendo se ce l'abbiamo fatta?"

"Sì, cosa è successo? Stai dirigendo tutto tu. Dimmi, cosa sta acca-dendo?"

"Non sono sicuro del come, ma ce l'abbiamo fatta. Ci devo pensare su". Sebbene l'effetto dei funghi e dell 'ayahuasca della notte prima sem-brasse svanito, la mia mente era piena di domande. Mentre camminava-mo, Dennis faceva commenti occasionali che, notai con sorpresa, erano ri-sposte alle cose che stavo pensando senza esprimerle. Mi fermai un attimo. Formai con chiarezza una domanda nella mia mente. Dennis, con la testa vicino a me, cominciò a rispondere senza aspettare che dicessi i miei pen-sieri ad alta voce. Ero confuso. "Era dunque questo?", mi domandai. Ave-va in qualche modo acquistato poteri telepatici? "No", replicò lui, c'era ben più di quello.

Secondo Dennis, l'unione dell'armina con il suo DNA gli aveva aperto

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120 VERE ALLUCINAZIONI L'ESPERIMENTO A LA CHORRERA 121

immediato accesso a un enorme deposito cibernetico d'informazione. E questa informazione era disponibile liberamente a chiunque nel mondo guardasse nella propria mente, precedendo la domanda con la parola "Dennis". L'assurdità della seconda metà della frase mi colpì moltissimo. Ma, naturalmente, davanti alla sua insistenza, feci un test. Presi una picco-la pianta ai miei piedi, chiusi gli occhi e chiesi: "Dennis, qual è il nome di questa pianta?" Immediatamente e senza sforzo schioccò nella mia mente un nome scientifico, che ora ho dimenticato. Cercai di ripetere la cosa con un'altra pianta e con mia sorpresa ricevetti una risposta differente. L'espe-rimento sembrava garantire che qualcosa nella mia testa dava le risposte, ma non potevo dire se fossero giuste o no. Ero scosso. Quando lasciammo la capanna, ero sicuro che avevamo fallito e che dovevamo rivedere il no-stro approccio. Ero quasi sollevato perché l'avevamo affrontato in manie-ra ossessiva. Ma adesso, mentre camminavamo, potendo sentire nella mia testa una voce che dava risposte, per quanto inutili e imprecise, a ogni do-manda, ero meno sicuro.

Dennis era stranamente preoccupato, ma mi rassicurò che il suo tenta-tivo era stato un successo e che in tutto il mondo l'onda dell'ipercarbola-zione stava attraversando il genere umano, eliminando la distinzione fra individuo e comunità, mentre ognuno poteva scoprire se stesso spingen-dosi nell'oceano telepatico il cui nome era quello del suo scopritore: Den-nis McKenna.

Mentre osservavo la mia mente e osservavo mio fratello delirare, co-minciai a realizzare che l'esperimento aveva senza dubbio scatenato un ef-fetto incredibile. Mi chiedo ora perché fu così facile per me saltare dall'idea che stavamo avendo una bizzarra esperienza localizzata a lla con-clusione che eravamo parti-chiave di un fenomeno planetario. È una do-manda importante e senza risposta che dice molto riguardo alla mia di-sponibilità alla suggestione in quel momento. Ero probabilmente vittima di un'allucinazione cognitiva; cioè, al contrario di un'esperienza visiva di qualcosa non presente, un'allucinazione cognitiva è un cambiamento tota-le ai più alti livelli della nostra relazione intellettiva con il mondo. L'alluci-nazione cognitiva indotta da lla psilocibina faceva apparire l'impossibile probabile e ragionevole. Fui pervaso dall'estasi quando compresi che ave-vamo passato il punto omega e che adesso stavamo vivendo nelle prime fa-si della nuova era. Entrambi sentivamo crescere la nostra eccitazione men-tre ci convincevamo che ora, in qualche modo, il mondo era radicalmente e fondamentalmente diverso.

"Dev'essere così", disse Dennis. "Non abbiamo condensato la pietra nello spazio visibile, ma l'abbiamo generata nelle nostre teste. Non appare immediatamente come un veicolo visibile ma, innanzitutto, come un inse-gnamento, l'insegnamento che ora noi sentiamo nelle nostre teste. Poi, le parole diventeranno carne".

Non riuscivo a fare altro che fissare mio fratello. Chi era e com'era capa-ce di sapere e fare questo genere di cose? Potevo solo tirare a indovinare.

"Ora mamma e un mucchio di gente morta diventeranno presto visibi-li. Senza dubbio arriverà Jung e, accidenti, voglio proprio sapere cos'ha da dire". Mentre parlava, Dennis guardò dietro la mia spalla allungando il collo per vedere chi si avvicinasse a lla nostra capanna. "Quello è Na-bokov, Sunny Jim, quel bravo ragazzo di Joyce o è quel rompiscatole di Nick Cusa?"

Ci abbracciammo, ridendo. Mi sentivo guidato come un bambino pic-colo. Senza motivo, avevo smesso di interrogarmi; sentivo invece il deside-rio di vedere altra gente e di percepire la loro immersione nel nuovo cielo e nella nuova terra. Sarei andato al fiume a prendere Dave e Vanessa per ritornare con loro alla foresta. Dennis sarebbe andato al campo per spie-gare a Ev cosa stava accadendo. Appena mi mossi verso il fiume, mi sentii quasi senza peso. Mi sentivo rinato, pieno di energia, carico di salute e vi-talità. In pochi minuti mi ero tramutato da scettico stanco e scontroso a fervente estatico. Ripensandoci, credo che quello sia stato il mio punto critico. Perché non chiesi a Dennis qualcosa di più? Mi ero forse autoi-pnotizzato? Lo scenario insolito, la dieta limitata, la tensione e le aspetta-tive mi avevano forse spinto in una situazione dove non ero più capace di sfuggire al mondo delle pazze idee di mio fratello? Perché non ero più ca-pace di mantenere il mio punto di vista distaccato e scettico? In un certo senso questa volontaria sospensione di incredulità è il punto cruciale de lla questione e, credo, di molte situazioni di "incontri ravvicinati".

L'altra dimensione gioca con noi e ci avvicina attraverso l'immaginazio-ne, ed è così che si raggiunge il punto critico. Andare al di là richiede di abbandonare i modi vecchi e radicati di pensare e vedere. A quel punto il mondo si rigira pigramente da capo a piedi e i segreti si rivelano: un modo magico, un paesaggio mentale diverso da quello sempre conosciuto, e il paesaggio diventa reale. Questo è il regno della risata cosmica. UFO, elfi e i fertili pantheon di tutte le religioni sono gli abitanti di questo paesaggio finora invisibile. Ci si estende dentro i continenti e gli oceani dell'immagi-nazione, in mondi capaci di sostenere chiunque non vuole far altro che

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giocare e poi il gioco si fa sempre più serio finché diventa una realtà con la quale nessuno oserebbe scherzare.

Mentre camminavo dentro quello stupendo mattino, non ero preso da alcun tipo di pensiero così dolcemente obbiettivo. Invece, supponevo che il mio corpo stesse metabolizzando la sua strada verso il corpo de lla resurrezione, 1' "anima resa visibile" degli ermeneuti cristiani, che noi ci eravamo aspettati fosse parte del successo dell'esperimento. Non sapevo cosa stesse accadendo nel mondo e fuori di noi, ma sapevo che, fin dal momento in cui Dennis aveva dichiarato concluso l'esperimento, avevo sentito un'ondata crescente di energia e di comprensione dischiudersi nel mio essere. Mentre camminavo, venni preso da quella che sembrava essere una comprensione totale. Fiorì nella mia mente la rivelazione che noi siamo tutti esseri i lluminati e che soltanto la nostra incapacità di ve-dere e sentire noi stessi e gli altri, per quello che siamo, ci trattiene dal li-berarci dal nostro senso di colpa e dal fare esperienza di noi stessi come illuminati. Non sono mai stato un allegro sostenitore de lla beatitudine psichedelica, eppure allora stavo sospeso da qualche parte fra cliché e ar-chetipo.

Mi sentivo beato, eppure non potevo credere a ciò che sembrava esse-re accaduto. Il cammino fino a Dave e Vanessa durò dieci o quindici mi-nuti. Dovevano essere le sette del mattino. Il sole era ben alto nel cielo ed era una bella giornata. Attraversando i pascoli mi sarei fermato a dire: "Dennis", e la risposta sarebbe arrivata istantanea come quel pensiero; questo mi rese confuso. Mi fermai e posi le domande. Seduto sul prato. "Va bene così? Cos'è tutto questo? Non so. È sicuro? Non riesco a capire cosa significa".

Camminando verso il fiume, feci qualche esperimento. Dissi: "Teren-ce, Terence". Era come parlare a me stesso. Poi dissi: "Dennis" e la cosa fu d'incanto lì, pronta a darsi da fare. Poi dissi: "McKenna, McKenna", ed era sempre lì. Capii che non potevo arrivarci con il mio nome, ma con il cognome sì. Mi sentii simultaneamente illuminato e sconcertato, non ca-pivo cosa stava accadendo.

Stavo soppesando questo tipo di cose, quando arrivai a lla casa lungo il fiume di Vanessa e Dave. Stavano ancora dormendo sulle amache, ma in-torno alla po rta, seppur di primo mattino, c'era un gruppo di bambini wi-toto con gli occhi spalancati. Quando mi feci strada fra di loro, il mio sguardo cadde su ciascuno e pensai: "Tu sei illuminato, e tu, e tu..."

Il mio arrivo era il primo evento della giornata per Vanessa e Dave.

Dissi loro che tutto aveva funzionato e che il frutto del nostro successo non era un superoggetto condensato, ma un insegnamento. Chiesi loro di vestirsi e venire con me. Mentre stavano chiudendo le amache, mi dissero che, nel momento più buio della notte, Dave si era svegliato istericamente, in uno stato simile a quello provocatogli dalla tempesta elettrica della sera prima. Si erano molto agitati e avevano messo in relazione ciò con quanto stavamo facendo noi.

Tutto questo mi interessava ma lo percepivo come distante. Volevo tor- nare alla foresta e vedere cosa si sarebbe rivelato là. Nella mia mente stavo ricordando qualcosa che Dennis aveva detto pochi minuti prima nei pa-scoli. Aveva detto che la linea di demarcazione fra il giorno e la notte, l'al-ba, stava facendo un giro del mondo in ventiquattr'ore, un viaggio che era cominciato all'alba quando l'esperimento a La Chorrera era finito. In tut-to il mondo il traffico e le fabbriche stavano per fermarsi. La gente stava lasciando case e scuole per guardare il cielo, comprendendo che qualcu-no, da qualche pa rte, era passato dall'altra pa rte, che quello non era un giorno come gli altri. Dave e Vanessa mi seguirono nella foresta. La cavi-glia di Vanessa era migliorata ben poco durante la notte e lei si lamentò per buona pa rte del percorso.

Quando arrivammo al luogo dove io e Dennis ci eravamo separati, ci imbattemmo in qualcosa che non faceva parte di nessun bagaglio di aspet-tative. C'erano la ruana di Dennis e la sua camicia abbandonate nel mezzo del sentiero; più in là c'era un paio di pantaloni, più avanti due calze suda-te e, me ne accorsi solo più tardi, anche i suoi occhiali e gli stivali. Seguim-mo questa traccia di indumenti gettati via fino alla capanna nella foresta. Lì trovammo Ev e Dennis, entrambi nudi e seduti sul pavimento, che sta-vano discutendo e meditando in stile "chiedi a Dennis".

Avvertendoci che non si poteva essere opportunamente iniziati senza essere nudi, Dennis insistette perché ci togliessimo i vestiti; Vanessa si spogliò, io e Dave la seguimmo Anche il loro scetticismo sembrava esser-sene andato; la presenza del fungo era palpabile e sembrava dire: "Togliti i vestiti. Getta via tutto; ogni cosa si sta rompendo. Nessun oggetto ti è più utile adesso; getta via tutto. Non ne hai più bisogno".

Ci guardammo l'un l'altro, con i nostri lucidi peli pubici e i genitali che adesso risplendevano al sole. Feci una canna, sedemmo in cerchio e fu-mammo. Spiegammo a Dave e Vanessa l'insegnamento e loro provarono a seguirlo, con diversi livelli di successo. Dave sembrava pensare che fun-zionasse, la scettica Vanessa non era così sicura. Non ero sorpreso di que-

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sto risultato perché una voce nella testa è cosa evasiva e soggettiva. Se ce l'hai, non c'è dubbio; se non ce l'hai, sembra una storia incomprensibile.

Tutti eravamo socievoli, tranne Dennis che mostrava una tendenza a parlare sopra le opinioni degli altri, come se questi non esistessero. Sem-brava correre su un binario temporale diverso dal nostro, poiché non riu-sciva a capire quando qualcun altro stava parlando.

Pensammo che fosse logico slegare le amache dalla casa, portandocele dietro come unico bagaglio, e andare nudi nella foresta. Avremmo legato le amache a un albero, poi avremmo provato il metodo, perché chiara-mente si poteva fare di più che porre domande. La porta era aperta. Sol-tanto l'esperimento avrebbe mostrato cosa fare. Mentre camminavamo, chiesi alla cosa nella mia testa ciò che dovevo fare e ricevetti l'istruzione che dovevamo visualizzare le nostre vite a partire da adesso e poi muo-verci attraverso la nostra vita intera, cercando di andare incontro e di ri-stabilire un rapporto equilibrato con qualsiasi essere vivente al quale avessimo mai fatto torto. Una volta arrivati alla fine di questo processo, avremmo lasciato i nostri corpi e saremmo entrati nella dimensione della libertà assoluta, che adesso sembrava così vicina. Pensavo a questo come se fosse un riavvolgimento veloce dell'attività karmica. Una volta che il karma si fosse riavvolto, uno stato di innocenza originale sarebbe fiorito con naturalezza.

Stesi sulle amache stavamo meditando sulla nostra via per l'iperspazio. Nell'occhio della mia mente potevo vedere me stesso a La Chorrera e poi scendere giù a El Encanto, sul fiume fino a Leguizamo, di nuovo a Bogotà e poi ancora in Canada. A ogni tappa avrei incontrato la gente con cui avevo vissuto e avrei detto: "Ce l'abbiamo fatta! Mi scuso e spero di non avervi offeso troppo nei nostri incontri a tre dimensioni. Comunque ades-so è tutto finito. Tutto finito!"

Potevo vedere molta gente. Mi avvicinai a loro. "Siamo in Amazzonia," spiegai loro, "e ora stiamo tornando a casa. O verso qualche altro posto". La visione aveva una qualità infinitamente realistica. Le lacrime si forma-vano dietro le mie palpebre chiuse. Era un sentimento molto particolare.

La voce del maestro parlò nella mia mente: "L'avete trovato. Proprio così. È finita ora. Non c'è nient'altro. Tra poche ore la civiltà umana legata alla terra crollerà e la vostra specie muterà. Prima andrete fino a Giove e poi ad Alfa dove c'è il Sagittario. Un giorno di gr andi avventure si affaccia per la razza umana".

All'inizio le immagini sembravano divenire più profonde e crescere

d'intensità, ma dopo un'ora fu chiaro che stavano svanendo. Uno dopo l'altro, uscimmo dallo stato di torpore indotto dal caldo mattutino e dallo stare nelle amache. Cominciammo a parlare e ad analizzare il tutto più volte. Dennis sembrava essere il più fuori di tutti. Dave e Vanessa dubita-vano che qualcosa fosse veramente accaduto. Ev era distante e io mi senti-vo stonato e immerso nella percezione surreale che mi aveva avvolto fin dal caotico inizio del giorno.

Poi capii che c'era qualcosa che non andava. L'apprensione correva più veloce della realtà, come fa sempre. Per chiunque altro, non era acca-duto nulla. Mentre parlavamo, mi divenne chiaro che nessuno al di fuori di me poteva sentire Dennis all'interno de lla propria mente. Tutti si chie-devano cosa stesse succedendo e si stavano innervosendo, pensando che stessi perdendo la testa. Stavamo entrando in quella che poi chiamai la fa-se successiva, che era un periodo di confusione per tutti. Dennis era com-pletamente staccato dalla realtà. Io gli parlavo e lui non se ne accorgeva. Cominciava a parlare e non si rendeva assolutamente conto quando qual-cun altro stava parlando. Mentre l'abisso tra le nostre percezioni si faceva più grande, sentimmo tutti il bisogno di tornare alla normalità, di toccare le fondamenta; qualcuno suggerì di farci una doccia all'aperto nella mis-sione, dal momento che eravamo tutti sporchi e coperti della fuliggine del fuoco notturno.

Raccogliemmo i nostri vestiti. Facendo questo, scoprimmo che Dennis aveva gettato via gli occhiali, gli stivali e tutto il resto. Scompigliati e diso-rientati, ritrovammo il sentiero per la missione, cercando senza successo gli occhiali smarriti.

Un gruppo di witoto ci osservò mentre passavamo e scoppiò in una ri-sata. "Sanno, sanno ciò che è accaduto", mi disse la voce. Di certo stavano ridacchiando per qualcosa. Continuammo a camminare verso la missione e la sua doccia al sole.

Dennis non la smetteva di parlare e non era più possibile comunicare con lui. Stava crescendo tra gli altri l'idea che eravamo in crisi, ma non an-cora completamente fuori. Concordavamo che l'ayahuasca fosse molto particolare ma eravamo convinti che il passare delle ore avrebbe aggiusta-to tutto. La mia conclusione era che qualcosa di irreale e inaspettato era accaduto, che Dennis aveva fatto qualcosa e che qualche strano effetto farmacologico era stato inconsapevolmente manipolato. L'effetto si era manifestato solo parzialmente nel modo in cui ce lo eravamo aspettati e, quindi, non sapevamo dove cazzo fossimo finiti. Ero calmo e potevo alme-

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126 VERE ALLUCINAZIONI

no interagire socialmente. Sebbene fossi in balia di emozioni che facevano sgorgare lacrime di gioia sul mio volto, non ero fuori da lla realtà.

"Aspetteremo fino a domani. Dennis tornerà a posto", dissi tentando di rassicurare il resto del gruppo.

Sembrava che tutti, tranne me e Dennis, avessero imboccato la via del ritorno verso il loro normale equilibrio mentale. Mentre ero sommerso da strane ma splendide percezioni dilatate, le sue idee folli e i suoi occhi allu-cinati suggerivano che era lontanissimo da lla realtà. Dopo la doccia, tor-nando a lla foresta, gli feci presente i miei dubbi ma lui, comportandosi maliziosamente come Amleto nella sua follia, replicò con indovinelli e mi-mando alcuni parenti morti. Non potevo ottenere niente da lui; continua-vo a pensare che una notte di sonno l'avrebbe calmato. Quando ritornam-mo al campo, insistetti perché si riposasse e lui lo fece.

"Adesso possiamo indire la conferenza stampa?", domandò dalla sua amaca, mentre noi altri cercavamo di rimettere in ordine la capanna.

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N VORTIC

In cui scopriamo che l'universo è più strano di quel che possiamo pensare,

Dennis compie un viaggio sciamanico e il nostro gruppo si polarizza e si divide.

ER RISPARMIARE A VANESSA IL RITORNO AL FIUME DECIDEMMO CHE

lei e Dave avrebbero trascorso la notte nella nostra capanna. Le lo- ro due amache furono appese vicino alle nostre tre. Quella sera la

trascorremmo ammassati, ma mangiammo bene e, se si escludono degli occasionali commenti veramente incomprensibili di Dennis, tutto sem-brava di nuovo a posto. La caviglia di Vanessa era ancora in pessime con-dizioni e tutta la nostra attenzione venne rivolta a questo problema, forse a causa della sua natura materiale, in contrasto con la maggior parte de lle cose che stavano succedendo. Mi sentivo ancora completamente cambiato e rimesso a nuovo, sia lontano da me stesso sia contento di lasciare che gli eventi si succedessero liberamente. Questa mia nuova sensazione mi assi-curò che, per quanto strana ogni cosa potesse apparire, tutto andava vera-mente bene.

L'ultimo delirio di questo lungo e incredibile giorno arrivò dopo man-giato, alla luce del fuoco. Dalla sua amaca Dennis ruppe il silenzio per spie-garci che, da quella notte, attraverso i nostri sogni, avremmo imparato una serie di cose che sarebbero terminate con il distacco dal nostro corpo, mol-to tempo prima dell'alba. Ci saremmo riuniti nuovamente, con il nostro perfetto corpo virtuale, sul ponte di un'astronave spaziale in orbita sincro-nizzata con la terra, cinquemila chilometri sopra il bacino delle Amazzoni.

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130 VERE ALLUCINAZIONI

Questa fu la seconda profezia autodeterminata che era stata emessa dal momento dell'esperimento, mentre la prima era stato il tentativo mattuti-no di meditare a ritroso fino al momento de lla propria nascita. A posterio-ri, mi accorgo che questa "isteria escatologica" era una de lle modalità principali che avevano trasformato radicalmente il mio modo di pensare. Con íl passare delle settimane e degli anni ci sarebbero state ancora molte di queste profezie autocontrollate e numerosi scenari del possibile modo in cui il mondo avrebbe potuto subire una finale e completa trasformazio-ne escatologica. Come profeti del Vecchio Testamento o alchimisti elleni-ci, capimmo che facevamo ormai parte di un dramma cosmico di caduta e redenzione.

Quattro giorni dopo l'esperimento e poi cinque, sette, dieci, sedici, ventuno, quaranta, sessantaquattro giorni: erano tutti momenti aftesi con speranza e ostinato rifiuto dell'incredulità. Tutto accadde e finì con l'escha-ton che permeava ancora tutto, ma che era ancora sfuggente. L'idea di un veicolo intradimensionale lenticolare, una volta immaginata, non mi ab-bandonava più e ossessionava le fantasie a occhi aperti mie e di Dennis, le nostre speranze segrete e i nostri sogni notturni.

L'affermazione di Dennis riguardo all'attesa dell'astronave, fu anche la prima apparizione dell'immagine degli UFO nei suoi pensieri dal momen-to dell'esperimento, un tema che fu riproposto in numerosissimi modi nei giorni che seguirono. L'equazione pietra = sé = UFO era l'assunto operati-vo del lungo viaggio di autocomprensione e di ritorno di Dennis. Con que-ste immagini di "morte nel sonno" e di "rinascita all'interno di un'astrona-ve", che risuonavano nelle nostre menti, ci lasciammo andare, completa-mente esausti.

Ho sottolineato che la capanna era strapiena, con le amache appese a ogni trave disponibile. Era difficile muoversi senza prendere a gomitate uno dei vicini, per via dell'aggrovigliarsi e dell'intrecciarsi delle tante cor-de. Ci coricammo intorno a lle dieci. Dormii profondamente fino a un cer-to momento, alcune ore più tardi, probabilmente fino circa alle due. Mi alzai per fare la pisciata di metà notte, tipica degli esploratori che usano latte condensato. Seduto sull'amaca, lottai per trovare dei fiammiferi e ac-cesi una candela. Nel silenzio de lla notte sentii il mio stesso stupore cre-scermi dentro. Un'intensa corona di luce a tre strati scintillava intorno alla candela per circa un metro. Era di un blu profondo e iridescente, alterna-to con un arancio ugualmente puro. Immediatamente mi ricordai dell'au-ra di luce che circonda il corpo del Cristo risorto nel dipinto di Matthias

NEL VOII!, T1 C uì

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Grünewald. Compresi che Grünewald doveva aver visto la medesima co-sa che stavo vedendo io in quel momento e che l'avesse incorporata suc-cessivamente nella sua "resurrezione".

Contemporaneamente, come se stessi avendo un pensiero ancora più profondo, in qualche modo "capii" che la distorsione o polarizzazione della luce della fiamma era un effetto causato dalla distorsione dello spa-zio-tempo fisico e indotto dal nostro esperimento e dalla vicina onnipre-senza della pietra. Questo pensiero fu seguito da un altro: forse la distanza spazio-temporale dalla pietra poteva essere stimata dall'intensità dei colo-ri presenti nell'aura della luce intorno a una semplice candela. La distor-sione della luce proveniente da una candela potrebbe agire come un rive-latore della pietra filosofale. Richiamai alla memoria Diogene che andava alla ricerca del bene con una lanterna. Era veramente ciò quello che stava facendo? Mi venne in mente la frase: "È meglio accendere una candela piuttosto che maledire l'oscurità", e mi misi a ridere.

Svegliai Ev e lei, ancora insonnolita, confermò la presenza dei colori intorno alla candela, ma ciò non le comunicò le stesse sensazioni. Si girò dall'altra parte e, quando tornai nella capanna, stava russando leggermen-te. Come mi arrampicai di nuovo sull'amaca, contai le persone e notai che erano tutti presenti e addormentati. Rimasi per lungo tempo sdraiato, sve-glio, a pensare. Tutto appariva calmo.

Non appena la colazione aprì la mattina seguente, il 6 di marzo, fu chiaro che il sonno tranquillo, che avevo immaginato che tutti qu anti avessimo avuto, era stato reale. Da Dennis, ancora disorganizzato ma espansivo, emersero dei commenti riguardo al fatto che aveva trascorso, o credeva di aver trascorso, una notte estremamente attiva. Sottoposto a un serrato interrogatorio, ammise che era totalmente convinto che a un certo punto, durante la notte, si fosse alzato, vestito e che avesse vissuto un cer-to numero di avventure notturne. Queste comprendevano l'andare da so-lo nel buio verso l'immensità rombante del chorro, lontano più di due chi-lometri, quindi ritornare per scalare e trascorrere un po' di tempo su di un largo albero vicino ai confini della missione, infine percorrere la via del ri-torno attraverso i prati, raggiungendo la sua amaca legata in mezzo a tutte le altre. L'idea di lui che si avventurava in giro durante la notte su quei percorsi, senza gli occhiali, entrando e uscendo da periodi di estasi scia-manica, forse urlando o comportandosi come un uomo del Paleolitico, era troppo anche per me. La cosa rappresentava, a questo punto, una rottura nella tranquillità collettiva. Benché fossi al novanta per cento sicuro che

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NEL t ORT E 133 132 VERE A LL UCINAZ IONI

ciò non era accaduto veramente, ero determinato a eliminare ogni possibi-lità che tali escursioni potessero in ogni caso avvenire in futuro.

Il racconto di Dennis era la classica descrizione di un viaggio sciamani-co notturno. Disse di essere andato al chorro e di aver meditato nel cimite-ro della missione che avevamo visitato in precedenza. Stava tornando in-dietro al campo quando si trovò di fronte un enorme albero inga, dove il sentiero fiancheggia la missione. Istintivamente, lo scalò, consapevole del fatto che la scalata dell'albero del mondo è il tema centrale del viaggio sciamanico siberiano. Appena salito sull'albero, sentì lo sventolio di nu-merosi archetipi e, nel momento in cui raggiunse il punto più alto della sua salita, qualcosa che lui chiama "il vortice" si aprì di fronte a lui: un turbinoso ed enorme passaggio nel tempo. Poteva vedere i megaliti ciclo-pici di Stonehenge e, dietro di loro, roteando a una velocità differente e a una diversa altezza, i profili delle piramidi, lastricate di marmo, che ri-splendevano come al tempo dell'Egitto dei faraoni. E, ancora più in profondità, nelle tumultuose fauci del vortice, vide arcani precedenti a lla nascita dell'uomo, titaniche forme archetipe di mondi inimmaginabili per noi, incomprensibili macchinari di presenze eteree che fecero irruzione in questa parte della galassia, quando il nostro pianeta era giovane e la sua superficie si era appena raffreddata. Questi macchinari, questi abissi gor-goglianti, a contatto con il freddo dello spazio interstellare e con una mi-sura di tempo incommensurabile, caddero sopra di lui. Svenne e il tempo — chi può dire quanto? — gli scivolò intorno.

Si ritrovò nel prato a poche decine di metri dall'axis mundi, la sua nuo-va scoperta. Se veramente era caduto dall'albero, pareva non averne ri-portato alcuna conseguenza. Stupore, esaltazione, paura e confusione oc-cupavano i suoi pensieri. Il seguito sembrò stracciarsi e dividersi in pezzi di fronte ai suoi stessi occhi, il tempo e lo spazio avvolgevano le opere di ventimila anni di fatica umana in un vortice di contraddizioni apocalitti-che. In quello stato di paura ed eccitazione, nel profondo de lla rivelazione del destino umano, Dennis ritornò al campo e silenziosamente salì sul-l'amaca, oppure si risvegliò lì da quel sogno.

Erano passate ventiquattr'ore dal tentativo di ipercarbolare il DNA umano. Era chiaro che Dennis non stava uscendo dallo stato di estasi scia-manica indotta, così velocemente come avevamo sperato. Questo stato du-rava da troppo tempo per poter essere considerato una normale reazione al fungo o all'ayahuasca. Due erano le opinioni per spiegare la situazione:

• la prima, quella cui propendevano Vanessa e Dave asseriva che lo

sforzo del viaggio e il recente trip con la psilocibina avevano contribuito ad attivare un archetipo sciamanico in Dennis che era da sempre latente. Questo ora era evidente e portava un forte potenziale di transfert al quale stavo soccombendo poiché non ero in grado di riconoscere nella condi-zione di mio fratello un possibile stato patologico. Questa era la fonte di tutti i nostri contrasti di opinione su come procedere.

• una seconda spiegazione, verso la quale propendevamo io ed Ev, aveva un approccio biochimico piuttosto che psicologico. Sosteneva che Dennis, a causa della sua insolita dieta a base di alcaloidi e dell'esperimen-to a cui si era sottoposto, avesse inibito alcune parti del sistema enzimati-co che normalmente sarebbero dovute tornare normali dopo le sollecita-zioni di un trip allucinogeno, ma che in questo caso erano, al contrario, di-venute in qualche modo inattive. Il candidato più verosimile per questo effetto sarebbe la monoamminoossidasi (MAO), responsabile di trasfor-mare molti allucinogeni in sottoprodotti inefficaci. È risaputo che il feno-meno dell'irreversibilità dell'inibizione MAO avviene con l'uso di alcune droghe e occorrono circa due settimane perché gli effetti scompaiano. Poiché i composti in banisteriopsis caapi solitamente ribaltano l'inibizione MAO in quattro o sei ore, come mostrano gli eventi seguenti, questa spie-gazione era senza dubbio credibile, dal momento che Dennis sarebbe sta-to in balia del delirio sciamanico per almeno due settimane.

Dopo anni di ragionamenti, la mia spiegazione propende ancora forte-mente verso la seconda possibilità: una spiegazionè relativa al nostro cam-po d'azione. Io non credo che Dennis fosse predisposto per un'esplosione archetipa ma che, in qualche modo, in un determinato momento, tutta la MAO nel suo corpo si fosse innalzata e che il suo sconvolgimento fosse do-vuto all'intervallo di tempo necessario per ricreare il livello di MAO da una completa e improvvisa inibizione. Ritengo che questo esaurimento improv-viso fosse stato causato dal suo esperimento e quella risonanza vocale in-dotta, che cancella le forze che normalmente operano in queste molecole, avesse provocato dei cambiamenti fondamentali nella struttura chimica del suo corpo. In breve, ritengo che lui avesse indotto nel suo corpo un'inibi-zione MAO irreversibile attraverso l'uso della psilocibina, de lla sua voce e della sua volontà.

Se questo è vero, allora le implicazioni per il genere umano potrebbero essere come avevamo supposto nel nostro stato mentale alterato, poiché si potrebbe ipotizzare una tecnologia farmacologica con la quale il genere umano potrebbe esplorare il continuum parallelo le cui interazioni con la

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nostra stessa esistenza sono rappresentate dall'esperienza visionaria. Ab-biamo cozzato contro un effetto che un giorno potrebbe aprire una porta per tutti quei mondi che pullulano nei nostri sogni e nelle nostre fantasie. Sicuramente è un fenomeno che bisogna studiare e da cui dobbiamo im-parare. Anche oggi, anni dopo l'esperimento, questo ci promette nuove sorprese. Il mio continuo interesse su questo argomento è dovuto a una certezza personale che mi spinge a credere che alcuni effetti inusitati e non ancora confermati erano in atto durante il nostro esperimento, qual-che cosa come il principio di "risonanza-annullamento" che intrigava par-ticolarmente Dennis.

La colazione del 7 marzo, il secondo giorno dopo l'esperimento, si chiuse su di una accesa discussione se Dennis si fosse recato veramente al chorro o se l'avesse solamente sognato. Non riuscendo a porre fine alla di-scussione, Vanessa mi trascinò via da lla capanna e camminammo insieme mentre andavo alla sorgente per rifornirmi d'acqua. Voleva espormi una sua idea riguardo al fatto che, dal momento che c'erano diagnosi molto contrastanti su quanto stava succedendo, di conseguenza c'erano pareri contrastanti su cosa si dovesse fare.

"Poiché Dennis è tuo fratello e tu hai opinioni precise su questo argo-mento, mi rimetterò a lla tua decisione. Almeno per il momento."

Ero contento per il margine di tempo concessomi da lle parole di Va-nessa. Tutta la questione concernente le condizioni mentali di Dennis ri-guardava come e soprattutto quando queste sarebbero cessate. Qualsiasi diagnosi doveva fare conti con una previsione concreta riguardo a quel punto vitale. Ero rassicurato dalla voce interiore che tutto andava bene, ma volevo che Vanessa capisse che avevo apprezzato la sua solidarietà, an-che se non ero d'accordo con lei.

Capii dal comportamento di Vanessa che saremmo stati abbandonati a noi stessi nella casa nella foresta. Lei e Dave avrebbero assunto un atteg-giamento di minor coinvolgimento e sarebbero venuti a trovarci come vi-sitatori, e già la possibilità di porre fine all'isolamento nella foresta stava lentamente prendendo consistenza.

Perciò il campo d'azione fu preparato per i successivi cinque giorni di caos a La Chorrera, dal 7 al 12 di marzo. Da quel giorno in avanti, Ev di-venne una specie di ponte con il resto del mondo de lla missione. Arrivava nel tardo pomeriggio e ripartiva ogni mattina, cucinando pasti e colazioni con molta partecipazione, considerando che era incappata nel nostro pic-colo gruppo solamente tre settimane prima.

Durante questo periodo, Dennis cominciò lentamente a migliorare. Sembrava che la sua mente fosse stata letteralmente messa sottosopra. In certi momenti del giorno, quando diventava più coerente, diceva che que-sta esperienza l'aveva catapultato nella pseudosfera riemmaniana: l'uni-verso in cui anche le linee parallele si intersecano. Asserì che sarebbe do-vuto tornare indietro e che stava compiendo il viaggio a ritroso passando di livello in livello. Accaddero cose veramente strane durante questo pe-riodo. Lui poteva sentire la mia mente in azione. Aveva acquisito poteri te-lepatici: di questo non ho alcun dubbio. Poteva imitare perfettamente le voci di nostra madre e di nostro padre. Si trasformò in diverse persone, imitandole perfettamente. Mi vide come una specie di sciamano o di mes-sia. Si rivolgeva a me come all'insegnamento, non il maestro o l'atto di in-segnare, ma l'insegnamento, una specie di ambasciatore alieno incaricato di negoziare l'ingresso della specie umana nel concilio delle intelligenze superiori.

