BN54_IL MARCHIO DEL DIAVOLO

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Q uando la grande avventura Harmony è cominciata nel lontano ... un grande amore da vivere insieme alle nostre eroine. Un amore spesso contrastato, a volte gioioso, a volte esaltante, drammatico o commovente. Ma sempre vittorioso. Un amore che ti farà scoprire le passioni del cuore umano, oppure rivivere le emozioni sopite in te. 1981, queste, in sintesi, erano le parole con cui ogni collana della casa editrice dava il benvenuto alle proprie lettrici.

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ogni libro Harmony è...

... un grande amore da vivere insieme alle nostre eroine.Un amore spesso contrastato, a volte gioioso,a volte esaltante, drammatico o commovente.Ma sempre vittorioso. Un amore che ti farà scoprirele passioni del cuore umano, oppure riviverele emozioni sopite in te.

Quando la grande avventura Harmony è cominciata nel lontano1981, queste, in sintesi, erano le parole con cui ogni collana della casa editrice dava il benvenuto alle proprie lettrici.

La stessa aspirazione anima anche la più giovane tra le proposte di Harlequin Mondadori: Bluenocturne.Nata nell’aprile del 2009 e pensata per un pubblico giovane, ha in realtà appassionato donne di tutte le età con le sue storie – ora romantiche, ora sexy, ma sempre appassionanti – in cui personaggi fantastici vivono, amano, soffrono, muovendosi in una dimensione parallela che convive e si intreccia con la nostra realtà quotidiana. I Signori degli inferi di Gena Showalter e i cupi vampiri di Maggie Shayne hanno aperto la porta ad altre creature soprannaturali e a mondi fantastici che offrono infinite, eccitanti possibilità: licantropi e ogni sorta di mutaforma, maghi e

fantasmi, angeli e demoni, divinità egizie o giapponesi, cacciatori di vampiri e domatori di tempeste... creature dotate di una bellezza sovrumana e di immensi poteri, la cui esistenza solitaria viene improvvisamente illuminata dalla promessa di un amore destinato a durare per sempre.Ad animare le pagine di questa collana dalla doppia anima, un po’ urban e un po’ paranormal, sono autrici del calibro di Heather Graham, Rachel Vincent, Eve Silver, Colleen Gleason. E tante altre ne arriveranno ancora!Che dunque il sogno d’amore continui e che altre generazioni di lettrici continuino con Bluenocturne a lasciarsi sedurre per l’eternità.

Grazie a tutte e buona lettura

Paola Ronchi Direttore Generale Harlequin Mondadori

Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Vampire Dimitri

Mira Books © 2011 Colleen Gleason

Traduzione di Giorgia Lucchi

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

© 2011 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Bluenocturne dicembre 2011

Questo volume è stato stampato nel novembre 2011

da Grafica Veneta S.p.A. - Trebaseleghe (Pd)

BLUENOCTURNE ISSN 2035 - 486X

Periodico quindicinale n. 54 del 30/12/2011 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 118 del 16/03/2009 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A.

Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Orrore Inghilterra, 1691 Dimitri fissava il sangue. Ovunque, era ovunque. Sulle lenzuola, sul pavimento, sul tavolo, sulle sue mani, sulle braccia. Il sapore era ancora nella sua bocca; ricco, caldo, pieno. Inghiottì le ultime gocce rimaste sulla lingua. Ambrosia. Batté le palpebre, cercando di concentrarsi benché gli pul-sasse dolorosamente la testa. Quando tentò di alzarsi, i muscoli indolenziti protestarono. Eppure la vita scorreva dentro di lui, la pelle era informicolita, viva. Cercò di respi-rare, ma ogni respiro era carico di quell'odore. L'odore del sangue. Poi ricordò. Ricordò come fosse successo e l'orrore lo ghermì. Solo allora guardò il mucchietto di lenzuola e vestiti, la forma che giaceva esanime sul pavimento in un triangolo di luce. Ne usciva un braccio, paffuto e la-cero. Il sangue aveva impregnato ogni cosa, la spessa trapunta e gli spessi strati delle sue vesti. La massa di capelli grigi, sciolti e incrostati.

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No, no! Si premette le mani sulle tempie e chiuse gli occhi. Ma non poteva negarlo e, mentre sedeva nella stanza mezza illuminata dal sole e mezza in ombra, si sentì colmare da odio e disgusto. Basta. Ne ho abbastanza di tutto questo. Mi chiamo fuori. «Mi senti, Lucifero?» chiese, la voce roca e spezzata. «Ne ho abbastanza. Lasciami andare.» Silenzio. Naturalmente. Come per tutti gli angeli, caduti o no, il mezzo di co-municazione preferito di Lucifero erano i sogni. Nel cuore della notte, quando un uomo era più vulnerabile. Quando era più facile lasciarsi ingannare e indurre in tentazione. «Lasciami andare, maledetto bastardo!» Ma Dimitri sapeva bene che non c'era via di uscita. Ci aveva già provato: nell'anno trascorso da quando aveva lasciato Vienna, aveva cercato di spezzare il patto; si era già negato ciò per cui Lucifero lo aveva creato venticinque anni prima: il sangue. Ricco, caldo, portatore di vita. Il Marchio del diavolo, che rappresentava la frattura in-sidiosa nella sua anima, era impresso sul suo dorso e non lo avrebbe mai lasciato. Era così da più di due decenni. Che ne era stato del suo tentativo di rinnegare se stes-so, del tentativo di rinnegare il diavolo e liberarsi? Il risultato giaceva a terra, un groviglio agghiacciante di arti, tendini e carne mutilata, distrutta. Morta. Assassinata. Si strinse tra le dita la radice del naso, mentre una palla nera di rabbia cresceva dentro di lui. Maledizione... Ci a-veva provato. Se ne era andato da Vienna dopo l'incendio, lasciando-si alle spalle un mondo di opulenza ed edonismo che non

