Uno spazio più pulito per una Terra più sicura

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INTERVISTA 11 Corriere degli Italiani Mercoledi 3 settembre 2014 di Chiara Marcon ZURIGO - Luca Rossettini è il CEO della D-Orbit, una start up italiana, che sviluppa dispositivi in grado di rimuovere satelliti artificiali dalla propria orbita al termine della loro vita operativa. Il deorbitaggio viene eseguito in modo sicuro e veloce. Il dispositivo viene installato sul satellite prima del lancio. Esso for- nisce un accesso sostenibile allo spazio, estende la vita del satellite e aumenta i ricavi dell’operatore finale. Grazie a D-Orbit il concetto di sostenibilità si sposa con l’esi- genza di un migliore utilizzo del satellite e, dunque, maggiori ricavi. I rifiuti spaziali sono una grave mi- naccia per le attività spaziali e per la sicurezza dell’uomo: nei prossimi anni, la probabilità di guasto dei satelliti, causata dalla collisione con piccoli frammenti, aumenterà di quasi tre ordini di grandezza. D-Orbit è la soluzione all’inquina- mento spaziale. In un momento in cui l’Italia sembra il fanalino di coda dell’Europa, ci sono giovani meritevoli pronti ad investire nel loro paese di origine, idee e formazione, Luca Rossettini ci ha concesso questa intervista per approfondire meglio la cono- scenza della D Orbit. Com’è nata e qual è l’ idea di base della D- Orbit? La società di cui oggi sono CEO, D-Orbit S.r.l., nasce nel 2011 grazie a una mia intuizione. Il mio obiet- tivo era quello di fondere compe- tenze tecniche con le problematiche di sostenibilità e sicurezza spaziale. Oggi lo spazio vive la stessa pro- blematica a cui aria, terra e mari sono stati condannati in anni pas- sati: l’inquinamento. Estendere i sani principi della sostenibilità ad un settore come quello dello spazio, tanto lontano dalle nostre atten- zioni quanto perennemente pre- sente nelle nostre azioni di vita quotidiana (si pensi ad internet, GPS, previsioni meteo, sicurezza aerea, ecc) è diventato un must nella filosofia aziendale sia in ter- mini di impatti positivi sui profitti dei principali players dell’industria spaziale sia in termini di benefici per l’intera società. A ciò si aggiunge l’interesse verso un trend di mercato che nella prossima decade prevede il lancio di circa 1.200 nuovi satelliti. Un volume in crescita del 10-15% ogni anno, anche in periodi di piena crisi economica. L’idea di- ventata poi soluzione, sempre più apprezzata, consiste nell’installare a bordo dei satelliti prima del loro lancio in orbita un decommissio- ning device capace di rimuovere in modo controllato e sicuro gli stessi dalla propria orbita al termine della missione operativa, o ancora di riposizionarli nell’orbita di de- stinazione in caso di malfunzio- namento. La tecnologia grazie alle sue caratteristiche assicura di evitare potenziali collisioni contro altri mezzi operativi nello spazio e ca- dute incontrollate sul suolo terre- stre. Come si è formato il vostro team? Grazie al programma Fulbright Best, a cui ho partecipato come borsista nel 2009, l’idea si è con- cretizzata in progetto di business non solo per meriti tecnici, un Bu- siness Plan di ferro, strategia di marketing e analisi di mercato ap- prese presso la Santa Clara Uni- versity, ma anche e soprattutto grazie ad un team di eccellenza. Eccellenza Italiana. In quella cir- costanza ho incontrato Renato Pa- nesi, anch’egli ingegnere aerospa- ziale con una carriera decennale in R&D e una grande voglia di ri- voluzionare gli ambienti spaziali spesso troppo reticenti a sposare nuove soluzioni. Rientrati in Italia abbiamo completato il team apren- do le porte ad altre due brillanti menti italiane: Thomas Panozzo e Giuseppe Tussiwand, entrambi con diversi anni di esperienza alle spalle in colossi europei dell’industria spaziale e militare, chi nel settore dei lanciatori chi in quello della propulsione, e tanta voglia di con- tribuire in modo intelligente al be- nessere delle future missioni spa- ziali. Visto che il settore in cui operate necessita di ingenti capitali, dove avete reperito il capitale iniziale? D-Orbit Srl nasce grazie alla fiducia riposta nel progetto e nel team da un fondo di Ventur Capital italiano che per mezzo di un seed inve- stment ha consentito la fondazione nel 2011 della società. Ad oggi il Fondo di Investimento ha sostenuto D-Orbit per 1.5 milioni di Euro, fa- vorendo lo sviluppo del dispositivo e la validation delle sue parti criti- che, la costituzione di un team di 15 persone, investimento in facilities e nuove filiali della società in Italia e all’estero. Dove avete testato il vostro dispo- sitivo? Il motore a solido del nostro di- spositivo è stato testato a terra nel 2011 presso le facilities di un nostro fornitore