Veneto Romanico 2008 Excerpt-libre

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VENETO ROMANICO A cura di Fulvio Zuliani Introduzione di Giovanna Valenzano Schede di: Ettore Napione Gianpaolo Trevisan Giovanna Valenzano Fulvio Zuliani

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VENETO ROMANICO

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  • VENETO

    ROMANICO

    A cura diFulvio Zuliani

    Introduzione di Giovanna Valenzano

    Schede di:Ettore Napione

    Gianpaolo TrevisanGiovanna Valenzano

    Fulvio Zuliani

  • 2008Editoriale Jaca Book SpA, Milano

    tutti i diritti riservati

    Prima edizione italianaSettembre 2008

    Copertina e graficaUfficio grafico Jaca Book

    In copertina:Murano, Ss. Maria e Donato,

    esterno, veduta absidale

    Sul retro:Verona, San Zeno, portale.

    La campagna fotografica di BAMS photo stata realizzata da Basilio Rodella e Matteo Rodella

    con le seguenti eccezioni:

    Archivio fotografico di Storia dellarte medievale, Universit di Verona,Dip. di discipline storiche, artistiche, archeologiche e geografiche,

    per gentile concessione della prof.ssa Tiziana Franco: 314;Marta Boscolo: 264;

    Gianpaolo Trevisan: X-XIII, XVII, XX, XXII, XXVI, 33, 51, 56, 72, 104, 105, 133, 134, 136, 139-140, 142-144, 152, 184, 206,213-214, 218-219, 239-240, 257, 259-260, 261 alto, 296, 303-305, 313, 336-339, 343-345,

    Fulvio Zuliani: XIV, XXIV.Referenze delle piante: Bartoli 1987: 119; Benini 1995a: 292, 293, 301, 302; Benini 1995b: 165, 309, 311, 325, 334;

    Da Lisca 1924: 177; Da Lisca 1941: 186; Dani 1997: 272; Endrizzi 1996; 242; Garofano 1995: 318; Gerola 1910: 194; La chiesa di San Procolo 1990: 300; Lorenzoni 2000: 211; Pellegrini, Barbiero 1997: 261; Previtali 2001: 273;

    Sandrini 2002: 328; Suitner 1991: 74, 75, 96, 348; Tavano 1984: 220; Trevisan 2004a: 134, 140; Valenzano 2000b: 110, 111; Zuliani 1995: 4, 13.

    Composizione e fotolitoFotochrom, Grottammare (AP)

    Finito di stampare nel mese di ottobre 2008da DAuria Industrie Grafiche, Ascoli Piceno

    ISBN 978-88-16-60303-5

    Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si pu rivolgere a:Editoriale Jaca Book SpA - Servizio Lettori

    Via Frua 11, 20146 Milanotel. 02-48.56.15.20/48.56.15.29, fax 02-48.19.33.61

    e-mail: [email protected]; internet: www.jacabook.it

    Introduzione, di Giovanna Valenzano 9

    Cartografia 29

    Schede maggiori

    SAN MARCO A VENEZIA 35SANTA MARIA ASSUNTA E SANTA FOSCA

    A TORCELLO 67SANTI MARIA E DONATO A MURANO 91SANTO STEFANO A CAORLE 101SANTA SOFIA A PADOVA 107SANTI VITTORE E CORONA A FELTRE 113SANTI FELICE E FORTUNATO A VICENZA 121SAN ZENO A VERONA 129IL DUOMO DI VERONA 147SAN FERMO MAGGIORE A VERONA 159SAN LORENZO A VERONA 169SAN GIOVANNI IN VALLE A VERONA 175SAN SEVERO A BARDOLINO 185SAN GIORGIO A SAN GIORGIO

    DI VALPOLICELLA 195SANTA MARIA E SAN PIETRO IN VALLE

    A GAZZO VERONESE 203SANTANDREA A SOMMACAMPAGNA 217

    Schede brevi

    Venezia, le lagune e la terraferma SAN NICOL DI LIDO A VENEZIA 227SAN ZACCARIA A VENEZIA 228SAN GIACOMO DI RIALTO A VENEZIA 230IL CAMPANILE DI SANTELENA A TESSERA 232SANTA MARIA DI JESOLO 233IL BATTISTERO DI CONCORDIA SAGITTARIA 235SANTA MARIA A SUMMAGA 238

    Treviso e il territorioIL DUOMO DI TREVISO 243SAN VITO A TREVISO 247SANTEUSTACHIO A NERVESA

    DELLA BATTAGLIA 248

    Il territorio belluneseIL DUOMO E IL BATTISTERO DI FELTRE 253SAN DANIELE A PEDESERVA 255

    Il territorio padovanoSAN MICHELE ARCANGELO A POZZOVEGGIANI 257SANTO STEFANO A DUE CARRARE 261SANTA MARIA A CARCERI 265

    Il PolesineIL DUOMO DI ADRIA 269SAN BASILIO AD ARIANO POLESINE 270

    Vicenza e il territorioLA CATTEDRALE DI VICENZA 273SAN GIORGIO IN GOGNA A VICENZA 275SAN SILVESTRO A VICENZA 276SANTA MARIA ETIOPISSA A POLEGGE 278SAN GIORGIO A VELO DASTICO 279

    Verona e il territorioSANTO STEFANO A VERONA 283SANTI APOSTOLI A VERONA 287SANTA MARIA ANTICA A VERONA 290SANTISSIMA TRINIT A VERONA 292LE CRIPTE DI SAN PROCOLO E SANTA MARIA

    IN ORGANO A VERONA 295LA CRIPTA DI SAN BENEDETTO A VERONA 298MADONNA DELLA STR A BELFIORE 300SANTA MARIA DELLA CHIUSARA A BONAVIGO 303

    INDICE 7

    INDICE

  • 8 INDICE

    SAN ZENO A CASTELLETTO DI BRENZONE 306SAN ZENO A CEREA 308SANTA MARIA A CISANO DEL GARDA 311LA BASTIA A ISOLA DELLA SCALA 315SAN SALVARO A SAN PIETRO DI LEGNAGO 317SAN SALVATORE A MONTECCHIA DI CROSARA 319SAN LORENZO A PESCANTINA 321SAN FLORIANO A SAN FLORIANO

    DI VALPOLICELLA 322

    SANTI FILIPPO E GIACOMO A SCARDEVARAE SANTAMBROGIO A TOMBAZOSANADI RONCO ALLADIGE 324

    SAN PIETRO A VILLANOVA DI SAN BONIFACIO 328

    Bibliografia generale 335

    Bibliografia specifica per monumenti 342

    AUTORI DELLE SCHEDE

    Ettore Napione (E.N.):Santi Felice e Fortunato a Vicenza; San Giovanni in Valle a Verona; San Severo a Bardolino; San Giorgio di Valpolicella;Santa Maria e San Pietro in Valle a Gazzo Veronese; SantAndrea a Sommacampagna; La cattedrale di Vicenza; San Gior-gio in Gogna a Vicenza; San Silvestro a Vicenza; Santa Maria Etiopissa a Polegge; San Giorgio a Velo dAstico; Santi Apo-stoli a Verona; Santa Maria Antica a Verona; Santissima Trinit a Verona; Madonna della Str a Belfiore; Santa Maria del-la Chiusara a Bonavigo; San Zeno a Castelletto di Brenzone; San Zeno a Cerea; Santa Maria a Cisano del Garda; La Bastiaa Isola della Scala; San Salvaro a San Pietro di Legnago; San Salvatore a Montecchia di Crosara; San Lorenzo a Pescanti-na; San Floriano a San Floriano di Valpolicella; San Pietro a Villanova di San Bonifacio; Santi Filippo e Giacomo a Scar-devara e SantAmbrogio a Tombazosana di Ronco allAdige.

    Gianpaolo Trevisan (G.T.):Santa Maria Assunta e Santa Fosca a Torcello; Santi Maria e Donato a Murano; Santo Stefano a Caorle; Santa Sofia a Pa-dova; Santi Vittore e Corona a Feltre; San Fermo Maggiore a Verona; San Lorenzo a Verona; San Nicol di Lido a Vene-zia; San Zaccaria a Venezia; San Giacomo di Rialto a Venezia; Il campanile di SantElena a Tessera; Santa Maria di Jesolo;Il battistero di Concordia Sagittaria; Santa Maria a Summaga; Il duomo di Treviso; San Vito a Treviso; SantEustachio aNervesa della Battaglia; Il duomo e il battistero di Feltre; San Daniele a Pedeserva; San Michele a Pozzoveggiani; SantoStefano a Due Carrare; Santa Maria a Carceri; Il duomo di Adria; San Basilio ad Ariano Polesine; Le cripte di San Proco-lo e Santa Maria in Organo a Giovanna Valenzano

    Giovanna Valenzano (G.V.):San Zeno a Verona; Il duomo di Verona; Santo Stefano a Verona; La cripta di San Benedetto a Verona.

    Fulvio Zuliani (F.Z.):San Marco a Venezia.

  • SAN MARCO 35

    SAN MARCO A VENEZIA

    Sono soltanto due secoli che la basilica di San Marco la cattedrale di Venezia: la sede del vescovo veneziano erala chiesa di San Pietro, che si trova tuttora nellarea deno-minata in origine Olivolo e poi Castello, periferica rispettoai centri del potere e delle attivit mercantili, e dove peral-tro il vescovo si era gi insediato nellVIII secolo. nel1807, pochi anni dopo il crollo della Repubblica, in pienaet napoleonica, che il vescovo, che da tempo aveva acqui-sito il titolo patriarcale, si trasfer in San Marco. NellOcci-dente medievale, il caso veneziano si presenta dunque intutta la sua singolarit: mentre ovunque, altrove, la catte-drale il luogo deputato in cui le comunit cittadine, in unacon lautorit religiosa del vescovo, trovano la propriaidentit, e celebrano la loro prosperit e la loro crescitaculturale, contribuendo alla realizzazione di monumentisempre pi prestigiosi, a Venezia, dove la Chiesa statasempre relegata in un ruolo marginale rispetto alla gestio-ne della cosa pubblica, San Marco, che nasce come cap-pella annessa al palazzo ducale per conservare il corpo del-lEvangelista, ma che rapidamente viene ad assumere lefunzioni di chiesa di Stato, a divenire il luogo privilegiatodellautocelebrazione e dellautorappresentazione dellacomunit. Lanalisi delledificio, in tutte le fasi della suastoria, non pu prescindere da questa specificit, che con-diziona lassetto interno ed esterno, e la funzione e il signi-ficato delle immagini, dipinte (a mosaico, naturalmente) escolpite, che via via lo rivestiranno fino a donargli la vesteche oggi vediamo.

    San Marco ci pervenuta in condizioni che rispecchia-no sostanzialmente, nella struttura e nella decorazione,limmagine che aveva raggiunto verso la fine del XV secolo,nel momento, tra laltro, in cui maggiore era la potenza e ilprestigio dello Stato veneziano. Nei secoli successivi, finoalla caduta della Repubblica, a parte poche integrazioni al-larredo (altari, sculture ecc.) gli interventi furono di ma-nutenzione, di restauro e di conservazione: ci si dedic al

    consolidamento delle strutture architettoniche, che findallinizio avevano mostrato notevoli problemi, e al restau-ro-rifacimento delle superfici, soprattutto musive, ove sierano deteriorate. Cos, mentre in tanti altri edifici di ori-gine medievale che ci sono rimasti (in Occidente, almeno:non cos nellOriente ortodosso), le successive innova-zioni della liturgia (basti pensare a quelle della Riformaprotestante e a quelle della Riforma cattolica), introduce-vano radicali riorganizzazioni dellassetto spaziale interno,e profonde alterazioni del corredo di immagini originarie(quando non inducevano a complete, o parziali ricostru-zioni delledificio), San Marco, in cui i tempi e i modi del-la liturgia erano scanditi dal cerimoniale statale e dalla pre-senza del doge, rest praticamente intatta, non solo nellasua veste architettonica, ma anche nel suo assetto interno.E la trasformazione in cattedrale (agli inizi dell800, comeho gi ricordato) giunse troppo tardi perch si potessepensare di alterarla: ormai stava diventando una delle im-magini cardine del nuovo interesse e del nuovo gusto per ilMedioevo e le sue manifestazioni artistiche. Basti pensarealle accesissime polemiche che da allora fino ai nostri gior-ni hanno accompagnato tutti gli interventi, anche minimi,che lhanno riguardata, a partire dalle reprimende otto-centesche di John Ruskin e di Alvise Zorzi ai tempi dellasostituzione delle lastre marmoree esterne da parte dellar-chitetto Meduna.

