universolocale - Novità – Tarka edizioni · San Martino e il diavolo 17 Il diavolo e la festa da...

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universolocaleVolumi già pubblicati:

Pontremoli, di Luigi CampolonghiNella Tormenta, di Luigi CampolonghiCucina e salute con le erbe di Lunigiana, di G. B. MartinelliI librai pontremolesi, di G. B. Martinelli

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A CURA DI CATERINA RAPETTI

STORIE E FILASTROCCHE

DI LUNIGIANA

PREMESSA DI BRUNO PIANTA

DISEGNI DI FAUSTO GILBERTI

TARKA

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Le immagini di Fausto Gilberti alle pagine 9, 15 e 33 sono tratte dalla copia del libro d’artista realizzato per conto di Lunigiana Contemporanea e del Comune di Mulazzo in occasione della Festa del libro di Montereggio del 2013.

Le illustrazioni alle pagine 79 e 83 sono state ricavate da una cartella di vecchi acquerelli gentilmente prestati dal comm. Mario Mengoli.

Storie e filastrocche di Lunigiana a cura di Caterina Rapetti

La prima edizione di questo libro è stata pubblicata nel 1985Nuova edizione: novembre 2014

Tutti i diritti sono riservati

© 2014 Tarka/Fattoria del Mare s.a.s. di Franco MuzzioPiazza Dante 2 - Mulazzo (MS)www.tarka.it

ISBN: 978-88-98823-46-8Questo libro è disponibile anche in ebook (ISBN 9788898823451)Impaginazione ed editing: Monica Sala

Stampa Printbee- Padova

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INDICE

Premessa IXC’era una volta XIII

Storie e filastrocche di Lunigiana 1

Fiabe e storie 3Il lupo e la volpe 5Leonzio 7Pipetta 10Agostino 12Gli anni del diavolo 14San Martino e il diavolo 17Il diavolo e la festa da ballo 19Il diavolo e il contadino 20La processione 22La processione di Miettin 23L’uomo e la processione 24La Piana della bilancia 26La Piana d’la balanza 28Bighelón 30Scarplin 31La gamba di legno 32

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VI

La ragazza del ballo 35Serafino 37L’unzione dei trenta 38Lo stagnino 39L’uomo con il piviale e la candela 40La sorella del parroco 41La veglia nel seccatoio 42Le bestie che parlano 44Due pomodori e un’arancia 45Il mortaletto d’oro 48La bambina e la vecchina 50Le due sorelle e la fata 52La favola di Belinda 54L’acqua verde 56Pampotín 58Il matto e il savio 61Ammazzacento 63L’omino dall’erba miracolosa 65Le quaglie magiche 67Pipetta e il mercante 68La camicia del prete 70Le noci del prete 72La predica 73La vacca e la somara 75Il contadino e il frate 77Un uomo devoto 78L’uomo che non andava mai in chiesa 80L’uomo e i crocifissi 81Pierino e la polenta 82

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VII

La leggenda della Madonna del Monte 84La leggenda della Madonna della neve 85

Filastrocche 87Baleta i a pers la se rguleta 88Baletta ha perso la sua palla 89La mama la dis a Pierin… 92La mamma chiede a Pierino… 93Su da Vala canta al gal… 96Catarina pia cl’om… 98A gh’era n’om… 99Din don campanon 100Stanga berlanga… 102Pizza galin galon galà… 103Prin pusel… 104Cavalin a rò a rò 105Filastrocche “blasoni” sugli abitanti dei paesi 106Filastrocche brevi 108

Preghiere 111Pater noster pizinin… 113Ama Dio e non falir 115Canta canta rosa e fior 116