tedesco; nel 2012 il cervello del dispositivo, ossia la parte elet- tronica, soddisfa tutti i requisiti richiesti dai test di terra; dopo ap- pena un anno, nel Novembre del 2013, le parti critiche della tecno- logia prendono il volo verso lo spa- zio per una validation in ambiente critico, accendendo luce verde alle successive fasi di sviluppo. Proprio in questi mesi, infatti il gruppo di ingegneri implementa una roadmap ambiziosa quanto motivante che porterà nella prima metà del 2015 ad una dimostrazione sull’affida- bilità delle prestazioni del dispo- sitivo e che vedrà il primo decom- missioning device a bordo di un satellite. Trovate facile le collaborazioni con altri enti? Il settore spaziale è caratterizzato per essere conteso da pochi players, tutti colossi. Una mosca come D- Orbit può essere schiacciata se si pone in competizione con uno di essi, o se propone una tecnologia di poco valore, impatti irrilevanti sui profitti e sullo sviluppo delle future missioni. D-Orbit, invece, grazie alle intuizioni dei fondatori concepite in anticipo rispetto alle normative internazionali in tema di space debris mitigation e ai plan delle grosse industrie spaziali, ini- zialmente insensibili al problema degli space debris, ha conquistato in questi tre anni tanti riconosci- menti e intenti commerciali di im- portante valore economico. La col- laborazione con i costruttori e gli operatori satellitari è sempre più fitta e proficua. Le istituzioni hanno iniziato a monitorare l’operato della piccola società italiana con l’inte- resse di chi vuol cambiare rotta e investire in un modo nuovo e di- namico di fare impresa. Le regola- mentazioni internazionali mutano rapidamente quasi volessero dar credito a quella che è al momento l’unica soluzione ‘pronta all’uso’ nella risoluzione del principale rompicapo di molteplici scienziati spaziali. Il supporto trovato presso università e centri di ricerca è as- solutamente proficuo in termini di ricerca, testing e human resour- ces. Visto che lo spazio non appartiene a nessuno, che interesse si dovrebbe avere a ripulirlo? Il Trattato internazionale che co- stituisce la gerarchia giuridica di base della regolamentazione aero- spaziale, il Outer Space Teatry, getta i principi che governano le attività degli Stati in materia di esplorazione e utilizzazione dello spazio extra-atmosferico. Se da un lato le leggi che governano questo settore statuiscono che lo spazio non è di nessuno, e cioè che nessun soggetto esercita la propria podestà su di esso, dall’altro legifera in ma- niera assoluta che lo spazio è un bene comune dell’umanità. Questo assunto autorizza tutti i governi, le imprese e cittadini a preservarlo e sfruttarlo in modo sostenibile e intelligente. Se a ciò si sommano i guadagni economici e l’incremento dei profitti che tutti i players spa- ziali otterrebbero da un approccio sostenibile delle proprie missioni non sussistono altre dissertazioni per sostenere tesi contrarie alla so- luzione proposta da D-Orbit. Installare D-Orbit vuol dire far au- mentare anche i costi di un satellite, quanto dovrebbe costare in più in progetto con D Orbit? Non è esattamente corretto. Chi fa business non è tenuto a generare ricavi di breve-media scadenza ma è responsabile a produrre profitti di lungo periodo vantaggiosi per una crescita aziendale sostenibile e costante. Investire in nuovi mo- delli di sviluppo e nuove tecnologie, seppur apparentemente costose, garantisce margini di guadagno at- tesi positivi nonché slancio sui competitors. Questa è la dinamica che abbraccerebbero i clienti di D- Orbit nell’installare il dispositivo di rimozione sui propri satelliti: investirebbero, in altre parole, su una spesa iniziale aggiuntiva va- riabile dell’1-3% rispetto il valore del satellite in cambio di assicurarsi guadagni di missione milionari, oltre 25 Milioni di Euro. In breve, l’investimento del dispositivo si ri- pagherebbe da solo grazie ai con- seguenti guadagni di profitto di cui beneficerebbero gli operatori spaziali e a cui si sommano i gua- dagni ricavati dall’abbattimento della responsabilità per danni a cose o persone che si traducono, normalmente, in ingenti premi as- sicurativi da versare. In pochi anni avete vinto già tanti premi e riconoscimenti internazionali quali sono i vostri progetti futuri? D-Orbit opera in un settore di nic- chia poco perforato dalla comuni- cazione e l’interesse di massa; tut- tavia, l’idea innovativa proposta ha ricevuto in questi anni il benestare degli scienziati e catturato l’atten- zione del vasto pubblico. A con- fermare ciò i numerosi premi e ri- conoscimenti assegnati al team di D-Orbit che hanno conferito non solo visibilità e networking ma so- prattutto credibilità nel prodotto. Nel medagliere della