    E ancora: rispetto a tanti altri monumenti medievali,San Marco ha un corredo di documenti e di carte darchi-vio, accuratamente pubblicato gi alla fine del XIX secolo,particolarmente ricco, e apparentemente non equivoco,per quel che riguarda le fasi della sua costruzione e dellasua decorazione.

    Tutte queste condizioni fanno s che sulla basilica esistauna letteratura sterminata, in cui praticamente impossi-bile mettere ordine, relativa a tutti gli aspetti delledificio,e che si arricchisce anno dopo anno. Nondimeno, qui si in-

  • SANTA MARIA ASSUNTA

    Unepigrafe marmorea rinvenuta in stato frammentarionel 1895 durante gli scavi effettuati nella cripta della basi-lica torcellana da Cesare Augusto Levi, attesta che nel 639per volere dellesarca Isacio facta est ecclesia Sancte MarieDei Genitricis, che essa fabricata est a fundamentis dal ma-gister militum Maurizio e che venne consacrata da Maurovescovo della chiesa stessa. Lanno prima il longobardoRotari aveva espugnato e distrutto Oderzo, sede del magi-ster militum bizantino, causando di conseguenza il trasfe-rimento della popolazione e delle rispettive istituzioni civi-li, militari ed ecclesiastiche in luoghi pi sicuri. A Torcello,nella nuova chiesa, si rifugi il vescovo di Altino e tale ri-mase giuridicamente per lungo tempo: la prima menzionedi un episcopus Torcellanus compare nei documenti del se-colo IX riguardanti la nota controversia canonica tra laSanta Sede e il dogado veneziano, ma i vescovi torcellanicontinuavano a intitolarsi dallantica sede altinate ancoraallinizio del secolo XI, nonostante cinque secoli di residen-za sullisola.

    Le fonti e le indagini archeologiche attestano per Tor-cello un importante sviluppo economico-commerciale nelperiodo alto medievale con un fiorente mercato nei secoliVIII-IX; successivamente la lenta perdita del carattere com-merciale dellisola a favore di Rialto segn il passaggio acentro prevalentemente religioso. Tra la fine del secolo X elinizio dellXI larea presso la cattedrale e la vicina chiesadi Santa Fosca, molto probabilmente eretta in questo pe-riodo, fu destinata a uso cimiteriale e il complesso episco-pale venne interamente rinnovato assumendo laspetto chetuttoggi conserva. Lattuale basilica di Santa Maria Assun-ta infatti la chiesa che il diacono Giovanni, contempora-neo agli avvenimenti, ricorda essere stata ricostruita as-sieme al palazzo vescovile con le sovvenzioni del doge Pie-tro II Orseolo, quando suo figlio Orso venne consacrato

    vescovo di Altino nel 1008: Pietro totum Sanctae Mariaedomum et ecclesiam iam pene vetustate consumptam recrea-re studiosissime fecit. Un caposaldo cronologico, il 1008,da intendere quale inizio di un rinnovamento architettoni-co proseguito nei primi decenni del secolo XI sotto il pon-tificato di Vitale Orseolo, fratello e successore di Orso di-venuto nel frattempo patriarca di Grado (1018-1045),mentre il fratello Ottone Pietro era succeduto al padre neldogado (1008-1029). Ma questo non ancora un dato pa-cificamente acquisito.

    Al centro di un annoso dibattito, non ancora sopito, cir-ca le vicende costruttive e la cronologia della cattedraletorcellana sono stati i problemi delle eventuali relazioni trala chiesa odierna e quella ricordata nellepigrafe del 639 edella sopravvivenza o meno allinterno delledificio attualedi parti risalenti al secolo VII, come pure lindividuazionedegli interventi al tempo dei vescovi Deusdedit I (692-724)e Deusdedit II (864-867), ricordati dalle fonti storiche. Ba-sandosi sui medesimi dati gli studiosi sono giunti a esiti di-versi, con considerevoli oscillazioni nei risultati e sconcer-tanti ripensamenti, che hanno prodotto una trama quasiinestricabile dipotesi contrapposte intorno alle quali la di-scussione prosegue da pi di mezzo secolo.

    La valutazione della chiesa di Santa Maria indubbia-mente condizionata dallo stato in cui ci giunto il monu-mento, alterato da scellerati restauri ottocenteschi e af-flitto da una lunga serie dinterventi manutentivi e trauma-tiche interpolazioni, che per buona parte ne hanno com-promesso la leggibilit. Una difficolt resa pi evidentedalla recente analisi degli elevati (Gorini 2000; Girardi2002), la quale, nonostante lo sforzo compiuto, non haprodotto risultati sufficienti a dipanare la cronologia dellevicende edilizie. Tuttavia, come vedremo, vi sono una seriedi dati di fatto convergenti che portano a ritenere lattualeedificio di Santa Maria quello iniziato nel 1008 dal ducaPietro e dal vescovo Orso Orseolo: i problemi semmai ri-

    SANTA MARIA ASSUNTAE SANTA FOSCA A TORCELLO

    SANTA MARIA ASSUNTA E SANTA FOSCA 67

  • 76 TORCELLO SANTA MARIA ASSUNTA E SANTA FOSCA 77

    39. Torcello, S. Maria, interno, pulpito, pergula e plutei della recinzione presbiteriale. 40-41. Torcello, S. Maria, interno, plutei bizantinidella recinzione presbiteriale.

    42. Torcello, S. Maria, interno, capitello composito della navata afoglie dacanto finemente dentellate e con palmette tra le volute.43. Torcello, S. Maria, interno, capitello composito della pergula

    presbiteriale con palmette tra le volute.

  • La promissione di fede prestata nellatto di assumerelincarico da Michele Monetario plebanus basilice SancteMarie plebis Murianensis a Valerio vescovo di Torcello(990-1008), risalente al febbraio 999, costituisce il primodocumento scritto che menziona la basilica di Santa Mariaa Murano. Ledificio citato nel documento per non quel-lo odierno, ma uno precedente, poich la chiesa venne inte-ramente ricostruita nei primi decenni del secolo XII e termi-nata entro il 1141, come sancisce liscrizione al centro delpavimento musivo. Probabilmente la riedificazione preseavvio nel 1125 con il trasporto nella chiesa delle spoglie disan Donato, un dono del doge Domenico Michiel su pro-posta del clero veneziano. Tuttavia non da escludere che ilavori fossero iniziati qualche anno prima, per la necessit ovolont di rinnovare un edificio fatiscente o solo antiquato,e che giunti a buon punto nel 1125 si procedesse alla solen-ne consacrazione del santuario con la collocazione delle re-liquie del santo, a maggior lustro e prestigio della nuova ba-silica muranese. Pi precisamente Hans Buchwald ritieneche la chiesa sia stata iniziata alla fine del secolo XI e con-clusa entro il primo terzo del secolo XII, per via della strettacorrelazione tra le sculture ornamentali dei Santi Maria eDonato e quelle della basilica di San Marco (Buchwald1962-1963). Secondo altra ipotesi, la ricostruzione si sareb-be resa necessaria a seguito dei danni prodotti dal terremo-to del 1117 (Polacco 1993). Mancano tuttavia elementi suf-ficienti per attribuire allevento sismico un rinnovamentoedilizio che pi probabilmente rientra nel generale clima disviluppo economico delle aree urbane, e che a Murano tro-va testimonianza nelle numerose fondazioni ecclesiastichedei secoli XI e XII. Dopo la traslazione del corpo di san Do-nato, la chiesa non guadagn la doppia intitolazione odier-na: negli atti ufficiali compare quale ecclesie collegiate Sanc-te Marie alias Sancti Donati solo nel 1536.

    Nel 1692 il vescovo di Torcello Marco Giustiniani tra-sfer la sede episcopale a Murano, e fece eseguire radicali

    cambiamenti allarredo e alla struttura della chiesa. Tuttala chiesa venne rimodernata secondo il gusto barocco del-lepoca. Possiamo valutare lentit dellintervento graziealle notizie riportate nelle visite pastorali in particolarequella datata 6 giugno 1683 che danno importanti infor-mazioni sullinterno della chiesa prima dei mutamenti, egrazie ai documenti dellarchivio parrocchiale, dove ven-gono annotati i lavori attuati a partire dal 1694: le arcatenella navata ebbero un rivestimento ligneo decorato a inta-glio e dorato; le basi delle colonne furono scalpellate e ri-vestite anchesse; si chiusero le finestre del secolo XII e sisostituirono con finestre semicircolari; volte fittizie celaro-no il soffitto a carena di nave rovescia del secolo XIV o XV(poi in gran parte rifatto nellOttocento), cosa che com-port leliminazione del mosaico sullarco trionfale raffi-gurante lAnnunciazione, analogo, per esempio, a quelloancora visibile nella cattedrale di Torcello. Nel 1695 la zo-na del coro sub un pesante stravolgimento. La nuova si-stemazione determin lo smantellamento della strutturamarmorea del coro (forse quattrocentesca, forse pi anti-ca), posta a chiudere la zona pi sacra della chiesa a parti-re dal transetto; i due pulpiti antichi furono eliminati, euno nuovo venne costruito nel luogo dove possiamo ve-derlo attualmente, reimpiegando uno dei parapetti, la cuifattura rimanda a opere del secolo VI sul tipo dei pulpiticon scale da entrambi i lati; il presbiterio fu rialzato di tregradini e dotato di un nuovo altare, demolendo lanticocon il suo ciborio (probabilmente non quello di secolo IXdi cui si dir). Poi, nel 1700, davanti allaltare fu preparatala tomba a camera del vescovo Giustiniani dietro suo stes-so ordine (mor nel 1735), distruggendo definitivamente ilpavimento musivo del presbiterio che era stato staccato ericollocato dopo il rialzo. La pala dargento dellaltareprincipale venne venduta nel 1699, e si salv solamente lapala feriale. Ulteriori interventi, tuttavia meno rilevanti,furono laddossamento di edifici adibiti a sacrestia lungo il

    SANTI MARIA E DONATOA MURANO

    SANTI MARIA E DONATO 91

  • SANTA SOFIA 107

    Il primo e pi importante documento sulla chiesa diSanta Sofia un atto del 19 febbraio 1123 con il quale ilvescovo di Padova Sinibaldo, daccordo con i canonicidella cattedrale padovana, dona ai chierici di Santa Sofia ledecime dovute alla chiesa cattedrale dagli abitanti del bor-go. Il presule ricordava che dum circa tempus quo epi-scopalem susceperem consecrationem, viderem ecclesiamsancte Sophye in paupertatis exuri camino, que tunc in su-burbio civitatis Padue in nove molis erigebatur fabricam,dignum duxi, ut manus ei consolacionis porrigerem et sal-tim de decimis sancte Marie maioris ecclesie porciunculamsibi karitative impenderem. Dunque al tempo della con-sacrazione episcopale di Sinibaldo, nel 1106, la nuovachiesa di Santa Sofia era in costruzione, ma poich giacevain una situazione economica per nulla florida, il vescovoriteneva opportuno destinare a essa almeno una piccolaparte delle decime della chiesa cattedrale di Santa Maria.La donazione fu esplicitamente vincolata al sostentamentodei chierici e al proseguimento della fabbrica, conclusa laquale i chierici di Santa Sofia dovevano istituire entro unquadriennio una canonica regolare e iniziare a condurrevita comunitaria; la mancata osservanza di questultimaclausola sarebbe stata lunico motivo di revoca della con-cessione delle decime, eccetto la quarta parte spettante inogni caso alle chiese cittadine. Il documento fa riferimentoanche alla presenza gi consolidata di un gruppo di chieri-ci di Santa Sofia, tuttavia al di sotto delledificio romaniconon sono emerse tracce archeologiche di una eventualechiesa pi antica, che pertanto doveva trovarsi in unareadiversa da quella su cui insiste la chiesa attuale.

