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Informazioni generali:
DURATA DEL VIAGGIO: 20 – 21 giorni.
PERIODO DEL VIAGGIO CONSIGLIATO: Maggio – Ottobre. (periodo invernale solo l’area di Park City).
COME ARRIVARE DALL’ITALIA: In aereo. Consigliamo di adoperare per l’andata l’aeroporto di Las Vegas,
mentre per il ritorno l’aeroporto di Salt Lake City.
FUSO ORARIO: - 9 ore rispetto all’Italia in Nevada e California e - 8 ore rispetto all’Italia
nello Utah.
DOCUMENTI NECESSARI: Passaporto, che non vada a scadere durante la permanenza negli USA. Negli
USA non è più necessario possedere un visto per viaggi turistici che durino
meno di 90 giorni. Dovrete però essere muniti di un’autorizzazione ESTA
(Electronic System for Travel Authorization) da farsi rilasciare tramite
richiesta online preventiva alle autorità statunitensi prima della partenza. Per
richiederlo dovrete per forza possedere un passaporto elettronico (dotato di
microchip).
PATENTE RICHIESTA: Patente Italiana soggetta alle leggi statali del Nevada, della California,
dell’Arizona e dello Utah, ma è sempre consigliabile possedere la Patente
Internazionale.
RISCHI SICUREZZA E SANITARI: Non sussiste alcun rischio per la sicurezza in questi territori e gli standard
ospedalieri sono ottimi. Si consiglia però di stipulare un’assicurazione
sanitaria che preveda le copertura alle spese mediche e la copertura per un
eventuale rimpatrio sanitario.
MONETA: DOLLARO STATUNITENSE.
TASSO DI CAMBIO: 1 € = 1,20 Dollari Statunitensi.
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Descrizione del viaggio:
1° giorno: trasferimento fino a Las Vegas
Il McCarran International Airport di Las Vegas è uno degli scali aeroportuali più trafficati di tutti gli Stati Uniti (l’ottavo in termini assoluti)
con un traffico passeggeri annuale che sfonda i 22,5 milioni di transiti. Nonostante questo ad oggi la capitale non ufficiale del Nevada non
possiede tratte aeree dirette con l’Italia, né che voi partiate dagli aeroporti milanesi né da quelli romani. Per contro però compiendo un
unico scalo intermedio lungo il tragitto (o in Europa [Londra, Francoforte] o nel nord America [New York, Los Angeles, Atlanta, Chicago])
potrete completare questo trasbordo di andata in sole 14 – 18 ore complessive, riducendo al contempo di parecchio i costi per un volo
transatlantico tradizionale. La concomitanza con la direzione del viaggio verso ovest giocherà poi a vostro favore in termini di fuso orario (in
regressione) cosicché riuscirete nella medesima giornata di calendario a raggiungere il suolo americano. Espletate le procedure di ingresso
negli USA e noleggiato il veicolo che vi accompagnerà nel vostro tour tra Nevada e Utah puntate quindi dritto al vostro albergo di Las Vegas
per riprendervi dall’estenuante cambio d’ora.
2° - 3° - 4° giorno: LAS VEGAS
Benvenuti a Las Vegas, tempio del divertimento sfrenato e disinibito e autentico parco giochi d’America. La città vive e prolifera basandosi
su consolidate tradizioni legate al gioco d’azzardo, ai libertini club notturni e sugli eccessi che svariano tra architetture pompose e kitsch,
negozi di souvenir, bar dalle fantasiose ambientazioni (come i bar di ghiaccio) e ovviamente i mitici casinò che spesso si sono anticipati da
maestose fontane che sgorgano acqua a ritmo di musica. La celeberrima Strip con una sequela infinita di casinò nei quali tentare la fortuna,
testare le proprie abilità al tavolo da gioco o anche solo aggirarsi curiosi tra un cocktail e un buffet e l’altro è poi un autentico mondo a
parte in cui le luci al neon vi inebrieranno e vi faranno perdere molti freni inibitori (da cui il soprannome di Las Vegas: Sin City, città del
peccato). In città si trova poi una concentrazione di alberghi di lusso a prezzi davvero modici per gli States che richiamano annualmente
circa 40 milioni di visitatori e non mancano centri commerciali di enorme proporzioni. Grazie alla sua collocazione nelle aride lande del
Deserto del Mojave (in estate è un vero forno e si possono raggiungere e superare i 40°, sono stati registrati anche 47° ma l’umidità è sempre
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contenuta) Las Vegas possiede poi un clima torrido nei mesi caldi ma fresco (fino -12° in inverno). Nondimeno una caratteristica per cui Las
Vegas è nota in tutto il mondo è la facilità con cui qui si può convolare a nozze: le formalità burocratiche da espletare sono davvero misere,
come i tempi di attesa prima della funzione che si può celebrare nelle wedding chapels anche solo dopo poche ore dall’inoltro della
domanda. Non pensiate però che la cosa abbia un valore solo goliardico: sposarsi qui equivale come diritti e doveri alla celebrazione del rito
in un qualsiasi altro luogo del mondo. Infine la città, per le sue insolite caratteristiche, è stata immortalata più volte in decine di pellicole
cinematografiche hollywoodiane tra cui si ricordano i mitici: Agente 007 Una Cascata di Diamanti, Ocean’s Eleven – Twelve e Thritenn,
Paura e Delirio a Las Vegas e Una Notte da Leoni.
Inutile girarci attorno: la mitica Las Vegas Boulevard, più nota al mondo come The Strip è e darà per sempre il cuore pulsante dell’offerta
turistica e tentatrice di Las Vegas. La Strip è una lunghissima e pomposa strada di 6,4km che disegna una lunga e impercettibile curva e si
estenda dal Mandalay Bay fino all’incrocio con Sahara Avenue a nord. L’accesso più scenografico alla strada è quello meridionale che
coincide appunto con il complesso di casinò, hotel e persino un acquario di vaste proporzioni (lo Shark Reef Aquarium) che possiede diversi
esemplari di squali del Mandalay Bay, giusto fianco dell’aeroporto intercontinentale McCarran. Questa enorme e avveniristica costruzione
composta da vetrate dorate e iperboliche fontane occupa diversi isolati a ovest della Strip ed è un ottimo preambolo a ciò che vi aspetterà
oltre. Giusto oltre il Mandalay Bay ecco spuntare la sagoma piramidale nera a tema egizio con riproduzioni di statue tra cui la Sfinge del
Luxor Hotel, un altro elemento architettonico caratteristico di Las Vegas. Quindi è la volta dell’Excalibur Hotel & Casinò, del 1990, che
invece si ispira a un classico castello medievale.
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Tre immagini che vi danno un’idea dello scenografico accesso meridionale della Strip: dalle dorate finestre del Mandalay Bay ai suoi
acquari gremiti di pesci e squali, fino alla mitica piramide nera del Luxor Hotel dinnanzi alla quale rullano gli aerei del McCarran
International Airport.
Oltrepassando l’incrocio con la grande e trafficata Tropicana Avenue sulla destra vi si paleserà dinnanzi la sagoma di uno dei più rinomati
casinò cittadini: stiamo parlando dell’MGM Grand, oggi gestito dalla casa cinematografica Metro Goldwyn Mayer. Questo complesso è il
più grande hotel di Las Vegas (con oltre 5500 camere) e presenta enormi spazi come la Garden Arena o l’Hollywood Theatre dove si
inscenano diversi concerti di rilevanza mondiale, incontri di boxe (tra cui il celeberrimo scontro tra Tyson e Holyfield del 1997), spettacoli di
illusionisti (come David Copperfield) o rappresentazioni circensi. Vale davvero la pena o soggiornare o curiosare in questo complesso che è
uno dei simboli indiscussi di Las Vegas.
