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Luca Leardini U� �D I su e giù di una vita C�� O� (�)AA cura di Eleonora Gennari Introduzione di Pierluigi Strippoli GuaraldiLAB Guaraldi

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Luca Leardini

U��D���I su e giù di una vita

C������� �� O�������� (���)A������A cura di Eleonora Gennari

Introduzione di Pierluigi Strippoli

Tutt o inizia da qui. Anche se non ricordo bene dei miei primi anni di vita, da quello che raccontano i miei genitori ho avuto problemi di cuore. Ma del resto chi è che non ha mai avuto

problemi di cuore nella vita?Permett ete che mi presenti . Mi chiamo Luca Leardini e prima dei problemi di cuore i miei hanno scoperto che avevo la Sindrome di Down, dal medico John Lenghdon Down. Noi ragazzi Down abbiamo un cromosoma in più nel nostro Dna, il cromosoma n. 21.Il 10 Giugno del 1995 alle ore 11 sono arrivato io. Pesavo tre chilogrammi e misuravo 47 centi metri. I numeri contano.

Luca

Luca ha sempre amato scrivere, soprattutto lettere o biglietti di ami-cizia, d’amore, per ringraziare qualcuno, per esprimere la sua grati-

tudine. Anche per fare il ruffi ano dopo che aveva combinato qualcosa e doveva farsi perdonare. Ne ho lette diverse di lettere, lo riprendevo puntualmente per ogni errori grammaticale commesso e per ogni frase incomprensibile utilizzata. L’idea del libro è partita dalla mamma di Luca che ha voluto assecondare e accogliere un desiderio espresso più di una volta dal fi glio. Come potevo aiutarlo? Come poter far uscire Luca per ciò che realmente è?E poi ciò che mi spaventava maggiormente era la possibilità che non venisse creduto, che i lettori potessero pensare che il contenuto del libro, ciò che scrive e come lo esprime, potesse non essere farina del suo sacco. Lui raccontava a voce e io scrivevo su un quadernone. Nell’estate 2015 iniziammo questa folle avventura, senza pensare al traguardo e se mai l’avremmo raggiunto, ma solo con il gusto di iniziare a lasciare qualche segno sulla carta.

Eleonora

euro 9,90

ISBN 978-88-6927-302-5

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Tutt o inizia da qui. Anche se non ricordo bene dei miei primi anni di vita, da quello che raccontano i miei genitori ho avuto problemi di cuore. Ma del resto chi è che non ha mai avuto

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Luca Leardini

Up&DownI su e giù di una vita

CronaChe di ordinaria (dis)abilità

A cura di Eleonora Gennari

Introduzione diPierluigi Strippoli

GuaraldiLAB

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InDIce

Lettera a Luca di Rita Masini ............................................7Prefazione di Eleonora Gennari ......................................13Introduzione di Pierluigi Strippoli...................................19

Up&Down .......................................................................23

La celiachia ....................................................................25Oggetti a me cari ...........................................................27L’arrivo di Margherita ...................................................33Mamma Rita Santa Rita .................................................37Cantico delle creature secondo Luca ............................41Sei forte papà! ...............................................................43Habor .............................................................................45La bicicletta ...................................................................47Paure ..............................................................................49Pessime figure ................................................................53Dispetti ..........................................................................55Discussioni .....................................................................57Consigli di cuore ............................................................61La danza .........................................................................65Delusioni ........................................................................69

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Pesce fuor d’acqua .........................................................71Consigli per trovare la ragazza ......................................73L’amore e le ragazze .......................................................75Alla mia girl ...................................................................81Babbo Natale .................................................................83Io e i bambini .................................................................85Sguardi addosso .............................................................87Sarà perché sono diverso ...............................................91Ai fornelli .......................................................................93La Ele e la mia vita con lei .............................................97Pensieri via web ...........................................................101Cosa dicono di me .......................................................105Centro educativo Daniela Conti .................................107Pensieri. Luce e tenebre ..............................................111