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aveva mai apprezzato realmente e voltando le spalle a tut-to. Un anno prima. Per un anno si era rifiutato di nutrirsi, di bere da un es-sere umano. Piuttosto sarebbe morto, dannato o no. Se un vampiro non avesse bevuto sangue, prima o poi si sarebbe indebolito e avrebbe terminato di esistere. Avrebbe costretto Lucifero a liberarlo. Ma non aveva funzionato ed era stata la sua stessa de-bolezza a causare quella tragedia. Perché quando la vec-chia lo aveva trovato, prossimo alla morte, stremato dopo un anno senza nutrimento, era ridotto a una massa di pel-le e ossa, pronto a lasciare l'esistenza in cui era stato atti-rato con l'inganno quando aveva salvato Meg. Quando aveva rinunciato a tutto per lei. La vecchia lo aveva trovato e aveva cercato di aiutarlo, non potendo sapere la verità. Gli aveva fatto bere birra e brodo, ma quegli alimenti non avrebbero potuto salvarlo. Dimitri aveva fissato le sue vene bluastre tutta la notte, e il giorno seguente, e quelli che erano seguiti. Bramava la curva del collo carnoso. Aveva dovuto chiudere gli occhi per trattenersi dal prendere ciò che ogni fibra del suo cor-po gli chiedeva. Aveva il controllo, nonostante il dolore bruciante del Marchio, l'agonia che palesava la rabbia di Lucifero nei suoi confronti. Dimitri resisteva, si opponeva. Niente era più forte della sua determinazione. Nemme-no il diavolo. Fino a quando lei si era ferita un dito con un coltello e lui aveva sentito l'odore del sangue.

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Lord Corvindale si dedica suo malgrado alla grafologia Londra, 1804 Per l'inferno maledetto di Lucifero, chi si credeva di essere Miss Maia Woodmore per dare ordini a un conte? Dimitri, Conte di Corvindale, fissò rabbioso l'elegante grafia che copriva un robusto foglio di carta. Femminili, perfettamente regolari, con pochi fronzoli occasionali e nemmeno una macchia di inchiostro, le parole marciavano sulla pagina lungo linee tanto precise da sembrare tracciate con un righello. Perfino le astine erano lineari e allineate in modo tale da non incrociarsi con quelle delle righe sotto-stanti o sovrastanti. La carta profumava di spezie femmini-li e mughetto, oltre a un'altra nota intrigante che lui non volle sforzarsi di definire. Naturalmente la sua richiesta era formulata con la sin-tassi più corretta, ma Dimitri non era un ingenuo in mate-ria di macchinazioni femminili. Sebbene evitasse le donne, tutte e in particolar modo quelle mortali, sapeva bene co-me agissero ed era perfettamente in grado di leggere tra le righe, per così dire.

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E da quanto leggeva tra le linee in quel caso, Miss Maia Woodmore era offesa e piena di sdegno, proprio come era accaduto a Haymarket tre anni prima. E si aspettava che lui scattasse ai suoi ordini. Lord Corvindale, diceva la lettera, perdonatemi se vi con-tatto in modo tanto disdicevole, vi assicuro che lo faccio solo su espressa indicazione di mio fratello, Mr. Charles Woodmore. Dimitri percepiva quasi la sua irritazione nel trovarsi co-stretta a obbedire a un tale ordine. Mr. Woodmore, che a quanto ho capito è socio in affari di Vostra Signoria, ha lasciato detto che, se non avessi ri-cevuto sue missive o altre comunicazioni entro due setti-mane dalla sua partenza per il Continente (termine sca-duto ieri, 18 luglio 1804) mi sarei dovuta mettere in con-tatto con voi per quanto concerne la tutela mia e delle mie due sorelle, Angelica e Sonia (quest'ultima si trova al si-curo presso la St. Bridies Convent School in Scozia). Dimitri, che leggeva la missiva per la terza volta, si fer-mò e aggrottò la fronte, studiando la frase, precisa ancor-ché prolissa. Poi maledisse Chas Woodmore con termini assai coloriti, per essere riuscito a convincerlo ad accettare quella follia. Erano trascorsi più di sei anni da quando gli era stata strappata quella promessa, e da allora non ci ave-va più pensato. Naturalmente non si sarebbe mai aspettato che l'amico avrebbe commesso un'idiozia come quella che aveva fat-to, fuggire con Narcise Moldavi invece di ucciderne il fra-tello (la ragione per cui si era recato a Parigi), che al mo-