Sempre di proprietà del gruppo MGM ma poco oltre verso nord sulla sinistra della Strip si apre quindi il complesso alberghiero e
commerciale del CityCenter Las Vegas (del 2009) che comprende lo shopping mall Crystals, uno dei più esclusivi e in vista della città del
Nevada, che vanta griffe di grido internazionali come Dior, Prada, Hermès ecc.
Perlustrando ulteriormente la Strip in direzione nord vi troverete ad incrociare un’altra grande strada cittadina: la Flamingo Road che
prende il nome dall’omonimo hotel aperto nel 1946 dal gangster ebreo Bugsy Siegel e che fu uno dei promotori storici fondamentali
dell’ascesa di Las Vegas a città simbolo dell’eccesso americano nell’immediato dopoguerra. Sebbene sia il casinò più vecchio ancora in
attività oggi il Flamingo Hotel è stato messo completamente in ombra da tre suoi celeberrimi vicini: il grandioso Bellagio anticipato da
sfarzose fontane che sparano getti d’acqua fino a 76m d’altezza, il Caesars Palace, del 1966, particolarmente pacchiano giacché si rifà
all’epoca imperiale romana e che comprende l’esagerato centro commerciale Forum Shops e il Mirage (del 1989) che possiede la più grande
piscina di Las Vegas e un vero e proprio vulcano artificiale che ogni giorno alle 20 e fino a mezzanotte inscena spettacoli eruttivi.
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L’interno della enorme Garden Arena dell’MGM Grand che nel corso degli anni ha visto susseguirsi esibizioni di musicisti di livello
mondiale e importantissimi incontri di boxe valevoli per il titolo. Quindi il moderno e avveniristico complesso CityCenter e l’intramontabile
sagoma ornata da fastose fontane del Bellagio, uno dei casinò più iconici di Las Vegas.
Oltre questo polo incredibile di casinò e hotel eccentrici ma irresistibili la Strip possiede ancora alcune strutture enormi e a tema (come il
The Venetian in stile veneziano che comprende l’enorme centro commerciale Grand Canal Shoppes e il Wynn il cui ingresso è nascosto dalla
vegetazione) ma si può dire che con il recente LINQ (un mastodontico complesso votato alla vendita al dettaglio e alla ristorazione) e il
vicino Fashion Show (il più grande centro commerciale di Las Vegas con oltre 250 negozi e caratterizzato da una tettoia a forma di nuvola) il
cuore della Strip vada man mano esaurendosi.
Ovviamente come intuirete leggendo la trattazione precedente per una visita anche solo limitata ai tratto salienti di ognuno di questi hotel-
casinò dovreste mettere in conto almeno 3-4 giorni di permanenza a Las Vegas ma a meno che non siate patiti del tavolo da gioco o
incorreggibili nottambuli e spavaldi una permanenza di 2-3 giorni sarà più che sufficiente a darvi un’idea accurata di cosa sia in effetti la Sin
City d’America. Vi ricordiamo infine che pernottare in uno di questi complessi non è poi così costoso come potrebbe pensarsi (ma prenotate
con ampio anticipo) e che di notte la Strip si anima all’inverosimile, basti pensare che sette dei dieci locali notturni più redditizi degli Stati
Uniti, nel 2015, erano di stanza in questo luogo.
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La seconda e terza giornata di stanza a Las Vegas potranno essere quindi dedicate al completamento delle esplorazioni dei giganteschi
complessi della Strip ma siate accorti e non limitatevi a questo. La storica area di Downtown a nord della Strip, antico cuore pulsante di Las
Vegas, presenta infatti ancora diversi motivi di richiamo che potranno intrattenervi tranquillamente per una giornata. Qui troverete atelier e
centri sociali ospitati in strutture come l’Emergency Arts ideale per scambiare quattro chiacchiere informali con la gente del posto, un museo
dedicato alla storia del crimine americano e dei principali processi che hanno caratterizzato la storia recente statunitense (presso il Mob
Museum) e anche poli espositivi che raccolgono insegne al neon e oggettistica varia dei più vecchi casinò ormai chiusi o demoliti per far sì
che non cada nell’oblio un vasto pezzo della storia cittadina (imperdibile in tal senso è il Neon Museum). Decisamente più dozzinale e
nazionalpopolare è invece una visita all’Hard Rock cittadino (a est della Strip) che è l’unico casinò di Las Vegas dedicato al rock and roll e
che custodisce pezzi della storia della musica appartenuti a mostri sacri della canzone dell’ultimo secolo. Insomma organizzatevi le giornate
come meglio credete ma di certo, a Las Vegas, non avrete tempo per annoiarvi.
Uno dei classici scenari a tema veneziano che caratterizzano il Grand Canal Shopper presso il casinò The Venetian, uno dei più esclusivi
centri commerciali di tutta Las Vegas. Quindi uno degli sfavillanti e luminescenti interni dei casinò cittadini dove soldi e fish scorrono a fiumi
tra le mani dei giocatori ed infine alcune delle storiche insegne di vecchi complessi da gioco di Las Vegas presso il Neon Museum.
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5° - 6° giorno: DEATH VALLEY NATIONAL PARK
Basta già il nome, Death Valley (Valle della Morte), a catturare la vostra attenzione e farvi presagire di stare per entrare in un luogo estremo
ed inospitale, dove il calore divampa incontrollato nelle roventi giornate estive e dove la vita ha dovuto adattarsi a condizioni climatiche
davvero ostili. La Death Valley, lunga 225km e larga fino a 40km, è una delle più profonde depressioni al mondo (raggiunge come valori
massimi i -86m rispetto al livello del mare presso Badwater che ne fanno il luogo più basso di tutto il nord America) e fa parte del bacino del
Deserto del Mojave. Qui sono stati battuti e decretati diversi record climatici per quanto concerne le temperature massime diurne tanto che si
è arrivati a misurare a Furnace Creek il dato di +56,7°, uno dei valori più alti in assoluto mai registrati nella storia sul pianeta Terra. Il
caldo in estate è così rovente che persino la circolazione dei veicoli viene vietata nelle ore più calde ma nonostante questo l’uomo ha abitato
la Death Valley già dalla preistoria come testimoniano reperti risalenti a 9000 anni fa. Anche i nativi americani (tribù dei timbisha shoshone,
presenti in loco ancora oggi) la scelsero come base stabile per loro dimora ma il mito della Valle della Morte nacque principalmente a
partire dall’800 quando diversi cercatori d’oro vi si recarono per cercare fortuna. Proprio durante un raccapezzato viaggio alla ricerca
dell’oro nel 1849 diversi gruppi famigliari disorientati e poco esperti dovettero vagare in questo inferno rovente per circa un mese alla
ricerca di una via di uscita verso la California arrivando a contare però alcuni morti tra i più deboli e mangiando i loro capi di bestiame
ormai quasi esanimi. Fu proprio da quest’episodio che la valle trae il suo nome. La genesi di un luogo così inospitale però,
insospettabilmente, si lega all’acqua e al mare. Anticamente la Death Valley era infatti un fondo marino come testimoniano i resti di corallo
fossili rinvenuti ma anche molto più recentemente (poche migliaia di anni) la zona era ammantata da bacini lacustri post glaciali (Lago
Manly). Le altissime temperature degli ultimi secoli hanno però fatto evaporare tutta l’acqua restante palesando lo sterile paesaggio da
deserto salino oggi presente che però è punteggiato anche da crateri d vulcani estinti e da oasi ombreggiate nelle quali a primavera dopo
sparute piogge si può assistere alla fioritura del deserto. Nonostante il clima inclemente in zona vivono però una quantità inaspettata di
animali come centinaia di specie di uccelli, decine di tipi di lucertole e serpenti e diversi mammiferi (ratti, scoiattoli, gatti, volpi, bobcat, lepri
e coyote).