Ma c'era molto di più: una visione de lla storia del Ventesimo secolo che costruiva l'obbiettivo e la fine del tempo. Disse che la scoperta di una dimensione fisica superiore sarebbe avvenuta alcuni anni più tardi, ma sa-rebbe stata in qualche modo collegata all'Egitto, al culto dell'acacia tript-amminica, al Tibet di ottomila anni fa, alla magia sciamanica bon-po e all'I-Ching. Tutti questi concetti ritornavano costantemente mentre lui parlava senza sosta.

Non esistono appunti di questo periodo. Ero così sicuro del fatto che stessimo vivendo nell'eternità che credetti non fosse necessario scrivere. Visto che il mondo mi sembrava diventare sempre più perfetto, mi ero po-sto l'obbiettivo di scrivere una poesia prima o poi, ma quel momento non giunse mai. Nulla di ciò che ci rimane di quei cinque giorni ha una sua coerenza. Non c'era una sola nota emotiva o intellettuale nell'intera esten-sione vocale umana, che non avessimo suonato ripetutamente in migliaia di differenti variazioni.

Nelle note che scrissi alcune settimane dopo quel periodo, potevo rias-sumere quei cinque giorni contrassegnandoli in maniera assurda: fuoco, acqua, terra, uomo, pace. Io stavo seduto e Dennis andava in estasi. Senza gli occhiali i suoi occhi erano selvaggi, penetranti e sconvolgenti a guar-darsi. Fin dalla notte della sua escursione sciamanica, avevo deciso di non dormire, ma di stare costantemente sveglio con lui, giorno e notte. Per i successivi nove giorni non dormii né ebbi bisogno di dormire. Visto che un tale fenomeno è degno di nota, per molti anni ho poi ritenuto che il

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non sentir bisogno di dormire per nove giorni fosse la prova più lampante per dimostrare la presenza reale di forze straordinarie che avevamo diret-tamente potuto sperimentare. Non solo non ebbi bisogno di dormire, ma potevo pensare costantemente in modo tranquillo, ricco e pieno di imma-gini che rendevano il mio processo cognitivo simile a una leggera e tremu-la ombra animata. Questo potere mentale durò per tutto il periodo senza sonno e anche in seguito.

La dimensione temporale in cui ci stavamo muovendo sembrava com-posta dai riflessi di ciò che l'aveva preceduta e di ciò che sarebbe avvenu-to dopo. La prima notte in cui decisi di non dormire, il 6 marzo, passò in un lungo sogno a occhi aperti e con un crescente stupore per il fatto che stavo veramente bene, senza nessun bisogno apparente di dormire. Appe-na prima dell'alba, nel momento esatto in cui sentivo che avevamo com-piuto l'esperimento due giorni prima, sentii Dennis agitarsi sull'amaca dentro la capanna. Quindi lo sentii emettere, leggero ma forte e chiaro, lo stesso ululato ondulatorio che ci aveva catapultato in un mondo nuovo quarantotto ore prima. Risuonò tre volte, come se qualche cosa nella mia mente mi volesse assicurare che l'aveva fatto.

L'ultimo urlo venne fuori come i precedenti; crebbe e calò alternativa-mente per circa un minuto. Poi, appena si affievolì, sentii di nuovo il can-to del gallo dalla missione trasportato dall'aria piena di luce abbagliante. Perché le cose accadevano con una tale simmetria, come se un'imponente forma organizzata stesse tentando di rispecchiarsi nella struttura apparen-te della realtà circostante? L'alba infiammò il cielo, un altro di quei giorni indimenticabili stava nascendo. I pensieri della mia mente si mescolarono alle sfide alla ragione tipiche di ogni nuova esperienza. Quel che rimane di quel periodo sono immagini e avvenimenti, solo metafore che lavorano in sottofondo. Tutto era al limite del mitologico, dell'immaginazione, mute-vole, privo di radici, sempre fluttuante.

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13 GIOCANDO NEI CAMPI

DEL SIGNORE

In cui io e Dennis esploriamo i contenuti delle nostre reciproche illusioni

e illuminazioni naturali.

LA MATTINA DEL 7, Ev RITORNÒ AL FIUME CON DAVE E VANESSA; PER la prima volta in due giorni io e Dennis eravamo rimasti soli. C'era

un'atmosfera calma. Occupai il mio tempo facendo una cernita e

controllando l'equipaggiamento. Il nostro accampamento era di nuovo effi-ciente. Dennis passava da momenti di calma a lunghi discorsi riguardo a bi-lance cosmiche come in Starmaker di Olaf Stapleton. Egli imitò, descrisse e invocò le immense entità gnostiche e manichee che si divincolavano sul piat-to di una bilancia cosmica. L'eterna lotta fra il bene e il male era rappresen-tata nel labirinto della sua mente come un libro comico a quattro dimensio-ni. Ma non era privo di spirito, si lamentava occasionalmente di sentirsi "co-me un vecchio mandeo", per poi ridere sfrenatamente per questa battuta.

Sedetti sulla mia amaca e partecipai a queste conversazioni più che po-tei, poiché era chiaro che Dennis sarebbe stato capace di parlare anche da

solo. Pareva infatti che avesse trovato la vena principale de lla fonte poetica. Chiusi le palpebre per un momento e lì, davanti ai miei occhi, comple-

tamente visibile, si ergeva il principio di ciò che io consideravo l'insegna-mento o il messaggio. Era una forma geometrica bellissima e ripetitiva con quattro "petali". Una voce nella mente mi informò subito che si trattava

del "diagramma di S. Valentino". Ovviamente i quattro petali del dia-gramma sembravano solo vagamente simili al cuore insanguinato del san-

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140 VERE 2:LLUí'IPdAZIO°o'I GIOCANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE 141

to. Ripensai per un attimo al frutto a forma di cuore che avevo trasforma-to in una pipa ad acqua. Non c'era nessuna connessione ovvia... l'immagi-ne scomparve. Presi il mio quaderno e vi disegnai il diagramma, all'inizio assai rozzamente, in seguito con maggior precisione. Mi fece pensare a Basilio Valentino, un alchimista del Quindicesimo secolo, autore di The Triumphal Chariot of Antimony [il titolo originale dell'opera è Char de triomphe de l'antimoine, N.d.R.]. Avevo letto il libro, ma non me ne ricor-davo per niente. Mi venne in mente anche Valentino, agnostico alessan-drino del Secondo secolo, con la sua dottrina che il mondo materiale fosse l'emozione condensata della sophia errante, che si autocreò un universo senza fondersi con nient'altro se non con se stessa. La concrescenza del tormento della sophia, il più basso degli Arconti, nel mondo fisico era un'idea collegata ai nostri sforzi alchemici. La condensazione delle emo-zioni in materia: un argomento da far rizzare i capelli. Il motivo per cui eravamo andati in Amazzonia. L'alchimia era la gnosi della trasformazione della materia. Vi erano indizi da ogni parte: ogni cosa era ricollegata insie-me in un magico intreccio di conferme e mistero.

Durante quel giorno e in quelli a venire, pensieri e idee di tutti i tipi si formarono spontaneamente nella mia testa e vennero a toccare inevitabil-mente quegli argomenti su cui avevamo organizzato la nostra vita in quel luogo. Uno di questi argomenti che avevamo colto al volo e che ampliam-mo, all'inizio lentamente, poi sempre più radicalmente e incisivamente, fu il gruppo di idee e relazioni contenute nell'I-Ching, l'oracolo cinese. Que-sto antico e frammentario commentario, basato su sessantaquattro ideo-grammi ancora più antichi, chiamati esagrammi, fu uno dei miei interessi principali per quel che riguarda le forme di logica non casuali. Venni a co-noscenza dell'I-Ching dapprima leggendo Jung, che ritenne che il con-fronto significativo di un esagramma con una situazione del mondo ester-no, confronto che permette all'I-Ching di essere usato come oracolo, con-duce a una connessione non casuale tra il mondo mentale e la realtà este-riore oggettiva. Jung chiamò questo fenomeno sincronicità.

Per molti anni fu mia abitudine tirare I-Ching, cioè manipolare quaran-tanove steli di achillea oppure, come nel mio caso, stecchi di bambù le cui configurazioni formavano gli esagrammi, tutte le volte che c'era luna pie-na o nuova, e di segnare i risultati su un pezzo di carta che tenevo nella co-pertina sul retro della mia copia del libro. Il primo giorno dopo l'esperi-mento, la voce che risuonava dentro la mia testa mi suggerì di consultare il foglio con le annotazioni degli esagrammi che mi erano usciti. Non potevo

nemmeno lontanamente ipotizzare le conclusioni illuminanti a cui mi avrebbe portato questo semplice gesto. Controllavo le mie annotazioni cercando un esempio di quando mi era uscito il primo dei sessantaquattro esagrammi; una volta trovatolo, ritornavo all'inizio della lista e cercavo il secondo esagramma; e così di seguito, per tutti gli esagrammi. La mia lista conteneva tre anni di tiri: circa ottanta esagrammi e i loro cambiamenti.

Dopo mezz'ora di esercizio giunsi alla conclusione che, come si vedeva dalle mie annotazioni, negli ultimi tre anni mi era uscito ciascuno dei ses-santaquattro esagrammi almeno una volta. Questo fatto un po' strano mi parve al contrario gravido di significati. Il ripetersi statistico di ciascun esagramma non è affatto regolare e la probabilità che uscissero tutti gli esagrammi in così pochi tiri era piuttosto rara. Mi sembrò di essere in pos-sesso di un'identità segreta che stavo riscoprendo. Ero in qualche modo il riflesso di un microcosmo ed ero stato scelto chissà come, per essere esat-tamente nella situazione in cui mi trovavo in quel momento. Naturalmen-te ero molto emozionato per questa mia personale scoperta dei disegni, presenti dappertutto e che rappresentano uno schema preciso de lla vita. Mi tranquillizzai e poi, per la forte spinta dell'onda interiore de lla com-prensione, bruciai tranquillamente le registrazioni del mio I-Ching. Fu un gesto per nulla spontaneo.

Dennis osservò tutto, poi formulò uno dei numerosi indovinelli che avrebbe posto nei giorni successivi. "Cosa puoi fare con un buco nel ba-stoncino che non puoi fare con un bastoncino nel buco?", urlò dalla diste-sa sabbiosa, verso il luogo dov'ero seduto io, vicino al fuoco. Pensavo che la risposta avrebbe comportato una frecciata alle posizioni superficiali del tantrismo riguardo all'idea che una pipa fosse il veicolo più adatto ai viag-gi intradimensionali e che questi si potessero veramente fare.

Dopo circa un'ora o più di lungo silenzio, fenomeno strano data la sua mutata condizione, Dennis alzò lo sguardo dalle sue meditazioni e annun-ciò di aver appena realizzato la possibilità di far suonare qualsiasi telefono concentrandosi semplicemente su di un'immagine che si rifiutò di descri-vere. Ma andò anche oltre, sostenendo di poter far suonare qualsiasi te-lefono anche nel passato. Per dimostrare questa sua capacità compose il numero di nostra madre in un giorno dell'autunno del 1953. La trovò mentre ascoltava una chiamata di un gioco televisivo. Dennis sostenne che nostra madre si rifiutò di credere che lui era al telefono poiché lei poteva vedere, addormentato davanti a sé, il figlio di tre anni. Dennis le disse che l'avrebbe chiamata ancora prima nel tempo e trascorse il resto del pome-

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142 VERE ALLUCINAZIONI

riggio telefonando a tutti quelli che gli venivano in mente in vari momenti del passato, intraprendendo animate conversazioni e ridacchiando con se stesso al pensiero delle menti che aveva fatto impazzire e alle meraviglie di ciò che chiamava "Ma' Bell" [nomignolo per indicare l'AT&T, la principa-le compagnia telefonica degli Stati Uniti, N. d.T.]. E così passò il pomerig-gio del marzo.

Una conclusione ragionevole poteva essere di supporre che Dennis fos-se divenuto schizofrenico per via dell'intossicazione e che avremmo dovuto lasciare l'Amazzonia. Chi intorpidì considerevolmente le acque fui io; ero sostanzialmente sincero tranne che per una cosa: insistetti sul fatto che tut-to fosse normale e che Dennis sapesse esattamente ciò che stava facendo.

"Sta bene," cercai di rassicurare gli altri, "sta facendo ciò che aveva stabilito di fare e ora tutti dovrebbero rilassarsi finché questa storia non finisce".

La pensavo così benché non sapessi nulla sul modo in cui si era corn-portato durante l'esperimento o come ne avesse scoperto la teoria. Sapevo solamente che dal momento iniziale in cui guardammo il fungo, subito dopo l'esperimento, mi stava accadendo qualcosa di veramente bizzarro.

Ero in un posto particolare. Mi sentii come se fossi diventato me stesso. Il mio rapporto con la voce era come quello fra uno studente e un maestro. Mi insegnava Senza limiti di campo, venni a conoscenza di cose che nor-malmente non avrei saputo. Ev aveva eseguito lo stesso esperimento, ma non le successe nulla. I miei amici mi apparvero molto lontani. Non pote-vano capire ciò che stava succedendo e preferirono respingerci. Ciascuno di noi riteneva pazzi gli altri. Infatti, in relazione al proprio normale corn-portamento, ciascuno di noi si comportava in maniera molto strana.

La cosa più importante che mi disse il mio maestro segreto fu: "Non ti preoccupare, non ti preoccupare perché c'è qualche cosa che dovrai capi-re fra poco. Tuo fratello si rimetterà. I tuoi compagni si occuperanno di lui. Non ti preoccupare, ma ascolta: devi trascrivere tutto". Alcune ore dopo l'esperimento, qualcosa cominciò a intromettersi nei miei pensieri, qualcosa che dovevo assolutamente scoprire.

Quella mattina, il 7, Dennis mi sembrò essere tornato sulla terra, ma co-sì poco che era veramente difficile stabilire se avesse fatto o meno dei pro-gressi. Notai con interesse che, benché sembrasse disorientato e le sue idee fossero come sempre selvagge e confuse, c'era stato un qualche migliora-mento. Il giorno prima, sembrava che avesse spaziato attraverso una di-mensione così ampia di spazio e di tempo che era impossibile ricavare qual-

GIOCANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE

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siasi elemento dal magma in ebollizione che stava attraversando. Quel gior-no fu impossibile perfino ritrovare nella sua mente la nostra stessa galassia. Il secondo giorno si svegliò dentro alla galassia e le sue visioni e fantasie vi rimasero rinchiuse. Fosse stato quello l'unico esempio del suo proiettarsi all'indietro dentro se stesso, non avrebbe significato niente, ma il punto era che ciascun passo del suo ritorno a un normale stato mentale veniva corn-piuto in questo modo. Il giorno dopo raggiunse il confine della galassia, en-trò nel sistema solare e si fuse con i suoi pianeti per diversi giorni finché non si incorporò solo con la Terra. Fondendosi e materializzandosi attra-verso l'ecologia del suo mondo, si sentiva l'umanità intera, capace di rivive-re realmente tutta la sua storia. Più tardi ancora s'incarnò in tutti i membri della nostra enorme e strana famiglia irlandese risalendo il tempo a prima che il libro dei Giudici ci desse il libro dei Numeri oppure, come dice Ja-mes Joyce, prima che il Levitico ci consegnasse il Deuteronomio. Erano fi-gure di ogni tipo e lui le impersonificò tutte: minatori, un ecclesiastico del Diciassettesimo secolo che sudava sotto il peso della lussuria, un ampolloso patriarca, una generazione di donne da lla faccia sottile, donne con le spalle larghe come un campo e mani e lingue come macchine futuristiche per ta-gliare le siepi. Dopo aver ciondolato un bel po' in quegli ambienti si dedicò finalmente alla famiglia più prossima a noi e da 11 si diresse a confrontare e risolvere la questione se lui fosse realmente Dennis o Terence. Fortunata-mente alla fine venne a riposarsi con la convinzione che lui era Dennis, tor-nato dai confini dell'universo della mente, rinato e riposato, uno sciamano con la conoscenza pura del mondo. Ma questo completo recupero avvenne solo venti giorni più avanti dal momento in cui camminavamo nel pascolo la mattina del 7 marzo, proprio come avevamo fatto la mattina dopo l'espe-rimento. Passeggiavamo in cima a una piccola radura sulla quale cresce un giovane albero. Ama, la parola witoto che significa "fratello", era uno dei numerosi appellativi che Dennis usava per rivolgersi a me. Mentre cammi-navamo, tenevamo gli occhi aperti in cerca di funghi, come era nostra abi-tudine benché ora l'idea di mangiare funghi fosse ben lontana da noi.

Dennis camminò a grandi passi davanti a me e raggiunse l'albero. Pie-gandosi sulle ginocchia e spostando l'erba a lla base dell'albero, puntò un dito alle lettere ama incavate nella corteccia. Era un'incisione vecchia di anni. Il fatto mi confuse. Come poteva sapere Dennis che lì si trovava quell'incisione e cosa significasse? Rispose alle mie domande stendendo le mani verso l'alba all'orizzonte e annunciando che questo era il pianeta Ve-nere o il mondo archetipo di Venere o qualcosa del genere. Queste asser-

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zioni che andavano completamente contro il buon senso erano molto dif-ficili da condividere e furono come acute pugnalate di disperazione pen-sando al suo stato mentale ma, ciò nonostante, ero sempre più convinto del fatto che stesse migliorando e in procinto di ritornare da quel mondo nascosto, talmente vivo in lui da non fargli vedere null'altro.

Allora provai solleticando l'incontenibile fantasia di mio fratello; mi ri-feci all'idea che la ristrutturazione della personalità distrutta è un proces-so alchemico con un grande significato individuale e storico. Tutte le mat-tine per molti giorni dopo il 5 marzo, avremmo camminato nella radura e io gli avrei domandato "della pietra". Nessuno di noi percepì questi avve-nimenti andare oltre il livello di un normale stato di coscienza. Il mondo sembrava ricolmo di un potere magico ricomponente che mi assicurava che tutto era possibile e che il corso della storia, alla luce di questi avveni-menti, procedeva nella giusta direzione.

"Non essere sorpreso di nulla; stai per ricevere il potere regale del pa-dre," suggerì la tranquilla voce dall'iperspazio, "il mistero della fonte pe-renne e della palma da datteri verrà svelato".

Osservai íl percorso della mia comprensione su ciò che stavamo facen-do, la conoscenza dell'alchimia classica muoversi con grandi cambiamenti che implicavano Gerhard Dorn, Robert Fludd e il conte Michael Maier, nomi associati non solo alla miglior fioritura letteraria de lla mente alche-mica, ma anche alla visione dell'uomo e della natura che morì al nascere della chimica moderna.

Fui infestato dalle loro immagini alchemiche. Il trentaquattresimo em-blema dell'Atlanta Fugiens di Maier in uno stupendo intrigo visivo che connette il cubo di stropharia cubensis con gli UFO, gli ultraoggetti visti nel cielo. Era un'immagine fissa davanti a me in quel periodo. John Dee, con la sua pietra infestata di angeli e l'occulta geometria della sua opera criptica The Hieroglyphic Monad, si mischiò allo stesso gruppo di immagi-ni. Perché? Forse questo circolo di adepti alchimisti riuscì a penetrare il mistero fino a un segreto inimmaginabile dagli scienziati contemporanei?

Diverse immagini si presentarono davanti agli occhi della mia mente: Nicholas Flamel e sua moglie, Pernelle, la loro leggendaria storia d'amore e la fine misteriosa. Mutus Liber ("il libro silenzioso") dipinge una coppia che lavora a una fornace; sembra quasi che stiano seccando funghi. A che livello di conoscenza giunse l'alchimia prima che l'Illuminismo scientifico eliminasse gli adepti e rendesse inutile il loro controllo del linguaggio?

Nella radura, sempre immersa nella nebbia, chiedevo ogni giorno a

Dennis di darmi la pietra filosofale, e questo era un modo sia per spingerlo a ricomporre la sua coscienza, sia qualcosa per focalizzare la sua potenzia-lità di trasferimento che diveniva ogni volta più intensa, tentando di som-mergerci sempre più. Non dormendo, ma rimanendo sveglio costantemen-te, mi trovavo sia nel mondo in cui si svolgevano i fatti a La Chorrera sia nel mondo in cui mio fratello era diventato un miscuglio psicotopologico, un vortice dimensionale dietro al quale sembrava esserci l'eternità, la terra dei morti, tutta la storia umana e gli UFO. Era un mondo sconosciuto, nel qua-le cronache cibernetiche venivano comunicate telepaticamente nelle no-stre menti e che rivelarono che noi e tutta l'umanità stavamo di nuovo di-ventando capaci di viaggiare fra la nostra e le altre dimensioni per ristabili-re i risultati dello sciamanismo escatologico perduto millenni fa. A un certo punto raccolsi un bastoncino e sul pavimento sabbioso della nostra capan-na tracciai il simbolo stenografico per "e". Lo chiamai "e commerciale" [che graficamente si rappresenta così: &, N.d.R.]. Mi sembrò che la sua le-gatura riunita in un angolo di una struttura quaternaria fosse estremamen-te soddisfacente. Cominciai a immaginare questo simbolo come il simbolo della condensazione della pietra alchemica. Mi sembrò il simbolo naturale per un universo a tre dimensioni in qualche modo rinchiuso in una matrice a tre dimensioni. Ne parlai come della "e commerciale" per diversi giorni, poi la chiamai eschaton. Immaginai questa come una unità base del tempo; la combinazione e la risonanza tra il gruppo di escatoni nell'universo deter-minò quale, tra le parole possibili concesse da lla fisica, sarebbe stata in realtà sottoposta a lla formalità degli eventi. "La formalità di ciò che acca-de" era una frase di Whitehead che continuò a echeggiare dentro la mia te-sta come il ritornello di una canzone quasi dimenticata. Immaginai che a lla fine del tempo tutti gli escatoni avrebbero suonato insieme come una sola cosa, e avrebbero creato una trasformazione ontologica de lla realtà, la fine del mondo come una specie di giardino dei piaceri terrestri.*

* Questi erano i primi e confusi pensieri che avrebbero successivamente condotto allo sviluppo della mia teoria del tempo descritta in The Invisible Landscape. Queste prime intuizioni non avanzavano nes-suna rassomiglianza con la teoria finale; e fu un bene perché in quel periodo non sarei stato in grado di comprendere la teoria che avrei sviluppato a lla fine. Ci vollero anni di letture e autoeducazione per ri

-cordare le cose che mi disse la voce interiore. La sua esistenza per lunghi anni, anche dopo La Chorre-ra, fu incredibile. Quel giorno a La Chorrera la voce ebbe un approccio olistico e orientato sistematica-mente alle cose che sembravano in modo chiaro di un altro ordine, in maniera non sufficiente per esse-re allarmanti, ma abbastanza per costringermi a ricordare frequentemente che le idee che stavo produ-cendo venivano completamente organizzate da qualche altra pa rte: non ero altro che un decifratore di messaggi, costretto a rimanere collegato con un difficile codice in entrata.

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VERE ALLUCINAZIONI

A volte mi sembrava di poter comprendere le meccaniche di ciò che ci stava accadendo. Spezzoni di film mezzi dimenticati e stralci di vecchia fantascienza, consumati come pop-corn da bambini, riapparvero come collage per metà incompresi. Momenti clou di vecchie barzellette e sogni obliati si riunivano in spirali di una lenta galassia di memorie e anticipa-zioni interconnesse. Da queste esperienze conclusi che qualsiasi cosa stes-se succedendo riguardasse, in parte, tutte le informazioni che avevamo ac-cumulato, fin dai dettagli più triviali. L'impressione schiacciante era che qualcosa dallo spazio profondo o da un'altra dimensione, ci stesse contat-tando. Avveniva con mezzi particolari che consistevano nell'usare tutti i pensieri nelle nostre menti per guidarci attraverso scenari indotti telepati-camente di immagini stravaganti, o di profonde illuminazioni teoretiche, oppure di estremi viaggi in strani periodi del tempo, dello spazio, del mondo. La fonte di questo contatto ultraterreno era la stropharia cubensis e il nostro esperimento.

Non fu compromessa la nostra intelligenza, bensì l'abilità della ragione di dare una spiegazione coerente di ciò che stava accadendo, come para-dossi, coincidenze e stranezze sincroniche in genere, che cominciarono ad aumentare esponenzialmente. Nel vuoto lasciato dal collasso de lla ragione irruppe una sconcertante schiera di intuizioni esotiche riguardo al perché le cose stessero in quel modo.

Appena dopo colazione, la mattina del 7, il terzo giorno dopo l'esperi-mento, Dennis annunciò un nuovo insegnamento. Disse che si poteva ve-dere qualsiasi punto nel tempo chiudendo gli occhi, visualizzando il nu-mero 8, facendolo roteare in modo da assomigliare più o meno al simbolo matematico dell'infinito, quindi facendo scivolare mentalmente i due cer-chi l'uno sull'altro per formare una circonferenza, contraendo la circonfe-renza fino a renderla un punto e pensando contemporaneamente a lla pa-rola "please" e al punto scelto nello spazio-tempo. Normalmente avrei sa-puto da dove gli venivano queste immagini, ma in quel momento mi sor-prese profondamente. Mi tornò in mente chiaramente che sei settimane prima, poco prima di lasciare Vancouver, andai da un dentista per un nor-male controllo prima dei viaggio. In sala d'attesa, lessi su un giornale vec-chio di alcuni mesi di un'associazione educativa canadese. In quel giorna-le vi era un piccolo articolo riguardo a macchine per l'apprendimento e

GIOCANDO NE] CAMPI DEL SIGNORE 147

bambini, cosa di cui non discussi con nessuno. La figura con cui si apriva quell'articolo era un ragazzo che guardava al televisore la figura di un "8" che si rovesciava e si comprimeva. Sapeva un po' di archeologia dei media il fatto che mio fratello, o qualcosa che operava attraverso mio fratello, fosse capace di recuperare da lla mia mente cose che avevo dimenticato settimane prima. Qualcosa era capace di recuperare e utilizzare i nostri ri-cordi in qualsiasi modo assurdo avesse voluto.

"Adesso possiamo convocarla quella conferenza stampa, fratello?", sentenziò Dennis, dondolandosi ipnoticamente sull'amaca immersa nel-l'ombra.

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14 GUARDANDO DI F,TRO

In cui si raccontano diversi fatti miracolosi fra i quali uno di relativa importanza è l'apparizione di James e Nora Joyce

travestiti da ruspanti.

If

12 maggio 1971 Ho raccolto circa due mesi di osservazioni degli eventi intorno alla no-stra esperienza a La Chorrera, e ho chiaramente riconosciuto che io e mio fratello abbiamo entrambi superato i classici sintomi delle due ca-tegorie generalmente distinte del processo di schizofrenia. Lui sembrò manifestare le caratteristiche di abbandono della schizofrenia classica mentre il mio comportamento fu di un tipo più corporeo e paranoico. Tuttavia, non posso sostenere che il nostro esperimento non fu "altro che" due simultanei casi di schizofrenia. Sapendo perfettamente che una tale posizione comporta che io risenta ancora dei sintomi residui della malattia, sostengo che noi avessimo in realtà a che fare con un fe-nomeno oggettivo che, a causa della natura estremamente peculiare inesorabilmente inscindibile dai processi fisici, ha le sue fonda-

UE MESI DOPO TUTTE QUESTE ESPERIENZE, INTORNO ALLA METÀ DI

maggio del 1971, tentai di ricapitolare gli incidenti particolar-mente bizzarri e pericolosi che potevo ancora ricordare. Qui di

seguito viene riportato quanto scrissi allora, un periodo in cui rifiutavo l'idea che la schizofrenia fosse una parola magica per spiegare tutto ciò che avevamo rischiato:

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GUARDANDO DIETRO 151 150 VERE A.S.1.UCllhi? Z1(>IQ1

menta in un'idea molecolare che stavamo cercando di capire. Come evidenza empirica di questo punto di vista, espongo i punti seguenti, che mi sembrano provare che la nostra esperienza si formò fuori dal dominio di una malattia mentale: • La velocità con cui si svilupparono i sintomi seguenti al nostro espe-rimento: pochi minuti dopo il completamento delle procedure speri-mentali prestabilite, mio fratello si staccò dalla serie di percezioni co-muni e allo stesso tempo io provai una volontaria sospensione d'incre-dulità e cominciai a sperimentare l'unità cibernetica che, come soste-nemmo precedentemente, sarebbe stata una parte dell'effetto che avremmo causato nel caso avessimo avuto successo nel generare una matrice di superconduttore genetico condensato e di prodotto arminico. • Gli aspetti integrati e ricollegabili delle dissociazioni comuni: poi-ché entrambi mostravamo sintomi di schizofrenia, la fantasia, le idee e la consapevolezza che stavamo provando erano condivise da entram-bi simultaneamente. Mentre mio fratello mi riteneva uno sciamano messianico in tutte le manifestazioni, io lo immaginavo come la men-te vedente condensata che tornava attraverso l'universo, un logico ri-sultato del nostro esperimento. Ciascuno di noi due, preso da solo, avrebbe dato un'apparenza d'insoddisfazione; invece, entrambi, sem-bravamo dare una prova elusiva della correttezza della posizione dell'altro. Dovrei aggiungere che, poiché nessun altro poteva capire i peculiare processi mentali di mio fratello, credetti di avere la capacità di discernere con una profonda competenza che sembrava essere loro sconosciuta, ma allo stesso tempo capii che la sua apparente mancanza di integrazione era dovuta al fatto che il suo pensiero procedeva fon-damentalmente a ritroso. Allo stesso modo in cui un film che viene proiettato all'indietro sembra mostrare uno spettacolo di confusione selvaggia e irrazionale, ma alla fine mostra di avere le cose al posto giusto, così le idee e i movimenti fisici di mio fratello mi sembravano esattamente l'opposto di ciò che ci si poteva aspettare logicamente. Sembrava che Dennis credesse che il cervello operasse sul principio di un ologramma. Questa era un'idea espressa da Karl Pribram, un neu-rofisiologo di Standford, che era allora molto di moda nel nostro grup-po. Ciò spiega chiaramente che un'ampia percentuale del cervello fisi-co può essere danneggiata o rimossa senza alcuna conseguenza per la memoria, poiché una porzione dell'ologramma contiene tutte le infor-mazioni inglobate nell'intera totalità originaria da cui proviene. Den-

nis aveva previsto prima dell'esperimento che avrebbe potuto ricevere immagini opposte della mia organizzazione cerebro-mentale per un breve periodo. Ascoltando le sue libere associazioni dopo il cambia-mento, fui certo che questo accadde, ma per molto più tempo di quello che avevamo previsto. Infatti, credo ancora che il nostro unico errore durante tutto l'esperimento e gli avvenimenti seguenti, fu di non esse-re capaci di intuire con il giusto anticipo la durata di tutto il processo. Io credo che la nostra comprensione delle meccaniche del processo, al di là della sua durata, fu corretta, anche se incompleta. Il punto cru-ciale di questo argomento, in altre parole, è il tempo. In quel periodo le libere associazioni di mio fratello riguardavano incidenti che mi ca-pitarono più di un anno prima e a più di diecimila chilometri da dove viveva allora, incidenti di cui non avevo parlato con nessuno.

Sembrava che Dennis possedesse la capacità di ascoltare la mia mente lavorare durante il periodo immediatamente seguente all'esperimento. Narrai ciò ricordando un avvenimento che capitò quando ero seduto fuori dalla capanna, nella giungla, ad ascoltare le sue libere associazioni mentali, avendo poco prima notato che i suoi muscoli erano quasi completamente rigidi, e che sprigionavano un enorme quantitativo di energia fisica parago-nabile a certi tipi di schizofrenia. Mi preoccupai poiché avrebbe potuto, in futuro, sottrarsi ai miei tentativi di impedirgli di allontanarsi, archetipo che lo motivava continuamente a tentare di abbandonare i dintorni della zona dove risiedevamo. Mi venne in mente che con una tale forza mi avrebbe fa-cilmente potuto ferire e sarebbe riuscito perfino a scappare. Mentre rimu-ginavo per la prima volta sopra questi possibili contrattempi, notai che Dennis scese dalla sua amaca e si mise sulla porta della capanna; e, con una perfetta imitazione della voce di nostro padre, mi consolò con questo pen-siero: "Dennis è un bravo ragazzo e non farebbe mai una cosa del genere".

Un altro incidente si verificò sette giorni dopo il cambiamento, il 12 marzo. Dennis annunciò che alle undici quella sera "la buona merda sa-rebbe apparsa". Questo era un riferimento a un certo tipo di hascish ar-ricchito con psílocibina che Dennis disse di aver trovato alcuni mesi pri-ma negli Stati Uniti, ma che sarebbe stato impossibile trovare in Amazzo-nia. Questa predizione di una trasmutazione di materia non è così strana se si prendono in considerazione i principi alchemici che ci spinsero in questo esperimento. Dopotutto, abbiamo letto e discusso dei principi al-chemici fin da quando, a quattordici anni, scoprii Psicologia e Alchimia di

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VERE AL1LUCIINAZIION1

Jung. In quel periodo ci parve che con la proiezione del fantasma dell'in-conscio sulla materia, gli alchimisti stessero raggiungendo un certo tipo di illuminazione psichedelica. E, dopotutto, non è forse nella fede alche-mica la convinzione che il mondo è fatto di linguaggio? Che la poesia possa in qualche modo essere considerata l'arbitro dell'essere autentico?

Dopo la conversazione, io ed Ev ritornammo, attraverso l'oscurità pio-vigginosa, alla casa della foresta per passarvi la notte e Dennis restò a lla casa vicino al fiume con Vanessa e Dave, dove si era trasferito. Come era nostra abitudine, fumammo un po' della nostra Santa Marta Gold prima di andare a letto. Durante questa operazione, un piccolo frammento che ancora bruciava, cadde da lla pipa. Come lo raccolsi per rimetterlo nella pipa, notai il caratteristico odore dell'hascish asiatico. Esaminai il serba-toio della pipa molto attentamente e, benché non fosse avvenuto nessun cambiamento fisico nella mistura, era ora pieno, per la gioia mia e della scettica Ev, di hascish, un lusso sconosciuto per l'Amazzonia nel 1971.

Questo fenomeno continuò per circa cinque minuti e poi iniziò lenta-mente a diminuire, ritornando al solito razionale comportamento della materia. Bisogna rammaricarsi per il fatto che questa trasmutazione av-venne con una sostanza per cui qualsiasi scettico avrebbe dato sicuramen-te libero sfogo alla propria disapprovazione. Siamo tutti molto familiari con le facili considerazioni stile: "i fumatori di droga non riescono a pen-sare razionalmente", ma per chiunque abbia familiarità con queste due sostanze, la differenza è inequivocabile. Questa esperienza presenta dei punti in comune con il movimento "Nijuli" presso il popolo Lawangan del Borneo, che negli anni Venti diffuse idee concernenti la credenza che un pezzo di resina si fosse improvvisamente allungato sotto l'influenza di un flauto suonato lì vicino e che l'allungarsi de lla resina avesse presagito l'immortalità umana.