Proverbi 119I mesi, il tempo e l’agricoltura 120Vita quotidiana 128

Bibliografia e note 133

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IX

PREMESSA

Una raccolta di storie, un repertorio narrativo, comun-que esso si manifesti – il repertorio orale di un singolo narratore; un’antologia letteraria; una raccolta scientifica

con tutti i crismi dell’ortodossia filologica e critica – prima del-la somma delle sue componenti rappresenta un “tutto” dai tratti specifici e caratterizzanti; ed è a questo “tutto” (come a qualunque altro edificio culturale che pur si esprime nelle sue articolazioni) che noi dobbiamo la nostra impressione complessiva, il quid emo-tivo che, al di là delle nostre singole reazioni – questo sì, questo no, bello questo, fiacco quest’altro – ci fa aderire o meno alla raccolta e alle sue esplicite o implicite motivazioni.

Il repertorio raccolto in questo volume definisce il momen-to di arrivo (o di partenza? Auguriamocelo) di un lavoro collettivo scolastico. L’animazione pedagogica, le attività parascolastiche, la sperimentazione didattica ci hanno già abituati, per la verità, a questo tipo di impresa, e probabilmente sono innumerevoli, in Ita-lia, i lavori di ricerca sulla cultura orale e il mondo contadino con-dotti da ragazzini sotto la guida dell’insegnante; molti di questi, qualunque sia la bontà dell’esito, esauriscono la loro funzione nella contingenza scolastica, nell’ambito didattico per cui sono nati; al-cuni, spesso inaspettatamente per quanti vi hanno partecipato, si propongono per una fruizione più vasta, in una prospettiva auto-noma dall’ambito didattico che li ha generati.

Ed è, per esempio, il caso di questa raccolta.

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X

Il primo dato rilevante, rispetto ai lavori analoghi, è la va-stità del materiale raccolto. Soltanto i quarantasette brani raccolti nelle Fiabe e Storie costituiscono, nella loro eterogeneità, un’ottima campionatura del materiale narrativo in uso nelle veglie contadine: fiabe di magia, apologhi moralistici, fiabe di animali, racconti di mostri e di fantasmi, storie umoristiche di astuzia e dabbenaggine. A queste si aggiungono le leggende agiografiche e i materiali me-tricamente formalizzati delle filastrocche e delle preghiere, nonché i proverbi.

Il secondo dato da prendere in considerazione è l’approc-cio dei ragazzi al materiale. Si illuderebbe infatti chi ritenesse la documentazione qui raccolta lo specchio di una realtà comuni-cativa tutt’ora operante: i giovanissimi raccoglitori, dell’Appennino Tosco-Emiliano espressivamente figli della scuola dell’obbligo, dei fumetti, dei cartoni animati, dei telefilm, hanno scoperto questa realtà, apparentemente così vicina a loro, ma in realtà già proietta-ta in un’era lontanissima, quella dei nonni, testimoni del mondo preindustriale in un mondo ormai postindustriale (ma per i giova-ni ascoltatori: testimonianze o mito? Ma cosa è la fame? Ma come si fa ad andare scalzi? Ma cosa vuol dire lavorare dodici e più ore al giorno? Ma chi ci crede che si girava a piedi tutta l’Italia a cercare lavoro, o a smerciare libri? Ma ce la raccontano giusta, o sono an-che queste favole per farci stare in riga?). Dunque la raccolta non è fatta di materiale espressivo quotidianamente familiare, ma è frut-to di una acquisizione, senza dubbio affascinante (perché altrimen-ti la stanchezza ne avrebbe impedito la realizzazione complessiva), ma altrettanto indubbiamente faticosa.

Terzo dato: la tecnica di raccolta. In parole semplici, i ra-gazzi hanno ascoltato le storie, anzi, se le sono fatte raccontare, poi se le sono raccontate a vicenda, e infine le hanno scritte. Tutto qui. Eppure, nell’epoca in cui lo studioso di etnografia è abbarbicato alle sue schede di rilevazione, o quando va bene al suo registratore a nastro e alle sue trascrizioni fonetiche, come un famoso perso-naggio dei fumetti alla sua copertina, si avverte un senso di sollievo

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XI

e soprattutto di gratitudine per chi ha evitato di trasformare dei ragazzini in piccole parodie di etnografi alla scoperta di mondi per-duti, e li ha semplicemente incoraggiati a usare normalmente, ma “al massimo”, i loro normali mezzi comunicativi: parole sentite, parole dette, parole scritte.