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mento era presumibilmente livido di rabbia. Se non altro Woodmore aveva preso provvedimenti per la sicurezza delle sorelle, nell'eventualità in cui Cezar Moldavi avesse capito chi c'era dietro il rapimento... o forse si trattava di una fuga. In ogni caso, Moldavi non avrebbe esitato a sfogare la sua ira su tre giovani donne innocenti. Il vampiro non era certo cambiato da Vienna, anzi, se possibile era ancor più ossessionato da potere e controllo. Dimitri tornò alla lettera, cercando di ignorare il profu-mo esotico che permeava la carta. Una delle tante maledi-zioni dell'essere un Draculiano era lo straordinario senso dell'odorato. Non era gradevole per percorrere le vie di Londra, e lo era ancor meno qualora cercasse di ignorare qualche odore. Continuò a leggere, riluttante. Mio fratello mi ha spiegato che la questione è molto seria, soltanto in virtù di questa sua urgenza tanto specifica e severa ho l'ardire di inviarvi questa lettera. Vorrei assicurarvi, Lord Corvindale, che l'unica ragione che mi induce a contattarvi è l'espresso desiderio di mio fratello. Non vi è alcuna necessità che vi preoccupiate per la tutela mia e delle mie sorelle. Chas si è allontanato spesso per lavoro e nel corso delle sue assenze precedenti ci siamo sempre organizzate egregiamente grazie alla di-sponibilità di una cara parente e del marito, Mr. e Mrs. Fernfeather, che ci hanno fatto da chaperon. Basandosi sulla sua unica, precedente interazione con lei, Dimitri ricordava che Miss Woodmore era alquanto prolissa anche di persona. Inoltre, il mio imminente matrimonio con Mr. Alexander

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Bradington presto mi metterà nella posizione di poter fun-gere da chaperon per le mie sorelle minori. Dimitri si accorse di aver stritolato la carta e rammentò a se stesso che la parola scritta, indipendentemente dall'autore, dalla lingua e dal messaggio che conteneva, era preziosa. Sì, aveva visto l'annuncio del fidanzamento sul Times alcuni mesi prima. La notizia era stata gradita a quanti seguivano quella sorta di on dit, categoria che certo non includeva lo schivo Conte di Corvindale. A quel punto (continuava con estrema serietà la grafia meticolosa di Miss Woodmore) i vostri servigi come tu-tore per le mie sorelle e per me non saranno più necessa-ri. Tutto considerato (qui il tratto diventava leggermente più spesso e, se possibile, ancor più preciso) non vedo ragio-ne per cui voi dobbiate scomodarvi riguardo alle mie so-relle e a me, Lord Corvindale. Nonostante le ansie di mio fratello, che non posso fare a meno di ritenere fin troppo cauto e forse addirittura esagerato, Angelica e io ce la ca-veremo in maniera eccellente a Londra da sole, fino al ri-torno di Chas. Resto in attesa di una vostra cortese e sollecita risposta. Aveva firmato semplicemente con il suo nome: Maia Woodmore. E lì, per la prima volta, Dimitri colse un piccolo svolaz-zo femminile, nella parte inferiore della M e in quella supe-riore della W. Sfortunatamente per Miss Maia Woodmore, lui si era già – come aveva scritto? – scomodato. In effetti si era ben più che scomodato riguardo alla loro tutela. E, pensò

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ringhiando tra sé, sarebbe andata di male in peggio. Si sarebbe dovuto prendere le mocciose in casa per proteg-gerle da Moldavi e dal suo esercito privato di vampiri ti-rapiedi. Accidenti a quel dannato mortale di Chas Wood-more! Dimitri sapeva che Moldavi si trovava a Parigi, con il naso sprofondato tra le chiappe di Napoleone Bonaparte, o forse in quel periodo stava leccando il culo del nuovo imperatore, e gli ci sarebbe voluto del tempo per sguinza-gliare i suoi uomini sulle tracce di Woodmore e delle sue sorelle. Non molto, purtroppo, nonostante la guerra tra le due nazioni. Ciò significava che lui si sarebbe dovuto muovere rapi-damente. Si guardò intorno nello studio, avvolto da pesanti ten-daggi per tenere lontani i raggi del sole. Libri e pergamene erano impilati ovunque e le mensole lungo le pareti erano colme di altri tomi e manoscritti. Un disordine totale, di-chiarava ogni volta Mrs. Hunburgh, che aveva il permesso di entrare in quella stanza una sola volta la settimana, e-sclusivamente per spolverare e pulire il pavimento. Nessun altro poteva accedervi, eccetto occasionalmente il mag-giordomo o il valletto. Dannazione, sarebbe voluto tornare nella libreria anti-quaria accanto alla conceria Lenning, quel pomeriggio! A-vrebbe voluto chiedere alla donna bionda che vestiva co-me una castellana del tredicesimo secolo invece che come una libraia, se avesse ricevuto qualche documento nuovo, pergamene o papiri, in particolar modo dall'Egitto. Impre-cò sottovoce, non avrebbe più potuto farlo. Napoleone Bonaparte aveva portato bauli e ceste colmi di reperti dai suoi viaggi di conquista e quegli oggetti era-no venduti e distribuiti in tutta Europa. Sicuramente

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nell'antico mondo dei faraoni e delle divinità del sole c'era qualcosa che avrebbe potuto aiutarlo a bandire il demone delle tenebre che lo aveva indotto a stipulare un contratto sacrilego decenni prima. Anche se Vlad Tepes, il conte Dracula, aveva stretto il suo patto con Lucifero nel quindicesimo secolo, Dimitri sospettava che non fosse stato il primo mortale a vende-re la propria anima, e quella della sua progenie, al diavo-lo. Aveva studiato manoscritti e opere di Greci e Romani, perfino testi provenienti dalla Terra Santa. Forse dai reperti e dai geroglifici egizi sarebbe riuscito a trarre delle infor-mazioni. Nessuno era ancora riuscito a decifrare il codice dell'alfabeto egizio, ma lui era deciso a tentare. Dopotutto, aveva tutta l'eternità per riuscirci. Finalmente la stele rinvenuta a Rosetta dai francesi al-cuni anni prima era giunta in possesso della Antiquarian Society di Londra e sembrava poter consentire una tradu-zione. Dimitri era speranzoso. Gli sarebbe piaciuto mettere mano sulla stele stessa, ma ciò avrebbe significato fre-quentare persone influenti, ascoltare pettegolezzi e battu-te, dover evitare il sole pubblicamente... e ogni sorta di al-tri fastidi che preferiva risparmiarsi. Aveva preso in considerazione l'opportunità di rubare, o per meglio dire prendere in prestito la cosiddetta stele di Rosetta per qualche tempo, in modo da poterla analizzare personalmente, ma alla fine aveva desistito. Forse si sareb-be potuto introdurre nottetempo nel British Museum, dove era conservata, per farne una copia, se non avesse dovuto trascorrere il tempo scortando debuttanti a balli e feste mascherate. Presto le due sorelle Woodmore maggiori avrebbero sconvolto la sua solitudine, messo in subbuglio la sua ca-