società si an- noverano i successi conseguiti pres- so i più prestigiosi fori internazio- nali: MIT Technology, Mind the Bridge , Red Herring Global, Mass Challange Award e molti altri an- cora. La credibilità conquistata e il supporto del pubblico hanno so- stenuto il progetto in mesi di duro lavoro e gettato basi e presupposti per sviluppi futuri, che culmine- ranno con la missione di dimo- strazione in orbita della prima ri- mozione di un satellite inattivo in modo sicuro e controllato. Si investe abbastanza nel vostro set- tore ? In tempi di crisi come quelli che vivono le nostre società da qualche anno a questa parte non ci sono ri- sorse economiche o investimenti che bastino per supportare le nuove idee che in sordina nascono nel nostro Paese. Ciò accade in tutti i settori, ancor di più nel settore spazio in cui si richiedono sforzi finanziari ancora più consistenti. Il taglio degli investimenti pubblici A colloquio con Luca Rossettini, CEO della D-Orbit che si occupa di rimuovere oggetti incontrollati nello spazio Uno spazio più pulito per una Terra più sicura nella ricerca, nello sviluppo di nuovi prodotti, tecnologie e modelli di crescita nuovi carat- terizza malamente la vita di tutte le imprese e di tutte le menti brillanti vogliose di fare imprenditoria. In una situazione del genere un palliativo vincente non può che essere quello di favorire strumenti di finanziamento alternativi, procedimenti di concessione del credito semplificati e modelli di finanzia- mento che partano dal basso, perché no dalle persone. Le istituzioni, tutte, sono i principali soggetti chiamati in causa nel fa- cilitare un cambiamento culturale del genere e i responsabili al rilancio delle economie nazionali. Avete appena presentato D-Orbit a Zurigo quali sono le vostre impressioni? Iniziative come quella presentata a Zurigo lo scorso 17 giugno sono assolutamente vitali per startup come D-Orbit. Il clima di inte- resse, la voglia di cambiamento e i propositi dinamici accompagnati da un variegato pub- blico di esperti pronti ad investire in nuovi prodotti, mercati emergenti e menti brillanti è lo spirito giusto per uscire dalla crisi, dai luoghi comuni e dallo sconforto che troppo spesso assale i nostri giovani e imprenditori. Per D-Orbit essere presenti al Made Innov- It@ly ha significato non solo far conoscere il progetto e il prodotto, aver incrementato il portfolio contatti, aver ricevuto speranzose pacche di mano sulle spalle, ma soprattutto aver dimostrato che ‘italianità’ non è solo spaghetti, pizza e mandolino ma anche tec- nologia d’avanguardia ed eccellenza in un settore poco rappresentativo, oggi, del nostro Paese, come quello dello Spazio. Il problema dei rifiuti spaziali Ad oggi, sono stati lanciati più di 6000 satelliti nello spazio, ma solo 1100 risultano ancora operativi. I rimanenti, per la maggior parte, orbitano intorno alla Terra in modo del tutto incontrollato andando a costituire quella che gli esperti chiamano spazzatura spaziale o space debris. Cinquanta anni fa le orbite intorno alla Terra erano vuote e c’era spazio sufficiente per accogliere i satelliti che da lì a poco sarebbero stati lanciati sempre più numerosi. Con il tempo, il numero di oggetti spaziali incontrollati ed abbandonati è cresciuto in modo esponenziale, a tal punto che abbiamo iniziato ad assistere alle prime collisioni tra satelliti e debris. Oggi, più di 300 milioni di detriti ruotano a circa 35.000 km/h. Il rischio di collisione con satelliti operativi e velivoli spaziali è aumentato dram- maticamente. I detriti spaziali pongono due problemi: Innanzitutto, sono un pericolo per i satelliti operativi; una collisione tra un sa- tellite inattivo e un satellite operativo di- struggerebbe o danneggerebbe quest’ultimo. Nuovi frammenti verrebbero generati fino a rendere l’orbita inutilizzabile; in secondo luogo, il fenomeno costituisce una grave mi- naccia per l’umanità sulla Terra: ogni giorno detriti spaziali rientrano dallo spazio schian- tandosi sulla Terra, senza che nessuno possa prevedere né quando né dove. A titolo di esempio, nel settembre 2011, il satellite UARS della NASA è rientrato incontrollato sulla Terra: i giorni precedenti allo schianto si sono contraddistinti per una mobilitazione mediatica internazionale molto energica, per intense attività di valutazione dei rischi e per continui avvertimenti rivolti al pubblico che suggerivano di evitare luoghi all’aperto. Altro episodio degno di nota è quello relativo al satellite DLR ROSAT, caduto nel Golfo del Bengala nel mese di ottobre 2011: se il rientro fosse avvenuto pochi minuti dopo quello ef- fettivo, Pechino, la capitale cinese con più di 17 milioni di residenti, sarebbe stata colpita. Facilitare il cambiamento culturale