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Lettera a LUca

di Rita Masini

Caro Luca,

quando sei giovane hai mille sogni e obbiettivi da raggiun-gere, intanto i giorni passano e non sono sempre come ci aspettiamo, a volte splende il sole, altre invece il cielo è di un grigio che solo a guardarlo ti vien da piangere e vorresti guardare oltre per vedere il sole, perché forse lo sai o forse vuoi crederci che ci sia, allora passano le ore, passano i giorni e torna il sole e il sorriso.Tutto inizia a metà settembre 1994, quando sono andata a ritirare il test di gravidanza.Mi ricordo la gioia che ho provato, pensavo che sarei diven-tata mamma e questo era uno dei miei sogni. è chiaro che cominci ad immaginare come sarà, di quale colore avrà gli occhi, i capelli, a chi assomiglierà, sarà maschio o sarà fem-mina, poi ti viene la paura, pensi al momento del parto, od-dio, ho paura e se non nasce? Ok, ma a tutti questi pensieri c’è rimedio, tranne al sesso, quello non puoi deciderlo, ma comunque è il primo e che sia maschio o femmina ti accon-tenti e la frase è la stessa per tutti: sì sì basta che stia bene!Certo perché tra le tante paure c’è anche quella: e se ha qualche problema? Beh, oggi come oggi i rimedi ci sono per

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evitare brutte sorprese, la medicina ha subito pronta la sua proposta, ma non per me!Già, perché io ero felice e il solo pensare fortemente di di-ventare mamma mi ha reso immune alle varie proposte di vedere se ci sarebbero potuti essere dei problemi, e trovare rimedio quindi mi sono goduta i miei nove mesi che grazie a Dio sono stati splendidi, senza neanche una piccola nausea o altro.Arriva il momento tanto atteso, il papà mi accompagna in ospedale alle tre di notte, i medici lo rassicurano che c’è anco-ra tempo e può tornare a casa mentre io rimango in ospedale.Nasci il mattino seguente, in sala parto l’aria si fa pesante, io ho come la sensazione che ci sia qualcosa che non vada come dovrebbe, così chiedo alla mia amica che mi ha accompagna-to di guardarlo bene, le chiedo se hai tutto, intendo gambe, braccia, sei vivo, ti muovi... Lei mi rassicura, ma forse non capisce la mia preoccupazione. In quel momento ho la forza di pensare ok, ha tutto, potrà correre e scrivere come gli altri bambini e un po’ mi tranquillizzo, così mi dicono solamente che sei un maschio.Il giorno dopo comincio a fare domande tipo perché non posso vederlo? Dove l’avete portato? Fino a quando arriva il primo colpo: signora suo figlio ha la trisomia 21 cioè ha la Sindrome di Down! Penso, ecco lo sapevo, me lo sentivo, era come se mi fossi già preparata, quindi riesco solo a dire al medico: non importa, lei mi dica solo cosa devo fare perché per me è la prima espe-rienza ed è molto importante!Il bello viene poi, quando comincio piano piano entrando forse in punta di piedi, in un mondo nuovo, sconosciuto o quantomeno conosciuto solo in parte e in modo sbagliato.

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Fino a quel momento io non sapevo cosa fosse la Sindrome di Down, non sapevo proprio niente e come tanti, considera-vo le persone divise in due fasce, quello normali e quelle che non lo erano e, da ignorante in materia, ero anche capace di giudicarle.Adesso, essendo io la mamma di un bambino down, era come se all’improvviso avessi scoperto un tesoro, una realtà che fino al giorno prima non avevo mai preso in considera-zione.Non è stato facile, all’inizio in particolare, tutto il lungo pe-riodo trascorso in ospedale: guardavo il cielo che era sempre più grigio, ma era come se qualcuno mi dicesse guarda oltre, sempre più in alto, al di là delle nuvole splende il sole.Quando racconto la mia esperienza mi viene sempre in men-te che tornati a casa dall’ospedale, mi è venuta a trovare un’amica e volendo farmi un regalo mi ha portato un libro. Mi ha colpito molto il suo titolo, “Non accettarmi come sono”, e al momento l’ho letto come un messaggio che mi infastidiva perché mi dicevo come posso non accettarlo per quello che è? è mio figlio, io gli voglio bene!Poi ho iniziato a leggerlo e sinceramente non ho capito mol-to, ma forse, involontariamente, il messaggio l’ho capito: non accettarmi come sono, incapace e buono a niente, ma piuttosto reagisci e credici, si può fare molto, non fermarti alle apparenze.Così sono partita per questo bellissimo viaggio, il cammino di una mamma con suo figlio. La meta era, per te, arrivare ad essere più indipendente possibile e potere avere una vita da adulto come tutti, insomma essere libero.Non è stato facile, è stato un percorso lento, tra una sconfitta e una conquista, reso possibile grazie all’aiuto di tante persone

