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UTOPIE DELLA MENTE

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UTOPIE DELLA MENTE

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Le utopie osservate nei testi in esame del

seminario si riferiscono ad una società e/o

collettività.

Il “luogo felice” dell'utopiaè problematico perchè deve esserlo per tutti.

L'individuo devesubordinare la propria

personale felicità in favore

di quella collettiva.

Ne deriva un sostanziale annichilimento del concetto stesso di individuo e unauspicabile controllo/equilibrio se non repressione della componente passionale/emotiva

della natura umana, nonché una necessaria condizione di eliminazione del concettodi possesso sulle cose e/o le persone a vari livelli. Nonostante ciò questo, appunto,

“non-luogo”, sembra non esistere; più semplice sarebbe trovare il modo per far feliceuna persona a discapito di molte altre. Ma, è possibile introdurre il concetto di individuo e

felicità strettamente personale nell'utopia e allargarlo solo in seconda istanza ad unacollettività? Sarebbe un'utopia al quadrato. Esiste un luogo dove un individuo possainseguire il proprio personalissimo piacere senza negare ad altri tale raggiungimentoo dove la felicità di un individuo non passi dall'elaborazione e mediazione, nei migliori

dei casi, di una collettività?

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La Mente

Scopriamo questo “luogo” attraversole suggestioni e l'immaginario di

tre esempi cinematografici e le teorie filosofiche e scientifiche che ne

costituiscono le fondamenta.

“Matrix” “Inception” “Vanilla sky”

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Primo problema

Un “luogo della mente” è per convenzione un luogo

immaginario o comunquenon fisico e tangibile.

Immaginare di essere felicinon basta ad appagare i

nostri desideri o ad esserlo.

Un luogo immaginario non puòsostituire la REALTA'. Ma “che vuol dire reale?”

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Secondo il film “Matrix” ( 1999, scritto e diretto da Lana e Andy Wachowski ) il reale esiste solo in quanto percepito dal nostro cervello, esso può essere ingannato,

ne deriva una realtà simulata impossibile da mettere in discussione dal suo interno.

Hilary Putnam, (Chicago, 31 luglio 1926) filosofo e matematico statunitense, unaventina di anni prima considerò il caso di un cervello collegato con cavi elettrici a

un computer che gli trasmette emozioni e sensazioni di una vita corporea...Con quali conclusioni? Che un tale essere vivente non potrebbe in alcun modo rendersene conto, né descrivere il suo stato, se non all'interno del programma in cui si trova. Oltretutto, al posto del cervello potrebbe esserci una macchina o

perfino un'altra entità impossibile da concepire secondo l'analogia tra la relazione mente/cervello e quella software/hardware.

Nello scenario immaginato da Putnam (e anche in Matrix), ci sono due elementi distinti: la realtà virtuale del programma e i cervelli reali. E' anche possibile, però,

che la realtà sia interamente una simulazione, compresa la nostra coscienza; secondo il ragionamento del filosofo svedese Nick Bostrom, attualmente

direttore del Future of Humanity Institute presso l'Università di Oxford, è più probabile che il nostro mondo sia il frutto di un programma piuttosto che

sia fatto di atomi come crediamo.

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Bostrom si occupa soprattutto di tematiche pertinenti al transumanesimotermine coniato da Julian Huxley, fratello di Aldous Huxley, ed immaginando

la nostra civiltà umana tra migliaia di anni ipotizza l'esistenza di computer potentissimi, capaci per esempio di simulare la nascita dell'universo, la formazione delle galassie, delle stelle e dei pianeti. E, su un pianeta come il nostro, dal loro programma questi

nostri discendenti vedrebbero nascere ed evolversi la vita fino alla comparsa di entità intelligenti e tecnologicamente evolute che si domanderebbero

a loro volta se vivono in un programma e, in una concatenazione da "scatole cinesi” ne metterebbero a punto a loro volta uno per ammirare l'evoluzione dell'universo.

Per dimostrare che questo scenario è molto probabile, Bostrom parte da una premessa: «Si presume che le menti coscienti possano essere realizzate non soltanto

con i neuroni (come avviene nel cervello), ma anche in un substrato come un processore di silicio». Si tratta certamente di una premessa importante,

che non è detto sia vera. «Ma non possiamo escluderlo» afferma Dario Floreano, docente del Politecnico di Losanna (Svizzera) ed esperto di intelligenza artificiale.