Ugualmente assurdo e ancor più inesplicabile fu un episodio che ca-pitò la mattina del quinto giorno, il 9 marzo. Dennis era seduto e dava di testa, mentre la normale vita del campo gli si svolgeva intorno. Io ero se-duto vicino al fuoco ad affilare un coltello. Ascoltavo mentre Dennis va-neggiava, passando in rassegna le sue sconnessioni in cerca di un indizio per un messaggio. Improvvisamente interruppi il mio lavoro.

"Sei tu il mio sarto?", mi domandò con un forte accento inglese. In qualche modo mi sembrò un'espressione familiare. "Tutti questi riflessi, vedi, sono io. Uh, ma dov'è il mio sarto? Stupi-

dotto, guardati, guardati, perché indossi le mie mutandine?"

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Ebbi un sussulto. Abbassai gli occhi e non dissi nulla. Mi sentii estre-mamente frastornato. Dennis stava imitando una conversazione che ebbi con la mia amica inglese in Nepal, durante il nostro trip di LSD e DMT più di un anno prima! Questa assurda conversazione, di cui non avevo di-scusso con nessuno se non con lei, scoppiò fuori da lla limpida voce di mio fratello nello spazio amazzonico.

Non era di sicuro questo il tipo di situazione nella quale mi sarei sentito di esaltare il potere telepatico di mio fratello. Non dissi nulla e attesi, imba-razzato, che il suo vaneggiare scivolasse nell'incoerenza. Ma fui impressio-nato e convinto del fatto che lui fosse in qualche modo penetrato non solo nei miei pensieri immediati, ma anche nelle mie memorie personali.

Molto importante, fra i vari fattori che portavano a credere che si trat-tasse di qualcosa di diverso da un semplice caso di schizofrenia simulta-nea, era la sorprendente durata del modello che avevamo creato dalla pre-cisa osservazione degli eventi accaduti. Nessuno può negare che la teoria della natura iperspaziale degli stati della droga allucinogena e l'esperi-mento successivo, avessero prodotto risultati spettacolari. Ma io ho rac-colto i frutti della rivelazione visionaria e li ho portati oltre, scomponen-doli, per scoprire una teoria sulla natura del tempo e l'eleganza delle sue particelle ondulatorie. Abbastanza inaspettatamente, ciò che propongo basandomi su que lle esperienze iniziali, consiste in una revisione de lla de-scrizione matematica del tempo usata in fisica. Secondo questa teoria, la vecchia nozione di tempo inteso come durata, visualizzato come un piano sottile o una retta, deve essere sostituita con l'idea che il tempo è un feno-meno frattale molto complesso, con su e giù di diverse dimensioni sopra il quale l'universo probabilistico del divenire deve scorrere come l'acqua so-pra a un letto di fiume fatto di ciotoli sparpagliati.

Scoprii la dimensione frattale del tempo stesso, una costante matema-tica che rimpiazza la teoria delle probabilità con un insieme di vincoli complesso ed elegante, per la verità quasi magico, sulla manifestazione delle novità.

Dopo la prima esperienza con i funghi, io e Dennis ci interessammo a due concetti in particolare. Questi riguardavano l'insegnante" e l'insetto. Potevamo sentire la presenza superiore di alcune entità invisibili e intelli-genti che sembrava ci osservassero e a volte esercitavano una forza che ci

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spingeva delicatamente verso una svolta. A causa della bizzarra natura dei flash del DMT con la loro apparente abitudine a enfatizzare su alieni, in-setti e situazioni interstellari, fummo spinti a credere che questo insegnan-te fosse una specie di antropologo-diplomatico, venuto a consegnarci le chiavi della cittadinanza galattica. Discutemmo di questa entità come di un insetto gigante e, attraverso il ronzio della giungla amazzonica, a mez-zogiorno, fummo in grado di sentire un suono profondamente armonico, era il segnale che ci collegava con l'entità nell'iperspazio.

Questa percezione della presenza di una terza componente aliena fu ve-ramente intensa, soprattutto dal 5 marzo fino al 10; dopo cominciò a spari-re gradatamente. L'immagine di un insegnante-insetto suscitò numerose speculazioni entomologiche. Pensammo in quel momento che il processo in cui eravamo coinvolti fosse simile al parto, ma anche qualcosa di molto simile alle metamorfosi che caratterizzano il ciclo vitale degli insetti, so-prattutto scarafaggi, bachi e farfalle. "Sapevamo" che la triptammina co-stituiva in qualche modo la risposta più credibile per la soluzione al miste-ro degli enzimi che circondano il processo di metamorfosi. Ricordammo certe notizie incontrollate riguardo a lla larva di una specie di scarafaggio mangiata dagli indiani del Brasile orientale per i suoi effetti allucinogeni.

La rifrazione della luce che avviene in fenomeni naturali, come negli arcobaleni, sulle piume di pavone e in alcuni insetti, e i colori che ap-paiono sulla superficie di certi metalli quando vengono riscaldati, sono fenomeni naturali a un particolare stadio del processo alchemico. La cauda pavonis (la coda del pavone) è un breve stadio che annuncia l' albe-do finale; con un'intuizione esotica io "sapevo" che la presenza di una ta-le iridescenza in natura indicava la presenza di un composto derivato dalla triptammina. Andando oltre, io "sapevo" che la specie della farfalla americana morphoea, caratterizzata da una estesa superficie alare rico-perta solitamente da un blu brillante iridescente, sarebbe stata la classe ideale sulla quale condurre le ricerche per illuminare questo campo an-cora inesplorato.

"Sapevo" che gli enzimi attivi nelle metamorfosi degli insetti ricevono un'accordatura e un controllo molecolare attraverso la risonanza indotta da una "strimpellata armonica" di quegli insetti boschivi che hanno nei loro corpi la triptammina psicoattiva. La triptammina agisce per loro co-me un ricevitore del segnale della risonanza dello spin elettronico del DNA collettivo, esattamente come fece con noi nell'esperimento. Il se-gnale sta in qualche modo trattenendo l'intera classe insecta posizionata in

un punto di stabile equilibrio nel flusso evolutivo. Questa originale rifles-sione spiega la notevole durata dell'adattabilità degli insetti che, è vero, stabilì le sue strategie evolutive di base alcune centinaia di milioni di anni fa. Questo intuito naturale, così improbabile, mi era stato fornito in ma-niera molto informale da lla voce presente nella mia mente.

Durante questo periodo, un'iridescente lucentezza scura proveniente dai funghi mi aveva colpito in modo particolare. Questo effetto si verifi-cava quando la stropharia cubensis cresceva raggruppata e quando i fun-ghi più grandi diffondevano le spore sulle cappelle dei compagni più pic-coli. Una cosa abbastanza curiosa fu che questa lucentezza scuro-metalli-ca era presente chiaramente sulla corazza di uno scarafaggio di notevoli dimensioni e che emette stridii, apparentemente alla famiglia dei bupre-stidae, che avevo catturato nella foresta nel caldo pomeriggio. È risaputo che questo materiale chitinoso che forma la copertura esterna degli inset-ti e delle spore è uno dei materiali con più alta densità molecolare cono-sciuto in natura organica ed è, in questa sua proprietà, molto simile al metallo. L'insegnante interiore mi consigliò di analizzare questa specie, ricercando la presenza di triptammina psicoattiva. Se ne avessi trovato traccia, avrebbe trovato conferma anche l'idea che certe specie responsa-bili del ronzio della foresta contengono triptamminici. I triptamminici sono l'antenna di un sistema bioelettronico che permette agli insetti di regolarsi con l'armina presente nelle liane banisteropsis locali e, attraver-so loro, di sintonizzarsi con la rete collettiva del DNA. Supposi che se un gruppo di queste specie avessero cominciato a emettere stridii , allora an-che altre specie stridenti avrebbero potuto sintonizzarsi sul medesimo se-gnale molecolare, semplicemente amplificandolo e sostenendolo attra-verso la foresta per alcune ore tutti i giorni. Le reazioni chimiche guidate acusticamente sono ben note; mi ritenni sicuro che alcuni processi di vita della famiglia degli insecta deve essere regolata acusticamente da alcune specie in questo modo.

Queste idee bizzarre e fuori dal comune si andavano dischiudendo so-pra questi lunghi e caldi giorni, mentre Dennis stava sdraiato, confinato sulla sua amaca e io ero accovacciato per terra lì vicino. Tre o quattro gior-ni dopo l'esperimento, avevo imparato abbastanza sul linguaggio simboli-co nuovo e particolare che usava lui, a tal punto da sentirmi sempre più

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convinto che attraverso esso avrei potuto osservare Dennis raggiungere, gradatamente, ma con costante progresso, il ritorno alla normalità. Spesso, allora, lunghi silenzi si inserivano fra i momenti di pazzia, ed entrambi sci-volavano nelle nostre personali fantasticherie. Diverse volte, in queste oc-casioni, guardavo in basso e notavo con uno strano brivido che le mie dita erano inconsciamente impegnate a raccogliere piccoli ramoscelli in pile, come se questi dovessero essere usati per dei fuochi in miniatura. Questa inconscia attività compiuta con molto impegno dalle mie dita mi parve straordinaria: allora la interpretai come un letterale traboccamento delle energie organizzative di cui ero stato riempito da una fonte sconosciuta, la stessa sorgente che mi stava rifornendo di energia che mi permetteva di an-dare avanti senza dormire.

A volte Dennis mi interrompeva per chiedere a me o a Ev di fumare una sigaretta per lui. Le sue risposte alle nostre domande rivelarono che lui riteneva che nell'iperspazio la topologia di tutti i corpi umani è conti-nua e quindi poteva tranquillamente assorbire ciò di cui aveva bisogno di-rettamente dai nostri corpi. Per cinque giorni la vita trascorse in questo modo, un sogno a occhi aperti di un'uccisione causata da un palindromo e da un gioco di parole. Lanciammo incredibilmente nel "mondo reale" circostante alcune onde di interazione. Nessuno si fermò a osservare noi o il nostro campo; era come se fossimo divenuti invisibili. La mattina del 10 marzo tutto cambiò.

Per cinque giorni non mi ero praticamente mosso da lla capanna e dal piccolo sentiero che lo separava dal limite del pascolo; dopo colazione in quel giorno perfetto, scambiai quattro chiacchiere con Dennis e lo trovai calmo e lucido come non lo era stato mai dal momento dell'esperimento. Feci l'irrimediabile errore di considerare tranquilla la situazione. Scivolai via con Ev e la rete per le farfalle e m'incamminai per una lunga e rilassata passeggiata nel profondo della giungla.

Il sentiero era pulito, di sabbia bianca, a volte profonda alcuni centi-metri, morbida e invitante. Non avevamo ancora percorso cinquecento metri che l'interesse per i lepidotteri venne eclissato da lla lussuria. Il ri-schio di essere scoperti da qualcuno accresceva i nostri fremiti. Gettam-mo le precauzioni al vento e presto fummo persi l'uno nell'altro. Era pia-cevole in quello scenario verdeggiante farsi largo tra le arruffate e scivolo-se ricchezze del sesso di Ev e infilarle. Pensai: "Fallo per Vladimir!", in-fatti nell'invidiabile mente di Nabokov lussuria verdeggiante e farfalle erano sempre accoppiate.

Eravamo stati via appena per quaranta minuti, ma tornati a lla capanna trovammo un senso di abbandono e di vuoto struggente.

Non mi preoccupai più di tanto del fatto che Dennis potesse avventu-rarsi nella foresta e perdersi. Ero convinto che qualsiasi fosse il suo stato mentale, non si sarebbe spinto a tal punto. Ciò che temevo era che avreb-be potuto attirare l'attenzione di qualcun altro su di noi e sui concetti estremi che stavamo studiando.

Lasciata Ev al campo, in caso Dennis fosse ritornato, corsi al pascolo e, attraversandolo, raggiunsi la missione, facendo la strada più lunga. Men-tre correvo mi dissi che probabilmente era andato a trovare Dave e Vanes-sa e che l'avreji trovato lì. Ero troppo preoccupato per accorgermi che le campane della missione, solitamente silenziose, eccetto le domenica, sta-vano suonando a distesa da qualche tempo. Appena arrivai sull'altura da dove potevo vedere chiaramente le case vicino al fiume e il lago sotto al chorro, vidi Vanessa condurre Dennis verso casa sua. Sentii, come li rag-giunsi, che la situazione era più preoccupante di quanto immaginavo.

Vanessa era arrabbiata e aveva preso in pugno la situazione portando-selo a casa. Sembrava che Dennis avesse abbandonato la sua amaca non appena io ed Ev fummo fuori tiro. Era andato dritto alla missione, e indi-viduata la corda giusta per suonare la campana che chiama la gente a rac-colta per la messa, l'aveva suonata violentemente finché il prete non aveva trovato Vanessa e Dave i quali avevano convinto Dennis a desistere in ma-niera non molto gentile. Grazie a ciò, la notizia già in circolazione che un membro della nostra spedizione era andato un po' fuori di testa fu resa più consistente da questo pubblico gesto improvviso e oltraggioso. Il deli-cato equilibrio politico che avevo stabilito per consentirmi di decidere su come andasse trattato Dennis, venne meno. Venne approvata l'idea di Va-nessa che Dennis dovesse essere trasferito a lla casa vicino al fiume; questa posizione fu sostenuta anche dal prete e, come mi fecero sapere più tardi, dalla polizia. Venendo assicurato dalla voce interiore che la preoccupazio-ne era fuori luogo e accondiscendendo sul fatto che avevo perso comple-tamente il controllo de lla situazione, approvai tutti i consigli.

Vanessa aveva delle novità. Stava arrivando un aeroplano. Non veniva a prenderci, ma ci avrebbe impedito di cominciare la nostra ritirata, per-ché avrebbe consentito a uno di noi di ricevere un passaggio sopra un centinaio di chilometri di giungla fino a San Raphael, dove avevamo na-scosto parte del nostro equipaggiamento prima di metterci in marcia per La Chorrera. Questa era l'unica opportunità di volo per raggiungere i

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rifornimenti e Vanessa insistette che avremmo dovuto cogliere l'occasio-ne, piuttosto che tornarci a piedi. Ero d'accordo su tutto. Ritenni che la fine del millennio avrebbe presto ovviato a tutti questi comportamenti "mondani", ma è certo che lasciai agli altri la possibilità di scoprirlo da

soli, nel momento in cui sarebbero entrati nella più profonda dimensio-ne del futuro.

Dave si offrì di salire sull'aereo e la decisione fu presa quasi nel mo-mento stesso in cui fu data la notizia. Avrebbe raggiunto le nostre scorte e si sarebbe occupato da solo di trovare un passaggio lungo il Rio Putu-mayo, fino a Bogotà. Lo avremmo incontrato laggiù quando e se avessi-mo trovato dei mezzi, cosa che al momento non era ancora ben chiara. Il bagaglio fu preparato in fretta. L'aereo arrivò scivolando giù, e subito se ne andò. Con un'improvvisa paura ci accorgemmo di essere rimasti in quattro.

Dennis fu trasferito alla casa vicino al fiume, Vanessa ed Ev diventaro-no le sue infermiere. Io preferii rimanere nella giungla per evitare la con-fusione. Il dibattito concernente il miglioramento del suo delirio andava avanti: stava procedendo verso un miglioramento o stava semplicemente spingendosi più a fondo nel mondo nel quale si era perso? Avendo abitato a Berkeley, tutti qu anti avevamo avuto esperienza con casi di persone in acido; lo stato di Dennis paragonato a quei casi non era per niente rassicu-rante. Lo spostamento di Dennis al fiume fu un punto di svolta, da quel momento gli effetti sguinzagliati dal fenomeno furono meno presenti nel-le nostre menti, e più nel mondo reale.

Nonostante tutto, anche dopo il suo spostamento, io e Dennis stavamo ancora cercando l'oggetto a forma di lente. Ciò che mi aveva detto la voce maestra alcuni giorni dopo l'esperimento fu: "L'hai quasi trovato, ma non completamente". Oppure usò la metafora della condensazione: "Si sta condensando". Era una perfetta metafora alchemica. La pietra è ovunque. La pietra è qui.

Dennis era solito dire: "Posso vedere la pietra. È a duecentocinquanta passi sulla destra; è giù, vicino allo stagno, sospesa sopra l'acqua". Io gli chiedevo tutti i giorni di dirmi qualcosa della pietra, e tutti i giorni l' idro-lite della conoscenza, conosciuta anche come la panacea universale, era sempre più vicina. Vi erano tempeste pazzesche piene di lampi. Lenta-mente notai che il fenomeno atmosferico si concentrò verso Sud-Est. Ini-ziai a osservare verso quella direzione e ogni volta che lo facevo vedevo degli arcobaleni.

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Le nostre intuizioni su quanto stesse succedendo spaziavano da quelle profondamente religiose a que lle completamente assurde. Il pomeriggio del 12 marzo, Dennis fu capace per due ore, per quanto critticamente, di rispondere alle domande che gli ponevamo su come gli apparissero gli av-venimenti. Questa conversazione si verificò in una casa lungo il fiume di fianco alla quale si trovavano un bel ga llo e la sua compagna. Era forse il gallo che aveva schiamazzato più forte di tutti, il giorno dell'esperimento e, nuovamente, due giorni dopo. Vi era una disinvolta vigilanza su questo gallo e sulla gallina, che già in precedenza erano stati oggetto di commenti da parte nostra. Quel pomeriggio particolare, Dennis richiamò la nostra attenzione sulla gallinella dicendo che se si fosse pensato a essa come a un'opera d'arte, allora il risultato da lei raggiunto sarebbe stato immenso. Chi avrebbe potuto generare una simile gallina? Solamente colui che ave-va potuto immaginare il mondo particolare in cui eravamo finiti. E costui chi era? Si guardò intorno aspettando una risposta, ma non trovandone esplose da solo: "James Joyce!"

Per i minuti seguenti andò avanti spiegano la sua teoria: Finnegans Wake rappresentava il più completo livello di comprensione mai raggiun-to riguardo alla relazione della mente umana con lo spazio e il tempo e, per questo motivo, Joyce, alla sua morte, fu in qualche modo caricato del-le responsabilità di aver visto quest'angolo dell'universo di Dio. Con ciò Dennis stava solamente rifacendosi a Wyndham Lewis, che creò l'ascesa di Joyce al culmine dell'aldilà nella sua novella The Human Age.

"Jim e Nora", così Dennis chiamò le due nuove divinità appena rivela-te, entrambe agivano ed erano coinvolte in tutto quello che succedeva a La Chorrera, specialmente nelle cose che Joyce aveva amato. La piccola gallina come il simbolo di Anna Livia Plurabelle del Wake era una di que-ste cose. Ciò che veniva irradiato da ogni cosa nella giungla paradisiaca era spirito joyciano. Queste idee erano assurde ma illuminanti e mi spinse-ro a rileggere Joyce e a considerarlo come uno dei pionieri nel tracciare una mappa dell'iperspazio. Comunque, in quel momento, non gettarono molta luce sulla nostra situazione.

Dalla visione del mondo come letteratura, Dennis passò oltre. Mi ri-cordò che una delle nostre analogie alchemiche riguardo alla pietra filoso-fale, che avevamo in comune da bambini come codice per le associazioni di idee, era rappresentata da una certa piccola chiave d'argento che apriva una scatola di legno lavorato con un compartimento segreto che apparte-neva a nostro nonno. Io gli dissi che la chiave era stata perduta fin da lla

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VERE ALLUCINAZIONI

nostra infanzia e che l'abilità di riprodurre quella chiave in quel momento avrebbe provato i poteri sciamanici di Dennis e la sua capacità di trascen-dere lo spazio-tempo. Questa conversazione si trasformò in una formula di domanda-risposta che terminò quando Dennis mi chiese di tendere avanti la mano, di stringervi la sua mano chiusa. Poi lanciò un forte e ridi-colo urlo e depositò nel mio palmo una piccola chiave d'argento.

Fui strabiliato. Eravamo a migliaia di chilometri da qualsiasi posto. Lui era praticamente nudo, ma la chiave che avevo in mano era senza dubbio la stessa della mia infanzia. Aveva conservato quella chiave per tutti quegli anni per mostrarla ora, nel mezzo dell'Amazzonia, per distor-cere la mia comprensione della realtà? Oppure questa era semplicemente una chiave simile che Dennis aveva portato con sé quando era arrivato in Sud America, ma che io non notai finché non me la mostrò? Questo mi sembrò improbabile. Lui era confinato in una stanza, lontano dal nostro equipaggiamento, ed era difficile convincersi che lui si fosse calmato e organizzato al punto tale da raggiungere il bagaglio e trovare la chiave se-greta. Inoltre ero stato io a chiedergli della chiave: mi aveva forse imbro-gliato costringendomi a chiedergli proprio di quell'oggetto che aveva portato con sé, per mandarmi in confusione? La questione della chiave d'argento, che fosse quella originale oppure no, non fu mai risolta chiara-mente. La scatola di legno era andata perduta tempo prima, per cui la chiave non poté mai essere provata. Una nota ironica finale viene aggiun-ta all'episodio: Dennis e io siamo entrambi amanti delle storie di H.P. Lovecraft e conosciamo il suo racconto Through the gates of the silver key, una storia che tratta di diverse dimensioni, strani avvenimenti, una scala del tempo cosmico e di noncuranti e stravaganti avventurieri come noi due.

Dopo che Dennis fu trasferito alla casa lungo il fiume, non c'era più bi-sogno delle mie veglie notturne. Ma la mancanza di bisogno di dormire prevalse. Aspettavo con ansia il momento in cui tutti si coricavano la notte per avere davanti a me pensieri appaganti e silenziosi. Come lo spirito del-la volpe nell'I-Ching che erra eternamente sopra la brillante prateria not-turna, io vagabondavo nei pascoli e lungo i sentieri intorno a La Chorrera. Alcune volte mi sedetti di fianco all'albero su cui era inciso ama per ore intere, guardando mandala del tempo e dello spazio girare e avvolgersi in-torno a me. In quel periodo camminavo a lunghi passi, quasi saltellando, avanti e indietro, fissando tutte le stelle colorate. Spontaneamente, quel qualcosa che condivideva la mia mente strutturò le costellazioni e mi mo-

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strò l'enorme apparato zodiacale che deve aver colpito gli antichi con la medesima forza suggestiva.

Mi immersi in milioni di immagini di persone in tutti i tempi e in tutti i luoghi, comprendendo o lottando con gli insolubili enigmi dell'essere e del destino umano. Fu durante queste meravigliose notti violacee di stelle, che mi sentii vicino alla comprensione del mistero tripartito della pietra fi-losofale, dell'altra dimensione e dell'anima umana. C'è qualche cosa di umano che trascende l'individuale, la vita e la morte allo stesso modo. Possiede desiderio, motivazione e un potere enorme. E ora è con noi.

Ritengo che in certe condizioni, il manipolatore della coscienza si muo-ve nel mondo in una dimensione fuori dal corpo. Allora il mondo obbedi-sce al volere della consapevolezza a un grado in cui l'inerzia delle leggi fisi-che preesistenziali possono essere infrante. L'inerzia è sopraffatta dalla consapevolezza che determina il verificarsi di eventi microfisici, normal-mente casuali. Col passare del tempo la deviazione dei microeventi dalla casualità è cumulativa in modo che gli effetti di questa deviazione possano anche sconvolgere il corso degli eventi in più grandi sistemi fisici. Appa-rentemente, quando si vuole che i desideri si avverino, la pazienza è tutto.

È questa solamente una fantasia, un uomo cresciuto che cerca di spie-garsi come si possano avverare i desideri? Io non lo credo. Io l'ho vissuto e so che più tempo la consapevolezza impiega a fare sentire i propri effetti, vi sono più probabilità che l'evento desiderato si verifichi. È come un pensie-ro sottile spinto verso un finale necessario, che completa una serie di pic-cole deviazioni che portano a una situazione irrazionale e antientropica, cioè un desiderio che si avvera. Confesso che la voglia di far avverare i desi-deri per me è sempre stata una forza trainante. Posso ancora ricordarmi in braccio a mia madre che cullandomi mi sussurrava l'antica filastrocca: "Se i desideri fossero stati dei cavalli, i mendicanti sarebbero stati dei fantini". Potevo ripeterla ancora prima di averne capito il significato. Infatti sto an-cora cercando di capirla.

Ora questo mi sembra il modo in cui la consapevolezza lavora dentro al cervello, dove la materia e l'energia si trovano in uno stato più incondi-zionato e dinamico di qualsiasi altro posto in natura. È facile per la co-scienza dirigere il flusso elettrico nel sistema nervoso centrale, benché non sappiamo come ciò avvenga; è meno facile per lei muovere, non gli elet-troni, ma l'intero sistema atomico molto lontano nello spazio e nel tempo. Ciò spiega perché è facile formulare un pensiero, ma è molto più difficile che un desiderio si avveri.

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Io considerai queste cose durante la lunga notte stellata a La Chorrera, quando il più profondo mistero dell'essere sembrava stesse per conceder-si a me. L'oro alchemico scorreva sempre attraverso le mie dita; ero certo che se fossi stato in grado di fonderlo con la speranza e l'immaginazione, non sarebbe scomparso.

Scoprii che esiste un'interfase fra consapevolezza attiva nel mondo e consapevolezza attiva nel sistema nervoso centrale, il cui intermediario è il corpo. L'interfase è il linguaggio. Per usare il linguaggio, la coscienza informa il cervello che informa il corpo di impartire coerenza al confuso movimento delle molecole d'aria vicine, ma al di fuori del corpo. Questa incoerenza è supplita dalla coscienza in forma di parola. Nessuna de lle leggi fisiche che regolano le molecole dell'aria è stata violata, poiché íl mo-dello coerente della struttura delle molecole è dovuta a un input di ener-gia: un input di energia la cui riuscita fu iniziata da un atto di desiderio co-sciente. Il desiderio non è uno strumento nella cassetta degli attrezzi della spiegazione scientifica.

Il linguaggio viene visto allora come una specie di abilità parapsicolo-gica poiché causa fenomeni a distanza e di telecinesi, anche se attraverso la voce. Forse sotto l'influenza della psilocibina un'immensa energizzazio-ne del desiderio potrebbe essere vocalmente trasdotta nel mondo e qui far di più che imprimere un segnale nel movimento disordinato de lle moleco-le dell'aria. Forse invece, una parola, tenuta in vista, può essere trasporta-ta e apparire attraverso opportuni cambiamenti di rifrazione nelle mole-cole dell'aria vicine .

Discorsi normali a volte influenzano l'indice di rifrazione dell'aria di fronte alla bocca di colui che parla. Visto di profilo, a volte, colui che par-la, sembra che stia generando un flusso d'aria di fronte a lla bocca che è come il movimento ondulatorio di un miraggio sopra l'asfalto caldo. For-se questa potrebbe essere un'indicazione di un potenziale nascosto del di-scorso, per poter andare oltre la sua normale funzione di simbolizzare la realtà e di darle veramente un significato. Un logos molto più vicino alla perfezione dovrebbe esserne il risultato, un logos capace di regolare l'atti-vità dell'ego come somma totale di tutti gli io vissuti in qualunque tempo. È come un dio; un dio umano. È qualche cosa che accadrà nel destino umano nel futuro e poiché comunque dovrà accadere, sta accadendo ora. Tutto viene annunciato. L'idea ontologica delle dimensioni superiori nelle quali l'umanità viene propulsa, viene anticipata da quel fenomeno singo-lare che noi chiamiamo la fantastica altra dimensione o l'alieno. L'alieno ci

sta insegnando qualcosa attraverso la sua struttura: ci sta preparando ad affrontare quell'elemento divino che le nostre esplorazioni nella natura della vita e della materia stanno per rivelare.

Questo era ciò di cui si discuteva nella nostra tranquilla banda di av-venturieri. Quanto mi pareva lontano il nostro arrivo a La Chorrera!

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15 UN DISCO VOLANT H, PIENO

DI S.KGRETI*

In cui si organizza la nostra partenza, io incontro un disco volante e le teorie nascono come funghi,

non appena torniamo a Berkeley.

4 11 MARZO C'ERA LA LUNA PIENA. ERA TRASCORSO DEL TEMPO SENZA A

infortuni dopo l'avventura di Dennis e della campana de lla mis- sione; ciò mi permise di fare il punto della situazione. Rimasi

estasiato, certo che tutto andasse per il meglio, sicuro che qualche risulta-to definitivo stesse ormai per essere raggiunto.

Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, Ev lasciò la casa lungo il fiume per vedermi. Mi propose di tornare al fiume e di cenare tutti insieme. Mo-strò la sua preoccupazione per quanto stava accadendo... Non c'era dub-bio che ciò che era capitato ci stesse spingendo al limite di ciò che avrem-mo potuto sopportare senza ribellarci Mentre ritornavamo attraverso il pascolo, l'atmosfera sembrava essere molto più viva e attiva del solito, con nuvole gravide e nebbia vagante. Ev si diresse verso Sud-Est, dove un am-masso nuvoloso nero e pesante stava immobile e puntato verso grandi al-

* Il titolo di questo capitolo è un gioco di parole in cui viene evocato il magico album dei Pink Floyd A Saucerful of Secrets (un piattino di segreti; qui è A Saucer Full of Secrets, cioè un disco vo lante colmo di segreti, N.d.R.). L'album è un'opera seminale de lla psichedelia, il primo dopo la dipartita di Syd Barrett, ed è datato 1968. La copertina (opera del gruppo Hipgnosis, raffigurante degli alchimisti, il

Dr. Strange e fasi planetarie tra sbrodolature di colori) più la musica (fatta di tastiere fuori fase, biz-zarri effetti sonori e un battito ipnotico di batteria), fanno di A Saucerful of Secrets un perfetto concen-trato del suono mistico e misterioso dei primi Pink Floyd.

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tezze. Lo guardammo per un momento e lui si mutò in una vasta nuvola a forma di fungo, il fungo che si sprigiona dopo l'esplosione de lla bomba atomica. L'impressione fu estremamente profonda, Ev mi ricordò le parole di Dennis riguardo alla stropharia cubensis. Lui aveva detto che era il fungo della fine della storia. Per lui, la forma de lla nuvola atomica era un enigma fisico e biologico riguardo al potere di trasformazione della stropharia e al-la sua eruzione nella storia umana.

Mentre osservavamo, improvvisamente Ev ebbe un sussulto. Da lla base della nuvola emerse qualcosa che sembrava una colonna di luce. La colonna era come sospesa, non era un semplice rotolo di fulmini. Era difficile crede-re che potesse essere un raggio di sole, poiché era tardo pomeriggio e il sole si trovava a Ovest, mentre la nuvola si trovava a Sud-Est. La guardammo forse per un minuto. Poi, di colpo, scomparve. Ev era piuttosto scossa. Mol-to di più della visione del fiume gelato, questo avvenimento era di un ordine empirico assai diverso da tutto quello che le era capitato a La Chorrera.

Giungendo al campo sulla riva del fiume, apprendemmo che Vanessa era stata su a lla missione con Padre José Maria a parlare a lla radio con il pi-lota che ci aveva portato via Dave. Il pilota era disposto a seguire il propo-sito di Vanessa e a considerarci a un "basso grado di emergenza". Promise che sarebbe tornato dopo alcuni giorni per portarci via. Da parte mia non ero soddisfatto di questi piani. Sapevo che noi, gli stranieri gringo, avrem-mo perso la faccia con la popolazione locale quando si fosse sparsa la noti-zia della nostra partenza via aerea. Inoltre non condividevo la speranza di Vanessa che Dennis avesse solamente bisogno, per tornare normale, di fare un salto nel mondo della psichiatria moderna. Ma non ci fu nulla da fare, quindi rimanemmo in silenzio, ognuno con i propri pensieri.

Il giorno dopo stavamo preparando il nostro bagaglio per portarlo al fiume, preparati al volo che poteva essere annunciato in qualsiasi momen-to. Eravamo pronti per abbandonare il vortice di La Chorrera.

L'unico momento divertente de lla serata fu provocato dalla descrizione fatta da Ev di Dennis che sfuggiva al controllo di Vanessa e scivolava via dal-la casa del fiume, in un impreciso momento de lla notte precedente, per an-dare a sedersi tranquillamente nella casa di alcuni colonistas colombiani, che si svegliarono e lo trovarono congelato come un pezzo di mobilio. Appena la storia scorse via, la sua dimensione interiore ritornò a lle nostre menti.

Il giorno dopo era il 13 marzo. Il campo nella foresta, il posto sacro do-ve avvenne l'esperimento, fu smantellato. Tutti gli oggetti che lo caratteriz-zavano rispetto a lle altre decine di capanne witoto vennero impacchettati e

tutto tornò al precedente anonimato. Fuori, impilato, abbandonammo una specie di tesoro; per la nostra fuga forzata in aeroplano c'era rimasto posto per ben poco: vennero con noi alcune specie di insetti e piante, le macchine fotografiche, gli appunti sull'esperimento, e ciò fu tutto. Le cose che ab-bandonammo sarebbero state lentamente assimilate dai tolleranti witoto, i padroni del luogo dove avevamo provato a comunicare con l'iperspazio.

Prendemmo posto tutti quanti nella casa vicino al fiume, pronti ad an-darcene non appena fosse giunto l'aereo. Tutto sembrava andare avanti senza alcun problema. Facemmo una nuotata e sedemmo sulle rocce, scrutando il cielo e ascoltando, in attesa del rombo del piccolo mezzo an-fibio. Così trascorse il pomeriggio, e anche Dennis stette tranquillo dopo un episodio avvenuto la mattina presto, quando aveva metodicamente lanciato fuori dalla finestra tutto il contenuto della sua stanza, fino a divel-lere il telaio della finestra e a scagliarlo sopra tutto il resto.

Intorno alle quattro, stavo sdraiato presso l'ansa del fiume a circa cin-que metri dalla riva. Stavo pensando a una passeggiata al fiume che avevo fatto due giorni prima, quando ogni passo che facevo vicino all'acqua mi sembrava dare più poesia e ritmo ai miei pensieri. Dal nulla mi ricordai un vecchio detto celtico di cui aveva parlato Robert Graves: "La poesia si fa sulla riva di un fiume che scorre". La mia esperienza vicina all'acqua aveva a che fare con qualche cosa di simile, credevo, e stavo esaminando la cosa. Vanessa ed Ev stavano lavando di fronte a me. Dall'altra parte del fiume vi era il cielo di Sud-Est, nel quale io ed Ev avevamo visto la nuvola con il rag-gio di luce appena ventiquattr'ore prima.