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che abbiamo incontrato in tutti questi anni. In particolare con l’aiuto grande che mi hanno dato il papà e Margherita che ci sono stati sempre vicino nei vari momenti. Insieme abbiamo potuto aiutarti nella tua crescita.Abbiamo avuto momenti impegnativi, come ad esempio spiegarti che cosa è la Sindrome di Down e cercare di non farti sentire diverso, perché per noi non lo sei mai stato; o farti comprendere l’importanza dello studio e di arrivare ad avere un lavoro e forse, un domani, una casa tua e, chissà, magari anche una famiglia.Oggi sei un ragazzo con tanti sogni, come tutti alla tua età. Hai tanti interessi e alcuni li condivido con te: ci piace per esempio andare al cinema assieme perché amiamo gli stessi generi di film. A volte aspettiamo che finisca il film per rive-derlo ancora dall’inizio, altre volte invece andiamo a vedere in prima serata un film e poi, finito il primo, andiamo in un’altra sala e ne guardiamo un altro. Ci piace ascoltare la musica, iniziamo alle 6,30 con la sveglia del mattino, ci cari-chiamo e iniziamo bene la giornata.Spesso in situazioni strane o a volte anche imbarazzanti ci basta uno sguardo e sappiamo già che vogliamo dire la stessa cosa, poi ci mettiamo a ridere.Mi è capitato spesso di sentirmi dire che siamo una bella famiglia, siamo dei bravi genitori e abbiamo fatto bene con te. Io penso piuttosto che tutto quello che ho fatto fino ad ora con te non sia diverso da quello fatto con Margherita. Certo, i figli sono tutti diversi, vuoi per il sesso, vuoi per il carattere, ma quello che ho fatto e continuerò a fare, è sem-plicemente la mamma.Sono contenta che tu abbia raggiunto questo traguardo di scrivere un libro, è la dimostrazione che ogni persona, anche

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la più piccola, può avere tante capacità, e non dobbiamo fer-marci alle apparenze ma andare oltre.All’inizio mi chiedevi di raccontarti della tua nascita, hai vo-luto vedere le fotografie e insieme le abbiamo commentate, invece le cose accadute di recente eri tu che le raccontavi a me e mi dicevi ogni volta: “Voglio fare un capitolo su questo o quello!”Sono contenta che tu sia riuscito a scriverlo questo libro, penso sia un grande lavoro, ma lascio il giudizio a chi vorrà leggerlo, anche solo per curiosità. Sono sicura che alla fine qualcuno cambierà sicuramente il suo modo di vedere una persona down, la guarderà forse con la consapevolezza che “down” non è sinonimo di incapace, ma di una persona con i suoi pregi e difetti, con la sua bella fantasia, con i suoi li-miti, ma anche con grandi capacità e soprattutto in grado di pensare e capire.Nonostante tutto, quello che io posso vedere ogni giorno stando accanto a te, riesce comunque ancora a stupirmi e sorprendermi; così a volte mi chiedo: sarà forse quel “bellis-simo cromosoma” in più che tu hai e a molti di noi manca?

