UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI PAVIA -  · Dip. di Fisica Nucleare e Teorica CORSO DI LAUREA IN...

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-1- UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA DIPARTIMENTO DI SCIENZE MORFOLOGICHE, EIDOLOGICHE E CLINICHE SEZIONE DI RADIOLOGIA Presidente: Chiar.mo Prof. F. CALLIADA PRODUZIONE DI RADIOISOTOPI MEDIANTE CICLOTRONE Relatore: Dr. Paolo Montagna Dip. di Fisica Nucleare e Teorica CORSO DI LAUREA IN TECNICHE DI RADIOLOGIA MEDICA PER IMMAGINI E RADIOTERAPIA Tesi di laurea di Luca Depaoli Matricola n. 330196/51 Anno Accademico 2006/07

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UNIVERSITA’DEGLI STUDI DI PAVIA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE MORFOLOGICHE,

EIDOLOGICHE E CLINICHE

SEZIONE DI RADIOLOGIA

Presidente: Chiar.mo Prof. F. CALLIADA

PRODUZIONE DI RADIOISOTOPI

MEDIANTE CICLOTRONE

Relatore:

Dr. Paolo Montagna

Dip. di Fisica Nucleare e Teorica

CORSO DI LAUREA IN

TECNICHE DI RADIOLOGIA MEDICA

PER IMMAGINI E RADIOTERAPIA

Tesi di laurea di

Luca Depaoli

Matricola n. 330196/51

Anno Accademico 2006/07

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Introduzione

L’utilizzo dei radioisotopi in Medicina Nucleare, sia per le tecniche diagnostiche – in particolare

la PET – sia per la radioterapia, sta assumendo negli anni sempre maggiore importanza. Sono molti gli

isotopi radioattivi utilizzati, e molte le loro applicazioni, così come sono ormai ben noti i principi fisici e

biologici che regolano il loro utilizzo medico.

In questo ambito estremamente vasto, in questa tesi presentiamo uno degli aspetti attualmente più

rilevanti: la produzione di radioisotopi mediante ciclotroni. E’ questa una tecnica oggi estremamente

diffusa, che si tende a portare sempre più vicino ai centri ospedalieri dove gli isotopi vengono utilizzati,

in quanto spesso essi hanno tempi di emivita estremamente bassi, dell’ordine di ore o minuti, e quindi

diventa fondamentale disporre quotidianamente di tali preparati minimizzando costi e tempi di

produzione.

A Pavia è stato recentemente inaugurato, nel luglio 2007, un ciclotrone da 18 MeV, installato

presso il LENA (Laboratorio di Energia Nucleare Applicata) dell’Università di Pavia, che prevede di

assicurare appunto la produzione giornaliera di radioisotopi, inizialmente Fluoro-18 e Azoto-13, poi

anche altri, per gli utilizzi medici delle strutture ospedaliere pavesi.

In questa tesi, dopo una sintetica esposizione delle proprietà fisiche dei radioisotopi e dei loro

decadimenti radioattivi (cap.1), vengono presentati i principali tipi di radiofarmaci e il loro utilizzo

medico, sia nelle metodologie diagnostiche, sia nelle principali indicazioni cliniche (cap.2), ponendo

particolare attenzione al Fluoro-18, normalmente utilizzato sotto forma di FDG (fluoro-desossiglucosio)

nelle consuete indagini tomoscintigrafiche.

Vengono poi descritti (cap.3) i principi di funzionamento dei ciclotroni, macchine acceleratrici

che fin dagli anni ’30 hanno permesso di disporre su vasta scala di fasci di particelle con cui attivare le

necessarie reazioni nucleari, e infine (cap.4) viene descritto il nuovo ciclotrone di Pavia, con le

specifiche tecniche e le metodologie di utilizzo che lo renderanno tra breve estremamente utile agli scopi

prefissati.

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1. I radionuclidi

Prima di addentrarci nelle problematiche relative alla produzione di radionuclidi, richiamiamo

brevemente – limitandoci ad alcuni aspetti importanti ai nostri scopi - alcune nozioni, note dai corsi di

Fisica e Radioattività, sui radioisotopi, i loro decadimenti, il loro impiego in Medicina nucleare. Per

maggiori dettagli su questi argomenti, qui solo sinteticamente accennati, si veda ad es. [Aga88]

1.1 Nuclei stabili e instabili

Gli atomi, come è noto, sono costituiti da un nucleo centrale, a sua volta composto di

protoni e neutroni, e da elettroni orbitanti attorno al nucleo. Il nucleo atomico è identificato dal numero

atomico Z (numero dei protoni) e dal numero di massa A

(numero totale di nucleoni: protoni più neutroni). Ogni

nucleo possiede una carica positiva uguale al numero dei

protoni che lo costituiscono; tante cariche positive

confinate in uno spazio così ristretto (le dimensioni

nucleari sono dell’ordine di 10-13

- 10-12

cm) risentono di

una forte repulsione elettrostatica, che viene bilanciata

solo tramite l’interazione nucleare forte fra protoni e

neutroni: più è elevato il numero atomico Z, più aumenta

il rapporto neutroni/protoni necessario per il

bilanciamento energetico. I vari elementi presentano

diversi isotopi, cioè nuclei con uguale numero di protoni ma diverso numero di neutroni; molti di questi

isotopi sono instabili, possiedono cioè un numero di neutroni o troppo elevato o troppo basso rispetto a

quello necessario per raggiungere il minimo energetico che caratterizza i nuclei della fascia di stabilità.

Tutti i nuclidi con numero atomico superiore a 83 sono instabili. Nella figura qui accanto viene

rappresentata la cosiddetta “valle dei nuclei”: sono cioè illustrati i nuclidi stabili e instabili al variare del

numero di protoni Z e del numero di neutroni N = A-Z.

Un nuclide instabile, soggetto a trasformazioni nucleari (decadimenti) con emissione di

radioattività, è detto radionuclide.

I radionuclidi con uguali A e Z, ma che si trovano in differenti stati di eccitazione del nucleo,

sono detti isomeri. Il processo di decadimento fra stati eccitati dello stesso nuclide costituisce una

transizione isomerica (IT, isomeric transition). Nella maggior parte dei casi gli stati eccitati sono a

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breve vita, cioè le transizioni isomeriche avvengono, virtualmente, contemporaneamente al

decadimento. Quando ciò non si verifica, ossia quando lo stato eccitato ha una vita media lunga, il

nuclide figlio si considera in uno stato metastabile e viene indicato col soprascritto m.

Il termine “vita lunga” è arbitrario e dipende dalla scala di tempi considerata. Di norma vengono

definiti metastabili gli isomeri eccitati con una emivita superiore al millisecondo. Il 99

Tc e 99m

Tc

rappresentano un esempio di nuclidi isomeri, differendo unicamente per il fatto che 99m

Tc si trova in uno

stato nucleare eccitato rispetto a 99

Tc. 119m

Sn, 99m

Tc sono esempi di radionuclidi in uno stato metastabile

con tempi di emivita molto lunghi, 250 giorni e 6 ore rispettivamente. Il loro lungo emiperiodo ne

consente la separazione chimica dal nuclide genitore, potendosi così, in pratica, disporre di un

radionuclide gamma emittente puro, caratteristica quest'ultima molto importante nell'impiego degli

isotopi radioattivi come radiofarmaci in Medicina Nucleare. Nel campo dei radiofarmaci, per ragioni di

ordine pratico, si considera sufficientemente lunga una emivita dell'ordine delle decine di secondi

almeno.

Per sorgente radioattiva si intende qualsiasi insieme di nuclidi radioattivi che, a causa delle

trasformazioni nucleari cui sono sottoposti, emettono radiazioni. Una sorgente di radiazioni non è

necessariamente una sorgente radioattiva, in quanto la radiazione può non implicare una trasformazione

nucleare. Un tipico esempio possono essere una macchina radiogena per radioterapia impiegante 60

Co

(sorgente radioattiva e sorgente di radiazioni) e una macchina per raggi X, sorgente di radiazioni, ma

non impiegante radioisotopi.

L’attività, cioè il numero di decadimenti che avvengono nell’unità di tempo, di una sorgente

radioattiva si misura, nel SI, in becquerel (Bq): un becquerel è uguale ad un decadimento al secondo (1

Bq = 1 s-1

). Poiché il becquerel è un’unità molto piccola, nell’uso comune si utilizza quasi sempre

un’unità pratica, il curie, corrispondente all’attività di 1 g di radio, che equivale a 3.7·1010

Bq.

1.2 Elementi radioattivi naturali e artificiali

In natura esistono diversi radioisotopi, con tempi di emivita che variano da alcuni miliardi di anni

a pochi secondi [ES82]. Questi elementi radioattivi naturali si possono suddividere in due classi, in

base alla loro origine:

a) radionuclidi primordiali: elementi con emivita sufficientemente lunga da essere tuttora

presenti nella crosta terrestre, compresi tutti i radionuclidi da essi discendenti: 238

U, 40

K, 232

Th,

radionuclidi con emivita molto lunga, 222

Rn, 214

Bi, radionuclidi a breve vita, ma generati continuamente

dal decadimento dell'elemento capostipite (238

U in questo caso). Un elemento capostipite, assieme ai

suoi discendenti fino all'elemento stabile, costituisce una famiglia radioattiva, ed esistono tre famiglie

radioattive naturali.

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b) radionuclidi cosmogenici: radioisotopi generati da reazioni nucleari fra la radiazione cosmica,

costituita da particelle nucleari con elevata energia e provenienti dallo spazio extraterrestre, e gli

elementi stabili; esempio il 14

C, generato nella reazione fra un neutrone e un nucleo di 14

N, il 7Be,

3H,

22Na.

Ma in laboratorio possono essere prodotti elementi radioattivi artificiali: sono quegli elementi

prodotti attraverso reazioni nucleari, in cui un nucleo bersaglio viene esposto ad un fascio di particelle

che possono essere neutroni, protoni, particelle alfa ecc., o reazioni di fissione, in cui un nucleo pesante,

235U ad esempio, si rompe in frammenti più piccoli. Il

60Co, per esempio, si può produrre per reazione

fra neutroni e il 59

Co, isotopo stabile del cobalto.

Le principali fonti di radionuclidi sono i reattori nucleari (reazioni di fissione e cattura

neutronica) e gli acceleratori di particelle che hanno consentito la produzione di radioisotopi a basso

costo, per impieghi che spaziano dalla meccanica, alla chimica, alla biologia e alla medicina, solo per

citare alcuni campi di utilizzo. Fra i nuclidi artificiali presenti nell'ambiente, un posto preminente è

occupato dagli elementi radioattivi rilasciati dalle esplosioni nucleari sperimentali nell'atmosfera,

soprattutto negli anni dal 1945 al 1965, e dagli incidenti alle centrali nucleari, in particolare Chernobyl

(1986).

1.3 Decadimenti radioattivi

I nuclidi instabili tendono a portarsi entro la fascia di stabilità modificando il rapporto

neutroni/protoni: quelli con eccesso neutronico tenderanno a diminuirlo, quelli con difetto neutronico ad

aumentarlo [PRSZ95]. In questi processi i nuclidi utilizzano una o più delle seguenti trasformazioni

nucleari:

• decadimento alfa

• decadimento beta negativo

• decadimento beta positivo

• cattura elettronica (E.C.)

• fissione spontanea (S.F.)

Quando un radionuclide decade, dà origine ad un nuclide figlio che, se è instabile, decade a sua

volta formando un nuovo nuclide figlio, e così via. La catena di decadimenti prosegue fino alla

formazione di un nuclide stabile; l’insieme dei nuclidi che danno luogo ad una catena di decadimenti

viene detto famiglia radioattiva.

Analizziamo ora brevemente, senza entrare in dettagli, queste tipologie di decadimento.

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1.3.1 Decadimento alfa

Il decadimento alfa interessa, salvo rare eccezioni, solo gli elementi pesanti (Z > 83;

indicativamente, A>150).

Una particella alfa è costituita da due protoni e due neutroni, cioè da un nucleo di 4He

2+. Un

generico elemento A

ZX che subisce un decadimento alfa avrà quindi come nuclide figlio un elemento

A-4Z-2Y con numero di massa A-4, numero atomico Z-2, numero di neutroni N-2, e nel processo

verranno espulsi due elettroni e una particella alfa.

Un esempio di decadimento alfa è mostrato dall’equazione

23892U →

23490Th +

42He

2+.

L’energia associata ad un’emissione alfa cade all’incirca in un intervallo compreso tra 1 e 7

MeV. La particella alfa emessa ha, quindi, una energia ben precisa, caratteristica del nuclide emittente,

cosicché gli spettri alfa mostrano picchi energetici stretti in zone ben definite, prevedibili in base al

particolare processo avvenuto. La misura di tale energia può essere quindi utilizzata per identificare il

radionuclide emittente (a differenza, come vedremo, di quanto accade nel decadimento beta).

Spesso la transizione alfa porta ad uno stato eccitato del nuclide figlio, che può successivamente

raggiungere lo stato fondamentale emettendo il surplus di energia sotto forma di radiazione

elettromagnetica, che prende il nome di radiazione gamma.

1.3.2 Decadimento beta

I processi di decadimento che interessano nuclei con pochi o troppi neutroni e conducono a

elementi che modificano il numero atomico Z ma non il numero di massa A vengono globalmente

classificati come decadimenti beta. Essi possono essere di tre tipi:

• decadimento beta-,

• decadimento beta+,

• cattura elettronica (detta anche cattura K).