Mi stavo perdendo in quella direzione quando notai ciò che pensavo fosse la debole fonte di un arcobaleno, un posto basso del cielo, vicino all'orizzonte dove sembrava esserci un leggero tocco di uno spettro. Dopo alcuni secondi, richiamai l'attenzione delle due ragazze e chiesi se avesse-ro visto un arcobaleno. Gettarono un'occhiata dall'altra pa rte per un mo-mento e poi mi dissero che non avevano visto nulla. Non insistetti, ma mi misi a guardare il cielo in quel punto. Ormai avevo smesso di cercare di convincere la gente mi ritenevano matto, non proprio instabile, ma qual-cuno di cui era meglio non fidarsi o da non prendere sul serio, perché cre-devo in cose così strane. Questo era il mio difetto.

Continuai a guardare dall'altra pa rte del fiume e vidi il fenomeno inten-sificarsi. Ne ero completamente attratto. In questo paesaggio bucolico, mi parve che si stesse preparando una grande rivelazione. Guardai e notai i co-lori diventare più intensi: non si formò mai l'arco di un arcobaleno, ma l'in-

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tensità dei colori fu estremamente netta in un punto. Di nuovo domandai alle donne se vedessero l'arcobaleno dall'altra parte del fiume. Di nuovo un bagliore di luce. Meraviglioso ! "Si, lo vediamo, non è un granché, vero?"

La parte investigatrice della mia immaginazione iperattiva si concentrò su questo particolare in un istante: prima una nuvola con un raggio di luce, ora uno spazio di colori spettromagnetici nello stesso luogo. Ebbi la netta sensazione che un occhio nel cielo si stesse avvicinando ai miei pensieri e mi guardasse con soddisfazione non appena compresi l'importanza del punto a Sud-Est e di rivolgere la mia attenzione su quel punto. Nella mia mente il maestro disse: "Questo è il posto. Questo è il segno. Guarda qui".

Non dissi niente a nessuno, ma decisi di non trascorrere quella notte insonne come avevo speso le altre: girando per i campi come lo spirito volpe o meditando al chorro. Invece mi sarei seduto lì, dove si svuotava il lago e il Igara-Parana riprendeva il suo languido corso. Qui, vicino al-l'imbarcadero, venti metri sotto un ripido mucchio di fango da lla casa del fiume, mi sarei accovacciato e avrei scrutato attraverso la notte.

Durante tutta la notte, rimasi seduto passando in rassegna gli avveni-menti passati, in un modo che pareva scindere la mia coscienza e spedirla indietro nel mio albero genealogico e avanti nel futuro. Mi sembrò di ve-dere tutti gli anni a venire; scorsi una certa logica emergere da questo con-tatto: le nostre carriere contestate attraverso il tempo e lo spazio e, infine, la nostra rivincita, non appena il mondo si fosse accorto della verità de lla natura transdimensionale delle visioni dovute alla stropharia e la vicinanza dei mondi che queste visioni ci avevano spalancato. Perciò, rafforzai la mia opinione che il contatto dell'umanità con specie intelligenti e total-mente aliene era ormai vicino. Sembrò che da quella lunga notte di tempo cosmico, stesse per avere inizio la novità delle novità, il momento di con-tatto tra menti provenienti da dimensioni totalmente differenti.

Noi fummo i primi a stabilire un contatto con queste specie "altre". Questo è certo. Eravamo venuti nella giungla equatoriale per esplorare la dimensione apparsa come un lampo nell'estasi da triptammina e lì, nel-l'oscurità del cuore dell'Amazzonia, eravamo stati trovati e toccati da que-sta incredibile e arcaica forma di vita che, ora, era sul punto di diventare conscia del potenziale globale di una relazione simbiotica con l'umanità tecnologica. Per tutta la notte mi lambirono strane visioni e sensazioni di

trionfo. Vidi macchine gigantesche e mondi di forme vegetali e meccani-che di incommensurabili dimensioni. Il tempo, agatizzato e scinti llante, sembrò scorrermi intorno come un superfluido vivente che dimorava in regioni da sogno, a una pressione terribile e con temperature polari. E vi-di il piano, il potentissimo piano. Finalmente. Fu un'estasi, uno stato di ekstasis che durò alcune ore e che pose il sigillo di compiutezza a tutta la mia vita precedente. Alla fine mi sentii rinato, ma come qualcosa che non riconoscevo più.

Nel grigiore di un'alba ingannevole, l'onda dell'imagerie scomparve. Mi alzai da dove ero stato seduto per ore e mi stiracchiai. Il cielo era limpi-do, ma era ancora molto presto e le stelle stavano ancora brillando nel cie-lo, a Ovest. A Sud-Est, nella direzione verso cui era stata rivolta la mia at-tenzione, il cielo era sgombro, fatta eccezione per una striscia di nebbia o di pulviscolo, parallela all'orizzonte, neanche un metro sopra le cime degli alberi, dall'altra parte del fiume, a circa un chilometro di distanza. Mi ero appena rimesso in piedi, sulla grossa pietra piatta sulla quale ero stato se-duto, quando notai che la striscia di nebbia sembrava essere diventata più scura, e ora pareva agitarsi e ondeggiare sopra quel luogo. Guardai molto attentamente mentre la linea tremolante di foschia scura si divideva in due parti e come ciascuna di queste nuvole più piccole si divideva ulterior-mente. Questi avvenimenti occuparono solamente lo spazio di un minuto, ora stavo guardando quattro nuvole a forma lenticolare della stessa gran-dezza, in fila poco sopra l'orizzonte, a solo un chilometro di distanza. Fui pervaso da un'onda di eccitazione seguita da un'onda ben chiara di paura. Ero incollato per terra e non riuscivo a muovermi, come in un sogno.

Appena sollevai gli occhi, le nuvole si riunirono allo stesso modo in cui si erano divise, impiegandoci pochi minuti. La simmetria di questo divi-dersi e poi riunirsi, e il fatto che le nuvole più piccole fossero tutte della stessa dimensione, diede allo spettacolo un aspetto soprannaturale, come se la natura stessa fosse lo strumento di qualche forza organizzatrice die-tro di essa. Appena le nuvole si ingrossarono, divennero più scure e opa-che. Quando le nuvole si riunirono tutte in una, questa sembrò avvitarsi su se stessa, come un tornado o una tromba marina e, per un attimo, cre-detti che fosse proprio una tromba marina, una cosa che non avevo mai visto. Ma nello stesso tempo in cui formulai questo pensiero, sentii un for-te ululare giungere da sopra gli alberi de lla giungla, chiaramente da lla stessa direzione de lla cosa che stavo guardando.

Mi girai e diedi un'occhiata a lla casa del fiume a venti metri dietro di

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me, in cima alla collina, cercando di capire se avessi avuto il tempo di cor-rere a svegliare qualcuno per avere la conferma di ciò che stava accaden-do. Per farlo avrei dovuto strisciare a carponi lungo la salita e di conse-guenza distogliere lo sguardo da ciò che stava succedendo. In un istante decisi che non potevo smettere di osservare. Provai a urlare, ma dalla mia gola bloccata dalla paura non uscì alcun suono.

Il suono della sirena stava lentamente guadagnando altezza e, infatti, ogni cosa sembrava aumentare di velocità. La nuvola in movimento stava rapidamente ingrossando, muovendosi dritta verso il posto dove mi trova-vo. Sentii le gambe diventare molli e mi sedetti tremando spaventosamen-te. Per la prima volta credevo veramente in ciò che c'era accaduto e sape-vo che la concrescenza volante stava per prendermi. Mentre si avvicinava, i suoi dettagli parvero coagularsi Quindi mi passò direttamente sopra, al-l'altezza di circa cinquanta metri, cabrò in verticale verso l'alto e scompar-ve in cima a lla collina, alle mie spalle.

Nell'ultimo istante prima che scomparisse, vi rivolsi completamente tutti i miei sensi e lo vidi molto chiaramente. Era una macchina a forma di disco, che ruotava lentamente con delle luci leggerissime, blu e arancioni. Non appena mi passò sopra potei vedere delle incisioni simmetriche nella parte inferiore. Emetteva il caratteristico sibilo dei dischi volanti dei film di fantascienza.

Le mie emozioni erano confuse. All'inizio ero terrorizzato, ma nel mo-mento in cui fui certo che quella cosa in cielo, qualsiasi cosa fosse, non mi avrebbe preso, mi sentii deluso. Ero stupito e stavo tentando di ricordarmi ciò che avevo visto nella maniera più chiara possibile. Dovevo pormi la classica ingenua domanda di quando si parla di UFO: era vero? Potevo credere ai miei occhi? Stavo vedendo qualcosa di vero? Nessun altro aveva visto, per quanto ne sapevo; io ne ero stato il solo spettatore. Credo che se ci fossero stati altri testimoni, avrebbero essenzialmente visto ciò che ho raccontato io, ma, in realtà, chi può dirlo? Vidi questa cosa cambiare da una specie di nuvola fino a diventare un oggetto volante ricoperto di bor-chie. Era più verosimile come nuvola o come oggetto volante? Fu un'allu-cinazione? Contro la mia testimonianza può essere avanzato qualche dub-bio dovuto alla mancanza di sonno e all'uso di piante psichedeliche. Ma curiosamente quest'ultimo fatto può essere interpretato a mio favore. Io sono abituato a esperienze dirette con tutte le classi conosciute degli allu-cinogeni. Ciò che vidi quella mattina non rientrava in nessuna categoria di allucinazioni cui ero familiare.

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Inoltre, contro la mia testimonianza, si può addurre l'inevitabile e in-congruente dettaglio che rende assurdo l'accaduto. Cioè che, non appena l'oggetto mi passò sopra la testa, lo vidi abbastanza chiaramente per giudi-carlo identico al famigerato UFO, con tre mezze sfere sul fondo, che ap-pare in una fotografia di George Adamski, considerata universalmente un "bidone". Non ho seguito attentamente la vicenda, ma avevo condiviso l'opinione degli esperti che ciò che Adamski aveva fotografato fosse il co-perchio di un'aspirapolvere. Ma io vidi lo stesso oggetto nel cielo sopra La Chorrera. Lo dovevo al fatto che da bambino ero un fanatico di dischi vo-lanti? Era un qualcosa estrapolato da lla mia mente come lo erano state al-tre memorie? La mia unica conoscenza stereotipata, da tempo ridimensio-nata, degli UFO era apparsa improvvisamente in cielo. Apparendo in una forma incerta di per se stessa, ciò le fece guadagnare un contrasto cogniti-vo più ampio, cosa che non sarebbe accaduta se fosse stata completamen-te convincente nel suo essere aliena.

Fu, se me lo si chiede o un miracolo olografico di una perfezione tecnica impossibile oggi sulla terra o la manifestazione di qualcosa che in quella cir-costanza decise di iniziare come nebbia e finire come una macchina, ma che avrebbe potuto apparire in qualsiasi forma, una manifestazione di qualcosa di onnisciente, che dominava il mondo della forma e della materia.

Non fu un miraggio convenzionale. Anni dopo mi domandai se non potesse essere stato un tipo di miraggio a noi sconosciuto. Un miraggio temporaneo. Il miraggio ordinario è un'immagine falsata d'acqua o di un luogo distante, la cui causa è la distorsione de lla luce provocata da stati al-terni di aria calda e fredda. Fuori Benares, in India, vidi una triplice im-magine della città sospesa sopra la superficie del Gange. Ma il miraggio temporale è un'altra cosa: è un'immagine lenticolare di un tempo e di un posto distante, le cui cause sono sconosciute. Ciò che rende della stessa classe un miraggio ordinario e quello temporale è il fatto che entrambi ne-cessitano dell'intercessione della mente umana per esistere. Certe zone della terra posseggono particolari condizioni che rendono frequenti i mi-raggi: sarà vero anche per i miraggi temporali? O forse il miraggio tempo-rale è un fenomeno naturale e l'UFO è un risultato del miraggio tempora-le usato sperimentalmente da alcune tecnologie del futuro?

Io credo che quest'ultima ipotesi si avvicini di più al punto. L'UFO è un riflesso di un evento futuro che promette la padronanza umana sul tempo, lo spazio e la materia. Noi, nel nostro umile tentativo di esperire questi misteri, eravamo stati capaci di costringere la natura a tirare fuori

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questa eccezionale scinti lla che brucia nella pura contraddizione, dal-l'oscurità dove lavora la chimica del tempo. È molto impo rtante il fatto che eravamo riusciti a produrre questo stimolo. Questo mi dimostrò che eravamo sulla pista giusta: il fungo stropharia cubensis è una banca-dati di storia galattica. Alieno, ma pieno di promesse, ha scatenato un potenziale per la comprensione che spazzerà via le idee banali riguardo a lla terra e all'umanità prigioniera della storia.

A La Chorrera ero stato l'unico convinto che il nostro approccio avrebbe ricevuto dei riconoscimenti; ora che le nostre teorie hanno trova-to un piccolo gruppo di persone che le condividono, sono ancora più con-vinto che la risposta a tutti questi misteri che fecero traballare la nostra classica considerazione del mondo, sia da ricercare dentro noi stessi. Quando guardiamo dentro di noi per mezzo dello psilocibina, scopriamo che non bisogna guardare fuori, verso la futile promessa di vita su stelle lontane, per far sparire la sensazione di solitudine cosmica. Dovremmo in-vece guardare all'interno; i sentieri del cuore conducono a universi vicini, pieni di vita e di sentimenti benevoli verso l'umanità.

L'incontro con l'UFO segnò il culmine della nostra spedizione a La Chorrera. Il mio contatto con il disco volante avvenne all'alba del 14 mar-zo. La mattina dopo, i115 marzo, a lle undici, arrivò l'aereo, non annuncia-to, ma non inaspettato. Erano ormai tre giorni che Vanessa ci aveva prepa-rato all'avvenimento. Salire a bordo fu una questione di pochi minuti, do-po aver detto addio al prete e alla polizia, a tutti quelli che erano stati pa-zienti con la nostra colorata combriccola e con le sue esigenze particolari. Solo nelle visioni i miei occhi avevano indugiato su sostanze simi li a quelle con cui era costruito il piccolo aeroplano. Superfici lucentissime e acrili-che di macchinari e materiali inattaccabili alle dure radiazioni ultraviolet-te: ciò che i popoli dell'Amazzonia chiamano "pelle di machete". Era un promemoria di tutto ciò a cui stavamo tornando.

Dennis si comportava bene. A parte una sua osservazione, fatta men-tre salivamo a bordo, sul fatto che un aereo è una parziale condensazione di un disco volante, non disse molto. Un rombo del motore, una spinta all'indietro sulla cloche e noi e il nostro leggendario pilota de lla foresta eravamo in volo. Facemmo un giro sulla missione prima di seguire il Rio Igara-Parana fino al Rio Putumayo e la versione di civiltà che poteva of-

frire la città di Leticia. Che piccolo mondo è La Chorrera, sperduta nella giungla impraticabile, una fugace apparizione di costruzioni e una man-dria di zebù che riposano nella pianura verdeggiante, simili a masse informi di gelato alla vaniglia che si sta sciogliendo. Immaginai che quel qualcosa che avevamo toccato e che ci aveva toccato, adesso lo lasciava-mo alle nostre spalle.

Restammo due giorni a Leticia, giorni in cui Dennis mostrò dei miglio-ramenti significativi mentre noialtri cominciavamo a ristabilire le distanze reciproche. Questo era sicuramente il rigetto dell'eccessiva intimità a cui la nostra spedizione ci aveva costretto. La cosa più strana a Leticia fu che, appena scesi dall'aereo, incontrammo Jack e Ruby, una coppia americana che aveva affittato l'appartamento di Ev a Bogotà per qualche settimana. Avevo già notato la strana combinazione dei loro nomi [Jack Ruby fu co-lui che sparò e uccise Lee Oswald, l'assassino "ufficiale" di Kennedy, N.d.T.] sei settimane prima, quando li avevo conosciuti e ora il fatto che sembrava che ci stessero aspettando a Leticia aumentò la stranezza. La co-sa mi lasciava confuso.

Il tempo necessario per raggiungere Bogotà e Dennis era ormai quasi completamente tornato normale, confermando così la teoria che una qual-che forma di squilibrio chimico temporaneo fosse stata responsabile della sua reazione, piuttosto che l'affioramento di una struttura personale croni-camente squilibrata. Era veramente dubbioso e vago riguardo a ogni men-zione di legami superconduttori a quattro dimensioni, ayahuasca o pratiche sciamaniche. Diceva:" Senti, le ho provate! " E lo aveva fatto davvero.

Era quasi normale, ma io ero solamente all'inizio di un periodo lungo un anno di un'originale produzione di idee, lo stato di incredulità com-plessiva che diede a lla luce le teorie sul tempo esposte in The Invisible Landscape.

Il 20 di marzo eravamo tutti d'accordo sul fatto che Dennis era total-mente tornato fra di noi. Fu un'occasione di grande felicità e la festeg-giammo in uno dei migliori ristoranti di Bogotà. Era stato un immenso successo l'essere stati capaci di permettere all'inversione di lavorare da sé senza l'influenza insopportabile delle moderne procedure di cura menta-le. L'ordalia nella natura selvaggia che tutti gli sciamani devono affronta-re era stata superata. Era stato compiuto un passo sul sentiero della co-noscenza.

I121 di marzo, feci un'annotazione sul diario. La prima da molti giorni e l'unica che fui capace di fare per altri due mesi. Scrissi questo:

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21 marzo 1971 Sono passati diciassette giorni dal 4 di marzo e dalla concretizzazione della "e commerciale". Se ho capito o meno questo fenomeno, allora do-mani, il diciottesimo giorno, verrà raggiunto una specie di giro di boa in questa esperienza. Predico che domani Dennis tornerà allo stato psi-cologico che aveva sperimentato prima dell'uno marzo, poiché è possi-bile che, invece di una residua amnesia concernente gli eventi di La Chorrera, abbia acquisito una crescente consapevolezza dell'esperi-mento che lui stesso ideò. Le settimane scorse sono state così tormenta-te e come composte di così tanti periodi, posti e luoghi mentali, che stendere una cronaca razionale non è stato possibile. Solo Finnegans Wake dà una certa idea della realtà del paradosso che noi sperimentam-mo, grazie alla capacità di vedere dietro alla doppia faccia del tempo. A discapito delle prime incomprensioni e delle mancate proiezioni riguar-do ai cicli del tempo e dei numeri attivi durante il fenomeno, credo che in questi diciassette giorni avessimo sperimentato, sebbene si fosse con-densato qualcosa di enorme che andava all'indietro, una parte suffi-ciente di un ciclo completo, per poter cominciare a prevedere in modo certo gli eventi dei successivi venti giorni e avere una qualche idea ap-prossimativa sulla natura o sull'obbiettivo della nostra opera.

Questa pagina di diario chiarisce che, mentre Dennis stava riprenden-dosi dall'immersione nella lotta titanica, io ero a lle prese con il mio com-battimento personale. Ero stato catturato da un'ondata di ossessione, qua-si una meditazione forzata, sulla natura del tempo. Le considerazioni ordi-narie sulla vita ordinaria cessarono di occupare i miei pensieri. La mia at-tenzione era completamente rivolta ai miei tentativi di costruire un nuovo modello di cosa sia veramente il tempo. Risonanze, ricorrenze e l'idea che gli eventi erano modelli di interferenza causati da altri eventi, distanti tern-poralmente e casualmente, avevano attirato la mia attenzione. In que lle prime speculazioni, teorizzai un ciclo mitico che aveva bisogno di quaran-ta giorni per completarsi. Fu solo più tardi, quando cominciai a lavorare impressionato da lla natura legata al DNA dei cicli temporali, che rivolsi la mia attenzione a dei cicli de lla durata di sessantaquattro giorni. Questa speculazione mi spinse a rivolgermi all'I-Ching. In quelle prime nozioni sul ciclo di quaranta giorni di redenzione alchemica vi è un solo piccolo ac-cenno a un'eventuale teoria nei suoi dettagli operativi; ma l'intento è chia-ramente lo stesso. Risonanze, modelli di interferenza e regressioni frattali

del tempo e nel tempo. Questi erano i materiali con i quali iniziai a costrui-re una teoria. Forse, dopo anni di lavoro, il risultato avrebbe potuto avere una certa consistenza. Comunque, quell'aspetto era riservato al futuro; la prima concezione era cruda, autoreferenziale e idiosincratica. Era solo la mia fede che avrebbe potuto renderla coerente e razionale di fronte agli al-tri e che mi tenne occupato con queste teorie per tutti questi anni, trasfor-mando l'intuizione originale in un gruppo di asserzioni formali.

Passai la fine di marzo a Bogotà e fu un periodo triste. La frenesia urba-na di una città moderna e caotica si abbatté pesantemente sulle nostre per-cezioni abituate alla sensibilità della giungla. Dennis pareva quasi normale, seppur indebolito e tranquillo. Non giunsero messaggi da Vanessa e Dave, tornati negli USA. Il 29 Dennis seguì il loro esempio e volò in Colorado. Insistette perché io ed Ev andassimo nel Sud de lla Colombia per avere un po' di tempo per riflettere. E ciò che facemmo. Passai in rassegna tutti gli avvenimenti di La Chorrera senza fare nessun passo avanti e conclusi che una specie di gravità psichica ci stava spingendo verso casa. Il 30 aprile, un mese meno un giorno dal mio incontro con l'UFO, arrivammo a Berkeley.

Fu una visita breve e difficile. Iniziavo a vedere i confini di quella che sarebbe diventata la teoria dell'onda del tempo dell'I-Ching. Le prime mappe della gerarchia degli esagrammi I-Ching, che furono poi inserite in un programma per computer che chiamai Timewave Zero, furono ideate in quel periodo. Non frequentai nessuno. Ero totalmente immerso nel mio lavoro e non avevo interesse per nient'altro. Ero preso da una mania creativa in un modo che non avrei mai creduto possibile. Ogni volta che tentavo di conversare di questi argomenti con qualcuno, si apriva un enorme baratro di incomprensione.

Il più grottesco di questi incidenti coinvolse il mio tentativo di ottenere un parere riguardo alle nostre idee da persone che ritenevo specialisti nel ramo. In uno stupendo giorno di maggio mi trovavo nel "Donnor Labora-tory of Virology and Bacteriology" a lla University of California, a Berke-ley. Avevo preso un appuntamento per vedere il dottor Gunther Stent, ge-netico molecolare, famoso a livello mondiale e autore di The Molecular Chemistry of the Gene. Non sapevo che Stent era leggendario per la sua rettitudine scandinava e che si riteneva l'uomo del Rinascimento e un filo-sofo sociale. Un paio di anni dopo pubblicò un libro che teorizzava la riforma della società globale con il tradizionale modello sociale delle Sa-moa come un traguardo ideale.

Trovai il grande uomo nel suo bianco camice da laboratorio in una stan-

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za piena di vasetti di vetro che ribollivano e circondato da studenti laurean-di in adorazione. Fui cacciato dal laboratorio e un bidello mi fece entrare nel suo ufficio rivolto a Ovest, verso il Golden Gate Bridge. Da nove piani di altezza le messi primaverili di studenti erano ridotte a colonie di formi-che che correvano sul prato sottostante. Gunther Stent mi raggiunse alcuni minuti dopo.

Baldo e austero, si sedette sulla sedia mentre mi lanciai sulle idee che stavano dietro all'esperimento di La Chorrera. Provai a iniziare con cal-ma, ma ero emozionato e nervoso. Dopo pochi minuti mi resi conto che Stent stava soppesando la possibilità di un mio attacco fisico su di lui. A suo merito va detto che stava combattendo con questo allarmante sciame di pensieri, lasciandomi andare avanti. La sua faccia diventava sempre più impassibile, mentre io mi accorgevo di aver perso il controllo del discorso. Alla fine, dopo una lunga speculazione infruttuosa durante la quale la sua espressione era diventata insondabile, decisi di arrivare finalmente al pun-to della questione: "Dottor Stent, il motivo per cui sono venuto qui è sem-plicemente perché vorrei sapere se questa teoria possiede una qualche va-lidità o è totalmente campata in aria".

Sembrò scuotersi leggermente, lasciò la sua posizione dietro alla scri-vania e mi raggiunse di fianco alla finestra, per guardare oltre il fitto vetro scuro. Con un gesto di rassegnazione venuto dal cuore si voltò verso di me e parlò: "Mio caro giovane amico, queste idee sarebbero strambe anche se fossero totalmente campate in aria".

Mi sentii a terra e fuggii sconvolto dall'imbarazzo. Tanto peggio per i miei tentativi di costruire un ponte di collegamento con la scienza ufficiale.

Questo tipo di incontri mi convinsero che avrei dovuto ristudiare l'epi-stemologia, la genetica, la filosofia della scienza e l'intero gruppo delle scienze necessarie per discutere le aree verso le quali avevo ora un interes-se impellente. Mentre i miei studi dell'I-Ching avanzavano, avevo ridefini-to la teoria che la sua struttura fosse la base di un'onda temporale o di on-de diverse. Queste onde sono dei periodi di cambiamento che si susseguo-no da vicino. Compresi che la logica interna delle onde temporali implica-va necessariamente la fine del tempo normale e della storia ordinaria. A quel punto l'idea di una psicomateria concrescente e dell'UFO che incon-trai a La Chorrera si identificarono fra di loro nella mia mente e con la fi-ne degli scenari del tempo delle religioni tradizionali d'Occidente.

La più recente mappa del tempo, per quel che riguardava la mia vita personale, era piena di coincidenze. In particolare, i punti terminali di cia-

scuna sezione dell'onda mi sembravano possedere significati speciali. Po-sizionando uno di questi punti sull'esperimento a La Chorrera, si rendeva-no estremamente importanti gli altri punti nel passato (la morte di mia ma-dre e il mio incontro con Ev) e i punti del futuro (il mio venticinquesimo compleanno). Notai che gli eventi significativi della mia vita accadevano ogni sessantaquattro giorni con stupefacente regolarità. Era necessario ra-gionare su di ciò da solo, poiché il mio interesse su questi fatti e la loro na-tura paradossale, sembrava assurda agli altri. Capii che l'effetto che stavo esplorando, fosse o meno un normale fenomeno naturale o un'eccezionale idiosincrasia, in ogni caso era per me estremamente importante permette-re alle forze con cui ero entrato in contatto di esaurirsi fino alla fine.

Benché potesse sembrare folle, decisi di ritornare a La Chorrera, alla sua solitudine e alle sue stranezze e di trascorrere del tempo là, semplice-mente e con calma ripensare a ciò che mi era successo. Io ed Ev avevamo comperato degli smeraldi prima di lasciare la Colombia, la loro vendita fu più che sufficiente per finanziare il ritorno al surreale dominio del sole, di foreste e fiumi che avevano generato la mia ossessione. Una volta a La Chorrera, ero determinato a scrivere tutto ciò che ci era capitato; questo era il mio scopo e molti di questi primi appunti formarono The Invisible Landscape. Questa decisione di lasciare la California fu salutata con entu-siasmo dal mio circolo di Berkeley. Il mio stato mentale preoccupava i miei amici, e girava voce che l'FBI sapeva che ero tornato e mi stava cer-cando. Il blues dell'hascish Bombay-Aspen mi stava al culo. Era il mo-mento giusto, dissero, per cambiar aria.

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6 IL RI ORNO

In cui Ev e io torniamo da soli a La Chorrera e una nuova cometa si dirige verso la terra.

I L 15 LUGLIO, IO ED Ev ERAVAMO DI NUOVO SUL CONFINE DELL'A-

mazzonia. Il mio desiderio di tornare a La Chorrera era ormai realtà. Le annotazioni nel mio diario ricominciarono mentre discendevamo il

Rio Putumayo, un nome che mi suggerì una etimologia tipo "puta maya o la puttana delle illusioni":

15 luglio 1971 Lasciato Puerto Leguizamo poche ore fa con il nostro carico di birra e bestiame, io ed Ev siamo finalmente vicini, e attraversiamo quel so-gno che è la foresta e i fiumi del bacino delle Amazzoni. Il ritorno, per continuare a contemplare il fenomeno esattamente nel centro della natura tropicale, nel quale lo abbiamo scoperto, sottolinea una devo-zione e un'immersione nel fenomeno stesso, che chiunque a conoscen-za degli eventi che ci hanno colpito in marzo, troverebbe incredibile e probabilmente rischioso. Non mi riferisco ai pericoli tipici della giungla o all'inevitabile durez-za che comporta il viaggiare in aree selvagge, piuttosto mi riferisco al-lo stress psicologico inerente al confronto col fenomeno, stranamente parte del proprio sé e allo stesso tempo immenso e "altro", lontano dal tranquillo ambiente di amici e da un mondo inconsapevole o scettico

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sui nostri incontri con il fenomeno e alla comprensione che ne era de-rivata. Il mio primo pensiero in questo luogo è di fare il possibile af-finché l'inaspettato venga eliminato. Ho sempre in mente il rovescia-mento della crittoschizofrenia di mio fratello. Credo di interagire con qualcosa che non ha nulla a che fare con il vago o con l'incerto. Studi e riflessioni attente possono eliminare la possibilità che il fenomeno del contatto possa improvvisamente volgersi contro di noi o agire in ma-niera inaspettata. Il giusto approccio a queste cose rimane sfuggente. Ogni volta la "voce interiore" del fenomeno sosteneva che, dopo l'opera d'ipercarbolazio-ne di mio fratello, non restava nient'altro da fare e che se qualcosa fosse stata richiesta sulla strada dell'attività allora, in virtù della spe-ciale natura del contatto, quel qualcosa sarebbe stato proprio ciò che stavamo già facendo.

Io ed Ev vivemmo tranquillamente a La Chorrera da agosto fino a metà novembre dei 1971. Vi furono momenti di grande gioia. E durante quel pe-riodo, fui capace di trarre il massimo dei benefici da lla mia immersione nel processo interiore che stavo sperimentando. Riempivo le mie giornate pen-sando e passeggiando a lungo sui sentieri intorno a La Chorrera e passavo ore piegato sui fogli da disegno che mi ero portato dietro. Lì, nel mezzo del verde dell'Amazzonia, elaborai le mie teorie sul tempo e riempii numerosi fogli con le mie fantasie sull'onda meccanica. Quando non leggevo o face-vo sogni a occhi aperti, io ed Ev facevamo lunghe conversazioni nelle quali la visione di un modo nuovo di stare al mondo sembrava a portata di mano.

Durante questo secondo periodo a La Chorrera, ritornò il tema del-l'oo-koo-hé. Facemmo conoscenza con molti witoto, che passavano rego-larmente intorno a lla nostra capanna, posta a poche centinaia di metri sul-la stessa pista dove provammo il primo esperimento. Oltre ai witoto che si fermavano per scambiare due parole o per guardarmi collezionare insetti, c'era un vecchio di nome Demetrius. Era una vecchia donnola con gli oc-chi torbidi che interpretava a lla perfezione il ruolo di custode delle porte del cosmo. Nel mio stato mentale eccitato, le lettere D, M, T, parevano saltare fuori dal suo nome come un segnale. Appena riuscii a rimanere so-lo con lui, gli posi la domanda: "Oo-koo-he?"

"Oo-koo-hé! ", non poteva credere ai suoi occhi. Doveva essere incredi-bile per lui, che questa strana e debole creatura, una cosa da un altro mon-do, potesse porre domande riguardo a un segreto della tradizione del suo

popolo. Non ho idea di quante barriere culturali riuscimmo a superare, ma dopo un po' di conversazione, sempre che si possa chiamare così quel-lo che passa fra due persone che non hanno nessun linguaggio in comune, ero certo che mi avrebbe aiutato. Tempo dopo, il giorno del mio venticin-quesimo compleanno, mi recapitarono una strana sostanza appiccicosa, avvolta in un pacchetto di foglie. Non fui in grado di ottenere una espe-rienza allucinogena con questa sostanza, ma analisi successive compiute dai chimici del "Karolinska Institute" di Stoccolma, confermarono la pre-senza di dimetil-triptammina. Demetrius era stato all'altezza del suo nome.

La cosa importante riguardo al secondo viaggio a La Chorrera fu che gli insegnamenti del logos furono più o meno continui. E ciò che insegnò durante e dopo quei mesi, fu una teoria sul tempo. È una teoria veramente concreta e di rigore matematico. Il logos mi insegnò a fare qualcosa con 1'I Ching che forse nessuno era riuscito a fare prima. Forse i cinesi erano una volta in grado di farlo, e poi migliaia di anni fa l'avevano dimenticato. Mi insegnò un modo di vedere ipertemporale. I miei libri, la mia vita pub-blica, i miei sogni privati, divennero tutti una parte del tentativo sentire e capire la nuova idea di tempo che mi fu rivelata a La Chorrera. Una rivo-luzione nelle conoscenze umane non è qualcosa che può essere cristalliz-zata nei confini di una conversazione.

Questo nuovo modello del tempo permette di avere un certo tipo di conoscenza del futuro. Il futuro non è assolutamente determinato, non c'è, in altre parole, un futuro "da vedere" nel quale tutti gli eventi sono già ben determinati. Questo non costituisce il modo in cui è stato creato l'uni-verso. Il futuro non è ancora completo, ma condizionato. Misteriosamen-te, fuori da tutti gli eventi possibili, certi eventi vengono selezionati, nella locuzione di Whitehead, per sottostare a lla formalità degli avvenimenti at-tuali. Il logos era preoccupato di rivelare le meccaniche di questo processo e le rivelò come la teoria dell'onda temporale.

Ciò che originariamente mi colpì, osservando l'I-Ching, fu il modo origi-nale in cui la mia prima e semplicistica conoscenza dei cicli di sessantaquat-tro giorni funzionò perfettamente sulla mia vita. La mo rte di mia madre fu il primo di questi punti che presi in considerazione. Poi notai che la mia re-lazione con Ev era iniziata sessantaquattro giorni dopo quell'avvenimento e che il culmine dell'esperimento a La Chorrera, si verificò altri sessantaquat-tro giorni dopo. La teoria di un anno lunare basato sugli esagrammi, nac-que dall'idea di sei cicli di sessantaquattro giorni ciascuno, un anno diviso in sei parti, proprio come un esagramma I-Ching è composto da sei linee.

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Questa teoria personale mi venne confermata quando notai che un certo anno, composto da 384 giorni, se fosse iniziato il giorno in cui morì mia madre, si sarebbe concluso il giorno del mio venticinquesimo corn-pleanno, il 16 novembre 1971. Notai allora che vi erano dei cicli e dei cicli di cicli. Immaginai un anno lunare di 384 giorni e un più grande comples-so di cui faceva parte: un ciclo di 64 volte 385 giorni e così via. Le mappe che creai e le loro eventuali qualificazioni che raggiunsi, sono descritte in The Invisible Landscape. Ma ciò che non vi è stato raccontato, sono le esperienze di La Chorrera e il modo in cui le coincidenze e il mio incon-scio, o qualcosa nella mia mente, mi guidarono per poter scoprire queste proprietà dell'I-Ching, a lungo nascoste.

Cosa fare dell'oceano di risonanze che l'onda del tempo mostrava, connettendo tutti i momenti del tempo con gli altri momenti attraverso uno schema di connessioni che non aveva nulla di casuale? Cosa fare del fatto che certi dettagli nelle strutture matematiche dell'onda implicano che il tempo in cui viviamo è il punto culminante di un importantissimo sforzo durato secoli? Queste erano immagini inflazionate e io le riconobbi come tali , ma il loro potere e la loro seduzione, come forma soggettiva-mente spettacolare era irresistibile.