La tua mamma RitaGuarald

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prefazIone

di Eleonora Gennari

Aiutami a fare da solo, con te

Luca lo conosco da quando aveva sette anni. Di tempo per conoscerci ne abbiamo avuto. Di lui ho sempre ap-prezzato il suo lato comico, quel gusto teatrale con cui si esprime, le sue espressioni colorite e sempre molto lucide, la sua vivacità e i tanti colori che emana il suo corpo e la sua personalità.Ha sempre manifestato una grande sete di apprendere, di imparare a essere migliore, di farcela per essere come gli altri.Da bambino cercava di portarti nel suo mondo, dove vo-leva lui, pur di evitare qualche compito complicato o per lui troppo lungo e impegnativo. Ogni scusa era buona per sviare dalla consegna. A me questo divertiva molto, era sempre una sfida lavorare con lui.Era così carino, simpatico, un omino in miniatura che se avessi dato retta al mio istinto materno l’avrei preso in braccio e coccolato per tutto il tempo. Ma lui non aveva bisogno di questo da me, dovevo contenere la sua esube-ranza e “metterlo in riga”, farlo lavorare, stimolarlo, dargli strumenti utili per affrontare al meglio l’inizio della scuola primaria.Luca ha sempre avuto un buon linguaggio, con un lessico ricco e ben comprensibile. Questo sicuramente lo ha aiu-tato molto sotto l’aspetto della relazione e della socialità.

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Durante il periodo estivo ho sempre lavorato molto con lui sull’arricchimento del vocabolario, sulla costruzione ed espansione della frase, sull’uso dei sinonimi e dei modi di dire, sul linguaggio delle emozioni. Su tutto ciò che riguar-da la comunicazione. Da grande siamo arrivati a mettere in scena delle vere e proprie conversazioni su argomenti vari con l’obiettivo di saper tener viva una conversazione con argomenti pertinenti, senza uscire dal filo del discor-so. Io mi trasformavo di volta in volta nell’amico, nella fidanzata, nella sconosciuta con cui allacciare discorso. Quando scantonava mi alzavo dalla sedia e facevo finta di andarmene scocciata. Luca mi fermava: “No, no! Ele ho sbagliato, ricominciamo!”. Veramente divertente.Abbiamo letto molto, a Luca piacciono storie dove in ge-nere c’è un personaggio debole che riesce a farla contro il cattivo di turno, oppure riesce a superare difficoltà con le sue forze. Quando si stancava di leggere, e in genere capi-tava abbastanza presto, leggevo io ad alta voce.Luca ha sempre amato scrivere, soprattutto lettere o bi-glietti di amicizia, d’amore, per ringraziare qualcuno, per esprimere la sua gratitudine. Anche per fare il ruffiano dopo che aveva combinato qualcosa e doveva farsi perdo-nare. Alla fine di ogni stage formativo non poteva mancare la sua lettera scritta a caratteri cubitali in cui spendeva una parola di affetto per ogni persona che con lui aveva condi-viso un breve periodo. Impossibile non volergli bene.Ne ho lette diverse di lettere, lo riprendevo puntualmen-te per ogni errori grammaticale commesso e per ogni frase incomprensibile utilizzata. Lo sa che con me non la spunta.L’idea del libro è partita dalla mamma di Luca che ha vo-luto assecondare e accogliere un desiderio espresso più di una volta dal figlio. Quando me ne parlò ebbi un po’ di

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paura, più che altro per un senso mio di inadeguatezza. Un conto è lavorare dal punto di vista educativo e un altro è aiutare Luca a scrivere il libro della sua vita. Io che scrit-trice non sono.Come potevo aiutarlo? Come poter far uscire Luca per ciò che realmente è? E poi ciò che mi spaventava maggiormente era la possibili-tà che non venisse creduto, che i lettori potessero pensare che il contenuto del libro, ciò che scrive e come lo espri-me, potesse non essere farina del suo sacco.Conosco bene Luca e la sua bellezza interiore, ma come aiutarlo a trascriverla senza intromettersi e senza cadere nella trappola del troppo coinvolgimento?Del resto lui ci teneva tanto, voleva realizzare questo so-gno, scrivere della sua vita e raccontarsi. Così nell’estate 2015 iniziammo questa folle avventura, senza pensare al traguardo e se mai l’avremmo raggiunto ma solo con il gu-sto di iniziare a lasciare qualche segno sulla carta.Non sapendo da dove iniziare ho chiesto a Luca di che cosa volesse parlare. Dei suoi amori, di lui da bambino, dei suoi sogni, dei suoi personaggi immaginari. Di tutto quello che gli veniva in mente.La mamma ci fece una sorta di scaletta con i possibili argo-menti sui quali parlare in modo da avere un senso crono-logico. In realtà con Luca iniziammo alla rinfusa, il primo argomento di suo interesse diventava il capitolo del gior-no. Lui raccontava a voce e io scrivevo su un quadernone. Quando utilizzava termini poco adeguati o frasi in modo contorto per esprimere un pensiero, gli chiedevo: “Cosa significa? Puoi spiegarmelo con altre parole?”. Cercavo di condurlo ad una riflessione e analisi del suo pensiero che in quel momento si era inceppato. Ci siamo accorti solo dopo che abbiamo scritto anche dei capitoli doppi, dove