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Quindi ne deduciamo che la stessa realtà a livello fisico e concettuale viene messa

fortemente in dubbio da filosofi e scienziati e non solo in tempi moderni.

“Mito della caverna”, Platone

"L'essere è un essere-percepito", Berkeley

“Cogito ergo sum”, Cartesio

Abbiamo sensibilmente avvicinato i concettidi “immaginario” e “reale”.

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Secondo problema

I “luoghi”, virtuali o reali chesiano, visti fino ad ora sonocomunque realtà collettive.

Siamo obbligati come umanitàa condividere la stessa realtàpresunta o lo stesso “luogo”.

In questo modo un utopia nella realtà virtuale andrebbe in

contro alle problematiche giàevidenziate in precedenza.

“E se ti dicessi che puoi avere il controllo su tutto,

su ogni cosa”

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Dall’Ottocento il Solipsismo (dal latino solus, "solo" e ipse, "stesso": "solo se stesso")è la posizione teoretica che assume la coscienza empirica, individuale, comefondamento di ogni forma di conoscenza: inizialmente connesso all’idealismo

Soggettivo, cioè alla dottrina che risolve ogni realtà nei contenuti soggettivi dellaCoscienza, è parzialmente superato nell’idealismo trascendentale di I. Kant,

che considera l’autocoscienza pura dell’«io penso» come fondamento universalee oggettivo del conoscere cui tuttavia è ancora contrapposta la realtà autonoma

della «cosa in sé»; il suo completo superamento avviene solo nell’ambito dell’idealismooggettivo, in quanto posizione filosofica che elimina ogni contrapposizione tra lacoscienza e la realtà. Questa concezione tuttavia non si può confutare su basi

puramente logiche. Le basi filosofiche del solipsismo furono gettate da Cartesio laddove la sola cosa assolutamente dimostrabile è l'esistenza dell'Io pensante.

Cartesio era comunque convinto dell'esistenza del mondo reale, anche se nella suaopera “Meditazioni” notò che spesso non siamo in grado di distinguere la realtàdal sogno, e avanzò il dubbio che "un demone malvagio potrebbe ingannarci".

La teoria filosofica del Solipsismo

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Terzo problema

Il Solipsismo non soddisfa le condizioni da noi stabilite

nella ricerca di un eutopos.

L'autocoscienza dell' “iopensante” riproduce in ognicaso tutte le problematiche della realtà comunementeo esclusivamente intesa.

L'eutopos della mente che cerchiamo non può essere

“autogestito”, serve l'interventodi una coscienza esterna.

In alternativa il topos mentale deve essere dichiaratamenteposto sotto il nostro controllo

cosciente e consapevole.

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Il sogno, in particolare il “sogno lucido”, sembraavvicinarsi al “luogo” da noi ricercato e nel quale

intervenire in maniera programmatica.

L'onironautica, o sogno lucido (dall'inglese lucid dream), è un termine coniato dallo psichiatra e scrittore

Frederik van Eeden, per indicare un'esperienza durante la quale si può prendere coscienza del fatto

di stare sognando. Il sognatore in questione, detto onironauta, può quindi, con la pratica, esplorare

e modificare a piacere il proprio sogno.

Il Sogno

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Quarto problema

Se siamo coscienti di staresognando abbiamo pieno

controllo ma viene a mancareIl principio di realtà che sembra indispensabile.

Se non siamo coscienti delsogno si viene a creare una

situazione analoga a quella delSolipsismo, nella quale non

abbiamo controllo.

Il sogno ha molte caratteristichedel “luogo” ricercato e

semplifica qualsiasi intervento,essendo una funzione umana

preesistente.

Tuttavia, da solo non bastaa travalicare i confini delle suenaturali funzioni e rimane unasoluzione instabile e/o limitata

nel tempo.

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Quinto problema

L'utopia mentale nel senso dieutopos deve quindi trovare

un “luogo” simile al sogno magestibile dall'esterno da esseri

senzienti.

Questi esseri senzienti tramitela loro intelligenza umana o

artificiale dovrebbero monitorare il nostro sogno.

Si dovrebbe poter interveniredirettamente ed invasivamente

nella mente del soggetto.

Si dovrebbe monitorare altresìIl corpo fisico del soggetto

e provvedere alle sue naturalifunzioni fisiologiche.

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Robert Ettinger, cominciò ad occuparsi della conservazione di corpi umani a basse temperature nel 1948, ma tali idee cominciarono a circolare negli Stati Uniti solo nei primi anni sessanta, con la pubblicazione del suo "La prospettiva dell'immortalità".