L’accesso classico da Las Vegas al Death Valley National Park avviene mediante la strada che conduce a Furnace Creek (200km, 2 ore e
mezza) seguendo nell’ultimo tratto la statale 190 che discende verso il cuore della vallata. Non appena varcati i confini orientali del parco
merita subito la deviazione automobilistica il belvedere di Dante’s View, situato a 1668m, che si colloca in una spettacolare posizione
dominante rispetto al fondovalle e alle alture circostanti dominate dal Telescope Peak (3368m), che costituisce ottimo per un primo
approccio con l’area. Discendete quindi fino a Furnace Creek paese (un’altra sosta pressoché obbligata di strada è quella all’altro punto
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panoramico di Zabriskie Point) che è per distanza la località più sviluppata della Death Valley. Qui la vita sembra scorrere come in un
qualsiasi altro luogo dello’ovest americano ma la presenza di una piccola foresta di datteri e il Borax Museum che vi spiegherà
approfonditamente la composizione chimica di molti bacini della zona (fatti di borace, Sali ossigenati di boro, calcio e sodio idrati)
tradiscono l’apparente semplicità del posto. Vi consigliamo di intrattenervi al riparo del caldo più torrido presso le strutture di Furnace
Creek almeno fino a metà pomeriggio (magari trovate già sistemazione nel vostro albergo in zona) ma poi non lesinate oltre e raggiungete
con un veloce tratto automobilistico (30km, 25 minuti) la località di Badwater caratterizzata da piane saline che evaporano in continuazione
e diversi camminamenti su passerelle per godervi il paesaggio. Ricordate peraltro che sarete ben sotto il livello del mare (-86m) nel punto più
basso della Death Valley. A sera infine fate rientro a Furnace Creek per la nottata e se sarete in zona in novembre non dimenticate di
partecipare ai festeggiamenti in stile vecchio west che caratterizzano il festival Death Valley ‘49ers.
Due delle cartoline più celebri della Death Valley si godono dai belvedere di Dante’s View e dello Zabriskie Point comodamente
raggiungibili via auto attraverso la statale 190 che discende verso Furnace Creek. Quindi una vista sulle distese saline di borace di
Badwater, il punto più basso della vallata e del nord America.
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Nella seconda giornata in zona potrete invece percorrere buona parte del fondovalle della Death Valley e anche condurre il vostro mezzo su
alcune remote piste solitarie che vi doneranno la quintessenza di questo territorio aspro, severo e bellissimo. La pista forse più spettacolare è
quella nota come Titus Canyon Road (luna 43km) che potrete imboccare (solo in discesa) dalla statale 384 e che si snoda tra antiche città
fantasma abbandonate, incisioni rupestri e piccoli canyon laterali. Per riuscire a raggiungere nuovamente il fondovalle calcolate di metterci
in tutto almeno 2 ore e mezza di guida effettiva da Furnace Creek (100km). Una volta giunti sulla statale di fondovalle vale la pena di
percorrere 15km a ritroso verso sud (20 minuti) per imbattervi nel Sand Dunes il complesso di dune sabbiose più imponenti del Death Valley
National Park che assomigliano molto alle alture del deserto del Sahara. Un luogo perfetto per una sosta per il pranzo e anche in seguito per
un’ultima visita nella Death Valley è infine lo Scotty’s Castle (45km, 40 minuti) una sontuosa e stravagante villa in stile spagnolo degli anni
’30 recentemente restaurata con mobilio, dettagli, infissi in ferro battuto e particolari sfarzosi conformi all’aspetto originale. A visita
conclusa poi abbandonate la Death Valley attraverso la statale 267 che velocemente si raccorda alla highway 95 attraverso la quale in due
ore e mezzo (250km) potrete far rientro a Las Vegas per continuare il vostro tour del Nevada.
L’ardita e un poco claustrofobica Titus Canyon Road è sicuramente la pista sterrata (adatta solo alle 4x4) più scenografica di tutta la Death
Valley. Quindi le lande sabbiose delle Sand Dunes nei pressi di Stovepipe Wells ed infine la residenza spagnoleggiante dello Scotty’s Castle.
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7° giorno: LAKE MEAD, HOOVER DAM
Il Nevada, come Las Vegas insegna, è uno degli stati confederati più libertini e permissivi degli Stati Uniti come testimoniano la
liberalizzazione della prostituzione, del commercio degli alcoolici e del gioco d’azzardo, ma al di fuori della scintillante ed eccessiva città dei
casinò propone al turista almeno un paio di siti davvero degni di nota e di un’escursione in giornata da Las Vegas. Il soprannome del Nevada
è “Silver State” (stato dell’argento) per via della presenza dei più cospicui giacimenti di questo metallo nobile degli USA ma oggi più che per
queste reminescenza della corsa all’oro del Far West il resto del Nevada si caratterizza per una presenza incessante di sale da gioco, bordelli
e anche per curiosi siti di culto come la famosa e inaccessibile Area 51 in pieno deserto (in cui i fautori dell’esistenza degli UFO e degli
alieni dicono stiano nascoste navicelle e prove dell’avvenuto contatto) e per manifestazioni trasgressive, libertine e a carattere musicale come
il Burning Man Festival. La giornata che vi consigliamo di passare nelle immediate vicinanze di Las Vegas punta però a tutt’altro genere di
attrazioni. Posti a 55km di automobile (45 minuti) da Las Vegas il Lake Mead e l’Hoover Dam sono gli elementi salienti del Nevada
meridionale. L’Hoover Dam è un gigante dell’ingegneria idraulica umana: esse infatti contiene dal 1935 con il suo calcestruzzo armato le
acque del fiume Colorado e all’epoca della sua costruzione, in piena Grande Depressione, fu uno dei fiori all’occhiello della campagna di
rinvigorimento dell’economia americana varato da Franklin Delano Roosevelt. Alta 221m l’Hoover Dam chiude il canyon in cui scorre il
Colorado e nel corso degli anni ha portato alla genesi in pieno deserto dell’enorme bacino artificiale del Lake Mead, il più grande invaso
creato dall’uomo negli States che si allunga per 180km a monte della diga e contiene oltre 35 miliardi di metri cubi d’acqua. La diga è
visitabile con tour guidati che non dovreste mancare e gli accompagnatori vi forniranno dettagli e curiosità in quantità sulle tecnologie
idroelettriche e di sicurezza utilizzate per far funzionare e mantenere in stabilità questo progetto mastodontico. Viste grandiose e ottimi posti
per scattare fotografie della Hoover Dam si trovano lungo il ponte Mike O’Callaghan-Pat Tilman Memorial Bridge posto giusto sul confine
tra il Nevada e l’Arizona. Conclusa la visita vi consigliamo di spendere il resto della giornata presso la limitrofa area ricreativo del Lake
Mead dove potrete trastullarvi oziosamente al sole fino al tramonto o allietare la vostra giornata facendo sci d’acqua, pagaiando o
semplicemente nuotando nelle calde acque del lago. Ovviamente però a una cert’ora vi esortiamo a riprendere l’auto e fare rientro a Las
Vegas per non perdervi l’occasione per un’ultima folle notte nella città del peccato americano.