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sa e interrotto i suoi studi. Lo stesso, maledizione, avrebbe fatto la sua cosiddetta sorella, Mirabella, perché, ovvia-mente, avrebbe dovuto richiamarla in città dalla campa-gna. Aveva adottato la trovatella come sua sorella anni addietro e aveva posticipato il suo debutto in società quanto più possibile. Digrignò i denti al pensiero di tre donne nella sua casa. Tutte e tre avrebbero sconvolto i suoi ritmi, cianciando di ricevimenti, feste, balli e di qua-lunque altra attività cui si sarebbero dedicate. Strillando, ridendo, spargendo profumo e cipria e, per l'anima oscura di Lucifero, lui si sarebbe dovuto assicurare che non por-tassero con sé alcun rubino. Dannato inferno nero! Ma sapeva bene che il peggio sarebbe stata la presenza perennemente decorosa e perennemente esigente di Miss Maia Woodmore. Là. In quella casa. Proprio sotto il suo naso. Se quel bastardo di Chas fosse stato ancora vivo quan-do lo avessero trovato, l'avrebbe ucciso personalmente. Maia Woodmore fumava di rabbia, cosa che si abbas-sava raramente a fare. Infatti, a differenza della sorella mi-nore Angelica, si era imposta di diventare un esempio di compostezza, controllo e decoro. Eccetto, sembrava, quando aveva a che fare con conti caparbi, arroganti e irri-tanti di nome Corvindale. Era come se tutti gli uomini della sua vita avessero deci-so di andarsene a zonzo, lasciandola a tenere insieme i pezzi e a gestire quanto avevano abbandonato alle loro spalle. Compito che, fortunatamente, lei era più che in grado di svolgere, che lo desiderasse o meno. Ormai le sembrava di avere da sempre la responsabilità della gestio-ne della casa e della famiglia, di doversi sempre preoccu-

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pare di proteggere le sue sorelle e assicurarsi che ricevesse-ro tutto l'amore e le cure che meritavano. O, quantomeno, da quando i loro genitori erano morti. Incluso nella sfuriata mentale di Maia, insieme con Corvindale, c'era suo fratello maggiore Chas, che se ne andava sempre da qualche parte, lasciandola a gestire ogni cosa, compito non facile per una giovane donna dell'alta società senza titoli né marito. Per sua grande fortuna, lei non era solo in grado di riuscirci, ma lo faceva con grande abilità ed efficienza. La sua irritazione includeva anche il fidanzato, Alexan-der Bradington, che il giorno del suo diciottesimo comple-anno le aveva chiesto di sposarlo poi, tre mesi dopo, era partito per un viaggio sul Continente. Ormai era lontano da diciotto mesi. Ma il Conte di Corvindale era il peggiore in assoluto. Alexander era rimasto tra Roma e Vienna negli ultimi mesi, il rientro ritardato a causa della guerra contro la Francia, non certo per colpa sua. Ma lei ne sentiva la mancanza e, se fosse stato là, si sarebbero potuti sposa-re, per poi fare personalmente da chaperon per Angelica e Sonia. Chas era partito per l'ennesima volta per uno dei suoi misteriosi viaggi di lavoro, ma in quel caso le cose erano diverse. Aveva scritto un biglietto che sembrava lasciar in-tendere che il mondo sarebbe finito come a Pompei, o che la Francia avrebbe invaso l'Inghilterra, se lui non fosse tornato entro due settimane. Con angoscia crescente da parte di Maia, non era rientrato. Sarebbe stata furiosa con lui per aver affidato lei e An-gelica al detestabile Conte di Corvindale, se non fosse sta-ta tanto preoccupata che gli fosse successo qualcosa di terribile.

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Ma Corvindale si trovava a Londra e non aveva solo i-gnorato la missiva, peraltro molto cortese, che gli aveva scritto per pura gentilezza. In quel momento, infatti, men-tre lei fissava il suo volto scuro da falco arrogante, sollevò un sopracciglio, osservandola come se fosse un insetto di-sgustoso. «Certo che ho ricevuto la vostra lettera» disse, la voce piatta per la noia. «Sono l'unico Conte di Corvindale, no?» «Non vi siete degnato di rispondere» ribatté Maia, cer-cando, cosa ammirevole, pensò tra sé, di controllare il to-no della voce. Tuttavia, dal momento che si trovavano nel bel mezzo della confusione per il ballo annuale dei Lundhames, do-vette alzare il volume per essere sentita al di sopra della musica e delle vivaci conversazioni. Lei e Angelica non avevano deciso di prendere parte all'evento solamente perché si aspettavano ci fosse anche Corvindale. In realtà, Maia presumeva che non si sarebbe preoccupato di recarsi dai Lundhames più di quanto si fosse degnato di rispondere alla sua lettera. Tutti sapevano che era una sorta di recluso che si interessava unicamente ad antichi manoscritti e frammenti di pergamena. Invece eccolo là. Il sopracciglio scuro sollevato, la guar-dava dall'alto in basso come se non avesse tempo da per-dere parlando con lei. Be', pensò irritata, il sentimento era del tutto reciproco. «Considero il semplice fatto che stiamo discorrendo una risposta più che soddisfacente» replicò Corvindale. «In particolar modo dal momento che, se ben ricordo, non siamo mai stati presentati formalmente.» I suoi occhi scuri scintillarono. Il viso di Maia – accidenti alla sua pelle chiara! – si ri-