Decadimento beta-

Il decadimento beta- è caratteristico dei radionuclidi che presentano un eccesso di neutroni e

consiste nella conversione di un neutrone in un protone con emissione di un elettrone:

n → p + e−−−− + νννν

Quindi un generico elemento A

ZX si trasformerà in un altro elemento A

Z+1Y: ad es. 31H �

32He +

e- + ν.

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Nell’equazione, νννν rappresenta un antineutrino, cioè l’antiparticella del neutrino. Neutrino ed

antineutrino sono privi di carica e hanno massa nulla (la questione di una eventuale piccolissima massa

dei neutrini è tuttora molto dibattuta in Fisica); la loro presenza in questo tipo di trasformazioni nucleari

è necessaria in quanto sperimentalmente si verifica che l’elettrone emesso esce con energia cinetica non

sempre identica ma variabile; pertanto, per la conservazione dell’energia, deve esserci una ulteriore

particella che si “porta via” l’energia mancante. Per questo motivo, come già accennato, in un

decadimento beta non è possibile risalire alradionuclide emittente misurando l’energia associata al

processo, poiché essa non corrisponde al dislivello energetico fra i due nuclidi, essendo distribuita fra

particella beta e neutrino o antineutrino.

Anche i decadimenti beta- possono condurre a nuclidi figli in uno stato eccitato, con conseguente

emissione di radiazioni gamma.

Decadimento beta+

Contrariamente al precedente, il decadimento beta+ consiste nella trasformazione di un protone

in un neutrone, che si verifica in nuclidi con difetto neutronico; la trasformazione avviene con emissione

di un elettrone positivo (positrone, particella di antimateria non presente nella materia ordinaria) e di un

neutrino:

p → n + e++++ + νννν

Quindi un generico elemento A

ZX si trasformerà in un altro elemento A

Z-1Y: ad es. 11

6C � 11

5B +

e+ + ν.

Si noti che questo processo non avviene per un protone libero, in quanto esso non ha massa

sufficiente per trasformarsi nel più pesante neutrone: infatti, come noto, il protone è assolutamente

stabile. Il neutrone libero invece decade in protone con vita media di circa 17 minuti. Il positrone

emesso va incontro ad annichilazione con un elettrone della materia ordinaria, producendo due fotoni di

energia 511 keV ciascuno, corrispondenti alla somma delle due masse delle particelle che annichilano.

Questa proprietà rende i radionuclidi che decadono ß+ particolarmente interessanti per applicazioni in

radiodiagnostica, proprio per la facilità e la precisione di rivelazione dei due fotoni emessi

nell’annichilazione.

Per quanto riguarda le considerazioni energetiche, tutto avviene in perfetta analogia a quanto già

dichiarato per il decadimento beta-.

Cattura elettronica (K)

Il processo di cattura elettronica (E.C., Electronic Capture) è del tutto analogo a quello beta

positivo: un nuclide con difetto neutronico trasforma un protone in un neutrone. In questo caso, però, la

trasformazione avviene mediante la cattura di un elettrone, di solito dal guscio più interno, il cosiddetto

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guscio K e, con minore probabilità, dagli altri gusci, L, M...(per questo motivo spesso la cattura

elettronica viene chiamata cattura K):

p+ + ee

-- → n + ν

Anche qui è necessaria la presenza del neutrino, per le stesse ragioni esposte in precedenza.

Il decadimento beta+ e la cattura elettronica conducono allo stesso nuclide figlio, e spesso i due

modi di decadimento si verificano contemporaneamente per lo stesso isotopo. Così, ad esempio, 22

Na

decade in 22

Ne per il 90% dei casi con emissione di positroni, e nel 10% tramite EC.

Una importante particolarità della cattura elettronica è il fatto che l’elettrone catturato dal nucleo

lascia un vuoto nel guscio più interno, e tale vuoto viene riempito da elettroni più esterni con emissione

di raggi X a energie ben definite, corrispondenti proprio alle differenze energetiche tra gli orbitali

atomici.

1.3.3 Fissione spontanea

Il processo di fissione spontanea consiste nella rottura di un nucleo pesante in due nuclei leggeri.

Questo tipo di trasformazione è possibile, dal punto di vista energetico, solo per elementi con numero di

massa molto elevato. Si tratta, in ogni caso, di una reazione molto lenta per elementi con A < 240, i quali

utilizzano preferibilmente il decadimento alfa; il processo acquista importanza per nuclidi con valori di

A > 240 e diviene significativo per alcuni nuclei transuranici artificiali.

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2. I radionuclidi in Medicina Nucleare

La Medicina nucleare è un’importante branca della Diagnostica per immagini e a sua volta

comprende la medicina nucleare convenzionale, che utilizza radiofarmaci marcati con radionuclidi

γ−emittenti;

la tomografia a emissione di positroni (PET), che impiega radiofarmaci marcati con radionuclidi

β+-emittenti.

La medicina nucleare convenzionale comprende esami planari (scintigrafie) ed esami

tomoscintigrafici (SPET). La PET permette l’effettuazione di esami tomografici segmentari e totali

corporei.

Mentre la Radiodiagnostica consente di acquisire informazioni molto precise di tipo anatomico,

le indagini medico-nucleari forniscono informazioni di tipo prevalentemente funzionale e metabolico,

contribuendo alla diagnosi, alla prognosi ed alle scelte terapeutiche. Nel seguito, faremo un sintetico

cenno a tali metodi di indagine, rimandando per maggiori dettagli a testi specialistici (si veda ad es.

[GSS]), e soffermandoci in particolare sull’utilizzo dei radioisotopi emittenti (i cosiddetti radiofarmaci)

nelle varie situazioni diagnostiche e terapeutiche.

2.1 I radiofarmaci

Le tecniche scintigrafiche e tomoscintigrafiche consistono essenzialmente nello studio della

distribuzione in vivo di radiofarmaci, rappresentati da composti a differente comportamento biologico

marcati con isotopi gammaemittenti o da radionuclidi come tali. I radiofarmaci sono generalmente

somministrati per via endovenosa e si comportano come traccianti all'interno dell'organismo in esame.

Le prime applicazioni della tecnica scintigrafica comportavano l'impiego esclusivamente di

radionuclidi a lunga emivita fisica, come ad esempio lo 131

I, la cui produzione con ciclotrone poteva

quindi avvenire anche a distanza del luogo di utilizzazione [KHL97].

La disponibilità di radionuclidi a breve emivita è stata resa possibile dall'introduzione di

generatori, costituiti da un radionuclide “capostipite”, a vita relativamente lunga, che decade in un altro

a vita breve, estraibile con un semplice procedimento di eluizione. Il generatore maggiormente

impiegato è il generatore Molibdeno-99 / Tecnezio-99m.

I principali tipi di radiofarmaci sono:

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radionuclidi impiegati come tali, in diverse formulazioni chimiche: 99m

Tc pertecnetato; 131

I

ioduro di sodio; 123

I ioduro di sodio; 111

In cloruro; 67

Ga citrato;

molecole chimiche a differente comportamento biologico, fornite sotto forma di kit in flaconi

liofilizzati già marcate o più frequentemente da marcare con un radionuclide, generalmente il 99m

Tc;

anticorpi monoclonali o loro frammenti, già marcati o da marcare generalmente con 111

In cloruro,

99mTc,

131I;

radiofarmaci come ad es. il 18

FDG che utilizzano radionuclidi β+-emittenti a vita media breve

prodotti da ciclotrone e utilizzati per la PET (18

F, 13

N, 11

C, 15

O).

I diversi radiofarmaci impiegati hanno ciascuno peculiari caratteristiche di comportamento

biologico e di cinetica.

Gli isotopi dello iodio (131I e

123I) entrano nel metabolismo degli ioduri, per cui vengono captati

attivamente dal tessuto tiroideo ed eliminati prevalentemente per via urinaria.

Il 99mTc pertecnetato, che è un radioalogeno, ha un comportamento analogo in quanto si fissa

intensamente a livello del tessuto tiroideo ed anche in corrispondenza delle ghiandole salivari e della

mucosa gastrica, per cui trova tuttora impiego come tale nella scintigrafia tiroidea, nella scintigrafia

delle ghiandole salivari e nella scintigrafia per la ricerca di mucosa gastrica ectopica. Il radiotecnezio è

utilizzato inoltre per la marcatura di numerose molecole chimiche, per cui attualmente gli esami

scintigrafici con impiego del 99m

Tc rappresentano complessivamente oltre il 90% del totale degli esami

effettuati presso un servizio di Medicina Nucleare.

Il 67Ga è un tracciante cellulare, che si fissa a livello del citoplasma, per cui viene impiegato per

dimostrare la presenza di tessuto tumorale ed anche di processi infiammatori.

Dei radioisotopi prodotti da ciclotrone, e in particolare del 18

F e del 13

N, parleremo più

diffusamente tra poco, descrivendone la loro produzione nei ciclotroni e il loro utilizzo nella PET. I

differenti radionuclidi sono prodotti

attraverso reazioni nucleari, bombardando

molecole bersaglio (target) con fasci di

particelle accelerate nei ciclotroni; la

quantità della produzione dipende sia

dall'energia del fascio corpuscolare

incidente - e quindi dalle caratteristiche

del ciclotrone -, sia dalla quantità del

materiale bombardato. Nel grafico sono rappresentate le relative curve di decadimento per i radioisotopi

a vita media breve, a confronto con quella assai più lunga del 99m

Tc.

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2.2 Le indagini medico-nucleari

Nella diagnostica medico-nucleare convenzionale [KHL97] si impiegano strumenti che sono

rivelatori di radiazioni gamma e che consentono pertanto di fornire immagini che documentano la

distribuzione nell’organismo di un radiofarmaco marcato con radionuclidi gammaemittenti,

somministrato al paziente generalmente per via endovenosa.

Le indagini medico nucleari convenzionali di tipo planare (scintigrafie) forniscono una

rappresentazione bidimensionale di quella che è in realtà una distribuzione su tre dimensioni del

radiofarmaco impiegato.

I radiofarmaci utilizzati nelle diverse metodiche medico-nucleari assai raramente si

distribuiscono esclusivamente nell'organo in esame, ma in percentuale più o meno rilevante sono

presenti anche in strutture adiacenti e nel compartimento vascolare, determinando il cosiddetto

background. Si comprende pertanto come la sovrapposizione di più piani, tipica della tecnica planare,

possa comportare effetti di mascheramento di reperti potenzialmente patologici, soprattutto se di limitata

estensione, e possa rendere difficile una corretta distinzione di strutture contigue. Per ovviare a questo

inconveniente, si fa ricorso nel caso di indagini riguardanti organi o strutture di una certa dimensione

alla acquisizione di molteplici proiezioni per meglio valutare i diversi profili ed i piani profondi.

Le tecniche tomoscintigrafiche, di introduzione relativamente recente nella pratica clinica,

hanno come scopo fondamentale la creazione di sezioni transassiali, coronali e sagittali dell'organo in

esame, così da eliminare la radioattività sopra e sottostante, e ottenere immagini caratterizzate da

maggior risoluzione e contrasto. Le tecniche tomoscintigrafiche, inizialmente indicate con la sigla ECT

(Emission Computed Tomography), sono definite di emissione, poiché è il paziente che emette le

radiazioni gamma che vengono registrate e trasformate in immagini, e si differenziano dalle tecniche

tomografiche radiologiche, che sono di trasmissione, poiché è il rivelatore che è anche sorgente del

fascio radiante.

In relazione alle caratteristiche fisiche dei radionuclidi impiegati, le tecniche ECT si distinguono

in tomografia per emissione di fotone singolo o SPET (Single Photon Emission Tomography), che

utilizza radionuclidi γ-emittenti, e tomografia per emissione di positroni o PET (Positron Emission

Tomography), in cui sono impiegati radionuclidi β+-emittenti.

Descriviamo ora brevemente queste due note tecniche, senza entrare in dettagli e limitandoci

soprattutto a quanto concerne l’utilizzo in esse dei radiofarmaci.

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2.2.1 SPET: tomografia a emissione di fotone singolo

SPECT è la sigla di Single Photon Emission Computed Tomography, tomografia computerizzata

a emissione di singolo positrone, moderna tecnica di immagine utilizzata per la diagnostica di diversi

organi. Essa è particolarmente utile nello studio delle patologie celebrali.

La SPECT sfrutta una gamma camera o rilevatore a scintillazione (si veda un esempio in figura)

che trasforma le radiazioni emesse dagli isotopi radioattivi somministrati al paziente in emissioni

luminose. I segnali registrati dalla gamma camera vengono elaborati da un computer per la ricostruzione

dell’immagine, secondo piani frontali, assiali e coronali con un effetto tomografico paragonabile a

quello della TAC.

La tomografia per emissione di fotone singolo ha

trovato una vasta applicazione per una serie di fattori

favorevoli.

Essa prevede l'utilizzazione di radionuclidi γ-emittenti

normalmente impiegati nelle più comuni tecniche

scintigrafiche planari e quindi già disponibili presso i centri

di medicina nucleare.

Inoltre, negli ultimi anni sono stati sintetizzate e

commercializzate nuove molecole, marcabili con 99m

Tc ed

idonee a consentire studi di flusso regionale a livello

miocardico e cerebrale, e traccianti immunologici e recettoriali marcati con 123

I o 111

In, che hanno

ampliato le possibilità di applicazione della tecnica SPET in campo oncologico.

A ciò si deve aggiungere la rapida evoluzione tecnologica della strumentazione, che ha permesso

di disporre di gammacamere di efficienza più elevata e soprattutto a più testate, a costi relativamente

contenuti. Tutto ciò ha determinato un notevole miglioramento qualitativo degli esami tomoscintigrafici

con possibilità di ottenere sezioni transassiali, coronali e sagittali di elevata risoluzione e

contemporaneamente di ridurre i tempi di acquisizione.