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lui ripeteva gli stessi concetti. La sua ricchezza lo porta ad essere ridondante.Se usava termini troppo dialettali come: “Occorre mangia-re cose” il mio intervento era “Luca esiste un altro termine più adeguato e bello da sostituire a “cose” che è troppo generico?”. Lui rifletteva e rispondeva “Sì, cibo o alimen-to”.è capitato anche che nella prima parte di stesura del libro Luca avesse usato toni accesi del tipo “mi sentivo di mer-da”. Poi quando abbiamo riletto i vari capitoli abbiamo riflettuto se fosse ancora d’accordo sull’uso di termini più volgari e lui li ha trovati eccessivi e quindi ha deciso di sostituirli.Una sua caratteristica, attenuatasi con lo sviluppo, è il confondere e mescolare il piano fantastico con quello re-ale mettendo pensieri e immagini in un unico calderone. è successo anche qui: quando raccontava della sua vita, di fatti a lui accaduti e che io non conoscevo. Io trascrivevo tutto poi la madre, rileggendo, ci faceva notare che Luca preso dall’euforia del racconto aveva inserito particolari non corrispondenti al vero. Probabilmente per coprire vuoti di memoria? Chissà.Era un’occasione per parlare con Luca anche di questa tendenza permanente di mescolare realtà e fantasia. è molto consapevole del fatto che sebbene sia un adulto con dei sogni da grande, sposarsi, vivere con la sua fidanzata, avere figli, permane in lui un aspetto infantile e magico che a lui dà sicurezza. Come per esempio il suo rapporto speciale con le sue palline, delle vere compagne di viaggio e confidenti. L’animismo degli oggetti in lui è ancora pre-sente e consolatorio. Del resto a chi non piacerebbe torna-re bambini proprio per quell’aspetto magico e incosciente con cui si guarda il mondo?

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Altra caratteristica tipica di Luca è la divagazione. Si parti-va con argomento preciso come ad esempio “la mia mam-ma” e ci infilava ogni tipo di riflessione, sull’amicizia, su qualche film da lui visto, sull’amore. Riusciva a farci stare tutto. In quei casi era necessario intervenire per riportare il discorso sul giusto binario e ripartire. “Luca ti sembra che c’entri il racconto del film con l’argomento riguardan-te tua mamma?”.A Luca questo lavoro ha richiesto uno sforzo enorme di memoria e rilettura della sua vita e delle sue fasi. è sta-to come rimettere insieme, nell’ordine giusto, tante ma-trioske, dalla più piccola alla più grande. Ogni tanto qual-che pezzo non si trovava più perché la memoria fa brutti scherzi. Lui si arrabbiava con se stesso. Ci sono stati capi-toli iniziati e poi lasciati lì perché non è riuscito a ricordarsi in modo nitido i particolari e formulare un discorso chiaro e sensato. Questa defaiance della memoria la chiamavamo “la nebbia in val Padana”. E si voltava pagina.Era talmente coinvolto nella realizzazione del suo sogno che ha tolto dai cassetti tutte le sue lettere, le abbiamo passate in esame per vedere se potevano diventare mate-riale del libro. Ogni volta che arrivavo mi faceva trovare quadernone vecchi e da lui scritti. Un mare di ricordi.Al di là dell’esito finale, quello che per me è interessante, è il grande lavoro di descrizione di sé che Luca ha fatto, che cosa ricorda e come lo descrive, la consapevolezza che ha di ciò che era e di ciò che è diventato, il messaggio che vuole far passare ai lettori. E questo credo lo si evin-ca bene, i termini da lui utilizzati, anche con ridondanza, sono ottimismo, positività e determinazione. L’idea che tutti ce la possiamo fare.Chi lo conosce può confermare la sua gioia di vivere e la sua energia, l’entusiasmo che mette in ogni esperienza che