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scaldò, diventando probabilmente più rosa delle rose ap-plicate sulle spalle del suo vestito azzurro fiordaliso. Infat-ti, non erano mai stati presentati formalmente, ma lei sa-peva bene chi fosse l'uomo alto e imponente la cui sem-plice presenza a qualunque evento sociale induceva gran parte delle donne a strizzarsi nei corsetti per poterlo vede-re... benché assai poche avessero il privilegio di parlare con l'orgoglioso, scortese conte. Lui sicuramente sapeva chi fosse Maia e non solo per-ché lui e Chas erano soci di affari da anni e di quando in quando avevano preso parte ai medesimi eventi. Maia a-veva sperato che non avesse capito che si trattava di lei l'orribile notte a Haymarket che definiva l'Incidente. Trattenne il respiro nell'attesa che il rossore svanisse e cercò di non guardarlo negli occhi. Sicuramente lui non sarebbe stato tanto sgarbato da menzionare l'Incidente anche se si fosse accorto che era lei. Ma non poteva averla riconosciuta, dopotutto era travestita da ragazzo. «Consentitemi di tranquillizzarvi, Miss Woodmore» ri-prese lui, l'espressione nuovamente annoiata mentre fis-sava lo sguardo su un gruppo di persone dietro di lei. «Domattina vi manderò istruzioni affinché voi e vostra so-rella vi trasferiate a Blackmont Hall fino al ritorno di vostro fratello.» Le avrebbe mandato istruzioni? Maia strinse le labbra per trattenersi dallo spiegargli cosa provasse all'idea di sentirsi dire cosa avrebbe dovuto fare, come e quando, senza essere stata precedentemente consultata, tra l'altro da parte di un uomo che detestava fin dalla prima volta in cui l'aveva visto. Perfino tre anni prima. Gentile da parte vostra, Lord Corvindale, degnarvi quantomeno di mettermi a conoscenza delle vostre inten-zioni. Come tutti gli uomini del mondo, compreso suo fra-

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tello, non dimostrava alcun riguardo per la sua opinione e i suoi sentimenti. Era come se lei avesse la testa di una bambola di porcellana. Se solo si fossero resi conto di quante questioni gestisse giornalmente, di quanto sapesse e capisse del loro mondo e della sua storia... Non aveva alcuna intenzione di lasciare la sua casa da un giorno all'altro per trasferirsi a vivere in quella di lui, ma non aveva né il tempo né la voglia di discutere oltre, perché la sensazione di formicolio che le sollevava i peli sugli avambracci indicava che quella testarda di sua sorella Angelica stava per cacciarsi in qualche situazione sconve-niente. A differenza delle due sorelle minori, non era stata be-nedetta dalla Vista della loro nonna con sangue gitano. Eppure possedeva un intuito infallibile per i guai imminen-ti, che spesso si manifestava con quella semplice consa-pevolezza. La Vista opera nei modi più strani, le ripeteva spesso nonna Grapes quando Maia esprimeva l'invidia per la Vi-sta ereditata dalle sorelle. Quello succedeva quando era ancora giovane e infantile e non capiva che carico spaven-toso fosse per Angelica e Sonia. Puerile! Ma era cresciuta da tempo e aveva capito che il suo ruolo era quello di proteggere e badare alle sorelle mi-nori più vulnerabili, in particolar modo dopo la morte dei genitori. Eccelleva in quel compito, come in tutto il resto, eccetto la traduzione dal greco, che riteneva un male ne-cessario, uno sforzo che tuttavia dava frutti assai gradevoli. Inoltre, riteneva che quella sorta di formicolio, quell'in-tuitiva consapevolezza che provava quando qualcosa non andava, fosse la sua versione della Vista. «Molto bene, milord» disse, il tono di una regina che congedava un suddito dopo avergli concesso udienza. «Mi

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dedicherò alla vostra corrispondenza domattina.» Si voltò prima che lui potesse ribattere e individuò immediatamente la sorella, impegnata in un'intensa, e molto probabilmente disdicevole, conversazione con Lord Dewhurst e il suo amico Lord Brickbank. Sua sorella era adorabile con un abito stile impero giallo chiaro, con i grandi occhi scuri a mandorla e i colori gitani, così di-versa dall'incarnato pesche e panna delle altre londinesi, lei compresa. Le bastò uno sguardo per capire che il visconte De-whurst era esattamente il genere di uomo da cui aveva raccomandato a sua sorella di guardarsi, un semidio bion-do e abbronzato con un sorriso insolente, occhi languidi e un fazzoletto da collo che probabilmente era stato anno-dato nel modo corretto dopo una decina di tentativi, un libertino di prim'ordine, senza alcun dubbio. Il modo in cui fissava Angelica, come se non riuscisse a staccarle gli occhi di dosso, bastò perché Maia si sentisse riscaldare ovunque. Se Alexander l'avesse guardata in quel modo, proba-bilmente si sarebbe sciolta all'istante in una gelatina di pelle e ossa. Si sentiva già calda e il suo cuore accelerava quando lui la baciava e lasciava scivolare la mano lungo la scollatura del corsetto. Stranamente, tuttavia, Angelica non stava parlando con Dewhurst, ma sembrava impegnata in una conversazione con Lord Brickbank che, visibilmente alticcio a giudicare dal naso arrossato, la fissava confuso. «Angelica» scattò Maia avvicinandosi alla sorella. Era del tutto inappropriato parlare con due uomini sconosciuti e toccava a lei fermarla senza creare ulteriore scandalo. Se non fosse stata distratta dal conte, non si sarebbe nem-meno presentato il problema.

