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Quinta Parete V erona cultura e società mensile on-line www.quintaparete.it Anno II - n. 5 - Maggio 2011 Diretto da Federico Martinelli Cultura La Biblioteca Capitolare Arte Hayez e il Risorgimento Giochi di ruolo “Cani nella Vigna” Nel cuore di Verona un patrimonio da valorizzare e sostenere, tra libri, storia e incontri. Per una visita alla Pinacoteca di Brera a Milano. Hayez, Manzoni e Verdi nell’Italia che fu. Il Far West fa da originale ambientazione per questo prodotto ben riuscito. Giocare per credere. a pagina 10 a pagina 3 a pagina 14 di Valentina Bazzani Il 7 maggio secondo appuntamento con la rassegna d’autore contemporaneo Il grande teatro in onore di Giorgio Totola presso una svolta innovativa all’ambiente del teatro ama- toriale- il festival ha portato all’attenzione del pubblico au- tori e testi contemporanei altri- menti poco rappresentati sulle scene nazionali. Nel variegato panorama dei festival dedicati al teatro amatoriale, il Premio Giorgio Totola, si caratterizza per una propria specificità: è l’unico a proporre esclusiva- mente autori italiani contem- poranei, la cui messa in scena è affidata spesso alle compagnie amatoriali, che si trovano a svolgere una funzione impor- tantissima di collegamento tra gli scrittori e il teatro. Il Comune di Verona, pro- La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione muovendo attraverso il Premio Giorgio Totola questo tipo di scelta e di impegno, ha assunto una posizione di assoluto rilie- vo, proprio in una città dove la realtà amatoriale trova una delle sue più significative mani- festazioni. La giuria presieduta dal Prof. Giuseppe Liotta, docente di Storia dello Spettacolo al Dams di Bologna, regista e critico te- atrale, è composta dalla Sig.ra Lina Corsini, moglie di Giorgio Totola, insegnante e presidente della compagnia teatrale a lui intestata, dal Prof. Mario Gui- dorizzi, docente di Storia del Cinema presso l’Università di Verona e critico cinematogra- fico, dal Prof. Nicola Pasqualic- chio, critico teatrale, docente di Storia del Teatro e dello Spet- tacolo all’Università di Verona, Segue a pag. 2 Torna dal 30 aprile al 28 mag- gio, al Teatro Camploy l’atte- so appuntamento con il teatro d’autore contemporaneo ita- liano: 6 spettacoli per l’undi- cesima edizione del Festival Nazionale Giorgio Totola, organizzato dall’Assessorato alla Cultura, unica rassegna teatrale in ambito non profes- sionista che consente di vedere in scena i testi della più recente drammaturgia (testi di autore italiano registrati in Siae dopo il 1/1/1980). La rassegna, che gode del patrocinio dell’Asso- ciazione Nazionale dei Critici di Teatro, ha consolidato un grande prestigio nell’ambito dei festival nazionali riservati alle compagnie amatoriali. Voluto dal Comune di Verona per ricordare Giorgio Totola, regista e attore veronese scom- parso nel 1987 -che in 25 anni di attività ha vivacizzato e im- www.ewakesolutions.it Progettazione e realizzazione web Realizzazione software aziendali Web mail - Account di posta Via Leida, 8 37135 - Verona Tel. 045 82 13 434

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Q u i n t a P a r e t eVeronacultura e società

mensile on-linewww.quintaparete.it

Anno II - n. 5 - Maggio 2011 Diretto da Federico Martinelli

Cultura

La Biblioteca CapitolareArte

Hayez e il RisorgimentoGiochi di ruolo

“Cani nella Vigna”Nel cuore di Verona un patrimonio da valorizzare e sostenere, tra libri, storia e incontri.

Per una visita alla Pinacoteca di Brera a Milano. Hayez, Manzoni e Verdi nell’Italia che fu.

Il Far West fa da originale ambientazione per questo prodotto ben riuscito. Giocare per credere.

a pagina 10a pagina 3 a pagina 14

di Valentina Bazzani

Il 7 maggio secondo appuntamento con la rassegna d’autore contemporaneo

Il grande teatro in onore di Giorgio Totola

presso una svolta innovativa all’ambiente del teatro ama-toriale- il festival ha portato all’attenzione del pubblico au-tori e testi contemporanei altri-menti poco rappresentati sulle scene nazionali. Nel variegato panorama dei festival dedicati al teatro amatoriale, il Premio Giorgio Totola, si caratterizza

per una propria specificità: è l’unico a proporre esclusiva-mente autori italiani contem-poranei, la cui messa in scena è affidata spesso alle compagnie amatoriali, che si trovano a svolgere una funzione impor-tantissima di collegamento tra gli scrittori e il teatro. Il Comune di Verona, pro-

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

muovendo attraverso il Premio Giorgio Totola questo tipo di scelta e di impegno, ha assunto una posizione di assoluto rilie-vo, proprio in una città dove la realtà amatoriale trova una delle sue più significative mani-festazioni. La giuria presieduta dal Prof. Giuseppe Liotta, docente di Storia dello Spettacolo al Dams di Bologna, regista e critico te-atrale, è composta dalla Sig.ra Lina Corsini, moglie di Giorgio Totola, insegnante e presidente della compagnia teatrale a lui intestata, dal Prof. Mario Gui-dorizzi, docente di Storia del Cinema presso l’Università di Verona e critico cinematogra-fico, dal Prof. Nicola Pasqualic-chio, critico teatrale, docente di Storia del Teatro e dello Spet-tacolo all’Università di Verona,

Segue a pag. 2

Torna dal 30 aprile al 28 mag-gio, al Teatro Camploy l’atte-so appuntamento con il teatro d’autore contemporaneo ita-liano: 6 spettacoli per l’undi-cesima edizione del Festival Nazionale Giorgio Totola, organizzato dall’Assessorato alla Cultura, unica rassegna teatrale in ambito non profes-sionista che consente di vedere in scena i testi della più recente drammaturgia (testi di autore italiano registrati in Siae dopo il 1/1/1980). La rassegna, che gode del patrocinio dell’Asso-ciazione Nazionale dei Critici di Teatro, ha consolidato un grande prestigio nell’ambito dei festival nazionali riservati alle compagnie amatoriali. Voluto dal Comune di Verona per ricordare Giorgio Totola, regista e attore veronese scom-parso nel 1987 -che in 25 anni di attività ha vivacizzato e im-

Società13Novembre 2010eronacultura e società

V èQ u i n t a P a r e t e

Omologati in TV. Peggio, omoge-neizzati. No, non mi riferisco aiprogrammi televisivi, che sem-brano tutti “fatti con lo stampino”da almeno dieci anni, peggio an-cora dei vari telegiornali che sonoproprio tutti uguali.Sto parlando dei concorrenti delGrande Fratello, tutti conformi a unmodello standard tristissimo, quellodella volgarità estrema. Sì, la volga-rità dei gesti, delle parole, degli at-teggiamenti è il denominatorecomune che unisce, tra loro, quasitutti i reclusi della “casa”. E li uni-sce anche alla presentatrice, Alessiaa gambe sempre aperte Marcuzzi. Mapossibile che nessuno abbia maifatto notare a questa povera ra-gazza – addirittura capace la scorsaedizione di sedersi sul pavimentodello studio, sempre rigorosamentea gambe aperte, spalancandoun’ampia panoramica sulle propriabiancheria intima – che, in video,assume delle posture che fanno a

pugni con un minimo di eleganzae di buon gusto? Oddio, non è chesiano tanto più signorili gli autoridella trasmissione, che ricordano aogni piè sospinto il premio finale dialcune centinaia di migliaia euro,come fosse l’unica molla a spingerequesta variopinta umanità aesporre le proprie miserie alla vistadi qualche milione di guardoni. Equi cominciano le rogne vere, per-ché sarebbe necessaria una com-missione di psicologi, sociologi eantropologi per cercare di capireche cosa possa indurre alcuni mi-lioni di persone normali ad abbrut-tire il proprio spirito davanti alleincredibili esibizioni dei “ragazzidella casa”. Forse la solita voglia disentirsi migliori?A farci respirare, fortunatamente,c’è la Gialappa, che non ne lasciapassare una sia alla conduttrice siaai concorrenti. Di più, per farci ca-pire il livello di squallore (o di cru-deltà?) dell’ufficio casting del

programma, non ha mancato diproporre una selezione – mamma-mia! Una selezione… Chissà glialtri! – dei provini, dove quasi nes-suno dei candidati, per esempio, hasaputo dare una risposta sensata, oalmeno non insensata, alla richiestadi dichiarare il proprio “tallone diAchille”.A ben pensarci, coloro che neescono meno peggio sono proprioi reclusi del Grande Fratello. Perchéfanno pena, fino alla tenerezza. Ab-bagliati dal miraggio di diventareVip, e di guadagnare un sacco diquattrini, si prostituiscono fino a unpunto di non ritorno, rimanendomarchiati a vita da quel suffisso –“del Grande Fratello” appunto –che li accompagnerà per tutta lavita. Pochi finora hanno avuto lacapacità di affrancarsene, e di fardimenticare questa squallida ori-gine mediatica. Per tutti, Luca Ar-gentero; e pochi altri che si possonocontare sulle dita di una sola mano.Non ritengo sia indenne da questobaratro di volgarità l’editore ditanto spettacolo. Vorrei chiedergli – se mai fosse per-sona abituata a rispondere alle do-mande – se sarebbe contento di farassistere i suoi figli adolescenti, o isuoi nipoti, a una porcheria simile.Ma forse conosco la risposta, diret-tamente ispirata dal dio denaro.Mi sono sempre ribellato a ogniforma di censura, come espressionedella più proterva volontà di an-nientare, nella gente, il senso e lacapacità di critica. Ma devo dire

che, di fronte a questo osanna allavolgarità, comincio a capire quellastriscia di carta bianca, incollata, aitempi della mia adolescenza, suimanifesti e le locandine dei film edegli spettacoli più “sconvenienti”,che prescriveva «V.M. di 16 anni».Forse, adesso, sul cartellone delGrande Fratello si dovrebbe scrivere«V.M. di 99 anni»…Per continuare con il giro di volga-rità e stupidità sui media di oggi, virimando all’ultima pubblicità diMarc Jacobs. Ma tenetevi forte, eh!

Tutti vediamo la volgarità del GrandeFratello, ma nessuno ne parla

Sono in video, ergo sumdi Silvano Tommasoli [email protected]

Vi diremo qualsiasi cazzata vorrete sentire

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Maggio 20112 Teatro

Segue dalla prima

e dalla Dr.ssa Paola Bon-fante del settore spettacolo, funzionaria addetta all’or-ganizzazione della manife-stazione, laureata al Dams. Anche quest’anno si confer-ma la presenza della giuria giovani, organizzata dal Dipartimento di Linguisti-ca, Lettere e Scienze della Comunicazione e aperta agli studenti dell’Univer-sità di Verona. I giovani giurati, con il compito di assegnare il premio specia-le Giuria Giovani, avranno così la possibilità di entrare in contatto con la prosa di recenti autori italiani e di valutare testi attuali. L’undicesima edizione del Pre-mio Giorgio Totola avrà luogo, come detto, al Teatro Camploy dal 30 aprile al 28 maggio 2011 e sarà caratterizzata da sei spet-tacoli, cinque in concorso e un sesto fuori concorso offerto dal-la Compagnia Teatrale Giorgio Totola.L’edizione di quest’anno è ca-ratterizzata da un cartellone particolarmente interessante

sia per la ricchezza delle propo-ste che comprendono opere di carattere storico, di genere psi-cologico e commedie, sia per il calibro degli autori scelti dalle compagnie che si contenderan-no i premi. Tra gli autori spic-cano scrittori conosciuti ed ap-prezzati a livello nazionale ed internazionale come il Premio Nobel Dario Fo, Luigi Lunari e Frediano Sessi.

Nella serata finale avverrà la premiazione della rassegna con premi per il miglior testo, il mi-glior spettacolo, la migliore re-gia, il miglior attore, la migliore attrice e il migliore allestimen-to.Il festival sarà inaugurato saba-to 30 aprile da un testo di Da-rio Fo: Il Diavolo con le zinne presentato dalla compagnia IL TEATRO DEI PICARI

di Macerata, per la regia di Francesco Facciolli. Si prosegue sabato 7 maggio con il TEATRO IMPI-RIA di Verona che pre-senta Sognavamo di vivere nell’assoluto di Raffaello Canteri e regia di Andrea Castelletti. Come terzo appuntamento venerdì 13 maggio LA RINGHIERA di Vicenza porta in scena Il canto del cigno di Luigi Lunari con la regia di Ric-cardo Perraro.Sabato 14 maggio con una compagnia da Perugia IL CASTELLACCIO che presenta La vita non è un film di Doris Day di Mino

Bellei, regia di Claudio Bellan-ti.Sabato 28 maggio avrà luogo la Premiazione e la presentazio-ne fuori concorso, offerta dalla COMPAGNIA TEATRALE GIORGIO TOTOLA di Vero-na, dello spettacolo Reality Life Show, adattamento di David Conati dal film “The Truman Show”, regia di Piergiorgio Pic-coli.

L’arte sottosopra di ChagallGrazie a Paola Marini una mostra d’interesse per ricordare l’artista russo

Teatro della rassegna: il Camploy

Anche Verona -dopo Roma- rende omaggio a Marc Chagall a 25 anni dalla scomparsa. La mostra Chagall. Il mondo sot-tosopra, realizzata in collabora-

zione con il Musée Chagall di Nizza, con il sostegno di Fondazione Cariverona e di Syntesis ospita anche diverse opere di collezioni private e nella capitale è stata visitata da oltre cen-tomila visitatori. Ma è dal museo di Nizza che pro-vengono la maggior parte delle centotrentotto opere esposte. Il catalogo di Sil-vana Editoriale, in realtà poco più (ma davvero poco più ) che una brochure, è a cura di Maurice Fréchuret (Direttore dei Musées Na-tionaux du XX Siècle des Alpes- Maritimes) e di Eli-sabeth Pacoud-Rème (re-sponsabile delle collezioni al Musée National Marc Chagall di Nizza) pre-

senta solo una parte minima delle opere esposte e non ren-de giustizia a una mostra che vorrebbe celebrare un artista così importante. Tornando alla mostra, disegni, incisioni, di-pinti e illustrazioni permettono all’osservatore di ricostruire il percorso dell’artista di Vitebsk e la sua propensione per la me-raviglia e il colore. Il mondo di Chagall è “sottosopra” perché i personaggi, gli animali e le cose sono visti da una nuova pro-spettiva, anti-gravitazionale e capovolta. Sono opere, quelle in mostra, che dimostrano sia la grande sen-sibilità religiosa dell’artista sia il suo interesse per la rivoluzio-ne d’Ottobre. D’altra parte

Chagall, prendendo parte a quest’ultima non poteva che testimoniarlo nei suoi dipinti. Ma, a far da continuum è la ca-pacità di connotare i personag-gi e le sue opere in una dimen-sione “di sogno”, quasi volesse raccontare la società dell’epoca ma sotto il punto di vista di un artista che ha la capacità di straniarsi e di raccontare un mondo dove il sogno ha premi-nenza sulla realtà.