    Edificata lungo lantica via Emilia-Altinate, che condu-ceva ad Aquileia, la chiesa di Santa Sofia una basilica atre navate conclusa a oriente con un insolito imponenteemiciclo che abbraccia lintera larghezza delledificio. Talestraordinaria mole architettonica non racchiude un deam-bulatorio intorno al santuario con laltare principale co-

    me ci si aspetterebbe poich labside maggiore, comuni-cante direttamente con il falso deambulatorio tramiteuna serie di arcate, slitta verso il fondo e si adagia tangentea una cella triconca emergente dallemiciclo, annullando ilpercorso semianulare. Dunque, un edificio affatto singola-re nel panorama dellarchitettura regionale, tanto pi che,come si dir, fu realizzato a cavaliere dei secoli XI e XII damaestranze formatesi nei cantieri delle grandi architetturedella laguna veneta.

    Lodierna fisionomia, al pari della maggior parte dellechiese medievali, il risultato di una serie di restauricompiuti tra Otto e Novecento che hanno eliminato le co-siddette superfetazioni fino a restituire il presunto aspet-to originario. Tra i vari interventi il pi consistente, e insostanza definitivo, per laspetto attuale della chiesa il re-stauro iniziato nel 1941, parzialmente protrattosi durantela guerra e concluso nel 1951-1958 con il sensazionale ri-trovamento di una cripta sottostante larea presbiteriale,prima ignota. La storiografia ha ricostruito le vicende elentit di tali lavori, fornendo gli strumenti per discernerein parte quanto frutto dellinterpretazione e interpola-zione dei restauratori da quanto pertiene alloriginariacostruzione di Santa Sofia e alle modifiche introdotte inepoche antiche (Porter 1917; Forlati 1941; Fontana 1982;Coden 2005).

    In origine la suddivisione interna in navate era attuatasecondo una successione modulare di due pilastri e unacolonna; la serie ora alterata nella seconda met dellachiesa dove le colonne furono mutate in pilastri e i pilastrioriginali manomessi. Nella prima parte della chiesa, inve-ce, laspetto dei sostegni verosimilmente quello primiti-vo, anche se parzialmente di ripristino: le coppie di pilastripresentano a mezza altezza una nicchia con colonnette ot-tagonali (alcune rifatte nei restauri del 1852) e piccoli capi-telli a spigoli smussati, e le arcate fra pilastro e pilastro siappoggiano su colonne con capitelli imposta fittamente

    SANTA SOFIAA PADOVA

  • SANTI VITTORE E CORONA 113

    La chiesa dei Santi Vittore e Corona situata presso lalocalit di Anz a circa tre chilometri da Feltre, isolata incima a un colle del monte Miesna in posizione dominantesulla strada che dalla destra Piave risale il fiume Sonna eporta alla citt. Nel Medioevo il sito era di determinanteimportanza strategica per la difesa di Feltre: la strada me-dievale aveva altra direzione dallattuale e non costeggiavail letto del fiume, bens transitava in un passaggio detto LaChiusa evidente riferimento allo sbarramento di confinedi cui sono emersi chiari avanzi murari tra la base delcolle con la chiesa e una pi piccola altura dirimpetto, sul-la quale era stata eretta una torre il cui uso accertato dal-la fine del secolo XI. Recentemente si appurato che alme-no dal periodo bassomedievale era fortificata anche lareaaccanto alla chiesa oggi occupata dallala est del chiostro(resti di un edificio demolito sono stati trovati anche da-vanti al portone del convento, a tre metri di profondit), eun secondo fortilizio, chiamato rochetta nelle carte del se-colo XIII, era ubicato pi in alto sulle pendici del monteMiesna, a conclusione di un robusto sistema difensivo peril controllo dellaccesso a Feltre di cui ormai restano pochetracce archeologiche. Si comprende quindi come la chiesa,che custodiva il sacro corpo del martire soldato Vittore,potesse trovare la sua sede in un luogo impervio e lontanodal centro cittadino, e tuttavia perfetto affinch il santoesercitasse il ruolo di protettore di cui era stato investito.

    Lorigine del santuario si deve a un altro soldato, Iohan-nes de Vidor, pi volte nominato in diplomi di Enrico IVtra i fideles o milites nostri al seguito dellimperatore, e de-finito fundator aulae nellepitaffio della sua sontuosa tom-ba allestita nel 1096 dal figlio Arpone vescovo di Feltre: laposizione privilegiata del sarcofago a ridosso dellabsideche custodisce i martiri non lascia dubbi sul ruolo avutoda Giovanni. Secondo il testo trascritto nellepigrafe di se-colo XIV sulla cassa dei martiri al centro del santuario, il 14maggio 1101, dies natalis dei santi Vittore e Corona, Arpo-

    ne dedic la chiesa alla presenza dellimperatore Enrico IV,e ripose nellarca molte reliquie, elencate nominalmente,nonch i corpi dei due martiri in onore dei quali era statacostruita la chiesa. tuttavia possibile che la chiesa roma-nica sia stata preceduta da un altro edificio di culto, comelascerebbe supporre il ritrovamento in luogo di alcuni pez-zi scolpiti appartenuti ad arredi presbiteriali altomedievali.Tuttavia di questa fase altomedievale non sono state rinve-nute murature, ed perci auspicabile uno scavo archeo-logico allinterno della chiesa odierna per dirimere la que-stione. Presente o meno che fosse un edificio precedente, stato plausibilmente suggerito che limportanza di Gio-vanni da Vidor nella fondazione della chiesa sia da porrein relazione soprattutto con larrivo a Feltre dei sacri corpidi san Vittore e santa Corona, e non solo, o non necessa-riamente, essere connessa con linizio della costruzione at-tuale (Coden 2000).

    Lodierno aspetto del complesso cultuale feltrino perla maggior parte susseguente agli interventi edilizi pro-mossi dai frati Fiesolani di San Girolamo, che lo ebbero incustodia dal 1494 al 1668. Lanno successivo al loro inse-diamento i Fiesolani iniziarono a costruire il chiostro e glialtri edifici conventuali che si sviluppano a meridione del-la chiesa, mentre nellangolo nord-occidentale, accanto al-la facciata, edificarono il campanile. Fu durante questa se-rie dinterventi che la chiesa venne coperta dal tetto a duefalde che d alla costruzione unapparente compattezza euniformit, e cela al visitatore la fisionomia primitiva del-ledificio. Ai Fiesolani subentrarono i padri Somaschi nelperiodo dal 1669 al 1771, ma a essi non pare si possano at-tribuire interventi strutturali di rilievo (forse alcune partidellala est del chiostro); durante il loro soggiorno, per,linterno della chiesa ricevette sul finire del secolo XVII unrivestimento di stucchi in stile barocco. Dal 1852 al 1878la chiesa fu retta dai frati Francescani, i quali attuarono unprogramma dadeguamento alle proprie esigenze delle

    SANTI VITTORE E CORONAA FELTRE

  • lonnette coronate da capitelli, forse un arcosolio addossa-to alla parete absidale a protezione del sarcofago tipico dimolte altre tombe medievali. Come gi accennato talestruttura venne eliminata per la costruzione del coro fran-cescano: le colonnette sono state recuperate e poste nellamedesima sacrestia ai lati della porta dentrata; della cop-pia di capitellini un esemplare potrebbe essere quello er-ratico reso noto da Alpago Novello, lavorato a masticenero e simile a quelli della galleria, ma pi piccolo e concollarino. inoltre probabile che il sarcofago di Giovannida Vidor sia lattuale arca dei martiri Vittore e Corona, iviriutilizzato nel 1440.

    In conclusione, la particolare architettura e decorazionedei Santi Vittore e Corona ne fanno un monumento unicoe imperdibile, ma allo stesso tempo limitano le possibilicomparazioni a singoli aspetti o elementi non tutti facil-mente inquadrabili in una trama di riferimenti unitaria. per evidente che tutta la costruzione segue un preciso in-dirizzo culturale e di gusto che difficilmente troverebbecollocazione dopo linizio del secolo XII, e in un momentodiverso dal periodo del vescovo imperiale Arpone da Vi-dor. Ad Arpone spetta certamente un ruolo di primariaimportanza nella costruzione del martyrium dei santi lega-ti alla propria famiglia, e la responsabilit della peculiarefisionomia tra Oriente e Occidente impressa alledificio sa-cro, con tutta probabilit frutto delle esigenze funzionali edi monumentalit dettate dal committente. Le due epigra-fi del 1096 e del 1101 ricordate allinizio hanno dunque un

    SANTI VITTORE E CORONA 119

  • 120 FELTRE

    notevole peso storico, ma devono essere riferite allarchi-tettura con alcune cautele: lanno 1096 ricorda la data dimorte di Giovanni da Vidor, e potrebbe essere linizio del-la costruzione attuale; non per plausibile correlare ladeposizione delle reliquie del 1101 alla conclusione dellachiesa, bens pi probabilmente alla consacrazione del so-lo santuario. Come stato osservato i caratteri architetto-nici delledificio convengono a un periodo pi avanzato, etuttavia ledificazione della chiesa dei Santi Vittore e Coro-na strettamente ancorata agli interessi dei da Vidor e vacollocata negli anni del pontificato di Arpone, del qualeabbiamo notizie fino al 1117, mentre il suo successore Gil-berto documentato solo dal 1134: verosimile dunqueche il cantiere si sia concluso entro il secondo o terzo de-cennio del secolo XII.

    SANTI FELICE E FORTUNATO 121

    Nel IV secolo, la prima comunit cristiana organizzatadi Vicenza costru una basilica nel luogo di un antico cimi-tero romano, dove secondo la tradizione erano state accol-te le reliquie del martire Felice. Il santo fu decapitato adAquileia al tempo dellimperatore Diocleziano, assieme alfratello Fortunato, le cui spoglie rimasero nella cittadinadel martirio.

    Il cimitero era esterno alla citt, presso la via Postumia,in direzione di Verona. Il santuario mantenne questa posi-zione extraurbana lungo tutto il Medioevo e la sua distan-za dalle mura ancora percepibile per chi giunge da portaCastello. Ledificio attuale una struttura basilicale di late-rizi, a tre navate, con unica abside semicircolare e un siste-ma alternato dei sostegni (pilastri quadrangolari e colon-ne). Il presbiterio sormonta una piccola cripta compresanella curva absidale. Nel pavimento della basilica sonocontenuti due successivi lacerti a mosaico, rimasti a vistadopo il loro ritrovamento alla fine del XIX secolo: il primo(un litostrato con iscrizioni votive posto sotto la navataprincipale) corrisponde alla quota di una primitiva basilicaquadrangolare ad aula, il secondo, invece, riferibile aduna chiesa a tre navate del V secolo (i mosaici a ridosso del-la parete meridionale), che terminava ad oriente in unab-side quadrata. Giovanni Mantese pensava che la basilicafosse stata anche la prima cattedrale di Vicenza, per liden-tificazione nel 1933 delle fondazioni di un edificio ottago-nale a nord della chiesa, interpretato come un battistero.In realt, la destinazione originaria di queste vestigia ar-cheologiche rimane molto dubbia ed, in ogni caso, lesi-stenza di un battistero poteva prescindere dalla funzioneepiscopale. Nel VI secolo, a sud-est della basilica, fu co-struito il sacello martiriale ancora esistente, intitolato aSanta Maria Mater Domini, per volont di un dignitariocittadino, tale Gregorio referendarius. Questa cappella acroce greca, edificata in laterizi (soprattutto riusando mat-toni di epoca romana) e con volta a cupola su pennacchi

    ornati da mosaici (rimane visibile, tra i vari frammenti, lafigura del leone, simbolo di San Marco) rivedeva lo sche-ma delloratorio di San Prosdocimo annesso, nella stessaposizione, alla basilica di Santa Giustina a Padova, e, in ge-

    SANTI FELICE E FORTUNATOA VICENZA

    Pagine precedenti:85. Feltre, Ss. Vittore e Corona, interno, veduta delle navate verso occidente.86. Feltre, Ss. Vittore e Corona, interno, veduta verso settentrione.87. Feltre, Ss. Vittore e Corona, interno, veduta delle navate verso labside.88. Feltre, Ss. Vittore e Corona, interno, capitello-imposta del loggiato absidale con decorazionea riempimento di mastice.