2.2.2 PET: tomografia a emissione di positroni

PET è la sigla di Positron Emission Tomography, tomografia a emissione di positroni, metodo

radiologico che mira all’ottenimento di immagini nitide con l’utilizzo di radioisotopi emettitori di

positroni. Nella PET vengono utilizzati radionuclidi emittenti di positroni (particelle β+), cioè di

particelle di massa pari agli elettroni e carica elettrica positiva, che dopo aver percorso un brevissimo

tratto nella materia si annichilano, reagendo con un elettrone atomico orbitale, con emissione di due

-13-

fotoni γ in direzione opposta, con energia ciascuno di 511 keV, fra loro in coincidenza: proprio la

rivelazione di tale coincidenza spazio-temporale nell’emissione dei fotoni permette di ottenere

informazioni precise e dettagliate sull’avvenuta annichilazione.

La PET può essere utilizzata per lo

studio del metabolismo delle cellule cerebrali,

oltre che in campo cardiologico e oncologico

(per esempio per la diagnosi differenziale tra

benignità e malignità nel caso di un nodulo

solitario polmonare). Rispetto alle metodiche di

diagnostica per immagini (ecografia, radiologia

tradizionale, Tac e RMN) che possono fornire

una valutazione morfologica degli organi e

apparati, con la PET si ottengono informazioni quantitative e qualitative sulla fisiologia e la biologia dei

tessuti permettendone un’analisi di tipo funzionale.

I radionuclidi più comunemente impiegati (11

C, 15

O, 13

N) hanno un'emivita molto breve,

dell'ordine di pochi minuti, e pertanto devono essere prodotti nella sede stessa della loro utilizzazione

mediante ciclotroni [HR85].

Si tratta di radioisotopi di elementi particolarmente abbondanti in natura, che possono marcare

pertanto composti organici, i quali, mantenendo invariate le loro caratteristiche stechiometriche, non

subiscono variazioni per quanto concerne sia le proprietà biologiche, sia il comportamento metabolico.

Le molecole marcate con isotopi β+-emittenti consentono pertanto di valutare quantitativamente il flusso

distrettuale ed anche diverse funzioni metaboliche tessutali ed in particolare il consumo di ossigeno ed il

tasso di utilizzazione di substrati come il glucosio, gli acidi grassi e gli aminoacidi.

Poichè la collimazione dei fotoni avviene elettronicamente e quindi non è necessario impiegare

collimatori, come avviene nella SPET, i tomografi PET sono caratterizzati da un'elevata efficienza di

conteggio e risoluzione spaziale, che nei sistemi più moderni raggiunge i 4-5 mm. La ricostruzione delle

sezioni tomografiche della PET viene ottenuta con algoritmi analoghi a quelli utilizzati nella SPET; in

più, nella PET è possibile eseguire una correzione per l'attenuazione molto precisa, facendo riferimento

ad un'immagine di trasmissione, e quindi di ottenere dati di tipo quantitativo.

Uno dei principali radiofarmaci PET comprendono in particolare è l'ammonia marcata con 13

N,

radionuclide con emivita di 10 minuti. L'ammonia 13

N, dopo iniezione endovenosa, circola sotto forma

di ione ammonia nel sangue, da dove viene rapidamente estratto per localizzarsi soprattutto a livello del

tessuto cerebrale e miocardico in proporzione al flusso ematico regionale.

Un altro tracciante utilizzato per studi di perfusione miocardica è il 82

Rb, prodotto da generatore,

che ha un'emivita di 75 secondi. Essendo un catione monovalente analogo del potassio, penetra nei

-14-

miociti attraverso la pompa sodio-potassio e la sua fissazione in corrispondenza del tessuto miocardico è

proporzionale al flusso coronarico distrettuale.

L'acqua marcata con 15O, radionuclide con emivita di due minuti, è utilizzata come indicatore di

flusso nello studio della perfusione cerebrale.

Fra i radiocomposti metabolici quello maggiormente impiegato è il fluoro-desossi-glucosio

marcato con 18

F (18F FDG), che dopo iniezione endovenosa viene fosforilato a FDG-6-fosfato, il quale

non va incontro a glicolisi e rimane quindi intrappolato a livello cellulare per diverse ore. Poichè il

glucosio rappresenta la principale sorgente di energia per il tessuto miocardico in condizioni di ischemia

severa, il 18

F FDG è divenuto il tracciante di elezione per lo studio del metabolismo miocardico con

PET, allo scopo di valutare la presenza di tessuto vitale in territori miocardici da sottoporre a procedure

di rivascolarizzazione coronarica. Il 18

F FDG è stato utilizzato anche nello studio del metabolismo

cerebrale ed in particolare per individuare aree focali di ridotto metabolismo nell'epilessia parziale

complessa e zone di ridotto metabolismo corticale nelle demenze di Alzheimer. Nel settore oncologico,

infine, gli studi PET con 18

F FDG presentano un notevole interesse, poichè la valutazione del

metabolismo tessutale è in grado di individuare il grado di malignità di una neoplasia e di migliorare la

stadiazione di gran parte dei tumori solidi e dei linfomi maligni rispetto alle tecniche di diagnostica

convenzionale (ecografia, TC e RM).

2.3 Metodi di impiego e indicazioni cliniche

Diamo ora una breve rassegna, in relazione alle differenti patologie, dei principali metodi di

indagine medico-nucleare con utilizzo di radiofarmaci e delle relative indicazioni cliniche [GSS].

2.3.1 Apparato respiratorio

a) Metodi di indagine

Scintigrafia polmonare perfusionale

La scintigrafia polmonare perfusionale è un esame di semplice e rapida esecuzione che richiede

la somministrazione per via e.v. di macroaggregati di albumina marcati con 99m

Tc per via endovenosa

(111-185 MBq; 3-5 mCi). I macroaggregati marcati hanno un diametro compreso fra 10 e 40 µm, per cui

si distribuiscono uniformemente nel circolo polmonare e si arrestano in corrispondenza delle arteriole

pre-capillari.

-15-

L’esame, che ha una durata complessiva di 15 minuti, permette una visualizzazione della

distribuzione dei macroaggregati marcati a livello dei lobi e dei diversi segmenti polmonari e quindi una

precisa localizzazione di eventuali alterazioni della perfusione polmonare. Poiché i macroaggregati si

arrestano in corrispondenza delle arteriole pre-capillari non vi è radioattività a livello del cuore e dei

grossi vasi mediastinici.

Scintigrafia polmonare ventilatoria

La scintigrafia polmonare ventilatoria viene attualmente eseguita somministrando per via

inalatoria mediante un circuito chiuso particelle molto piccole, delle dimensioni di circa 0,12 µm,

marcate con tecnezio, che si ottengono mediante il riscaldamento di 99m

Tc pertecnetato (40 mCi)

introdotto in un fornelletto contenente grafite, con raggiungimento di una temperatura di 2500 oC in

atmosfera di Argon puro. Queste particelle, inalate dal paziente con una respirazione il più possibile

tranquilla e regolare per un periodo breve di 2-3 minuti, si distribuiscono uniformemente.

Scintigrafia mediastino-polmonare con 67

Ga citrato

Il 67

Ga citrato, che è un tracciante cellulare, viene utilizzato per studiare i linfomi maligni ed

alcuni processi granulomatosi fra cui in particolare la sarcoidosi.

b) Principali indicazioni cliniche

Embolia polmonare

L’embolia polmonare è un’affezione difficilmente diagnosticabile in base ai dati clinici. Un

preciso giudizio diagnostico riveste tuttavia un’importanza fondamentale e la scintigrafia polmonare

perfusionale può essere impiegata come esame di prima istanza.

Valutazione semi-quantitativa della perfusione e della ventilazione polmonare globale e

segmentarla nei pazienti candidati a terapia chirurgica

La scintigrafia polmonare perfusionale e ventilatoria vengono utilizzate per una valutazione della

perfusione e o della ventilazione di ciascun polmone o di singoli segmenti polmonari prima di procedere

ad interventi di pneumonectomia o di lobectomia. Le immagini acquisite vengono elaborate così da

calcolare la ripartizione della radioattività fra i due polmoni e fra singoli segmenti polmonari. Facendo

riferimento ai dati forniti dalle prove di funzionalità respiratoria è possibile ricavare una stima

attendibile del contributo funzionale fornito da ciascun polmone e dai differenti segmenti polmonari.

Interstiziopatie polmonari

-16-

Le Interstiziopatie polmonari sono un gruppo di disordini cronico-evolutivi del polmone ad

eziologia conosciuta e non che coivolgono I'intero organo e sono caratterizzate da infiammazione e

fibrosi. Nella sua forma evolutiva il processo e caratteristicamente accompagnato da fibrosi con

produzione in eccesso di tessuto connettivo che può coinvolgere sia la parete alveolare sia gli spazi aerei

respiratori.

2.3.2 Apparato urinario

a) Metodi di indagine

Scintigrafia renale sequenziale

La scintigrafia renale sequenziale prevede l'impiego di radiofarmaci a rapida escrezione,

eliminati per filtrazione glomerulare (DTPA 99mTc) e/o per secrezione tubulare (MAG 3 99mTc).

Questa indagine fornisce informazioni di tipo prevalentemente funzionale ed in particolare

consente, in modo semplice ed incruento, una valutazione di tipo quantitativo della funzionalità renale

separata, nonchè una valutazione dell'escrezione dell'indicatore radioattivo attraverso le vie escretrici.

Oltre che in condizioni basali, la scintigrafia renale sequenziale viene effettuata con test

farmacologici

L’elaborazione delle immagini permette la creazione di curve radioattività-tempo (renogrammi).

Dall'analisi dei renogrammi è possibile calcolare con grande rapidità numerosi indici funzionali.

b) Principali indicazioni cliniche

Ipertensione reno-vascolare

Essa è un’ipertensione arteriosa secondaria a seguito di una stenosi mono o bilaterale dell'arteria

renale con conseguente iperproduzione di renina da parte del rene che riceve una minore irrorazione. La

scintigrafia con captopril è utile per valutare stenosi dell'arteria renale funzionalmente significative.

2.3.3 Apparato scheletrico

a) Metodi di indagine

Scintigrafia scheletrica

-17-

La medicina nucleare conserva un ruolo importante nello studio di alcune alterazioni ossee ed in

particolare delle lesioni ossee metastatiche.

La scintigrafia scheletrica comprende più frequentemente lo studio dell'intero scheletro ed in tal

caso viene definita come scintigrafia scheletrica totale corporea o total body, mentre talvolta può

riguardare la valutazione solo o anche di singoli segmenti ossei e viene indicata come scintigrafia

scheletrica segmentaria.

La scintigrafia scheletrica consente, soprattutto con la strumentazione più recente, di ottenere una

buona rappresentazione anche morfologica delle strutture scheletriche. Essa fornisce tuttavia

informazioni prevalentemente di tipo funzionale, evidenziando eventuali zone con aumentata attività

osteoblastica, espressione di una reazione all'esistenza di una alterazione strutturale ossea di qualsiasi

natura.

La segnalazione, quindi, di una o più aree di aumentata concentrazione radioattiva è un elemento

semeiologico di elevata sensibilità nell'indicare la presenza di una lesione ossea, ma di assai scarsa

specificità, poichè qualunque tipo di alterazione ossea, sia essa neoplastica, infiammatoria o

degenerativa, determina una reazione osteoblastica di intensità variabile nel tessuto sano peri-lesionale e

di conseguenza l'accumulo patologico del radiofarmaco osteotropo.

Il radiofarmaco più frequentemente utilizzato è il metilen-difosfonato (MDP) marcato con 99m

Tc.

Nel soggetto senza alterazioni della funzionalità renale viene raggiunto un rapporto ottimale fra attività

ossea ed attività circolante dopo circa tre ore dalla somministrazione del radiofarmaco.

Scintigrafia scheletrica total body

Al paziente, al quale non viene richiesta alcuna particolare preparazione, vengono iniettati per

via endovenosa 740-925 MBq (20-25 mCi) di difosfonato marcato con 99m

Tc. Nei bambini si iniettano

dosi di 8 MBq /Kg di peso corporeo. Poichè il radiofarmaco presenta una discreta clearance per via

renale, il paziente dopo l'iniezione deve bere abbondantemente e svuotare la vescica prima

dell'esecuzione dell'indagine, così da ridurre ulteriormente il sia pure modesto assorbimento di dose

radiante, favorire il raggiungimento del più soddisfacente rapporto segnale/fondo e consentire

un'ottimale esplorazione anche delle strutture ossee del bacino.

b) Principali indicazioni cliniche

Lesioni neoplastiche metastatiche

L'indicazione principale della scintigrafia scheletrica totale corporea è certamente la ricerca di

localizzazioni metastatiche in fase di stadiazione e soprattutto di follow-up di alcuni tumori solidi

osteotropi, quali i carcinomi della mammella, della prostata, del rene e dei polmoni

-18-

Le lesioni ossee metastatiche si presentano come aree intensamente iperattive raramente uniche e

più spesso multiple. L'accumulo del radiocomposto non si verifica nel contesto del tessuto tumorale, ma

nel tessuto osseo peri-tumorale essendo espressione di una reazione osteoblastica reattiva.

La scintigrafia scheletrica ha una sensibilità molto elevata nella segnalazione di alterazioni ossee

metastatiche e la dimostrazione scintigrafica precede di settimane e talvolta di mesi la dimostrabilità

radiologica, che richiede una riduzione del contenuto calcico di almeno il 50 %.