Mi tuffo nelle mie riflessioni e volo al di sopra del mondo

Marc Chagall

Informazioni

Pinacoteca di Breravia Brera, 28 – Milano

Orari8.30 -19.15 da martedì a domenica (la biglietteria chiude 45 minuti prima) chiuso lunedìwww.brera.beniculturali.it

BigliettiIntero: euro 9Ridotto: euro 6.50 prenotazione: 2 euro a persona per gruppigruppi di scuole: prenotazione euro 10 per gruppo

Prenotazionitel. 02.92800361www.pinacotecabrera.net

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisionedi Stefano Campostrini

In occasione del 150° an-niversario dell’Unità d’I-talia la Pinacoteca di Bre-ra rende onore all’avventi-mento con la mostra Hayez nella Milano di Manzoni e Verdi. Fino al 25 settem-bre, ospitata nel corrido-io che precede le sale del palazzo di Brera, l’espo-sizione celebra la figura del pittore di origini vene-ziane a contatto con i due personaggi di letteratura e musica che hanno reso grande la nostra patria due secoli orsono. Tre illu-stri italiani, di origini dif-ferenti, ma che a Milano hanno trovato accoglien-za e ispirazione, successo e

gratificazione. Lo stesso Hayez fu anche insegnante per diversi anni all’Accademia omonima. Ritrattista straordinario e mol-to ricercato, è stato anche uno dei principali interpreti dell’im-pegno civile e patriottico nella pittura di storia tanto che Maz-zini lo ha definito “capo della scuola di Pittura Storica che il pensiero Nazionale reclama-va in Italia”. Il Risorgimento politico e culturale del paese è stato sicuramente avvantaggia-to dall’apporto milanese a par-tire dalle Cinque Giornate del 1848; Milano fu città “capitale morale” e centro di produzione artistica, musicale, editoriale e commerciale dell’epoca. Si po-tranno ammirare diverse opere significative per l’arte di Hayez. Il suo romanticismo pervaso da una notevole capacità nel dise-

gno è contraddistinto da rigore compositivo, preci-sa imitazione della realtà e sapiente uso cromatico. Una formalità e una certa freddezza che non manca-no però di suscitare gran-de emozione. Con il Manzoni Hayez intraprende un sodalizio artistico testimoniato dal celeberrimo ritratto del 1841 e da una serie di di-pinti ispirati a opere come Il Conte di Carmagnola e I Promessi Sposi, nell’affasci-nante Ritratto dell’Innomi-nato.Le vicende filosofiche e politiche ad essi contem-poranee trovano spazio in

due raffigurazioni di Antonio Rosmini e Massimo D’Azeglio, che curiosamente aveva spo-sato la figlia prediletta del Manzoni stesso. Al-tre effigi di personaggi importanti sono quelle di Gioacchino Rossini, Ugo Foscolo e Cavour.Hayez ebbe, come detto, contatti anche con Giuseppe Verdi. Il musicista e il pittore trovarono collabora-zione inizialmente per consulenze di messin-scena delle opere. In mostra compaiono tra i più significativi dipinti legati ai melodrammi verdiani e alcuni pro-prietari dei quadri, per esempio l’imperatore Ferdinando I d’Austria

Il Risorgimento negli “occhi” di HayezA Milano interessante retrospettiva sull’artista

per L’ultimo abboccamento di Jaco-po Foscari con la propria famiglia. Quest’ultimo dimostra, insieme a Francesco Foscari destituito o I Vespri Siciliani la carica emotiva e la forza espressiva che colpi-scono soffermandosi davanti a tali opere.Nel finale del percorso Il bacio, apparentemente legato a una principale tematica d’amore e passione ma in realtà studiato, realizzato e replicato anche più volte per raffigurare l’addio del giovane che parte volontario per difendere la nascente nazio-ne. Una nazione rappresentata proprio dalle nuove generazio-ni pronte a risollevarla in ideali di unità e libertà.Una mostra, nel suo piccolo, ricca di opere e di celebri dipin-ti, tutti da ammirare e riscopri-re.

Maggio 2011 3Arte

Ritratto di fantasia del celebre Innominato

Hayeznella Milanodi Manzonie Verdi Pinacoteca di Brera

13 aprile - 25 settembre

Maggio 20114 Arte

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisionedi Federico Martinelli

Arcimboldo, la natura si fa artePalazzo Reale ospita l’artista milanese che fu innovatore nell’arte del Cinquecento

La poliedricità di Giuseppe Arcimboldo è protagonista as-soluta nella mostra Arcimboldo artista milanese tra Leonardo e Caravaggio, fino al 22 maggio a Palazzo Reale. L’artista mila-nese, figlio di Biagio, affermato pittore della Veneranda Fabbri-ca del Duomo e discendente di una famiglia dell’aristocrazia è presentato sotto ogni profilo: dal più noto che lo vede “estro-so e capriccioso” autore delle famose teste composte, all’abile disegnatore quale era, fino al suo ruolo di organizzatore di feste, inventore e regista di cor-te. È presso la bottega del padre che apprende il nobile mestiere di pittore e grazie al quale inizia preparare di disegni per la co-struzione delle vetrate del Duo-mo, esperienza che lo mette in contatto con l’ambiente eccle-siastico e che lo porta a lavorare anche per il Duomo di Monza e Como. Dell’iniziale formazio-

ne milanese si riconosce l’in-fluenza di Leonardo Da Vinci, di cui in mostra sono esposti numerosi disegni di volti grot-teschi e caricaturali, influenza che certamente lo porterà agli studi successivi che lo vedran-no realizzare i volti composti. Nel 1562 Arcimboldo parte per Vienna e acquisisce le grazie di numerosi imperatori asburgici che gli commissionano ritratti e opere di vario genere. È in questo periodo che la sua fama accresce non solo come pittore di corte ma come abile inven-tore di giochi, mascherate, cor-tei e feste di corte; poliedricità eccezionale dovuta alla cultura umanistica impartita dalla fa-miglia. La mostra, curata da Sylvia Ferino, nata in collabo-razione con la National Gallery of Art di Washington presenta l’Arcimboldo, gli artisti e gli ar-tigiani dell’epoca in tutto il loro estro creativo. Si possono am-

mirare infatti oltre alle nume-rose opere -dagli studi e schizzi a matita alle grandi tele- anche manufatti, creazioni artigiana-li e stampe dell’epoca che evi-denziano il fervore culturale dell’epoca, unico e noto in tutto il mondo. Dell’Arcimboldo, a prima vista emerge subito come egli sia stato non solo precurso-re dell’arte moderna ma anche artista unico nel suo genere, talmente autonomo e libero da correnti e vincoli che tutt’oggi è impossibile classificarlo e col-locarlo temporalmente, tanto la sua arte è impossibile da eti-

chettare e collocare in una cro-nologia temporale. Un percor-so eccezionale, probabilmente unico, che unisce alle note tele dell’artista meneghino, una va-sta e preziosa raccolta di vasi, codici miniati, stampe, scudi, armature, medaglie, sculture, cammei e ammennicoli pro-venienti dal Kunsthistorisches Museum di Vienna. Tutto que-sto è la mostra Arcimboldo, artista milanese tra Leonardo e Caravaggio, da visitare sicu-ramente.

Le bizzarre ma inimitabili creazionia base di ortofrutta ma non solo

ArcimBoldoMilanoPalazzo Reale10 febbraio22 maggio

Maggio 2011 11Arte

La vita non imita l’arte, imita la cattiva televisione

La semplificazione artistica di MatisseA Brescia un eccezionale mostra tra disegni e sculture magistrali, fino al 12 giugno

di Federico Martinelli

Nelle 180 opere, tra dipinti, sculture, disegni, incisioni e gouaches che compongono la mostra è analizzata l’attività dell’artista francese nella sua relazione con Michelangelo. Un punto di vista mai tentato prima ma che riesce nel suo intento se non fosse altro per l’interesse di Matisse per l’ar-te del passato. «L’educazione classica mi ha portato natural-mente a studiare i maestri, ad assimilare quanto più potevo, considerando sia il volume, sia l’arabesco, sia i contrasti, sia l’armonia e a riportare quelle riflessioni nel lavoro dal vero, finché mi sono reso conto della necessità di dimenticare il me-stiere dei maestri, o piuttosto

di comprenderlo, ma in modo tutto mio». È a partire da Mi-chelangelo che Matisse giunge alla semplificazione della linea, della forma e della pittura per giungere all’essenza. Matisse vive nel periodo a cavallo tra il classicismo dell’800 e l’esplo-sione delle arti impressioniste e fotografiche. A tal proposito lui stesso dirà: «Cos’hanno fatto i Naturalisti, cosa gli impressio-nisti? Hanno copiato la natura. Noi vogliamo altro, miriamo alla serenità attraverso la sem-plificazione delle idee. L’insie-me è il nostro unico ideale. I dettagli diminuiscono la pu-rezza delle linee, danneggiano l’intensità emotiva: per questo li respingiamo. Quanto ai detta-gli il pittore non deve più preoc-cupar sente, esiste la fotografia per rendere cento volte meglio e più rapidamente la moltitudi-ne dei particolari». La mostra che vanta un ottimo allestimen-to -il migliore che abbia mai vi-sto- è curata da Claudia Bel-tramo Ceppi e da un comitato scientifico di esperti. Prodotta da Fondazione Brescia Musei e Artematica, con il patrocinio della Regione Lombardia e dal Ministero degli Affari Esteri, presenta il percorso completo dell’artista, dal periodo fauves fino a quello delle illustrazioni e delle gouaches. Le opere pro-vengono dai maggiori musei del mondo: dal Musè e Matisse di Nizza al Brooklyn Museum, dalla National Gallery of Au-stralia al Musées Royaux des Beaux-Arts e da numerosi al-

tri. Dalle opere in mostra emerge subito l’incredibi-le bellezza dei di-segni: pochi tratti essenziali e puliti permettono all’ar-tista di realizzare capolavori di indi-scusso livello. Ma è grazie alle inci-sioni al linoleum e alle sculture che l’osservatore si trova coinvol-to in un vortice emotivo davvero unico. Avvolto in un’atmosfera buia in cui a regnare sono solo le opere, ben esposte e illumina-te, l’osservatore può apprezzare l’incredibile bravura di Matisse nel tracciare la linea sul lino-

leum, una precisione alquanto rara, se non unica. Ma a regna-re sono le sculture in bronzo, spesso rudi, quasi informi, de-cisamente materiche. Poesia.

MATISSE laseduzione di Michelangelo

Brescia, Museo di Santa Giulia - 11 febbraio / 12 giugno 2011

Lo schiavo

Sopra: Pianista e giocatori di dama. Sotto: Grande nudo seduto

Maggio 20116 Musica

Verso l’infinito e oltredi Cristina Fanna

Due spettacoli diversi per un unico tour: così la cantautrice di Monfalcone è tornata ad esibirsi dal vivo nella prestigiosa cornice

del Teatro Filarmonico di Vero-na, nelle serate del 20 e 21 Aprile. L’idea vuole essere diversa ed originale, in linea con lo stile che da sempre identifica Elisa: l’ar-tista friulana propone infatti un doppio show, ciascuno con una propria scaletta, dedicando così al pubblico due con-certi diversi tra loro. Il tour, ‘’Ivy’’, dall’o-monimo album usci-to il 30 Novembre 2010, gioca su due degli elementi prima-ri della natura: ‘’Ac-qua’’ e ‘’Fuoco’’, che danno titolo a ciascu-na delle due serate. Luci “calde e fredde” si alternano nei due appuntamenti mentre su un maxischermo posizionato alle spal-le della cantautrice scorrono immagini avvolgenti di sugge-stivi spazi naturali. In un unico piano sequenza la natura appare incontamina-ta, talvolta inondata di luce, o appena percettibile tra le om-bre di un crepuscolo d’inverno. Ruscelli, neve, ghiaccio e ven-to in un appuntamento e sole, luce, fuoco e terra nell’altro, in

una sorta di giardino zen. Le atmosfere nordiche e sognanti del primo dei due eventi, la-sciano il posto a quelle calde e

terrene dell’evento successivo. Nella prima serata, l’inter-pretazione del brano d’aper-tura ‘’Lullaby’’, eseguito con il solo accompagnamento dell’organo, rivela da subi-to il sapore mistico dei toni che caratterizzeranno l’atmo-

sfera dell’intero spettacolo. Segue ‘’Nostalgia’’, singolo di lancio dell’album, un inedito in inglese che colpisce per la sinuosità, l’epicità, la forza e la leggiadria dello splendido

connubio tra musica e testo. Elisa, punto luce sul palco, nell’avorio di una lunga splen-dida veste, esegue ogni brano

con la delicata passionalità che da sempre la contraddist in-gue, questa volta compostamente seduta su una seggiola, quasi a voler dire al pubblico ‘’Ora vi racconto una favola’’. Tutta-via allo stesso tempo, fra un’in-ter pret a z ione e l’altra, si di-verte sul palco improvvisando goffe mimiche, s t e m p e r a n d o

così la tensione emotiva che sca-turisce da sonorità che a tratti accarezzano la sfera spirituale, proprie di ‘’Creature’’, ‘’Qual-cosa che non c’è’’ e ‘’Rainbow’’. Il pubblico risponde con af-fetto, accompagnando l’arti-sta con un generoso battere di

mani a tempo su hit più vivaci come ‘’Heaven out of hell’’, ‘’Ti vorrei sollevare’’, ‘’Gli ostacoli del cuore’’, e con un notevole contributo vocale in un pezzo tutt’altro che semplice come

Elisa, due serate al FilarmonicoLa cantautrice friulana in tour con il suo ultimo album “Ivy”

‘’Almeno tu nell’universo’’. Particolarmente d’effetto la scelta di un’interpretazio-ne sperimentale della ballata ‘’Dancing’’, questa volta priva-ta dell’accompagnamento del pianoforte e resa unicamente dalla voce della cantante as-sieme al suono cristallino del vibrafono e ai lievi schiocchi di dita delle coriste, che vanno ad alleggerire i toni profonda-mente malinconici del brano. Nonostante la location richiami all’ordine e alla compostezza, la cantante è visibilmente scalpi-tante, tanto che, su uno dei bra-ni più rockeggianti come ‘’Hap-piness is home’’ si scatena alla batteria, dimostrando una volta di più la sua poliedricità. Stra-biliante è la disinvoltura con la quale si destreggia fra le più sva-riate tipologie di strumenti, dal-la chitarra acustica, passando per il basso, fino alle percussioni. Dopo l’intervallo, l’apertura del sipario svela il coro veronese di voci bianche ‘’Alive’’, diretto dal maestro Paolo Faccincani, che, miscelato ad un’azzec-catissima sezione d’archi, in-

tensifica i vocalizzi dell’artista nel pezzo ‘’Fairy Girl’’ e nella cover degli Ustma-mò ‘’Cuore/Amore’’. Il concerto si conclude sulle note di uno dei brani più belli dell’ar-tista, ‘’Luce’’, che è lei stessa a dedicare a Gino Paoli, espri-mendogli gratitudine per averla invitata ad esibirsi nello stesso Teatro Filarmonico di Verona quando ancora era agli ini-zi della sua carriera, e ora convinta che quell’invito le sia sta-to di buon auspicio. Certo è che, dopo aver assistito ad un

concerto come questo, risulta difficile pensare che sia arrivata dov’è arrivata per una questio-ne di fortuna, più che di merito. Fortunatamente succede anco-ra.