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Luca Rossettini è il CEO della D-Orbit, una start up italiana, che sviluppa dispositivi in grado di rimuovere satelliti artificiali dalla propria orbita al termine della loro vita operativa. Interview to Luca Rossettini CEO of D-Orbit S.r.l., italian company that guarantees a clean and safe access to space

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INTERVISTA 11Corriere degli ItalianiMercoledi 3 settembre 2014

di Chiara Marcon

ZURIGO - Luca Rossettini è il CEOdella D-Orbit, una start up italiana,che sviluppa dispositivi in gradodi rimuovere satelliti artificiali dallapropria orbita al termine della lorovita operativa. Il deorbitaggio vieneeseguito in modo sicuro e veloce.Il dispositivo viene installato sulsatellite prima del lancio. Esso for-nisce un accesso sostenibile allospazio, estende la vita del satellitee aumenta i ricavi dell’operatorefinale. Grazie a D-Orbit il concettodi sostenibilità si sposa con l’esi-genza di un migliore utilizzo delsatellite e, dunque, maggiori ricavi.I rifiuti spaziali sono una grave mi-naccia per le attività spaziali e perla sicurezza dell’uomo: nei prossimianni, la probabilità di guasto deisatelliti, causata dalla collisionecon piccoli frammenti, aumenteràdi quasi tre ordini di grandezza.D-Orbit è la soluzione all’inquina-mento spaziale. In un momento in cui l’Italia sembrail fanalino di coda dell’Europa, cisono giovani meritevoli pronti adinvestire nel loro paese di origine,idee e formazione, Luca Rossettinici ha concesso questa intervistaper approfondire meglio la cono-scenza della D Orbit.

Com’è nata e qual è l’ idea di base

della D- Orbit?