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Una vista aerea della mastodontica diga Hoover Dam e dell’antistante ponte stradale sul fiume Colorado, due delle più ardite opere
ingegneristiche del XX secolo degli Stati Uniti. Quindi una vista sullo stuolo di yacht ormeggiati presso la limitrofa Lake Mead Marina, uno
dei centri di svago prediletti dagli abitanti del Nevada.
8° - 9° giorno: ZION NATIONAL PARK
Con l’ottava giornata di viaggio giunge l’ora di lasciare il Nevada e le sue stravaganze per spostarsi nell’adiacente Utah, avendo come meta
la straordinaria regione naturale nota come “Color Country” (la terra dei colori), ossia la porzione sud-occidentale dello stato confederato
che si è assicurata questo appellativo per gli straordinari paesaggi naturali dai colori caleidoscopici che la caratterizzano. Proprio per
l’incredibile concentrazione di meraviglie naturale la Color Country è disseminata di parchi nazionali, tra cui spicca per distacco in termini
di spettacolarità lo Zion National Park. Per accedere a questo gioiello dello Utah dovrete percorrere i 255km (2 ore e mezza di guida) che
separano Las Vegas da Springdale, il punto di accesso per antonomasia allo Zion National Park. L’area in cui trova ubicazione Springdale è
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una di quelle in cui è più radicata la cultura mormone integralista che si rifà alla setta della Chiesa Fondamentalista di Gesù (FLDS) e qui è
praticata in maniera generalizzata la poligamia, sebbene il culto mormone predominante abbia messo al bando questa pratica sin dal 1890.
Non tarderete ad accorgervi di essere in un luogo singolare soprattutto adocchiando le donne del posto che sono solite girovagare per i paesi
con i tipici abiti color pastello e fastose acconciature elaborate. Tra tutte le località della zona comunque Springdale è quella più votata al
turismo, con un nugolo di B&B, bar, ristorazioni e negozi caratteristici, e grazie alla sua felice collocazione strategica può tranquillamente
essere adoperata come base per l’esplorazione del vicino Zion National Park.
Istituito nel 1919 e dal 1937 dichiarato patrimonio nazionale questo parco naturale tutela principalmente lo strabiliante Zion Canyon una
gola lunga 24km e profonda oltre 800m che è stata scavata nel corso dei millenni dall’incessante azione erosiva del Virgin River. Il risultato
è stata la formazione di un complesso geologico unico nel suo genere con pareti verticali che raccontano la storia geologica del Southwest
americano come poche altri ma ammantate da una vegetazione che non trovereste se vi spingeste nei parchi più a meridione dell’Arizona. Lo
stridente contrasto tra le tonalità brunastre delle rocce e il verde bucolico del fondo del canyon in cui crescono oltre 900 specie di flora che
spaziano da piante tipiche delle zone aride come i cactus a macchie composte da salici, frassini, pioppi e aceri americani per arrivare a veri
e propri boschi sempreverdi di conifere (lo Zion si trova in un’area di transizione tra il Colorado Plateau, il Great Basin del Nevada e il
Deserto del Mojave) ha creato un ambiente così delizioso che quando i primi esploratori mormoni giunsero in zona nell’800 pensarono di
aver raggiunto la mitica terra di Sion della Bibbia, da cui è derivato l’appellativo di Zion. A corroborare questa tesi mitologica della genesi
dello Zion contribuì agli occhi dei primi mormoni sicuramente anche l’insolita concentrazione di fauna della zona che annovera specie come
coyote, roadrunner, moffette, lepri californiane, conigli del deserto, cervi mulo, tacchini selvatici e il famigerato puma. Non da meno sono poi
le possibilità di viste di specie ornitologiche (quasi 300 quelle recensite) tra cui poiane, aquile reali, falchi pellegrini, condor, corvi imperiali
e cornacchie americane.
Per quanto concerne una visita del parco vi consigliamo in prima giornata (visto che arriverete in zona inevitabilmente verso l’ora di pranzo)
di limitarvi ad un’esplorazione preliminare dello splendido Zion Canyon seguendo la Scenic Drive, una strada di 10km che nel periodo estivo
di punta è aperta solo a navette apposite, che si muove sul fondo della gola permettendovi però di assaporare già appieno la magia del posto.
Le navette peraltro compiono molte soste lungo il tragitto e potrete fare brevi passeggiate nelle immediate vicinanze della strada come ad
esempio la nota camminata del Riverside Walk (1,5km sola andata) che si inoltra verso le aree più remote del canyon.
Dopo una prima notte passata a Springdale l’indomani potrete quindi dilettarvi ad escursioni più probanti e spettacolari nel cuore dello Zion
National Park tre le quali vi consigliamo di scegliere una delle due opzioni di seguito. Se siete amanti dell’escursionismo, delle viste
panoramiche e non soffrite di vertigini sicuramente l’itinerario che fa per voi è l’Angel’s Landing Trail (8,5km, 4 ore) che risale le pareti a
strapiombo del canyon del Virgin River fino a raggiungere una spettacolare posizione dominante proprio alla confluenza con l’Echo Canyon
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coi Narrows che danno origine allo Zion Canyon. Le viste sono già di per sé straordinarie ma la presenza del Great White Throne, una
piramide rocciosa dalle tonalità chiare, giusto innanzi a voi non fa che donare charme al luogo. Se invece siete dei patiti dell’esplorazione
delle aree remote e inzupparvi di acqua non è un vostro problema dovreste intraprendere un’escursione (per larghi tratti a mollo nel fiume)
della sezione più stretta e severa dello Zion Canyon, quella nota con l’appellativo de The Narrows. Il tracciato segnalato si allunga per 26km
(solo andata) tra gli orridi a monte dello Zion Canyon ma potrete tranquillamente percorrerne solo un tratto e fare rientro a Springdale per
la sera per farvi un’idea accurata della natura severa e maestosa inclusa nel parco nazionale.
La straordinaria vista panoramica che si gode sullo Zion Canyon dalla sommità del sentiero dell’Angel’s Landing è una delle cartoline più
celebri di questo parco nazionale. Quindi un puma, simbolo del parco, che salta tra le rocce locali e una sezione del percorso tra gli orridi
dei Narrows, una delle escursioni di maggior richiamo dello Zion National Park.
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10° - 11° giorno: BRYCE CANYON NATIONAL PARK
La decima giornata del tour proposto vi condurrà quindi dagli spettacolari scenari naturali dello Zion National Park fino ad un altro
emblema dello stato dello Utah noto in tutto il mondo: l’anfiteatro geologico del Bryce Canyon National Park. Muovendosi tra i deliziosi
scenari della Color Country persino la strada che collega Springdale al Bryce Canyon National Park (145km, 2 ore) è di per sé spettacolare.
Non appena partiti da Springdale dovrete infatti risalire i tornati della Zion-Mt Carmel Highway, un’ardita strada degli anni ’20 che vi
porterà superata una lunga galleria fino nei pressi di uno dei bellavista più incredibili di tutta l’area: il Canyon Overlook comodamente
raggiungibile (fate la camminata) in soli 20 minuti a piedi dal ciglio della strada. Fatte le fotografie di rito e magari consumato uno snack
all’aria aperta dirigetevi qui di speditamente verso nord lungo le statali 9 e 89 fino allo svincolo che in breve vi condurrà all’interno del
Bryce Canyon National Park. La struggente bellezza del posto si esacerba laddove la strada raggiunge la cosiddetta Grand Staircase, un
anfiteatro roccioso composto da migliaia di guglie affilate e multicolore che si innalzano fino a formare le Pink Cliffs. La prima area che
incrocerete sarà quella prossima al Visitor Center nei pressi del quale si palesano gli scenari più incantati dell’area. Non perdete per
nessuna ragione al mondo l’occasione di insinuarvi tra i picchi rocciosi eterei del Bryce Canyon percorrendo il Queens Garden Trail (3km, 1
ora sola andata) che regala scorci fotogenici unici nel suo genere ma se vorrete fare lo cose in grande il nostro consiglio è quello di prendere
parte ad una delle escursioni a cavallo (durata 3 ore circa) che attraverso il Peekaboo Loop Trail vi permetteranno di girare completamente
la Grand Staircase alla vecchia maniera rimanendo ulteriormente sbigottiti di fronte a tanta bellezza naturale dinnanzi ai vostri occhi.