Da allora, Ettinger ha fondato il Cryonics Institute, una delle due principali organizzazioni crioniche internazionali e la pratica da lui inventata, la crionica, ha

lentamente attirato l'attenzione di un numero crescente di persone.Vi sono alcuni ostacoli fondamentali relativi alla criopreservazione e sono

precisamente: la rottura delle membrane cellulari da parte dei cristalli di ghiaccio che dovessero formarsi; la formazione di rotture del corpo ibernato sottoposto alla

tensione dei diversi tessuti che hanno coefficienti di dilatazione diversi; la difficoltà allo scongelamento contemporaneo di tutte le parti del corpo. In definitiva la ricerca

si sta focalizzando per lo più sui primi due problemi il primo dei quali è quasi del tutto risolto grazie a una soluzione vetrificante che sostituita al sangue apporta

antiossidanti e sostanze che impediscono la formazione di cristalli di ghiaccio. Il secondo è per ora affrontato a posteriore mediante l'identificazione di queste rotture grazie a particolari microfoni che restano in ascolto. Attualmente solo negli Stati Uniti

è possibile praticare la criopreservazione. Qui infatti sono nate parecchie associazioni crioniciste che hanno sviluppato le attrezzature necessarie

all'intervento. Inoltre, negli USA un individuo è considerato morto subito dopo l'arresto cardiaco. In Italia questa pratica non può essere attuata perchè il

Regolamento Nazionale di Polizia Mortuaria prevede un periodo di osservazione del cadavere di 24 ore dopo l'arresto cardiaco. In questo arco di tempo il corpo subisce

danni irreversibili incompatibili con l'ibernazione.

La Criopreservazione

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Sesto problema

Se tutti fossero criogenizzatio comunque in uno stato di noncoscienza il genere umano nonsarebbe in grado di riprodursi

naturalmente.

Essendo il “luogo” ricercatoindividuale ma accessibile a

tutti, delle I.A dovrebberogarantire la sopravvivenza

della specie.

I nuovi nati avrebberocomunque bisogno di esserecresciuti fino ad un'età maturaper decidere autonomamente

di sé.

Affinchè sia eutopos l'individuodovrebbe conoscere ciò che lo

rende felice per poterprogrammare la sua “utopia

mentale”.

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Come accade spesso all'uomo moderno siamo arrivati ad un punto nel quale il progresso tecnologico-scientifico che possediamo o siamo prossimi ad ottenere è totalmente

sbilanciato rispetto ai campi di applicazione per i quali siamo in grado di conoscere o prevedere le conseguenze e al nostro grado di evoluzione sociale e civile. Persino con un corpo congelato al riparo da malattie ed invecchiamento, reso quasi immortale nel

tempo, confinati in “luogo della mente” nel quale siamo quanto di più vicino a un dio, nel quale la nostra volontà ed il nostro desiderio sono le uniche leggi in vigore, riusciremmo

presumibilmente come in “Vanilla Sky” a far collassare il sistema, creando spontaneamente le condizioni di infelicità ed instabilità necessarie a rappresentare una

minaccia al nostro stato di benessere. Ne risulta a mio parere che il problema dell'utopia per come l'abbiamo vista nel corso del seminario, quindi in senso collettivo, non sia il gran numero di individui ai quali garantire benessere e felicità ma che esso sia ben

radicato nella singola unità, l'uomo in quanto tale non conoscendo sostanzialmente se stesso non potrà mai proiettare per esteso nessun tipo di modello ideale a livello

universale; tutto ciò che rimane all'uomo è l'esperienza sensibile senza la quale non è in grado di formulare nessun tipo di giudizio che si avvicini quanto meno ad una banale opinione e per farlo non può rimanere fermo in nessun-luogo, “perché, senza l'amaro, amico mio, il dolce non è tanto dolce”. Inoltre mi sento di chiudere con un pensiero di

Putnam: “I problemi filosofici sono irrisolvibili, la filosofia deve ritenersi soddisfatta qualora riesca a porre i problemi in un modo soddisfacente, ma non può certo sperare di arrivare a un termine ultimo, ad una risposta conclusiva. Ciò che possiamo fare è cercare

direzioni di risposta.”, allora forse è un bene che l'eutopos sia un outopos, così l'uomo non si fermerà mai di cercarlo e alla fine del viaggio avrà scoperto tanto di più.

Conclusioni