Quarto dato, il linguaggio. È evidente anche per il non linguista che siamo in presenza di una curiosa koinè – a volte fe-lice, a volte sconcertante – di oralità, di prosa letteraria infantile, e di tema scolastico. Con l’eccezione dei materiali metricamente formalizzati, cui la struttura conferisce un ancoraggio stabile dalla bocca dell’informatore fino alla pagina scritta, il materiale orale subisce inevitabilmente una trasformazione quando è necessario sostituire ai mezzi comunicativi specifici dell’oralità – ritmica, in-tonazione, intensità espressiva ecc. – i mezzi comunicativi specifici della pagina scritta – ortodossia formale, padronanza del periodo, scelta dei vocaboli ecc.

In conclusione, storie ascoltate e storie narrate da ragazzi. Ad altri e ad altre responsabilità il momento dell’analisi, della si-stemazione, dello studio: per questa volta concediamoci il piacere di scoprire queste storie con la stessa freschezza con cui i giovani raccoglitori le hanno scoperte dagli anziani e ce le hanno volute raccontare.

Bruno Pianta

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C’ERA UNA VOLTA

“C’era una volta, così cominciano tutte le favole…” scrive Maria Rita iniziando a raccontare; c’era una volta la favola, verrebbe da dire, il racconto trasmesso oralmente, in un tempo

senza dimensioni prefissate, cadenzato soltanto dal ritmo e dalla pausa del narratore.

Abbiamo iniziato questa ricerca parlando delle veglie, quel-le lunghe serate invernali trascorse riuniti in casa; nessuno dei ra-gazzi le ha vissute perché non si va più in veglia da tempo, l’unica situazione che il vocabolo evoca è la veglia funebre, altro momento della vita collettiva ma diverso.

È nata così un’indagine sui racconti che intrattenevano, divertendo, meravigliando o impaurendo gli ascoltatori, e si è al-largata ad altri temi del conversare quotidiano: le filastrocche dei bambini, le preghiere, i proverbi, i lazzi contro i paesi vicini… Ci siamo ritrovati a poco a poco uno spaccato, un campione di quella che, per secoli, è stata la cultura dei nostri paesi, il modo di trasmettere e interiorizzare giudizi e valori promuovendo compor-tamenti.

Nella narrazione le fiabe si alternano alle storie di paura, agli episodi “realmente accaduti” lasciando emergere, nell’insieme, stratificazioni e sovrapposizioni che, anche ai non esperti, è talvol-ta facile individuare.

Abbiamo colto, per esempio, due tempi (o due modi di narrare?): da un lato i racconti di paura, con apparizione di morti

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XIV

e processioni, di santi e di diavoli, e dall’altro storie in cui ragioni per impaurirsi non ne esistono, si dice; sono evocate sulla base dei racconti precedenti e quindi soltanto frutto dell’immaginazione. Due modi di narrare si riconoscono anche nelle fiabe: i testi, in cui l’elemento magico è presente con tutte le sue funzioni, si affianca-no a quelli in cui tale potere è soltanto vantato per ingannare gli ingenui, coloro che, appunto, credono nelle favole…

“C’erano una volta le fiabe…”: non è stato facile, almeno inizialmente, riscoprirle, intenderci con i nonni su ciò che cercava-mo, quelle storie non scritte che desideravamo riascoltare. Qualcu-no le aveva dimenticate, qualcun altro si schermiva dietro il fatto di non essere un buon narratore essendo ancora viva, nella memoria di molti, la figura di coloro che, con abilità riconosciuta, sapevano intrattenere tutti nelle lunghe serate invernali. A poco a poco i racconti hanno iniziato ad affluire; la memoria dei nonni, soltanto assopita, si è come risvegliata; un intreccio ne ha richiamato un altro creando intorno all’“ora delle storie” un’attesa curiosa.