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lo mette alla prova. Sono aspetti davvero contagiosi. La-sciano un segno positivo.Mi sono chiesta più volte se Luca sarebbe stato in grado di fare tutto questo da solo. Come tutte le persone con disa-bilità ha bisogno di persone che credano in lui e lo aiutino a partire, a fare il primo passo, lo guidino quando inciam-pa nella difficoltà e nello scoraggiamento. Luca il libro lo voleva scrivere perché quello che aveva da raccontare era per lui importante. Io l’ho accompagnato in questa espe-rienza nuova anche per me.Per Luca è stato un percorso sicuramente formativo, un modo per fare i conti con se stesso, ridefinire i confini di sé, guardarsi allo specchio e riconoscersi. Forse anche sor-prendersi. Perché Luca, come tutti gli altri che come lui hanno dentro il numero 21, ha una sorpresa da svelare. Luca è il ragazzo che parla ancora con le sue palline, crede che la sua bici faccia di tutto per farlo cadere, parla per frasi fatte, sbatte i denti come antistress, lavora come aiuto chef, sogna di sposare la sua fidanzata, vorrebbe realizzare un film fatto da lui, sa di essere un ragazzo con Sindrome di Down, non sopporta avere gli sguardi degli estranei addosso, ha un brutto rapporto con il tempo che scorre, magari non sempre sa mettere sempre l’acca al posto giusto. Ma sa be-nissimo come si fa a vivere felici e superare brillantemente le difficoltà della vita. A me lo ricorda ogni volta. Spero lo faccia anche con voi.

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IntroDUzIone

di Pierluigi Strippoli

Solo pochi anni fa non avrei mai immaginato che avrei potuto scrivere queste righe. Potrà sembrare strano ma, pur essendo un genetista impegnato nella ricerca di labo-ratorio sul cromosoma 21 presso l’Università di Bologna, in quasi cinquant’anni di vita non avevo mai conosciuto nessuno che avesse la sindrome di Down, la più comu-ne disabilità intellettiva di origine genetica causata dalla presenza di un cromosoma 21 in più (trisomia 21), come dimostrò il Prof. Jérôme Lejeune nel 1959. Prima di allora la sindrome di Down veniva attribuita ad una “degenera-zione della razza” conseguente a presunte “tare”, in realtà inesistenti, dei genitori (sifilide, alcolismo, persino disor-dini morali). Sebbene a partire dalla scoperta di Lejeune siano stati fatti enormi passi avanti nelle cure mediche per alcuni dei sintomi così come nella inclusione sociale, molti luoghi comuni sulla sindrome persistono, facendo risalta-re ad esempio solo i problemi senza considerare che nelle persone con sindrome di Down affettività e socialità sono perfettamente conservate, anzi è nota la loro capacità di suscitare intorno a sé un clima di intensità affettiva più grande del normale.In seguito ad un congresso a Parigi nel 2011 e alla risco-perta fortuita della vita e dell’opera di Lejeune (1926-