Un’esperienza che ci pare pressoché doverosa (sebbene costosa ma vale ampiamente la pena) è quella di pernottare nei lodge collocati sul
bordo dell’anfiteatro roccioso della Grand Staircase: avrete per voi il sito una volta che le folle scemano e vi gusterete i tramonti infuocati e
le albe magiche sul posto direttamente dalla camera del vostro albergo: un ricordo che rimarrà impresso nei vostri cuori. Nondimeno vi
ricordiamo che il semplice e agevole Rim Trail (9km, andata a piedi ritorno in navetta) cinge copia completamente il bordo elevato della
Grand Staircase regalandovi bella vista unici sul complesso geologico.
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Un’ulteriore vista dello Zion Canyon così come appare della belvedere Canyon Overlook che potrete raggiungere velocemente a piedi dalla
strada che si porta verso il Bryce Canyon. Quindi la Grand Staircase del Bryce Canyon in tutta la sua magnificenza fatta di guglie e
pinnacoli rocciosi multicolore e una sezione del sentiero Queens Garden Trail che si insinua in questo scenario incantato.
Nella seconda giornata di stanza presso il Bryce Canyon National Park potrete completare le visite alla Grand Staircase descritte in
precedenza oppure optare per il completamento della Rim Road Scenic Drive fino al Rainbow Point (25km, 40 minuti) l’estrema propaggine
meridionale della strada panoramica che lambisce i canyon variopinti dell’area del Bryce Canyon e che regala scorci fotografici unici nel
loro genere. Concluse le vostre esperienze in loco potrete quindi mettervi alla guida della vostra auto per muovervi in direzione nord verso il
vicino Capitol Reef National Park e la località di Torrey che vi consigliamo di adoperare come base per la notte successiva (210km, 3 ore di
guida effettiva dal Rainbow Point). La strada che vi permetterà di compiere questo trasferimento è la sublime Highway 12 Scenic Byway, con
ogni probabilità la più spettacolare strada di tutto lo Utah che si muove tra rilievi selvaggi e scenari di rocce levigate dall’aspetto quasi
ultraterreno (specie il tratto compreso tra Escalante e Boulder). Proprio lungo questo tratto, se aveste sufficiente tempo a disposizione e
voglia di fare un bagno in pozze fluviali alimentate da splendide cascate, merita sicuramente la camminata a piedi il sentiero che conduce al
Lower Calf Creek (5km, 1 ora e mezza sola andata). Il luogo è favoloso e magico e se troverete posto per la tenda nelle poche piazzole lungo
il torrente può essere un posto incredibilmente romantico per passare la notte in tenda immersi nella natura. Alternativamente se fosse pieno
o non ve la sentiste la località di Torrey offre alcune sistemazioni perfette per la notte.
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Altre viste magnificenti che si godono dalla Rim Road Scenic Drive nel parco del Bryce Canyon sulle fantasiose geologie che
contraddistinguono il sito. Quindi in seguito un tratto esemplificativo della panoramica Highway 12 Scenic Byway e il bellissimo invaso
fluviale di Lower Calf Creek che potrete utilizzare anche come base per una notte in tenda.
12° giorno: CAPITOL REEF NATIONAL PARK
Il Capitol Reef National Park è uno dei più recenti parchi nazionali dello Utah (fu istituito nel 1971) che tutela una spettacolare aree di
160km facente parte della Waterpocket Fold, una sezione di crosta terrestre composta da rocce sedimentarie che vide la sua genesi 65 milioni
di anni fa, all’epoca dell’estinzione dei dinosauri, caratterizzata da incredibili colorazioni e forme verticali dovute ai movimenti tettonici e a
fenomeni erosivi intensi. Nonostante la zona sia una delle più spettacolari di tutto lo Utah curiosamente il Capitol Reef National Park riceve
assai meno visitatori annuali rispetto ai suoi due vicini più famosi prima descritti, cosa che permette agli accorti che decideranno di
percorrerlo di avere tutto per sé questo lembo di terra così spettacolare. I motivi di questo minore afflusso non sono chiari ma ciò che
sicuramente sfavorisce il suo affermarsi come meta turistica di grido è la sua posizione defilata e il suo essere percorso solo da minute strade
secondarie soggette agli umori del clima (spesso vengono chiuse in inverno e dopo abbondanti piogge). Comunque sia il Capitol Reef sarà
anche e soprattutto la vostra porta di ingresso ai romantici e indimenticabili senari semidesertici e rosso fuoco dello Utah orientale nel quale
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si estende una grande propaggine settentrionale del vasto Colorado Plateau.
Il modo migliore per entrare in contatto con questa nuova realtà paesaggistica è quello di percorrere la Scenic Drive, una strada di 15km che
si stacca dalla statale 24 in concomitanza con il centro visitatori di Fruita, un antico insediamento mormone oggi disabitato di cui rimangono
testimonianze vivide come la Gilford Farmhouse, una fattoria oggi recuperata e diversi campi di alberi da frutto lasciati ormai selvatici da
cui potrete attingere i frutti liberamente secondo stagione. La strada serpeggia tra formazioni geologiche stravaganti e svettanti come il
Golden Throne e termina senza uscita in prossimità dell’accesso alla valla del Capitol Gorge (30km, 45 minuti da Torrey) uno stretto e
selvaggio canyon che è celebre per la presenza, dopo 3-4km di cammino all’interno del suo stretto passaggio, del Pioneer Register una
sezione di rocce incise dai primi impavidi esploratori della zona che si spinsero in queste terre remote e desolate. Potrete quindi decidere di
pranzare all’aria aperta e fare rientro alle vostre automobili nel primo pomeriggio (o mangiare qualcosa nelle fattorie di Fruita) ma
ricordate che nel primo pomeriggio dovrete forzosamente iniziare il lungo spostamento (250km, 3 ore) che vi condurrà dal Capitol Reef
National Park fino all’abitato di Moab. Questa piccola cittadina è in realtà la comunità numerosa di tutto lo Utah sud-orientale e si propone,
a ragione, come il polo turistico principale della zona. La sua posizione estremamente centrale e strategica rispetto ai parchi vicini la rende
perfetta per essere adoperata come base notturna, non foss’altro per il fatto che qui si trovano diverse sistemazioni anche di alto livello
(molte con camere con vasche idromassaggio) in cui soggiornare e numerose ristorazioni in cui saziarvi dopo giornate nella natura
selvaggia.
In prima immagine una vista aerea iconica sulle variopinte formazioni rocciose incorniciate da distese erbose del Capitol Reef National
Park. Quindi nel dettaglio una delle fattorie dell’ex villaggio mormone di Fruita e una sezione del remoto e selvaggio Capitol Gorge.