Non era facile aspettare e talvolta non abbiamo resistito chiedendo l’anticipazione di quanto si annunciava come partico-larmente interessante. La magia della narrazione si è così concre-tizzata in un ambiente, l’aula scolastica, dove non è sempre facile lasciar spazio all’immaginario, avviandoci e facendoci inoltrare in un cammino che non è mai finito. I testi sono arrivati fino al termine dell’anno scolastico; qualcuno se n’è aggiunto durante le vacanze, ma la scoperta continuerà, ne sono sicura, nell’esperienza di ognuno.

I nonni, veri o d’adozione, si sono disposti pazientemente a ricordare e a raccontare, i ragazzi hanno trascritto i testi per ri-proporli ai compagni; così le storie sono come tornate a nuova vita attraverso la mediazione di chi cresce oggi. Non è forse destino del racconto quello di mutare continuamente, adeguandosi al conte-sto in cui viene proposto?

Mi rivedo, bambina, ascoltare dalla voce di mia madre “La volpe e il lupo”, la bella favola con cui apriamo la nostra raccolta,

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XV

e ripercorro l’ambiente in cui la collocava. Rivedo il bosco, la casa dei contadini e, un po’ più lontano, il canale in cui, in un gelido paesaggio invernale, gli animali scendevano ad abbeverarsi. L’ho sentita casualmente mentre la raccontava a mio nipote e mi sono sorpresa; il narratore, la mamma, ormai nonna, è sempre lo stesso, la storia no. Mio nipote non conosce quel bosco, non l’ha mai vi-sto, vive in città e non è mai passato davanti a quella casa, la “sua” storia è diventata un po’ un’altra, eppure gli piace, non perde una parola e tiene la nonna per ore e ore a raccontare.

Affidiamo dunque le nostre storie, rinnovate, ai narratori di domani, sicuri che saranno arricchite di particolari, vivacizzate. Per i ragazzi sono state una scoperta, l’incontro con un mondo che, pur appartenendo a un passato vicino (appena qualche decina d’anni ci separa), ci è molto lontano. I paesi si sono trasformati, i rapporti tra le persone anche; non si va più in veglia, ma l’imma-ginario esiste, il mitico accompagna da sempre la storia dell’uomo. Oggi la narrazione, i miti, si diffondono attraverso altri mezzi; è tuttavia pur sempre valido che un adulto si sieda e racconti, quan-do altri ascoltano volentieri.

Con questa indagine abbiamo ricercato, dato dimensione e consistenza a una realtà di per sé labile, legata alla memoria di pochi, recuperando così un patrimonio che, se per molti aspetti è comune ad altri contesti, per altri costituisce uno specifico di questi monti. Crediamo che sia questo, senza retorica, il significato della nostra ricerca. La dedichiamo alle nonne e a tutti coloro che hanno pazientemente raccontato.

Caterina Rapetti

La ricerca, svolta nell’ambito della programmazione didatti-ca della Scuola Media Statale “D. Alighieri” di Arpiola di Mulazzo (MS), è stata realizzata dalla classe I B nell’anno scolastico 1984-85.

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STORIE E FILASTROCCHE

DI LUNIGIANA

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FIABE E STORIE

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IL LUPO E LA VOLPE

Un lupo e una volpe si incontrarono affamati nel bosco e, dopo i soliti convenevoli, avendo lo stesso problema della fame, decisero, di comune accordo, di andare a bere il lat-

te in un cascinale vicino, di proprietà di Gavotella, una contadina della zona.