2.3.4 Ghiandole endocrine

Scintigrafia tiroidea

La scintigrafia è utilizzata nello studio della patologia tiroidea e soprattutto della patologia

nodulare tiroidea, nell'ambito di una diagnostica integrata comprendente l'ecotomografia e l'esame

citologico mediante aspirazione con ago sottile. L'indagine scintigrafica permette di valutare sede,

morfologia e dimensioni della ghiandola, nonchè le caratteristiche funzionali del parenchima tiroideo e

di eventuali lesioni nodulari.

Lo 131

I non viene da circa vent’anni più utilizzato per l'effettuazione della scintigrafia tiroidea per

le sue sfavorevoli caratteristiche fisiche. La sua emissione γ di elevata energia (364 keV) non consente

di ottenere immagini di buona qualità con gammacamera, mentre la sua lunga emivita (8 giorni) e

l'emissione β associata comportano assorbimenti di dose non trascurabili.

L'impiego dello 131

I è attualmente limitato a livello diagnostico alla ricerca di metastasi nei

pazienti operati di tiroidectomia totale per carcinoma differeziato tiroideo.

Lo 123

I presenta caratteristiche fisiche più favorevoli (emivita di 13 ore; emissione gamma di 160

keV). Le difficoltà di approvvigionamento ed il costo elevato ne hanno tuttavia molto limitata

l'utilizzazione.

Il radiocomposto di scelta per l'effettuazione della scintigrafia tiroidea è pertanto il 99m

Tc

pertecnetato, che, analogamente ad altri anioni monovalenti si fissa elettivamente a livello delle cellule

tiroidee, è sempre disponibile e a costi molto contenuti e comporta un assorbimento di dose trascurabile,

cento volte più basso rispetto a quello dello 131

I.

Scintigrafia surrenalica corticale e scintigrafia surrenalica midollare

Per quanto riguarda invece le ghiandole surrenali, i radiofarmaci utilizzati differiscono a seconda

che si debba studiare la parte corticale o la parte midollare.

Il radiocomposto per lo studio della componente corticale è rappresentato dal colesterolo marcato

con 131

I. Inizialmente è stato utilizzato lo 131

I 19-iodo-colesterolo, a cui è stato successivamente preferito

lo 131

I 6-beta-iodometil-norcolesterolo, che ha il vantaggio di una maggior fissazione a livello corticale.

-19-

Il colesterolo marcato si fissa elettivamente in corrispondenza dei surreni, in quanto esso rappresenta la

molecola di base per la sintesi degli ormoni steroidei corticali.

Il radiocomposto impiegato per lo studio della parte midollare dei surreni è rappresentato dalla

meta-iodo-benzil-guanidina (MIBG), marcata con 123

I.

2.3.5 Patologie infiammatorie e infettive

Nello studio dei processi infiammatori i problemi diagnostici possono riguardare la

localizzazione di un processo infiammatorio a sede ignota o la valutazione dello stato di attività di un

processo infiammatorio, di cui si conosce già sede ed estensione. In queste situazioni le indagini

medico-nucleari, ed in particolare la scintigrafia con leucociti marcati con scansione di tutto il corpo,

sono in grado in molti casi di evidenziare la sede del focolaio infiammatorio, consentendo quindi di

utilizzare in modo mirato le tecniche di imaging più opportune.

Scintigrafia con 67

Ga citrato

Il 67

Ga citrato è un tracciante cellulare, che si fissa quindi, con meccanismi non esattamente

conosciuti, in corrispondenza di tutti i tessuti ricchi di cellule e con particolare intensità a livello del

tessuto neoplastico vitale e del tessuto sede di flogosi.

Il 67Ga citrato viene iniettato per via e.v. alle dosi di 185 MBq (5 mCi) e le acquisizioni sono

effettuate a distanza di 48-72 ore dalla somministrazione del radiocomposto.

La presenza di un processo flogistico si può manifestare con un'area unica di accumulo del

radiocomposto, circoscritta o talvolta di notevole estensione, con aree multiple iperattive o anche con

una accentuazione della concentrazione radioattiva di entità variabile a carattere diffuso.

2.3.4 Patologie di tipo oncologico

Nell'ambito dell'oncologia la medicina nucleare svolge un ruolo importante nella stadiazione dei

tumori solidi e dei linfomi maligni.

Anche in questo caso si procede con una Scintigrafia con Gallio-67 citrato.

Come abbiamo appena detto, il 67

Ga citrato è un tracciante cellulare, che iniettato per via e.v.

viene veicolato nel plasma dalla transferrina e si va a fissare, con meccanismi non completamente

chiariti, a livello di organuli citoplasmatici.

In passato il radiogallio è stato utilizzato nello studio di numerosi tumori epiteliali, mentre

attualmente viene impiegato in campo oncologico pressoché esclusivamente nei casi di linfoma,

soprattutto a localizzazione mediastinica.

Scintigrafia con meta-iodo-benzil-guanidina (MIBG) 131

I o 123

I

-20-

Le indicazioni della scintigrafia con MIBG 123

I in campo oncologico riguardano il

feocromocitoma, il neuroblastoma ed il paraganglioma maligno, che presentano nella maggior parte dei

casi una fissazione particolarmente intensa dell'indicatore radioattivo.

PET con fluoro-desossi-glucosio 18

F (18

F FDG)

Le indagini PET, che inizialmente sono state indirizzate prevalentemente verso obbiettivi di

sperimentazione e di ricerca, hanno trovato da alcuni anni una collocazione sempre più ampia

nell'ambito delle applicazioni diagnostiche utili nella pratica clinica e numerosi studi ne hanno

definitivamente dimostrato l'accuratezza diagnostica e l'efficacia clinica.

I principali campi di applicazione della PET si possono individuare, allo stato attuale delle

conoscenze, nell'ambito della diagnostica cerebrale, cardiaca e soprattutto oncologica. In ambito

oncologico sono stati utilizzati studi total body con impiego della 11

C metionina (MET) per lo studio del

metabolismo proteico e soprattutto del fluorodesossiglucosio marcato con 18

F (18

F FDG) per lo studio

del metabolismo glucidico.

Il glucosio è una delle principali sorgenti energetiche ed è ben noto che nel tessuto tumorale si

osserva un significativo incremento della utilizzazione del glucosio. In particolare il FDG penetra

attraverso la membrana cellulare nelle cellule e viene quindi intrappolato nella sede dell'accumulo, in

quanto viene fosforilato dall'enzima esochinasi a FDG-6P.

Gli studi PET con 18

F FDG sono risultati di grande utilità nella dimostrazione della natura

neoplastica di una lesione, nella determinazione del grado di malignità del tessuto neoplastico e nella

corretta stadiazione del tumore, che soprattutto in fase pre-operatoria consente una più precisa scelta del

trattamento terapeutico e di evitare inutili interventi chirurgici.

La possibilità di riconoscere la presenza di tessuto neoplastico vitale nell'ambito di una massa

residua in parte fibro-necrotica è essenziale nella valutazione della risposta alla terapia e nella

dimostrazione di una ripresa di malattia nella fase di follow-up.

Di notevole interesse risulta inoltre la possibilità di ottenere informazioni sulle caratteristiche

biologiche del tumore, che possono migliorare le procedure terapeutiche ed in particolare la scelta e la

precoce valutazione degli effetti del trattamento chemioterapico o del trattamento radioterapico e

contribuire ad una più precisa valutazione prognostica.

Per la notevole importanza della PET con 18

F FDG, e poiché il 18F è il principale isotopo

prodotto nei ciclotroni oggetto di questa tesi, analizziamo con maggior dettaglio le sue proprietà.

-21-

2.4 Il fluoro 18 e il suo utilizzo clinico

I principali radionuclidi prodotti dal ciclotrone ad uso medico nella PET :

Sono più di 1000 i radionuclidi che possono essere prodotti artificialmente in un ciclotrone, ma

solo alcuni sono adatti per essere utilizzati in Medicina Nucleare in virtù delle loro proprietà fisiche e

chimiche.

I criteri di scelta dei radionuclidi impiegati nella PET sono:

- proprietà biochimiche che li rendano adatti ad essere incorporati in un farmaco, senza alterarne

le caratteristiche biologiche;

- emivita breve (compatibile con la durata prevista per l’esame), per ridurre la dose di radiazioni

al paziente;

- emissione di soli raggi gamma;

- emissione di raggi gamma di energia abbastanza elevata da evitare attenuazione eccessiva da

parte del corpo del paziente ma anche abbastanza bassa per facilitare la produzione dell’immagine

(energia intorno a 150 keV).

La dose di radiazioni al paziente dipende dal tempo di dimezzamento effettivo dell’isotopo, dal

tipo e dall’energia di radiazione emessa della radiazione.

Dal punto di vista protezionistico i radionuclidi preferibili sarebbero quelli con un tempo di

dimezzamento molto breve (<1h ). Ma poiché bisogna considerare la durata dell’esame e talvolta anche

il trasporto e il periodo di stoccaggio del radionuclide, nuclidi con una vita media estremamente breve

non sono indicati per un uso di routine.

(Ovviamente quando il radionuclide può essere prodotto sul posto utilizzando un acceleratore di

particelle o un generatore non ci sono problemi relativi al trasporto o allo stoccaggio)

I radionuclidi usati nella PET sono sostanze con un eccesso di protoni, energeticamente instabili,

che tendono spontaneamente a decadere per acquisire una maggiore stabilità energetica nucleare

emettendo positroni. I positroni vengono emessi con un’energia cinetica di variabile e tale da percorrere

un tratto di pochi millimetri. Dissipata l’energia cinetica e raggiunta la condizione di riposo, un

positrone interagisce con un elettrone della materia: l’effetto è la scomparsa della massa delle due

particelle (annichilazione) e, per il principio di conservazione dell’energia, la formazione di due fotoni

di 511 KeV (l’energia di 511 KeV di ciascun fotone è equivalente alla massa di riposo di un elettrone o

di un positrone). I due fotoni, si dipartono dal punto di annichilazione con velocità uguale (ed uguale a

quella della luce) e direzione opposta (180°), formando così una retta definita “linea di annichilazione”.

-22-

I due fotoni di annichilazione raggiungono il tomografo colpendo quasi contemporaneamente

una coppia di rilevatori diametralmente opposti e collegati ad un circuito elettrico di coincidenza

computerizzato. Quando un fotone colpisce il cristallo contenuto nel rilevatore questo emette luce

attraverso il fenomeno della scintillazione; la luce viene amplificata da un fotomoltiplicatore e convertita

in segnale elettrico. Quando il sistema registra due cariche elettriche in un intervallo di tempo di 5-20

nanosecondi (“intervallo di coincidenza”) codifica un evento di annichilazione. La linea che unisce i due

rilevatori opposti è detta “linea di coincidenza”; essa coincide con la linea di annichilazione e passa per

il punto di annichilazione.

I radionuclidi vengono prodotti artificialmente mediante uso di un acceleratore lineare di

particelle, il ciclotrone. I principali radionuclidi disponibili oggi per gli studi PET sono 18F, 14O,15O,

11C, 13N (quest’ultimo anch’esso prodotto dal ciclotrone installato a Pavia ed utilizzato per marcare

l'ammonia N-13, che dopo iniezione endovenosa, circola sotto forma di ione ammonia nel sangue, da

dove viene rapidamente estratto per localizzarsi soprattutto a livello del tessuto cerebrale e miocardico in

proporzione al flusso ematico regionale); sono usati anche nuclidi β+ emittenti del Cu, Zn, K, Br, Rb, I,

P, Fe, Ga e altri. Il radionuclide è utilizzato per marcare una sostanza e consente di misurare in vivo una

variabile fisiologica connessa con la cinetica o la dinamica della sostanza marcata. Si presuppone quindi

la conoscenza della cinetica e della dinamica della sostanza che deve essere marcata: i radionuclidi

determinano variazioni modeste e correggibili della cinetica (“Isotope Effect”), ma non modificano le

proprietà fisiologiche o biochimiche della sostanza da marcare. L’introduzione dei radionuclidi

all’interno del nostro organismo può avvenire sia per endovena (15O;18Fluoro-2-deossi-D-glucosio) sia

per via inalatoria (15C), a seconda delle proprietà cinetiche e fisiche della sostanza marcata.

2.4.1 Il 18F FDG

Il [18F]Fluorodeossiglucosio è un tracciante emittente β+ analogo del glucosio. Ha la proprietà

di seguire in parte il comportamento del glucosio: ma, mentre il glucosio-6-fosfato (G-6-P) viene

metabolizzato seguendo la catena glicolitica, il fluorodeossiglucosio-6-fosfato ([18F]FDG-6-P) non

viene metabolizzato ulteriormente non essendo un substrato per la isomerasi, successivo enzima della

sequenza glicolitica. In altre parole, il [18F]FDG segue la cinetica del glucosio all’inizio del processo

metabolico ma poi, sotto forma di [18F]FDG-6-P, viene intrappolato nel tessuto non potendo essere

ulteriormente metabolizzato. Tale comportamento permette la misura della quantità di 18F accumulata

nel tempo nel tessuto considerato. Nel 1977 Sokoloff [SK77] mette a punto il classico modello a tre

compartimenti che dal 1979 verrà poi usato per quantificare le immagini PET di [18F]FDG. L’articolo è

una pietra miliare nel campo della quantificazione PET favorendone sostanzialmente il rapido sviluppo,

-23-

in generale, come strumento non invasivo per lo

studio del cervello e, nello specifico, come

metodica di quantificazione di processi fisiologici

che fino a quel momento non era mai stato

possibile misurare in vivo nell’uomo.