L'onda del tempo parve essere un'immagine proveniente dalla consa-pevolezza collettiva che affiorò per dimostrare, almeno nei suoi stessi ter-mini, che il momento culminante di tutti i processi nell'intero universo si sarebbe verificato durante la nostra vita. Questo è vero per tutti noi: la no-stra vita, legati come siamo ai nostri corpi e al nostro ambiente storico, ci appare come l'espressione dello scopo finale de lle cose. L'onda del tempo predisse la propria fine nell'arco de lle nostre vite, solo un decennio dopo la fine del secolo, un periodo di così grande novità, che dopo di esso non ci sarebbe potuto essere altro che la fine del tempo stesso. Ciò era l'aspet-to più enigmatico, più enigmatico ancora de lla sua stessa idiosincrasia, questa implicita "fine del tempo", un periodo in cui il cambiamento di re-gimi avrebbe completamente trasformato le modalità della realtà.

Ero familiare con la teoria escatologica, la fine del tempo nel contesto religioso, ma non avevo mai considerato l'ipotesi che il sistema naturale potesse subire degli scarti così improvvisi tali da rimettere in gioco le leg-gi stesse di natura. In effetti non c'è nulla che contraddica una prospetti-va escatologica. La scienza, per funzionare, deve solo capire che quelle leggi fisiche non dipendono dal tempo e dal contesto nelle quali sono di-mostrate. Se ciò non fosse vero, la teoria dell'esperimento non avrebbe

avuto senso, perché esperimenti eseguiti in periodi diversi darebbero ri-sultati diversi.

Per anni continuai a elaborare questa teoria e a chiarire la mia stessa comprensione del procedimento generale di formulare teorie. Giunsi, fi-nalmente, nel 1974, a completare una quantificazione formale, matemati-ca, della struttura frattale che avevo scoperto nella struttura dell'I Ching. Durante gli anni Ottanta, lavorai, prima con Peter Broadwell e poi con Peter Meyer, alla creazione di quel programma per computer, che chiamai Timewave Zero, per permettere studi precisi sull'onda. Il computer è uno strumento potente che ha permesso di rifinire con cura le mie conoscenze riguardo a ciò che conferma o smentisce la mia teoria. Oggi, la mia con-clusione riguardo a questi argomenti è che la teoria de lla natura frattale e ciclica dell'avvento de lla novità nel mondo sia una teoria autosufficiente e completamente scientifica. È vera di per se stessa. E riporta il dramma umano e le nostre vite al centro del palcoscenico dell'universo.

È possibile, in un certo senso, che tutti gli stati della liberazione non siano altro che la perfetta conoscenza dei contenuti dell'eternità. Se si co-nosce ciò che è contenuto nel tempo, dal suo inizio a lla fine, non si fa già più parte del tempo. Benché si possegga ancora un corpo, si mangi e si compiano azioni, si è scoperto, allo stesso tempo, qualcosa che ti libera in uno stato di totale unitarietà appagante e istantanea. Vi sono altre forme di appagamento che si sprigionavano da questa teoria, che non sono men-zionate in questa formulazione. I vari momenti sono collegati fra loro. Le cose accadono per una ragione e questa ragione non è casuale. La risonan-za, quel misterioso fenomeno per cui una corda che vibra sembra invocare magicamente una vibrazione in un'altra corda o in un oggetto con cui non ha alcun collegamento fisico, si pone come modello per la misteriosa pro-prietà che mette in relazione un periodo con un altro anche se questi sono separati da giorni, anni e perfino da millenni. Mi convinsi che esiste un'onda, un sistema di risonanze, che condiziona gli eventi a tutti i livelli. Quest'onda è frattale e autoreferenziale, molto simile a lle più interessanti nuove curve e agli oggetti che vengono descritti ai limiti de lla nuova ricer-ca matematica. Quest'onda temporale è espressa in tutto l'universo a vari livelli. Costringe gli atomi a essere atomi, le cellule a essere ce llule, le men-ti a essere menti e le stelle a essere ste lle. Ciò che sto suggerendo è una nuova metafisica, una metafisica con rigore matematico; qualcosa che non è semplicemente un nuovo credo o una convinzione religiosa. Piuttosto, questa scoperta prende la forma di una proposta formale.

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Sarei il primo ad ammettere che non è stato possibile trovare un ponte fra questa teoria e la fisica formale. Non è detto che questo ponte sia possi-bile, o necessario. Possiamo pensare che la scienza formale indichi ciò che è possibile, mentre la teoria del tempo che propongo io, offra una spiega-zione di ciò che è realmente. E una teoria che sembra spiegare come, da lle categorie di tutte le cose possibili, certi eventi o cose sottostiano alla for-malità di ciò che accade. E chiaro che la teoria non può essere contraddet-ta dal di fuori: può solo essere contestata perché inconsistente al suo inter-no. Chiunque sia in grado di confutarla, è il benvenuto, sempre che ne sia capace: questo è ciò che ho provato a fare più volte e ho sempre fallito.

Prima del 16 novembre 1971, cominciai a capire che la carta era con-traddistinta da troppe variabili per poter funzionare come una mappa del futuro. Capii allora che sarebbe stato necessario quantificare in qualche modo i vari parametri dell'onda affinché i giudizi a riguardo potessero es-sere meno soggetti a dei cambiamenti soggettivi. Il mio ultimo scritto a La Chorrera fu composto la mattina del 16, il mio venticinquesimo com-pleanno. Era una specie di favola:

16 novembre 1971 Due vecchi amici, arabi, molto anziani, siedono in un palazzo molto più antico di loro, posto su una montagna, circondato da vigne, palme da dattero e un frutteto d'agrumi. Insonni e affabili, trascorrono le lunghe ore stellate prima dell'alba, fumando hascish e raccontandosi storie. "Condividi il mio piacere su questo enigma e sulla sua soluzione", dis-se il più scuro al più vecchio e fece passare le mani davanti gli occhi del compagno. Il vecchio entrò nel sogno e osservò l'enigma irrisolto. Un mondo di forme e leggi, ruote che si intersecano, passioni e intel-letto. Passò attraverso ai suoi spazi e ai suoi imperi, famiglie dinasti-che e uomini geniali, ne divenne il filosofo e ne predisse le catastrofi. Lui sentì la struttura e il tono di tutte gli esseri, nel mondo che aveva creato il suo amico. Cercò il disegno segreto che il suo amico aveva si-curamente nascosto nella sua creazione. Lo sapeva, perché questo era un gioco a cui giocavano spesso. Alla fine, in un periodo di despotismo, in un'epoca di ricerca scientifi- ca deludente e di ampia decadenza, si vide diviso nelle persone di due

fratelli. Attraverso di essi, i loro viaggi e la loro vita, che gli passò di fronte in un momento, percepì l'intricata natura ammaliante del-l'enigma. Alla fine comprese, dissolse le nebbie e le ruote della fiaba mistica con una risata, una risata che condivisero, e una volta ancora si passarono la pipa prima di entrare nel giardino azzurro dove l'alba li avrebbe trovati a conversare tra i pavoni, sotto i melograni e le acacie.

Verremo abbandonati con null'altro che fiabe? O qui c'è di più? Nei giardini tropicali che curavo c'erano de lle piccole acacie che stavano ma-turando. Forse hanno ancora tempo a disposizione per crescere all'ombra delle escursioni filosofiche. La vita è più bizzarra di quello che potrebbe sembrare al più bizzarro di noi.

Il lavoro a La Chorrera sembrava allora terminato. Smontammo il cam-po e ripercorremmo sentieri e fiumi. Ci volle tempo, c'erano dei libri da scrivere, e obbiettivi sfuocati per una vita vissuta in modo troppo incasina-to per essere ordinata. Vivemmo per qualche tempo a Florencia nella finca di un amico. Lì scrissi alcuni capitoli di The Invisible Landscape e vi festeg-giammo il Natale del 1971, ma scrivevo lentamente, la mancanza di mate-riale referenziale era frustante. Tornammo negli Stati Uniti, a Boulder, con Dennis, per alcuni mesi, durante i quali lavorai in una serra di rose. Fu una serie di tipiche avventure americane. E a lla fine ci ritrovammo a Berkeley.

Finché l'onda temporale dell'I-Ching non fu quantificata con maggiori dati, il suo modo di integrare, apparentemente senza significato, dei dati non correlati rese facile il venirne psicologicamente coinvolti. Sembrava funzionare come un "test di Rorschach" senza fine , ognuno poteva vedere ciò che voleva. Benché il mio venticinquesimo compleanno fosse arrivato senza nessun vero cambiamento per la storia, sia nella mia vita sia nel mon-do intero, continuai a propagare i cicli de lla mappa avanti nel futuro. Sen-tivo che la teoria di una struttura nascosta del tempo era corretta, ma ciò non poteva essere confermato finché non fosse stato trovato e confermato un corretto allineamento tra questa struttura e la storia umana. Cominciai cercando una data con eventi speciali in relazione con l'onda, una data che sarebbe stata un buon testimone per l'emergere di un evento speciale.

Ecco una parte della mia storia che trovo estremamente intricata: dopo l'apparente smentita dei cicli per via del mio compleanno, guardai ad altre

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date future nelle quali sarebbe caduto il ciclo dei 384 giorni, sempre con-tinuando a ritenere il 16 novembre 1971 come la fine di uno di questi ci-cli. Ciò significò che la successiva data finale del ciclo di 384 giorni sareb-be stata il 4 dicembre 1972. Consultai diverse tavole astronomiche, ma quella data sembrava poco promettente. La data finale del successivo ci-do di 384 sembrava più interessante, era il 22 dicembre 1973.

Notai che in quel giorno cadeva il solstizio d'inverno. Avevo trovato un nodo importante. Il solstizio d'inverno è tradizionalmente il giorno della rinascita del messia. È un momento di pausa nel movimento della macchi-na cosmica. È anche il momento in cui c'è il passaggio del sole dal Sagitta-rio al Capricorno. Non credo molto nell'astrologia, ma notai subito che Dennis era un Sagittario ed Ev una Capricorno. Consultai le mie carte stellari e scoprii un'altra coincidenza: dove l'eclittica incrocia i punti del Sagittario e del Capricorno, a 23 gradi dal Sagittario, vi è il punto dove si trova ora, con una approssimazione di pochi gradi, il centro della galassia. Nell'arco di ventiseimila anni il centro della galassia, come tutti i punti dell'eclittica, si muove lentamente attraverso i segni, ma ora si trovava al confine tra Sagittario e Capricorno, proprio in quel solstizio d'inverno.

Mi sembrò una serie troppo lunga di coincidenze, per cui approfondii la mia ricerca. Fu una vera sorpresa consultare l'almanacco dell'Osservato-rio navale. Nel giorno che stavo esaminando, il 22 dicembre 1973, si sareb-be verificata un'eclissi totale di sole che si sarebbe potuta vedere bene a La Chorrera, nel bacino delle Amazzoni. Fui fulminato. Mi sentivo come il protagonista di una favola: questa serie di indizi era reale! Studiai l'eclissi per sapere in quale momento sarebbe stata totale. Ciò si sarebbe dovuto verificare quasi direttamente sopra la città di Belem, in Brasile, sul delta del Rio de lle Amazzoni. Il vertiginoso elfo parlante dell'iperspazio, iniziò a blaterare nelle mie orecchie. Stava incitandomi o prendendomi in giro?

Il ragionare su questo avvenimento dell'eclisse spinse la mia mente fuori dal reame delle coincidenze astronomiche, per riportarla indietro agli argomenti dei viaggi di La Chorrera. Belem significa Betlemme in portoghese. Le mie sensazioni, sensibili a ogni possibilità messianica, si accesero. Belem è in realtà Betlemme: si trova nel delta del Rio delle Amazzoni. Delta è il simbolo del cambiamento del tempo, il delta, nella simbologia di Joyce e tra gli artisti del graffito, attraverso tutta la storia, rappresenta la vagina. Dennis nacque a Delta, in Colorado. Era possibile che tutte le nostre esperienze fossero state una premonizione di un evento che si sarebbe verificato in Brasile dopo due anni? Era per questo assurdo

IL RITORNO

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motivo che, alla fine dell'esperimento a La Chorrera, mi erano riecheggia-te nella mente i versi di Oh Little Town of Bethlehem? A lla fine della pri-mavera del 1972 avrei avuto una risposta anche per tutto questo. Ma per-ché l'onda temporale aveva puntato proprio verso il 22 dicembre 1973? E perché vi era un tal numero di coincidenze che puntavano a quel periodo? Avevo forse saputo del verificarsi dell'eclissi a un livello inconscio? Sape-vo che sarebbe avvenuta esattamente sopra Belem? Perché le date impor-tanti della mia vita si allineavano perfettamente con le date prestabilite dall'onda, che avevo imparato a costruire durante l'incontro con l'UFO a La Chorrera? Mi sembrò impossibile che in qualche modo io potessi sa-pere queste cose e che potessi manipolare il mio inconscio costringendolo a immaginare di "star scoprendo" queste cose. Ero come un viaggiatore, accecato dal bagliore della neve, che si trova coinvolto in una serie stupe-facente di coincidenze.

Infine, nella primavera del 1973, avvenne un fatto che mi diede la cer-tezza che qualcosa di più grande, rispetto alla mia consapevolezza e alla consapevolezza dell'intera razza umana, fosse al lavoro. Fu la scoperta della cometa Kohotek, conosciuta come la più grande de lla storia umana, gigantesca perfino rispetto alla cometa di Halley.

La più luminosa cometa che si sia mai diretta verso la terra, era il titolo di testa del "San Francisco Chonicle". Mentre leggevo l'articolo, lanciai un urlo di stupore. La cometa avrebbe raggiunto il punto più vicino al so-le il 23 dicembre! Una cometa non periodica, sconosciuta a tutti quanti sulla terra prima del marzo del 1973, stava dirigendosi a un incontro con il sole, nello spazio di un centinaio di ore fra il solstizio e l'eclissi sopra l'Amazzonia. Era una grande coincidenza, se possiamo definire una coin-cidenza qualcosa di improbabile che impressiona profondamente il suo osservatore. Questa coincidenza non viene sminuita dal fatto che Kohotek non fu all'altezza delle aspettative, dal momento che le stesse furono in grado di sollevare un'onda di moda apocalittica e millenaristica fra le frange della popolazione che sarebbero morte appena la cometa fosse tor-nata nell'oscurità da cui era emersa. Accadde qualcosa a Belem il giorno dell'eclissi? Io non lo so, non c'ero, in quel periodo ero prigioniero di ob-blighi mondani, ma so che l'accumularsi di eventi in quello stesso giorno, e il modo in cui lo predissero le carte, era veramente strano.

Solo con lo sviluppo di un programma informatico sarei stato in grado di comprendere il modo in cui l'onda temporale descrive le maree e i flus-si delle novità nel tempo per la durata di lunghi periodi: alcuni durano mi-

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VERE ALLUC QIQIAZQ®Imid 1L R1 TORNO

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nuti, altri secoli. Chi diventerà familiare con la teoria, potrà unirsi a me in questa avventura dell'intelletto e potrà vedere da solo la grande sfida che risiede nel predire un nuovo avvenimento. Non mi accontentai di capire superficialmente la teoria: ho continuato a sforzarmi per cercare di appli-carla e predire il corso di eventi futuri. Se, dopo anni di studi, ci si convin-ce che l'onda mostra il corso degli avvenimenti futuri, allora l'anticipazio-ne ordinaria del futuro è gradualmente sostituita con un piacere zen di comprensione dell'intero modello.

Ma era stato l'elenco di questi avvenimenti, la prima sensazione avuta di qualcosa di importante in correlazione con una data specifica nel tem-po e con la città di Belem? Stranamente no, non lo fu. Devo raccontare l'avvenimento seguente per poter collegare la storia del mio processo di comprensione personale a quel frammento d'informazione, particolar-mente curiosa e intrigante, che stava tentando di uscire fuori da me.

Nella primavera del 1970, ero stato a Taipei, a Taiwan, ritornando a lla vita urbana dopo un lungo periodo di tempo passato a raccogliere farfalle attraverso l'interno dell'Indonesia. Stavo ammazzando il tempo aspettan-do una compagna di viaggio, che avevo visto per l'ultima volta a Bali, alcu-ni mesi prima. Una notte feci un sogno veramente particolare. Ciò capitò, benché ancora non lo sapessi, lo stesso giorno in cui fu data la notizia, a mio fratello e a mio padre, che nostra madre stava morendo di cancro. Fu una notizia che avrei saputo solamente una settimana dopo. Il mio diario riporta in questo modo le registrazioni di quel sogno:

24 maggio 1970 Io e Dhyanna stavamo camminando su un leggero pendio erboso. Sot-to di noi, la valle era totalmente immersa da ogni parte in nuvole bian-che, che riflettevano il sole nell'azzurro profondo. Davanti a noi si al-zavano delle colline rotondeggianti, lontane diverse chilometri, mi ri- cordavo, nella zona delle Rockies (le Montagne Rocciose, N.d.T.). Eravamo in una zona dalla geografia onirica, da qualche parte nel-l'Ovest del Colorado (dove ero nato e vissuto fino all'età di sedici an-ni). Mentre salivamo, Herr B. (una compagna indonesiana), venne a conoscerci indossando pantaloncini da tennis e indirizzò la nostra at-tenzione verso numerosi palloncini meteorologici, i cui lacci di nylon si erano impigliati nei vicini alberi piegati dal vento. Alla nostra sini-stra, su di una cresta increspata di bianco splendente, c'era un grosso pallone a circa dieci metri, riempito per tre quarti di gas. Le corde che

trattenevano il pallone pieno di gas, sprofondavano in esso, sezionan-dolo come fosse stato una grossa arancia. Non appena lo fissammo, Herr B. schiacciò una leva che era apparsa dal nulla ed esso si gonfiò velocemente come il mio stupore: il vento che soffiava sulla collina non lo avrebbe fatto vacillare? La sua candida massa si mosse sopra di noi, forse a solo cinque metri sulle nostre teste, poi, andando più in al-to, incontrò il vento e il destino che avevo anticipato. Rovesciandosi sul lato, tornò morbidamente sulla terra. Corremmo verso di esso, e altre persone (l'impressione era che fossero bambini) apparvero dalla direzione opposta, correndo anche loro verso la bianca macchina or-mai sgonfia. Dopo la nostra divertente esplorazione del pallone, fummo invitati a casa di B., ora visibile come una stupenda casa "stile ranch" lì vicino (diversa da quella in cui avevo trascorso la mia infanzia). Come en-trammo nella casa, io mi fermai a esaminare una carta geografica ap-pesa al muro che raffigurava il delta del Rio delle Amazzoni, pubbli-cata, come mi informò la legenda, per commemorare una conferenza di una società francese di archeologia che vi tenne un convengo presso una piccola isola nel 1948. Quando rividi Dhyanna, mi disse che i fi-gli di B. le avevano detto che una delle più dense foreste tropicali si trovava lì vicino. Io ero incredulo, come solo lo può essere una perso-na che sia familiare con la geografia del Colorado. Tornai alla libreria sotto la carta geografica e, estraendo un grosso atlante, cercai la carta forestale del Colorado, ma la aprii alla pagina dell'Assam, dopo essere passato oltre una descrizione topologica del Bengala. Mi sentii dire che Shalimar era il luogo più logico per il decollo, poi tutto svanì.

Il significato di quel sogno era estremamente oscuro in quel periodo e, anche adesso, resta poco chiaro. Ciò che è chiaro è che bisognava aspet-tarsi la predizione di una data in cui si sarebbe verificato un evento impor-tante, proprio nel delta del Rio delle Amazzoni. Sperai allora che l'eclissi totale di sole fosse proprio quell'evento anticipato molto tempo prima e il suo collocarsi esattamente sopra la vagina della Grande Madre, la Terra, anticipasse un evento straordinario per tutti quanti.

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BALLANDO CON LENIGMA

In cui ricordo il mio pseudoreclutamento da parte di una banda di scienziati nazisti rinnegati

mentre visito Timor.

ALCUNI MESI PRIMA DEL SOGNO PREMONITORE, MI CAPITÒ UNO

strano incidente, che ora considero come un'ulteriore prova del fatto che ero destinato ad andare in Amazzonia e che, in qualche

modo, ero caduto nell'incantesimo della risata cosmica. Nel febbraio 1970, un anno prima di arrivare a La Chorrera, il mio va-

gabondare mi aveva spinto nell'isola di Timor, nell'Indonesia orientale. Ri-cercato negli Stati Uniti con la pesante accusa di traffico di hascish, viag-giavo e vivevo con la terribile angoscia che gli agenti della polizia interna-zionale stessero setacciando il pianeta, a lla mia ricerca. La mia copertura, quella di uno studente laureato in entomologia, in pratica un collezionista di farfalle, che faceva studi in questo campo per specializzarsi, aveva fun-zionato bene per i primi sei mesi, mentre attraversavo lentamente la Male-sia, Sumatra, Giava e una moltitudine di altre isole meno famose ma egual-mente esotiche.

Un pomeriggio particolarmente afoso e piovoso, stavo fumando ganja nella mia stanza al "Rama", il migliore in quanto unico hotel a Kupang, a Timor. Fino a quel momento ero stato l'unico cliente dell'albergo e, dopo dieci giorni di permanenza, me ne sentivo il padrone. Non che fosse sun-tuoso, infatti il "Rama" era costruito con blocchi di lava vulcanica e le pa-reti delle sue otto stanze tutte uguali non toccavano il soffitto. La struttura

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VERE ALLUCINAZIONI

delle pareti e i canali di scolo installati ai lati del pavimento leggermente inclinato, le davano l'allegra atmosfera di un macello nuovo di zecca. Co-munque era molto pulito, come sempre faceva notare il direttore.

Mentre fumavo, a gambe incrociate sulla mia coperta, controllando ciò che avevo collezionato la mattina nella giungla, mi accorsi dell'arrivo di al-tri ospiti. Sentii cinque o sei persone che parlavano tedesco e spostavano i bagagli nell'ingresso, uno spazio centrale con quattro sedie, una di fronte all'altra sopra un tappetino logoro. Pensai che fossero dei viaggiatori arri-vati con l'aereo del pomeriggio da Darwin e che sarebbero volati a Bali il giorno dopo, con il volo da Timor di mezzogiorno. Quella che doveva es-sere una coppia, a giudicare dalle voci, occupò la stanza di fianco a lla mia. Riconobbi alcune battute di tedesco, ma la donna parlava una lingua che non conoscevo.

Quando uscii per cenare non c'era nessuna traccia dei nuovi arrivati. La mattina dopo mi alzai all'alba per salire su un aereo militare indonesia-no che mi portò nella vicina isola di Flores, il successivo obbiettivo nella mia caccia alle farfalle; non pensai più ai tedeschi fantasma, ormai lontani e che, credevo, non avrei mai più rivisto. Passai una settimana nelle fore-ste di Flores insieme a un prete alcolizzato olandese con un piede deforme che era a capo di una missione nell'interno boscoso dell'isola. Quindi tor-nai nella soffocante capitale costiera, Maumere, una piccola città nel cen-tro della quale, lungo la strada principale non asfaltata, c'erano mucchi di noci macadamia che si seccavano al sole, in attesa di essere impacchettate ed esportate. A Maumere vi era un piccolo hotel cinese con due stanze, nel quale pensavo che sarei rimasto una notte, prima di tornare a Bali.

Poi arrivò la nebbia. Era una nebbia tropicale densa come una zuppa e incollata al suolo, che l'albergatore cinese mi assicurò che, in quel periodo dell'anno, sarebbe durata alcune settimane. Il giorno dopo, andai all'aero-porto ma fu chiaramente inutile. L'aereo da Bali fece alcuni giri in cielo, cercando un varco per fendere la nebbia e poi se ne volò via. Ero abituato a questo tipo di ritardi, i viaggi in Asia sono fatti di ritardi. Tornai all'hotel per un'altra partita a scacchi con il campione locale, sicuro che íl giorno dopo sarebbe stato limpido.

Cinque giorni dopo ero ancora a Flores. Avevo giocato a scacchi con tutti, stavo finendo la mia provvista di droghe e lo spettro di rimanere a Maumere per sempre era troppo reale per essere solo uno scherzo. Decisi di dimenticarmi di Bali e feci sapere che avrei preso qualsiasi aereo per al-lontanarmi da quel posto.

BALLANDO CON L'ENIGMA

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Questa mia decisione bastò per permettere a un aereo di atterrare at-traverso le nuvole. Era il volo settimanale Garuda per Kupang. Prima di poter cambiare idea, ero sul volo per Timor.

La città non era per nulla cambiata e la mia visita precedente mi dava il diritto di non essere trattato da turista dai ragazzi dei risciò, con i quali avevo al contrario una certa confidenza. Mi sentivo quasi come fossi tor-nato a casa. "Rama Hotel", dissi al mio portatore favorito e, ancor prima di entrare nella mia stanza, la numero uno, i tornei di scacchi a Flores, im-mersi nella nebbia, non erano altro che un sogno.

Non appena mi sdraiai sul letto guardando la ventola del soffitto sullo sfondo di metallo arrugginito cosparso di ragnatele, mi resi conto della presenza di voci nella stanza accanto. Tedesco e qualcos'altro, pronuncia-to da una leggera voce di donna, molto più esotico dell'indonesiano, forse pashtù, pensai. Apparentemente i viaggiatori che erano arrivati la sera pri-ma della mia partenza circa due settimane prima, erano ancora qui. Ciò si-gnificava chiaramente che non erano turisti: nessuno, senza una buona ra-gione, si ferma troppo a lungo a Kupang.

Io non sono molto estroverso. In quei giorni avevo sempre tentato di evitare incontri con persone che ritenevo "non-freak". Comunque, quella sera, uscendo dalla mia stanza per andare a mangiare, la porta della stanza di fianco alla mia si aprì e io mi trovai faccia a faccia con i suoi occupanti.

"Herr McKenna, forse?" Come mi voltai verso colui che mi aveva posto la domanda, il disagio

che provai per aver sentito il mio nome dovette apparirmi chiaramente in volto.

"Il direttore mi ha detto delle sue ricerche biologiche a Timor. Mi per-metta di presentarmi. Sono il dottor Karl Heintz della Far Eastern Mining and Minerals, Inc."

ll mio sollievo fu immediato. Ovviamente questo non era un tipo da Interpol venuto per arrestarmi, però ne aveva l'aspetto. Aveva i capelli co-lor grigio metallo tiratissimi all'indietro, e scintillanti occhi intensi di un blu glaciale. Aveva una cicatrice sulla sua guancia sinistra, un lungo, sotti-le segno. Non avevo mai visto una schmiss prima [la cicatrice del duello d'onore diffuso nelle università tedesche sino alla Seconda guerra mon-diale, spesso esibita come segno d'orgoglio, N.d.R.] ma quella parola da cruciverba cominciò a frullarmi in testa. Mi domandai se l'avesse potuta ricevere in maniera tradizionale, nel duello alla spada che fa parte della goliardia che era di moda nelle università prussiane.

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VERE ALLUCINAZIONI

coltà ci ha reso invincibili!" A quest'ultima parola, la sua voce si fece sten-torea e il suo pugno colpì quel tavolo traballante così forte che le nostre bottiglie di birra Bintang da un litro sussultarono come se approvassero.

Notando la mia incertezza, continuò: "È sorpreso, vedo. Forse si sta chiedendo di quali privazioni e di quali difficoltà sto parlando? Eccole: noi tutti siamo vissuti nel periodo di Hitler e de lla guerra. La Germania non era più nulla dopo la guerra. Nella mia cara Berlino non c'era più in piedi niente. Noi eravamo come degli scarafaggi, tra le rovine dell'Euro-pa. Posso aggiungere anche che tutti i conti bancari delle famiglie delle SS furono bloccati. Mia madre, la mia povera aristocratica madre, si ridusse a vendere i dipinti di casa nostra per comprare patate per dar da mangiare a se stessa e alla mia giovane sorella. Riesce a immaginarselo?"

"Oh no," pensai, "non può essere un nazi. Mi sta dicendo di essere sta-to un nazista?" Tentai di controllare il mio sguardo pieno d'orrore, ma il mio interlocutore era ormai preso da un turbine e non ci fece caso.

"Mio padre fu catturato dai Russi durante la battaglia di Berlino. Fu impiccato come un cane a Mosca, per crimini di guerra. Riesce a immagi-narselo? Verdammen Russian schweinen, con che faccia possono parlare di crimini di guerra? E fu così per tutte le SS".

Questa conversazione fu come un brutto sogno o un film di serie B. Guardai in faccia il mio interlocutore che ricambiò lo sguardo con totale impassibilità. Mi sembrò importante cercare di deviare la conversazio-ne, anche leggermente: "E lei, Herr Heintz... quale fu il suo ruolo in tut-to ciò?"

Lui si bloccò: "Io non ero nessuno. Un pilota dei Messerschmidt nella Luftwaffe. Solo un buon tedesco". Quest'ultima frase fu detta senza alcu-na ironia. "Prima della guerra ero un giovane studente in ingegneria. La guerra cambiò tutto. Dopo la guerra, alcuni di noi, miei compagni, giova-ni scolari del `Max Planck Institute', ci riunimmo fra le rovine di Berlino. Avevamo chiuso con l'ideologia, con i maestosi sogni politici".

Questa era la prima notizia confortante dall'inizio della conversazione. Decisi di festeggiare ordinando al cameriere indonesiano un altro giro di birre mentre Heintz continuò a parlare: "Eravamo un gruppo molto pic-colo, veramente miserando, ma eravamo uniti dalla nostra reazione all'or-rore che ci circondava. Decidemmo di costruire un mondo nuovo per noi stessi, un mondo basato su due principi, due grandi poteri, il potere del capitale e della scienza Iniziammo lentamente, con brevetti supersegreti, che furono scoperti al 'Planck Institute' durante la guerra. Ci ingrandim-

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mo e ci stabilimmo a Singapore. Non c'erano dilettanti, ogni membro del nostro piccolo gruppo era un genio. Il nostro fürher era un professore che ci aveva istruito, un vero genio. Il suo nome era Max Bockermann. Fu lui che ci tenne uniti, fu la sua fede e la sua forza che rese tutto possibile".

La schmiss sul suo petto, a questo punto della conversazione, era di-ventata rosso brillante. Speravo che non ci fossero più altre cadute di stile nella conversazione, ma mi sbagliavo; potevo vederlo muoversi, sotto l'in-fluenza del terzo litro di birra Bintang, da un trasporto appassionato fino a un malinconico sentimentalismo. "Nessun altro uomo ci ha mai amato così come Bockermann amò noi. Fummo i suoi bambini, i suoi uccellini, ja. Quando sembrava che non ci fosse più speranza, ci ispirò: ci fece cre-dere in noi stessi".

Le lacrime uscivano dai suoi occhi, poi riprese l'autocontrollo e conti-nuò: "E qual è il risultato? FEMMI, Herr McKenna, Far East Mining and Minerals Incorporated. Siamo cresciuti e prosperati: dal nostro ufficio in Singapore controlliamo progetti in undici paesi diversi. Olio, nichel, sta-gno, bauxite, uranio, abbiamo tutto. Ma abbiamo anche di più, abbiamo l'amore, la fratellanza, la comunità e il potere di trasformare i nostri sogni in realtà". A questo punto mise la sua mano sulla coscia della moglie. Io distolsi lo sguardo.

Quando ritornò dalla profondità delle sue tristi rimembranze, il suo stato era mutato: "Ci parli di lei, Herr McKenna. È chiaro che sta vivendo come uno zingaro... e noi zingari abbiamo sempre le nostre storie da rac-contare: avanti, ci narri le sue".

Deglutii a fatica. Non sembrava il tipo di persona che avrebbe apprez-zato le mie storie di battaglie contro la polizia, sulle barricate di Berkeley, a fianco di gruppi come i "Persian Fuckers" e gli "Acid Anarchists". E neppure la mia partecipazione allo "Human-Be-In" o alle orge selvagge della Summer of Love nel quartiere di Haight-Ashbury sembravano perti-nenti. Anche il mio recente lavoro in qualità di contrabbandiere di hascish in India e i miei successivi spostamenti sotto copertura per evitare di esse-re catturato dall'Interpol sembravano poco adatti per rispondere a lle sue domande.

Decisi di risolvere con la solita mezza verità che usavo per le persone perbene: "Sono uno studioso di storia de ll 'arte che si è trasformato in bio-logo. Sono andato in Nepal per studiare il tibetano, ma mi sono accorto di non essere portato per le lingue, specialmente se si tratta di lingue asiati-che. Sono tornato alla biologia, il mio primo amore. Per essere preciso so-

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no un entomologo. Sto raccogliendo farfalle qui in Indonesia ripercorren-do la strada di Alfred Russe ll Wallace. Fu lui il vero scopritore della teoria della selezione naturale, ma era uno scienziato di una classe sociale infe-riore, e Darwin si prese tutto il merito. Wallace fu bastonato da lla scienza vittoriana perché era de lla classe sbagliata e non seppe sfruttare le cono-scenze politiche allo stesso modo di Darwin. Wallace esplorò anche il ba-cino delle Amazzoni e, se tutto va bene, anch'io spero di arrivare laggiù per fare delle ricerche. Forse scriverò una monografia sulle specie di far-falle dell'Amazzonia e dell'Indonesia orientale, che mi frutterà la specia-lizzazione. Poi, chissà. Forse potrei insegnare. Comunque è ancora diffici-le da stabilire".

"Quindi lei è un vero zingaro. Uno fuori da lla norma, vedendo anche il suo aspetto. Mi piace. Ci piace questo giovanotto, vero Rani?" Era la pri-ma volta che si rivolgeva direttamente a sua moglie durante tutta la serata. Lei rispose scuotendo la testa senza mai distogliermi gli occhi di dosso. "Ja, bene. Adesso mangiamo. E domani parleremo ancora. Domani matti-na faremo colazione insieme". Detto questo si gettò sulla sua bistecca di bufalo di fiume con impressionante voracità.

Più tardi tornammo all'hotel insieme, ma a quell'ora l'elettricità era già stata sospesa in quella parte della città, per cui dovevamo prestare atten-zione alla strada, così fangosa e scivolosa. Non vi furono altre battute inte-ressanti. Appena giungemmo nell'atrio dell'hotel, egli si rivolse a me: "Chiamami pure Karl. Jetzt wir sind freunden. Hai capito?" Dissi di sì con la testa e ci accomiatammo.

La colazione fu un'altra storia: qualsiasi contributo avesse dato la birra alla conversazione della sera prima, doveva essere stato minimo, poiché dopo cinque minuti seduti al tavolo, lui era di nuovo tutto preso.