    89. Feltre, Ss. Vittore e Corona, interno, lastra del monumento funebre

    di Giovanni da Vidor con epigrafe del 1096.90. Capitello con foglie dacanto mosse dal vento.

  • IL DUOMO 147

    I resti archeologici pi antichi del complesso episcopaledi Verona sono stati datati entro la prima met del IV seco-lo (Lusuardi Siena, 1987). Di un primo edificio di culto,denominato convenzionalmente chiesa A, sono state ritro-vate consistenti tracce da scavi archeologici nelle adiacen-ze e sotto il pavimento della chiesa di SantElena, struttu-ra, questultima, di grandissimo interesse, nelle cui mura-ture, vero e proprio palinsesto, si leggono ancora consi-stenti tratti della costruzione altomedievale, identificabilecon la chiesa canonicale di San Giorgio, il cui altare mag-giore fu ridedicato dal patriarca di Aquileia nel 1140, co-me attesta ancora oggi lepigrafe. Intorno alla met del Vsecolo, ma mancano prove sicure al riguardo, fu accorciatala chiesa A, inglobando parte dellarea nella costruzione diuna nuova grande basilica (circa 2000 mq), la cosiddettachiesa B, suddivisa in tre navate, di cui sono visibili moltitratti di mosaici pavimentali nellarea del chiostro canoni-cale messi in luce negli scavi effettuati sotto limpulso dimonsignor Vignola alla fine dellOttocento, e le colonne ei capitelli rimontati che ancora si vedono. Gli edifici sonodenominati con le lettere dellalfabeto, indicando la se-quenza stratigrafica e cronologica, perch non esistonofonti documentarie che tramandino lesatta titolazione.

    La prima menzione scritta a Santa Maria risale all820 edovrebbe riferirsi a unaltra chiesa, probabilmente postaad affiancare la chiesa B, nellarea dellattuale cattedrale,secondo luso consolidato delle cattedrali doppie, accerta-to per gli altri centri padani. Nell837 menzionato per laprima volta il battistero di San Giovanni. Un battistero do-veva comunque esistere fin dallepiscopato di Zeno (362-372 o 380 ca.), vescovo poi assunto quale santo patronodella citt. In alcuni Sermoni del presule veronese si de-scrive infatti il rito del battesimo per completa immersio-ne, compreso il capo, che presuppone strutture idrichecomplesse. Ancora controversa la ricostruzione del com-plesso episcopale in et carolingia e ottoniana.

    Dagli inizi del XII secolo tutta larea fu oggetto di granditrasformazioni e ricostruzioni. La chiesa cattedrale odier-na, per quanto radicalmente trasformata allinterno a par-tire dal Quattrocento, conserva consistenti parti della fab-brica romanica, ben leggibili soprattutto allesterno. Nonvi alcun appiglio documentario riguardo lavvio dei lavo-ri: le uniche indicazioni sono fornite dagli eruditi rinasci-mentali e dellet dei Lumi. Canobbio ricorda che nel1139 furono iniziati fondamenti del Domo nel modelloche oggi si vede. La data di consacrazione delledifico daparte di papa Urbano III il 13 settembre del 1187, pi vol-te riportata dai diversi storici veronesi, non ha alcun signi-ficato per la determinazione cronologica delle fasi costrut-tive. Pi significativa invece la presenza accertata nel1153 dellaltar maggiore, se in una piena dellAdige lac-qua era giunta a lambirlo, sempre che sia attendibile la te-stimonianza del Canobbio, che attinse per la sua storia ma-noscritta a fonti oggi non pi esistenti e verificabili.

    Verona sub consistenti danni dal terremoto del 1117,che vennero spesso enfatizzati dalle cronache coeve e im-mediatamente successive. Del resto gli annali della Trinit,ricordano danni ad altri edifici, tra cui il crollo di partedellultimo giro dellantico anfiteatro romano, larena, manon menzionano danni specifici agli edifici episcopali. Laconsistenza delle murature perimetrali della chiesa altome-dievale, dedicata prima a San Giorgio e poi a SantElena,con andamento parallelo a quelle della cattedrale, parreb-be far escludere che possano essersi verificati gravi dannialle strutture del duomo altomedievale.

    Lanalisi della fabbrica attuale deve partire dalla zonaabsidale, seguendo la progressione della costruzione. Lafacciata fu infatti costruita per ultima e solo quando fu ter-minata lo scultore Nicholaus vi addoss la struttura delprotiro a due piani, lunico integralmente conservato traquelli realizzati dallartista per le cattedrali di Piacenza e diFerrara. Proprio alla costruzione del protiro potrebbe pi

    IL DUOMO DI VERONA

  • SAN FERMO MAGGIORE 159

    Larea sulla quale sorge il complesso monastico di SanFermo Maggiore ebbe fin dallantichit una destinazionefuneraria. Qui, appena fuori dalla romana Porta Leoni,che dal secolo VIII le fonti medievali chiamano Porta Sanc-ti Firmi, in origine sorgeva una basilica cimiteriale rettan-golare, i cui resti sono stati ritrovati appena sotto il pavi-mento dellodierna cripta di San Fermo in occasione deirestauri del periodo 1905-1914, e sono databili su base ti-pologica al secolo V-VI. In questa basilica, come narra laTranslatio dei santi Fermo e Rustico, il vescovo di VeronaAnnone (750-772 circa) depose i sacri corpi dei due marti-ri veronesi assieme ad altri quattro santi (esattamente il 27marzo 765 secondo uniscrizione di controversa lettura in-cisa sulla cassa plumbea contenente le reliquie), trasfor-mando e abbellendo il presbiterio per accogliere le sacrespoglie. Di tale episodio di rinnovamento degli arredi li-turgici, ricordato anche nel Versus de Verona un compo-nimento poetico scritto tra il 796 e l805 che celebra le me-morie religiose di Verona e delle sue reliquie, e in partico-lare di quelle dei santi Fermo e Rustico , sono state re-centemente messe in luce le tracce materiali con uno scavoarcheologico nel presbiterio della cripta: allinterno del-laula paleocristiana era stato costruito un santuario semi-circolare con un grande ciborio o forse una pergula sorret-ta da quattro colonne, delle quali restano le impronte; alcentro del santuario vi era probabilmente larca saxea conle reliquie dei martiri menzionata nelle fonti, ovvero lalta-re. Durante lalto Medioevo la basilica divenne stazionedel circuito liturgico della Chiesa veronese in due giornidel calendario liturgico, il dies natalis dei Santi titolari (9agosto) e la sua vigilia, mentre la liturgia quotidiana venivaassicurata da presbiteri propri. Ledificio paleocristiano,con il santuario allestito dal presule Annone, rimase in usofino al secolo XI quando, nellambito di un riassetto dellavita ecclesiastica cittadina attuato dai vescovi veronesi, nel-la custodia dei santi martiri al clero secolare subentrarono

    i monaci benedettini e la chiesa venne interamente rico-struita dalle fondamenta.

    La pi importante e unica testimonianza scritta sul-la nuova chiesa lepigrafe scolpita nel pilastro maggioredestro del presbiterio della cripta, che ricorda il 1065 co-me lanno in cui venne iniziata la costruzione: Millesimussexagesimus quintus fuit annus quo mansit latum princi-piumque sacrum. Una seconda epigrafe, riutilizzata comemateriale da costruzione nella trecentesca facciata attuale,ricorda un opus fatto dal murarius Anno e compiuto nel1143, data che viene tradizionalmente interpretata come iltermine conclusivo della fabbrica di San Fermo, ma il cuivalore come vedremo assai relativo.

    La chiesa del secolo XI, che era a tre navate, venneprofondamente ristrutturata assumendo lodierno aspettotra la fine del secolo XIII e linizio del XIV, dopo che nel1259 i francescani presero il posto dei monaci benedettini;tuttavia ledificio benedettino costituisce lossatura por-tante della chiesa che oggi possiamo ammirare. Per com-prendere come fosse San Fermo Maggiore in origine, oc-corre seguirne i resti murari allinterno e allesterno dellachiesa odierna, immaginando un edificio costituito da treambienti principali: una cripta semi-interrata, che si esten-de per lintera superficie della chiesa soprastante, la chiesavera e propria, e un avancorpo a essa antistante oggi quasinon pi percepibile. Allesterno il complesso absidale colcampanile e i coronamenti del tetto rivelano immediata-mente fasi costruttive diverse, mentre pi difficile coglie-re le stratificazioni architettoniche nel corpo longitudinaledella chiesa, la cui leggibilit per buona parte preclusa dacappelle laterali e dal chiostro aggiunti. Allinterno delle-dificio poi non troveremo nulla che faccia sospettare di es-sere in una chiesa la cui costruzione risale al secolo XI: in-vece lampia navata attuale, i bracci laterali del transetto eil capocroce si sviluppano su murature della precedentecostruzione. Per poter compiere il percorso di ricomposi-

    SAN FERMO MAGGIOREA VERONA

  • SAN LORENZO 169

    La chiesa di San Lorenzo sorgeva in unarea extraurba-na a ovest della citt lungo la romana Via Postumia, oggiCorso Cavour, che dalluscita della citt alla zona cimite-riale di San Zeno era fiancheggiata da monumenti sepol-crali. Tralasciando le congetture favolistiche che volevanolodierna costruzione addirittura di epoca costantiniana ogiustinianea, e cos pure la testimonianza circa la fondazio-ne o restauro della chiesa da parte dellarcidiacono vero-nese Pacifico nel secolo IX, contenuta nel suo epitaffio ri-velatosi uninvenzione della prima met del secolo XII, laprima notizia certa sulla chiesa nel Versus de Verona, uncomponimento scritto tra il 796 e l805 che celebra le me-morie religiose di Verona, cui segue la menzione in un attodel 20 giugno 814. Ai documenti scritti si affiancano alcu-ni reperti scultorei appartenuti a un arredo presbiterialedel secolo IX, ritrovati durante i lavori di ripristino del se-colo XIX scavando nellarea davanti allaltare maggiore, efino a poco tempo fa raccolti vicino alla chiesa nel porticodella canonica in un vergognoso stato di abbandono. Man-ca per qualsiasi riscontro archeologico delledificio eccle-siastico precedente lattuale, che pure dovette esistere.

    Lodierna San Lorenzo con tutta probabilit venne con-clusa al principio del secolo XII, in un momento prossimoalla data convenzionale del 1110 proposta da Luigi Simeo-ni, e suggerita da una lamina plumbea ritrovata nel 1894 inun repositorio per reliquie nel pavimento dellabsidiolameridionale del transetto. La lamina reca uniscrizione cheattesta la deposizione di reliquie di santIppolito effettuatadal vescovo di Verona Zufeto, il cui pontificato si collocaprecisamente tra l1 dicembre 1107, ultimo atto conosciu-to del predecessore Bertoldo, e il 21 febbraio 1111, primoatto del successore Uberto.