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1994), ho ricevuto il consiglio, direttamente dalla moglie del grande genetista e pediatra, di “vedere i bambini”. Ho così avuto il privilegio di venire a contatto con la ricchezza costituita da queste persone e dalle loro famiglie, le quali testimoniavano come, dopo un comprensibile shock ini-ziale, il figlio si era via via imposto come il centro affettivo della famiglia, rendendola più unita, facendo riscoprire le cose essenziali della vita, diventando fonte di scoperte inattese (“Vedrà, vedrà”, diceva Lejeune). Da qui la ripre-sa con tutte le forze della nostra ricerca scientifica ispiran-doci al pensiero scientifico di Lejeune, che pensava che i problemi cognitivi originassero da un disturbo del me-tabolismo e univa l’amore verso il disabile, così com’era, all’impegno per trovare una cura che gli permettesse di esprimere tutto il proprio potenziale frenato da un limite biologico, da un “inceppamento” di origine biochimica.Raccontando in giro per l’Italia di Lejeune e della nostra ricerca sono così stato invitato anche a Riccione, dove alla inaugurazione del Centro Educativo “Daniela Conti” di cui leggerete nel libro ho avuto la fortuna di assistere ad un bellissimo spettacolo con coreografie cui partecipavano anche ragazzi con trisomia. Il loro coinvolgimento si face-va apprezzare per impegno e determinazione, ma confesso che non mi aspettavo una vera e propria prestazione di ec-cellenza quando Luca, l’autore di questo libro, ha eseguito il balletto “Greased Lighting” (dal musical “Grease”) nei panni già vestiti da John Travolta!

Ho letto con molto interesse il suo libro, occasione rara di conoscere davvero da vicino, in un onesto racconto in prima persona, la vita di un ragazzo che deve consape-

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volmente fare i conti anche con la sindrome, ma nella cui anima la percezione del miracolo che è la vita, l’entusia-smo misterioso e il desiderio di felicità ed amore sono gli stessi di qualunque uomo, abbia o no il numero corretto di cromosomi (“Vorrei che fosse un amore infinito” dice Luca al culmine del suo percorso affettivo). Perdiamo la possibilità di questa riscoperta quando ci allontaniamo per una paura preconcetta (“la diversità spesso spaventa perché non la conosci”, osserva).Come spesso avviene in questi ragazzi, quasi a compensare il limite cognitivo nel senso più “tecnico” delle capacità, Luca manifesta il dono di saper vedere la realtà nella sua essenza oltre le apparenze, rompendo le convenzioni e i filtri che in noi spesso oscurano lo stupore per l’essere. Da questo punto di vista mi ha colpito il capitolo “Oggetti a me cari”: le cose ci sono, e vanno prese sul serio, con quella serietà del bambino che vuole conoscere il reale e che si accorge di tante piccole cose che il grande non vede più, dà per scontate; una sorpresa per le cose esistenti, che insegna molto a me ricercatore. Così come ci sono pagine in cui dialoghi ed eventi per noi quasi banali sono restituiti con la solennità e la dignità, giustamente, di grandi avve-nimenti (bellissimo l’incontro con la bambina della scuola elementare), e pagine straordinarie sul valore dell’amicizia (“L’amicizia è un valore inestimabile. Non bisogna giudi-care quell’amico che ti sta vicino. Se lo giudichi non sei un vero amico, vai contro di lui”). Pur essendo evidentemente felice della sua vita, Luca, pro-prio come tutti, dove vede un limite vuole superarlo, per-ché l’uomo si sente fatto per la perfezione: “Ho superato un limite e mi sono sentito migliore”. “Se sei in bici e cadi

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non piangere. Tirati su e vedrai che non cadrai più! Que-sto è quello che la Ele mi ha cercato di far capire. Sono felice di aver avuto una persona come lei”. “Con coraggio ho raggiunto quel traguardo che mi sembrava impossibi-le”: andare in bicicletta. è proprio per aiutare in questo che ha senso per il nostro gruppo di ricerca proseguire oggi gli studi: è il compito che indicava Lejeune, il quale, diventato pediatra per amore dei bambini e spiegando di aver imparato quell’amore dai loro genitori, continuava al tempo stesso come genetista ogni sforzo per svelare i mec-canismi della disabilità mentale in modo da poterla curare. Luca ci conferma in questa missione chiedendoci: “Che cos’è che non funziona e a volte ci fa sbagliare?”Concludo osservando che l’impressione generale che mi ha lasciato la testimonianza di Luca è che oggi abbiamo molto da imparare da una genuinità, disarmata e disar-mante, che ama la vita, che si aspetta molto dagli altri, e che conosce la gratitudine: “Mi sento in forma per affron-tare qualsiasi sfida che affronterò con il tempo. Tanto la cosa più importante è che ho una famiglia che mi vuole bene”. “Con l’aiuto di mia mamma, donna molto creden-te, praticante e pure catechista, ho capito quanto sia bel-lo rendere grazie a Dio di quello che ha creato con tanto amore”.