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Prima che potesse intervenire, tuttavia, Angelica fece una piccola riverenza e si accomiatò dai due gentiluomini. Poi, scorgendola, le sorrise maliziosa, e si allontanò per danzare una quadriglia con Mr. Tillingsworth. Se non altro, il peggio che sarebbe potuto accadere ad Angelica con Mr. Tillingsworth era cadere in catalessi mentre l'uomo parlava fino alla nausea dei suoi gatti. Ecco il vantaggio di danzare invece di passeggiare nel parco con un uomo per niente interessante: durante la danza spesso si restava separati dal ballerino quanto bastava per ripren-dersi da una conversazione noiosa, mentre durante una passeggiata difficilmente si poteva sperare in una pausa del genere. Adesso Maia poteva rilassarsi e abbassare la guardia tanto da potersi godere a sua volta un ballo. Anche se A-lexander era lontano dall'Inghilterra, non c'era ragione per non prendere parte a uno dei balli in linea. Dopo un'ultima occhiata alla sorella, che si stava prepa-rando nello spazio dedicato alle danze, controllò il carnet e scoprì che Ainsworth sarebbe stato il suo ballerino suc-cessivo. Se non altro non le avrebbe pestato i piedi, come aveva fatto Mr. Flewellington. Mentre si inchinava di fronte a Lord Ainsworth, con la coda dell'occhio Maia notò Corvindale. In disparte, ammi-revole come riuscisse a restare solo in mezzo a quella fol-la, si guardava in giro con espressione torva. Non osserva-va qualcuno in particolare, era come se la sua espressione fosse rivolta a tutta la sala. Immaginò che alcune donne potessero trovare attraente quell'aspetto cupo e arrogante e fossero disposte a sop-portare quella personalità non esattamente affascinante. Il conte aveva il naso sottile, lungo e non troppo largo, e la mandibola larga e squadrata. Gli zigomi alti e affilati con-

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ferivano al volto l'aspetto di un busto di pietra rifinito con lo scalpello. Dal momento che tendeva a scegliere colori scuri per l'abbigliamento, le spalle larghe e l'altezza risul-tavano ancora più pronunciati. Maia alzò il naso e sorrise ad Ainsworth, cercando di ignorare la sgradevole sensazione di solletico lungo gli avambracci. L'ultima cosa, assolutamente l'ultima, che voleva era vivere nella casa di quell'uomo. Tutore o meno. La mocciosa non aveva idea del pericolo che correvano lei e la sorella. Se lo avesse saputo, non avrebbe alzato sdegnosamente il naso guardandolo da lontano, dopo a-vergli comunicato che si sarebbe dedicata alla sua corri-spondenza l'indomani. Dimitri attese che il fastidio scemasse e le zanne si ri-traessero nelle gengive. E che il sangue rallentasse nelle vene. L'ultima volta che una donna lo aveva turbato tanto era stata quando Meg gli aveva comunicato l'intenzione di andarsene. La circostanza era, ovviamente, del tutto diver-sa, ma restava il fatto che Miss Woodmore gli faceva ri-bollire il sangue e gonfiare le vene. E non in modo positivo. Se la sempre irreprensibile giovane donna avesse avuto la minima idea della rapidità con cui lui aveva agito appe-na saputo della scomparsa di Chas, di quanto fosse stato meticoloso nell'assicurarsi che la più giovane delle sue so-relle rimanesse al sicuro al convento di St. Bridies in Scozia e del fatto che già da alcuni giorni lei e Angelica fossero sotto la sua protezione, forse il suo sguardo altezzoso si sarebbe sciolto in un'espressione più grata. Probabilmente no. Più era sorpresa e con le spalle al muro, maggiore era il suo sdegno. Dopotutto, Dimitri ave-

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va già sperimentato la sua lingua tagliente, quando si era trovata sorpresa e con le spalle al muro. Solo che lei non se lo ricordava. A parte quello, non vedeva per quale ragione informare Miss Woodmore del pericolo incombente. La vita segreta di Chas Woodmore era, appunto, segreta, proprio come l'esistenza dei Draculiani, che restava sconosciuta a gran parte del mondo. Dimitri rimase immobile, in allerta casomai Moldavi a-vesse agito più rapidamente del previsto, le braccia conser-te sul petto mentre scandagliava la sala con lo sguardo. Colma di colori troppo sgargianti e vivaci, di troppe perso-ne e, la cosa peggiore, di un miscuglio insopportabile di odori la maggior parte dei quali sgradevoli o troppo forti, la sala da ballo rappresentava tutto ciò che lui aveva cercato di evitare da... un secolo e più. Sottolineando il più. La maggior parte dei suoi conoscenti riteneva che lui e-vitasse tutto ciò che esulava dai suoi studi in seguito all'incendio a Vienna in cui era morta Lerina, ma si sba-gliava. Certo, l'evento aveva contribuito, ma il suo mal-contento era più profondo della perdita di un investimento e di una morte accidentale. Il suo disgusto era cominciato con Meg, ventiquattro anni prima, quando l'aveva salvata ed era diventato un Draculiano. Il culmine della vita che conduceva, rigida, so-litaria, ironicamente puritana, era stato invece quel giorno. Quella mattina in cui si era svegliato e aveva scoperto che nemmeno un intero anno di abnegazione era riuscito a li-berarlo da Lucifero. Al contrario, lo aveva legato ancor più strettamente al diavolo, a causa dell'assassinio della vec-chia il cui nome non aveva mai scoperto. Una vecchia che aveva solo cercato di aiutarlo.