    La chiesa di San Lorenzo presenta uno schema plani-metrico identico a quello di San Fermo Maggiore, ma svol-ge un elevato sorprendentemente diverso. San Lorenzo siconfigura come una basilica a tre navate con transetto re-

    golare; allinterno pilastri compositi, di forma quadratacon lesene e semicolonne addossate, si alternano a colonnemarmoree; sopra le navate laterali vi sono le gallerie, colle-gate fra loro da una tribuna occidentale a ridosso dellacontrofacciata ed estese ai bracci del transetto e alle cap-pelle laterali al santuario; le gallerie si aprono verso la na-vata centrale con doppie arcate che replicano, con unal-tezza di poco inferiore, quelle al piano delle navate, men-tre nel santuario vi sono due bifore per lato; per raggiun-gere il piano superiore furono edificate due torri scalari ci-lindriche in aderenza alla facciata.

    Laspetto attuale della chiesa si deve a un radicale ripri-stino compiuto negli anni 1887-1898, com noto promos-so e attuato dallallora rettore di San Lorenzo don PietroScapini. Successivamente alcuni lavori provvisori venneroeffettuati in seguito ai danni causati da due incursioni ae-ree anglo-americane durante la seconda guerra mondiale,e poi, a completamento delle riparazioni demergenza diqualche anno prima, di nuovo sintervenne nel 1950-1952con pi pesanti restauri che, al contrario del ripristinoottocentesco, inserirono elementi estranei allarchitetturaoriginaria. Lanalisi di questi lavori, noti attraverso somma-rie pubblicazioni contemporanee, il primo imprescindi-bile passo per affrontare lo studio architettonico dellachiesa, e non ancora stato del tutto compiuto. Qui nonsar possibile fornire tutti i dettagli che restituisce la co-piosa documentazione darchivio, ma solo definirne le tap-pe pi importanti.

    Prima che don Scapini iniziasse il ripristino della chiesaessa si presentava in modo assai differente dallattuale.Linterno aveva la navata principale coperta da una volta abotte costruita per lascito testamentario del vescovo di Tri-poli Matteo Canato commendatario della chiesa di SanLorenzo, nella quale volle essere seppellito davanti allalta-re maggiore e dunque realizzata dopo il 1478. Al vescovoMatteo si deve anche la ricostruzione o forse costruzione

    SAN LORENZOA VERONA

    168 VERONA

    144. Verona, S. Lorenzo, interno, navata maggiore verso labside.

  • SAN SEVERO 185

    La chiesa di San Severo a Bardolino, sulla riviera orien-tale del lago di Garda, contiene uno dei cicli pittorici adaffresco pi integri della prima met del XII secolo, unadelle migliori approssimazioni sulla condizione figurativae decorativa di una chiesa del Veneto continentale in pe-riodo romanico.

    Ledificio odierno un impianto basilicale triabsidato,suddiviso in tre navate da colonne, il cui aspetto dipende,in parte, dalle modifiche apportate dai restauri effettua-ti tra il 1927 e il 1932. Questi lavori erano il punto di arri-vo di un impegno di salvaguardia assunto da Carlo Cipollanel 1884, quando San Severo, ormai sconsacrata da tempo,veniva utilizzata come teatro per le marionette (Archiviodi Stato di Verona, Prefettura, Commissione consultiva bel-le arti, busta 3, fasc. 55). Lo studioso intervenne bloccan-do degli adeguamenti strutturali che avrebbero distruttogli affreschi (allora, a quanto sintende, parzialmente a vi-sta, dopo la caduta di un intonaco di et moderna), av-viando delle indagini sullorigine di San Severo, sfociatenel 1903 in uno scavo archeologico sotto il presbiterio. Al-la conservazione della navata centrale e degli affreschi, irestauri fecero corrispondere una ristrutturazione quasiintegrale del settore orientale e una revisione della paretenord. Gli scavi, ripresi in parte nel 1927, misero in luceuna cripta a corridoio annessa ai perimetrali di una chiesaad aula con unica abside, impostata su di un asse spostatoa sud-ovest rispetto a quello delledificio odierno. Questescoperte favorirono il progetto di eliminare le trasforma-zioni settecentesche, per ridare alla struttura ununifor-mit di aspetto romanico (furono risparmiante le varia-zioni alla facciata, mantenendo, per esempio le due fine-stre con cornice inflessa, ai lati del portale). Labside qua-drata, che nel 1750 aveva sostituito la terminazione medie-vale, fu demolita per rifare un catino semicircolare, com-prensivo degli ornati del doppio coronamento esterno incotto, con cornice a denti di sega e ad archetti pensili.

    Queste decorazioni furono riprese da un frammento dicornice che si era conservato a lato dellabsidiola setten-trionale, generando un ottimo camuffamento in stile, a cuile stesse absidiole furono uniformate. Il diametro dellabsi-de principale era stato impostato sulla base dei reperti mu-rari rinvenuti nel sottosuolo, tuttora in parte confusamen-te annessi alle pareti della cripta. Non abbiamo una preci-sa documentazione risalente agli anni del ripristino. Inquesto senso i lavori del primo Novecento restituirono unedificio paradossale, molto conservato e, allo stesso tem-po, manomesso al punto da complicare i tentativi di inter-pretazione architettonica e archeologica.

    I presupposti di questa difficolt stanno, tuttavia, aborigine in quello che Arslan definiva impianto indetermi-nato ed empirico, realizzato soprattutto di conci lapi-dei irregolarmente squadrati (una tecnica scarsamente re-ferenziale in senso cronologico) e caratterizzato da marca-te asimmetrie: leccessiva maggior lunghezza della navata

    SAN SEVEROA BARDOLINO

    0 20 m

  • SAN GIORGIO 195

    Il 31 maggio 1187, larciprete della pieve di San Giorgiodi Valpolicella, Martino, vendeva alla Congregazione vero-nese una casa in contrada San Giacomo a Verona per 150lire, dichiarando di avere impegnato questo denaro nel-lacquisto di un bosco. La permuta si era svolta a SanGiorgio (definito castrum) in una abitazione episcopale(domus episcopi), alla presenza del vescovo Adelardo e conil consenso dei dodici fratres della pieve: cinque preti, undiacono, due magistri e quattro chierici.

    La chiesa (e forse la comunit di presbiteri) aveva avutoorigine nellalto Medioevo, quando fu realizzato il ciborioad archetti posizionato dietro laltare maggiore, uno deireperti di scultura pi noti della tarda et longobarda (sucui ci soffermeremo in seguito). San Giorgio restituiscebuona parte del contesto in cui i fratres e larciprete svol-gevano la loro vita comunitaria alla fine del XII secolo: ilsantuario, il chiostro e un ambiente della canonica. Glispazi annessi dovevano essere altri, mentre non sappiamodove fosse la casa del vescovo nominata nel 1187 (definitapi sontuosamente pallatio domini episcopi in una carta del1220), n se fosse stata affidata alla gestione dei canonicilocali (sebbene sia probabile).

    La chiesa odierna un impianto basilicale a tre navate,con unabside sul fronte ovest che si contrappone al tradi-zionale organismo triabsidato a oriente. Questo schema,che le tassonomie architettoniche definiscono a doppia ab-side, fu realizzato probabilmente alla fine del secolo XI,quando la comunit di canonici risultava gi numerosa (undocumento del 1078 nomina i fratres della scola de plebeSancti Georgii). Linterno della chiesa, assecondando la po-larit delle absidi, propone una netta divisione tra un set-tore ovest, impostato su pilastri quadrangolari (quattroper parte) e un settore est, rialzato di un gradino e caratte-rizzato da un sistema disomogeneo di colonne riutilizzate,a formare tre arcate per lato, con lintrusione di un pilastro

    nella sequenza sul lato settentrionale. Questa partizioneinterna verosimilmente assecondava lesigenza di uno spa-zio ecclesiale per i laici (a ovest) distinto da quello dei ca-nonici, molto probabilmente rimarcata in origine da unapparato di transenne. Linserimento nel XIX secolo di unportale in stile neogotico nellabside ovest ha maldestra-mente restituito alla chiesa lingresso da una sorta di fac-ciata tradizionale, ma ledificio originario era stato proget-tato per essere accessibile soltanto dal fianco meridionale.Questo lato richiama in esterno la partizione degli spazi in-terni: il campanile edificato a ridosso della prima campa-tella del settore presbiteriale e separa la parete esterna del-la navata plebana dal chiostro quadrangolare, che raccor-

    SAN GIORGIODI VALPOLICELLA

  • SANTA MARIA E SAN PIETRO IN VALLE 203

    lare. Lofficina impegnata nella loro esecuzione, non rico-noscibile in altri contesti veronesi, intaglia su questa nutri-ta variet di sagome (che in qualche caso si pu sospettare,tuttavia, siano derivate da sostituzioni operate nel tempo),animali o protomi zoomorfe e umane con scarsa propen-sione naturalistica, divertendosi piuttosto a contrastareforme triangolari a forme curve, spazi pieni e spazi vuoti.Linsistenza nella creazione di alveoli ricorda i capitelli al-to-medievali ed singolare che uno dei capitelli pseudoco-rinzi (dove i caulicoli angolari diventano lati di un triango-lo rovesciato, con una sorta di stanghetta mediana chescende dallabaco) abbia una similitudine locale in un ca-pitello reimpiegato a Villa Monga di San Pietro Incariano,considerato di epoca carolingia (Arslan 1943, fig. 30).

    Sullintonaco della parete orientale del chiostro sonoancora visibili disegni di creature mostruose, quasi sino-pie, forse del XII secolo. Questa parete coincide con il mu-ro esterno della sala dei canonici, caratterizzata allinternoda interessanti decorazioni ad affresco risalenti al XIV seco-lo, fatte di tondi e di meandri in cui abitano iscrizioni voti-ve (Et Verbum caro factum est, Via Veritas et Vita).

    (E.N.)

    SANTA MARIA

    La chiesa parrocchiale di Santa Maria a Gazzo Verone-se sorge in prossimit del fiume Tartaro, ai confini con ilterritorio mantovano, dove fu fondata nel primo Medioe-vo come cappella di un monastero benedettino. La strut-tura odierna il risultato di un compromesso tra quantosopravvive della chiesa medievale e i restauri effettuati nelNovecento (labsidiola sud, in particolare, come diremo,fu interamente rifatta tra il 1938 e il 1940). Santa Mariapresenta lo schema basilicale a tre navate chiuse da absidisemicircolari, impostato nel XII secolo costruendo la strut-tura quasi interamente di laterizi. Furono realizzate in cot-to anche le colonne a partizione delle navate e i capitelli acubo scantonato. Il campanile visibile a nord-est fu edifi-cato nel secolo XV, obliterando la sporgenza dellabsidesettentrionale, nellambito di un rinnovamento quattro-centesco delledificio, di cui sono testimonianza evidentele finestre gotiche della parete sud.

    Gli scavi aperti sotto la navata dallingegner AlessandroDa Lisca, negli anni Trenta del XX secolo sulla base di al-cuni reperti gi noti, portarono alla scoperta di un pavi-mento ornato da mosaici, riferibile a una chiesa dellVIII-IXsecolo, i cui lacerti sono ancora osservabili da alcune fine-stre a botola aperte nel pavimento. Questo litostrato ri-manda alle origini di Santa Maria. Nellanno 864, un di-ploma dellimperatore Ludovico II confermava al mona-stero benedettino di Gazzo le dotazioni (illas res et man-cipia) gi attribuite dai sovrani Liutprando e Ildeprandonel secolo VIII (Fainelli 1940, n. 228, p. 344). Romualdo, ilsuperiore del cenobio, era abate anche di Santa Maria inOrgano a Verona: nel Medioevo le due sedi furono colle-gate, in una condizione variabile di parit e di dipendenza.La campagna di scavo condotta tra il 1938 e il 1940 mise inluce componenti strutturali e frammenti decorativi riferi-

    bili al periodo compreso tra il tempo delle elargizioni deisovrani longobardi e lepoca di Romualdo. Le osservazionidi Da Lisca sono ancora fondamentali, assieme ai pochidati di due successive ricognizioni: uno sbancamento lun-go il perimetro esterno del santuario, avvenuto nel 1962(per costruire unintercapedine coperta da un marciapie-de) e alcuni sondaggi condotti nella navata, a seguito deirestauri del 1977 (su cui torneremo in seguito).