In questa pagina due candidi ritratti di Elisa

Maggio 2011 7Eventi

Verso l’infinito e oltre

In Arena arrivano Gianna Nannini e ZuccheroCon Eventi Verona appuntamenti musicali e non solo

di Francesco Fontana

Tour europeo farà tappa all’A-rena di Verona con ben cinque serate, in programma per il 2, 3, 4, 6 e 7 di giugno.

Sabato 14 maggio è atteso al Palacover di Villafranca Ca-parezza. Il rapper pugliese ha recentemente pubblicato il suo ultimo album intitolato “Sogno Eretico”.Domenica 15 Maggio il Teatro Filarmonico di Verona ospiterà invece Michelle Hunziker per una rappresentazione chia-mata “Mi scappa da ridere”. La presentatrice e showgirl sarà la protagonista di uno spetta-colo, prodotto da Ballandi En-tertainment e con la regia di Giampiero Solari, che riflette sul potere della risata attraver-so il personale racconto dell’in-terprete, con aspetti di vita re-ale e di fantasia. Il tutto sarà arricchito da balletti e orche-stra, oltre che da supporti visivi che renderanno certamente più creativa e stimolante la narra-

zione. Il 20 e 21 maggio sarà la volta delle due attesissime serate in Arena di Gianna Nannini. La cantante senese, da poco mamma, si esibirà davanti al suo pubblico proponendo, oltre ai classici del repertorio, i brani dell’ultimo bellissimo disco in-titolato “Io e te”. Le tematiche affrontate sono, inevitabilmen-te, legate all’amore e alla figlia.La settimana successiva, il 27 e 28 maggio, l’Arena ospiterà gli Wind Music Awards, per celebrare la grande musica ita-liana. Verranno assegnati du-rante la serata i premi: “Multi platino”, “Platino” e “Oro” agli artisti che hanno vendu-to il maggior numero di copie nell’ultimo anno. Saranno an-che consegnati i riconoscimen-ti “Premio agli artisti giovani emergenti” e “Premio Arena di Verona”.

L’appuntamento più atteso è certamente però quello con Zucchero. Il Bluesman, dopo la pubblicazione dell’ultimo disco “Chocabeck”, per il suo

Edito daQuinta Parete

Via Vasco de Gama 1337024 Arbizzano di Negrar, Verona

Direttore responsabileFederico Martinelli

Direttore editorialeSilvano Tommasoli

Segreteria di redazioneDaniele Adami

Hanno collaboratoDaniele AdamiPaolo Antonelli

Valentina BazzaniAnna Chiara BozzaStefano Campostrini

Giulia CerpelloniCristina Fanna

Francesco FontanaLorenzo MagnaboscoFederico Martinelli

Ernesto PavanAlice Perini

Silvano TommasoliGiordana Vullo

Realizzazione graficaStefano Campostrini

Autorizzazione del Tribunale di Veronadel 26 novembre 2008

Registro stampa n° 1821Stefano Campostrini

graphic designer art directorfotografo [email protected]

346 0206480

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

Ho sognato troppo l’altra notte?Disco di inediti per l’ex La Crus Mauro Ermanno Giovanardi

Quella di Mauro Ermanno Giovanardi con i La Crus è sta-ta una carriera lunga e ricca di successi, iniziata a metà anni Novanta con il primo album “La Crus” (1995), con il quale il gruppo ha ottenuto il “Premio

Ciampi” e la “Targa Tenco”, e proseguita fino al 2008, anno dello scioglimento della band dopo l’ultimo disco “Io non credevo che questa sera”. Per l’occasione di Sanremo 2011 c’è stata però la gradita reunion dei La Crus, seppur limitata all’esperienza dell’Ariston, in gara con il bellissimo brano Io confesso, che ha ottenuto ampio riconoscimento di pubblico e critica, classificandosi al sesto posto. A chiudere il cerchio è arrivato anche il primo best of della band intitolato semplice-mente “Tutto La Crus”, quasi a concludere, anche simbolica-mente, la carriera del duo.Mauro Ermanno Giovanardi con “Ho sognato troppo l’altra notte?” si propone al suo pub-blico sotto le nuove vesti del cantautore e cantante solista. Per dire la verità nel 2007 l’ex

La Crus aveva già pubblicato “Cuore a nudo”, un album con-tenente però solo tre pezzi ine-diti e molte rivisitazioni di bra-ni di musica italiana d’autore. Quindi, il disco da poco uscito rappresenta il vero e proprio esordio da solista per l’artista lombardo. I sette inediti presenti in “Ho sognato troppo l’altra notte?” sono di assoluto valore, mol-to ricchi negli arrangiamenti, con ampio utilizzo di archi e strumenti a fiato. Io confesso, il pezzo di Sanremo che apre l’album, può senz’altro essere considerato il manifesto stesso del nuovo progetto. Le sonorità tipicamente anni Sessanta, ar-ricchite dall’intervento del so-prano Barbara Vignudelli, che riporta alla mente le musiche del maestro Ennio Morricone, sono l’emblema di un disco ca-rico di fascino retrò e di sugge-stive atmosfere cinematografi-

Maggio 20118 Musica

che. Da menzionare senz’altro, tra le altre, i brani Un garofano nero, Lascia che e La malinconia dopo l’amore, quest’ultimo pezzo interpretato in coppia con la cantante Syria. Sono presenti anche due bellissime cover: Se perdo anche te, nota in Italia per la versione di Gianni Morandi del 1967, e Bang Bang, interpre-tata da Giovanardi in duetto con Violante Placido.Nel complesso il disco risulta molto orecchiabile e mai ba-nale. La calda voce baritonale di Giovanardi, perfetta per il genere, si mescola alle sonorità della grande musica d’autore, già marchio di fabbrica dei La Crus, alla ricerca di atmosfe-re beat e inequivocabilmente Sixties. È una sorta di affa-scinante viaggio nel passato, accompagnato però da testi impegnati e molto attuali, per un incontro tra ieri e oggi asso-lutamente suggestivo.

Così parlò Eatwood

E così, ritrovarsi a un tavolo a mangiare la pizza è diventa-to per Eatwood un motivo di propaganda. Lui, che ci aveva chiesto di portare pazienza più volte, aveva passato il limi-te. Non potevamo pensare di ascoltare le sue opinioni anche con coltello e forchetta in mano. L’avevamo fatto in passato e il risultato era stato lo sdegno dei vicini di tavolo e la pizza man-giata fredda, causa la nostra vo-lontà di replicare a quanto vole-va propinarci. Sentivamo l’eco della sua voce continuamente, anche di notte quando legge-vamo i suoi messaggi di saluto risuonava la sua becera propa-ganda dal sapore fanatico. A dire il vero, a darci fastidio, non era solo il suo atteggiamento fuori dagli schemi ma anche il suo essere così attaccato al vile denaro, da capitalista e lati-fondista quale era. E poi, come poteva sostenere con così tanta veemenza il Dio biblico quando viveva circondato da una forma di lusso, sia pur celata ma al-quanto disgustosa? Osservando quanto stava accadendo in piz-zeria provai a farlo ragionare, ma lui si alzò e se ne andò. Ma questa volta non poteva sbattere la porta, l’avrebbe fatto ma non poteva. La fotocellula della por-ta scorrevole gliel’aveva impe-dito; la sua scenata ci confessò poi- rimase incompiuta. Come una grande opera d’artista.

è on-line il nuovo sito di Verona èwww.quintaparete.it

Per chi si fosse perso alcuni de-gli album, o per chi volesse ri-apprezzare al meglio le sonorità con la nuova rimasterizzazione di qualità, c’è quindi la possi-bilità di ripercorrere il viaggio di Mercury e compagni. Da “Queen”, primo disco del 1973, quello del gruppo britannico è stato un percorso artistico lungo e stilisticamente vario, capace di percorrere gli anni Settanta e Ottanta con grande creatività, spaziando nei ge-neri più differenti, con album sempre all’altezza e indimen-ticabili performance live. Alla base di tutto, come sempre, la grandissima qualità dei singo-li. Freddie, il cantante, pianista e compositore dall’incredibile estensione vocale, sicuramente uno dei migliori frontman della storia del rock. Roger, il batte-rista cantante, strepitoso nelle performance live (indimentica-bile nel pezzo, da lui stesso scrit-to, I’m in love with my car). Brian, il chitarrista, nonché autore di molti brani, dalla strabiliante capacità tecnica, con quel suo-no inconfondibile che sapeva far uscire dalla sua “Red Spe-cial” (chitarra che si è costruito da solo) e John Deacon, un ot-timo bassista, capace inoltre di spunti geniali nella composizio-ne di vari pezzi del repertorio dei Queen. Per gli appassionati fa inoltre piacere ricordare che a breve uscirà un film biografico sulla vita di Freddie Mercury, interpretato sul grande schermo dall’attore Sacha Baron Cohen.

di Francesco Fontana

Verso l’infinito e oltre

Quarant’anni di QueenIl mito Queen ritorna con un progetto per la ristampa integrale degli album della band

Dodici note in ogni ottava e la varietà del ritmo mi offrono delle opportunità che tutto il

genere umano non esaurirà maiIgor Stravinskij

Nel 2004 i Queen avevano tentato di reinventarsi con una nuova formazione che preve-deva al posto di Freddie Mer-cury la voce di Paul Rodgers, un grandissimo della scena rock con un passato glorioso nelle file di gruppi come i Free e i Bad Company. Così nasce-va l’ambizioso, quanto curioso, progetto Queen + Paul Rod-gers, con il primo album live nel 2005, intitolato “Return of the Champions”, accompagnato da tour mondiale, e un successivo disco di inediti nel 2008: “Co-smos rocks”. L’anno seguente all’uscita del secondo album però, forse anche perchè i risul-tati della collaborazione non si erano dimostrati in linea con le aspettative, il progetto si conclu-se per volontà dello stesso Paul

Rodgers che lasciò la band. Le sonorità dei nuovi Queen erano piuttosto lontane da quel-le originarie e, soprattutto, nel-

la mente dei fan probabil-mente risul-tava difficile considerare “Queen” un gruppo sen-za il talento e la presenza di Freddie Mercury. E allora con-viene ria-scoltare i vecchi dischi della band

britannica, quelli che hanno accompagnato gli appassiona-ti dal 1971, anno dell’incontro di Brian May, Roger Taylor e Freddie Mercury con l’ultimo eccezionale pezzo del puzzle, il bassista John Deacon, fino al 1995, anno di pubblicazione di “Made in Heaven”. Oggi, a quarant’anni da quel 1971, c’è infatti un interessante progetto che prevede la ristampa inte-grale, sotto l’etichetta della casa discografica Island Records per la Universal, della discografia del gruppo. Negli scorsi mesi sono già stati pubblicati i Grea-test Hits I e II, caratterizzati da una qualità del suono assoluta-mente inedita.

I Queen in una posa istituzionale e sotto una ad imitazione di un live

Maggio 2011 9Musica

Maggio 201110 Libri

di Daniele Adami e Alice Perini

È la stampa, bellezza

Un Capitolo da non dimenticareLa Biblioteca Capitolare di Verona: una storia, in parte, da svelare

La sua storia comincia non solo per non dimenticare, ma soprattutto per trasmettere ciò che l’uomo aveva conquistato fino a quel momento: il sapere, la civiltà, la cultura. E in quei tempi, diversi secoli fa, l’inse-gnamento era una prerogativa ecclesiastica, connessa all’esi-genza di annunciare e divulga-re la verità rivelata, quella con la “V” maiuscola. Dell’avventura della Biblioteca Capitolare di Verona esistono dati certi risalenti agli inizi del VI secolo d.C. È il 1° agosto 517 quando Ursicino, lettore della chiesa veronese, dichiara di aver completato il suo lavoro, ovvero la trascrizione della vita di San Martino, composta da Sulpicio Severo, e dell’eremita San Paolo, compilata da San Girolamo: una testimonianza che ci autorizza a ritenere che lo Scriptorium fosse attivo già nel V secolo. Con un balzo in avanti di quasi 700 anni, rag-giungiamo il 1200, momento in cui lo Scriptorium, l’officina libraria, assume la fisionomia di una vera e propria biblio-teca con funzioni di studio,

consultazione e conservazione. Una trasformazione possibile in virtù di un patrimonio li-brario tanto cospicuo, tale da non aver quasi più bisogno di ulteriori testi per incrementa-re la propria raccolta. Infat-ti, sembra che alcune antiche pievi (tra le quali Calavena e Caprino) ricevessero, come strumenti di formazione per il clero, numerosi manoscritti provenienti dalla Capitolare.Ora, dopo quindici secoli di costante attività, conservazio-ne, consultazione e divulgazio-ne della cultura sono le princi-pali funzioni di questa storica e preziosa biblioteca. Un teso-ro ambito anche da Napoleone Bonaparte, che, durante la sua occupazione in Italia, sottrasse Codici e incunaboli di grande valore. Alla caduta dell’Impe-

ratore, una parte di essi venne re-stituita. Un tesoro da proteggere, so-prattutto nei tur-bolenti anni della Seconda Guerra Mondiale, quando, grazie allo sforzo di Monsignor Giusep-pe Turrini, parte del patrimonio fu trasferita in luoghi sicuri, al riparo dalle incursioni ae-ree. Un’iniziativa provvidenziale: il 4 gennaio 1945 un massiccio bombar-damento da parte degli americani rase al suolo l’edi-ficio centrale della Biblioteca. Ciò che

non si era riuscito a trasferire rimase sotto le macerie, ma quasi tutto il materiale, alla fine, venne recuperato.E oggi, quali sono i rapporti che la Capitolare intrattiene con la cultura che la circon-da? “L’Agorà del con-senso”, una risposta ai temi d’attualità, come, ad esempio, il testamen-to biologico e gli episodi di cro-naca nera. Ogni giovedì sera la biblioteca è teatro di una serie di incontri nei quali gli esperti approfondiscono gli argomenti e confrontano le loro idee con quelle del pubblico presente in sala. E ancora, quale cultura si

interessa della Capitolare? Gli studiosi non mancano, tra cui un vasto numero di stranieri. Per loro sono spesso organiz-zate visite a tema. Le scuole, a partire dalla terza media, si pongono l’obiettivo di coinvol-gere i ragazzi nella conoscen-za di questo mondo del libro raro e affascinante, adattando all’età degli studenti le nozioni da trasmettere. I turisti sono ben accolti, ma, purtroppo, scarseggiano. “L’uomo della strada” rimane, quasi sempre, dov’è. E, dato l’attuale stato in cui versa la cultura, ci sono buone possibilità che ci riman-

La cultura non è soltanto quella che viene macinata e

depositata dai libri. La cultura, è stato detto, è quel che resta

quando tutto è statodimenticato

Giovanni Macchia

Per chi non lo sapesse...