Pierluigi Strippolihttp://www.dimes.unibo.it/it/ricerca/biologia/genoma21

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Tutto inizia da qui.Non ricordo i miei primi anni di vita – ho avuto problemi di cuore, dicono i miei. Ma del resto chi è che non ha mai avuto problemi di cuore nella vita?Ciao.Mi chiamo Luca Leardini.Prima dei problemi di cuore i miei hanno scoperto che avevo la sindrome di Down. Si chiama così come il medico John Langdon Down. Che fantasia. Noi Down abbiamo un cromosoma diverso nel nostro Dna, il cromosoma 21.Il 10 Giugno del 1995 alle ore 11 sono arrivato io!Sono dei gemelli, quindi ho due facce, una contenta e l’al-tra inquieta, che ti fa pensare.Pesavo tre chilogrammi e misuravo 47 centimetri. I nume-ri contano.Dopo il mio primo anno ho fatto il mio primo viaggio in ospedale: mia mamma era in ansia e parecchio in angoscia. Ci sono diverse foto di me col sondino. Ero bello e paffu-to, un po’ stile figlio del Gabibbo!I medici dicevano che avrei avuto dei problemi – e chi non ha avuto problemi?Cominciai ad allenarmi. Allenavo il corpo e la voce.

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Luca Leardini

Mia mamma mi ha sempre letto molti libri a colori, in bianco e nero, grandi e piccoli, lunghi e brevi. Io la ascol-tavo rapito.Poi arrivò il giorno in cui iniziai a fare domande:“Cosa significa?”“Perché?”“Quando?”“Dove è successo?”Così si inizia a parlare – e io parlavo, parlavo – e più par-lavo più la mia chiacchiera aumentava.Ero basso, magrolino, carino e occhialuto. Insomma, ero davvero irresistibile. La gente mi parlava volentieri, mi fa-ceva mille domande e questo stimolava la mia lingua, già grossa di natura. Si chiama macroglossia. La mia lingua era enorme come una balena. Più la stimolavo e più il mio linguaggio si ingigantiva.La mia parlantina mi aiuta – per me è facile parlare con gli altri. Quando però parlo troppo velocemente la mia lingua si incarta e perdo il filo del discorso.Altre volte mi invento un mucchio di cose pur di parlare.Altre volte ancora dovrei stare zitto ma non ci riesco per-ché la voglia di dire qualcosa è troppo forte.Le parole non mi mancano. Mi manca il controllo – ma le persone troppo controllate sono noiose.“Luca non dire niente. Mi raccomando!”: ma non resisto e svelo sempre segreti e sorprese.Sono un fiume in piena.Lo cantava anche Mina “Parole parole parole!”.Io sono così.

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La ceLIachIa

Sono Down, sono stato operato due volte al cuore… sono anche celiaco.Per i miei è stato il terzo shock.All’inizio hanno avuto paura pensando fosse grave. Se pri-ma mangiavo cibi normali e stavo male, scoperta la causa ho cambiato alimentazione mangiando cibi privi di glutine e con la spiga barrata.Finalmente ho cominciato a stare meglio.Ora come ora la celiachia per me non è più un problema. Ci convivo benissimo, so quello che devo mangiare, so bene che non devo mangiare cibi che mangiano gli altri. Altrimenti le mie labbra si screpolano.Come quella volta in cui un mio amico portò a danza dei biscotti ed io ne mangiai uno. Il giorno dopo mi sono al-zato con le labbra tutte screpolate e mia madre si è arrab-biata, mi ha fatto una testa così, mi ha fatto capire che non devo più mangiare cibo offerto e portato da altri.Per chi non lo sapesse, la celiachia è un’intolleranza per-manente al glutine e può dare diversi sintomi: diarrea, di-sturbi gastrici, vomito, sensi di nausea, reazioni cutanee.I cibi che contengono glutine sono orzo, grano, farro, se-gale, avena, kamut, triticale, spelta. Quelli a rischio sono gelati, zuccheri, caramelle, etc.

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