    Gazzo, con le frazioni di Pradelle e di San Pietro in Val-le, si trova in una zona interfluviale, storicamente soggettaallimpaludamento (acquitrini e canneti erano ancora visi-bili nella prima met del XX secolo). Si ritiene che i bene-dettini fossero intervenuti per riconquistare il territorio albosco e alla palude in unarea abbandonata molto tempoprima, dopo una lunga continuit insediativa, dallet delferro al periodo tardoromano. Non sappiamo se le dona-

    SANTA MARIA E SAN PIETROIN VALLE A GAZZO VERONESE

    202 VALPOLICELLA

    184. San Giorgio di Valpolicella, S. Giorgio, veduta del chiostro.185. San Giorgio di Valpolicella, S. Giorgio, capitello del chiostro.

    Pagina a fianco:186. Gazzo Veronese, S. Maria, pianta.

  • SANTANDREA 217

    La chiesa di SantAndrea di Sommacampagna fu sedepievana fino al Cinquecento, quando il trasferimento dellefunzioni parrocchiali alla pi centrale Santa Maria deter-min la sua marginalizzazione, con un ruolo pi o menocorrispondente a quello odierno di cappella del cimitero.Ledificio una basilica a tre navate, separate da tozze co-lonne, con absidi sporgenti semicircolari, realizzato tra XIe XII secolo, sulla cui interpretazione valgono ancora lequestioni dibattute negli anni Quaranta del XX secolo.

    Nel 1940, durante i restauri alla chiesa, FerdinandoForlati aveva ritrovato sotto lintonaco dellabside maggio-re due figure di santi, probabili superstiti di un affrescoraffigurante i dodici apostoli. I corpi allungati, la sottileasprezza delle forme e il senso arcaico dello stile induceva-no lo studioso a datare lopera al secolo XI e a rivendicarela loro presenza come termine ante quem per lintera fab-brica. Attraverso questa scoperta Forlati biasimava lededuzioni di Arslan, che nel 1939 aveva considerato lachiesa del terzo decennio del XII secolo, sospettando che lafattura grossolana della struttura fosse opera di maestran-ze ritardatarie. Nel 1943, Arslan conveniva sulla datazionedellaffresco (fine XI secolo), ma considerava il suo valorecronologico limitato alla parte inferiore dellabside e dellanavata. Questa vecchia polemica tra studiosi ha il suo pre-supposto nella difficolt di interpretare una fabbricasprovvista, per la modestia della tecnica costruttiva e deimateriali, di indizi architettonici in grado di garantirequalche sicurezza cronologica. I costruttori di SantAn-drea realizzarono limpianto basilicale in murature di ciot-toli, assecondando la disponibilit pi immediata di sassi esabbia dal greto del fiume Adige. I ciottoli sono posati inabbondanti letti di malta, talora con inserti frammentari dilaterizio, secondo una tecnica senza tempo. Se ne ha unaprova osservando le due absidiole: in mancanza della do-cumentazione di restauro, chi sospetterebbe che furono

    interamente rifatte nel 1940? Ma la genericit di questatecnica costruttiva provocata anche dallassenza di carat-terizzazioni di ornato architettonico. Lesterno mostra ar-chetti pensili nellabside maggiore (ma sono autentici?) euna nicchia cieca in facciata, sopra lingresso, probabil-mente non originaria. Due o tre frammenti di un fregio adenti di sega sono inseriti sopra labside nord e nel fiancocontermine della parete settentrionale (ovvero in un puntoricostruito nel XX secolo). Sono reperti di una cornice pa-rietale di modesta esecuzione, troppo estemporanei e trop-po comuni.

    Mancano, in sostanza, elementi decorativi e scultoreicollegati allarchitettura, anche di riuso e la situazione noncambia allinterno della chiesa. Le navate sono divise daquattro sostegni per lato, bassi e tozzi, tutti rigorosamentein muratura, a esclusione del primo a sinistra, realizzatosovrapponendo due cippi di et romana. Piloni circolari,allargati allapice a formare capitelli scantonati, si combi-nano a due pilastri quadrangolari posti davanti al presbite-rio (uno dei quali usa come base unara di et romano-re-pubblicana). Questo senso grossolano del fare murario equesta indiscutibile sobriet architettonica sono stati ap-punto intesi come prove di antecedenza alla grande stagio-ne costruttiva veronese del XII secolo, anche sulla base diuna prima documentazione della pieve nel 1035. Arslan siera in parte allineato, ma immaginando una chiesa edifica-ta in due fasi, da riconoscere nelle supposte differenze delparamento murario absidale, che egli stesso, in preceden-za, aveva guardato con sospetto. Pubblic a questo propo-sito una fotografia del muro inferiore, dove i ciottoli sonopi amalgamati, e una di quello superiore dal fare pi tra-sandato e, perci, forse, pi recente. Fu facile per Forlatidimostrare che queste differenze erano dovute a sistema-zioni recenti (erano state tolte delle lapidi funerarie) e chevariazioni murarie analoghe si trovano in altre parti della

    SANTANDREAA SOMMACAMPAGNA

  • VENEZIA, LE LAGUNE E LA TERRAFERMA 227

    VENEZIA, LE LAGUNEE LA TERRAFERMA

    SAN NICOL DI LIDOSi conservano soltanto pochi resti del complesso mona-

    stico di San Nicol, vestigia di un passato lontano ma im-portante, sede di uno dei pi celebri luoghi di culto vene-ziani, luogo di sepoltura veneratissimo di un patrono dellaCitt, e teatro di solenni cerimonie religiose nella celebra-zione dello Stato veneziano. Nella chiesa infatti veniva cu-stodito il vero corpo di san Nicol vescovo di Mira, qui-vi deposto nel 1100 circa dopo essere stato recuperatodai veneziani assieme ai corpi di san Nicol, zio omonimodel vescovo, e san Teodoro, nel corso di una missione disupporto durante la prima crociata come narra la Tran-slatio sancti Nicolai, scritta da un monaco dellabbazia alprincipio del secolo XII . Da lungo tempo tuttavia la figu-ra del santo godeva di particolare venerazione in laguna(era patrono dei marinai e dei mercanti), in particolare ilsuo culto era assurto a maggiore fortuna quando la chiesadi San Nicol di Lido, fin dalla sua fondazione, era dive-nuta parte integrante del solenne percorso cerimoniale cheaccompagnava la celebrazione dello Sposalizio del Mare.

    Un atto di donazione stilato verosimilmente nel 1053dai fondatori e principali patrocinatori del monastero be-nedettino, il doge Domenico Contarini (1043-1070), il fra-tello Domenico vescovo di Olivolo (cio di Castello-Vene-zia), e Domenico patriarca di Grado, ci fornisce le coordi-nate cronologiche per la costruzione della chiesa origina-ria, a quel tempo quasi giunta a conclusione (Fabbiani1989), o pi probabilmente gi terminata: il documento fuDatum in ecclesia dicti monasteri.

    Il luogo di edificazione della chiesa si trova allestremitnord dellisola di Lido, unarea di grande importanza stra-tegica per la difesa dellaccesso pi vicino al porto di Vene-zia, tanto che in obbedienza alle esigenze del presidio mili-tare il monastero, fortificato gi dal secolo XIV, venne cinto

    da imponenti strutture difensive nel 1570-1580; dopo lasoppressione gli edifici monastici furono adibiti a caserma.Per quanto riguarda la chiesa romanica, essa venne primaparzialmente inglobata nella ristrutturazione cinquecente-sca del chiostro, e poi, negli anni 1627-1628, venne smon-tata assieme al campanile per recuperare il materiale da co-struzione necessario alledificazione della nuova chiesa diSan Nicol, lattuale chiesa del convento francescano.

    Fino agli anni Quaranta del secolo scorso si pensavanon fosse rimasto nulla della chiesa originaria, ma le ricer-che intraprese nel 1942, poi nel 1957 e di nuovo nel 1982,hanno permesso di recuperare almeno la fisionomia strut-turale delledificio. San Nicol, riallacciandosi a una tipo-logia diffusa in area lagunare (SantIlario presso Fusina,San Giovanni Evangelista a Torcello), era una basilica a trenavate divise da colonnati, conclusa da tre absidi semicir-colari sporgenti, con un atrio o portico lungo il lato ante-riore. Delledificio restano la navata laterale sinistra, con lasua parete perimetrale, la fila di cinque colonne con capi-telli che dava verso la navata centrale, e la parete a questesoprastante con parte della finestratura originaria. Le mu-rature dambito erano collegate da catene lignee, utili,queste, per la stabilit della struttura e di cui rimangono lebuche per linnesto delle travi. Solo labside meridionale eparte di quella centrale sono ancora visibili, peraltro quasisoltanto a livello di fondazioni. Labside centrale era deco-rata a mosaico (le fonti descrivono il Cristo fra gli arcange-li Michele e Gabriele, forse come nellabside del Santissi-mo Sacramento nella cattedrale di Torcello), di cui si sonotrovati alcuni piccoli lacerti con tessere vitree di vari colo-ri durante gli scavi del 1982. Grazie allo studio delle fontiscritte stata documentata lesistenza di una cripta, proba-bilmente del tipo a oratorio con cinque colonne e oracompletamente scomparsa, edificata nellabside maggioredopo larrivo delle spoglie di san Nicol, di san Nicol zio,e di san Teodoro. Rimane anche il tratto di facciata corri-

    226 SCHEDE BREVI

    0 10 m

    0 10 m

    Strutture del sec. XI

    Fondazione del sec. XI

    Strutture del sec. XI

    Murature moderneRicostruzioni ideali

    Chiostro del Cinquecento

    207. Venezia, S. Nicol di Lido, antica parete della navata centrale: si distinguono il colonnato con i capitelli pulvinati, le arcate e,

    in alto al centro, una monofora.208. Pianta e assonometria delle strutture

    esistenti e originarie (Guiotto 1947).209. Capitello corinzio a palmette.

    Occhiello delle Schede brevi:Due Carrare, S. Stefano, interno,particolare del mosaico pavimentale adiacente la parete nord.

  • 234 SCHEDE BREVI VENEZIA, LE LAGUNE E LA TERRAFERMA 235

    Rahtgens, tali caratteristiche architettoniche pongono San-ta Maria di Equilo in quel gruppo di chiese seguite al can-tiere marciano ed erette tra i secoli XI e XII, quali SantoStefano a Caorle, Santa Sofia a Padova, Santi Maria e Do-nato a Murano: anzi, con tutta probabilit la cattedrale diEquilo fu limmediata emanazione di quel cantiere.

    La restituzione della struttura portante incontra delledifficolt oggettive non sempre superabili. Per certo un si-stema di arconi trasversali impostato sui pilastri collegavasu due livelli le pareti della navata centrale ai muri perime-trali: il primo intermedio, il secondo alla sommit della pa-rete dambito a sostegno della copertura lignea. La spintadelle arcate trasversali era neutralizzata dal sistema di cate-ne lignee tipico delle architetture medievali del territorioveneto, che a Equilo si articolava su entrambi i livelli degliarconi con una trave in corrispondenza di ogni colonna,travi doppie per ogni arcata trasversale e forse anche unatrave allinterno della muratura dellarcata stessa. Del tuttoprobabile la soluzione proposta recentemente da Dorigodi nave maggiore e crociera prive di archi trasversi, come per esempio la chiesa dei Santi Maria e Donato a Mura-no (Dorigo 1994). Per quanto riguarda invece larticola-zione delle pareti centrali della chiesa, piuttosto che le im-probabili superfici piene immaginate da Dorigo, ragio-nevole ipotizzare la presenza di gallerie con pavimentazio-ne lignea che si aprivano verso la navata mediana tramiteampie arcate, secondo la precedente ipotesi della Artico(Artico 1977; Richardson 1997) nella logica di una coeren-za interna dellarticolazione spaziale che vedeva comedetto la presenza di tribune nella zona presbiteriale, enelladesione a un modello consolidato e prestigioso qualera appunto la basilica marciana. Tuttavia poich dallevecchie fotografie non si traggono prove inequivocabilidellesistenza del solaio, rimane aperta anche la possibilitdi una soluzione a falsi matronei, la quale prevede pare-ti con arcate come a San Marco ma esclude limpalcato.