Capitolo: collegio di sacerdoti istituito in una chiesa per rendere più frequente e regolare il culto e per adempiere alle mansioni di ordine spirituale. Il nome deriva dall’originaria gior-naliera adunanza dei chierici di una chiesa, che vivevano in comune, durante la quale ve-niva letto un capitolo della loro regola.

Codice: in epoca romana, termine che de-signa l’insieme delle tavolette di legno che formavano il libro, a differenza del volume, il libro “a rotolo” su carta di papiro. Affer-matosi l’uso della pergamena come supporto scrittorio, fu ritenuto più pratico dividerla in fogli piuttosto che rotolarla, sicché si diffuse

l’impiego del codice pergamenaceo. I codici cartacei ebbero origine verso il XII secolo.

Incunabolo: nome che si attribuisce ai primi libri stampati con caratteri mobili, nella se-conda metà del secolo XV. Dal latino incuna-bula, fasce, con allusione alla stampa appena nata.

Palinsesto: manoscritto antico su pergame-na dalla quale è stato cancellato, perlopiù ra-schiandolo, un testo precedente, per utilizzare nuovamente la pergamena come materiale scrittorio.Definizioni tratte dall’Enciclopedia Grolier.

Lo splendido salone centrale

Maggio 2011 11Libri/Tecnologia

ga. Perché, se non si può inve-stire nelle attività di diffusione e promozione della conoscenza racchiusa nei 1.300 codici e 11.000 pergamene qui custo-dite, difficilmente quest’uomo

(tra cui molti veronesi, igna-ri anche dell’esistenza della Capitolare) sarà propenso a entrare. Finanziamenti indispensabili per portare a termine il progetto di di-gitalizzazione del patrimo-nio: finora, solo 70 codici sono stati trasferiti su questo innovativo supporto. Un’e-sigenza, quella della digi-talizzazione, che la biblio-teca considera primaria, soprattutto per soddisfare le richieste della scuola e dei

ragazzi, che vorrebbero toc-care con mano queste storiche testimonianze, troppo delicate da sopportare ripetute espo-sizioni. Trasferendo immagi-ni e testi in formato digitale è possibile rimediare a questa

difficoltà, am-mirando, come dal vivo, i testi. Fondi che po-trebbero servi-re, inoltre, per o r g a n i z z a r e mostre a tema, cosa abituale almeno fino a due anni fa, e per svelare sale ancora nasco-ste, tra le qua-li quella delle Cinquecentine e degli Incuna-boli. Peccato che ora, tutto ciò sia solo sulla carta.

È la stampa, bellezza

gire qualche autoritratto fotografico creativo. Il tutto è ovviamente pa-droneggiato dal sistema operativo iOS, che con i nuovi aggiornamenti alla versione 4 e successive ha confermato le sue facilità d’uso e stabilità.Utilità fisiche esterne sono la Smart Cover, una simpatica protezio-ne trasformabile in mul-ti-supporto, la tastiera

esterna e il dock per appoggiare lo schermo e digitare separata-mente. La porta multifunzione alla base permette di collegarlo alla tv o alla stampante per una connettività totale.Alcune pecche rimangono: a li-vello software la mancanza del-la compatibilità dello standard Flash per la navigazione in Internet. In ambito costruttivo sono stati segnalati invece dei difetti ai bordi dello schermo che presenta alcune zone più chiare visibili maggiormente con scarsa luminosità.Nonostante ciò le vendite, che addirittura impensieriscono quelle dei notebook, conferma-no il grande successo di questo ennesimo colpo di genio made in Apple. (ste. cam.)

Quando uscì lo scorso anno una moltitudine di appassionati ed esperti del settore lo definirono subito rivoluzionario. Stiamo parlando dell’i-Pad, il tablet per eccel-lenza che ha dato l’inizio ad una concezione nuova di tecnologia. Rinnovan-do l’idea di portabilità e innalzando lo standard sempre creativo della casa produttrice Apple, è inevitabilmente riuscito a gene-rare una serie di imitazioni più o meno affidabili ma che al mo-mento non raggiungono l’origi-nale. Ad oltre un anno dalla sua nascita è ora arrivata la seconda versione, l’iPad 2, fondamental-mente migliorato esteriormente ma inevitabilmente anche a li-vello hardware. Quest’ultimo ri-sulta infatti il 33% più sottile e il 15% più leggero del precedente Il display LCD e la risoluzio-ne 1024x768 pixel rimangono invariate, mentre i componenti interni sono stati rivisti e ag-giornati. Prima di tutto il nuovo processore A5 dual-core a 1GHz che permette più rapidità e la preziosa abilità multi-tasking, la possibilità di lavorare su più applicazioni (o meglio “app”)

contemporaneamente. Veloci-tà implementata anche nella elaborazione grafica, 9 volte più veloce e memoria integra-ta raddoppiata ora a 512 me-gabytes. Durata della batteria rilevata a 10 ore in condizioni ottimali, ben sufficienti per qualsiasi attività.La praticità di questo “oggetto del desiderio” si riscontra an-cora grazie all’ormai colludata funzione tattile Multi-Touch e la presenza di giroscopio, ac-celerometro e bussola. Il primo permette la rotazione automati-ca dello schermo in base a come viene tenuto in mano l’iPad. In-sieme all’accelerometro e alla bussola, lavora per facilitare l’utilizzo di giochi, posiziona-mento geografico e direzionali-

tà dell’apparecchio.Con la nuova versione vengono introdotte, con gioia degli ac-quirenti, due fotocamere, una frontale per riprendersi durante una conversazione con FaceTi-me e una sul retro di 5 mega-pixel e la possibilità di creare video in alta definizione. Oltre a FaceTime, molte altre entu-siasmanti ed utili applicazioni sono disponibili sul dispositivo e su AppStore. A partire dai pacchetti iLife, che consente di divertirsi con musica, immagi-ni, video e iWork, la suite per lavorare con presentazioni mul-timediali, fogli di calcolo e trat-temento tesi. Sempre immanca-bili Safari, ora più veloce nella navigazione, iTunes e il curioso PhotoBooth per lasciarsi sfug-

iPad 2: tutto nelle vostre maniAlla scoperta delle peculiarità del più recente gioiello del colosso di Cupertino

Una decorazione su un libro antico

Pagine che speriamo non vadano dimenticate

Habemus Papam è un film senza storia. O meglio, la storia c’è, ma esattamente come il Papa del titolo essa gira confusa in-torno a se stessa, fino ad ar-rivare a una conclusione che è la conferma dell’inizio. La

differenza fra le due situazioni è che il protagonista, fra tutti i personaggi, è l’unico a liberarsi dalla maledizione del silenzio per dire finalmente quello che vuole e deve dire: cioè che lui il Papa non lo vuole fare. Grazie tante, lo avevamo intuito.Per carità, nel film non man-cano i virtuosismi (l’attore impazzito e la scena surreale dell’ingresso dei cardinali a te-atro) e le metafore (prima fra tutte quella del teatro, con cui si apre il film: il primo attore non ha alcuna voglia di dare il via allo spettacolo), ma tutto sembra avvolto da una patina di autoreferenzialità. Come se il film fosse in qualche modo in-capace di andare oltre se stesso. Od oltre Nanni Moretti, che in-terpreta un istrionico psichiatra protagonista di una “trama nel-la trama”: divertente in quanto razionalista che non può sof-frire lo scetticismo dei religiosi nei confronti della scienza, ma il cui ruolo principale sembra quello di uno fra i perni di una situazione grottesca, nella qua-

le egli (come i Cardinali) non può lasciare il Vaticano finché il Papa non si sarà ripreso, ma il Papa stesso è fuggito e la sua presenza è simulata da un sosti-tuto. Un personaggio, dunque, che dovrebbe essere seconda-

rio, ma per qualche bizzarro motivo passa fin troppo tempo inquadrato dalla telecamera e in tal modo pesa sull’economia del film. A farne le spese sono gli altri, schiacciati nel poco tempo sotto i riflettori rima-sto, talmente bidimensionali da essere ridotti a macchiette che possono strappare appe-na qualche risata. Tranne lui: il Papa. Un Papa, questo sì, che commuove e suscita simpatia, sopratutto quando pare rendersi con-to del motivo per cui non può sedersi sul seggio di Pietro: da giovane voleva fare l’attore, ma accettare l’elezione a pontefice signi-ficherebbe perver-tire questo sogno, congelarsi per sem-pre in un ruolo che non crede di essere in grado di inter-pretare. Per questo,

alla fine, rifiuta. È questa con-sapevolezza a dargli la forza di parlare, quella forza che manca (fra gli altri) allo psichiatra Mo-retti per accettare il proprio fal-limento come marito, alla sua ex-moglie per rendere pubblica

la relazione con un altro uomo, al portavoce vatica-no per ammettere di aver “perso per strada” il pontefi-ce (è lui ad allesti-re l’inganno di cui sopra). Ma tutto ciò è un po’ poco per tenere assieme un film di un’ora e quaranta minuti, in cui buona parte di quello succede sono semplici riem-pitivi comici, a vol-te nemmeno tanto divertenti. Dopo aver visto

Habemus Papam, viene da chie-dersi quali siano le cause dello scandalo che ha creato. La sa-tira? Non ne abbiamo trovata. Abbiamo visto i cardinali, una simpatica combriccola di vec-chietti per i quali si può pro-vare simpatia, giocare a carte e a pallavolo, facendoci anche divertire. Abbiamo visto il por-

L’attore che fece il gran rifiuto:il Papa di Nanni Moretti

Habemus Papam o il film delle stranezze

Visto abbastanza?

tavoce vaticano arrabattarsi in modo comico nel tentativo di fare il suo lavoro, che il “prin-cipale” gli rende sempre più difficile. E abbiamo visto lui, il Papa, che nell’interpretazio-ne di Michel Piccoli sembra a volte un anziano un po’ confu-so piuttosto che un religioso in preda a una grave crisi esisten-ziale. In effetti, con qualche ag-giustamento minimo il regista avrebbe potuto mettere inscena un sacco di vicende diverse, dal momento che l’essere pontefice del protagonista non influenza – se non nominalmente – la storia del film,come abbiamo detto praticamente inesistente. L’unica istituzione chiaramente bersaglio della verve polemica di Moretti è il giornalismo italia-no, rappresentato da un vati-canista confusionario e servile che, guarda caso, è l’unico il cui editore è identificabile (per la precisione, il suo microfono reca il contrassegno del Tg2). Ma è tutto qui: della Chiesa non si mostrano né i privilegi

di Ernesto Pavan

Maggio 201112 Cinema

In questa pagina due suggestivi fotogrammi del film, in alto la locandina

né la (possibile) corruzione, i Cardinali sono esseri umani qualunque che credono in Dio e tutte le persone che incontra-no il Papa, pur non conoscendo la sua identità, lo trattano con grande gentilezza e cortesia. Dunque, da quello che possia-mo dedurre dopo aver visto il film, Habemus Papam non è un’opera satirica, oppure la sa-tira è talmente sottile che non ce ne siamo accorti. Può darsi che sia un’opera comica, ma la risata scaturisce da situazioni tutto sommato banali e dura poco. Di sicuro ha in sé del drammatico, che però si basa fondamentalmente su un solo personaggio, per quanto ben caratterizzato. La nostra impressione, insom-ma, è che Habemus Papam sia un film interessante, ma a tratti superficiale, che vuole essere dramma e commedia grottesca senza riuscire del tutto in nes-suno dei due ambiti. Un’opera d’arte ben strana, che avrebbe potuto essere diversa se solo avesse scelto una strada e l’aves-se percorsa fino in fondo.

Visto abbastanza?