La società di cui oggi sono CEO,D-Orbit S.r.l., nasce nel 2011 graziea una mia intuizione. Il mio obiet-tivo era quello di fondere compe-tenze tecniche con le problematichedi sostenibilità e sicurezza spaziale.Oggi lo spazio vive la stessa pro-blematica a cui aria, terra e marisono stati condannati in anni pas-sati: l’inquinamento. Estendere isani principi della sostenibilità adun settore come quello dello spazio,tanto lontano dalle nostre atten-zioni quanto perennemente pre-sente nelle nostre azioni di vitaquotidiana (si pensi ad internet,GPS, previsioni meteo, sicurezzaaerea, ecc) è diventato un mustnella filosofia aziendale sia in ter-mini di impatti positivi sui profittidei principali players dell’industriaspaziale sia in termini di beneficiper l’intera società. A ciò si aggiungel’interesse verso un trend di mercatoche nella prossima decade prevedeil lancio di circa 1.200 nuovi satelliti.Un volume in crescita del 10-15%ogni anno, anche in periodi dipiena crisi economica. L’idea di-ventata poi soluzione, sempre piùapprezzata, consiste nell’installarea bordo dei satelliti prima del lorolancio in orbita un decommissio-ning device capace di rimuoverein modo controllato e sicuro glistessi dalla propria orbita al terminedella missione operativa, o ancoradi riposizionarli nell’orbita di de-stinazione in caso di malfunzio-namento. La tecnologia grazie allesue caratteristiche assicura di evitarepotenziali collisioni contro altrimezzi operativi nello spazio e ca-dute incontrollate sul suolo terre-stre.

Come si è formato il vostro team?

Grazie al programma FulbrightBest, a cui ho partecipato comeborsista nel 2009, l’idea si è con-cretizzata in progetto di businessnon solo per meriti tecnici, un Bu-siness Plan di ferro, strategia dimarketing e analisi di mercato ap-prese presso la Santa Clara Uni-versity, ma anche e soprattuttograzie ad un team di eccellenza.Eccellenza Italiana. In quella cir-costanza ho incontrato Renato Pa-nesi, anch’egli ingegnere aerospa-ziale con una carriera decennalein R&D e una grande voglia di ri-

voluzionare gli ambienti spazialispesso troppo reticenti a sposarenuove soluzioni. Rientrati in Italiaabbiamo completato il team apren-do le porte ad altre due brillantimenti italiane: Thomas Panozzo eGiuseppe Tussiwand, entrambi condiversi anni di esperienza alle spallein colossi europei dell’industriaspaziale e militare, chi nel settoredei lanciatori chi in quello dellapropulsione, e tanta voglia di con-tribuire in modo intelligente al be-nessere delle future missioni spa-ziali.

Visto che il settore in cui operate

necessita di ingenti capitali, dove

avete reperito il capitale iniziale?

D-Orbit Srl nasce grazie alla fiduciariposta nel progetto e nel team daun fondo di Ventur Capital italianoche per mezzo di un seed inve-stment ha consentito la fondazionenel 2011 della società. Ad oggi ilFondo di Investimento ha sostenutoD-Orbit per 1.5 milioni di Euro, fa-vorendo lo sviluppo del dispositivoe la validation delle sue parti criti-che, la costituzione di un team di15 persone, investimento in facilitiese nuove filiali della società in Italiae all’estero.

Dove avete testato il vostro dispo-

sitivo?

Il motore a solido del nostro di-spositivo è stato testato a terra nel2011 presso le facilities di un nostrofornitore tedesco; nel 2012 il cervellodel dispositivo, ossia la parte elet-tronica, soddisfa tutti i requisitirichiesti dai test di terra; dopo ap-pena un anno, nel Novembre del2013, le parti critiche della tecno-logia prendono il volo verso lo spa-zio per una validation in ambientecritico, accendendo luce verde allesuccessive fasi di sviluppo. Proprioin questi mesi, infatti il gruppo diingegneri implementa una roadmapambiziosa quanto motivante cheporterà nella prima metà del 2015ad una dimostrazione sull’affida-bilità delle prestazioni del dispo-sitivo e che vedrà il primo decom-missioning device a bordo di unsatellite.

Trovate facile le collaborazioni con

altri enti?