"La notte scorsa abbiamo parlato delle tue ambizioni di visitare l'Amazzonia. È un sogno lodevole ma, credimi, conosco molto bene l'Amazzonia, una giungla grande come un continente; non è certo come queste isole. Qui è facile stare coi preti e fare spedizioni nella foresta per una o due settimane ma, per fare un bel lavoro in Amazzonia, bisogna es-sere in grado di sostenersi per alcuni mesi. Avrai bisogno di una barca, d'equipaggiamento e portatori. Credimi, io la conosco, non è fatta per gente comune. Perciò ti faccio una proposta. Mi hai detto che il tuo lavo-

BALLANDO CON L'ENIGMA

ro qui è quasi finito, che partirai presto per il Giappone per raggranellare qualche soldo e poi andare in Sud America. Abbandona questo piano e fai quanto segue: la FEMMI ha molti interessi nell'Amazzonia brasiliana; due anni fa ho fatto parte di un gruppo di spedizione che ha fatto impor-tanti scoperte. Casualmente, proprio ora stiamo organizzando una secon-da spedizione per un esame più approfondito. Le nostre squadre sono so-litamente formate da tredici persone tra cui vi sono, ovviamente, alcuni scienziati. La nuova squadra è quasi completa ma Bockermann, se gradirà la tua presenza, accetterà volentieri le mie raccomandazioni per farti inse-rire nel gruppo. Verrai pagato bene e in cambio dovrai semplicemente ter-minare quella monografia che hai già pianificato. Vedi, con la presenza di scienziati nel gruppo, possiamo scaricare un sacco di spese da lle tasse, inoltre noi siamo convinti sostenitori della ricerca scientifica. Questo pro-getto deve essere approvato a Singapore ma, se accettano, partirai imme-diatamente. Conoscerai Bockmann, ti offriremo visite dentistiche e medi-che gratuite, occhiali nuovi e due settimane di tennis in modo da mettere in forma perfetta il tuo fisico. La nave da crociera Rotterdam farà scalo a Singapore tra un mese. Spediremo tre barche veloci modificate, tutto il nostro equipaggiamento e la squadra intera col Rotterdam. A Rio conti-nuerai ad allenarti per due settimane al `Krosnopolski Hotel', dove trove-rai degli ottimi campi da tennis. E ti dirò di più: il vecchio cuoco di mio padre lavora lì! Ti ingrasseremo un po' e poi ti regaleremo il tuo sogno d'Amazzonia. Allora, che ne dici?" Si appoggiò allo schienale, evidente-mente soddisfatto di se stesso.

Ero stato preso completamente di sorpresa. Lui aveva ragione a soste-nere che viaggiare in Amazzonia è troppo difficile per una persona sola. Lo stesso Wallace lo aveva detto; lui ci si era buttato dentro per esplorarla con il botanico Richard Spruce e con Walter Henry Bates, colui che sco-prì il mimetismo animale. Ma io non ero in realtà colui che credeva Heintz, non ero un accademico. Ero un ricercato internazionale con una taglia sulla testa. E poi, pensai, cosa sarebbe successo della mia fidanzata hippy che stava studiando danza a Bali e che pensava che saremmo andati in Giappone insieme? Il fatto di menzionare gli obblighi verso un'altra persona mi sembrava, in quel momento, fuori luogo. E riguardo alla nazi-connection? Avevo veramente voglia di addentrarmi nella foresta pluviale amazzonica con un gruppo di ex SS? Dall'altro lato, stavo finendo tutti i soldi e la mia fidanzata in mia assenza aveva sempre avuto un debole per gli affari poco puliti. Riguardo al problema "nazista", ero confuso. Sapevo

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che Max Planck era stato la sola persona che avesse avuto il coraggio di opporsi a Hitler, dicendogli di tenere le mani lontano da lla scienza pura dell"`Institute". Anche Heintz era andato molto oltre facendomi sapere che suo fratello, un altro componente della FEMMI, era sposato con quella che descrisse come "una donna nigeriana così nera che sembra quasi blu", e anche la donna che lui stesso aveva scelto non si poteva di certo definire ariana.

Pensai fra me: "Questo è il destino che sta bussando alla tua porta... e adesso McKenna?" Passai dal viso di lui a quello di lei. Sembravano en-trambi sinceramente in attesa. "Questa è una offerta generosa, veramente straordinaria", dissi.

"Allora, accetti?" "Sì." "Bene, hai fatto la scelta giusta. Non sei un uomo comune. Mi piaci." "Grazie. Come sa, io devo tornare a Bali questo pomeriggio. Laggiù ho

una collezione di farfalle e degli affari da sbrigare. Inoltre, te lo confesso, sto finendo i soldi."

"Questo non è un problema. Aggiusta i tuoi affari a Bali. Manderò un telegramma a Singapore per procurarti i soldi per il volo da Bali a lla no-stra sede. C'è solo una cosa," e, dicendo questo, il suo sguardo d'acciaio divenne ancora più duro e mi fissò freddamente come se mi stesse inqui-sendo, "dovrai essere interrogato da Bockmann in persona. Lui può vede-re nell'anima di una persona; se vi è anche il ben che minimo elemento di falsità in te o nella tua storia, lui la scoprirà e, in questo caso, niente più af-fari insieme. Questo è veramente importante, non devono esserci uomini comuni!" La schmiss divenne una linea arrabbiata ancora una volta.

Quest'ultimo discorso fu come un colpo al cuore. "Niente affari, capi-sco!" Ma pensai: "Merda, in quale guaio mi sono cacciato?" Ci stringem-mo le mani e me ne andai in albergo per preparare le mie cose. Poi corsi all 'aeroporto.

La mia mente durante il viaggio di ritorno a Bali era un vulcano in eru-zione. Una a una, le isole della Sonda minore mi scivolarono sotto e, come loro, anche i miei dubbi e le mie obiezioni sull'offerta di Heintz. "Questa sembra una occasione offerta dal destino," pensai, "giocala, da lle una pos-sibilità e guarda cosa succede".

Nelle settimane successive feci i preparativi. Raccontai la storia ai freak di Kuta Beach e molti mi incoraggiarono. La mia fidanzata mi sostenne. Avevamo deciso, mesi prima, che Bali sarebbe stato il punto da cui le no-

IALLANIIDO CON L'ENIGMA

stre strade si sarebbero divise. Tutti i giorni andavo a piedi al fermo-posta dell'ufficio postale di Denpasar, aspettandomi di trovare i miei biglietti e i

cinquecento dollari in traveller-cheques che Heintz mi aveva promesso. Passarono tre giorni, poi cinque e, infine, sette.

La mattina del settimo giorno, mi svegliai con l'idea di essere stato pre-so per il culo. Era stato come una specie di gioco psicologico. Pensai che Heintz doveva essere pazzo, uno squilibrato che si divertiva a far abboc-care i freak americani con segreti su megacorporazioni naziste e di risbat-terli poi nella realtà, solo per vedere che faccia facevano. Certamente c'era anche un'altra possibilità: che in qualche modo fossero stati capaci di in-dagare sulla mia identità e avessero scoperto chi fossi in realtà. Ciò mi avrebbe subito inserito nella classe degli uomini comuni e avrebbe manda-to all'aria le mie speranze. Ma, di sicuro, mi ero reso ridicolo dicendo a tutti a Bali che stavo per imbarcarmi sul Rotterdam per un viaggio intera-mente sponsorizzato in Amazzonia.

Avrei dovuto sopportare una serie di ulteriori prese per il culo per le prossime due settimane, così decisi di tornare ai miei pi ani originali e fare una spedizione finale in Indonesia attraverso Ambon e Seram nelle Mo-lucche.

Classificai l'intero episodio seppellendolo nella mia memoria in quel posto che chiamo "persone strambe che ho incontrato in viaggio". Ma si trattò di una sepoltura agitata. Un anno dopo, in un pomeriggio di La Chorrera, capii che l'episodio non era stato altro che una conseguenza premonitrice della vera pazzia che mi si parò davanti in Amazzonia. Era stata un'anticipazione, un'onda nel campo del tempo, una specie di sogno profetico a occhi aperti, una testimonianza de lla risata cosmica. Ma non fu l'ultimo riguardo a Herr Heintz.

Un anno dopo gli eventi di La Chorrera e due anni dopo la mia visita a Timor, nella primavera del 1972, mi ritrovai a Boulder, nel Colorado. Ero ritornato dal Sud America per cercare di rimettere a posto la mia situazio-ne legale e di lasciarmi alle spalle la mia vita "on the road". Io e Dennis stavamo lavorando insieme al manoscritto di The Invisible Landscape e trascorrevamo molto tempo nella biblioteca dell'università, studiando le diverse discipline che dovevamo padroneggiare per permettere alle nostre teorie di essere prese seriamente in considerazione.

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Un giorno stavo dando una occhiata al giornale studentesco, quando notai un annuncio strabiliante Una pagina intera era riservata per annun-ciare che la University of Colorado, in associazione con il "Max Planck Institute" di neurofisiologia, avrebbe sponsorizzato la successiva edizione del congresso mondiale di neuroscienza. A lle parole "Max Planck Institu-te" la mia attenzione si fece più intensa e mi misi a leggere. Settecento scienziati da tutto il mondo si sarebbero incontrati a Boulder per dieci giorni di riunioni e seminari. Ci sarebbero stati tutti i migliori: John Ec-cles, John Smythies, Solomon Snyder e tutti gli altri, gli dei del Walhalla che sognavamo di conquistare. Il problema era che tutti i dibattiti sareb-bero stati riservati, con la sola eccezione per la conferenza d'apertura, inti-tolata Ipercicli autocatalitici e tenuta dall'allora regnate stella della neuro-scienza, Manfred Eigen del "Max Planck Institute".

Avevo studiato le teorie di Eigen. Gli ipercicli autocatalitici mi sembra-vano un ovvio e necessario correlato alle teorie su cui stavo lavorando ri-guardo all'onda temporale e il modo in cui essa trovava espressione e ri-flesso negli organismi viventi. Io, Ev e Dennis avremmo dovuto parteci-parci a ogni costo. Comunque non diedi molto peso al "Planck Institute" essendo il maggiore istituto tedesco di ricerca pura con centinaia di ricer-catori sul proprio libro-paga.

Le conferenze si sarebbero tenute nella sala di lettura del dipartimento di fisica, uno spazio a forma di botte con íl relatore in fondo, circondato da tre lati di file di sedie, qualcosa di simile a un vecchio teatro. Ci fu una cena in abito scuro prima della conferenza e, non appena riuscimmo a in-filtrarci per prendere posto, ebbi l'impressione che la folla di scienziati, solitamente trasandati, si fosse ben agghindata per l'evento. Vi era un mi-scuglio di linguaggi. Da dove ero seduto io potevo sentire tedesco, italia-no, giapponese, russo, una specie di indiano, spagnolo e cinese.

Quando i miei occhi si spostarono sulla folla, provai improvvisamente qualcosa molto simile a una scossa elettrica: lì , a dieci metri da me, dall'al-tra parte dello spazio per i relatori, sedeva il dottor Karl Heintz! Mi sentii completamente strabiliato. Heintz! Qui! Era veramente lui? La mia agita-zione doveva averlo colpito, poiché notai che muoveva la mano verso la tasca della sua giacca e con un gesto veloce e impeccabile rimosse la tar-ghetta con íl suo nome e la fece cadere nella tasca. Non interruppe neppu-re l'animata conversazione in tedesco in cui era preso con la persona che sedeva alla sua destra. Io guardai da un'altra parte, cercando di far finta di non averlo riconosciuto, di non aver notato nulla. Le luci si abbassarono e

Manfred Eigen, magnifico nella sua folta chioma di capelli bianchi portati all'indietro, iniziò a parlare.

La mia mente cominciò a correre. Era tutto vero? Lui era qui! Questo era un evento organizzato dal "Planck Institute". Doveva essere tutto ve-ro. Mi aveva riconosciuto ! E stava tentando di nascondere la sua identità! Mi sentivo eccitatissimo mentre riassunsi brevemente su di un foglio la si-tuazione e la passai a Dennis ed Ev. Entrambi mi risposero con degli sguardi del tipo: "Stai scherzando o sei diventato pazzo?" Sedevo lì al buio riflettendo sulla situazione. Qualsiasi cosa stesse dicendo Eigen l'avrei dovuto risentire dopo, ascoltando la cassetta che stava registrando Dennis. Alla fine mi decisi: nessun gesto avventato, completa indifferenza. Sapevo che ci sarebbe stata un'opportunità di avvicinarlo appena fosse fi-nita la conferenza. Allora avrei fatto la mia mossa.

Mentre Eigen stava brillantemente concludendo il suo discorso comin-ciai a spostarmi. Non appena l'applauso si spense e le luci si accesero, la gente cominciò a dirigersi verso le uscite: Heintz era a pochi metri che parlava animatamente con una coppia di colleghi simili a rospi. Notai che lui mi stava guardando e, non appena cominciai ad avvicinarmi, si scusò con gli altri e si diresse verso di me. Era chiaro come l'obbiettivo di questa manovra fosse di non far udire da nessuno la nostra conversazione. Io mi mossi decisamente verso di lui.

"Dottor Heintz. Credo di avervi conosciuto a Timor". E gli porsi la mano.

Ignorando la mia mano tesa, mi fece un gran sorriso ma con la schmiss che arrossava a vista: "Heintz? Heintz? Il mio nome non è Heintz. E non sono mai stato a Kupang".

Quindi si girò velocemente e raggiunse i suoi colleghi che stavano uscendo, unendosi al loro animato entusiasmo per l'intervento di Eigen. La parola "Kupang" risuonò nelle mie orecchie. ll bastardo mi stava prendendo in giro! Come disse il re a Mozart: "Te la sei voluta!"

Un pazzo, una creatura della mia febbricitante immaginazione, un ciarlatano, o la punta di un iceberg nazista di intriganti sognatori? Non ho nessuna risposta. Ecco cosa succede con la risata cosmica.

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18 COSA SIGNIFICA?

In cui tento di collegare le nostre esperienze a una scienza che è tutt'altro che canonica.

ANCHE SE ABBIAMO LASCIATO L'AMAZZONIA, QUESTA STORIA STRANA

e coinvolgente continua ancora un po'. È il momento di tirare qualche conclusione riguardo alle teorie generate a La Chorrera.

Un modello del mondo è un modo di vedere e assimilare la teoria dell'on-da temporale, che sta sopra di noi, che ti spinge a vedere il mondo in ma-niera diversa. Il mio approccio è quello di cercare di garantire la possibi-lità che la teoria sia vera. Un giorno potrà anche essere confutata, ma fino a quel momento, io ci crederò. Forse, se viene diffusa, altri la renderanno più stabile e la contestualizzeranno. Molte brillanti teorie scompaiono per mancanza di un contesto. Ma questa teoria propone una fondamentale ri-costruzione del modo in cui vediamo la realtà e colma le mie aspirazioni spirituali perché è comprensione, semplice e pura comprensione.

La teoria elaborata a La Chorrera non nega nessuno dei saperi piutto-sto li aumenta. C'è un argomento a favore de lla teoria a livello fisico, an-che se è veramente complicato, dal momento che riguarda aree che coin-volgono la fisica quantistica, la biologia submolecolare e la struttura del DNA. Queste idee sono espresse, spero precisamente, in The Invisible Landscape.

Anche se, mettiamo il caso, ciò che Dennis fece in Amazzonia può non aver generato l'idea che ho cercato di sviluppare, ho comunque la forte in-

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COSA SIGNIFICA?

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tuizione che mi spinge a ritenerla vera. Nel periodo dell'esperimento, le mie idee personali furono sostituite con delle meditazioni particolarissime che non potevo riconoscere come mie. Lui eseguì l'esperimento e fu come se io avessi ricevuto una risposta nel mio DNA, o un altro magazzino di molecole simile. Ciò avvenne perché le molecole psichedeliche si legarono con il DNA e si comportarono nel modo in cui avevamo previsto: trasmi-sero, attraverso onde radio, un simbolo di totalità la cui struttura profon-da riflette i principi organizzativi delle molecole della vita stessa. Questa totalità arrivò sotto forma di tempo lineare in presenza dello stato di co-scienza ordinario, in un dialogo con il logos. Il logos creò una voce interio-re capace di inquadrare e di dare coerenza al flusso delle nuove scoperte che altrimenti mi avrebbero sopraffatto. Il mio compito divenne quello di scoprire e di riprodurre la struttura simbolica dietro a lla voce e di scoprire se avesse qualche significato oltre che per me e per il mio piccolo gruppo di amici. Mi sentii come se stessi creando un archivio di sistemi per un mondo appena rivelato e dotato di un'infinita varietà. L'onda temporale è una specie di mandala matematico che descrive l'organizzazione del tem-po e dello spazio, è una fotografia dei modelli d'energia e di finalità inter-ni al DNA. Il DNA racchiude questi misteri nel tempo, come una registra-zione o una canzone, questa canzone è la vita di un singolo, ma è anche la vita di tutti. Senza una visione superiore, comunque, non si può capire la melodia che viene suonata: la teoria dell'onda temporale è come il risulta-to della sinfonia biocosmica.

Io sono interessato a confutare questa teoria: una buona idea è resi-stente e può sopportare molta pressione. Ciò che successe a La Chorrera non può essere spiegato facilmente, benché richieda di essere spiegato. Se non è così, mi chiedo: qual è la concrescenza, la scinti lla, il punto d'incon-tro con l'altra dimensione? Cosa rappresenta veramente?

È veramente, come appare, un ingresso di una epoca ultradimensiona-le superiore che riverbera attraverso la storia? È un'onda elettrica genera-ta da un evento escatologico a lla fine del tempo? Si possono capire più fa-cilmente le leggi della natura se non le riteniamo come costanti universali, ma piuttosto come fenomeni che si evolvono lentamente. Dopotutto, la velocità della luce, che viene ritenuta una costante universale, è stata mi-surata solamente negli ultimi cento anni. È solamente un processo di pen-siero induttivo credere di estrapolare il principio della costanza della velo-cità della luce in tutti i tempi e in tutti i luoghi e qualsiasi scienziato capa-ce sa che l'induzione è un cambiamento di fede. Comunque, la scienza è

basata sul principio dell'induzione e questo principio è ciò che la teoria dell'onda temporale mette in discussione. L'induzione comporta che se uno compie l'operazione A e ha come risultato B, allora ogni volta che si avrà A, di conseguenza vi sarà anche B. In realtà, nel mondo reale, A e B non avvengono nel vuoto. Altri fattori possono intromettersi in qualsiasi situazione reale, spingendola verso una conclusione non ordinaria.

Prima di Einstein, lo spazio era una dimensione dove si ponevano le co-se: era un termine analogo a "vuoto". Einstein sostenne che il tempo è una cosa che possiede un punto di torsione e che è condizionato dalla materia e dai campi gravitazionali. La luce, passando attraverso un campo gravita-zionale, si curva perché lo spazio attraverso il quale viaggia, è curvo. In al-tre parole, lo spazio è una cosa, non un luogo dove si pongono le cose.

Ciò che io propongo, in due parole, è che il tempo, che fu precedente-mente considerato come un'astrazione necessaria, debba essere conside-rato come una cosa. Il tempo non solo cambia, ma vi sono differenti tipi di tempo. Tutti questi differenti tipi di tempo vanno e vengono in progres-sioni cicliche su molti livelli; situazioni evolute a seconda de lle risposte al condizionamento del tempo e dello spazio. Questi due modelli condizio-nano la materia. Da lungo tempo la scienza è ben conscia dei modelli del-lo spazio che noi chiamiamo "leggi naturali" ma cosa ne sa dei modelli del tempo? Questa è totalmente un'altra considerazione.

Si è sempre ritenuto che la materia riassumesse la realtà, ma di fatto pos-siede alcune qualità molto più vicine ai pensieri. I cambiamenti nella mate-ria sono definiti da due modelli di agenti dinamici che sono in correlazione: il tempo e lo spazio. Questa teoria possiede alcuni assiomi, uno dei quali è preso in prestito dal filosofo e levigatore di lenti Gottfried Wilhelm von Leibnitz. Leibnitz descrisse le monadi, che indicò come piccoli particolari che sono moltiplicati infinitamente ovunque nell'universo e contengono in loro stesse ogni cosa. Le monadi non sono solamente qui e ora, sono dap-pertutto in qualsiasi momento, oppure possiedono dentro di loro tutti i luoghi e tutti i tempi, a seconda del punto di vista. Tutte le monadi sono identiche, ma si interconnettono per creare gruppi più grandi, conservan-do, allo stesso tempo, le proprie prospettive, individuali e uniche. Queste teorie leibnitziane anticiparono il nuovo campo de lla matematica frattale, un esempio esotico della mia idea di modello temporale.

Teorie come questa offrono la possibilità di spiegare altri misteriosi meccanismi della memoria e del ricordo. La distruzione di quote fino al novantacinque per cento de lla materia cerebrale non implica cambiamenti

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CO S A 5IICNIIFIICA? 208 VERE ALLUCINAZIONI

alle funzioni mnemoniche. Sembra che la memoria non sia immagazzinata da nessuna parte, sembra che la memoria permei il cervello. Come un'olo-gramma, tutta la memoria sembra essere presente in ogni zona del cervel-lo. Allo stesso modo, si può prendere un'immagine olografica del Fujiama e dividerla in due; quando una sola metà viene illuminata, l'intera immagi-ne diviene visibile. Si può compiere questa operazione migliaia di volte; l'olografia è composta da un'infinità di piccole immagini, ognuna delle quali, in combinazione con le sue compagne, forma un'immagine sola.

Questo aspetto "olografico" de lla memoria fu ritenuto di estrema im-portanza da pensatori come David Bohm e Karl Pribram. Ma siamo stati io e Dennis che abbiamo suggerito che questa forma di organizzazione potesse essere espansa al di là del cervello, all'intero cosmo.

La fisica quantistica ha teorie simi li quando sostiene che l'elettrone non è in un posto o in un tempo, ma è una nuvola di probabilità e questa è l'unica cosa che si può dire di esso. Una qualità simile si addice alla mia idea del tempo e della comparazione del tempo a un oggetto. Se il tempo è un oggetto, allora la domanda ovvia è: qual è la più piccola durata rilevan-te per i processi fisici? L'approccio scientifico spingerebbe a dividere il tempo in parti sempre più piccole per poter scoprire se esiste un'unità in-divisibile. L'oggetto di questa ricerca si chiama chronon, o particella di tempo. Io credo nella esistenza del chronon, ma non credo sia distinto dall'atomo. I sistemi atomici sono chronon, gli atomi sono molto più com-plicati di ciò che si può sospettare. Io credo che gli atomi posseggano pro-prietà non conosciute, che contano non solo per le proprietà della mate-ria, ma anche per l'esistenza dello spazio-tempo.

I chronon potrebbero non essere riducibili agli atomi, ma credo che ciò che si troverebbe sarebbe una particella-onda che compone la materia, lo spazio-tempo e l'energia. Questo chronon è ancora più complicato della descrizione classica del sistema atomico compiuta da Heisenberg e Bohr. Il chronon possiede delle proprietà uniche che gli permettono di funzionare come un costituente fondamentale dell'universo nel quale crescono menti e organismi. Per ora non siamo stati ancora capaci di definire le dinamiche che permetterebbero alla particella di essere attiva come pa rte fondamen-tale di un organismo pensante o vivente. Anche un batterio come l'E. coli è un traguardo stupefacente per l'atomo di Heisenberg e Bohr.

Il modello Heisenberg-Bohr ci permette di simulare l'universo fisico fatto di stelle, galassie e quasar, ma non spiega gli organismi o le menti. Dobbiamo ricoprire quel modello atomico con qualità differenti per po-

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ter presentare fenomeni più complessi. Dobbiamo immaginare un atomo con parametri diversi se vogliamo capire perché esistiam o e come il pen-sare, l'operare e l'esistere possano emergere dal sustrato dell'universo.

Non sostengo di aver già fatto tutto questo, ma ritengo di essere in-ciampato sopra un percorso intellettuale che può essere seguito per rag-giungere questa conoscenza. La chiave si trova nei cicli di variabili tempo-rali, annidata in strutture gerarchiche, che generano diversi tipi di relazio-ni Trattali, che conducono, a loro volta, verso conclusioni sorprendenti.

La persona che ha posto le basi più solide verso la comprensione filo-sofica di questa nozione è Alfred North Whitehead. Non c'è nulla di ciò che abbiamo suggerito superiore alla forza del suo metodo. Il formalismo di Whitehead rende conto di menti e organismi e di un numero di feno-meni risolti in maniera sbrigativa dal metodo cartesiano.

Altri pensatori visionari stanno studiando queste aree. La dinamica de-gli attrattori del caos è l'idea che ogni processo può essere collegato attra-verso un'equazione matematica a un qualsiasi altro processo, semplice-mente per il fatto che tutti i processi fanno parte de lla medesima classe. Il rovesciamento di un dittatore, l'esplosione di una stella, la fecondazione di un uovo, tutto ciò dovrebbe essere descrivibile attraverso un medesimo gruppo di termini.

Il più promettente sviluppo in questa area fu l'emergere del nuovo pa-radigma di Ilya Prigogine e Erich Jantsch. Il loro lavoro fruttò nienteme-no che un nuovo ordine di principi naturali: la scoperta e la descrizione matematica dell'autorganizzazione dissipativa come un principio creativo che mette in luce le dinamiche di una realtà aperta e su più livelli. Le strutture dissipative compiono il loro miracolo generando e preservando l'ordine attraverso le fluttuazioni, fluttuazioni il cui fondamento principa-le si trova nell'indeterminazione de lla meccanica quantistica.

Se si possiede una perfetta conoscenza dell'universo, si può essere in grado, applicando semplicemente questa intuizione, di dire a un uomo quali possibilità di cambiamento risiedano già in lui. Dal momento che questo è un valore determinato, sarebbe possibile, almeno in teoria, ese-guire questa operazione. L'importante è capire i limiti concreti de lla realtà, non quelli probabili di possibili eventi futuri. Sebbene le condizio-ni-limite operino nel futuro, esse sono vincoli probabilistici, non fatti as-solutamente determinati. Noi diamo per scontato che fra dieci minuti, la stanza in cui ci troviamo esisterà ancora: è una condizione-limite che defi-nirà i prossimi dieci minuti nelle nostre coordinate spazio-temporali, ma

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210 VERE ALLUC1IvAZlON 1

COSA SdCi°dIlFl(CA? 211

non possiamo sapere chi ci sarà nella stanza nei prossimi dieci minuti, co-sa che è impossibile da determinare.

Ci si potrebbe chiedere se è veramente possibile sapere se la stanza continuerà a esistere in tutti gli attimi futuri: ecco dove entra in campo l'induzione, poiché in realtà non lo possiamo sapere con certezza. Non vi è nessun modo rigoroso per stabilirlo, ma possiamo sempre avere quell'at-to di fede induttivo dovuto all'esperienza accumulata. Si stabilisce che l'esistenza de lla stanza è una condizione-limite ma in teoria, nei prossimi dieci minuti, potrebbe verificarsi un terremoto e questo palazzo potrebbe crollare. Comunque, perché questo accada, la condizione-limite dovrebbe essere radicalmente rovesciata in modo inaspettato e improbabile.

Ciò che è curioso è che una cosa simile potrebbe veramente accadere. È questo che l'onda temporale permette di dire, cioè che si possano dare condizioni nelle quali si verifichino eventi di grande novità. C'è comun-que un problema a riguardo: dal momento che noi proponiamo un mo-dello di tempo che ha una struttura a spirale per le sue stesse leggi mate-matiche, gli eventi si radunano in spirali sempre più strette che conduco-no inevitabilmente a un tempo terminale. Come il centro di un buco nero, il tempo finale è una necessità singolare, un luogo o un evento in cui le leggi ordinarie della fisica non funzionano. Immaginare ciò che può suc-cedere in presenza di un caso così singolare è, in teoria, impossibile e per-ciò la scienza si è allontanata da una tale idea. Il caso più significativo è il Big Bang, che i fisici ritengono la causa prima dell'inizio de lla nascita déll'universo. La scienza ci spinge a credere che l'intero universo esplose dal nulla, in un determinato momento, senza una causa certa. Questo con-cetto è il caso limite della credulità. In altre parole, se si può credere a ciò, si può credere a tutto. È un'impostazione che è, di fatto, assolutamente as-surda, ma importantissima per tutti gli assunti razionali che la scienza de-sidera mantenere. Le presupposizioni cosiddette razionali derivano da questa impossibile situazione iniziale.

La religione occidentale possiede la propria peculiarità nel concetto di Apocalisse, un evento posto non al principio dell'universo, ma alla fine. Questa sembra una posizione molto più logica rispetto a quella scientifica. Se esistono delle particolarità, è molto più facile supporre che queste po-tessero essere emerse da un cosmo antico e estremamente complesso, come il nostro, piuttosto che da un supervuoto privo di forma e di dimensioni.

La scienza storce il naso a lla vista delle fantasie apocalittiche della reli-gione, pensando che il tempo finale possa significare solamente un perio-

do di entropia senza cambiamenti. Il punto di vista scientifico sostiene che tutti i processi alla fine si bloccheranno, ma l'entropia raggiunge i li-velli più alti solamente in un futuro lontanissimo. L'idea di entropia pre-suppone che le leggi del continuum spazio-tempo siano infinite e linear-mente estensibili nel futuro. Nello schema del tempo a forma di spirale dell'onda temporale non viene fatta questa presupposizione. Inoltre, il tempo finale indica che le leggi di un determinato tipo, che condizionano l'esistenza, perdono di validità e vengono sostituite da un altro gruppo di leggi. L'universo è visto come una serie di ere a scomparti o epoche, le cui leggi sono continuamente differenti fra di loro e il relativo passaggio, dall'una all'altra, avviene con inaspettata subitaneità.

Guardare attraverso gli occhi di questa teoria è come guardare un pun-to nello schema a spirale e sapere e anticipare quando avverrà il passaggio a una nuova epoca. Questo lo si può osservare nel mondo reale: il pianeta ha cinque o sei miliardi di anni. La formazione dell'universo inorganico occupa il primo giro dell'onda a spirale, poi appare la vita. Se si esamina attentamente questo pianeta, che è l'unico che si può esaminare attenta-mente, si può scoprire che i processi stanno aumentando sia in velocità sia in complessità.

Un pianeta orbita nello spazio due miliardi di anni prima che appaia la vita. La vita rappresenta una nuova qualità emergente e comincia in un istante, in una mischia confusa. Le specie appaiono e scompaiono. Questo processo dura un miliardo e mezzo di anni e poi, improvvisamente, fa il proprio ingresso sulla scena un nuovo genere: le specie pensante. Questa nuova fase della storia della mente è breve se paragonata a ciò che la pre-cedette; dalle mute lotte con le schegge di pietra fino alle navi spaziali, so-no circa centomila anni. Cosa poteva essere quell'era se non l'ingresso in una nuova serie di leggi? Una nuova psicofisica permette a lle nostre spe-cie di manifestare nuove proprietà peculiari: il linguaggio, la scrittura, i sogni e il dibattito filosofico.

Come i serpenti a sonagli o i pioppi, gli uomini sono fatti di DNA. Ab-biamo già scatenato qui nel nostro pianeta le stesse energie che illuminano le stelle. Possiamo creare la temperatura dello zero assoluto. Riusciamo in questi obbiettivi perché, nonostante siamo fatti di terra e di fango, le no-stre menti ci hanno insegnato a usare degli strumenti per raggiungerli. Con la tecnologia si possono liberare energie che normalmente si creano solamente in situazioni particolari. Il centro delle stelle è il luogo usuale del processo di fusione.

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212 VERE ALLUCINAZIONI

Facciamo queste cose con l'uso della mente, ma che cos'è la mente? Non abbiamo una risposta. Ventimila anni dalla caccia nomade fino a giun-gere alla cibernetica e ai voli spaziali, e stiamo ancora accelerando. Vi sono ancora molte onde che devono arrivare. Dalla Ford "Model-T" all'astrona-ve. Dal più veloce uomo sulla terra che poteva fare cinquanta chilometri all'ora, fino a venti chilometri al secondo: tutto questo in sessant'anni.

Ancora più enigmatiche sono le predizioni che la teoria dell'onda tem-porale fa riguardo ai cambiamenti vicini di epoche, resi necessari dalla congruenza dell'onda temporale e dal dato storico. L'onda temporale sembra dare una migliore configurazione con i dati storici quando si asse-risce che il cambiamento, o la fine dell'onda, avverrà il 22 dicembre 2012. Abbastanza strano è il fatto che questa data è quella che i maya'assegnaro-no come fine del loro calendario. Cos'è che spinge un individuo del Ven-tesimo secolo e una civiltà centroamericana a porre la fine del mondo lo stesso giorno? Forse perché entrambi usarono funghi psichedelici? La ri-sposta può essere così semplice? Non credo. Piuttosto credo che quando analizziamo la struttura del nostro inconscio profondo facciamo una sco-perta inaspettata, cioè che siamo ordinati con gli stessi principi dell'uni-verso in cui siamo stati creati. Questo concetto, sorprendente all'inizio, diventa rapidamente ovvio, naturale e incontestabile.

L'analogia che spiega come ciò avvenga è fornita da lle dune di sabbia. La cosa interessante delle dune è che queste fanno resistenza a lla stessa forza che le creò, il vento. È come se ciascun granello di sabbia fosse un bit nella memoria di un computer naturale. Il vento è l' input che organiz-za i granelli di sabbia in modo che diventino l'architrave subdimensionale di un fenomeno iperdimensionale, in questo caso il vento. Non c'è nulla di magico in questo e non ci sembra misterioso: il vento, una pressione che è variabile con il tempo, crea una duna increspata, che è una struttura regolare variabile nello spazio. Nei miei pensieri, i geni dell'organismo so-no granelli di sabbia sospinti dal soffio e da lla corrente del vento del tem-po. Quindi, gli organismi producono naturalmente l'impronta delle varia-bili inerenti al luogo temporale in cui sorsero. Il DNA è la tavola di arde-sia sulla quale le variabili temporali in cambiamento si sono susseguite e hanno registrato le loro relative differenze. Qualsiasi tecnica che permetta di scrutare le relazioni di energia dentro a un organismo vivente, come lo yoga o l'uso di piante psichedeliche, darebbe anche la possibilità di scru-tare in profondità la natura variabile del tempo. La sequenza King Wen dell'I-Ching è il prodotto di questo tipo di scoperta.

COSA 57ÙN1EpCAN 213

La cultura umana è una curva di potenzialità in espansione. Nel nostro secolo tormentato sono stati raggiunti dei traguardi straordinari: l'uomo minaccia tutte le altre specie sul pianeta, abbiamo immagazzinato mate-riale radioattivo ovunque e tutte le specie sulla terra ne risentono. Il pia-neta, se considerato come un'entità sensibile, può reagire a questi soprusi: ha tre miliardi di anni e, ha in serbo, diverse opzioni.