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13° - 14° giorno: CANYONLANDS NATIONAL PARK, DEAD HORSE POINT STATE PARK
Il Canyonlands National Park è dei più grandi parchi nazionali dello Utah e degli Stati Uniti in generale, giacché pone sotto tutela ben
1366km2 di territorio scolpiti e modellati in profondità dall’azione incessante del fiume Colorado. Questa zona può altresì essere considerata
anche come l’incipit ai grandiosi scenari naturali del Colorado Plateau che si estende per centinaia di chilometri più a sud, in Arizona, lungo
il corso del medesimo fiume. Ovviamente vista la grandezza del parco dovrete compiere delle scelte sulle aree da esplorare ma dedicandovi
anche solo un paio di giorni pieni vi farete un’idea completa della geologia della zona che appare come un tormentato mondo parallelo in cui
la terra viene letteralmente tagliata in due da arcaici corsi d’acqua imponenti e che pare come sgretolarsi di fronte all’incessante lavoro
erosivo degli agenti atmosferici. Le due giornate che vi consigliamo di passare nel Canyonlands National Park sono molto diverse tra loro:
una infatti si sviluppa essenzialmente lungo le strade più scenografiche del posto, mentre l’altra sarà appannaggio degli amanti del trekking.
La giornata più fisicamente soft delle due volge la sua attenzione alle aree settentrionali del Canyonlands National Park (quelle più vicine a
Moab) e si sviluppa lungo una sinuosa strada panoramica che raggiunge in ultimo il Grand View Point Overlook (70km, 1 ora da Moab).
Lungo la tratta però non mancano i motivi di sosta: in primis giusto poco all’interno del parco nazionale (zona centro visitatori) un’area che
impone di fermare le automobili è la Island in the Sky, una porzione di altopiano spoglio (o mesa) fesa da gole profonde a reticolato che dà
realmente l’impressione di essere in un luogo dove la terra sotto i propri piedi è sempre lì lì per sgretolarsi e aprirsi in cavità ciclopiche.
Proseguendo per qualche chilometro verso sud vi approccerete quindi al belvedere del Green River Overlook, il miglior bellavista che si apre
sul corso del sottostante fiume Green River ormai prossimo alla confluenza nel Colorado. Altrettanto interessante è il breve (800 metri) ma
elettrizzante sentiero del Mesa Arch dove ci sono una serie di archi rocciosi assai fotogenici che ha inizio a breve distanza dal sito. Vale
quindi davvero la pena terminare la strada panoramica del Canyonlands per raggiungere il Grand View Point Overlook da cui la vista spazia
verso l’infinito turbine di rocce, canyon e solitudine del territorio in cui il Green River e il Colorado uniscono le loro acque. Non mancate poi
a conclusione della giornata, lungo la strada di rientro verso Moab, una doverosa deviazione presso il Dead Horse Point State Park (45km,
45 minuti dal Grand View Point Overlook). Questo minuscolo parco protegge alcune delle viste più emozionanti e classiche della filmografie
western americana essendo stato adoperato in più di un’occasione come set per capolavori hollywoodiani del genere. Indiscutibilmente
l’impatto visivo di questo belvedere aggettante sul corso del Colorado è eccezionale, ma le viste al tramonto trascendo quasi la credibilità e
spesso i visitatori sono sopraffatti dalla bellezza del posto. Fortunatamente il Dead Horse Point State Park non dista molto da Moab (55km,
40 minuti) e ben si presta a questa esperienza.
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Tre spettacolari istantanee che rendono giustizia agli scenari grandiosi e vastissimi che caratterizzano il Canyonlands National Park:
dapprima una vista panoramica sulla tormentata aerea che si gode dal Grand View Point Overlook, quindi il famoso arco roccioso di Mesa
Arch ed infine una delle cartoline più famose dell’area: la vista sul corso del fiume Colorado dal Dead Horse Point.
Nella seconda giornata presso il Canyonlands National Park invece siate pronti a calzare i vostri scarponi e immergervi nelle aree remote e
un poco ostili della sezione meridionale del parco, nota come Needles (130km, 90 minuti da Moab). La strada per raggiungere il centro
visitatori di questa sezione è lievemente accidentata ma sarete ampiamente ricompensati da senari in cui guglie di arenaria arancione bianca
disegnano luoghi di una bellezza quasi onirica. Il modo migliore per entrare in sintonia con il paesaggio è quello di percorrere il lungo ma
appagante sentiero Cheser Park / Joint Trail Loop (18km, 6 ore) che si infila tra passaggi minuti e pertugi apparentemente intransitabili nel
cuore di questa regione fatta di picchi rocciosi. Il sentiero nonostante la lunghezza è adatto a tutti visto che non presenta dislivelli
significativi. A camminata conclusa tornate quindi alle vostre autovetture e rientrate presso Moab dove potrete rifocillarvi e rilassarvi presso
le vostre strutture alberghiere.
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Alcuni degli scorci tutti picchi e guglie multicolori punteggiati di vegetazione arbustiva dell’area dei Needles, la sezione più remota e
favorevole all’attività escursionistica del Canyonlands National Park.
15° giorno: ARCHES NATIONAL PARK
Tanto appariscente e singolare che sembra irreale. Tanto perfette le sue forme naturali che paiono uscite da un progetto di un designer
moderno. Questo è forse il preludio migliore con cui descrivere l’Arches National Park, uno strabiliante parco naturale al cui interno si
librano a sfidare la gravità oltre 2000 archi naturali di arenaria larghi fino a 90m modellati dagli agenti atmosferici che li scolpiscono e
infine fanno crollare, come 42 di questi dal 1970 a questa parte. L’area è posto sotto tutela già dal 1923 ma solo nel 1971 ottenne lo status di
parco nazionale statunitense e deve le sue caratteristiche geologiche uniche al fatto di sorgere sopra uno spessissimo strato salino, lascito di
un ancestrale bacino marino poi evaporato nel corso di milioni di anni. Questo sottoposto a enormi pressioni nel sottosuolo a causa del
progressivo accumulo di detriti alluvionali sopra di esso si liquefece e permise alle rocce di arenaria di insinuarsi nelle sue spaccature finché
col passare dei millenni queste singolari formazioni naturali non emersero dal sottosuolo. Una volta alla mercé di vento, acqua e ghiaccio la
flebile arenaria di malleò fino a creare i fantasiosi archi oggi visibili. Anche se principalmente i motivi di richiamo dell’Arches National Park
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sono i suoi paesaggi non va dimenticato che il parco è popolato da una fauna schiva, spesso notturna, ma ben rappresentata comprendente:
ratti, moffette, procioni, volpi, linci rosse, puma, pipistrelli, cervi mulo, porcospini, coyote, lucertole, serpenti, conigli del deserto e lepri
californiane.
Vista l’estrema vicinanza con Moab e grazie al fatto di essere percorso da strade appositamente pensate per raggiungere gli anfratti più
spettacolari del parco l’Arches National Park è comodamente visitabile in giornata. Varcate le soglie del parco e superato il centro visitatori
iniziare a guidare per qualche chilometro verso nord tra alcuni belvedere minori che si aprono a bordo strada fino a raggiungere la
Balanced Rock, una roccia in bilico che funge da punto orientativo dominante nella geografia del parco. Proseguendo oltre lungo la strada in
breve (4km) vi ritroverete dinnanzi a un bivio: prendete a destra e rapidamente raggiungete il Wolfe Ranch (30km, 40 minuti da Moab) un
punto di accesso attrezzato verso alcuni dei sentieri più spettacolari del parco. Tra questi merita sicuramente una menzione particolare
quello che in 2,5km (1 ora) raggiunge il notissimo Delicate Arch, uno dei simboli del parco. Fatto ritorno al Wolfe Ranch e alla vostra auto
guidate quindi a ritroso e poi verso il Devil’s Garden Trailhead (10km, 15 minuti) dove troverete anche un campeggio e un’area pic-nic
ideali per un pranzo al sacco. Nel pomeriggio poi potrete dilettarvi a percorrere i labirintici sentieri della Fiery Furnace oppure seguire i più
comodi camminamenti oltre il limite dei parcheggi lungo il Devil Garden Trail. Il sentiero completo è lungo ma vi basterà fare due o tre
chilometri per vedere alcuni splendidi archi rocciosi da immortalare sulla memoria della vostra macchina fotografica come i Landscape,
Navajo e Partiton Arches. Nel tardo pomeriggio fate quindi rientro a Moab (35km, 45 minuti) per la nottata. Una modalità di visita
alternativa e spettacolare è quella di gironzolare per il parco accompagnati da ranger al chiaro di Luna ammirando le ombre sinuose e un
po' spettrali di questi giganti rocciosi. Per lo meno comunque intrattenetevi nel parco fino al tramonto quando l’Arches National Park è
illuminato da una luce calda e suadente che rende l’atmosfera davvero romantica.