Le equazioni che descrivono il modello del

[18F]FDG sono:

)t(Ck)t(C

)t(C)kk()t(Ck)t(C

e3m

e32p1e

=

+−=

&

&

0)0(C

0)0(C

m

e

=

=

(1)

dove pC rappresenta la concentrazione plasmatica del 18FDG, eC

la concentrazione tessutale del

18FDG e mC la concentrazione tessutale del 18FDG-6-P.

L’equazione di misura è:

)t(CV))t(C)t(C)(V1()t(C bbmeb ++−= (2)

dove )t(C è la concentrazione di [18F] all’interno della regione tessutale esaminata, )t(Cb è la

concentrazione nel sangue intero e bV è un termine necessario per tener conto della presenza del

volume vascolare all’interno delle ROI (Regioni di Interesse) esaminate. Dalla stima dei parametri del

modello del 18FDG si passa poi, utilizzando le equazioni del modello del glucosio in stato stazionario,

alla stima della velocità di utilizzazione del glucosio, attraverso la seguente formula:

LC

C

kk

kkR

pg

32

31i

+=

(3)

dove pgCè la concentrazione plasmatica di glucosio (mg/dl) e LC è la cosidetta Lumped

Constant, nota da esperimenti indipendenti, che rende conto del fatto che il [18F]FDG non è un

tracciante ideale ma un analogo del glucosio (Fig. 2). Il modello (1) ha tra le sue assunzioni quella di

omogeneità del tessuto. La facilità con cui, nelle ROI cerebrali, si riscontra la presenza di almeno due

tessuti, quali la materia bianca e la grigia che hanno caratteristiche diverse di perfusione e velocità di

metabolizzazione, hanno portato nel 1992 Schmidt [SCM92] a proporre un modello matematico che

tenesse conto della possibile composizione eterogenea del tessuto cerebrale. Il tessuto è considerato

composto da n sottoregioni tessutali omogenee, ognuna di esse descritta dal modello (1), mentre il

compartimento plasmatico è considerato omogeneo. Il modello è troppo complesso per poter essere

identificato ma possono essere introdotti dei parametri tempo varianti :

)t(C)t(k)t(C

)t(C))t(k)t(k()t(Ck)t(C

e3m

e32p1e

=

+−=

&

&

0)0(C

0)0(C

m

e

=

=

(4)

-24-

dove )t(k 2 rappresenta il parametro di trasferimento del 18FDG dal tessuto eterogeneo al

plasma e )t(k3 il parametro di fosforilazione (addizione dei gruppi PO4) del 18FDG nel tessuto

eterogeneo e infine eC e mC le medie pesate della concentrazione di 18FDG e di 18FDG-6-P nel

tessuto eterogeneo. Per l’identificazione del modello (4), si associa ai parametri tempo-varianti )t(k 2 e

)t(k3 una descrizione parametrica, ad es. esponenziale:

)e1(k)t(k

)e1(k)t(k

t33

t22

β

β

α

α

+=

+=

(5)

Identificato il modello, si può calcolare la

velocità di utilizzazione del glucosio come:

LC

C

kk

kkR

pg

32

31i

+=

2.5 Produzione e utilizzo ospedaliero dei

radioisotopi

I moderni impianti di produzione di isotopi consistono spesso in un compatto ciclotrone per la

produzione di ioni H con un’energia compresa fra i 10 ed i 30 MeV; i radioisotopi prodotti per

applicazioni mediche sono utilizzati nell’ambito della medicina nucleare per effettuare delle diagnosi.

Contrariamente agli studi con i raggi X dove si possono ottenere solo informazioni statiche, l’utilizzo di

metodiche di medicina nucleare (ad esempio la PET) [FH] permette di avere informazioni sulla

funzionalità degli organi ed apparati. Le molecole marcate ed i radioisotopi che vengono utilizzati

devono rispondere a determinate caratteristiche:

a) non devono esserci decadimenti β.

b) Tempo di emivita breve.

c) L’energia delle emissione γ deve essere compresa in un range fra i 100 ed i 300 KeV.

Queste caratteristiche permettono di ottenere la massima accuratezza nella diagnosi e di dare la

minima dose al paziente. La produzione dei radioisotopi usati in medicina nucleare può essere fatta

utilizzando bersagli solidi, liquidi e gassosi.

-25-

2.5.1 I bersagli

La scelta del materiale con cui costruire il bersaglio dipende dallo specifico processo di

produzione del nucleotide; benché una regola generale non esista, vi sono alcuni aspetti comuni che

devono essere considerati riguardanti il bersaglio come: l’attivazione, la contaminazione, la corrosione

ed il raffreddamento [HMQ87]. Questi parametri dipendono dal tipo di particelle incidenti, dall’energia

del fascio, dalla corrente del fascio e dal materiale di cui è il bersaglio è costituito. Si dovrebbe utilizzare

i seguenti criteri generali:

• Spessore compreso fra 1―200 µm.

• Alta resistenza meccanica.

• Buona conducibilità termica.

• Alto punto di fusione.

• Resistenza chimica all’ossidazione.

Dopo l’irraggiamento l’isotopo prodotto si trova ancora nella matrice bersaglio (solido) o

all’interno del recipiente bersaglio (gas o liquido). In entrambi i casi l’attività deve essere trasferita dalla

stazione di irraggiamento in una camera calda per ulteriori processi. Questo trasferimento deve avvenire

in completa sicurezza, in maniera affidabile, spesso velocemente e può essere fatto sia manualmente che

automaticamente. Per motivi legati alla radioprotezione e per la sicurezza dei lavoratori si predilige un

trasferimento automatico. I sistemi di trasporto più comunemente usati sono dispositivi trasportatori (se

si utilizzano dei bersagli solidi) e tubazioni (se si utilizzano dei bersagli liquidi o gassosi) [PSS83].

2.5.2 L’automazione

Per la produzione di routine (spesso giornaliera), un sistema computerizzato controllato da un

microprocessore è assolutamente necessario e la possibilità di poter lavorare sia in modalità automatica

che semi-automatica garantisce un’elevata affidabilità del processo produttivo insieme ad un costante

controllo della qualità. Inoltre l’utilizzo di comandi a distanza per maneggiare il bersaglio, permette di

evitare un assorbimento troppo elevato di dose da parte del personale.

Per quanto riguarda i radioisotopi prodotti dai ciclotroni per utilizzo medicale si possono

individuare delle caratteristiche comuni per la produzione di questo tipo di radionuclidi:

• Energia dei protoni compresa fra i 10 ed i 30 MeV.

• Isotopi arricchiti per il materiale bersaglio.

• Recupero del materiale bersaglio.

• Utilizzabilità commerciale.

-26-

Tabella riassuntiva dei più comuni radioisotopi prodotti per uso medico:

Radioisotopo Tempo di Emivita

(ore)

Reazione nucleare Energia di

Bombardamento (MeV)

Gallio-67

Brominio-77

Rubidio-81

Indio-111

Iodio-123

Tallio-201

Fluoro-18

Azoto-13

78.3

57

4.6

67.2

13.2

73.1

1.8

0.2

Zn-68→67Ga

Kr-78→Br-77

Kr-82→Rb-81

Cd-112→In111

Xe-124→123I

Tl-203→Tl-201

O-18→F-18

O-16→13N

25

30

30

22

30

20

18

18

-27-

3. Il ciclotrone

3.1 Principi fisici e proprietà

Il ciclotrone è un acceleratore circolare che sfrutta il fatto che una particella carica in presenza di

un campo magnetico è soggetta alla forza di Lorentz, [CA92] e descrive una traiettoria circolare con una

frequenza di rivoluzione che dipende solo dall’intensità del

campo magnetico e dalla massa e dalla carica della particella

stessa; finché gli effetti relativistici si possono trascurare, si

può considerare tale frequenza indipendente dall’impulso della

particella.

Se si sottopone la particella ad un’accelerazione

mediante l’azione di sistemi a radiofrequenza (RF), la

variazione dell’impulso (classicamente, il vettore quantità di

moto p = mv) implica l’aumento del raggio di curvatura della

traiettoria: il percorso non è più circolare, ma ha la caratteristica forma a spirale.

Negli anni ‘30 E.O. Lawrence ebbe l’idea [RR82] di sfruttare questo fenomeno per produrre fasci

energetici di particelle e, con M.S. Livingston, realizzò il primo ciclotrone, con una configurazione

rimasta ancor oggi sostanzialmente invariata.

3.1.1 Il ciclotrone classico.

La configurazione del ciclotrone classico è quella

ideata da Lawrence e Livingstone nel 1930.

La forza di Lorentz alla quale è sottoposta una

particella di massa m e carica q in presenza del solo campo

magnetico B è data dal prodotto vettoriale:

F = qv x B

(si veda l’illustrazione in figura).

Il lavoro L = F·s compiuto dalla forza sulla particella è nullo, perché essa è perpendicolare alla

velocità e quindi allo spostamento: la particella non varia la sua energia cinetica e si muove su un piano

ortogonale alla direzione del campo magnetico. Vale quindi l’uguaglianza fra la forza magnetica e la

forza centripeta: F = qvB = mv²/r. Da questa relazione si può quindi ricavare il raggio r della

circonferenza descritta dalla particella in base al valore del campo magnetico applicato:

r = mv/qB

-28-

Si vede quindi che per accelerare particelle pesanti (alta massa m) a energie elevate (alta velocità

v) servono ciclotroni di grandi dimensioni (alto

raggio r); per mantenere sufficientemente limitate le

dimensioni spaziali, è necessario applicare un

elevato – e costoso! – campo magnetico B.

La particella percorre la circonferenza con

un periodo T = 2πr/v = 2πm/qB: si osservi che il

periodo non cambia se m e B restano costanti.

Le particelle cariche da accelerare possono

essere prodotte da una sorgente interna o iniettate

dall’esterno con particolari linee di trasporto al

centro della macchina, dove è presente il campo

magnetico prodotto da un

elettromagnete, che costringe le

particelle su una traiettoria

circolare. Il gap centrale è

delimitato da due elettrodi (detti

Dee, perché nei primi ciclotroni

avevano una forma simile alla

lettera D; si veda la figura) ai quali

è applicata una differenza di

potenziale alternata, regolata in modo che si inverta ogni

mezzo periodo. La fase della tensione è regolata in modo che,

in prossimità del gap, la particella positiva incontri l’elettrodo

carico negativamente, che l’attrae e l’accelera. Superato il

gap, la particella accelerata continua a muoversi nel dee

sottoposta solo all’azione del campo magnetico e percorre

una semicirconferenza con un raggio maggiore, perché ha

acquistato velocità. Ciò si ripete ogni T/2: l’aumento della

velocità causa l’aumento del raggio della traiettoria e la

particella descrive all’interno della macchina una spirale.

Occorre osservare che alla base del corretto

funzionamento dell’acceleratore vi è la sincronizzazione tra campo elettrico e campo magnetico. Nei

ciclotroni classici, l’aumento dell’energia della particella è limitato dal verificarsi degli effetti

relativistici: la crescita dell’energia in una particella con una velocità prossima a quella della luce induce

un aumento della massa della particella stessa, e per questo oltre un certo limite si perde

-29-

l’isosincronismo. Questo inconveniente è risolvibile variando col tempo la frequenza dell’oscillatore,

come nel sincrotrone, oppure applicando un campo magnetico B costante nel tempo e dipendente dal

raggio dell’orbita della particella, come nei ciclotroni isocroni più moderni.

3.1.2 Il sincrociclotrone.

Nel sincrociclotrone [PP84], il limite di energia presente nel ciclotrone classico è superato

variando la frequenza di accelerazione e modulandola in funzione dell’aumento di energia della

particella. Ciò si realizza inserendo nel circuito elettrico della macchina un elemento che abbassa la

frequenza dell’oscillatore e permette di mantenere in fase sia il voltaggio sia il fascio.

Lo svantaggio maggiore di questo acceleratore è che l’intensità della corrente prodotta è bassa.

Infatti, i ciclotroni forniscono un fascio pulsato con una frequenza dell’ordine dei 5-70 MHz (onda

continua) e con un duty (rapporto fra l’intervallo di tempo in cui il fascio è accettato ed accelerato ed il

periodo della frequenza di accelerazione) dell’ordine di 0,1-0,4; invece, nel sincrociclotrone il fascio è

frazionato sia a causa della frequenza di accelerazione, sia a causa della periodicità con cui la frequenza

varia nell’intervallo necessario a mantenere l’isosincronismo di rivoluzione: solo quando il pacchetto di

particelle accelerato è portato ad alte energie, l’oscillatore può tornare alla frequenza di partenza per

accelerare un nuovo pacchetto. Questa operazione richiede un tempo dell’ordine di 10-2

secondi ed il

duty factor si riduce a 0,001, con una notevole riduzione dell’intensità del fascio.

3.1.3 Il ciclotrone AVF o isocrono.

I ciclotroni AVF (Azimuthally Varing Field) hanno una frequenza di accelerazione costante,

mentre l’isocronismo si ottiene variando il campo magnetico in funzione del raggio della traiettoria della

particella. Si producono fasci energetici come quelli del sincrociclotrone, ma più intensi, perché

frammentati in una serie infinita di impulsi di frequenza dell’ordine dei 5-10 MHz. In particolare, il

campo magnetico aumenta radialmente: ciò riduce l’effetto di focalizzazione verticale, fenomeno che si

può contrastare variando l’intensità del campo anche azimutalmente, cioè introducendo la focalizzazione

a settori o di Thomas. Questo metodo sfrutta il rapporto tra i valori assunti dal campo magnetico nei

diversi settori della macchina ed è alla base del funzionamento dei ciclotroni moderni.