    Lapparato ornamentale sopravvissuto, dalle cornici

    marcapiano ai frammenti di opus sectile del pavimento, ac-comuna Santa Maria alle grandi chiese lagunari dei secoliXI e XII sopra ricordate. Assai interessanti, a Equilo, sonoun paio di cornici lapidee decorate a riempimento di ma-stice a semipalmette correnti, e a palmette verticali disette lobi molto stilizzate non presenti n a San Marco nin altre costruzioni del gruppo, sebbene la tecnica a masti-ce non si trovi in ambito veneto prima della terza basilicamarciana e quindi risulti necessariamente una derivazionedi quel cantiere.

    La cattedrale di Equilo, in conclusione, malgrado nonesista quasi pi, assume un rilievo particolare sia quale ori-ginale variante architettonica di San Marco nella sua reda-zione contariniana (1063-1071), sia come testimonianzamonumentale della diffusione regionale dello stile conta-riniano in sinergia con tradizioni costruttive altoadriati-che. La rinuncia alla copertura voltata per quella lignea elaggiunta di una campata occidentale, che ne enfatizza losviluppo longitudinale, evidenzia una certa autonomiaprogettuale nelladattamento dellimpianto centrale cru-ciforme con la basilica a navate della tradizione locale.Inoltre, non si pu escludere che lo schema icnografico ri-sultante, pi vicino a chiese derivate dallApostoleion co-stantinopolitano come il San Giovanni Evangelista di Efe-so, non abbia un riferimento diretto a modelli bizantini. stato infatti proposto di leggere larchitettura della basilicaequilense non solo come limmediato prodotto delle mae-stranze provenienti dal cantiere marciano, ma anche comeespressione di conoscenze dirette e autonome dellarchi-tettura e decorazione bizantine. (G.T.)

    IL BATTISTERODI CONCORDIA SAGITTARIA

    Grazie allimportante annotazione contenuta nel Liberanniversariorum del Capitolo cattedrale di Concordia Reginpotus episcopus Item fecit facere ecclesiam SanctiIohannis Baptiste et dotavit abbiamo memoria del fon-datore del battistero: il vescovo Reginpoto. Il suo nomeviene ricordato anche nellepigrafe tombale ora postanellatrio delledificio, la quale, con linvito a pregare SanGiovanni Battista per la pace eterna del presule, attestaquasi sicuramente la volont del vescovo di essere sepol-to presso il battistero da lui fatto costruire. Date precisesul pontificato di Reginpoto non ve ne sono; tuttavia eglisottoscrisse un documento non meglio databile prima del1089 e risulta gi deceduto nel 1106, quando nella docu-mentazione troviamo quale vescovo di Concordia Riwi-nus, riferimenti che permettono di definire con sufficien-te approssimazione larco cronologico in cui il battisterovenne realizzato.

    Il complesso episcopale concordiese offre la rara op-portunit di fruire letteralmente di uno spaccato lungomilleseicento anni di storia dellarchitettura e dellarte cri-stiane. Ma tale sorprendente stratigrafia, arricchita da re-centi indagini archeologiche che hanno prodotto risultatidi notevole interesse anche per le poco documentate fasimedievali, afflitta da una grave lacuna al momento irri-solta: non vi sono sufficienti indizi relativi allipotetica cat-tedrale romanica per la quale Reginpoto fece costruire ilbattistero.

    Com noto gli edifici religiosi nacquero a ridosso diunimportante area cimiteriale preesistente verso la finedel secolo IV quando Concordia divenne sede vescovile.Tra i secoli VIII e IX alla basilica paleocristiana, perduta inseguito a un incendio e sepolta sotto un susseguirsi di stra-ti alluvionali, si sostitu una chiesa triabsidata (forse conpianta a T, forse ad aula, alla quale dovettero appartene-re lambone allinterno della chiesa, i plutei e gli altri ele-menti di recinzione presbiteriale conservati al Museo Civi-co o murati nelle adiacenze del battistero, tutti repertiascrivibili al secolo IX), mentre rimaneva in uso la cella tri-chora adiacente la cattedrale e probabile repositorio dellepreziose reliquie degli Apostoli ai quali originariamenteera dedicata la basilica. Al tempo di Reginpoto la chiesa al-tomedievale e anche la trichora pare non fossero pi utiliz-zate dato che la quota del terreno sul quale simposta ledi-ficio battesimale di circa 1,5 m superiore alledificio delsecolo VIII-IX e qualche decennio dopo, nel corso del seco-lo XII, labside meridionale della chiesa altomedievale ven-ne parzialmente distrutta dalle fondazioni del campanileantistante il battistero. E poich le parti pi antiche dello-dierna cattedrale di Santo Stefano sono scarsissime e didifficile datazione, il problema della cattedrale romani-ca rimane ancora del tutto aperto, forse risolvibile con fu-ture indagini archeologiche.

    Il battistero di Concordia si presenta come un edificio apianta centrale costituito da un corpo principale rettango-lare sopra il quale sinnalza una cupola su base quasi qua-drata e attorno al quale sono aggregate tre absidi semicir-colari e un vano rettangolare a ovest con funzione di atriodingresso. Al centro delledificio, sotto la cupola, vi eraprobabilmente la vasca battesimale di cui si sono cercatesenza risultato le tracce durante i restauri ottocenteschi (ilterreno per risultava gi smosso in epoca anteriore per undiametro di circa due metri). Tutta la costruzione realiz-zata in laterizio, priva di profili o cornici decorativi inpietra ed eccezionalmente ben conservata (solo latrio hasubito un rifacimento nei restauri di fine Ottocento). Al-linterno la massa muraria di ogni abside movimentata daquattro nicchie semicircolari profilate a doppia ghiera, e lacupola, raccordata alla base da pennacchi, rialzata da untamburo articolato con sedici arcatelle su colonnine neicui settori si aprono otto finestre; completavano la struttu-ra le consuete catene lignee di rinforzo allimposta degliarchi di cui restano solo gli alloggiamenti. Le dilatate volu-metrie interne creano allesterno masse architettonicheestremamente semplici e armoniose; i motivi ornamentalisono parte della superficie muraria e si limitano alla seriedi arcate cieche a doppia ghiera che incorniciano le fine-stre del tamburo e a strette nicchie semicircolari simili aquelle interne che si aprono nelle pareti ai lati dellabsideorientale e dellingresso (rifatto).

    Come evidenzi gi Hugo Rahtgens il lessico architetto-nico esibito dalle maestranze che eressero il battistero diConcordia, quali le nicchie semicircolari o il tipo di parti-tura muraria con arcate cieche a doppia ghiera, fruttodelle esperienze maturate nel cantiere della cosiddetta ter-za basilica di San Marco a Venezia (1063-1071), la nuovachiesa ducale promossa dal doge Domenico Contarini.Inoltre anche a Concordia le nicchie semicircolari mostra-no la calotta realizzata con mattoni disposti a spinapesce,un motivo-firma appartenente alle maestranze contarinia-

    218. Jesolo, S. Maria, veduta delle rovine da nord-ovest.219. Jesolo, S. Maria, restituzione assonometrica della chiesa originaria dei secoli XI-XII (da Artico 1977, con modifiche).

    220. Concordia Sagittaria, battistero, pianta. Pagina seguente: 221. Concordia Sagittaria, battistero, interno, abside principale.

    222. Concordia Sagittaria, battistero, interno, levangelista Marco dipinto nel pennacchio di sud-est della cupola.

  • 242 SCHEDE BREVI

    IL DUOMO DI TREVISOIl duomo di San Pietro a Treviso ebbe a subire in due di-

    stinte epoche radicali trasformazioni architettoniche chesostituirono quasi completamente le strutture delledificiomedievale: tra il 1481 e il 1523 si rinnov interamente lareaorientale demolendo le tre absidi antiche, prolungando lachiesa verso est e realizzando le tre nuove cappelle e il corocoperti dalle cupole che tuttoggi vediamo, mentre in fac-ciata si apr un rosone. In un secondo tempo, tra il 1759 e il1816, si mise mano al restante corpo della chiesa abbatten-do le tre navate romaniche per costruire limpianto presen-te fino alla facciata, e successivamente, tra il 1836 e il 1848,si realizz il pronao neoclassico. La sola struttura premi-nente del duomo romanico la vasta cripta a oratoriosottostante lintero presbiterio, il quale, di conseguenza, ri-sulta sopraelevato rispetto al piano delle navate; non menoimportanti per qualsiasi resto dellantica chiesa rappre-senta una preziosa fonte di informazioni sono il tratto diunarcata di comunicazione tra il coro e la navata lateralesud, visibile dalla cappella dellAnnunziata, e un tratto del-la parete laterale nord corrispondente al presbiterio, artico-lata in una serie di alte e ampie arcate cieche binate a dop-pia ghiera e visibile dallesterno presso il campanile.

    Ledificio a cui la cripta apparteneva venne edificato exnovo dalle fondamenta, evidentemente sostituendo unaprecedente chiesa (com noto lesistenza del vescovo diTreviso certa dal secolo VI) alla quale forse apparteneva-no alcuni capitelli databili al secolo IX reimpiegati proprionella cripta. Tuttavia di questa chiesa precedente, come dialtre eventuali fasi architettoniche antiche, nullaltro ci dato sapere, tanto che non nemmeno certo se insistessenello stesso luogo dellattuale duomo. Sembrerebbe infat-ti, ma non sono state reperite sicure prove documentarie,che la cattedrale sia stata costruita su terreni donati intor-

    no al 1021 da Giovanni nipote del conte di Treviso Ram-baldo II, terreni che in tal caso lecito presupporre nonfossero occupati da edifici della chiesa trevigiana. Forseuno scavo archeologico nel sito della cattedrale e nelle areeadiacenti potrebbe risolvere la questione.

    Nellincerto quadro cronologico dellarchitettura me-dievale, il duomo di Treviso rappresenta uno dei pochifortunati casi in cui la sopravvivenza di un preciso riferi-mento temporale semplifica ma non risolve le proble-matiche connesse alla datazione delledificio. La costruzio-ne infatti pu considerarsi completata nellanno 1141, co-me testimoniava la data apposta nelliscrizione scopertanel 1739 lungo tre lati del presbiterio e appartenuta al pa-vimento musivo dellantica chiesa; oltre alla data liscrizio-ne menzionava il vescovo di Treviso Gregorio de Carbona-ria (1129-1148) e il vicedomino Valperto, nonch larteficedel pavimento Uberto. Ciononostante le questioni relativealla cronologia della fabbrica rimangono ancora da chiari-re: infatti una donazione da parte del medesimo vescovoGregorio in favore del monastero di SantElena di Tesseradatata maggio 1130 apre nuove prospettive dinterpreta-zione. Latto venne rogato in ecclesia episcopatus ante altariSancti Petri e se il documento si riferisse alledificio in que-stione, appare evidente che nel 1130, dunque pi di diecianni prima dellesecuzione della pavimentazione musiva,la costruzione del duomo doveva essere, se non completa-ta, per lo meno arrivata a un punto tale da consentirne lafrequentazione del santuario. Tale ipotesi appare la piplausibile nella misura in cui i riferimenti formali degli ele-menti architettonici e ornamentali del duomo possono es-sere datati ai primi decenni del XII secolo.

    Recenti e accurate indagini sulle fonti scritte e grafiche,e sui pochi resti murari dellantica costruzione sopra ricor-dati, hanno consentito di restituire con buona precisionela fisionomia della chiesa cattedrale trevigiana prima delletrasformazioni di epoca moderna. Innanzitutto, a prescin-

    TREVISO E IL TERRITORIO 243

    TREVISOE IL TERRITORIO

    231. Treviso, cattedrale, cripta.232. Treviso, cattedrale, fianco nord, murature del XII secolo (restaurate).233. F. Dominici, Processione di ringraziamento della Scuola dell'Annunziata (1571, sagrestia dei canonici del duomo),sopra il portico si notano gli elementi della facciata del XII secolo.