Il settore spaziale è caratterizzatoper essere conteso da pochi players,tutti colossi. Una mosca come D-Orbit può essere schiacciata se sipone in competizione con uno diessi, o se propone una tecnologiadi poco valore, impatti irrilevantisui profitti e sullo sviluppo dellefuture missioni. D-Orbit, invece,

grazie alle intuizioni dei fondatoriconcepite in anticipo rispetto allenormative internazionali in temadi space debris mitigation e ai plandelle grosse industrie spaziali, ini-zialmente insensibili al problemadegli space debris, ha conquistatoin questi tre anni tanti riconosci-menti e intenti commerciali di im-portante valore economico. La col-laborazione con i costruttori e glioperatori satellitari è sempre piùfitta e proficua. Le istituzioni hannoiniziato a monitorare l’operato dellapiccola società italiana con l’inte-resse di chi vuol cambiare rotta einvestire in un modo nuovo e di-namico di fare impresa. Le regola-mentazioni internazionali mutanorapidamente quasi volessero darcredito a quella che è al momentol’unica soluzione ‘pronta all’uso’nella risoluzione del principalerompicapo di molteplici scienziatispaziali. Il supporto trovato pressouniversità e centri di ricerca è as-solutamente proficuo in terminidi ricerca, testing e human resour-ces.

Visto che lo spazio non appartiene

a nessuno, che interesse si dovrebbe

avere a ripulirlo?

Il Trattato internazionale che co-stituisce la gerarchia giuridica dibase della regolamentazione aero-spaziale, il Outer Space Teatry,getta i principi che governano leattività degli Stati in materia diesplorazione e utilizzazione dellospazio extra-atmosferico. Se da unlato le leggi che governano questosettore statuiscono che lo spazionon è di nessuno, e cioè che nessunsoggetto esercita la propria podestàsu di esso, dall’altro legifera in ma-niera assoluta che lo spazio è unbene comune dell’umanità. Questoassunto autorizza tutti i governi,le imprese e cittadini a preservarloe sfruttarlo in modo sostenibile eintelligente. Se a ciò si sommano iguadagni economici e l’incrementodei profitti che tutti i players spa-ziali otterrebbero da un approcciosostenibile delle proprie missioninon sussistono altre dissertazioniper sostenere tesi contrarie alla so-luzione proposta da D-Orbit.

Installare D-Orbit vuol dire far au-

mentare anche i costi di un satellite,

quanto dovrebbe costare in più in

progetto con D Orbit?

Non è esattamente corretto. Chi fabusiness non è tenuto a generarericavi di breve-media scadenza maè responsabile a produrre profittidi lungo periodo vantaggiosi peruna crescita aziendale sostenibile

e costante. Investire in nuovi mo-delli di sviluppo e nuove tecnologie,seppur apparentemente costose,garantisce margini di guadagno at-tesi positivi nonché slancio suicompetitors. Questa è la dinamicache abbraccerebbero i clienti di D-Orbit nell’installare il dispositivodi rimozione sui propri satelliti:investirebbero, in altre parole, suuna spesa iniziale aggiuntiva va-riabile dell’1-3% rispetto il valoredel satellite in cambio di assicurarsiguadagni di missione milionari,oltre 25 Milioni di Euro. In breve,l’investimento del dispositivo si ri-pagherebbe da solo grazie ai con-seguenti guadagni di profitto dicui beneficerebbero gli operatorispaziali e a cui si sommano i gua-dagni ricavati dall’abbattimentodella responsabilità per danni acose o persone che si traducono,normalmente, in ingenti premi as-sicurativi da versare.

In pochi anni avete vinto già tanti

premi e riconoscimenti internazionali

quali sono i vostri progetti futuri?

D-Orbit opera in un settore di nic-chia poco perforato dalla comuni-cazione e l’interesse di massa; tut-tavia, l’idea innovativa proposta haricevuto in questi anni il benestaredegli scienziati e catturato l’atten-zione del vasto pubblico. A con-fermare ciò i numerosi premi e ri-conoscimenti assegnati al team diD-Orbit che hanno conferito nonsolo visibilità e networking ma so-prattutto credibilità nel prodotto.Nel medagliere della società si an-noverano i successi conseguiti pres-so i più prestigiosi fori internazio-nali: MIT Technology, Mind theBridge , Red Herring Global, MassChallange Award e molti altri an-cora. La credibilità conquistata e ilsupporto del pubblico hanno so-stenuto il progetto in mesi di durolavoro e gettato basi e presuppostiper sviluppi futuri, che culmine-ranno con la missione di dimo-strazione in orbita della prima ri-mozione di un satellite inattivo inmodo sicuro e controllato.

Si investe abbastanza nel vostro set-

tore ?