-30-

3.1.4 Il ciclotrone superconduttore.

Nella maggior parte dei ciclotroni, il campo magnetico è prodotto da magneti e bobine a

temperatura ambiente e può raggiungere un’intensità massima di 2 Tesla; è quindi necessario disporre di

una macchina con raggio tanto più grande quanto più è elevata l’energia del fascio da produrre. Nei

ciclotroni superconduttori, il campo magnetico è alimentato con bobine superconduttrici: si producono

campi con un’intensità di 4-5 Tesla riducendo le dimensioni del magnete di un fattore 4-5.

3.1.5 Il sincrotrone.

Approssimativamente, la massa di ferro necessaria per creare il campo magnetico all’interno

dell’acceleratore cresce con il cubo del diametro del polo [RR82]: questa relazione costituisce un limite

economico per le macchine finora descritte nel caso in cui si vogliano ottenere fasci molto energetici,

perché il loro costo di realizzazione sarebbe molto alto.

Per la produzione di fasci di alta energia si utilizzano i sincrotroni. In queste macchine, le

particelle non hanno una traiettoria a spirale, ma ruotano in orbite di raggio costante in presenza di un

campo magnetico variabile, che aumenta nel tempo con la loro velocità (ricordiamo che r = mv/qB). Si

raggiungono così energie fino a 100 volte più grandi di quelle permesse dagli altri acceleratori.

I sincrotroni sono costituiti da un insieme di magneti disposti su una circonferenza di raggio opportuno:

risulta evidente il risparmio economico, in quanto non è necessario applicare un campo magnetico

nell’intera area della circonferenza. Le particelle vengono accelerate lungo una traiettoria costante: si

aumenta la frequenza dell’oscillatore in sincronia con la variazione della velocità degli ioni.

In particolare, si accelerano pacchetti di particelle: dopo l’accelerazione di un pacchetto è

necessario riportare il campo magnetico e la frequenza ai valori iniziali prima di poter accelerare un

nuovo pacchetto. Come già visto nei sincrociclotroni, queste sono operazioni che richiedono tempi

relativamente lunghi, che incidono sull’intensità dei fasci prodotti e che richiedono complessi sistemi di

controllo.

Tabella: somiglianze e differenze tra i vari tipi di acceleratori circolari

Ciclotroni a frequenza fissa Ciclotroni a frequenza modulata Sincrotroni

Campo magnetico Costante Costante Aumenta

Raggio dell’orbita Aumenta Aumenta Costante

Frequenza dell’oscillatore Costante Diminuisce Aumenta

-31-

3.2 Iniezione ed estrazione del fascio

L’iniezione e l’estrazione del

fascio nei ciclotroni possono essere

realizzate in diversi modi. La scelta dei

sistemi più adatti dipende sia dalla

macchina sia dalle caratteristiche del

fascio; bisogna curare con attenzione

questi sistemi perché è in fase di

iniezione e di estrazione che si verifica

la maggior perdita di intensità del fascio.

3.2.1 L’iniezione

Il sistema di iniezione dipende essenzialmente dal tipo di sorgente adoperata per la creazione del

fascio. Nei primi ciclotroni si utilizzavano delle sorgenti interne, poste al centro della macchina, ma ciò

limitava enormemente le capacità delle macchine e le energie raggiungibili. Negli acceleratori moderni,

il fascio è prodotto esternamente e spesso, quando è iniettato nella macchina,è gia stato accelerato da

altri dispositivi.

L’iniezione dipende anche dalle caratteristiche delle particelle utilizzate: particelle cariche

richiedono accorgimenti differenti da quelle neutre ed anche il rapporto carica-massa influisce sulla

dinamica dell’iniezione. I sistemi di iniezione si possono distinguere in:

a) sistemi di iniezione di fasci neutri;

b) sistemi di iniezione radiale;

c) sistemi di iniezione assiale.

Iniezione di fasci neutri

Per limitare gli effetti del campo elettrico e di quello magnetico sulla dinamica di ingresso, si

possono iniettare nel ciclotrone fasci di particelle neutre con un’energia iniziale appropriata. Un metodo

per l’accelerazione di fasci neutri è quello ideato dal gruppo Keller del CERN: una sorgente polarizzata

posta sul piano mediano del ciclotrone produce degli atomi neutri che vengono polarizzati per

bombardamento elettronico; in questo modo si ottengono dei fasci di bassa energia, detti thermal

velocity beam.

-32-

Iniezione radiale

In alcuni sistemi di accelerazione, il fascio è prodotto da sorgenti esterne e, talvolta, giunge al

ciclotrone già preaccelerato da altri acceleratori, come i Linac. I sistemi di iniezione radiale consentono

di trasportare il fascio all’interno del ciclotrone conservandone le caratteristiche; l’iniezione avviene con

dei deflettori elettrostatici e si può realizzare sia nei ciclotroni a settori separati sia in quelli compatti. Si

veda in figura uno schema di un ciclotrone con iniezione radiale

Iniezione assiale

Il trasporto del fascio prodotto da una sorgente esterna fino al

centro del ciclotrone può avvenire mediante linee di iniezione

verticali provenienti sia dall’alto che dal basso; in prossimità del

piano mediano la traiettoria deve curvare di 90°, in modo da

raggiungere la posizione di inizio della fase di accelerazione. Questa

tipologia di sistemi è oggi la più utilizzata. Ancora, si veda nella

figura a fianco uno schema di ciclotrone con iniezione assiale.

3.2.2 L’estrazione

L’estrazione del fascio è una delle fasi più complesse del processo di accelerazione e dipende

soprattutto dalle caratteristiche del fascio estratto. I metodi di estrazione più utilizzati sono:

• estrazione mediante deflettori elettrostatici;

• estrazione per stripping.

-33-

Estrazione mediante deflettori elettrostatici

Storicamente, è questo il primo metodo di estrazione messo a punto e sfrutta l’azione di deflettori

elettrostatici che guidano il fascio fuori dal ciclotrone. Quando le particelle raggiungono l’energia finale,

si trovano in orbita nella regione più esterna della macchina: qui viene posto un deflettore elettrostatico,

che produce un campo elettrico radiale diretto verso l’interno. La forza dovuta alla presenza del campo

elettrico spinge le particelle cariche positivamente verso l’esterno: pertanto il raggio di curvatura

aumenta e le particelle sono deflesse fuori dall’acceleratore.

Il deflettore è costituito da due elettrodi incurvati ed ha una struttura simile ad un condensatore

cilindrico; l’elettrodo interno è a massa, quello esterno è invece ad una tensione opportuna. Il maggior

inconveniente di questo sistema è che parte del fascio colpisce l’elettrodo interno: ciò riduce l’efficienza

di estrazione e causa l’attivazione dell’elettrodo e di altre componenti del sistema.

Affinché l’efficienza di estrazione sia migliore (con conseguente riduzione del fenomeno di

attivazione), è necessario che le orbite siano ben

separate. Per migliorare l’efficienza di

estrazione, bisogna fare in modo che il raggio di

estrazione del ciclotrone sia grande ed il

guadagno di energia per ogni giro sia alto. Nei

ciclotroni in cui la separazione delle orbite non è

abbastanza grande, si interviene sulla dinamica

del fascio con perturbazioni magnetiche

(risonanze): questo permette di aumentare

leggermente il gap fra le orbite. Nella figura si

vede uno schema dell’estrazione mediante

deflessione elettrostatica.

Estrazione per stripping

Questo metodo è utilizzabile solo per

le particelle accelerate che hanno ancora

qualche elettrone legato: pertanto non è

possibile applicarlo per estrarre protoni e

ioni positivi completamente ionizzati, come

ad es. 12C6+

. In prossimità del raggio di

estrazione, si posiziona un foglio di carbonio

di spessore 50 – 200 µg/cm². Quando il

fascio attraversa il foglio, le particelle

-34-

accelerate perdono gli elettroni: cambia così il rapporto carica/massa degli ioni e di conseguenza il

raggio di curvatura della traiettoria, che esce dall’acceleratore.

L’efficienza di questo sistema di estrazione è molto alta, talvolta raggiunge anche il 100%, anche

per fasci di intensità elevata; l’attivazione dei componenti è piccola e quindi è possibile modificare le

componenti dell’acceleratore in poco tempo. Inoltre, si può variare l’energia del fascio in uscita

semplicemente variando la posizione del foglio di carbonio o anche ottenere due fasci di energie diverse

contemporaneamente. I vantaggi di questo sistema fanno sì che sia il metodo più utilizzato nei ciclotroni

che accelerano ioni H per applicazioni medicali e per la produzione di radioisotopi. Nella figura si vede

uno schema dell’estrazione per stripping di un fascio di ioni H.

3.3 I ciclotroni commerciali.

Subito dopo l’avvento del ciclotrone AVF si incominciò ad avere un utilizzo commerciale ed

industriale dei ciclotroni per applicazioni specifiche, soprattutto in medicina per la produzione di

radioisotopi e per la terapia del cancro. Negli anni 60 molte aziende si cercarono di inserirsi in questo

mercato (per esempio AEG, Philips, Scanditronix, the Cyclotron Corporation, Thompson- CSF/CGR).

Circa quindici anni più tardi tuttavia molte

di queste aziende ridussero o fermarono i

loro sforzi nello sviluppo e nella

commercializzazione dei ciclotroni poiché

si rivelarono necessari investimenti in

campi di ricerca correlati ai ciclotroni

come per esempio nella radiochimica,

nello sviluppo di tomografi ad emissione

di positroni (PET) e studi sulla fattibilità

di terapie anticancro utilizzando neutroni

oppure particelle cariche.

Oggi il numero di piccoli ciclotroni, dedicati ad uso commerciale e medico, cresce rapidamente.

La lista delle aziende produttrici contiene molti nuovi nomi come CTI PET Systems/Siemens, IBA,

EBCO, Oxford Instruments ecc ecc. Molti ospedali oggi sembrano essere pronti per installare un proprio

ciclotrone. Tutte queste apparecchiature sono ottimizzate per il loro uso specifico e sono state costruite

nella maniera più semplice e rese di facile utilizzo per gli operatori.

-35-

4. Il ciclotrone di Pavia presso il L.E.N.A.

Il 9 luglio 2007, alla presenza del Rettore dell’Università degli Studi di Pavia, Angiolino Stella, e

del Presidente della Fondazione Banca del Monte di Lombardia, Aldo Poli, è stato inaugurato presso il

L.E.N.A. (Laboratorio Energia Nucleare Applicata) l’impianto per la produzione di radioisotopi per uso

medicale.

Analizziamo ora la genesi e le principali caratteristiche del nuovo ciclotrone di Pavia. Esso

appartiene al modello Cyclone 18/9: è realizzato dalla ditta IBA sulla base della tecnologia “Deep

Valley” e accelera ioni negativi con un’efficienza di estrazione vicina al 100% [IBA].

4.1 Caratteristiche del progetto.

Nel corso del 2003 era stato presentato un progetto per l’installazione di un ciclotrone a Pavia

che può essere utilizzato per la produzione di vari tipi di isotopi per utilizzo medico e per la ricerca

scientifica.

Le dimensioni e la configurazione del bunker/ciclotrone sono tali da permettere la successiva

installazione di più linee per l’estrazione di fasci esterni. Lo spessore delle pareti del bunker supera i

2.10 m di spessore di calcestruzzo, per schermare i neutroni prodotti durante il funzionamento

dell’acceleratore.

I bersagli che è possibile utilizzare sono 8 e possono essere direttamente montati sulla macchina;

inizialmente si prevede l’installazione di 3 bersagli operativi: due per il Fluoro-18 (uno di piccolo

volume, 0,4 ml, ed uno di grande volume, 2 ml) ed uno per l’Azoto-13, tutti allo stato liquido.

Successivamente sarà possibile anche aggiungere i bersagli allo stato gassoso per l’Ossigeno-15,

Carbonio-11 e ancora Fluoro-18; le rimanenti porte potranno essere utilizzate nel futuro per aggiungere

ulteriori bersagli dedicati alla PET o a bersagli allo stato solido come

lo Iodio-124.

Ogni notte verranno prodotti i radioisotopi necessari al

funzionamento del reparto (di prossima apertura) di Medicina

Nucleare del Policlinico San Matteo di Pavia in modo che essi siano

immediatamente disponibili per l’inizio della giornata lavorativa; si

utilizzerà per l’attività clinica il già citato Fluoro-18 e per l’attività di

ricerca, sempre in ambito medico/clinico, l’Azoto-13.

-36-

Inizialmente è previsto il trasporto dei radioisotopi attraverso l’uso di un contenitore schermato

che verrà trasportato “manualmente” dal LENA al reparto (si veda la foto pagina precedente); in un

momento successivo si creerà un collegamento diretto tramite l’utilizzo di un sistema pneumatico ad aria

compressa che prevede l’invio dei contenitori con i radioisotopi attraverso dei tubi spinti appunto da aria

ad alta pressione.

4.2 Il sistema di bersagli.

Il ciclotrone di Pavia accelera ioni negativi con un’efficienza di estrazione vicina al 100% [IBA].

Nell’accelerazione di ioni negativi (H- o D

-) la massima corrente garantita per gli ioni idrogeno è di 80

µA, per i deutoni è di 40 µA. Per entrambe le particelle è possibile utilizzare il doppio fascio, cioè

bombardare due bersagli contemporaneamente, con la possibilità di modificare il bilanciamento della

corrente tra i due bersagli.