Arrivati alla meta, trovarono tutto chiuso a chiave, ma, gi-rando intorno al cascinale, scoprirono una piccola finestra aperta. Entrare per loro fu facile; trovarono così il recipiente del latte e incominciarono a bere. La volpe, dopo aver bevuto un po’, an-dava a misurarsi nel finestrino per vedere se era possibile uscire e, quando s’accorse di aver mangiato tanto da poter ancora passare, si allontanò. Il lupo invece continuò il suo pasto e, al momento di uscire, non gli fu possibile. Rientrando, Gavotella trovò il lupo e lo bastonò di santa ragione; questi riuscì a stento a prendere la porta e ad allontanarsi.

Vagando tutto pesto per il bosco, incontrò la volpe che gli chiese:

“Come va, compare?”. E il lupo:“Ho tutte le ossa rotte” e raccontò l’accaduto, ma la volpe

di rimando:“A chi lo dici! Io ho la febbre e sono vicina a morire. Pren-

dimi in spalla che andiamo a bere al lago Verde!”.Il lupo credulone si caricò della volpe e tutto dolorante si

mise in cammino, mentre la volpe canticchiava:

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Ari, ári per il piano, il malato porta il sano…

Giunti al lago, poiché avevano sete, decisero che, mentre uno beveva, l’altro doveva tenerlo per la coda, in modo che non cadesse nell’acqua. Toccò per prima alla volpe che bevve a sazietà, tenuta per la coda dal lupo; poi fu la volta del lupo e la volpe, te-nendolo a sua volta per la coda, cantava:

Lip e lap, per la cuga at lass

e, ripetuta più volte la frase, lasciò la coda del lupo che cadde nell’acqua.

Trascritta da M. Rita Franchi (a. 11).Riferita da Davide Franchi (a. 56).Si raccontava a Cervara, nel Comune di Pontremoli, dove esiste una località indicata come “dalla cascina di Gavotella”. Abbiamo trovato una versione della storia a Mulazzo dove la vicenda si svolge in un pollaio e si interrompe dopo la filastrocca “Ari, ari”.

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LEONZIO

C’era una volta… – così cominciano tutte le favole – un paese, nella località di Mont Muscà, dove abitava un si-gnorotto, come al solito, ben poco timorato di Dio e poco

rispettoso di quelle cose che dalla maggior parte delle persone sono ritenute sacre o degne di rispetto.

Ora avvenne che questo signore, di nome Leonzio, avesse organizzato una festa con gran banchetto e grandi danze.

Il giorno precedente, trovandosi a camminare per una via di campagna, lungo un vecchio cimitero abbandonato e con le mura in rovina, era entrato nel recinto e, trovando per terra un teschio, Leonzio, da quel malvagio e irreligioso che era, aveva in-cominciato a giocare prendendolo a calci e canticchiando:

Testa, mia testa,t’invito alla mia festa!

Alla sera giunsero alla casa di Leonzio, illuminata a festa, tutti gli invitati; mangiarono, bevettero e poi cominciarono le dan-ze.

Arrivata la mezzanotte, al culmine della festa e nel più bello del divertimento, si udì bussare alla porta, ma i servitori accorsi non videro nessuno. Così avvenne una seconda e una terza volta.

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A questo punto, però, fece ingresso solenne, a porte spran-gate, un personaggio sconosciuto, elegante, tutto avvolto in un mantello bianco, che, avvicinatosi a Leonzio, disse:

Testa, mia testa,t’invito alla mia festa.

A Leonzio si rizzarono i capelli sul capo; lo sconosciuto lo afferrò per i capelli così dritti e lo trascinò via urlante, fra lo stupo-re e la paura di tutti. A volte, in quel paese, nelle notti invernali, si sentono ancora nei boschi dei monti le urla disperate di Leonzio.

Trascritta da M. Rita Franchi (a. 11).Riferita da Domenico Franchi (a. 60).Si raccontava a Cervara dove si trova la località Mont Muscà ricordata nella storia.Una versione analoga è pubblicata nel volume Componimenti di lettera-tura tradizionale lunigianese.

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