Maggio 2011 13Cinema

In sala questo mese

Fast & Furious 5Genere: azioneData di uscita: 4 maggioRegia: Justin LinCon: Vin Diesel, Paul Walker, Dwayne Johnson

Come l'acqua per gli elefantiGenere: drammaticoData di uscita: 6 maggioRegia: Francis LawrenceCon: Robert Pattinson, Reese Witherspoon, Christoph Waltz

MacheteGenere: azioneData di uscita: 6 mag-gioRegia: Robert Rodri-guezCon: Danny Trejo, Mi-chelle Rodriguez, Jes-sica Alba, Robert De Niro

BeastlyGenere: fantasticoData di uscita: 11 mag-gioRegia: Daniel BarnzCon: Vanessa Hudgens, Alex Pettyfer

RedGenere: azioneData di uscita: 11 maggioRegia: Robert SchwentkeCon: Bruce Willis, Morgan Fre-eman, Helen Mirren

Pirati dei Caraibi: oltre i confini del mareGenere: avventuraData di uscita: 18 maggioRegia: Rob MarshallCon: Johnny Depp, Penelope Cruz, Geoffrey Rush

Una notte da leoni 2Genere: commediaData di uscita: 25 maggioRegia: Todd PhillipsCon: Bradley Cooper, Zach Ga-lifianakis, Justin Bartha

Tree of lifeGenere: drammaticoUscita: 27 maggioRegia: Terrence MalickCon: Sean Penn, Brad Pitt

Il ramo di Shallow Water

Questa è lo schema (costruito secondo le re-gole del manuale) città in cui abbiamo gioca-to la nostra prima sessione da Game Master. Le parole in corsivo sono gli eventi accaduti prima dell’arrivo dei Cani.Orgoglio: Sorella Cornelia crede che il proprio amore per Mohegan, un giovane del Popolo delle Montagne, sia legittimo.Ingiustizia: Fratello Ezechiel, cugino di Cor-nelia, viene a sapere della loro relazione e ricatta la ragazza, costringendola a dargli il suo corpo in cambio del proprio silenzio.Peccato: Mohegan intuisce che qualcosa non va e, dopo aver insistito, si fa confessare da Cordelia la verità. Il giovane tende un aggua-to a Ezechiel assieme ad alcuni amici e lo fe-risce mortalmente; tuttavia, prima di morire, Ezechiel fa per sparare a Mohegan alle spalle e Cordelia glielo impedisce pugnalandolo. Attacchi demoniaci: Di fronte al ritrovamento del corpo di Ezechiel, gli uomini del Ramo sono presi dalla furia omicida e organizzano battute di caccia all’indiano. Da notare che i

“demoni” potrebbero essere spiriti che si im-possessano degli umani (possono farlo grazie al peccato di Cordelia, che ha corrotto l’inte-ra comunità) o semplicemente una metafora del loro odio: non è importante.Falsa dottrina: Fratello Elijah, Sovrintendente del Ramo e padre di Cordelia, si convince che il Popolo delle Montagne vada stermina-to perché la sua esistenza offende il Re della Vita.Culto corrotto: I “cacciatori di indiani” inau-gurano un macabro rito: prendono gli scalpi delle loro vittime e li inchiodano sulla parete del Tempio cittadino.Falso sacerdozio: Fratello Elijah raccoglie in-torno a sé gli altri uomini influenti della co-munità fra cui (seppur riluttante) c’è Fratello Hamilton, pare del defunto Elijah, che non sa nulla di ciò che ha fatto il figlio. Elijah di-venta uno stregone (di nuovo, questo termine può avere un significato letterale come uno metaforico).Stregoneria: Fratello Elijah, che ha intuito la

verità riguardo Cornelia e Mohegan (tutti gli altri pensano che la ragazza sia stata ra-pita), comanda ai demoni di colpire la figlia. La giovane cade malata (anche qui, il punto non è tanto se Elijah sia in grado o meno di operare magie, quanto il fatto che vorrebbe che sua figlia fosse morta).Odio e Omicidio: Mohegan tende un agguato al vecchio Jebediah, l’innocuo e gentile farma-cista del Ramo, e lo uccide per impadronirsi di una medicina che crede possa salvare la vita di Cordelia.Cosa vogliono i personaggi? Cornelia vor-rebbe che la violenza cessasse ed è persino disposta ad abbandonare l’amato, se ciò può servire. Mohegan vorrebbe che Elijah fosse punito e Cornelia rimanesse con lui. Elijah vorrebbe vedere morti tanto Cornelia quanto tutti gli indiani. Hamilton vorrebbe sapere esattamente come è morto suo figlio ed even-tualmente che la sua morte sia vendicata.La partita inizia con l’arrivo dei Cani...(ern. pav.)

Quando la giustizia è nella canna di una pistolaDemoni, peccatori e western in Cani nella Vigna

Pochi giochi di ruolo sono visti con tanto entusiasmo o sospetto di Cani nella Vigna (di Vincent Baker, Narrattiva, € 24,90), a seconda che il punto di vista sia quello di chi ha provato il gioco ed è rimasto fulminato dall’eleganza del sistema e dalla profondità dei temi o quello di chi, avendone sentito parlare, ha storto il naso davanti a quel-li che paiono un gioco bigotto (se mai un gioco può esserlo) e una risoluzione complessa. Da parte nostra, possiamo dire di non esserci mai imbattuti in un gioco tanto ben scritto, sempli-ce da imparare ed eccezionale per vivere storie ricche di pathos.La prima cosa che colpisce, in Cani nella Vigna, è l’ambienta-zione: le storie si svolgono in un West di inizio ‘800, in quel-lo che nel gioco è chiamato “il Territorio della Fede” e che assomiglia allo Stato mormone del Deseret. È una terra diffici-le, dove le comunità sono isolate le une rispetto alle altre e vul-nerabili sia dalle minacce ester-ne che dalla corruzione e dal peccato all’interno. Per salva-guardare questi piccoli mondi è stato istituito un corpo speciale

di difensori della Fede: i Cani nella Vigna. Ciascuno di loro è una ragazza o un ragazzo intorno ai vent’anni, vergine, a cui sono sta-ti dati un libri e una pistola e che è stato mandato in missione per conto del Signore della Vita, nella con-vinzione che il Dio di questo mondo guiderà le sue azioni. Compito di ciascun giocatore è creare, guidare e in-terpretare il ruolo di uno di questi Cani.Tutti i giocatori hanno un Cane, tranne uno. Questo giocatore, il Game Master, avrà il compito di creare, guidare e interpretare i Rami (le città) in cui i Cani si avventureran-no e le persone che li popolano. Naturalmente, in questo mondo immaginario esisteranno an-che Rami equilibrati e pacifici, ma questo non è il caso di quelli visitati dai Cani, all’interno dei quali è sbocciato il Male. I suoi semi erano già presenti, sotto-

forma della mentalità rigida-mente religiosa degli abitanti: dopotutto, quando le leggi di-vine sono causa di sofferenza o sono palesemente trasgredite senza che alcuna giustizia in-tervenga, l’intero sistema mo-rale che si reggeva su di esse

può crollare facilmente. Quello che può accadere a una comunità senza più certezze, o con certezze nate dalla perversione di un ideale, deve essere partorito dalla fantasia del Game Master: in una nostra partita (vedi il box in questa pagina), l’amo-re proibito fra Cornelia (una Fedele) e Mohegan, un giovane indiano, ave-va scatenato una guerra sanguinosa promossa dal padre della ragazza, che in segreto sarebbe stato ben contento di sbaraz-zarsi di una creatura tan-to indegna come la figlia e arrivò al punto di pro-gettare la sua morte per usarla come leva con cui aizzare i Fedeli contro gli indiani. I protagoni-sti di Cani nella Vigna e,

con loro, anche i giocatori, si trovano di fronte a situazioni come questa (o anche peggiori) all’inizio di ogni storia; cosa ne verrà fuori spetta a loro deci-derlo, perché secondo i dettami della Fede i Cani sono ispirati dal Signore della Vita e le loro

Maggio 201114 Giochi di ruolo

di Ernesto Pavan

Nessun uomo è un fallito se ha degli amici

Un laboratorio di scrittura per tutti Serate letterarie veronesi

decisioni sono sempre giuste (da ciò deriva il corollario informa-le “Se alla terza sessione due o più Cani non hanno risolto un diverbio fra loro a colpi di pi-stola, non state giocando con sufficiente partecipazione”).

Come molti altri giochi, Cani nella Vigna può includere ele-menti soprannaturali nelle storie che si vengono a creare, siano essi misteriosi fenomeni che potrebbero essere naturali o il proverbiale Angelo della Morte con due Colt fiammeg-gianti alla cintura. A differenza

di quanto accade in molti altri giochi, che i demoni esistano o meno non cambia assoluta-mente nulla: il padre di Corde-lia avrebbe potuto essere uno stregone in grado di far piovere fuco e sangue, ma questo non

avrebbe cambiato la sua perso-nalità né avrebbe implicato un qualsiasi “dovere” dei perso-naggi a schierarsi contro di lui (avrebbero potuto decidere che i due giovani avevano commes-so una grave imprudenza ed eseguirli entrambi, o avere opi-nioni contrastanti e dirimere la

questione sparandosi addosso); i Cani stessi avrebbero potuto possedere poteri soprannatura-li come la guarigione miracolo-sa, ma sarebbero stati sempre verginelli di vent’anni chiamati a giudicare due ragazzi che, col

loro amore, avevano sca-tenato una faida terribi-le. Questo è uno dei gran-di punti di forza di Cani nella Vigna. L’altro pun-to di forza è il sistema di gioco. In-nanz itut to, in Cani nella Vigna vige la

regola “dì di sì o tira i dadi”, che di fatto obbliga il Game Master a prendere per vera ogni affermazione dei giocatori riguardo le azioni dei loro per-sonaggi o a contrapporre a essa il lancio dei dadi (impedendogli di dire semplicemente “no”). In secondo luogo il modo in

cui sono risolti i conflitti, siano essi scontri a fuoco o dialoghi serrati, è un sistema di vedute e rilanci ispirato a quello del Poker, dove ciascun aspetto dei personaggi e oggetto di scena ha un suo valore e sono i gioca-tori a decidere quanto vogliono rischiare. Le risorse a disposi-zione del Game Master, infat-ti, sono limitate; a conti fatti, per lui è molto difficile vincere contro i Cani. Ma può sferrare colpi insidiosi, costringerli ad accettare affermazioni pesanti e metterli nella condizione di scegliere fra l’abbandono di una causa a cui tengono e la conti-nuazione a caro prezzo. Fare il Game Master a Cani nella Vigna è un’ottima valvola di sfogo del-la crudeltà.Cani nella Vigna è un gioco sulle scelte difficili di persone il cui compito è, a pensarci bene, una grande ingiustizia. I ragazzi di vent’anni dovrebbero vivere la loro gioventù, non farsi carico degli errori di innumerevoli al-tri. Ma questo è ciò che succe-de, non solo nel mondo del Re della Vita e della Fede.

di Ernesto Pavan

Nessun uomo è un fallito se ha degli amici

Maggio 2011 15Giochi di ruolo/Libri

Una Colt Dragoon secondo modello del 1848

Segnaliamo con piacere l’iniziativa della rivista letteraria Inchiostro, che organizza il laboratorio “Invito alla scrittura”. Si tratta di una serie di incontri dedicati alla scrittura narrativa, scenica e giornalistica, che si terranno dal 7 maggio al 19 giugno presso la sede della rivista in via Risorgimento 30 (zona Cen-tro – Borgo Trento) tutti i sabati dalle 14 alle 22, eccezion fatta per l’incontro finale che avrà luogo do-menica 19 giugno dalle 10.30 alle 19.30. Il ciclo è aperto a tutti.Il corso si concentrerà intensamen-

te sulla pratica della scrittura, in particolare la scrittura narrati-va, cercando di fornire a ciascun partecipante le metodologie e gli strumenti necessari a progettare e scrivere una buona storia. Durante gli incontri saranno comunque trattati anche argomen-ti affini, come la scrittura teatrale e quella giornalistica. L’ultima parte del corso sarà dedicata a un aspetto molto spesso trascurato, ossia la pubblicazione: identificare un pubblico di riferimento, re-visionare il testo, presentarsi a un editore. Al termine degli incontri sarà rilasciato un attestato di frequenza.

Per il mese di maggio, la Libreria Gulliver organizza tre serate cul-turali nel corso delle quali i veronesi avranno l’opportunità di con-frontarsi con personalità letterarie e artistiche di rilievo nazionale. Venerdì 6 maggio, alle ore 21, si terrà presso la Società Lettera-ria di Verona (Piazzetta Scalette Rubiani 1) la presentazione del libro Piano americano di Giuseppe Cederna, scrittore ma soprattutto attore (noto in particolare per le sue interpretazioni in Mediterraneo e Marrakesh Express), edito da Feltrinelli, con la presenza dell’autore. L’opera è un excursus poetico incentrato sulla figura dell’attore, “al centro dell’inquadratura” nel titolo come nel testo.

Giovedì 12 maggio, alle 20, presso la Fondazione Nigrizia (Vico-lo Pozzo 1), l’autrice Mirella Tenderini presenterà il romanzo Isa-belle amica del deserto, edito da Electa, incentrato sulla figura storica della viaggiatrice Isabelle Eberhardt che, ai primi del Novecento, travestita da uomo, intraprese un avventuroso cammino in terre dove alle donne europee era vietato l’ingresso.

Per finire, giovedì 26 maggio alle 20.30 l’artista e viaggiatore Stefano Faravelli incontrerà il pubblico nello scenario cinquecen-tesco di Ca’ Foscari (Quinto di Valpantena) per una discussione sul tema dei “carnet di viaggio”, volumi dall’impianto realizzato rigo-rosamente a mano che costituiscono vere e proprie opere d’arte. Tutte le serate sono a ingresso libero.

di Ernesto Pavan

Appuntamenti culturali

Maggio 201116 L’opinione

Il re è nudodi Silvano Tommasoli

Non è vero. Alla fine, ho dovuto capitolare. Nel nome di un’ami-cizia vecchia quanto me. Erano quindici anni che uno dei miei amici d’infanzia, tra i più cari, mi diceva «Vieni almeno una volta a vedere una partita di cal-cio, altrimenti non saprai mai cosa ti perdi». Gli ho invariabil-mente risposto che ero certo di perdermi risse, alterchi, cariche della polizia, e simili ricchi pre-mi e cotillons. Mi spiace, non ci sono portato. Non è il mio am-biente.Non vi dico il sollievo che ho provato la prima volta che ho ceduto, ma non mi hanno fat-to entrare allo stadio. Misure di sicurezza, mi hanno detto nel rifiutare di accreditare a me la tessera di tribuna che lo stesso amico mi aveva ceduto per assistere a Chievo – Napo-li. Un grande sollievo, appunto. Pensando di annoiarmi, per precauzione avevo portato un libro. Sono tornato a casa felice, a continuare la mia lettura.Ma un paio di settimane fa, ho subito un fiero attacco fronta-le. In ballo un’amicizia di cin-quant’anni, mezzo secolo, con-tro novanta minuti di noia. Ho detto sì, ci vengo. Mica potevo rischiare, no?Pomeriggio di sole. Passa a prendermi mezz’ora prima del fischio d’inizio, dice che è un privilegio dell’andare in tribuna. Nei pochi minuti di auto, gli accenno solo che farò esattamente quello che farà lui. Se applaudirà, anch’io applaudirò. Se griderà «Arbitro cornuto!», no, a quel-lo non mi potrò omologare. Ve l’ho detto, non è il mio ambien-te, e nemmeno il mio genere. Insomma, farò come quando mi tocca di andare in chiesa per una cerimonia, che non azzec-co mai il momento di inginoc-chiarmi né quello di alzarmi e tengo d’occhio qualcuno che sa. Non sono pratico nemmeno lì, tant’è che nel mio giro di ami-cizie ci si ricorda ancora del

mio matrimonio. Astutamente, avevo preso un testimone esper-tissimo di cose liturgiche e del cerimoniale, ma non sapevo che fosse un burlone. Doveva suggerirmi tutte le mosse, ma, appena scambiati gli anelli, mi ha sussurrato «È finita, comin-cia a uscire». Il prete, vecchio amico di famiglia, mi ha ac-chiappato per la giacca, e il suo spontaneo e poco latinorum «Ma dove veto? Sito mato?» rimbom-bato nel silenzio grazie all’impianto di amplificazione, mi viene ricordato ancor oggi. Dopo trent’anni. Dunque, pronto a seguire i gesti par-tecipativi dell’ami-co. Solo per non fare la figura dello sprovveduto, tanto per dire una cosa carina. Infatti, chi sareb-be mai così scemo da andare a vedere una partita di calcio in tribuna e non capirci un’acca di falli, punizioni e rigori? Co-munque, per me continua il mi-stero di quella strana cosa che viene chiamata “fuori gioco”…

Accediamo alla tribuna, accol-ti da hostess molto graziose. Ci offrono un caffè e pezzi di cioc-colato pasquale, e poi ci acco-modiamo nelle poltroncine nu-merate. La prima impressione è che, se allungo le braccia, posso arrivare a toccare i giocatori. Magari a rilanciare in campo il pallone, dopo un fallo laterale (visto come imparo in fretta?). Intorno a noi non vedo poliziot-ti in tenuta anti-sommossa, con

scudo e casco. No, nemmeno a bordo campo, dove invece sono accoccolati una mezza dozzi-na di ragazzini, che mangiano cioccolato. Il clima è quello del Déjeuner sur l’herbe di Édouard Manet. Ma non fraintendetemi. Sono tutti vestitissimi con divise da piccoli calciatori, tutti tran-quilli e sereni, proprio come i due giovani uomini raffigurati nel dipinto.