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Due fotografie che immortalano il famosissimo Delicate Arch, arco simbolo del parco, in una veste dapprima serale e poi in piena luce
diurna. Quindi il famoso masso in bilico della Balanced Rock, uno dei punti di riferimento cardine nell’Arches National Park.
16° - 17° giorno: PARK CITY
Con la sedicesima giornata dell’itinerario giunge l’ora di lasciare i grandiosi scenari naturali dello Utah meridionale per muoversi verso il
cuore del Beehive State (stato alveare) avvicinandosi alla sua capitale e città dominante sia sotto un profilo economico che sociale: Salt Lake
City. Se la sezione meridionale dello Utah è infatti una sorta di tempio naturale (il 65% del territorio è posto sotto tutela statale) l’epicentro
dello stato si caratterizza per una presenza di diversi insediamenti abitati da massicci nuclei di mormoni (fino al 50% della popolazione) che
sono noti negli States per il loro stile di vita conservatore, gentile e ligio ai dettami religiosi. In passato lo Utah ha avuto fama di essere un
luogo assai chiuso su alcune tematiche, prima tra tutte quella del consumo di alcoolici che era molto difficoltoso persino per gli stranieri.
Oggi la situazione è più lasca e permissiva, l’acquisto di liquori è regolamentato (solo in apposite rivendite statali) ma libero, ma nei
ristoranti difficilmente troverete di più di birra e vino visto che le licenze non vengono rilasciate a cuor leggero e i nei bar si possono servire
cocktail e superalcoolici solo in determinate fasce orarie e mai troppo pesanti, oltre una certa gradazione infatti sono vietati. La meta di
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questi due giorni di viaggio comunque non sono i sobborghi di Salt Lake City ma gli splendidi scenari montani delle Wasatch Mountains, una
catena che raggiunge i 3352m e che trova ubicazione giusto ad est della capitale statale. Qui le precipitazioni sono insolitamente cospicue
per lo Utah e i rilievi possono giovarsi di circa 10m di accumuli nevosi che sostentano l’industria sciistica locale che ebbe un impulso
decisivo in seguito all’organizzazione dei Giochi Olimpici Invernali del 2002. Il principale centro turistico della zona è indiscutibilmente
Park City (385km, 4 ore da Moab) che all’epoca delle olimpiadi ospitò gare sia di sci alpino che di salto con gli sci, skeleton, bob, combinata
nordica e slittino e che ancora attualmente è la sede stabile della nazionale di sci alpino a stelle e strisce. Nonostante qualche palazzone non
propriamente di buon gusto montano Park City ha ancora un’atmosfera piacevole con diversi negozi, bar e atelier che circondano le sue vie
principali e un’offerta alberghiera di primissimo livello. Certo se capiterete in zona in estate o in autunno Park City risulterà comunque
piacevole sia per lo Utah Olympic Park, che vi permetterà di curiosare e muovervi tra le strutture olimpiche del 2002, e per la vasta
opportunità di gradevoli trekking e uscite in mountain bike sule alture limitrofe (servite da seggiovie) ma indiscutibilmente è l’inverno il
periodo clou dell’anno per Park City. Il suo ski resort sostentato da 41 impianti di risalita modernissimi vi permetterà infatti di accedere a
ben 324 piste, molte delle quali di difficoltà media o difficile, perfette per i funamboli delle nevi. Park City è poi nota per l’eccezionale offerta
après ski che si manifesta in una serie di ristoranti costosi ma di alto livello e numerosi club e pub in cui lasciarsi andare a qualche eccesso
goliardico. Inoltre in paese in gennaio va in scena uno dei festival cinematografici autonomi più autorevoli di tutti gli USA: il Sundance Film
Festival. Vista l’estensione del comprensorio e la mattinata della diciassettesima giornata da dedicarsi solo al mero raggiungimento di Park
City ci appare doveroso dedicare due (se non tre nel periodo invernale) giornate alla stazione sciistica. Per i cultori delle nevi invernali vi
ricordiamo poi che le Wasatch Mountains posseggono anche altri comprensori sciistici meno noti ma di altrettanto richiamo (peraltro
comodamente raggiungibili in auto rapidamente da Salt Lake City) che sono: la Alta Ski Area con 116 piste (45km, 40 minuti da Salt Lake
City) e il Brighton-Solitude Ski Resort con 132 piste complessive (50km, 40 minuti da Salt Lake City).
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Una bella vista panoramica in chiave invernale dell’esclusiva e rinomata località sciistica invernale di Park City che fu uno dei perni delle
Olimpiadi Invernali del 2002. Quindi un impavido sciatore impegnato sui suoi irti pendii e una cartolina delle Wasatch Mountains nel pieno
della loro vitalità estiva.
18° - 19° giorno: SALT LAKE CITY, GREAT SALT LAKE
Fondata nel 1847 da esploratori mormoni nell’allora arida valle che separava le acque del Great Salt Lake dalle maestose vette delle vicine
Wasatch Mountains Salt Lake City è oggi una comunità ampia e dal respiro metropolitano sebbene svolga da un paio di secoli circa il ruolo
di città guida spirituale delle comunità mormoni del pianeta. Salt Lake City (55km, 40 minuti da Park City) ha vissuto diverse fasi nella sua
breve ma frizzante vita: è stata una cittadina mineraria di prim’ordine, uno snodo fondamentale per i trasporti americani (qui vi passò la
prima ferrovia transcontinentale) e oggi si propone come polo fondamentale per la società delle Montagne Rocciose occidentali, nonché
come porta di ingresso alle numerose stazioni sciistiche circostanti.
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• La prima delle due giornate che vi consigliamo di passare a Salt Lake City si focalizza sulle attrattive della città in sé. L’epicentro
della città è sicuramente Temple Square, una grande piazza che si sviluppa su 4 ettari di estensione circondata da mura alte 4,5m
caratterizzata a sud dall’ubicazione di diversi centri commerciali di rilievo (come il City Creek Center che si sviluppa su 8 ettari di
negozi e bar) al suo centro da una costante presenza di mormoni sempre pronti a rispondere alle vostre curiosità e stuzzicarvi su temi
religiosi e sul suo lato settentrionale dal Salt Lake Temple. Questa chiesa che svetta per 64m sulla piazza è il luogo di culto prediletto
dai mormoni di tutto il mondo e possiede una splendida statua dedicata all’angelo Moroni che si dice abbia illuminato il fondatore di
questo credo religioso: Joseph Smith. Purtroppo, sottostando ai dettami del culto mormone, il Salt Lake Temple non è né visitabile al
suo interno né potrete assistere alle cerimonie riservate agli adepti ma già solo la vista della chiesa vale la vostra attenzione. Vi sarà
invece concesso l’ingresso al limitrofo Tabernacle , un auditorium del 1867 che si avvale di un’acustica incredibile oltre che di un
ciclopico organo a 11.000 canne. La sua visita è già di per sé d’impatto ma se avverrà in concomitanza con un concerto di musica
classica o religiosa rimarrà davvero un ricordo indelebile nelle vostre menti. La raffinata abitazione ottocentesca che scorgerete sul
lato orientale di Temple Square altro non è che la sublime Beehive House, che fu residenza di Brigham Young che fu governatore e
reggente della chiesa dello Utah nell’800 e che qui vi dimorò con la sua cerchia di mogli, in perfetto stile poligamo mormone classico.