L’irraggiamento simultaneo di due bersagli è disponibile nella configurazione di base di tutti i

ciclotroni IBA; questo permette di produrre due diversi isotopi nello stesso momento, oppure di

raddoppiare la produzione di un solo isotopo bombardando due bersagli identici. La corrente può essere

opportunamente bilanciata fra i due target, da un minimo del 10% ad un massimo del 90% del totale.

4.2.1 Produzione di 18F

Il Fluoro-18 viene prodotto attraverso la reazione nucleare

18O + p �

18F + n

utilizzando come bersaglio acqua arricchita con 18

O che viene bombardata con protoni.

Per la produzione di 18

F, da cui sintetizzare FDG, vi sono tre tipi di bersagli, uno di piccolo

volume (0,45 ml), uno di medio volume (1,0 ml) ed uno di grande volume (2,0 ml) che possono essere

montati sul Cyclone 18/9. I bersagli sono realizzati in argento, in titanio e in niobio. La resa dei bersagli

in titanio è inferiore a quella dei bersagli in argento a causa della minore conducibilità termica del titanio

che non permette di raggiungere i massimi valori di corrente. Il bersaglio in niobio permette di ottenere

le stesse prestazioni di quello in argento eliminando l’inconveniente del rilascio di articolato all’interno

del corpo del bersaglio stesso.

Il bersaglio di piccolo volume consente di produrre, in un’ora di irraggiamento con il ciclotrone

da 18 MeV, una quantità di FDG sufficiente per il funzionamento giornaliero di due tomografi PET in

parallelo con un grande risparmio sul consumo di acqua arricchita. Nella tabella qui sotto, si vedono le

quantità di 18

F e FDG ottenibili con i diversi volumi con un irraggiamento di una o due ore.

-37-

Ciclotrone 18 MeV

Volume del target 18

F FDG

0,45 ml @ 15 µA

1,0 ml @ 22 µA

2,0 ml @ 40 µA

1000 mCi

1600 mCi

3000 mCi

500 mCi

800 mCi T=60m

1500 mCi

0,45 ml @ 15 µA

1,0 ml @ 22 µA

2,0 ml @ 40 µA

1600 mCi

2600 mCi

5000 mCi

800 mCi

1300 mCi T=120m

1500 mCi

Passando al doppio bombardamento, sempre con la stessa corrente per ciascun bersaglio, le rese

raddoppiano quasi esattamente. In realtà si ha una diminuzione del 10% del valore globale (9 Ci anziché

10 Ci di 18

F con i bersagli a grande volume) perché la focalizzazione del fascio quando si utilizzano due

bersagli non riesce ad essere altrettanto perfetta che con l’uso di un singolo target.

Le finestre dei bersagli sono raffreddate con un flusso di elio. L’elio viene fatto circolare in un

circuito chiuso che include un compressore ed uno scambiatore di calore. Il materiale usato e lo spessore

di ciascuna finestra dipendono dal tipo di target.

4.2.2 Produzione di 13N

L’azoto-13 viene prodotto attraverso la reazione nucleare

16O + p �

13N + α

utilizzando come bersaglio ossigeno naturale che viene bombardato con protoni. Nel target si forma

direttamente ammonia eliminando così la necessità di successivi moduli di sintesi. Le finestre dei

bersagli sono raffreddate con un flusso di elio, analogamente a quanto visto per il fluoro-18. I bersagli

sono simili a quelli di grande volume utilizzati per il 18

F. Nelle tabelle sottostanti sono sintetizzate le

principali caratteristiche di tale metodologia.

Dimensioni esterne dei bersagli Lunghezza: 85 mm; Diametro: 64 mm

Volume irraggiato 1,7 ml

Volume totale del bersaglio < 2 ml

Materiale del target Alluminio

Materiale da bombardare Acqua naturale (5 mMol di Etanolo)

Materiale della finestra Havar alloy

-38-

Spessore della finestra 25 microns

Pressione riempimento target 20 bar

Raffreddamento del target Acqua a temperatura ambiente

Particelle del fascio Protoni

Tasso di produzione di 13

N con bombardamento di un singolo bersaglio:

Energia del fascio 18 MeV

Energia effettiva sul bersaglio 16 MeV

Resa alla saturazione 38 mCi/µA

Attività dopo 15 minuti di irraggiamento > 400 mCi

Forma chimica dopo l’irraggiamento NH3

4.2.3 Altri sistemi di bersagli

Con le 8 porte di uscita il Cyclone 18/9 offre un alto livello di flessibilità in termini del numero

di bersagli pronti per la produzione e di bersagli disponibili come back-up. Il ciclotrone è stato

progettato per garantire la massima flessibilità nello sviluppo del target; i bersagli sono distribuiti

radialmente attorno al ciclotrone e le porte sono sufficientemente grandi da permettere l’installazione di

target costruiti ad hoc dagli utilizzatori, di sistemi per l’estrazione del fascio e di bersagli solidi. E’

possibile collegare alle porte alcune linee per estrarre il fascio e portarlo su target posizionati a qualche

metro dalla macchina o in stanze adiacenti. Nel caso di un problema su una delle porte durante

l’irraggiamento, un bersaglio di back-up può essere immediamente attivato e la produzione può

continuare; il cambio del bersaglio è un’operazione completamente automatica ed occorrono pochi

minuti per iniziare una nuova produzione con un target diverso includendo il tempo necessario per il

condizionamento del target stesso (riempimento, raffreddamento ecc.) e l’ottimizzazione del fascio sul

bersaglio. Alla fine dell’irraggiamento, il radioisotopo viene automaticamente trasferito nei moduli di

sintesi.

-39-

4.3 Le parti principali del ciclotrone

4.3.1 Sorgente di ioni

Il sistema Cyclone è dotato di due sorgenti PIG a catodo freddo, una per la produzione di ioni H

e l’altra per la produzione di deutoni. Entrambe le sorgenti creano un arco elettrico di 500 mA con 800

V di potenziale. Le sorgenti sono collocate nelle due “valli” che non ospitano gli elettrodi “Dee” di

accelerazione. Con il Cyclone passare dal fascio di protoni a quello di deutoni richiede meno di qualche

minuto (inclusa l’ottimizzazione del fascio sul bersaglio). L’operazione è completamente automatica

essendo pilotata dal sistema di controllo senza necessità di interventi da parte dell’operatore.

4.3.2 Sistema magnetico

Il campo magnetico esterno è molto basso, infatti scende sotto i 5 Gauss all’interno del locale

ciclotrone; in questo modo è possibile evitare problemi e anomalie dovuti a disturbi da campi magnetici.

La tecnologia dei ciclotroni a polo compatto prevede che la distanza tra i due poli dell’acceleratore

sia tale da permettere l’alloggiamento degli elettrodi di accelerazione (la cui altezza è sempre superiore

ai 3 cm). Nel Cyclone 18/9 si utilizza la tecnologia “Deep Valley” che combina quattro settori di acciaio

e quattro valli per ciascun polo. Il gap è di soli 3 cm tra i settori e di 120 cm tra le valli. Nelle valli

vengono alloggiati tutti i sottosistemi principali come gli elettrodi accelerazione (i Dees) e le sorgenti di

ioni. Il campo magnetico risulta di 1,90 Tesla nei settori, e di 0,35 Tesla nelle valli; il campo medio è di

1,30 Tesla.

Questa soluzione migliora l’efficienza complessiva del ciclotrone, diminuisce la richiesta globale

di energia per il funzionamento del sistema e offre altri vantaggi quali:

• Grande focalizzazione del fascio; l’elevato gradiente di campo magnetico nel piano di accelerazione

tra le zone con campo elevato (i settori) e quelle con basso campo (le valli) determinano un effetto di

focalizzazione del fascio nel piano ortogonale alla direzione di propagazione del fascio.

• Distanza ridotta fra i settori; la riduzione del gap fra i poli (3 cm) permette di utilizzare un numero

inferiore di ampere-spire negli avvolgimenti primari per ottenere lo stesso valore di campo magnetico,

riducendo così la richiesta di energia elettrica del magnete, inferiore ai 15 KW.

• Riduzione dell’attività residua; la maggior parte dei sotto-sistemi (per esempio gli elettrodi di

accelerazione) non sono posizionati nel piano di accelerazione ma nelle valli e sono così protetti dalle

perdite del fascio.

-40-

• Bassa impedenza capacitiva degli elettrodi dees; quando gli elettrodi a radiofrequenza sono

posizionati tra i poli, l’impedenza capacitiva globale del sistema è alquanto elevata. La perdita di

corrente a radiofrequenza e la dissipazione che ne consegue hanno quindi valori rilevanti. Nel

Cyclone, gli elettrodi di accelerazione (dees) ampi solo 30° sono interamente posizionati nelle valli

riducendo così l’accoppiamento capacitivo del sistema. La potenza di radiofrequenza dissipata ha

perciò valore valori molto bassi contribuendo a ridurre il surriscaldamento del ciclotrone.

• Bassi costi di esercizio; la struttura magnetica del ciclotrone riduce significativamente la potenza

totale richiesta dal sistema rispetto rispetto ai ciclotroni a polo compatto permettendo un notevole

risparmio sui costi di gestione. Questo significa minore consumo di energia elettrica e minori esigenze

sul sistema di raffreddamento. Il consumo totale durante il bombardamento risulta inferiore a 42 KW.

Tabella dei consumi del ciclotrone:

MAGNETE < 15 KW

RADIOFREQUENZA < 15 KW

POMPE A VUOTO < 6 KW

SISTEMA DI RAFFREDDAMENTO < 5 KW

SORGENTE < 1 KW

4.3.3 Utilizzo di un piano di accelerazione orizzontale

Nel Cyclone 18/9 si utilizza un piano di accelerazione orizzontale che porta ad ottenere i seguenti

vantaggi:

• Esposizione minima del personale durante l’attività di manutenzione; nei ciclotroni con piano di

accelerazione verticale i targets non possono essere posizionati ad uguale distanza gli uni dagli altri nel

piano mediano, ma devono essere raggruppati in una sola zona, mentre i bersagli usati in questo tipo di

ciclotrone non sono raggruppati con il vantaggio che ciascun target è parzialmente schermato dalla

struttura stessa della macchina. Ciò permette un facile accesso ed una più semplice manutenzione ai

bersagli anche immediatamente dopo l’irraggiamento, minimizzando l’esposizione del personale che

quando lavora su un qualsiasi bersaglio è sempre lontano da altri target eventualmente attivati. Quando

i bersagli sono raggruppati da una sola parte del ciclotrone, lavorando su uno dei target, non è

possibile evitare l’irraggiamento proveniente dagli altri. Inoltre, durante la manutenzione all’interno di

una macchina verticale il personale ha facilmente accesso a tutti i sottosistemi ma è anche

completamente esposto in tutto il corpo all’attività residua di tutte le parti della macchina

-41-

eventualmente attivate. Al contrario, nei sistemi Cyclone il personale è protetto dalle radiazioni dalla

struttura stessa del giogo del ciclotrone: grazie alla forma circolare del giogo il personale ha facile

accesso con le mani a tutti i sottosistemi della macchina senza essere esposto al piano mediano (ad

esempio durante la sostituzione dei sistemi di estrazione)

• Target esterni; le caratteristiche di questo ciclotrone consentono di adattare facilmente altri bersagli a

ciascuna delle otto porte di uscita o di collegare una o più linee esterne per il trasporto del fascio.

Possono essere utilizzate 3 tipi di linee esterne, una estremamente corta per posizionare il bersaglio

nelle adiacenze del giogo del ciclotrone, una lunga 1,5 metri ed una di 6 metri di lunghezza per

arrivare ed irraggiare un target posto in un altro bunker adiacente alla camera del ciclotrone.

• Miglior livello di vuoto; nei ciclotroni verticali non c’è un accesso diretto per il pompaggio al piano

mediano di accelerazione e le pompe a vuoto sono posizionate di fianco alla macchina. Nei ciclotroni a

struttura orizzontale, il vuoto è più omogeneo nel piano di accelerazione in quanto la conducibilità del

vuoto e l’efficienza del pompaggio sono estremamente elevate grazie alle pompe a diffusione che

hanno accesso diretto al piano mediano. Nel Cyclone 18/9 le pompe sono 4 e sono montate sotto il

ciclotrone.

4.3.4 Sistema a radiofrequenza

Il sistema a radiofrequenza (RF) genera il campo elettrico che estrae le particelle dalla sorgente

ed accelera gli ioni attraverso i Dees. Tramite la RF le particelle acquisiscono energia ad ogni

rivoluzione fino a raggiungere il raggio di estrazione.

Il sistema consiste di una cavità risonante a RF all’interno della camera a vuoto del ciclotrone, un

meccanismo di sintonizzazione della cavità, un generatore di radiofrequenza di 15 KW di potenza ed un

rack di controllo per la radiofrequenza. Il generatore di RF da 15 KW alimenta la cavità risonante

attraverso un cavo coassiale da 50 Ohm. L’energia del campo a RF è accoppiata induttivamente alla

cavità dove due elettrodi (dees) sono fissati da un lato da due sostegni verticali di rame che sono

risonanti ad un quarto della lunghezza d’onda. I Dees, ampi 30°, sono posizionati in due valli opposte e

collegati tra loro al centro del piano di accelerazione. I piani di ciascun dee presentano sopra e sotto una

struttura aperta per favorire il pompaggio del vuoto. Le cavità risonanti di rame sono posizionate

interamente nelle valli. Il rack dedicato controlla il generatore di RF a 15 KW e contiene il cristallo

oscillatore e tutti i circuiti necessari per controllare la sintonizzazione della cavità risonante. Per

sintonizzare la cavità, si utilizza la piastra di un condensatore che viene posizionata nella cavità stessa

per ottenere la frequenza di risonanza. I due elettrodi Dees lavorano alla stessa frequenza sia per

accelerare protoni che deutoni evitando così la necessità di sintonizzare l’amplificatore a RF passando

da un tipo di particelle all’altro. Il sistema a RF è inoltre completamente automatico e include tutti i

necessari interlock di sicurezza.