Quei discorsi dualistici che sostengono che l'umanità non fa parte dell'ordine naturale, sono privi di senso: non saremmo potuti nascere se non fossimo serviti per un determinato obbiettivo inserito nell'ecologia del pianeta. Non è chiaro quale sia il nostro compito, ma pare abbia a che fare con i nostri numerosi strumenti di ricerca. E poi le crisi! Accumulan-do armi atomiche, abbiamo raggiunto la capacità di distruggere la terra come farebbe un candelotto di dinamite infilato in una mela marcia. Il perché non lo sappiamo. Certamente non per le ragioni politiche e sociali che vengono arrecate come scuse. Siamo semplicemente una specie di creatori di tecnologia che è, essa stessa, uno strumento nelle mani del-l'ecologia planetaria, la quale è un'intelligenza superiore. Lei sa quali sono i pericoli e i limiti su scala cosmica e sta quindi organizzando furiosamen-te la vita sia per preservare sia per trasformare se stessa.

La mia storia è particolare ma è difficile capire a cosa possa servire. Il concetto, rivelato da un visionario attraverso un processo contorto, di porre l'uomo al centro reale dell'azione, viene interpretato come un sinto-mo di malattia mentale. La mia teoria comporta questo, allo stesso modo dell'esperienza immediata e dell'ontologia del giudaismo, dell'Islam e del cristianesimo. La mia teoria può essere considerata clinicamente patologi-ca ma, al contrario di questi sistemi religiosi, ho abbastanza humor da ca-pirlo. È importante saper apprezzare l'intrinseca commedia della cono-scenza privilegiata. È anche molto importante ricorrere al metodo scienti-fico ogniqualvolta sia necessario. La maggior parte delle teorie scientifi-che possono essere confutate nella calma di un laboratorio, contrariamen-te all'evoluzione.

Per identificarsi con le visioni verificatesi a La Chorrera bisogna imma-ginare ciò che si può immaginare. Immagina come cavalcherebbero i men-dicanti, se i desideri fossero cavalli. Le teorie sviluppate a La Chorrera so-no importanti perché hanno offerto nuove possibilità a lla libertà umana. Le leggende amazzoniche di fluidi magici che legano il tempo e che sono generati dai corpi degli sciamani, non sono altro che segnali de lle meta-morfosi del corpo-mente dell'uomo, in uno stato di dimensione superiore.

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VERE ALLUCINAZIONI

COSA SIGNIFICA?

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Se queste trasformazioni de lla materia fossero possibili, si potrebbe farne qualsiasi cosa. Si potrebbe espanderla, salirci sopra e portarla a qualsiasi altitudine, aggiungendo ossigeno in quantità desiderata. Riecco l'immagi-ne ossessionante del disco volante. Ci si può entrare dentro, vestendosi della propria mente come di un vestito bagnato. Il disco volante è un'im-magine della mente umana perfezionata: aspetta, col motore caldo, alla fi-ne della storia umana, su questo pianeta. Quando la mente sarà perfetta, vi sarà una mutazione ontologica della forma umana, nientemeno che la resurrezione dei corpi anticipata dal cristianesimo.

Lo scopo della tecnologia umana è quello di perfezionare e conservare le energie della vita e della morte, del tempo e dello spazio. L'UFO possie-de la capacità di trasformare la mente in un oggetto, un'astronave che può attraversare l'universo nello stesso tempo in cui si può pensarlo. Perché questo è ciò che è l'universo: un pensiero. E quando il pensiero diventa mobile e reso oggetto, l'umanità, ancora inesperta nel perfezionamento dei pensieri, comincerà a decollare.

Certamente potremmo scoprire che non dobbiamo farlo e il futuro po-trebbe rivelare, al contrario, che c'è qualche cosa là fuori che ci sta richia-mando a casa. Allora sarà la nostra tecnologia e la chiamata dell'altra di-

mensione a spingerci verso l'incontro. Il disco volante è un'eccellente me-tafora che indica questa possibilità. Quando Jung ipotizzò l'idea che il di-sco fosse l'animo umano, era molto più vicino a lla realtà di quanto avesse potuto credere. Non è così lontano. E questa è l'altra cosa. L'ultimo cam-biamento di epoca ci diede la teoria della relatività e la meccanica quanti-stica. Ora un altro cambiamento d'epoca s'intravede in lontananza, ma è difficile dire se sarà o no l'epoca finale. Il nostro ruolo come parte del pro-cesso introduce un'incertezza nelle nostre osservazioni che rende diaboli-che le nostre predizioni.

Tutti questi temi fluttuano intorno al DMT, forse perché il DMT crea un microcosmo di questo slittamento di epoche nell'esperienza di un sin-golo individuo. È come se sollevasse la parte percettiva della mente fuori dai confini dello spazio ordinario e del tempo, e raffigurasse un frammen-to di una ben più ampia immagine del possibile. Quando Platone sosten-ne che "il tempo è l'immagine in movimento dell'eternità", fece un'affer-mazione che ogni viaggio dentro allo spazio del DMT riconferma. Come il cambiamento di epoche chiamato Apocalisse e anticipato dagli isterismi religiosi, il DMT sembra illuminare le regioni oltre la morte. Ma cos'è la dimensione oltre la vita così come il DMT la mette in luce? Se possiamo

credere alle nostre percezioni, questo è un luogo dove fiorisce un'ecologia delle anime la cui essenza è più sintattica che materiale. Come se ci fosse un vicino regno abitato da eterne entelechie elfiche costituite interamente da informazione e da una gioiosa autoespressione. La zona dopo la vita as-somiglia molto di più a lla terra celtica delle fate piuttosto che alla nullità esistenziale; almeno questo è quanto si evince dell'esperienza con il DMT.

Noi esseri umani dobbiamo ammettere che la nostra è una situazione particolare: siamo nati, siamo autonomi, siamo sistemi aperti chimicamen-te e indipendenti che mantengono se stessi attraverso il metabolismo in una situazione ben lontana dall'equilibrio. E siamo creature del pensiero. Cosa significa? Quali sono le tre dimensioni? Cos'è l'energia? Noi ci tro-viamo nella strana posizione di essere vivi. Una volta nati, sappiamo che stiamo andando a morire. Un sacco di riflessioni sostengono che non è af-fatto strano che ciò accada nell'universo: le cose vive si manifestano. Ma oggi la nostra fisica, che può accendere i fuochi de lle stelle nei nostri de-serti, non riesce a spiegare la stranezza del fenomeno del nostro essere vivi.

Per il punto in cui si trova adesso la scienza gli organismi sono comple-tamente fuori dal regno de lle spiegazioni fisiche. Allora a che serve? Spen-ser e Shakespeare, la teoria quantistica e i dipinti nelle grotte ad Altamira. Chi siamo? Cos'è la storia e verso che cosa ci spinge? Ora abbiamo inne-scato dei processi potenzialmente fatali per il pianeta. Abbiamo dato l'av-vio alla crisi finale della vita. L'abbiamo fatto e non possiamo controllarla. Nessuno di noi può farlo, nessun leader, nessuno stato può fermare il fatto che ci siamo intrappolati nella storia. Ci stiamo muovendo verso l'inim-maginabile, mentre l'informazione va in cortocircuito sulla reale natura della nostra condizione. Per parafrasare J.B.S. Haldane: la nostra situazio-ne non solo è più strana di quanto avevamo supposto, ma è anche più strana di quanto possiamo supporre.

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^9 UAW KNTO

DEL

I,A STROFARIDE

In cui io ed Ev ci lasciamo e il fungo

declama un discorso solenne, mentre si trasforma in produzione industriale clandestina.

UESTI ERANO I PENSIERI CON CUI HO NAVIGATO DA QUEGLI ANNI

fino a oggi ma, durante due anni dopo il secondo ritorno da La

Chorrera, prima de lla pubblicazione di The Invisible Landscape, non restai inattivo.

Io e mio fratello arrivammo alla conclusione che l'elemento veramente

nuovo, il candidato a essere ritenuto la causa degli eventi di La Chorrera,

era il fungo. Era la stropharia cubensis che stava dietro tutti gli effetti che

sperimentammo. Più cresceva questa certezza, più aumentava la com-prensione del fatto che, per sperimentare nuove spedizioni nell'inimmagi-nabile, si sarebbe dovuto trovare un sostituto del fungo. Durante il secon-do viaggio a La Chorrera il fungo era stato rinvenuto in quantità assai me-no abbondanti della volta precedente. Questa scarsità mi obbligò a racco-gliere un numero di campioni di spore da alcune specie in cui mi ero im-battuto. Questi campioni furono conservati in frigorifero per anni mentre

io e mio fratello completammo la carriera accademica e il nostro libro.

In quegli anni ci dilettammo al pensiero di coltivare la stropharia cuben-sis, ma l'unico testo a disposizione su questo argomento, era il lavoro di

Wasson e Heim in francese, e in qualche altro modo sembrava dimostrare

che si trattasse di un'operazione complicata e tecnicamente difficile da rea-lizzare. Nella primavera del 1972 avevamo già isolato il micelio del fungo e

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218 VERE ALLUCINAZION1 L'AVVENTO DELLA SiCROFRRIg11E 219

l'avevamo fatto crescere su una base di gelatina di alghe. Ma non successe nulla. Poi, all'inizio della primavera del 1975, trovammo un articolo che spiegava un metodo per coltivare i funghi sulla segale dentro a contenitori per la conservazione, in situazioni attentamente controllate. Ci chiedeva-mo se questo metodo avesse potuto funzionare anche per la stropharia cu-bensis e rimettere in moto la nostra esplorazione nel mondo invisibile.

Io ed Ev ci lasciammo agli inizi del 1975. La nostra relazione di conve-nienza, creatasi sulla strada, sfiorì dopo il ritorno alle nostre occupazioni. Ev trovò lavoro velocemente, al contrario di me e si iscrisse a una scuola per segretarie mentre io tornai in California per prendere la laurea in "Preservazione de lle risorse naturali". Come sembravamo finiti lontano dalle esaltanti visioni rivelateci a La Chorrera. Avevamo problemi econo-mici, eravamo frustrati dal punto di vista intellettuale e per di più gli inte-ressi comuni della nostra unione erano scomparsi. Quando giunse la rot-tura, fu un momento tremendo e ne soffrimmo molto. Potevamo anche aver visto il cuore di tutti i misteri, ma ciò non significava che eravamo più saggi degli altri uomini quando si trattava di affari dei nostri cuori. Ev se ne uscì dalla mia vita in compagnia di un mio vecchio amico del periodo dell'Experimental College" e io mi sentivo abbandonato, confuso e col-pito da ciò che sembrava un doppio tradimento.

Quell'orrenda conclusione de lla nostra relazione mi lasciò solo con un'emicrania che mi tormentava continuamente e con la mia solitudine. Stavo finendo la mia carriera scolastica, durata troppo a lungo a causa dei sette anni di vagabondaggio. Fu un periodo di solitudine, di autocritica e di fortissima ansia. Durante il periodo in cui io ed Ev litigavamo continua-mente e ci sbattevamo per trovare un certo tipo di equilibrio interiore, mi ero gettato in uno stato di attività ipermaniacale per tentare di far crescere il fungo. Quindi, quando finalmente ci separammo, mollai tutto e trascor-si giorni e giorni seduto, a fissare i muri o a camminare sulle colline di Berkeley e dello Strawberry Canyon.

Un giorno, tornando da una delle mie lunghe passeggiate introspettive, riflettei sull'esperimento abbandonato e pensai a un nuovo metodo di col-tivare i funghi utilizzando de lla segale sterilizzata. I letti su cui avevo pian-tato i funghi erano senza dubbio asciutti o marciti nella serra nel giardino piccola e trascurata. "Dovrei ripulire la serra e le colture sperimentali", pensai e, se avessi fatto ciò, sarebbe forse stato l'inizio de lla pulizia gene-rale della mia vita, ormai troppo disordinata e psichicamente infelice. Non avevo badato alla serra da oltre due settimane. La sua po rta riluttante

si era gonfiata dall'umidità si era praticamente incollata al telaio e poteva essere aperta solo scardinandola.

Ed eccoli lì! A dozzine, a centinaia, esemplari maturi e perfetti di stropharia. La buia notte dell'anima aveva attirato altrove la mia attenzio-ne e, in quel momento, i funghi erano cresciuti perfettamente. Ero immer-so fino al collo nell'oro alchemico. Le legioni di elfi dell'iperspazio erano venute di nuovo in mio aiuto. Ero salvo! Dopo che avevo trascorso molto tempo esaminando specie su specie, non trattenni lacrime di gioia. Capii che non era ancora finita, il patto non era stato spezzato, la più grande delle avventure era ancora davanti a me!

Lavorando a stretto contatto con Dennis, che era tornato a Boulder, capimmo in poche settimane che la stropharia, con questo metodo, non solo cresceva floridamente ma che sarebbe stato molto più facile coltivare questo fungo rispetto all'agarica venduta nei negozi di alimentari come ci-bo. Le implicazioni di questa scoperta furono un soggetto costante delle nostre consultazioni telefoniche senza fine.

Dalla primavera del 1975 in avanti, non rimasi mai senza rifornimento costante di stropharia. Nel mio mondo di cupo dolore improvvisamente apparve il metodo perfetto per far crescere il medesimo organismo che aveva aperto le porte della dimensione del contatto quattro anni prima. Le spore raccolte a La Chorrera stavano ora riproducendo furiosamente il fungo della psilocibina, in casa mia. Durante la primavera, feci degli espe-rimenti con piccole dosi per diverse volte. Il senso di pace e leggerezza che avevo associato ai giorni felici di La Chorrera era di nuovo vivo; e così era anche la voce che mi insegnava e il ritorno a un nuovo rapporto con un'agenzia cosmica dalle finalità assai complesse.

Durante tutta la primavera e l'estate del 1975, presi il fungo in dosi di cinque grammi, se il fungo era secco, oppure di cinquanta grammi, se era fresco, tutte le volte che mi sentivo sicuro nel farlo, cioè circa una volta ogni due settimane. Ciascuna di queste esperienze fu una lezione, un tuffo fresco, un bagno di gioia in un oceano di immagini poetiche. Scoprii che la mia mente è una moltitudine topologica, che si stende di fronte a me, che mi invita a sbrogliare e ad analizzare il nodo riflettente del tempo, passato e futuro, che compone ognuno di noi. In quei momenti di trance, presenze aliene ed elfi traslinguistici si rivolsero verso di me e il fungo mi mostrò la sua età, la sua vasta conoscenza del flusso e dello scorrere delle forze della storia in molte civiltà, attraverso i millenni. Le immagini del passato e del futuro abbondavano.

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VERE ALLUCINAZIONI

L'AVVENTO DELLA STROFARIDE 221

Una volta mi trovai su una collina con un gruppo di persone. La vista dava su una piana ricurva. Era l'interno di una colonia spaziale cilindrica che si estendeva per diversi chilometri, con moltissimi oblò che si alter-navano a fattorie e città sparpagliate lungo la valle. Sapevo che in quel momento particolare del futuro, in qualche modo, centinaia di milioni di persone sarebbero vissute in quei mondi cilindrici. I mondi che popola-no la galassia nelle menti degli scrittori di fantascienza erano stati ricreati in una sfera di sole dodici ore-luce di diametro e con il sole al centro. In quella sfera migliaia di società indipendenti seguono il proprio destino e la propria evoluzione: migliaia di mondi cilindrici indipendenti sparsi in-torno alla grande fornace energetica del sole. Quale forza creativa ricca ed eterna è diventata l'umanità fuggendo dai confini del mondo! Attra-verso i grandi oblò potevo vedere tecnologie ancora più avanzate, scintil-lanti macchinari di ossidiana, costruite per sfidare distanze al cui solo pensiero la mente si paralizza poste fra noi e i soli del Centauro che para-lizzano la mente. Davanti a me vidi i preparativi della partenza di una na-ve spaziale. Nella mia mente veniva suonava la Fanfare for the Common Man di Copeland.

Altre volte vidi futuri alternativi dove la conoscenza dei funghi non era fusa col senso frenetico di espansionismo dell'uomo. Vidi un pianeta po-polato da una società di schiavi-lavoratori in simbiosi con le macchine. Vi-di la vita del Nord America scorrere attraverso diverse centinaia di anni di sconvolgimenti e mutamenti politici, un'immagine come una grande ani-mata mappa di un'azione militare. Il dualismo fascismo/democrazia attac-cato al collo del Nord America come un albatro. Ancora e ancora: uno stato di polizia fascista da incubo avrebbe travolto come una marea im-pazzita le reali aspirazioni della gente e, ancora e ancora, la resistenza si sarebbe organizzata contro la stupidità dell'oppressore e sarebbe risorta con rivoluzioni selvagge e sanguinose, per garantirsi lo spazio di qualche generazione per inaugurare tentativi di riforme democratiche.

Il fungo tornava sempre sul fatto che fosse sulla giusta via dell'evolu-zione e quindi in sintonia a un'unione simbiotica con ciò che s'intende per "essere umano". Ero entusiasta di condividere il suo senso di permeabilità delle cose, un senso che era stato sviluppato in milioni di anni di esperien-za consapevole come organismo intelligente, che emanava radiazioni in tutta la galassia. Dal suo punto di vista, il fungo è la più vecchia forma di vita e come tale, offre la sua esperienza di moderazione a una vibrante ma ingenua razza di bambini che, per la prima volta, è sul punto di volare ver-

so le stelle. Non appena la nostra immaginazione si e lanciata in avanti per tentare di avvolgere l'altra dimensione intelligente in qualche luogo della galassia, allo stesso modo l'altra dimensione, l'entità superiore, alla vista di ciò, si è rivelato come parte di noi stessi, quando siamo nella trance da psi-locibina. Nel fenomeno provocato dalla stropharia cubensis, ci confrontia-mo con una forma di vita intelligente e dall'apparenza aliena, non come ce la immaginiamo comunemente, ma ciò nondimeno come una forma di vi-ta aliena intelligente. Come avviene di solito, e nella stessa divertente ma-niera, la cultura popolare ha anticipato anche questo strano cambiamento di eventi. The Invasion of the Mushroom People, un pacchianissimo film di fantascienza di serie B prodotto da lle stesse brave persone che ci hanno dato Godzilla, contiene una scena finale in cui una squadra di esploratori giapponesi vengono trasformati, molto oltre la possibilità di identificazio-ne della platea, in un gruppo di funghi che cantano insieme sopra un'isola dentro una foresta pluviale asiatica.

Solo un'anacronistica mancanza di autoriflessione potrebbe portare a supporre che una forma di vita aliena intelligente possa essere, anche per un caso remoto, come noi stessi. L'evoluzione è un incessante fiume di forme e di soluzioni adattabili a condizioni particolari, e la cultura lo è an-cora di più. È più probabile che un'intelligenza aliena sia scarsamente ri-conoscibile da parte nostra, piuttosto che essa si rappresenti a noi in for-me umanoidi, e con una profonda conoscenza de lla nostra rozza capacità industriale. Si può presumere che le specie che viaggiano nello spazio, ab-biano una sofisticata conoscenza della genetica e del funzionamento del DNA e che quindi non portino necessariamente la forma che ricevettero sul pianeta natio. Potrebbero piuttosto somigliare a ciò che vogliono so-migliare. Il fungo, che trae naturalmente vita da sostanze organiche ormai morte e con la sua ragnatela sotterranea di micelio effimero, sembra un organismo progettato sui valori buddisti della non interferenza e del basso impatto ambientale sulla mente.

Alla fine dell'estate del 1975, io e Dennis decidemmo che il mondo che stavamo esplorando aveva bisogno di una platea più ampia. Sperammo di poter creare una comunità di persone consenzienti riguardo a ciò che sta-va succedendo. A tale scopo, scrivemmo e pubblicammo una guida al me-todo che avevamo sviluppato per coltivare la stropharia. All'inizio di quel libretto, introdussi ciò che avevamo imparato di persona riguardo al mon-do dei funghi:

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n fungo parla e le nostre opinioni coincidono con ciò che dice di se stesso, in maniera molto eloquente, nelle fredde notti della mente: "Sono vecchio, molto più vecchio del pensiero della tua specie che è, esso stesso, cinquanta volte più vecchio de lla tua storia. Nono-stante io sia sulla terra da diverse ere, vengo dalle ste lle. La mia casa non è un pianeta, poiché i diversi mondi sparsi sul disco scinti llante della galassia creano le condizioni per le mie spore di vivere e ripro-dursi. Il fungo che vedi è quella parte del mio corpo data ai fremiti del sesso e ai bagni di sole. Il mio vero corpo è una fitta rete di col-legamenti di fibre che crescono nel suolo. Questa rete può esten-dersi per interi chilometri e può avere molte più connessioni di quanti numeri il cervello umano possa concepire. La mia rete di mi-celi è quasi immortale: solo l'improvviso avvelenamento di un pia-neta o l'esplosione de lle stelle vicine, possono spazzarmi via. In mo-do impossibile da spiegare per il vostro modello di realtà, tutte le mie interconnessioni miceliche nella galassia sono in comunicazio-ne, nello spazio e nel tempo, oltre la velocità della luce. Il corpo del micelio è fragile come una ragnatela, ma la sua ipermente collettiva e la sua memoria sono un enorme archivio storico dei percorsi delle intelligenze in evoluzione di molti mondi, nel nostro sciame di stelle a spirale. Lo spazio, sappiatelo, è un vasto oceano per le forme di vita che hanno l'abilità di riprodursi da lle spore, nonostante le spo-re siano ricoperte da lle più dure sostanze organiche conosciute. At-traverso gli eoni del tempo e dello spazio, molte spore, che formano forme di vita, si lasciano andare a lla deriva, in sospensione, per mi-lioni di anni finché non entrano in contatto con uno stato ambienta-le idoneo. Solo alcune specie, tra cui io e i miei simili di recente evo-luzione, abbiamo la consapevolezza e la capacità di ipercomunica-zione e di risorse di memoria che ci rendono i protagonisti delle co-munità intelligenti galattiche. Il modo in cui funziona l'ipercomuni-cazione è un segreto che non verrà mai tramandato all'uomo. Ma le motivazioni dovrebbero essere ovvie: è la presenza della psilocibina e della psilocina nei percorsi biosintetici del mio corpo vivente che apre, per me e quelli che sono in simbiosi con me, la visione di mol-ti altri mondi. Voi, come individui e l'umanità come specie, siete prossimi alla formazione di una relazione simbiotica con il mio ma-teriale genetico che porterà l'umanità e la terra nella tradizione ga-lattica delle civiltà superiori.

"Dal momento che non è facile per voi poter riconoscere altre for-me di intelligenza, le vostre teorie più avanzate di politica e di socia-lità sono avanzate solamente fino al concetto di collettività. Ma, ol-tre alla coesione dei membri di una specie in un singolo organismo sociale, esistono possibilità di evoluzione più ricche e addirittura barocche. La simbiosi è una di queste. La simbiosi è una relazione di dipendenza mutuata e di benefici positivi per entrambe le specie coinvolte. Alcune relazioni simbiotiche fra me e le forme civilizzate di animali superiori furono stabilite molte volte e in molti luoghi at-traverso le lunghe ere del mio sviluppo. Queste relazioni furono po-sitive per entrambi: nella mia memoria c'è la conoscenza de lle navi che vanno più veloci della luce e di come costruirle. Io scambiavo questa mia conoscenza per un passaggio verso nuovi mondi intorno al sole, meno desolati e più vicini al centro della galassia. Per rende-re possibile un'esistenza eterna lungo il fiume infinito del tempo co-smico, ho offerto continuamente questo patto a esseri superiori e poi ho attraversato la galassia durante questi millenni. Una rete di miceli non possiede organi per muovere il mondo; non ha mani, ma certi animali superiori, con abilità manipolatrice, possono diventare compagni della conoscenza de lle stelle che possiedo io e, se agisco-no in buona fede, entrambi, loro e il loro fungo insegnante, posso-no viaggiare per gli infiniti mondi di cui sono gli eredi tutti i cittadi-ni dello sciame delle stelle."

Qualcosa che si riferiva a se stessa chiamandosi una fragile e diafana ragnatela, perché tale è la rete dei miceli del fungo, non solo era in grado di comunicare con me, ma era anche in grado di trasmettere una visione della maggior grandezza e speranza trascendente che avevo mai creduto possibile. Stava muovendosi e respirava, ma era tutto vero?

Le mie reazioni alle affermazioni del fungo riguardo alle origini extra-terrestri degli allucinogeni triptamminici e alle visioni che procuravano, erano di diversa natura. Penso che alcuni di questi composti potessero es-sere "geni seminati", innestati nell'ecologia planetaria eoni fa da una son-da spaziale arrivata qui da una forma di civilizzazione in qualche altra ga-lassia. Questi geni potrebbero essere stati trasportati nel genoma del fun-go o di qualche altra pianta, nell'attesa dell'avvento di un'altra intelligenza e la loro scoperta da parte di questa, per poter cominciare a leggere un messaggio che apre la po rta alla dimensione che gli sciamani di tutto i

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mondo ben conoscono. Il punto chiave di questo messaggio sarebbe di-ventato chiaro solo quando quelli per cui il messaggio era stato scritto avessero raggiunto un livello di conoscenza tecnico sufficientemente ade-guato per apprezzarlo. La crescita esponenziale di strumenti e di metodi analitici nel secolo scorso, potrebbe indicare che stiamo ormai raggiun-gendo quel livello. Io speculo sul fatto che il contenuto finale del messag-gio saranno le istruzioni, o la "scoperta", per costruire un trasmettitore di materia o qualche altro mezzo che ci permetta di contattare direttamente la civiltà che ci spedì i geni allucinogeni portatori di messaggi sulla terra, eoni fa. Lo stato di trance implica che queste forme di civilizzazione pos-seggano tecnologie e informazioni molto più veloci della luce, ma è neces-sario che ci sia un ricevitore al punto di arrivo, altrimenti la presenza alie-na nel fungo rimarrebbe inerte a causa delle costrizioni della relatività ge-nerale, così come lo siamo noi.

Qualcosa, qualcuno, ha seminato lo spazio intergalattico con sonde au-tomatiche biomeccaniche. Queste sonde sono immensamente sofisticate rispetto ai nostri canoni e sono capaci di creare allucinogeni portatori di messaggi adattabili alle particolari condizioni ecologiche che la sonda po-trebbe incontrare e di rilasciare pseudo-organismi simili a virus, in grado di portare i geni artificiali nel nucleoplasma delle specie-bersaglio e di fe-condarli. Questa è una forma di messaggio molto più duraturo di un mo-nolite allo stato solido sulla luna o di un monitor orbitante. I geni artificia-li potrebbero essere trasportati attraverso l'evoluzione letteralmente per centinaia di milioni di anni, senza una sostanziale degradazione del loro messaggio. L'informazione trasportata dallo specillo e trasmessa dagli al-lucinogeni, è modulata dai bisogni de lle vite intelligenti in evoluzione, qualsiasi pianeta venga contattato. Lentamente, l'enfasi dell'informazione trasmessa dallo specillo cambia. Predizioni di caccia fruttuosa, semplici ri-sultati divinatori come il ritrovamento di oggetti perduti e il fornire consi-gli medici, vengono lentamente sopraffatti dalla rivelazione della sorgente extraterrestre di questa informazione e dal suo fine nascosto: la costruzio-ne di una stella che funga da antenna e l'ingresso nel logos delle civiltà ga-lattiche che porterà.

Idee speculative! Ma abbastanza stranamente, la maggior parte dei cal-coli odierni e delle teorie sulla densità de lla vita e dell'intelligenza nella galassia, fa scontrare gli esobiologhi con il dilemma del perché non siamo ancora stati contattati. Lo scritto Scientific Perspectives on Extraterrestrial Communication di Cyril Ponnamperuma e A.G.W. Cameron offre un'ec-

cellente esposizione del pensiero contemporaneo su questo soggetto. I contributi di R.N. Bracewe ll , stampati nella stessa opera, sono state le basi delle mie personali teorie riguardo alle sonde interstellari.

Stavo ricapitolando lo stato de lle cose in questo modo: il pensiero con-temporaneo afferma che la punta d'emersione di un'intelligenza nella ga-lassia fu raggiunta da dieci a un centinaio di milioni di anni fa, perciò la maggior parte delle razze nella galassia sono molto antiche e sofisticate. Non possiamo attenderci che queste razze ci appaiano con uno squillo di tromba sopra tutte le città della terra. Una tale entrata nella storia equivar-rebbe a entrare in casa di qualcuno senza annunciarsi: da una civiltà galat-tica antica e indefinibile proprio non ce lo aspetteremmo. Forse sono sem-pre stati qui o, meglio, forse la loro presenza fu sempre qui negli allucino-geni e, quando lo capiremo per conto nostro, in realtà segnaleremo loro che siamo pronti per il contatto.

Noi possiamo lanciare íl segnale solamente seguendo le istruzioni con-tenute nei geni dei semi e costruendo il macchinario necessario, sia esso un sistema sociale o un veicolo. Eseguito ciò, da qualche parte nel cielo, le luci lampeggeranno il messaggio che un altro dei milioni di milioni di pia-neti seminati nella galassia, ha raggiunto lo stadio di cittadino della galas-sia. Stime attuali sostengono che anche in una galassia che compete con la massima intelligenza, tale limite viene sorpassato una volta ogni centinaia o migliaia di anni e questo è un momento di gioia, anche per gli abitanti della galassia stessa. Se questa speculazione ha una qualche validità, allora in estrema sintesi indica il momento finale della fase di precontatto, e in-dica anche l'urgente bisogno di esplorare la trance da psilocibina e di ca-pire il ruolo che sta giocando nella psicologia de lla specie umana.*

* Dei nuovi elementi si sono aggiunti sul fenomeno de lle voci sentite nella testa e sul ruolo che posso-no giocare nell'evoluzione della coscienza. Nel 1977, Ju lian Jaynes dell'università di Princenton pub-blicò un libro estremamente provocatorio, The Origin of Consciousness in the Breakdown of the Bica-meral Mind. Jaynes utilizza pagine su pagine per illustrare fl ruolo che le allucinazioni, specialmente quelle uditive, giocarono nella strutturazione della mente. Jaynes ritiene che prima dell'Iliade, intorno al 1400 a.C., non esistesse niente di simile al moderno sistema di consapevolezza egocentrico. Invece, egli sostiene, che le persone vivessero come automi o insetti sociali, affrontando inconsciamente i compiti del vivere. Solo nei momenti di gr ande stress e di pericolo personale, questo regime veniva rotto. In questi momenti, una mente impersonale, fuori dalle normali esperienze del mondo, divenne manifesta in forma di voce. Secondo la teoria di Jaynes, queste voci furono il faro trainante delle so-cietà umane, forse per millenni, fossero esse ritenute sia la voce di un re assente ma vivente, di un re morto, di un dio onnipresente, sia una divinità personale. Le migrazioni e la rottura de lle culture insu-lari delle prime civiltà umane, pose fine alla relazione dell'uomo con la mente bicamerale, che è il ter-mine che usa Jaynes per la presenza cibernetica e divina, provata dietro all'allucinazione uditiva. );

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VERE ALLt7CIINAZII®N1

pregiudizi sociali che vanno contro il fatto di avere una relazione con la mente bicamerale in tempi moderni, ha relegato le "voci" a un fenomeno mistico o una seria aberrazione mentale, in ogni modo,

un qualcosa di veramente desueto.

Il lettore interessato dovrebbe studiare il caso di Jaynes con molta attenzione, benché il suo libro sia esasperante, dal momento che nel trattare il ruolo degli allucinogeni nella storia umana, sbaglia nel non offrire nessuna discussione sulle piante allucinogene. Questo è un serio errore, specialmente se

l'effetto raggiunto da lla psilocibina non è, come ho sostenuto, un contatto con un'intelligenza com-pletamente distinta da noi stessi. La teoria di Jaynes offre la possibilità che la psilocibina riporti ad

avere rapporti con l'altra dimensione transpersonale in un modo che duplichi, su qualche livello, lo stato della mente che era caratteristico delle popolazioni umane primitive. È ragionevole ritenere che una voce nella testa, interpretata da un uomo antico come un dio, possa essere interpretata da una persona moderna, come un contatto telepatico con extraterrestri. Qualsiasi "fatto" possa essere sco-perto in futuro, la psilocibina offre uno strumento che permette di sperimentare direttamente questa voce che spiega tutte le cose, questo logos dell'altra dimensione.

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In cui le mantidi pirata provenienti dall'iperspazio attaccano me e la mia nuova amante

nei territori vulcanici di Kau, nelle Hawaii, e io consegno le mie ultime parole riguardo all'indicibile.

AUTUNNO DEL 1975 FU UN PERIODO DI TRASFORMAZIONI PERSONALI SÌ I

e di consolidamento. Kat, una vecchia amica conosciuta anni pri- ma a Gerusalemme, durante la mia fase oppiacea e cabalistica, di-

venne infine mia amante. Erano passati otto anni da quando andavamo a zonzo nella moschea di Omar; lei era un'osservatrice di pozze d'acqua e una viaggiatrice solitaria. Il fungo mantenne la promessa di mandare un'altra partner a condividere il viaggio nel mondo interiore. In ottobre, andammo alle Hawaii per pianificare un viaggio nell'Amazzonia peruvia-na per il 1976. E per scioglierci d'amore.

Affittammo una casa nella remota e desolata Kau, un distretto delle Hawaii. Era un'area di sedimenti di diverse epoche. L'unica vegetazione era costituita da kapuka, zone isolate dell'antica foresta circondate da mari spumeggianti di roccia, che avevano ucciso tutte le forme di vita più debo-li e meno fortunate. Lentamente, quasi impercettibilmente, la mole slan-ciata del Mauna Loa si innalzava dietro di noi a quasi cinquemila metri d'altezza. Noi stavamo a un'altezza di circa ottocento metri. La nostra ca-setta era di fronte all'enorme distesa di lava vulcanica, ma il terreno com-prendeva anche kapuka la cui ombra, insieme ai numerosi uccelli e agli in-setti offrivano un contrasto prorompente con la prima impressione di de-solazione che si estendeva per chilometri in ogni direzione. La nostra vita

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si svolgeva nell'ozio più totale. Io scrivevo e facevo alcuni esperimenti con gli aspetti più arcani de lla coltivazione di funghi; Kat era immersa a dise-gnare per il libro che io e Dennis avevamo scritto sulla coltivazione de lla stropharia cubensis. Un sogno erotico pieno di sole si apriva intorno a noi.

Eravamo isolati, cosa che entrambi apprezzavamo e prendevamo spes-so insieme i funghi. Fu durante l'idillio hawaiano che decisi di tornare di nuovo nel bacino amazzonico per seguire il banisteriopsis caapi nel suo ambiente naturale, per convincere me stesso del ruolo che esso e gli alluci-nogeni a base di beta-carbolina avevano giocato nell'esperienza di La Chorrera. Ero interessato soprattutto a verificare se altri allucinogeni abo-rigeni differenti chimicamente, potessero provocare le stesse esperienze che provocava il fungo della psilocibina. Volevo scoprire se le nostre espe-rienze facessero parte de lla fenomenologia generale degli allucinogeni, oppure se fossero specifiche della psilocibina.