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Non aveva più commesso quell'errore, si alimentava quanto bastava per sopravvivere, senza mai permettere a se stesso di diventare tanto disperato da massacrare una persona, come gran parte dei vampiri era in grado di fare. Non succhiava più il sangue dai corpi di esseri umani viventi, negandosi il piacere e la sazietà. Nutriva la spe-ranza che forse, un giorno, l'abnegazione sarebbe bastata per garantirgli la libertà da un demone che prosperava con egoismo ed egocentrismo. Nel frattempo, studiava tutti i documenti antichi su cui riusciva a mettere mano, cercan-do un altro modo. Qualunque altro modo. Il dolore onnipresente del suo Marchio, che si irradiava sul dorso dalla spalla sinistra, gli ricordava costantemente l'ira di Lucifero nei suoi confronti. Il segno nero a forma di radice si estendeva da sotto la linea dei capelli a sinistra sulla nuca lungo la spalla, scendendo fino a metà del dor-so. Era la rappresentazione visibile della sua anima spezza-ta e maggiore era il dispetto di Lucifero più pulsava e si gonfiava, in rilievo come una ragnatela di vene nere. Il Marchio si contrasse in quel momento, mentre lui si spostava per lasciar passare un trio. Gli stavano intorno fin da quando si era sistemato in quel punto della sala e le osservò con espressione torva. Una delle tre donne, quella al centro, fissò con audacia lo sguardo nel suo mentre gli passavano accanto, accompa-gnate da un effluvio di almeno cinque profumi floreali di-versi, oltre a talco e corpi surriscaldati. Dimitri rispose con un'occhiata fredda e disinteressata. Le donne, in particolar modo le mortali, erano l'ultimo dei suoi pensieri. Miss Woodmore sorrideva mentre Mr. Ainsworth ag-

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ganciava il braccio al suo gomito e la faceva girare in circo-lo, prima di passare ai passi successivi della danza, che li separarono brevemente per poi riportarli vicini, guanto a guanto. Se non altro l'abito che indossava non era rosa o giallo, ma un modesto azzurro con rose discrete sulle spal-le. La accarezzava, scivolandole sui fianchi come seta u-mida mentre eseguiva i passi della danza, e Dimitri si do-mandò cupo se Chas avesse visto e approvato quell'abbi-gliamento. Un tremolio della vista e un'improvvisa pesantezza al centro del petto lo costrinsero a distogliere lo sguardo dai ballerini per fissarlo sulla coppia che gli stava passando accanto. La donna indossava orecchini e collana di rubini, ecco la ragione di quel subitaneo capogiro. Fortunatamen-te si allontanò subito, e la debolezza passò poco dopo. Un'altra ragione per evitare feste, balli, cene, Almack's e la corte. Perfino, ogniqualvolta poteva evitarlo, il Parla-mento. Detestava sedere nella House of Lords e ascoltare i mortali blaterare di tariffe postali, coniatura di monete o al-tre sciocchezze come le tasse sul tè. Il momento peggiore era stato al momento dell'imposizione della tassa sulle af-francature, che aveva portato alla guerra con le colonie. Sì, era impossibile prevedere quando ci si sarebbe trova-ti nelle vicinanze di un rubino e, dal momento che Dimitri era stato tanto sfortunato da acquisire quella particolare pietra preziosa come debolezza, doveva tenersi costante-mente in guardia rispetto a quel pericolo. Ciascun Draculiano, insieme con il dono dell'immortali-tà, della velocità e della forza straordinaria, riceveva anche uno specifico punto debole dal socio con cui stipulava il patto oscuro: Lucifero. Dal momento che il rubino appeso alla collana di Meg era la prima cosa vista da Dimitri al ri-sveglio dal sogno fatidico più di cento anni prima, la sua

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debolezza era quella pietra rosso sangue. Così, a parte un paletto nel cuore o una spada che gli staccasse la testa dal collo, che lo avrebbero ucciso, sole e rubini erano le uniche cose che potessero indebolirlo oppure fargli del male. Nonostante il fastidio, Dimitri era ben lieto che la sua astenia non fosse dovuta a qualcosa di assai più comune, come per esempio l'argento. Improvvisamente socchiuse gli occhi. Per le ossa dan-nate di Satana, Voss stava gironzolando di nuovo intorno ad Angelica Woodmore! Nonostante la riluttanza con cui aveva accettato il ruo-lo di tutore delle sorelle di Chas, Dimitri prendeva assai se-riamente il proprio incarico. Quindi lasciò immediatamente l'alcova in cui si trovava e attraversò la sala. Sarebbe parso tranquillo a chiunque lo avesse visto, in realtà si mosse più rapido di un alito d'aria. Si spostò da una parte all'altra della sala, attraverso la calca di invitati, in un istante. Non era la rabbia, quanto piuttosto il fastidio a bruciare in lui mentre si avvicinava all'uomo affascinante e ben ve-stito. Anche lui un membro della Draculia, Voss, Visconte Dewhurst, era appena tornato a Londra dal Nuovo Mon-do, forse Boston, dopo un decennio di assenza. Dimitri avrebbe preferito che la sua assenza fosse stata più lunga, ma non si poteva sempre avere tutto ciò che si voleva, come una quantità di eventi degli ultimi giorni gli confer-mava. A ogni modo, era la seconda volta che vedeva il Draculiano avvicinarsi ad Angelica Woodmore e ciò non gli piaceva. Immaginò che Voss avesse sentito dire che la seconda delle sorelle Woodmore aveva il dono della Vista. E dal momento che non era solo un libertino di prim'ordine, ma anche un uomo che si occupava di comprare, vendere e