-42-

4.3.5 Sistema di estrazione

Di fronte a ciascuno degli otto bersagli è posizionato un sistema fisso dedicato di estrattori,

ciascuno dotato di due “stripper foils”. Perciò ogni bersaglio è completamente indipendente, con il suo

proprio sistema di estrazione, due lamine di carbonio ed un sistema dedicato di raffreddamento. Ciò

rappresenta un enorme vantaggio: nel caso si presenti un problema su un sistema di estrazione solo un

target non è più operativo. Se il sistema di estrazione fosse condiviso da più bersagli (come avviene

spesso nei ciclotroni), tutti i target sarebbero inutilizzabili in caso di un problema sul sistema stesso.

Inoltre la funzionalità del doppio bombardamento (dual beam) non sarebbe in ogni caso più disponibile.

Per ottenere la massima affidabilità i bersagli ed i sistemi di estrazione sono fissati nelle

posizioni ottimali. La posizione di ciascun sistema di estrazione è ottimizzata per permettere la

trasmissione completa del fascio incidente sul volume del materiale bersaglio e non deve essere

aggiustata ogni volta che si seleziona un nuovo target. Non ci sono parti meccaniche in movimento (né

sistemi di scambio di bersagli, né sistemi di estrazioni mobili) necessarie per spostare la produzione da

un target all’altro. L’utilizzo di parti meccaniche in movimento rende il sistema meno affidabile in

quanto se si presentasse un problema di estrazione tutta la produzione sarebbe sospesa.

4.3.6 Diagnostica del fascio

Il controllo del fascio viene eseguito tramite misure di intensità in diverse posizioni lungo il

cammino del fascio stesso. Queste misure sono trasmesse al sistema di controllo costituito da un sensore

collocato in un punto nel quale il raggio dell’orbita di rivoluzione delle particelle è di 10 cm (questo è

utilizzato per la misura del fascio all’interno del piano di accelerazione). Si effettua inoltre una misura

dell’intensità attraverso le lamine di estrazione, in questo caso la misura dell’intensità del fascio che

colpisce il sistema di estrazione è ricavata dalla misura dell’intensità di corrente di elettroni strappati

dagli ioni H o D. Questi elettroni terminano la loro corsa sul supporto dei “stripper foils”. Il valore

della misura viene diviso per due (ciascun ione trasporta due elettroni) ed è automaticamente trasferito al

sistema di controllo.

4.3.7 Sistema a vuoto

Il vuoto è estremamente importante in un acceleratore di ioni negativi: valori di vuoto più elevati

significano un minore rischio di strappare accidentalmente gli elettroni dalle particelle in movimento e

di conseguenza un’accelerazione più efficiente e minore attivazione dei componenti del ciclotrone.

-43-

Il valore del vuoto raggiungibile all’interno del Cyclone 18/9 è di circa 1.1⋅10-6

mbar. Un livello

di vuoto di 1.1⋅10-5

mbar è raggiungibile in 30 minuti di pompaggio partendo da una situazione in cui la

camera a vuoto è riempita di azoto secco a pressione atmosferica (venting). Dopo due ore di pompaggio

si raggiunge il livello di vuoto specificato per poter accendere il fascio.

-44-

4.3.8 Sistema di raffreddamento

Il circuito di raffreddamento raccoglie il calore dissipato dal ciclotrone, il calore generato dagli

alimentatori raffreddati ad acqua all’interno del “power supply room” ed il calore estratto dai bersagli

per rilasciarlo nel circuito di raffreddamento dell’utilizzatore.

L’acqua di raffreddamento circola attraverso e grazie

ad un condizionatore; oltre a far circolare l’acqua, l’unità di

raffreddamento primaria rilascia il calore estratto dal sistema al

circuito di raffreddamento dell’utilizzatore, attraverso uno

scambiatore di calore. Questo trasferimento di calore è

controllato in modo da mantenere la temperatura dell’acqua di raffreddamento entro limiti prefissati. Il

condizionatore ha anche la funzione di deionizzare l’acqua di raffreddamento per assicurare che la sua

conducibilità elettrica rimanga tanto bassa da impedire flussi di corrente fra le diverse parti del

ciclotrone attraverso il circuito stesso. La temperatura di riferimento per l’acqua può essere selezionata

sul controller della sonda di temperatura posizionato nel power supply room.

4.3.9 Sistema di controllo

Il sistema di controllo del Cyclone è progettato in modo da risultare semplice per l’operatore; il

software di controllo infatti consente operazioni intuitive, tramite mouse, anche a personale con scarsa

esperienza di ciclotroni. Tutte le operazioni di routine sono prese in carico dal software, inclusa la

gestione del campo magnetico, delle sorgenti, della RF, del vuoto e dei target. Questo software si

interfaccia con PLC industriali molto affidabili che sono

in grado di utilizzare sia linguaggi di programmazione

semplici che evoluti. Il codice del PLC è completamente

scritto in Step 7. Il sistema di controllo è orientato

all’utilizzatore. L’interfaccia utente consiste in

un’applicazione a finestre che utilizza il mouse per

muoversi tra le varie sezioni dello schermo e per

selezionare i comandi. Il sistema è gestito attraverso

menù grafici autoesplicativi che rappresentano gli aspetti

essenziali del ciclotrone e dei processi chimici coinvolti. Nella figura è mostrata una videata del

software di controllo.

-45-

4.3.10 Sistemi di sicurezza

Il sistema di controllo del ciclotrone è integrato con il sistema di sicurezza del sito BSS (Build

Safety System) dove arrivano tutti i segnali relativi ai sensori ed agli attuatori posizionati nel bunker e

nei laboratori. L’impianto è inoltre dotato di un sistema di monitoraggio ambientale della radioattività e

di controllo dell’attività degli effluenti aeriformi al camino. Il bombardamento può iniziare solo se tutti i

segnali raccolti dal BBS sono positivi (chiusura porte, presenza di personale, livello di radiazioni

ambientali, ventilazione corretta ecc.). Il software di controllo permette di eseguire tutte le operazioni in

modo automatico.

4.4 Riassunto delle caratteristiche

Tutte le caratteristiche del ciclotrone descritte finora sono riassunte nella seguente tabella che

racchiude le specifiche di sistema del Cyclone 18/9 [IBA02]:

Fascio:

Ioni estratti: H+, D+

accelerati: H, D

Energia protoni: 18 MeV

deutoni: 9 MeV

Intensità estratta protoni: 80 µA

deutoni: 35 µA

Numero di porte per i bersagli 8

Fasci estratti contemporaneamente 2

Consumo di corrente:

In stand-by < 10 KW

Fascio sul bersaglio < 50 KW

Struttura magnetica:

Numero di settori 4

Angolo dei settori 54° - 58°

Intensità campo magnetico principale 1,3 Tesla

-46-

Corrente alternata nei coils 20 KW

Peso del ferro 20 Tonnellate

Peso del rame 2 Tonnellate

Sistema a Radio Frequenza:

Potenza totale della RF 10 KW

Numero di Dees 2

Angolo dei Dees 30°

Modalità armoniche protoni: 2

deutoni: 4

Frequenza 42 MHZ

Voltaggio del Dee 32 KW

Potenza dissipata RF per Dee: 3 KW

acc. Fascio: 2 KW

Sorgente di ioni:

Tipo di sorgente catodo freddo P.I.G.

Potenza dell’arco 0,8 KW

Dimensioni esterne:

Diametro esterno del magnete 2 m

Altezza totale chiuso 2,22 m

Altezza totale aperto 2,87

Le immagini che seguono rappresentano il ciclotrone

di Pavia, così come è già attualmente posizionato e attivo nel

bunker del LENA.

-47-

Due aperture dalle quali viene estratto il F-18 dopo il bombardamento dei volumi bersaglio

La cappa di manipolazione dove il radioisotopo prodotto viene stoccato in appositi contenitori

-48-

A sinistra la manipolazione del radioisotopo; a destra lo strumento per la misurazione

dell’attività

-49-

Conclusioni

In questa tesi si è presentata nelle sue linee generali la tecnica di produzione di radioisotopi a

utilizzo medico, in particolare per la PET, mediante ciclotrone.

L’utilizzo dei radioisotopi in ambiente ospedaliero sta diventando sempre più frequente e

importante, e sempre maggiori diventano quindi le esigenze di disporre dei relativi radiofarmaci, che –

oltre ai noti problemi di sicurezza a causa della radioattività – richiedono anche una continua, quotidiana

preparazione, in quanto spesso i radioisotopi in essi contenuti hanno tempi di emivita molto bassi (ad es.

il Fluoro-18, forse il più comune tra essi, si dimezza in meno di due ore). La produzione di questi

radioisotopi avviene generalmente per attivazione nucleare, in reattori o acceleratori di particelle, in

particolare i ciclotroni; diventa quindi sempre più urgente e importante, per minimizzare tempi e costi

delle procedure diagnostiche e terapeutiche, disporre di tali strumenti nelle immediate vicinanze dei

centri ospedalieri.

Dopo una rassegna sull’utilizzo medico dei radioisotopi e sui principi fisici della loro produzione

nei ciclotroni, in questo lavoro si è presentato il nuovo ciclotrone installato presso il LENA (Laboratorio

di Energia Nucleare Applicata) dell’Università di Pavia, che è stato recentemente inaugurato nell’estate

2007 e permetterà di produrre quotidianamente la necessaria quantità di radioisotopi, inizialmente

Fluoro-18 e Azoto-13, ad uso delle strutture ospedaliere pavesi.

-50-

Bibliografia

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F]fluorodeoxyglucose method. J Cereb Blood Flow

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-52-

Indice

Introduzione..........................................................................................................2

1. I radionuclidi ....................................................................................................3

1.1 Nuclei stabili e instabili..................................................................................................... 3

1.2 Elementi radioattivi naturali e artificiali ............................................................................ 4

1.3 Decadimenti radioattivi..................................................................................................... 5

1.3.1 Decadimento alfa ....................................................................................................... 6

1.3.2 Decadimento beta....................................................................................................... 6

1.3.3 Fissione spontanea ..................................................................................................... 8

2. I radionuclidi in Medicina Nucleare................................................................9

2.1 I radiofarmaci ................................................................................................................... 9

2.2 Le indagini medico-nucleari............................................................................................ 11

2.2.1 SPET: tomografia a emissione di fotone singolo ...................................................... 12

2.2.2 PET: tomografia a emissione di positroni ................................................................. 12

2.3 Metodi di impiego e indicazioni cliniche......................................................................... 14

2.3.1 Apparato respiratorio ............................................................................................... 14

2.3.2 Apparato urinario ..................................................................................................... 16

2.3.3 Apparato scheletrico ................................................................................................ 16

2.3.4 Ghiandole endocrine ................................................................................................ 18

2.3.5 Patologie infiammatorie e infettive........................................................................... 19

2.3.4 Patologie di tipo oncologico ..................................................................................... 19

2.4 Il fluoro 18 e il suo utilizzo clinico.................................................................................. 21

2.4.1 Il 18

F FDG................................................................................................................ 22

2.5 Produzione e utilizzo ospedaliero dei radioisotopi.......................................................... 24

2.5.1 I bersagli...................................................................................................................... 25

2.5.2 L’automazione ......................................................................................................... 25

3. Il ciclotrone ..................................................................................................... 27

3.1 Principi fisici e proprietà................................................................................................. 27

3.1.1 Il ciclotrone classico................................................................................................. 27

3.1.2 Il sincrociclotrone. ................................................................................................... 29

3.1.3 Il ciclotrone AVF o isocrono. ................................................................................... 29

3.1.4 Il ciclotrone superconduttore. ................................................................................... 30

-53-

3.1.5 Il sincrotrone............................................................................................................ 30

3.2 Iniezione ed estrazione del fascio.................................................................................... 31

3.2.1 L’iniezione............................................................................................................... 31

3.2.2 L’estrazione ............................................................................................................. 32

3.3 I ciclotroni commerciali .................................................................................................. 34

4. Il ciclotrone di Pavia presso il L.E.N.A.......................................................... 35

4.1 Caratteristiche del progetto ............................................................................................. 35

4.2 Il sistema di bersagli. ...................................................................................................... 36

4.2.1 Produzione di 18

F ..................................................................................................... 36

4.2.2 Produzione di 13

N..................................................................................................... 37

4.2.3 Altri sistemi di bersagli ............................................................................................ 38

4.3 Le parti principali del ciclotrone ..................................................................................... 39

4.3.1 Sorgente di ioni........................................................................................................ 39

4.3.2 Sistema magnetico ................................................................................................... 39

4.3.3 Utilizzo di un piano di accelerazione orizzontale...................................................... 40

4.3.4 Sistema a radiofrequenza.......................................................................................... 41

4.3.5 Sistema di estrazione................................................................................................ 42

4.3.6 Diagnostica del fascio .............................................................................................. 42

4.3.7 Sistema a vuoto........................................................................................................ 42

4.3.8 Sistema di raffreddamento........................................................................................ 44

4.3.9 Sistema di controllo ................................................................................................. 44

4.3.10 Sistemi di sicurezza................................................................................................ 45

4.4 Riassunto delle caratteristiche ......................................................................................... 45

Conclusioni.......................................................................................................... 49

Bibliografia ......................................................................................................... 50