Tre immagini che contraddistinguono il cuore di Salt Lake City che ruota attorno a Temple Square: dapprima i design moderni del
centro commerciale City Creek Center, quindi la mole candida e maestosa del Salt Lake Temple, luogo di culto primario della
comunità mormone ed infine il coro della straordinario auditorium del Tabernacle.
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Spostandovi quindi di qualche isolato a nord rispetto a Temple Square non potrete non notare e raggiungere il possente edificio dello
Utah State Capitol, una gigantesca costruzione del 1916 adornata sul perimetro da 500 ciliegi e che si contraddistingue specialmente
per gli splendidi dipinti della cupola che potrete ammirare prendendo parte alle apposite visite guidate. Fattasi quindi l’ora di pranzo
vi consigliamo di usufruire dei numerosi ristoranti e taverne a buon mercato che affollano le strade della Downtown locale.
Nel pomeriggio invece vi suggeriamo di portarvi all’estremità orientale della città, giusto alle pendici delle propaggini delle Wasatch
Mountains, laddove si raggruppano gli edifici della University of Utah e dove raggiungerete sia Natural History Museum of Utah,
ospitato in una singola struttura dalle sembianze di un canyon che approfondisce la storia naturale, delle tribù native e dei fossili di
dinosauri di questo stato americano, nonché il This Is The Place Heritage Park, una perfetta ricostruzione di un villaggio mormone
ottocentesco che vi farà rivivere le atmosfere e le condizioni di vita dei pionieri che fondarono la città.
A sera infine fate rientro verso la Downtown di Salt Lake City dove si raggruppano i locali migliori della città e magari anche per
assistere alle splendide esibizioni del Mormon Tabernacle Choir, una vera istituzione artistica locale.
In prima immagine la solenne facciata classicheggiante dello Utah State Capitol, costruito secondo i dettami di inizio XX secolo.
Quindi un’esposizione di scheletri di antichi animali estinti dell’area presso il Natural History Museum of Utah ed infine una vista
panoramica sulla Downtown di Salt Lake City che si staglia sullo sfondo montano delle vicine Wasatch Mountains.
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• La seconda giornata di stanza a Salt Lake City si concentra infine sulle attrattive situate nelle immediate vicinanze della città,
Un’escursione interessante che vi terrà occupati per qualche ora in mattinata è quella alla Kennecott-Bingham Copper Mine (50km,
45 minuti) una incredibile miniera a cielo aperto deputata all’estrazione del rame che si stima sia stato rinvenuto in quantità pari a 19
milioni di tonnellate dal 1906, anno della sua apertura. Ciò che però più di ogni altra cosa rende sbigottiti della miniera è la sua
grandezza: 4km di larghezza per 1,2km di profondità che ne fanno la miniera a cielo aperto scavata dall’uomo più grande del mondo.
I giganteschi camion alti quanto palazzine che si muovono lungo i suoi cerchi concentrici per spostare enormi quantità di materiale
scavato appaiono in questo contesto come piccoli giocattoli per bambini e inevitabilmente avvertirete una sensazione di estrema
piccolezza, ma siate tranquilli la Kennecott-Bingham Copper Mine è così grande da essere una delle pochissime realizzazioni umani
ben distinguibili anche dallo spazio. Le visite guidate (solo in determinate aree del sito) esistono e sono davvero da non farsi sfuggire.
Se la mattinata sarà i buona parte dedicata a questo gigante antropico già per l’ora di pranzo vi consigliamo quindi di spostarvi in
direzione del Great Salt Lake (115km, 90 minuti) avendo come meta l’Antelope Island State Park sicuramente l’area naturale più
gradevole del bacino salmastro che vi permetterà di godere di spiagge più pulite e alcuni interessanti sentieri escursionistici a
contatto con la natura. Il Great Salt Lake si estende su una superficie variabile tra i 4400 e i 5100km2, una profondità media assai
scarsa (4,5m) e presenta una salinità davvero importante, decisamente più elevata di quella oceanica tanto che le forme di vita che lo
popolano non sono molte e che avvertirete facendo il bagno la netta sensazione di come il galleggiamento sia molto più semplice per
via della concentrazione di sali disciolti nell’acqua. Una curiosità geologica e storica è quella che il Great Salt Lake è ciò che rimane
dell’ancestrale e vastissimo (oltre 50.000km2) Lago Bonneville che fino a circa 15.000 anni fa copriva buona parte dei territori oggi
aridi dello Utah, dell’Idaho e del Nevada. La sua fine fu dettata oltre che da cambiamenti climatici importanti anche da uno degli
eventi catastrofici naturali più ingenti che il pianeta abbia mai subito: in seguito alla deviazione del corso del fiume Bear verso il
bacino idrografico questo subì un innalzamento delle acque così consistente che portò alla rottura degli argini naturali del bacino che
tracimò in maniera rovinosa verso i territori a minore altitudine. Si stima che l’esondazione derivante fu talmente imponente e
alimentata da talmente tanta acqua che durò non meno di un anno consecutivo. Ai giorni nostri in compenso il bacino è
incredibilmente calmo e ben si presta a qualche nuotata rigenerante. Nuovamente poi a sera fate rientro a Salt Lake City (65km, 50
minuti) per godervi un’ultima frizzante serata in terra statunitense, prima di iniziare il vostro viaggio di ritorno verso l’Italia.
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Una vista sull’immenso complesso minerario della Kennecott-Bingham Copper Mine, la più grande miniera a cielo aperto scavata
dall’uomo al mondo, così grande da essere ben distinguibile fin dallo spazio. Quindi una delle tipiche spiagge incrostate da depositi
salini del Great Salt Lake ed infine una vista panoramica di Salt Lake City in chiave invernale dall’Antelope Island State Park.
20° - 21° giorno: trasferimento fino in Italia
L’aeroporto di Salt Lake City è il principale scalo aereo non solo dello Utah ma di tutto il bacino delle pendici occidentali delle Montagne
Rocciose fungendo da vero e proprio hub per la zona comprendente lo Utah, l’Idaho, il Wyoming e vaste porzioni del Nevada. Tuttavia, come
è avvenuto per l’arrivo a Las Vegas, anche Salt Lake City ad oggi non possiede collegamenti diretti con l’Italia e quindi dovrete mettere in
conto almeno uno scalo intermedio per rientrare in madrepatria. La durata di questo viaggio si attesta tra le 14 e le 16 ore (se sceglierete
opportunamente in fase di prenotazione) e generalmente gli scali si effettuano o nei principali hub nordamericani (New York, Atlanta,
Chicago, Los Angeles, Boston) oppure nei più trafficati aeroporti europei (Parigi, Londra, Francoforte, Amsterdam). In questo caso però
viaggiando verso est andrete incontro ad un viaggio a netto sfavore di fuso orario (in marcato avanzamento) e quindi dovrete
necessariamente mettere in conto almeno un paio di giorni di calendario per il rientro in Italia.