Con intervalli settimanali o di dieci giorni, durante tutto ottobre e no-vembre trascorsi a lle Hawaii, assumemmo la stropharia che avevamo colti-vato. Facemmo una serie incredibile di esperienze. La psilocibina confer-ma sicuramente l'impressione che, a volte, si possono vedere con uguale chiarezza le allucinazioni che un altro sta avendo. Io e Kat ce ne rendem-mo conto descrivendoci, a turno, le immagini in cui eravamo immersi. Durante quei periodi in cui il fluire delle immagini possiede una certa in-tensità elettrica e non vi erano dubbi che stessimo vedendo le stesse cose. Sotto l'influenza della psilocibina, la relazione della psiche con la superfi-cie del corpo, la pelle, è sinestetica ed emozionalmente complessa; i colori e le sensazioni raggiungono una qualità sconosciuta in condizioni norma-li. Avendo ampie zone della pelle a diretto contatto, ci parve di ovviare in qualche modo all'usuale integrità del corpo e individualità psichica; ci sa-remmo sciolti nelle menti uno dell'altro in un orgasmo tantrico che era estremamente piacevole e pieno di potenziali incredibili e stravolgenti per la crescita umana e per studi di parapsicologia.

Io ed Ev non avevamo assunto più funghi fino al nostro ritorno negli Stati Uniti ed era stupendo avere di nuovo qualcuno con cui condividere il fungo; e prima che Kat si unisse a me, la maggior pa rte dei miei viaggi sotto l'effetto del fungo erano solitari, un'anima solitaria alla deriva nell'oceano cosmico. Fortunatamente adesso eravamo in due a navigare attraverso i flutti di demoniache e scintillanti geometrie ingioiellate.

Due di quei viaggi con il fungo risaltano per la loro importanza. Il pri-mo si verificò una sera, verso la fine di novembre. Entrambi mangiammo

cinque grammi di stropharia secca e ci sedemmo vicino al fuoco, a guarda-re, con gli occhi chiusi, il sorgere lento delle allucinazioni. Mi parve di ve-dere immagini passeggere e profetiche del viaggio in Amazzonia che sta-vamo progettando. Accampamenti di fianco al fuoco e sentieri riempiro-no la mia mente; il suono vicino dei grilli sembrò trasformarsi nel ruggito dei suoni della notte nella giungla che ci aspettavano in Perù. Parlammo dei nostri piani e del nostro futuro: questo, di fronte a noi, ci parve enor-memente invitante. Fu quella sera che decidemmo di passare la nostra vita insieme e di mettere su famiglia. Per me fu uno dei momenti più impor-tanti della vita e di questo non ho dubbi. Camminavamo e ce ne stavamo in piedi sotto le ste lle, vicino all'orto dove ogni giorno seguivamo la nostra sempre più perfetta coltivazione di stropharia. La notte era misteriosa-mente immobile e il cielo riluceva di stelle.

Guardando in cielo, verso Sud, pensai: "Se sei là fuori, se approvi le decisioni che abbiamo preso riguardo alla nostra vita, se il segreto esiste veramente, allora dacci un segno". Mi accostai a Kat, che stava cammi-nando davanti a me, per dirle: "gli ho chiesto di darmi un segno". Ma pri-ma ancora che potessi parlare, il cielo fu percorso, dalla metà del cielo all'orizzonte, dalla striscia cremisi del fuoco di un meteorite. Perché tali sincronismi possano accadere, la profondità della sintonia tra la psiche e il mondo deve essere veramente grande.

"Vedere un meteorite, accade una volta sola nella vita", fu quello il commento del fungo, chiaro e libero nella mia mente.

Allora ci sedemmo sulla terra calda e sensibile e ci abbandonammo all'onda delle visioni. A un certo punto un vento notturno frustò le foglie sugli alberi, altrimenti perfettamente immobili. La zona era molto isolata ma, portati nell'aria ferma per chilometri su case e fattorie sparse li intor-no, potevamo udire i lugubri ululati dei cani da quell'intera parte dell'iso-la; per ore scossero l'aria con ululati spaventosi. Non potevamo immagi-nare cosa significasse, ma la prendemmo come una coincidenza inspiega-bile, come il segno datoci dal cielo, riguardo al nostro futuro.

Alcune ore più tardi, un momento prima dell'alba, a lle 4 e 49, cosa che venne registrata dagli strumenti sismici sparpagliati su tutto il pianeta, si scatenò un terremoto. Un boato profondo e devastante si mosse attraver-so i campi di lava che si stendevano per chilometri tutt'intorno a noi. Im-mediatamente dopo la prima scossa, al Kilauea Caldera, vicino all'epicen-tro, a quindici chilometri da noi, si scatenarono ondate terribili e un mare-moto. Un'ora dopo ci fu un'altra scossa meno forte. Adesso appariva lam-

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pante la ragione di que lle ore di ululati. Fu così che i segni meteorici e un grande terremoto, il più forte del secolo alle Hawaii, parteciparono al no-stro trip di funghi e alla nostra intensa esplorazione delle profondità della psilocibina, proprio come noi ammiravamo loro.

La seconda e, per molti aspetti più inquietante, grossa esperienza con i funghi che avemmo alle Hawaii fece terminare ogni nostra ulteriore esplo-razione della psilocibina almeno fin dopo il nostro ritorno dall'Amazzonia peruviana. Era il 23 dicembre, il giorno prima che Dennis arrivasse per pas-sare le vacanze di Natale con noi. Io e Kat prendemmo cinque grammi sec-chi a testa ci sedemmo davanti al caminetto aspettando le prime ondate di visioni. In breve piombammo nel vortice. ll fungo mi mostrava un pianeta acquoso, blu-verde, senza terra ferma eccetto un arcipelago che lo circon-dava lungo l'equatore: una specie di super-Indonesia. Ad accompagnare le visioni del pianeta c'era un commento a spiegare che questo pianeta ricco d'ossigeno si trovava all'incirca a cento milioni di anni luce da lla terra ed era totalmente disabitato da animali evoluti. Mentre le implicazioni di que-st'ultimo frammento d'informazione ci raggiungevano, sperimentai un'on-data di comprensione che pareva giungere da lle mie gonadi di primate, la reazione a milioni di anni di nomadismo e all'inarrestabile aumento de lla popolazione umana. Il commento spiegava che quando la fusione simboli-ca dell'umanità con la stropharia fosse stata completata, "gli esseri umani" sarebbero stati liberi di reclamare tali pianeti per la Strofaride.

La narrazione si era materializzata nella voce interiore presente nella trance da funghi. Con essa iniziai una discussione sulla scena del pianeta acqueo e sulla tecnologia che tali visioni implicavano. Mi chiesi delle tec-nologie del viaggio stellare e della trasmissione a distanza de lle immagini. Chiesi al fungo se, con tutte le immagini strabilianti che era capace di do-nare, fosse in grado di produrre un effetto sul continuum normale. Ebbi l'idea che se fossimo usciti, come facevamo di solito a un certo punto dei nostri trip, avremmo potuto vedere un qualche seguito del fenomeno nu-voloso che era stato parte della esperienza a La Chorrera. Kat si lamentò del gran caldo e decidemmo d'uscire. Eravamo molto instabili sulle gam-be e, sebbene Kat parlasse pochissimo, ero piuttosto spaventato per lei. Pensai però che sarebbe bastato andare fuori per farla rinfrescare.

Fuori, ci trovammo barcollanti nel cortile davanti alla casa. La notte era coperta e Kat sembrava passare tra coscienza e incoscienza. Stava di-ventando sempre più difficile coinvolgerla. Continuava a ripetere che la stavano bruciando, ma che pensava di poterli tenere a bada. A lla fine, col-

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lassò completamente e non potei più ottenere risposte. Eravamo così iso-lati da rendere impossibile qualsiasi aiuto esterno. Sarebbero occorse ore per far arrivare qualcuno là e, senza dubbio, nessuno sull'isola ne sapeva più di noi sulla psilocibina. La schiacciante gestalt della situazione era che, in qualche modo, eravamo stati messi in una situazione di vita o di mo rte e che qualsiasi cosa dovesse essere fatta, avrebbe dovuto essere compiuta da noi e da noi soltanto, in pochissimi minuti.

Ricordai che sul retro della casa, vicino a dove eravamo abituati a prendere il sole, c'era una grossa vasca d'acqua, che tratteneva la pioggia delle nostre grondaie. Nonostante sapessi che stavamo affrontando una minaccia mortale, ci volle un'organizzazione completa della mia coscienza per pensare di rovesciare quell'acqua sopra Kat. Ma, appena lo pensai, ciò parve dare una direzione a quel mondo vorticante. La tirai su con un solo movimento rapido e la po rtai, strascicando nel buio, oltre le palme ap-puntite, che allora mi apparirono fantastiche nell'oscurità. Il momento era terribilmente grottesco: i pantaloni de lla mia tuta erano caduti in fondo alle caviglie e stavo camminando col culo scoperto e le gambe rigide come il mostro di Frankenstein, portando Kat svenuta.

La stesi per terra e iniziai a svuotare barattolo dopo barattolo d'acqua trasparente, nera e argentea come seta, su ogni centimetro del corpo di lei. Fu subito chiaro che avevamo trovato l'antidoto a qualsiasi cosa che le fa-cesse provare il bruciore e la trascinasse giù, fino a svenire. Felici, ci ab-bracciammo nel fango e nell'acqua, sentendo entrambi che questo effetto estremamente raro del fungo ci aveva fatto sfiorare una tragedia. Mentre eravamo inginocchiati assieme, comprendendo che avevamo appena sor-passato la difficoltà che ci aveva fronteggiato, lo scroscio selvaggio di un suono non di questa terra, una risata ululante, squarciò l'aria dai boschi antichi dietro la casa. Questa risata era come l'urlo di un dio che scatenas-se il panico. Innaturale, immorale, fo lle, il gutturale stridio di battaglia del demone scatenato. Fuggimmo.

Barcollando, rientrammo in casa e io feci del tè mentre Kat mi parlava, confidandomi tranquillamente che quello che stava provando "dev'essere quello che intendono per follia". Disse d'avere allucinazioni a occhi aper-ti, strane forme "tangibili" simili a felci e orchidee stavano crescendo e si torcevano fuori da tutte le superfici. La sensazione precedente di calore continuava, ma si era tramutata in un campo potenziale di energia arro-ventata che poteva essere trattenuta a distanza dal contatto bruciante col suo corpo, permettendo solo all'energia allucinogena di dissiparsi in un

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caos di immagini esplicite e bizzarre. Concentrandosi, poteva allontanare di qualche metro il plasma rovente da lei, dove diventava una visione profonda che racchiudeva ogni altra cosa. Dopo pochi minuti Kat parve svenire di nuovo, così riempimmo una vasca d'acqua fredda nella quale si stese per un po', finché i sintomi non passarono di nuovo.

Quando ne parlammo, capimmo che la sua esperienza aveva avuto del-le dimensioni per lei che a me non erano risultate chiare. Mi raccontò che dal momento che eravamo usciti dalla casa, aveva scoperto che la sensa-zione di calore non era diminuita, ma cresciuta. Aveva notato che subito sopra di lei c'era un disco di luce e di colore, un gigantesco assemblaggio composto di barre di luce dal debole splendore, con connettori simili a gioielli che emanavano tutte le gradazioni.

"Capii," mi disse, "che le relazioni delle posizioni, le loro lunghezze, le angolazioni tra di loro, erano infinitamente complesse e costituivano un'incarnazione de lla verità perfetta. Vedendole, capivo tutto... ma c'era-no delle creature dentro il veicolo, come mantidi composte di luce, che non volevano che io sapessi. Piegate sui pannelli degli strumenti, più capi-vo e più mi bruciavano con il loro raggio. Non riuscivo a smettere di guar-dare, ma mi stavano vaporizzando. Ho sentito che mi sollevavi, e mentre mi portavi, pensai: `Spero che si sbrighi. Sto diventando una nuvola...'. Per un attimo ho galleggiato in aria, guardando in basso verso di noi, gente più grande delle loro vere dimensioni, fuori dal tempo. Allora sentii l'acqua sulla pelle ridefinire i limiti del mio corpo e condensarmi di nuovo."

L'impressione di Kat sulla situazione era che non si trattava di una mi-naccia trasmessa dal fungo, ma di una forza all'interno del continuum che il fungo rende disponibile, una forza che è apparentemente ambigua: era-no pirati dell'iperspazio? Kat stava avendo un'esperienza ravvicinata con un UFO mentre io non vedevo nulla. Era un contatto pieno di pericolo e con minaccia d'annientamento. Si era interrotto improvvisamente quando l'avevo spruzzato con l'acqua.

Rimanemmo a parlare tutta la notte di quello che era accaduto. Servì ad accentuare altre stranezze che avevamo notato nel prendere psilocibina in un ambiente isolato. Avevamo notato anche dei lievi fruscii e cigolii alla periferia del senso e della visione durante i trip, non dissimili dall'attiva-zione di un classico fenomeno di poltergeist. Questi piccoli movimenti e rumori erano diventati una caratteristica così regolare di queste esperien-ze che avevo finito semplicemente con l'accettarli. Avevamo anche notato onde d'attività che sembravano scorrazzare allo stesso modo attraverso la

materia, animata o inanimata, durante íl viaggio da funghi. Per esempio, dopo un periodo prolungato di quasi-trance e di contemplazione de lle vi-sioni, se ci allontanavamo in un moto collettivo per stirarci la pe lle o per parlare, il fuoco si attizzava improvvisamente e bruciava di più, mentre il fruscio a lla periferia aumentava. Eravamo certamente sull'orlo de lla stessa dimensione nella quale ero sprofondato a La Chorrera, portato di nuovo laggiù dal fungo. Questa volta, però, prendemmo il nostro minaccioso scontro con la cosa come ammonimento di rallentare per un periodo. Fu dopo questa esperienza che decidemmo di andare in Perù, per prendere l'ayahuasca e ottenere un qualche senso prospettico sulla natura de lla psi-locibina relativamente ad altre piante allucinogene.

Le nostre camminate per le foreste delle Hawaii erano un'eco pallida ma reale delle piste dell'Amazzonia che avevano seguito un tempo e che, dopo qualche mese, avremmo attraversato di nuovo. Fu durante una di queste camminate, riflettendo sul suo incontro con le creature-mantide e le loro macchine di luce, che Kat fece notare che una lente è il risultato na-turale della sovrapposizione di due sfere. C'è qualcosa da imparare appli-cando quest'idea agli UFO lenticolari? Forse qualche verità topologica è implicita nel pensiero che la lente è causata dal sovrapporre un continuum all'altro. Le nubi lenticolari furono una parte del contatto UFO che ac-cadde a La Chorrera nel 1971. Questo tema riemerse durante quelle espe-rienze di psilocibina nei paesaggi desolati delle campagne hawaiane.

Successe ancora durante un altro viaggio da funghi, quando io e Kat uscimmo tardi la notte, a osservare le stelle attraverso gli interstizi in mo-vimento di una sottile trama di nuvole sottili. Eppure, sospesa solamente a poche decine di metri sopra e quasi di fronte a noi, c'era una densa nube lenticolare molto cupa. Divenne più solida mentre la osservavamo: im-provvisamente questa tendenza venne rovesciata e la nube iniziò ad assot-tigliarsi e scomparire molto rapidamente. Poi spari.

Gli anni passano e sono poche le intrusioni del meraviglioso nella vita quotidiana. Poi, improvvisamente, è di nuovo con noi, una coincidenza che si realizza e che pare incanalare il flusso degli eventi verso un qualche fine che è intuito ma che è impossibile da anticipare. La patina paranoioia che si è formata sulla società moderna rende difficile il valutare il feedback che può provenire dalla cultura. Da una certa prospettiva, l'umanità è una creatura sempre in trasformazione che distribuisce in ogni momento il se-greto, sentito in profondità, del futuro che verrà. La situazione presente è davvero differente da molte altre del passato?

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VERE ALLUCINAZIONI

La novità è sempre in procinto di emergere, ma emerge mai dagli even-ti in cui è impressa, improvvisamente ed esplicitamente? E cosa dobbia-mo farne quando emerge abbastanza improvvisamente da farcela ricono-scere quale un vero flusso del continuum temporale? Credo nei miracoli e nell'estasi e nelle situazioni dove si vedono al lavoro "forze" che non sono descritte dalla fisica odierna. Ho sentito che era necessario rintracciare questi fili conosciuti della mia vita e del mio pensiero. Se non l'avessi fatto non ci sarebbe stato alcun ricordo dei passi incerti che avevamo fatto a La Chorrera, passi che ci portano verso la comprensione della psilocibina e della sua relazione con l'animo umano, quel nodo di preziosa anomalia e di fragile sentimento che infesta come un fantasma il nostro pianeta.

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EPILOGO

In cui ritorno al presente, descrivo come sono diventati i miei compagni di viaggio

e m'inginocchio davanti al soprannaturale.

1) OVE CI HA PORTATI TUTTO QUESTO? E LA RISATA COSMICA E STATA di nuovo rappresentata? Sono forse un archeologo, condannato a

lavorare diligentemente con uno spazzolino e una pinzetta, ten- tando di riesumare e riassemblare i frammenti rotti di sogni e visioni tro-vati in tempi e luoghi dimenticati? Sarebbe stato facile guardarsi a lle spal-le e raccontare questa storia come se fosse stata un ciclo completo, qual-cosa di finito che risplendeva nella sua completezza. Il problema di questo

libro è che la storia è vera, i suoi attori sono persone reali, le loro vite van-no avanti. I più grandi misteri dell'esperimento a La Chorrera rimangono

tali e misteri rimangono ancor oggi. I miei colleghi, i miei amici e le mie amanti, sono cambiati. Diversi

destini ci hanno condizionato. Dave restò in Sud America, ritornando

negli USA una volta sola negli ultimi vent'anni, giusto il tempo di una

breve visita; non lo vedo dal 1971 e so che è vissuto nella maggior parte

dei paesi andini del Sud America. Per anni rimase fedele alle sue radici

di hippy girovago, viaggiando da un villaggio montano a un altro, inse-gnando alle donne locali a lavorare all'uncinetto. Mi immagino che ora,

questa forma d'arte minore, sia ormai ben radicata nei luoghi dove, pri-ma del suo passaggio, doveva essere completamente sconosciuta. Du-rante la sua breve visita negli Stati Uniti non riuscì a venire nella West

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Coast, ma mi chiamò al telefono e parlammo a lungo. Era il solito vec-chio Dave, da quanto ne capivo.

Ev sposò l'amico per íl quale mi aveva lasciato nel 1975 e sono ancora sposati, con un figlio ormai abbastanza grande che va al college. Non ho an-cora rivisto Ev e suo marito da lla loro partenza nel 1975. Ci siamo parlati al telefono una volta molti anni fa; le dissi che sarebbe stato molto bello cena-re insieme una volta, ma sarebbe stato compito mio organizzare tutto quan-to e non lo feci. Questa omissione non fu casuale o inconscia. Vi è ancora un certo tipo di riluttanza da parte mia, una specie di dolore duraturo che mi colpisce in profondità e mi fa soffrire e che non è facile da sconfiggere.

Vanessa tornò negli Stati Uniti dall'Amazzonia e seguì la tradizione di suo padre e sua sorella laureandosi in medicina. Oggi vive a Berkeley, co-me Ev, ed è una psichiatra con uno studio ben avviato. Cf vediamo rara-mente e, quando succede, sono riluttante a tirare fuori l'argomento di La Chorrera, per due ragioni. Primo, perché ci troviamo all'antitesi per quel che riguarda il giudizio su quegli eventi. Secondo, perché non voglio che la nostra amicizia si trasformi, cosa che potrebbe avvenire facilmente, in un'analisi di ciò che potrebbe essere definito il mio "caso". Vanessa è intel-ligente e arguta e non ha nessun motivo di giudicarmi duramente. Le no-stre differenze sorsero dal fatto che lei credette, in quel periodo, che le mie opposizioni a trattare le condizioni di Dennis a La Chorrera come una questione medica fossero il risultato della mia mancanza di sensibilità, pie-nezza di sé, mancanza di carattere o, semplicemente, frutto di pura pazzia.

L'unica persona che faceva parte de lla squadra nella quale sento di po-ter ancora credere, riguardo alle opinioni dell'esperimento di La Chorre-ra, è Dennis. Si è laureato in botanica, biologia molecolare e chimica neu-rologica, anni fa. Egli è diventato quello scienziato che a La Chorrera po-teva solamente sognare di essere. È sposato, ha un figlio stupendo e lavora come un ricercatore farmacologico per una azienda della Silicon Va lley chiamata "Shaman Pharmaceuticals". Tollera le mie pazzie, ma sta attento a non incoraggiarmi mai. Penso che il suo atteggiamento sia la stesso di al-cuni mesi dopo l'esperimento ma, qualsiasi cosa fosse accaduta, il sacrifi-cio che pagò fu troppo grande. Gli piace sostenere semplicemente che ciò che accadde fu solamente una folie a deux, la fissazione di due fratelli ad-dolorati per la recente scomparsa della madre e ossessionati dall'idea di conquistare l'iperspazio. Quando difesi le mie opinioni contro le sue, ar-gomentando che qualcosa di molto più importante stava avvenendo, lui annuì in modo critico, poi scosse la testa e se ne andò. Oggi si ricorda ben

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poco di ciò che accadde fra il 4 e il 20 marzo del 1971 e, forse, preferisce non ricordarlo.

Quindi, senza rancore o sorpresa, posso dire che l'argomento è riposto completamente nelle mie mani. Il giorno in cui volammo via da La Chor-rera sul piccolo aereo di Tsalika, avevo ventiquattro anni, senza soldi, sen-za progetti, ritenuto pazzo dai miei amici più cari e con una taglia sulla te-sta. Negli anni passati ho fatto ciò che ho potuto per impedire che i fatti riguardanti l'esperimento di La Chorrera fossero dimenticati.

Insieme, durante la metà degli anni Settanta, io e Dennis sviluppammo e diffondemmo la tecnica per coltivare il fungo. Anche se altri ci imitaro-no, fummo i primi e i più rumorosi a sostenere la coltivazione casalinga di funghi psichedelici. Questa tecnologia portò decine di migliaia di curiosi a provare l'esperienza di esplorare ciò che poteva essere un allucinogeno triptamminico misterioso e non sintetizzabile. L'assunzione di psilocibina negli anni Settanta fu uno dei fattori più consistenti che crearono e fo-mentarono un limitato ma fedele pubblico di sostenitori di idee come quelle sviluppate a La Chorrera. Con il passare degli anni, la storia di La Chorrera e le teorie elaborate lì, hanno lentamente fatto breccia nella co-scienza del pubblico, attraverso i miei libri e un film che verrà presto pro-dotto su questi argomenti.

Il mio ruolo è interessante, ma non invidiabile. Dal momento che la teoria centrale che emerge da questa esperienza è l'onda temporale e il software per computer che la supporta, io mi trovo nell'assurda posizione di essere, allo stesso tempo, un Newton non celebrato o un tipo completa-mente pazzo. C'è veramente poco spazio per poter manovrare con agio fra quelle due posizioni. L'onda temporale dipinge un disegno radicale di come funziona il tempo e di che cosa è la storia. Fornisce una mappa de lla marea e del flusso globale di novità per i prossimi vent'anni e, inoltre, pre-dice i maggiori eventi di trasformazione fino al 2012. Questa data risiede tanti anni nel futuro quanto i fatti di La Chorrera risiedono nel passato. Poco tempo, insomma.

I miei eventi personali sono in contrasto con un retroterra di gravi pro-blemi nel mondo reale e un interesse crescente nell'esperienza psichedeli-ca da parte dei giovani. Io sono, si dice, un'icona minore nella cultura un-derground. Che ciò sia dovuto a lla mia schizofrenica tenacia a rendere pubbliche ciò che sono in ultima analisi solo de lle mie teorie? O veramen-te i venti della storia mi sono a favore e mi sono fatto amico il logos e ho imparato i segreti dell'universo, o almeno uno dei tanti segreti, nel caos di

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La Chorrera? Confesso onestamente che non lo so. Mentre scrivo queste parole, il mio matrimonio con Kat, durato ormai quasi sedici anni, sembra ormai prigioniero di un processo di dissoluzione pieno di sofferenza per entrambi. Questo, nonostante i nostri due bambini, la casa che abbiamo costruito insieme e i tentativi di entrambi di essere dei tipi tranquilli. Ap-parentemente la presenza del logos non ha fatto nulla per mitigare le ordi-narie vicissitudini della vita. Come l'anima nei poemi di Yeats, io sono una cosa eterna legata al corpo di un animale morente.

Ma se la mia sensazione di vivere un destino speciale e di aver scoperto un modo per salvare il mondo dalle più pericolose e rozze parti di se stes-so è una delusione, allora è una grande illusione che sta morendo dentro di me lentamente, passo dopo passo. Io sono rassicurato da lle persone che mi circondano, editori, agenti, esperti di mercato, persone che non sanno ovviamente della promessa sussurrata di un destino speciale fattami dagli elfi dell'iperspazio, che diventerò famoso, sarò influente tanto da cambia-re il modo di pensare della gente.

Forse tutto questo si realizzerà, lo spero. Ma qualcosa accadde a La Chorrera: qualcosa di straordinario. Sono stato fortunatissimo a intrave-dere per poco una miglior sorte per il mondo e di aver stretto una straor-dinaria alleanza con gli dei alieni che abitano nello spazio. L'onda tempo-rale, creata con anni di fatica, concerne sia una profezia, sia una carta geo-grafica che conduce a quel mondo migliore. Sono consapevole di essere un umile depositario del lavoro di queste menti superiori. Ho provato a normalizzare queste fantasie trascendentali e di metterle al loro posto in una visione di un mondo materialistico e morente, nella quale siamo im-prigionati dalla cultura del tardo ventesimo secolo. Ma il compito è trop-po grande per le mie possibilità.

La mia paura è che se queste teorie non sono vere, allora il nostro mon-do è destinato a una morte veramente ordinaria, cresciuto per qualche ra-gione troppo debole per salvarci da quei demoni che noi stessi abbiamo creato. La mia speranza è di essere testimone del fatto che esiste un gran-de segreto che ci chiama, che attraversa l'orizzonte de lla nostra storia, con la promessa di realizzarsi e di dare un vero significato a ciò che al contra-rio sarebbe solo la confusione delle nostre vite e del passato collettivo. Vent'anni dopo l'esperimento a La Chorrera, non posso ancora dire se

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CATALOGO

COLLF117f CYBERPU17HLIFIE NO COPYRIGHT Raf Valvola Scelsi. Per un nuovo diritto positivo dell'uomo. Un testo che chiarisce la questione de lla trasmissione del sapere nella società postfordista. Dal softwa-re al problema generale, pp 304, Lit. 23.000 — CYBERPUNK Antologia di testi politici a cura di Raf Valvola Scelsi. 20a edizione. Il ritorno ruggente de lla stampa underground, un libro importante che ha disegnato i contorni degli anni novanta analizzando negli aspetti politici del caso letterario del decennio scorso: il Cyberpunk, pp. 224, Lit. 20.000 — SNOW CRASH Seconda edizione riveduta Neal Stephenson. Primo romanzo edito da lla ShaKe, vero e proprio tecno-giallo dell'età dell'informazione. Premiato come miglior libro di fanta-scienza nel 1994 con L'Arthur C. Clarke Award, pp. 416 Lit 28.000 — GIRO DI VITE CONTRO GLI HACKER Bruce Sterling. Testo fondamentale per chi desidera conoscere le dinamiche del cyberspazio, pp. 254, Lit. 23.000 — MINDPLAYERS Pat Cadigan. È il primo romanzo psycocyber dell'unica scrittrice riconosciuta dal movimento letterario cyberpunk pp. 240, Lit. 23.000 — HACKERS: eroi della rivoluzione del computer Steven Levy. È il libro definitivo de lla storia degli hacker dal 1958 al 1983, pp. 416, Lit. 33.000 — AA. VV. STRANI ATTRATTORI — Antologia di fantascienza radicale a cura di Rudy Rucker, P.L. Wilson (più conosciuto come Hakim Bey) e R. Anton Wilson, ed. it. a cura di M. Tavosanis F. Gadducci. Una bomba letteraria a base di sesso biomeccanico, droghe in quantità, post-anarchismo militante e techno-profezie per il nostro caotico futuro. J.G. Ballard, W.S. Burroughs, P. Di Fi lippo, W. Gibson, R. Kadrey, J. Kohenline, T. Metzger, R. Rucker, L. Shiner, B. Sterling e altri, pp. 304, Lit. 30.000 — METROFAGA di R. Kadrey. L'eccezionale primo romanzo di Richard Kadrey è duro mai cinico,appassionatamente politico e solleva questioni importanti. pp. 224, Lit. 25.000 — L'ERA DEL DIAMANTE Neal Stephenson. Nel secondo, avvicente romanzo di Stephenson, per un errore, l'intera popolazone sta per essere riprogrammata, pp. 432 Lit 35.000 — RIBELLIONE NELLA SILICON VALLEY: conflitto e rifiuto del lavoro nel postfordismo a cura di Raf Valvola Scelsi, Raccolta del meglio degli scritti e de lla grafica della straordinaria rivista "Processed World" che si occupa da ormai 15 anni dei problemi dei lavoratori del "terziario avanzato", pp. 192, Lit 23.000 —

SINTETIZZATORI UMANI (Synners) Pat Cadigan. Secondo strepitoso romanzo della "regina del cyberpunk", pp. 400, Lit. 28.000.

COLLFIF111 UI7DERGROUI7D PASTO NUDO a fumetti Professor Bad Trip. Il classico sulle droghe illustrato dal grande cerimoniere acido. Introduzione di Fernanda Pivano, pp. 80, Lit 20.000 - L'OCCHIO NELLA PIRAMIDE Primo volume della trilogia GLI ILLUMINATI R. Shea — R.A. Wilson. Questo romanzo si snoda tra magistrali fantasie paranoiche e un'intrigante analisi della realtà "occulta" pp. 304 Lit. 23.000 — VERE ALLUCINAZIONI Terence McKenna. Il più grande studioso di psichedelia contemporaneo, in un romanzo verità, un viaggio alla ricerca del più potente allucinogeno, pp. 248 Lit 23.000 — CENTRI SOCIALI: geografie del desiderio, a cura di Consorzio Aaster, Centro sociale Leoncavallo, Centro sociale Cox 18,

Primo Moroni, pp. 256 (con inserto di 64 pp. di foto). Le statistiche, il passato, il presente e il futuro dei centri sociali milanesi Lit. 25.000 — TRAVELLER E RAVER: racconti orali dei nomadi della nuova era R. Lowe e W. Shaw. Le vere storie di 30 "nomadi de lla nuova era". Parlano i protagonisti di un movimento che solo in GB conta mezzo milione di aderenti, tra vecchi hippy e nuovi raver, gente che si sposta continuamente a bordo di furgoni, camion e auto scassate, pp. 192, con immagini a colori, Lit. 25.000 — ESTATE D'AMORE E DI RIVOLTA Con i Beatles nella Summer of love di Derek Taylor. Un'entusiasmante viaggio nella summer of Love con i Beatles, Ro lling Stones, Doors, Jefferson Airplane, Fugs, Ginsberg, Leary. pp. 271, Lit. 28.000 — COSTRETTI A SANGUINARE Romanzo sul punk 1977 -84 Marco Philopat. Un libro sulla vita di una generazione che ancora oggi porta sulla propria pelle le ferite e le cicatrici di un drammatico passaggio d'epoca, pp. 256, Lit. 25.000 — LA MELA D'ORO Secondo volume della trilogia GLI ILLUMINATI R. Shea - RA. Wilson. Nuove fantastiche avventure aspettano i lettori "intrippati" nella paranoica visione del mondo di quel folle di Robert Anton — HIPHOP A LOS ANGELES Rap e rivolta sociale Brian Cross. Il testo documenta con interviste, foto e saggi le radici storiche del rap e la varietà delle sue reti culturali, pp. 272 Lit 28.000.

COLLF1fl 1 PIRfT1171 T.A.Z. Hakim Bey. Dalle comunità dei pirati di Captain Mission a lle comunità telematiche Cyberpunk. L'elogio del nomadismo psichico in un saggio che è già un classico de lle contro-culture, pp. 175, 80 foto, Lit. 20.000 — VIA RADIO Hakim Bey. Dallo stesso autore di T.A.Z., una raccolta di brevi saggi sull'immediatismo, una strategia di accesso al piacere, "la TV è per l'immaginazione quello che il virus è per il DNA: la fine" pp. 64, Lit. 8.000 — .

UTOPIE PIRATA: corsari mori rinnegati europei, Peter Lamborn Wilson, esperto di zone temporaneamente autonome, mette a fuoco le caratteristiche dell'organizzazione pirata: corsa-ri, sufi, pederasti, irresistibili donne, schiavi, avventurieri, ribelli irlandesi, ebrei eretici, spie britanniche ed eroi popolari radicali... la popolazione di queste ormai mitiche comunità insurrezionali. pp. 160, Lit. 18.000 — MILLENNIUM Dalle taz a lla rivoluzione Hakim Bey, pp. 96, Lit. 18.000.

COLLFII711:1 BLFICHPRO177ETHEUS CON OGNI MEZZO NECESSARIO Malcolm X — I discorsi e le interviste dell'ultimo anno di vita. Uno strumento indispensabile per la conoscenza delle lotte radicali nere, pp. 224, Lit. 25.000 — SENZA ILLUSIONI a cura di Bruno Cartosio. Antologia sui neri ameri-cani dalle Black Panther alla rivolta di Los Angeles. Contributi dei migliori saggisti afroame-ricani, pp. 272, Lit 28.000 — PANTERE NERE Paolo Bertella Farnetti. Il libro sull'organiz-zazione politica che più ha acceso l'immaginazione di varie generazioni di giovani rivoluzio-nari e ribelli: il Partito delle Pantere nere, pp. 288, 100 foto Lit. 25.000.

COLLRI71:1 RE/SEFIRCH RE/SEARCH Edizione italiana W.S. BURROUGHS B. GYSIN Nuova edizione aggiorna-ta, dopo la morte dell'unico scrittore veramente geniale dei nostri tempi, pp. 272 Lit. 25.000 — RE/SEARCH Edizione italiana J.G. Ba llard. Antologia del grande anticipatore del futuro prossimo venturo. Contiene 29 saggi originali inediti di non-fiction, pp. 272, Lit. 20.000 —

RE/SEARCH Edizione italiana MEDUSE CYBORG Antologia di donne arrabbiate Terzo volume dell'edizione italiana di Re/Search, una serie di lunghe interviste a donne arrabbiate che rappresentano diverse esperienze e una comune tensione verso un femminismo moderno e radicale, pp. 349, Lit. 32.000 — RE/SEARCH Edizione italiana MANUALE DI CULTU-RA INDUSTRIALE a cura di Paolo Bandera, il testo è una guida a lla filosofia e all'attività di un gruppo di artisti devianti che si è distinto per aver avuto l'intuizione del crollo de lla civiltà industriale, pp. 288, Lit 28.000.

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