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raccogliere informazioni, probabilmente intendeva appro-fittare dell'assenza del fratello della mocciosa, e di quella che riteneva la totale mancanza di interesse di Dimitri nei confronti delle due ragazze, per scoprire se Angelica a-vrebbe potuto fornirgli indicazioni preziose. Avvicinandosi, lo sentì mormorare alla giovane qualco-sa riguardo a un valzer. Allo stesso tempo, si rese doloro-samente conto che Miss Woodmore si stava dirigendo verso di lui, i capelli che le fluttuavano intorno alle tempie. Decise di concentrare l'attenzione su Voss, dunque di-chiarò perentorio: «Miss Woodmore non verrà da nessuna parte con voi, Voss. Men che meno per ballare un valzer». Udì l'imprecazione soffocata dell'altro che, tuttavia, si voltò senza mostrare alcuna fretta. «Per Lucifero, Dimitri. Perché non vi siete occupato del violino scordato di cui vi ho accennato prima? È assolutamente insopportabile. So-no certo che un solo sguardo da parte vostra lo accorde-rebbe alla perfezione.» «Non so cosa stiate cercando» disse Dimitri, frappo-nendosi tra Voss e Miss Woodmore, profumata di fiori, che aveva afferrato la sorella minore per il braccio e la sta-va trascinando via, «ma vi suggerisco di tenervi alla larga da Miss Angelica Woodmore a meno che desideriate ritro-varvi in una situazione assai sgradevole. Né Chas né io siamo disposti a tollerare le vostre attenzioni nei suoi con-fronti o in quelli dell'altra Miss Woodmore.» Voss lo guardò con le palpebre a mezz'asta, l'espres-sione oziosa che funzionava così bene per sedurre le don-ne, anche senza dover ricorrere allo sguardo ipnotico che i Draculiani utilizzavano per ottenere ciò che volevano, quando lo volevano. «Certamente. L'ultima cosa che un cacciatore di vampiri come Chas Woodmore può tollerare è che proprio una delle creature cui dà la caccia gironzoli

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intorno alle sue sorelle. Non temete, Dimitri» continuò in tono vellutato e canzonatorio, «il mare è pieno di pesci o, come mi piace pensare, di polsi sottili e spalle delicate in cui scivolare. Non c'è niente come quel piacere inegua-gliabile, vero? La penetrazione, scivolosa e rapida, e poi il fiotto improvviso di calore liquido, ricco e pieno.» La sua voce si era abbassata in modo seducente. Poi un sorriso ironico. «Ma, ovviamente, voi non avete più memoria di un tale piacere, limitandovi alle bottiglie di sangue di vac-ca che vi fornisce il vostro macellaio di fiducia.» Scosse il capo, sconsolato. «Non riesco a capire per quale ragione abbiate scelto la via dell'astinenza.» «Non dubito che non ci riusciate» ribatté freddo, senza nemmeno darsi la pena di mostrare la punta delle zanne. «Una tale discrezione è al di fuori della vostra sensibilità.» «Discrezione?» Voss scoppiò a ridere. «Chiamiamola per quella che è: autoflagellazione, o perfino martirio. Che vita grigia dev'essere la vostra, freddo bastardo privo di emo-zioni!» «Comunque sia, state lontano dalle sorelle Woodmore. Conosco bene la vostra propensione per prendere qualun-que cosa vi sia offerta, e indulgere nei vostri desideri an-che contro la volontà altrui, infine lasciare ciò che resta e dedicarvi alla prossima vittima. Per non parlare della vostra superficialità e degli scherzi sciocchi.» Finalmente il viso di Voss si incupì e i suoi occhi av-vamparono, rossi e pericolosi. «Ciò che accadde a Vienna a Lerina fu un incidente, Dimitri. Lo sapete bene.» «Può darsi. Ma mi sembra evidente che nemmeno quel-la tragedia vi ha indotto a cambiare i vostri modi in quest'ultimo secolo.» Senza degnarsi di aspettare la replica dell'altro, Dimitri si voltò e se ne andò. Angelica Woodmore era stata porta-

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ta via dalla sorella e Voss non avrebbe più tentato di avvi-cinarla; quantomeno quella sera. Quando le sorelle Woodmore fossero arrivate sane e salve a casa, lui sarebbe potuto tornare alla sua solitudine e agli studi per l'ultima volta nell'immediato futuro. Anche se... forse, sarebbe potuto passare per qualcuna delle strade più malfamate di St. Giles o lungo il fiume, nella speranza di essere avvicinato da una banda di ladri o perditempo. Era dell'umore giusto per una bella rissa. Tanto valeva godersi quel che restava della notte, per-ché presto la sua casa sarebbe stata invasa.

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Londra, 1804. Dimitri, Conte di Corvindale, ha stretto un orrendo patto con Lucifero, un patto che alla fine non è servito a nulla perché la sua donna l'ha lasciato. Da allora ha deciso di chiudere il proprio cuore all'amore. Ma i suoi propositi iniziano a vacillare quando incontra Maia... e il desiderio di "assaggiarla" si fa sempre più intenso.

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