  • 252 SCHEDE BREVI IL TERRITORIO BELLUNESE 253

    IL DUOMO E IL BATTISTERODI FELTRE

    La distruzione della citt di Feltre compiuta dalle trup-pe austriache dellimperatore Massimiliano I nel 1510colp anche la cattedrale di San Pietro, che venne pertantoricostruita dalle fondamenta a partire dallanno 1514, con-servando delledificio precedente solo la zona orientalecon il presbiterio e labside poligonale realizzata nel 1471-1474. Purtroppo non conosciamo nulla della precedentefisionomia della cattedrale (si auspicano ricerche archeolo-giche in merito), tuttavia sotto al presbiterio ne rimanelampia cripta, del tipo a oratorio, riscoperta casualmen-te nel 1900 e infine riportata completamente alla luce e re-staurata nel 1937-1938. Due file di sei sostegni dividono lacripta in tre navate di otto campate lottava fu in parteobliterata dal rifacimento cinquecentesco coperte da vol-te a crociera con archi lunati longitudinali e trasversali, che

    lungo le pareti ricadono su paraste; colonne e pilastri, basie capitelli sono eterogenei e quasi tutti di reimpiego (talu-ni capitelli sono in realt basi rovesciate). probabile chea oriente la cripta fosse chiusa da una parete rettilinea, og-gi aperta in una triplice arcata che comunica con lareadellabside quattrocentesca. Le attuali scalinate dingressoscendono nella quarta campata della cripta, a met del suosviluppo primitivo: in origine laccesso avveniva tramitedue scale aperte nella fronte occidentale della cripta stessache immettevano nelle due navate laterali. La struttura pri-mitiva, non molto diversamente da oggi, sopraelevava ilpresbiterio rispetto al piano della chiesa, ma si presentavamaggiormente estesa nella navata, sopravanzando di circaun metro lattuale scalinata di salita allaltare. Limpiantodella cripta feltrina un tipo abbastanza frequente in arearegionale (vedi gli esempi veronesi) e viene tradizional-mente datato alla seconda met del secolo XI, ma le carat-teristiche architettoniche generali sembrano piuttosto sug-gerire una datazione posticipata alla prima met del secolosuccessivo.

    IL TERRITORIOBELLUNESE

    243. Feltre, duomo, veduta della cripta verso ovest. Pagina a fianco:244. Feltre, duomo, sezione longitudinale della cripta

    (Alpago Novello 1939).

  • IL TERRITORIO PADOVANO 257

    SAN MICHELE ARCANGELOA POZZOVEGGIANI

    Pozzoveggiani una localit presso Salboro raggiungibi-le uscendo da Padova in direzione sud lungo la provincialeper Bovolenta dopo circa cinque chilometri. La chiesa diSan Michele una delle pi antiche rimaste nel territoriopadovano e tra le pochissime di cui si conservino ancoraestese superfici affrescate, motivi che la rendono di estremointeresse non solo in ambito locale e per la storia artistica diPadova, dove molto poco resta del pieno Medioevo, ma an-che pi in generale per la cultura artistica di una pi vastaarea padana tra Veneto, Lombardia ed Emilia.

    La capella Sancti Michaelis menzionata per la primavolta in un documento del 18 giugno 1130, quando il ve-scovo di Padova Bellino riconosce e conferma al capitolodella cattedrale cittadina gli antichi privilegi che essi aveva-no in localit Putheo Vitaliani. La localit era gi da lungotempo in possesso dei canonici patavini e compare in unaserie ininterrotta di documenti a partire dal diploma di Be-rengario del 918, quivi indicata come Pobliciano. nellabolla di papa Callisto II dell1 aprile 1123 che compare perla prima volta il toponimo Putheus Vitaliani, da cui lodier-no Pozzoveggiani, una denominazione che evidentementesi era affermata tra i secoli XI e XII. Questo cambiamentotoponomastico stato correlato alle influenze che la Passiodi santa Giustina, un testo agiografico composto assai ve-rosimilmente nel secolo XI, pot esercitare a livello locale: ilculto della santa uno dei pi antichi e dei pi importantidi Padova e del Veneto e nellimmaginario medievale po-trebbe facilmente aver condotto allidentificazione con Po-bliciano del predium quod Vitalianum vocabulo nuncupatur,la residenza di campagna fuori Padova da cui la santa fece

    ritorno in citt prima dellarresto e del martirio (secondo latradizione avvenuto il 5 ottobre 304); unidentificazioneagevolata e giustificata dalla presenza a Pozzoveggiani diepigrafi (secolo I d.C.) e altri manufatti architettonici ro-mani sopra i quali la chiesa venne edificata.

    La chiesa si presenta nelle sue forme architettoniche piantiche in seguito a lavori di restauro compiuti negli anni1974-1978, tanto importanti e radicali quanto purtrop-po poco documentati. Nella sua fase odierna ledificio costituito dalla navata centrale di quella che un tempo erauna piccola basilica a tre navate absidate separate da soste-gni circolari in laterizi, navata preceduta da un corpo qua-drato che di fatto ne prolunga lo sviluppo verso occidentee sul cui angolo di sud-ovest simposta un campanile. An-che in origine la chiesa era coperta da un tetto con struttu-ra lignea come oggi. Sappiamo dalle visite pastorali che lenavate laterali vennero abbattute tra il 1585 e il 1619 acausa della loro fatiscenza: restano parte dellelevato dellanavata settentrionale (adibita a sacrestia), brani muraridelle absidi laterali e tracce evidenti della loro strutturaoriginaria a livello di fondazione.

    Il vano quadrato che sembra un prolungamento dellanave mediana in origine pare fosse laula di un piccolo ora-torio con abside verso occidente: infatti nellattuale faccia-ta della chiesa sono chiaramente visibili le tracce dellinne-sto di unabside della quale sono state trovate anche le fon-damenta semicircolari, mentre gli scavi archeologici allin-terno hanno accertato che in corrispondenza delliniziodella basilica trinavata correva trasversalmente un murocon spessore pari a quello dei laterali (un secondo murotrasversale in corrispondenza della prima coppia di soste-gni circolari, anchesso rinvenuto a livello di fondazione eche proseguiva nella navata nord, non dovrebbe apparte-nere al portico dellaula antica come ipotizzato da Siviero1974, ma pi probabile fosse correlato a esigenze liturgi-

    IL TERRITORIOPADOVANO

  • 272 SCHEDE BREVI VICENZA E IL TERRITORIO 273

    LA CATTEDRALE DI VICENZANel 1944, un bombardamento colpiva la cattedrale di

    Santa Maria Annunciata a Vicenza, squarciando la coper-tura delledificio quattrocentesco e distruggendo partedellinterno. I danni causati al pavimento e i lavori di ri-mozione delle macerie contribuirono a evidenziare sotto lanavata le tracce di costruzioni precedenti. Al termine dellaguerra, quando il sottosuolo fu indagato da Bruna ForlatiTamaro, vennero alla luce i resti di una chiesa romanicaa cinque navate, suddivisa da pilastri in mattoni, che fu de-molita per costruire la cattedrale gotica. Queste preesi-stenze erano fondate su vestigia di epoca romana e paleo-cristiana, in particolare sopra una basilica del IV-V secolo,dotata di un atrio e forse, di un battistero assiale, in coe-renza allapplicazione di un modello ecclesiale di origineambrosiana (secondo la recente e suggestiva proposta diGianfranco Fiaccadori).

    Le porzioni di pilastro, ancora visibili sotto la navataodierna, sono resecate quasi alla stessa altezza (circa duemetri oltre le fondazioni) e parallele alle murature lateraliesistenti, in forte dislivello rispetto al piano della chiesasuccessiva, simili a piloni di un atrio sotterraneo. I pilastridelle corsie centrali sono cruciformi, mentre quelli esternihanno forma a T, con lesena addossata verso linterno.Forlati Tamaro pens che i sostegni cruciformi fossero ri-feribili allesistenza di una basilica a tre navate del IX-X se-colo, con tetto a capriate, allargata tra X e XI secolo, attra-verso la costruzione dei pilastri a T. Il nuovo assetto acinque navate avrebbe sostenuto una copertura a volte. Lagiustificazione delle due fasi consisteva in una presuntadifferenza del paramento in laterizio dei piloni centrali,pi trasandato rispetto a quello degli esterni (e, perci, se-condo larcheologa, pi antico).

    Le osservazioni della studiosa sono state riviste da Ful-

    vio Zuliani, che ha considerato i pilastri organicamente ri-conducibili a ununica chiesa a cinque navate, in una cro-nologia del XII secolo. I sostegni, infatti, hanno varianti co-struttive marginali e la loro forma, nelle due versioni, troppo matura per una datazione in et carolingia-ottonia-na. Questa cattedrale probabilmente aveva una coperturalignea, forse con archi-diaframma.

    Lo scavo ha restituito diversi capitelli quadrangolari ri-feribili ai pilastri, con ornamentazioni fitomorfe e zoomor-fe, (lampiezza delle lesene di circa 80 cm quanto la lar-ghezza dei capitelli pi integri). La sagoma, le foglie carno-se, le protomi angolari a forma di leone, sono opera di unamaestranza locale di pieno XII secolo, molto probabilmen-te la stessa che realizz i capitelli della basilica dei SantiFelice e Fortunato (il rilievo a doppia serie di foglie so-stanzialmente identico). Il ritrovamento, invece, di un ca-pitello con base semicircolare coevo a quelli quadrangola-ri e di proporzioni analoghe, potrebbe indicare una varia-zione nel sistema dei sostegni, forse a ridosso delle paretidi facciata o di quelle absidali, di cui, tuttavia, non riman-gono evidenze leggibili.

    Forlati Tamaro riteneva che i muri perimetrali dellachiesa romanica coincidessero con quelli odierni, fidan-dosi del loro allineamento con la serie dei pilastri (non ri-ferisce, per, di controlli esterni al perimetro della navatagotica). Lo scavo del dopoguerra ed una successiva indagi-ne del 1971 di Aristide Dani, che avevano operato senzacognizione del metodo stratigrafico, lasciarono sul terrenomolte incertezze. Una delle questioni rimaste aperte ri-guardava il rapporto tra il considerevole numero di mobi-lia liturgica altomedievale frammentaria (recinzioni, cibo-ri, pergulae, amboni) e la coeva evoluzione della strutturaarchitettonica, priva, invece, di evidenze sicure. Forlati Ta-maro, fraintendendo la cronologia dei pilastri romanici,aveva fornito una soluzione errata al problema, mentreDani, che pure scrisse di aver trovato reperti di et caro-

    VICENZAE IL TERRITORIO

    266. Polegge, S. Maria Etiopissa, veduta da est.

  • 282 SCHEDE BREVI VERONA E IL TERRITORIO 283

    SANTO STEFANO A VERONA

    La chiesa dedicata a santo Stefano, ai piedi del versantenord del colle che sovrasta la citt, fu innalzata nel V seco-lo. Vi sono custodite le spoglie del vescovo Petronio, equelle del terzo vescovo veronese Simplicio. stata avan-zata con cautela lipotesi che proprio a Petronio si possafar risalire la fondazione della chiesa intitolata al martire,le cui reliquie furono scoperte presso Gerusalemme nel415 (Lusuardi Siena 1978). Lerezione della chiesa fu asse-gnata al V secolo da Da Lisca (Da Lisca 1936) e da Verzo-ne (Verzone 1942). Ledificio comunque citato dallAno-nimo Valesiano nel 520. Tale struttura ancora ben leggi-bile, al di l delle trasformazioni posteriori, nellimpianto acroce latina nelle murature esterne perimetrali e nelle am-pie finestre successivamente accecate, per ricavarvi lestrette monofore