Fischio d’inizio. Mi sorprendo a notare una cosa che non mi sarei mai aspettato.Sono arrivate, a gruppi di due o tre, almeno una quindicina di ragazze, tra i venti e i trent’an-ni. Non sembrano veline in cer-ca di calciatori. E allora? Come si possono fidare a frequentare

da sole un luogo così pe-ricoloso? Forse, con lo stesso spirito con il qua-le alcune giovani mam-me sono venute allo stadio con i loro bimbi. Età, dai due ai cinque anni. Giocano tranquil-li davanti alla prima fila di poltroncine, di quei ventidue tizi in mutan-de che si disputano una palla non gliene potreb-be importare di meno.

Giocano beati, questi bambini. Ma soprattutto educati, senza urlare, che nel silenzio della tribuna li avrei sentiti. Silenzio, ho detto? Sì, un garbatissimo e sommesso silenzio, interrotto da qualche commento su que-sta o quella azione. Una genti-lissima signora, seduta alla mia destra, mi spiega che un fallo di mano giudicato involontario dall’arbitro non viene fischiato, e l’azione prosegue.

Mai messo piede in uno stadio, ioL’autore ha deciso di non scrivere l’occhiello. Ci scusiamo per il disagio

La squadra di casa subisce da parte degli ospiti un gioco du-rissimo. A terra ci sono sempre giocatori con la maglia giallo-blu. Il pubblico protesta, conte-sta l’arbitro che forse ha scorda-to a casa gli occhiali. Nessuno – ma proprio nessuno, eh! – si azzarda a ipotizzare come tra-scorra il proprio tempo libero la gentile moglie del direttore di gara. Quando un difensore

ospite – sempre il medesimo – falcia per l’ennesima volta e in modo incredi-bilmente plateale il capitano del Chievo, bandiera e idolo del pubblico, si raggiun-ge la cuspide della contestazione della tribuna: un corpu-lento signore, seduto proprio davanti a

me, si alza e dice qualcosa come “me ne vado, queste cose non le posso sopportare” prendendo la via dell’uscita. È una finta, dopo pochi minuti, al primo goal di un attaccante clivense, me lo rivedo davanti, che alza le brac-cia al cielo. Quasi in silenzio. Ma dov’è finito quello “stadio che esplode in un boato di gio-ia” che piaceva tanto a Niccolò Carosio? Sì, qui si abbracciano e si complimentano l’un l’altro, qualcuno lancia un grido di gioia. Uno! Ma davanti alle pol-troncine i bambini continuano a giocare sereni, come se nien-te fosse successo e, soprattutto, niente potesse succedere. Ecco il secondo goal segnato dal Chie-vo. Sembra sia stato un capola-voro calcistico, dicono che ne vedi non più di un paio in una vita da spettatore. Ho avuto an-che questo extra, niente male!Arriva il fischio di fine partita, e tutti usciamo senza problemi. In un paio di minuti ci sediamo in auto, e, in altri dieci, siamo a casa. Dopo un pomeriggio di assoluta tranquillità e relax, come proprio non avrei mai cre-duto. Mi rimane solo un proble-ma: qualcuno mi può spiegare la storia del “fuori gioco”, per favore?

Lisbona entra nel cuore. È uno stato dell’anima, una città ma-linconica che mostra i segni di un glorioso passato ormai svanito. Fernando Pessoa, no-stalgico poeta e scrittore Por-toghese, scriveva: «Non ci sono per me fiori che siano al pari del cromatismo di Lisbona sotto il sole».

I suoi colori incantano e colpi-scono. Chiamata dagli artisti la città della luce, rappresenta un mosaico di toni dal fiume, alle case agli azulejos che ricoprono per intero alcuni edifici. Gioia e saudude che si fondono nei quartieri dagli stili più diversi.Passeggiando per le stradine dell’Alfama e del Bairro Alto, raramente si colgono parole italiane visto che i turisti sono pochi. Dopo il boom degli anni Novanta Lisbona resta una meta un po’ snobbata, soprat-tutto perché poco servita dalle compagnie Low Cost. Invece, si possono trovare mol-tissimi studenti del progetto Erasmus provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa, che durante il weekend affollano le strade del Barrio Alto, ric-che di locali e il chioschetto al Miradouro de Santa Caterina. Lisbona rappresenta un po’ la “moda”, la meta preferita negli ultimi anni per lo studio all’este-ro. Non è difficile intuire il mo-tivo che spinge questi ragazzi nella capitale Lusitana. Oltre al

clima, e all’atmosfera che si re-spira, è proprio il modo di fare della popolazione che colpisce, sempre cordiali e allegri non disdegnano scambiare qualche parola. Lo stesso atteggiamento lo si riscontra facilmente con i turisti, la richiesta di un’infor-mazione si può trasformare in una vera e propria chiacchie-

rata, anche se non si conosce il Portoghese.Il clima che si respira è ri-lassato e allegro, gli abitanti di Lisbona infatti odiano la fretta, preferendo un modo di vivere più disteso e festa-iolo. Questo sicuramente contribuisce a rendere ma-gica l’aria di questa città. Il sole che tramonta sul Tejo fa da sfondo a momenti di vita quotidiana, che portano un po’ di malinconia per coloro che hanno già finito gli studi, e guardano con nostalgia gli anni passati. Un mix di lin-gue diverse e storie che s’in-trecciano per pochi mesi. Ma qual è la reale motiva-zione che spinge tutti questi ragazzi a scegliere Lisbona come meta per i loro studi? La città? La cultura di un paese così simile al nostro eppure così profondamente diverso?Alcuni la conoscono già, altri la scelgono come scommessa, e altri ancora perché non sanno bene cosa aspettarsi. La cosa certa è che tutti al temine di

questa esperienza diranno che Lisbona entra nel nell’anima, e conserveranno sempre con loro i colori e i profumi di que-sta particolare città. In pochi pensano che un semplice fiume possa riempirgli il cuore, e che questa piccola capitale possa diventare parte di loro. È pura magia che rapisce. I vecchi ne-gozietti tipici dell’Alfama, gli odori, la gente sempre sorriden-te, il Tejo onnipresente che si nasconde e poi ricompare cre-ando un’atmosfera da sogno.Pezzetti di vita raccontati di-rettamente da chi vive in quella quotidianità, che permettono di capire e assaporare al mas-simo la città. Aneddoti di ra-gazzi che per una piccola pa-rentesi della loro vita hanno deciso di lasciare il loro paese per immergersi in una cultura diversa. Facendo un giro per le stra-de si può facilmente intuire il motivo che ha spinto tutti que-sti studenti a scegliere proprio questa città per il loro erasmus. I luoghi suggestivi di certo non

mancano, e infondo Lisbona è da gustare e assaporare, con i suoi colori contrastanti, i suoi vicoletti intricati e i Miradouro sparsi nei vari quartieri. Indi-scutibilmente bisogna perdersi per le vie dell’Alfama, che ser-ba come uno scrigno prezioso

i tempi della città, le sue tra-dizioni, la sua origine. Sedersi su una banchina del porto e la-sciarsi incantare dai riflessi del sole sull’acqua, e provare quel senso di nostalgia e saudade proprio di Lisbona. Affacciarsi dalla torre di Bélem, sapendo che questo era il punto di par-tenza simbolico dal quale navi-gatori ed esploratori partivano, l’ultimo scorcio della loro terra che vedevano prima dell’igno-to. Attraversare piccoli paesini e verdi colline fino a giungere all’oceano per vedere la fine del vecchio continente, Cabo de Roca. È qui il vasto oceano che i Lusitani hanno solcato per secoli, è qui al capilinea del continente, dove il “qui” e “l’al-trove” si confondono, che si può provare quel senso di libertà e meraviglia impregna questa piccola nazione.Il Portogallo e la sua capita-le sono così, intrisi di mistero, nostalgia e voglia di vivere. Per scoprire i lati più meravigliosi non bisogna seguire una map-pa, ma lasciarsi guidare dall’in-

tuito uscendo fuori dagli schemi turistici. Solo arrampicandosi a piedi per gli stretti vicoletti in pendenza di Lisbona si può ca-pire la vera essenza della città e delle persone che la abitano ed entrare in contatto con i vari aspetti della vita quotidiana.

di Anna Chiara Bozza

Houston, abbiamo un problema

Gli universitari scelgono LisbonaLa città, con il suo mosaico di colori, etnie e stili diversi è la nuova “moda” per l’Erasmus

Maggio 2011 17Viaggi

Colori e panorami di una capitale imperdibile e indimenticabile

Houston, abbiamo un problemadi Alice Perini

Vivacittà: Glasgow, un arcobaleno di culturaQuando il “Risorgimento” non è più cosa nostra: ecco la lungimiranza scozzese

Ai tempi della Regina Vitto-ria, Glaschu era la seconda città dell’Impero Britannico: mag-giore porto commerciale di tut-ta la Scozia affacciato sulla riva sinistra del fiume Clyde; sede del più importante cantiere navale al mondo, entrato nella storia per aver varato nel 1936 il rivo-luzionario transatlantico Queen Mary. Polo industriale, con le sue ordinarie conseguenze di città grigia e desolante, scan-dito dai ritmi delle fabbriche e, ancora più disgraziatamente, perseguitato dall’inclemente tempo atmosferico, che riserva a questo spicchio di Scozia mol-te giornate malinconiche. Eppure, dopo l’intramontabile

Londra e la misteriosa Edim-burgo, Glasgow è una delle mete più visitate del Regno Unito. Difficile immaginare frotte di turisti desiderosi di ammirare solo l’architettura in-dustriale scozzese… Merito del whisky? Forse. Indubbiamen-te, merito di un ripensamento lungimirante, di un ridisegno divenuto indispensabile a causa di quella malasorte che colpisce gran parte dei centri industria-li: il declino, l’abbandono, il degrado, a cui va aggiunto un elevatissimo tasso di disoccupa-zione. Una questione di vita o

di morte per la città (e per chi la abita). Ed ecco allora che Glasgow, già dagli anni ’80, è stata in-quadrata in un piano di ri-assetto territoriale impostato sull’integrazione di cultura e imprese interessate al turismo, con l’obiettivo di liberarsi, una volta per tutte, da quel pesante strato di vapori industriali che l’hanno avvolta e imprigionata

per decenni. Rivalutare il cen-tro urbano, inventare un’offerta culturale attraente e in armo-nia con ciò che questa città può offrire, con il risultato che Gla-sgow, dal 1990, figura nell’elen-co delle “Città europee della cultura”, e dal 2008 è Città del-la Musica UNESCO. La perspicacia scozzese è tale da essere considerata un model-lo: il successo di questa “strate-gia di risurrezione” approda a Manchester, dove all’inizio degli anni ’90, grazie all’amal-gamarsi di cultura e turismo, “spuntano” all’incirca 22 mila

nuovi posti di lavoro. E poi Toronto, Boston, Baltimora, tutte realtà in cui diverse zone urbane degradate sono state rigenerate grazie all’arte, al te-atro, alla musica e alla danza. Come in Italia non succede. E non succederà. Stazioni ferroviarie, magazzi-ni portuali, edifici industriali riconvertiti e trasformati in contenitori di eventi ed esposi-zioni per residenti e viaggiatori. Apertura di nuove gallerie, or-ganizzazione di festival annuali di musica jazz e folk, di teatro da strada, spazi espositivi per scultori, pittori, designer e ar-tigiani specializzati. Ne è un esempio il Riverside Museum, la cui inaugurazione è prevista per il prossimo 21 giugno. Pro-gettato da Zaha Hadid, il nuo-vo punto di riferimento per la città (stime parlano di 1 milione di visitatori attesi ogni anno) è collocato nel punto in cui si incontrano i fiumi Clyde e Kel-vin, nel distretto portuale, una delle aree oggetto di recenti interventi di rinnovamento ur-bano. In sintonia con il glorioso passato navale di Glasgow, il museo ospiterà una collezione di oltre 3 mila oggetti apparte-nenti al patrimonio marittimo della città. Per chi desidera approfondire la storia della gente e della metro-poli scozzese, il People’s Palace, immerso nel Glasgow Green, il più antico spazio pubblico della città, è una meta doverosa, ide-ale per ripercorrere, dal 1750 a oggi, la quotidianità di questo paese attraverso dipinti, stam-pe, fotografie e filmati. Non di-

menticate di ammirare, proprio davanti al museo, la fontana Doulton, la più grande fontana di terracotta del mondo. Nonostante la lista dei musei, delle chiese e dei palazzi da vi-sitare sia ancora lunga, preferi-sco, per questa volta, “annoiar-vi” presentandovi alcuni degli eventi che animeranno la città nei prossimi mesi, solo per darvi un’idea di cosa possa significare “vivere di cultura”. Dal 3 al 26 giugno il West End Festival, il carnevale del solstizio d’esta-te, rianima in stile bohémien il quartiere ovest; dopo soli tre giorni di pausa, il 29 giugno si riparte con il Glasgow Interna-tional Jazz Festival. Per chi è ancora scettico e du-bita che questa metropoli non abbia nulla di interessante da offrire, consiglio il Festival della Merchant City, nel mese di lu-glio, in cui si celebra la bellezza e la ricchezza culturale dell’an-tico quartiere commerciale attraverso rappresentazioni te-atrali e musicali. Qualora pre-feriate il suono della cornamusa a quello “ jazz” del sassofono, il Piping Live di agosto potrebbe piacervi molto. Con l’autunno alle porte, il Whisky Live di settembre è l’oc-casione giusta non solo per chi è un appassionato ma anche per i “novellini”, che sotto la guida di nasi esperti potranno imparare a riconoscere i migliori whisky scozzesi. Mi fermo qui, avver-tendovi che questo elenco è solo parziale.Prima di concludere, vorrei condividere con voi un pensie-ro. È appagante sapere quale

La civiltà è uno movimento, non una condizione;

un viaggio, e non un porto

Arnold Joseph Toynbee

Maggio 201118 Viaggi

Il People’s Palace con davanti la Doulton Fountain

Museum of Transport (Copyright Gareth Hoskins Architects)

fetta di patrimonio artistico racchiudono i confini italiani. È frustante, invece, rendersi conto (e purtroppo non tutti ne sono capaci) di quanta muffa stia cre-scendo su quella fetta, proprio sulla nostra fetta italiana d.o.p. Una muffa alla quale, proprio qui nel nostro Paese, si lascia lo spazio, il tempo e gli strumen-ti per proliferare. Desolante. E ancora più sconfortante, se non disgustoso, è sapere l’inesorabi-le destino cui va incontro quella fetta: un viaggio nella pattumie-ra.