In tempi di crisi come quelli chevivono le nostre società da qualcheanno a questa parte non ci sono ri-sorse economiche o investimentiche bastino per supportare le nuoveidee che in sordina nascono nelnostro Paese. Ciò accade in tutti isettori, ancor di più nel settorespazio in cui si richiedono sforzifinanziari ancora più consistenti.Il taglio degli investimenti pubblici

A colloquio con Luca Rossettini, CEO della D-Orbit che si occupa di rimuovere oggetti incontrollati nello spazio

Uno spazio più pulitoper una Terra più sicura

nella ricerca, nello sviluppo di nuovi prodotti,tecnologie e modelli di crescita nuovi carat-terizza malamente la vita di tutte le impresee di tutte le menti brillanti vogliose di fareimprenditoria. In una situazione del genereun palliativo vincente non può che esserequello di favorire strumenti di finanziamentoalternativi, procedimenti di concessione delcredito semplificati e modelli di finanzia-mento che partano dal basso, perché nodalle persone. Le istituzioni, tutte, sono iprincipali soggetti chiamati in causa nel fa-cilitare un cambiamento culturale del generee i responsabili al rilancio delle economienazionali.

Avete appena presentato D-Orbit a Zurigo

quali sono le vostre impressioni?

Iniziative come quella presentata a Zurigolo scorso 17 giugno sono assolutamente vitaliper startup come D-Orbit. Il clima di inte-resse, la voglia di cambiamento e i propositidinamici accompagnati da un variegato pub-blico di esperti pronti ad investire in nuoviprodotti, mercati emergenti e menti brillantiè lo spirito giusto per uscire dalla crisi, dailuoghi comuni e dallo sconforto che troppospesso assale i nostri giovani e imprenditori.Per D-Orbit essere presenti al Made Innov-It@ly ha significato non solo far conoscereil progetto e il prodotto, aver incrementatoil portfolio contatti, aver ricevuto speranzosepacche di mano sulle spalle, ma soprattuttoaver dimostrato che ‘italianità’ non è solospaghetti, pizza e mandolino ma anche tec-nologia d’avanguardia ed eccellenza in unsettore poco rappresentativo, oggi, del nostroPaese, come quello dello Spazio.

Il problema dei rifiuti spazialiAd oggi, sono stati lanciati più di 6000satelliti nello spazio, ma solo 1100 risultanoancora operativi. I rimanenti, per la maggiorparte, orbitano intorno alla Terra in mododel tutto incontrollato andando a costituirequella che gli esperti chiamano spazzaturaspaziale o space debris. Cinquanta anni fa leorbite intorno alla Terra erano vuote e c’eraspazio sufficiente per accogliere i satellitiche da lì a poco sarebbero stati lanciatisempre più numerosi. Con il tempo, il numerodi oggetti spaziali incontrollati ed abbandonatiè cresciuto in modo esponenziale, a tal puntoche abbiamo iniziato ad assistere alle primecollisioni tra satelliti e debris. Oggi, più di300 milioni di detriti ruotano a circa 35.000km/h. Il rischio di collisione con satellitioperativi e velivoli spaziali è aumentato dram-maticamente. I detriti spaziali pongono dueproblemi: Innanzitutto, sono un pericolo peri satelliti operativi; una collisione tra un sa-tellite inattivo e un satellite operativo di-struggerebbe o danneggerebbe quest’ultimo.Nuovi frammenti verrebbero generati fino arendere l’orbita inutilizzabile; in secondoluogo, il fenomeno costituisce una grave mi-naccia per l’umanità sulla Terra: ogni giornodetriti spaziali rientrano dallo spazio schian-tandosi sulla Terra, senza che nessuno possaprevedere né quando né dove. A titolo diesempio, nel settembre 2011, il satellite UARSdella NASA è rientrato incontrollato sullaTerra: i giorni precedenti allo schianto sisono contraddistinti per una mobilitazionemediatica internazionale molto energica, perintense attività di valutazione dei rischi eper continui avvertimenti rivolti al pubblicoche suggerivano di evitare luoghi all’aperto.Altro episodio degno di nota è quello relativoal satellite DLR ROSAT, caduto nel Golfo delBengala nel mese di ottobre 2011: se il rientrofosse avvenuto pochi minuti dopo quello ef-fettivo, Pechino, la capitale cinese con più di17 milioni di residenti, sarebbe stata colpita.

Facilitare

il cambiamento

culturale