Quanta/quale cultura rimarrà all’Italia? Il 20 % di quello di cui il nostro Stivale disponeva nel 2009? A questo punto, non mi resta che proporvi una visita alla Glasgow Necropolis, il cimite-ro-giardino vittoriano adiacen-te alla Cattedrale di San Mun-go, il patrono della città. Adibi-to per quasi due secoli a parco pubblico, l’area occupata dalla necropoli è la seconda più va-sta superficie verde della città, studiata da botanici e biologi per la ricchezza dei suoi habitat

naturali e delle specie animali che vi dimorano. Per quanto affascinante possa essere, ri-mane pur sempre un cimitero, una distesa di tombe, lapidi e mausolei. Eppure, la presenta-zione on-line della Necropoli è talmente accattivante e (ahimè!) invitante, che non esiste né re-ticenza né riluttanza che tenga. The friends of Glasgow Necropolis: la creatività indispensabile per

Houston, abbiamo un problema

saper offrire al turista anche un cimitero. Che sia venuto il momento di imitare (o scimmiottare, nello Stivale non fa differenza) qual-che strategia comunicativa/persuasiva dagli Scozzesi? Po-trebbe tornarci utile: personal-mente, non saprei da dove par-tire per convincere qualcuno a conoscere i nostri tesori. Affon-dati in una pattumiera.

Maggio 2011 19Viaggi

appleproducts.tkApple Products è un gruppo di persone che condividono la passione per i prodotti Apple.

Per una totale accessibilità al sito è necessaria l’iscrizione gratuita al forum.

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potrete trovare guide, aiuti e

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Glasgow Science Centre (Copyright Keith Hunter)

C’è chi ha le spalle ben coper-te e sopravvivrà. C’è chi ha la coperta troppo corta e si arren-derà. C’è chi si accontenta del-le briciole di questa cultura in frantumi e si ingegnerà nell’av-vilente richiesta di elemosina a destra e a manca. A, B o C? In casi come questi, quando la legge sembra davve-ro essere uguale per tutti, per-correre una strada piuttosto che un’altra può dipendere soprat-tutto dalla capacità di essere autonomi, indipendenti. Eco-nomicamente s’intende. Perché

chi in questi anni ha lavorato con l’obiettivo di affrancarsi dal contributo pubblico, fiutando forse che prima o poi la man-naia sarebbe piombata anche sulla cultura, ha una possibilità in più di emergere dalla fossa. È pur vero, d’altro canto, che per associazioni culturali, com-pagnie teatrali e festival di ogni genere è piuttosto complicato rimanere in vita contando solo sulle proprie forze. Cavarsela da soli può essere una questione di meriti, una miscela di esperienza e sana furbizia. Contare sull’appoggio degli altri, in questo caso delle istituzioni, non è un reato. O almeno non lo è mai stato (per il futuro non ho garanzie suffi-cienti). In ogni caso, prima di

di Alice Perini

Giro giro tondo, io giro intorno al mondo

Si tagli chi può. Scampoli di civiltàQuali soluzioni per salvare la letteratura a Mantova? Hay-on-Wye può aiutare...

Di tutto conosciamo il prezzo,di niente il valore

Friedrich Nietzsche

includere nella lista degli illeciti il “confidare nell’elargizione di qualsiasi genere di contributo a soggetti legati al perverso mon-do della cultura”, assisteremo

a un passaggio chiave: la rifor-ma della Costituzione, quella vecchia carta di cui parlano a volte degli anziani signori (non pensionati) riuniti in due gran-di camere…Adesso sì che è giunta l’ora di innovare! Quell’articolo 9 è or-mai decrepito: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica». Suggerisco una modifica: «La Repubblica pro svi cul ric». Non è russo: è solo il 20% di quello che credevamo essere un prin-cipio fondamentale scritto sulla famosa Carta.E di non sola carta (stampa-ta) vive il Festivaletteratura di Mantova, esempio tra miglia-ia scelto da chi scrive per una semplice ragione di “radici”.

Festival a cui ho partecipato e parteciperò ancora, pur non es-sendo una “fanatica”: del resto gli organizzatori della rassegna confermano che la quindicesi-

ma edizione si terrà, nonostan-te il contributo del Comune sia stato dimezzato. Merito dell’in-consapevole lungimiranza de-gli otto pionieri del Festival, i quali, fin dal 1997, anno del de-butto, cercarono di recuperare le risorse necessarie alla realiz-zazione della manifestazione tramite la vendita dei biglietti, il contributo di fondazioni ban-carie, di istituti culturali e di numerosi sponsor. Un evento dalle spalle larghe, fortunata-mente per Mantova, dove gra-zie alla letteratura si nutrono le menti e sazia-no i portafogli. Perché è soprat-tutto grazie a quest’idea cul-turale se la città ha conosciuto una dimensione internazionale, beneficiando del prestigio che ne consegue. Qual-cuno sostiene che “la cultura non si mangia”, d i ment ic a ndo che c’è sempre una discreta fetta di lavoratori che mangia proprio grazie alla cultura. A questo punto, non resta che scommettere (cosa a cui la classe politica cittadina ha già provveduto): tenere alta l’at-

tività culturale con meno sol-di, quasi come far correre un maratoneta sull’asfalto, senza scarpe, per 100 Km. Meglio dunque seguire le orme di un buon maestro per vincere la sfida: il “guru” del settore è Richard Booth, proprietario del più grande negozio di libri usati di tutta Europa in quel di Hay-on-Wye, un villaggio del Galles affacciato sul fiume Wye. Nemmeno 2000 abitanti alle prese con una dura prova, quella di rilanciare, attraverso i libri, lo sviluppo turistico del paese. Un’avventura iniziata 50 anni fa, nel 1961, quando il signor Booth aprì, nel vecchio edificio dei vigili del fuoco, il suo primo negozio di libri usa-ti. In realtà, prevedendo che la sola letteratura non poteva esercitare un’attrazione irresi-stibile, Booth escogitò un’abile mossa pubblicitaria, procla-mando Hay-on-Wye principa-to autonomo e dichiarando se stesso re del nuovo stato. Era il primo aprile 1977. Non sono uno scherzo, invece, le 85.000 presenze di “Hay Festival”, la manifestazione (ovviamente letteraria) nata nel 1988 e pa-trocinata dal quotidiano inglese “The Guardian”. Conoscendo il contesto del nostro Paese, non dev’essere

difficile rimediare qualche re, disponibile non solo il primo aprile, che si prenda la briga di inscenare una burla. In alter-nativa, chi desidera può volare a Hay-on-Way. Ci sono già i li-bri…

Maggio 201120 Viaggi

Qui sopra e sotto due momenti del Festivaletteratura a Mantova

Insegne caratteristiche nella cittadina inglese

Amici miei

Orri-bile: l’agonia degli Orsi della LunaTra Cina, Vietnam e Corea: dove umanità e cultura sprofondano nell’Inferno

di Alice Perini

È un chiaro esempio di saggez-za orientale, di antica sapienza popolare custodita in pillole. Più problematico, invece, è indivi-

duare i soggetti che, spremendo per bene queste elementari sen-tenze morali, possono trarne un concreto vantaggio. Colpire se stessi prima di dare dolore agli altri. Tutto somma-to, siamo più o meno d’accordo, soprattutto a parole, perché è solo grazie alle parole se qual-che volta riusciamo a pensarci (e a mostrarci) come dei santi. Questi “altri”, chi sono? Al momento non posso assicu-rarvi che le massime cinesi ab-biano già colonizzato anche la Luna: personalmente, spero di no, e posso garantirvi (ora sì, ne sono certa) che questa mia speranza è condivisa almeno da loro, dagli Orsi della Luna, i quali si domandano per quale terribile motivo, invece di esse-re solo “della Luna”, non sono anche “sulla Luna”, sufficien-temente lontani dalle disgrazie della Terra. Si consultano a vicenda gli orsi, ma nessuno di loro è ancora riuscito nell’im-presa: comprendere perché in un certo Paese, detto Italia, si taglia alla cultura, quella “civi-le” e “umana” e in altri, dove davvero ci sarebbe bisogno di un taglio deciso, netto e veloce,

non si trovano le forbici. Cina, Vietnam, Corea: qui ha inizio la piccolezza dell’uomo. Dove l’umanità sprofonda? A Taiwan, Australia, Indonesia, Malesia, Singapore, Stati Uniti, Canada e in altri Paesi caratte-rizzati da una significativa pre-senza di popolazioni asiatiche.

Paesi produttori e consumatori a confronto. Venditori e acqui-renti di bile di orso, una sostan-za terapeutica dalle proprietà antinfiammatorie molto apprez-zata dalla medicina tradiziona-le cinese e vietnamita. Il liquido prodotto dalla cistifellea, con-tenente acido ursodeoxycholic (UDCA), è classificato come rimedio “amaro-rinfrescante”, utile per espellere le tossine e il calore corporeo e per il trat-tamento dei disturbi di fegato. Ah! Dimenticavo. Sembra si tratti di un metodo valido anche per migliorare le vista, anche se ammetto di essere piuttosto scettica su quest’ultimo punto: se la pozione magica curasse

veramente gli occhi, credo che questa schifezza umana a dan-no degli orsi non dovrebbe più esistere, perché chiunque vorrà documentarsi non vedrà altro che oscenità. Per prima cosa, sappiate che le “fattorie della bile” (“Bear far-ming”), diffuse a partire dagli anni ‘80, sono legali in Cina: la licenza è rilasciata direttamente dal Governo. Purtroppo, questa fattoria non ha nulla a che vede-re con quella di zio Tobia. Una distesa di gabbie nelle quali è rinchiuso l’imponente corpo de-gli orsi, una prigionia che dura decenni, una vita intera, sem-pre che vogliate chiamare vita il trascorrere anni racchiusi in un’armatura di ferro talmente piccola da impedire qualsiasi movimento. Disgraziatamen-te, gli orsi della Luna “vivono” molto a lungo: 25-30 anni allo stato brado, anche 35 in catti-vità. 35 anni di torture terribi-li, di disperazione e dolore. Un supplizio che li rende pazzi, de-formi e nani, perché quelle bare in cui sono rinchiusi fin da cuc-cioli sono così piccole che questi animali non hanno nemmeno lo spazio sufficiente per crescere. Il cervello umano, che si dice si sia evoluto nel corso dei millen-ni, ha messo a punto una stra-ordinaria varietà di pratiche per l’estrazione della bile, passando da tecniche più rudimentali a metodi altrettanto grezzi e do-lorosi, con il risultato che gli orsi sono sempre alla disperata ricerca di un sistema per suici-darsi, o sbattendo la testa contro le sbarre, o addentando i ferri della gabbia fino a farsi saltare

tutti i denti. Dal “metal jacket”, una petto-rina metallica del peso di circa 10 chili attraverso cui viene im-piantato permanentemente una cannula nell’addome dell’ani-male per l’estrazione del liquido, ai cateteri di lattice, tecnica ar-caica non molto efficace a causa dei granellini di bile e altro ma-teriale estraneo che ostruiscono il condotto. Dal “moderno” ed efficiente catetere di metallo, lungo dai 12 ai 18 cm e collo-cato chirurgicamente nella ci-stifellea, all’ultima innovazione del “Free dripping”, metodolo-gia che prevede un buco perma-nente inciso nell’addome e nella cistifellea, dalla quale sgocciola la bile.

Colpisci te stesso prima, per capire il dolore che daresti

Proverbio cinese

Maggio 2011 21Animali

Due immagini emblematiche: sopra, in gabbia e a lato, libero nel suo habitat

Le didascalie di queste due immagini

Questo supplizio ininterrotto subisce un’impennata almeno due volte al giorno, generalmen-te prima dei pasti, quando la densità e la viscosità del liquido sono maggiori: una sorte che ac-comuna all’incirca 10 mila orsi, ciascuno dei quali è seviziato per 10-15 ml di bile a ogni estra-zione. Tutto questo per ottenere, in un anno e da un solo animale, 2 chili di estratto secco di bile in polvere. Chissà come deve essere avvi-lente curare se stessi sapendo ciò che accade dietro le quinte. Guarire condannando altri es-seri viventi ad anni di inferno, anni di un’agonia lenta e, pur-troppo, mai risolutiva fino in fondo. E le alternative alla bile esistono, un altro motivo sia per provare ancora più sdegno che per inter-rompere questa pratica incivile. Un resoconto redatto dall’As-sociazione Cinese di Medicina, Filosofia e Ambiente è giunta a una conclusione molto incorag-giante: infatti, esisterebbero al-meno 54 soluzioni erboristiche (molto più economiche ed effi-

cienti) cui ricorrere, tra le quali gli steli d’edera, il tarassaco, il crisantemo, la salvia, il rabar-baro. Ragionare di altre culture, di credenze e usanze diverse è un privilegio, perché ciò presup-

pone la capacità, il diritto, il tempo di volgere lo sguardo al-trove. Ogni volta che si riflette su temi culturali, ciascuno di noi dovrebbe sforzarsi di chia-mare a raccolta tutta la delica-tezza e sensibilità di cui è capa-ce, perché basta davvero poco

per essere accusati di umiliare “l’altro”. Anche in questo caso, si è parlato di un’attività legata alla tradizione, in particolare a quella medica; una prassi che non ho esitato a definire ag-ghiacciante, anche se in realtà

gli uomini sono molto più abili a escogitare nefandezze piutto-sto che a inventare le parole per descriverle. Se per tremila anni si è fatto ri-corso alla bile, non vedo perché si debba continuare su questa strada, un sentiero che puzza

di inciviltà piuttosto che di sag-gezza. Del resto, non mi sembra ci sia nulla di che vantarsi se a partire dagli anni ‘80, grazie a una procedura sviluppata dagli scienziati della Corea del Nord, la bile viene prelevata diretta-mente dagli orsi “vivi” piuttosto che da quelli morti, com’era ac-caduto per millenni. E non cre-do sia sinonimo di vera umanità schierarsi contro l’uso di tale sostanza solo perché si è scoper-to la sua elevata tossicità per la salute dei discendenti d’Adamo: patologie al fegato, ai reni, itte-rizia, disidratazione e intossica-zione letale. Non è certo colpa dell’orso se i cateteri che gli vengono con-ficcati in pancia sono sporchi e causano infezioni talvolta mor-tali, o se la bile è contaminata con pus, sangue e feci. Non è colpa di nessuno se la Terra di-sta così tanto dalla Luna, trop-po per pensare di progettare un ponte sullo stretto della Via Lat-tea. Ma è solo colpa dell’uomo se quella luna disegnata sugli orsi non può essere libera di guarda-re all’insù. Verso la Luna.

di Alice Perini

Amici miei

Maggio 201122 Animali

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Quando il gioco si fa duro

I record di Mou, vecchi e nuoviLa perduta imbattibilità casalinga in campionato? Stimolo per altri traguardi

di Daniele Adami

ne, verso uno 0 a 0 che portava con sé un gusto amaro, soprat-tutto per il Real. Perché la rin-corsa al Barcellona primo in classifica, con un simile risulta-to, avrebbe subìto una ulteriore

battuta d’arresto, magari de-cisiva. Ecco che la formazione di casa si spinge in avanti, per tentare di agguantare quei tre punti ancora in-trisi di speranza. Ma la beffa giun-ge all’improvviso, e fa male. Il gol di De Las Cuevas significa tornare negli spogliatoi a mani vuote. Per i calciatori del Ma-drid. E per José? Anche, ma c’è di più. Oltre a vede-re incrementata la distanza dalla capolista (che ha battuto il Villa-real), il tecnico

osserva mestamente svanire la sua personale imbattibilità ca-salinga in campionato. Durava dal 23 febbraio del 2002. Si tro-vava, allora, sulla panchina del Porto, ed era stato sconfitto dal

Beira Mar. Da quel momento in poi, o pareggi (25) o vittorie (125). Risultati con-quistati nella sua ter-ra natale, in Inghil-terra (col Chelsea), in Italia (con l’Inter) e in Spagna. Un cam-mino assai lungo e difficile, costruito un punto alla volta.Un percorso, certo, che qualcuno imma-ginava sarebbe fini-to. Anche lo stesso Mourinho, chissà, se

lo aspettava. Però, e di questo ne siamo convinti, il pensiero del record caduto sarà rimasto poco tempo nella sua mente.

Infatti, ne è nato subito un al-tro. Anzi, due. Primo allena-tore ad aver condotto quattro diverse squadre alle semifinali di Champions League. E primo allenatore ad aver vinto la cop-pa nazionale (non lo scudetto) con queste stesse formazioni. È del 20 aprile la notizia della vit-toria per 1 a 0 in finale contro il “nemico” Barcellona.Pertanto, dal “nuovo mago” ci si può attendere qualsiasi cosa. Abbiamo visto decine di conferenze stampa con tempe-rature piuttosto alte, abbiamo colto svariate parole pesanti nei confronti di giocatori, arbitri e allenatori rivali. Risposte sec-che, taglienti, raramente fuori luogo. Alcune temporanee per-dite di stile, senza dubbio. Ma una cosa è sicura: Mourinho e quella strana parola chiamata noia hanno viaggiato e tuttora viaggiano su binari paralleli. Si incontreranno, un giorno?

Un vincente non è mai stanco di vincere e io non voglio

perdere mai

José Mourinho

Maggio 2011 23Sport

Leo Messi in azione e in alto un sorridente Mourinho

Mourinho e De Las Cuevas. Il primo, allenatore e stratega del Real Madrid. Conosciuto, amato, “temuto”, in Italia. E non solo. Il secondo, giocatore dello Sporting Gijon. Quest’ul-timo, probabilmente, solo a partita finita si è reso conto che la sua rete ha posto fine a un record, a un’era, seppur breve, che durava da più di nove anni. Un gol segnato al minuto 79 della gara, al maestoso stadio Santiago Bernabeu. Proprio qui, dove, oramai un anno fa, il “nuovo mago” portoghese aveva portato l’Inter sul tetto d’Europa, nella storica notte di Champions League contro il Bayern di Monaco.La sfida fra le due squadre spa-gnole stava volgendo al termi-

è on-line il nuovo sito di Verona èwww.quintaparete.it

L’elogio del folle sport, nella culturaI volti dell’odierno homo ludens: tra passi falsi e vere speranze

di Daniele Adami

Quando il gioco si fa duro

Sport e cultura. Due parole che vanno d’accordo o che si contrastano? Difficile da dire. Spesso, secondo l’opinione di chi scrive, prevale il secondo aspetto. Un’attività, quella ago-nistica, che, in base a questo punto di vista, rientra (o me-glio, deve rientrare) in una ca-tegoria di basso livello all’inter-no della struttura sociale in cui viviamo. Lo sport, insomma, verrebbe trattato e considerato come un qualcosa di serie b. E, proseguendo su tale terreno di riflessione, ammetterebbe, tra le sue fila, unicamente giudizi di serie b. Perché valutazioni e pareri di altra e diversa na-tura non sarebbero possibi-li. Oppure, perché nuove e pertinenti idee non voglio-no fuoriuscire dai cervelli e dalle corde vocali di chi si occupa dei fenomeni del-la società. Non c’è il tempo per soffermarsi su simili questioni. Meglio utilizzarlo per fare dell’altro.Ma non si deve e non si può liquidare l’argomento sport con poche e superficiali pa-role. Bisogna indagare sui motivi e le ragioni per cui se ne parla in un certo modo.

Bisogna, per prima cosa (ed è, probabilmente, lo sforzo più difficile), capire se tale settore e categoria umana rientra nei meandri della cultura. E per-ché. La risposta a tale implicita questione, per l’autore di queste righe, non può che essere posi-tiva. Lo sport è stato, e lo è tut-tora, una parte molto impor-tante della cultura. Precisiamo subito una cosa: i concetti che troverete d’ora in avanti non sono riflessioni spinte dal cuo-re di uno sportivo, ma dal suo cervello. Si desidera mettere da parte l’emotività per lasciare il posto alla razionalità.Partiamo da lontano. In ori-gine il gioco (il ludus di Johan Huizinga) era decisamente irrazionale. Nessuna regola o norma, nessuna limitazione spaz io - tem-porale. Uo-m i n i

che praticano una attività sle-gata dalla vita ordinaria, senza il timore di essere giudicati o derisi. Azioni che si avvicinano alla natura del comportamento animale. Al giocare e ruzzare dei cuccioli. Questi gesti, però, non rimangono ancorati alla pura funzione biologica. Han-no in sé “germi di cultura”. Ecco le prime parole di Homo Ludens: “Il gioco è più antico della cultura, perché il concet-to di cultura, per quanto pos-sa essere definito insufficien-temente, presuppone in ogni modo convivenza umana, e gli animali non hanno aspettato che gli uomini insegnassero loro a giocare”.Cosa ci suggeriscono queste frasi? Il semplice ludus insegna qualcosa. Huizinga, pur affer-

mando che il fine primo del gioco è il gioco stesso (inteso come gioia e divertimento) non può fare a meno di notare che per gli animali tali movimen-ti sono indirizzati all’appren-dimento di norme necessarie alla sopravvivenza. Troviamo, insomma, un profondo signifi-cato, che va decisamente oltre il piacere di compiere un eser-cizio dilettevole. E così accade anche per la specie umana. L’i-niziale irrazionalità è incalzata e superata dalla voglia di creare un ordine, all’interno del quale ogni individuo è in grado di muoversi secondo precise rego-le e limitazioni, poiché solo così le azioni divengono legittime e giustificate.Risiede proprio qui il passaggio “alla cultura”. Uno sport orga-nizzato in questo modo permet-te, a chi lo pratica, di mettere in atto un insieme complesso di comportamenti ritenuti corretti e adeguati per quel luogo e quel momento. L’ordine costituito dal lavoro e dalle idee degli uo-mini è in grado di assorbirne anche le violazioni, in quanto vi sono svariate sanzioni volte al mantenimento dello sche-ma creato. Il gioco e lo sport divengono teatri ove a do-minare sono i valori della lealtà, del rispetto e della serietà. Valori che devono (o dovrebbero?) esistere anche oggi, in rappor-to alle altre branche che compongono il tessuto sociale.Parodie: la cultura dalle casse vuote e lo sport ricco di soldi

Maggio 201124 Sport

Resta intanto il fatto che nel gioco abbiamo a che fare con una funzione degli esseri vivi, la quale non si lascia determi-nare appieno né biologicamen-te né logicamente o eticamente

Johan Huizinga

Quando il gioco si fa duro

Maggio 2011 25Sport

Ma volgiamo lo sguardo altro-ve. Il settore cultura, nel nostro paese, è destinato ad affronta-re difficili situazioni. Tagli alle risorse e scarsi finanziamenti vanno a scontrarsi con l’im-menso patrimonio di bellezze storiche e naturali. Che sono da preservare e tutelare.E l’attività sportiva, che ab-biamo detto far parte della cultura, come reagisce e come si comporta in un simile mo-mento? La risposta a queste do-mande prende necessariamente due direzioni. Da un punto di vista esclusivamente economico lo sport (quello professionistico, si badi bene) non accusa segni di cedimento. Le società, alcu-ne delle quali quotate in borsa, offrono stipendi milionari, sia a giocatori che ad allenatori. Pre-

stazioni atletiche retribuite con migliaia di euro al giorno, che variano a seconda della profon-dità delle tasche di presidenti e sponsor. E dei media, che ac-quistano i diritti delle gare in esclusiva. Pertanto, se la crisi è sotto gli occhi di tutti, questo tipo di sport non la vede. Con-tro tale esuberanza economica l’organismo internazionale del-la Uefa (che disciplina l’intero calcio europeo) sta portando avanti un arduo compito. O meglio, una sorta di missione: il fair play finanziario. In poche parole, le spese non dovranno superare i ricavi. Se ciò non av-verrà, vi potrebbero essere pe-santi sanzioni per le società. Un segnale, questo, che conduce alla seconda parte della nostra risposta.

I fiumi di denaro che invado-no lo sport professionistico in-dicano una forte crisi morale. La cultura che sovrasta l’intera struttura non può non nota-re una ripida e rapida discesa verso il basso del valore della serietà. Un sentimento che Jo-han Huizinga poneva ai primi posti, assieme alla correttezza e al rispetto. Ora v’è troppa se-rietà, oppure, osservandola da una diversa prospettiva, una sua banalizzazione.Lo sport, come parte integran-te della cultura, deve puntare a un rilancio delle sue principali virtù. Deve valorizzare quegli elementi che lo caratterizzano come un punto di riferimento fondamentale per la vita socia-le di ogni individuo. Il fatto che esso sia praticato da milioni di

persone va osservato come sti-molo per una riflessione sulle qualità che emana: lo stare as-sieme, una sana e non violenta competizione, il desiderio di una vera lealtà fra partecipanti.L’odierna attività agonistica, quindi, vive nel professionismo un momento di indecisione, di “follia”. Esagerati compensi e scarsa presa morale. Ciò no-nostante, è soprattutto grazie all’apporto di chi non gioca per vivere se il ludus mantie-ne entrambi i piedi all’interno delle staffe della cultura. Qual-che volta cade, può succedere. L’importante è che non perda per strada le sue origini, perché il passato irrazionale si è radi-cato nelle menti di ognuno di noi. E va tramandato con forza, decisione, e speranza.

La torta della nonna è una vera e propria delizia, perchè riu-nisce in se la delicatezza della pasta frolla ed un morbido cuo-re di crema pasticcera, esaltato dal sapore dolciastro dei pinoli e dello zucchero a velo.Sbattere l’uovo e lo zucchero fino a che non si amalgama bene il tutto, aggiungere poi il burro a temperatura ambiente e mescolare bene fino ad otte-nere una crema morbida.Aggiungere poi il lievito, la va-nillina e il limone, ed infine im-pastare a mano il tutto con la farina.Lasciar riposare in frigo l’im-pasto avvolto nella carta pel-licola trasparente per un’ora.Preparare la crema sbatten-do i tuorli con lo zucchero, poi aggiungere la farina e la vanillina, scaldare in un pen-tolino il latte e poi aggiunge-re l’impasto precedente. Por-tare tutto ad ebollizione fino

a che non si raggiunge la den-sità della crema voluta. Lasciar raffreddare e di tanto in tanto mescolare.Trascorsa un’ora, togliere la pasta frolla dal frigo, dividerla in 2 parti una di queste dovrà essere leggermente più piccola. La parte più grande la si stende e la si dispone in una tortiera precedentemente imburrata e infarinata, la si fa aderire bene ai bordi, lasciando questi abbondanti, lasciandoli fuori uscire dalla tortiera. Ricoprire la tortiera con il pri-

mo strato di pasta frolla con la crema raffredda-ta cercando di unifor-marla su tutta la super-ficie.Stendo poi la secon-da pasta frolla lasciata da parte, cercando di stenderla in base alle di-mensioni della tortiera. Una volta stesa ricopro la tortiera con il primo

di Giulia Cerpelloni

Serviti il pasto, cowboy

La torta della nonna ai pinoliPrepariamo insieme un dolce della tradizione nostrana

Ingredienti

Per la pasta frolla:

1 bustina di vanillinascorza grattuggiata di limone1 cucchiaino di lievito in polvere per dolci250 gr di farina150 gr di zucchero100 gr di burro1 uovo

Per la crema pasticcera:

3 tuorli30 gr di farina400 ml di latte1 bustina di vanillina50 gr di zucchero a velo

Pinoli q.b.Zucchero a velo q.b.

Via Spighetta 1537020 Torbe di Negrar, Verona

Tel/fax: (+39) 045 750 21 88www.casalespighetta.it

... dove la cucina tradizionale italianaviene rivisitata con un sapore d'Oriente ...

R I STORANTE

Casale Spighetta

Maggio 201126 Cucina

stato di pasta frolla e la crema pasticciera. La chiudo bene con i bordi lasciati fuoriuscire dalla tortiera.Una volta terminata questa procedura, cospargo con pino-li tutta la superficie e metto in forno già caldo a 180° per 30 minuti. Una volta sfornata e raffreddata, cospargere di zuc-chero a velo.Gnam gnam...cotto e sbafato!