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1 UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO FACOLTA’ DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA DECISIONI ECONOMICHE, IMPRESA E RESPONSABILITA’ SOCIALE TESI DI LAUREA SPECIALISTICA LA PREVENZIONE DEI REATI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO NEI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE E CONTROLLO EX D.LGS 231/2001 DEL GRUPPO DOLOMITI ENERGIA Relatore Prof. Giacomo Bosi Laureanda Michela Lorenzini Anno Accademico 2008/2009 Trento, 30 marzo 2010

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TRENTO

FACOLTA’ DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA

DECISIONI ECONOMICHE, IMPRESA E RESPONSABILITA’

SOCIALE

TESI DI LAUREA SPECIALISTICA

LA PREVENZIONE DEI REATI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL

LAVORO NEI MODELLI DI ORGANIZZAZIONE E CONTROLLO EX D.LGS

231/2001 DEL GRUPPO DOLOMITI ENERGIA

Relatore Prof. Giacomo Bosi

Laureanda

Michela Lorenzini

Anno Accademico 2008/2009

Trento, 30 marzo 2010

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A Giacomo, Emanuele e Giulia

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C’è chi insegna

guidando gli altri come cavalli

passo per passo:

forse c’è chi si sente soddisfatto così

guidato.

C’è chi insegna lodando

quanto trova di buono e divertendo:

c’è pure chi si sente soddisfatto

essendo incoraggiato.

C’è pure chi educa, senza nascondere

l’assurdo che è nel mondo, aperto ad ogni

sviluppo ma cercando

d’esser franco all’altro come a se,

sognando gli altri come ora non sono:

ciascuno cresce solo se sognato.

Danilo Dolci

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INTRODUZIONE

CAPITOLO PRIMO

LA CORPORATE GOVERNANCE TRA DIRITTO ED ETICA

1. Che cos’è la corporate governance?

1.1. La corporate governance e l’imperfezione del diritto

2. Etica e attività di impresa

2.1 L’etica di impresa: il triplice angolo visuale

2.2 Etica degli affari e mercato

2.3 Etica degli affari e codici etici

2.3.1 Codici etici e responsabilità dell’imprenditore

2.4 Etica degli affari, impresa etica e impresa socialmente responsabile

2.5 Etica e governance aziendale

2.6 La responsabilità sociale e comunitaria dell’impresa

2.7 Quali strumenti per introdurre l’etica nella gestione dell’impresa?

3. Il Codice Etico

3.1 Il Codice Etico, il D.lgs 231/2001 e le Linee Guida delle Associazioni di

Categoria

3.2 Analisi sull’applicazione dei codici etici d’impresa in Italia: la ricerca

condotta dalla Fondazione Unipolis

3.2.1 Obiettivi della ricerca

3.2.2 I risultati

3.3 La ricerca condotta dalla Fondazione Enrico Mattei

3.3.1 I risultati

3.3.2. Riflessioni conclusive

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CAPITOLO SECONDO

LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI

INTRODOTTA DAL D. LGS 231/2001

Premessa

1.. Il d.lgs 231/2001 nella linea evolutiva dell’ordinamento.

1. 1 Le fonti culturali e normative ispiratrici della disciplina della responsabilità

amministrativa degli enti

1.2 La Legge Delega n. 300 del 29 settembre 2000 ed i precedenti normativi in

ambito internazionale

1.3. L’esperienza statunitense dei Compliance Programs

1.4 La tradizione Italiana nella corporate governance: i cc.dd codes of best practice di

categoria

2. L’impianto del D.lgs 231 del 8 giugno 2001

2.1 Ambito soggettivo di applicazione e introduzione di meccanismi organizzativi di

controllo

2.2 Carattere e natura della responsabilità amministrativa dell’ente

2.3 Criteri di imputazione della responsabilità all’ente

2.4 Esonero da responsabilità

2.5 Il sistema sanzionatorio

3. Il Modello di Organizzazione e Controllo ex D.lgs 231/2001 tra prescrizione

normativa ed autoregolamentazione societaria

3.1 Le componenti del “ Modello 231 “ espressamente previste dal legislatore

3.1.1. Attività di Risk Assessment e Gap Analysis

3.1.2. L’Organismo di Vigilanza

3.1.2.1 Requisiti essenziali dell’Organismo

3.1.2.2. L’antinomia tra indipendenza e inerenza con l’ente vigilato

3.1.2.3. Le peculiari funzioni riservati all’OdV

3.1.2.4. I poteri dell’OdV: autoregolamentazione, ispettivi e sanzionatori

3.1.2.5. La responsabilità imputabile ai membri dell’OdV

3.1.2.6. L’OdV nelle strutture societarie di Gruppo

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3.1.2.7 Organismo di Vigilanza e sistema dei controlli alla luce della Riforma del diritto

societario

3.1.3. Sistema Disciplinare

3.2. Le componenti del “ Modello 231 “ delegate dal legislatore all’autonomia privata

3.2.1. Il Codice di Comportamento Categoriale

3.2.2. Formazione e informazione dei destinatari delle prescrizione del “ Modello

231“

4. Elaborazione ed adozione dei modelli. Cenni

5. La responsabilità degli amministratori della società di capitale alla luce dei

precetti dell’art. 2381 c.c. novellato dalla Riforma del Diritto societario

5.1 La sentenza del Tribunale di Milano del 13 Febbraio 2008: il commento di

Vincenzo Buonocore.

6. Il Modello di Organizzazione e Controllo ai sensi del d.lgs 231/2001 può contribuire

a promuovere lo sviluppo e la diffusione della Responsabilità Sociale nell’Impresa?

CAPITOLO TERZO

LA PREVENZIONE DEI REATI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL

LAVORO NEL MODELLO 231 DELLE SOCIETA’

DEL GRUPPO DOLOMITI ENERGIA

1. Breve presentazione dell’attività de Gruppo Dolomiti Energia S.p.A.

1.1. L’adozione del d.lgs 231/2001 nel Gruppo Dolomiti Energia SpA

1.2 Fasi di costruzione del Modello di Organizzazione e Controllo ex d.lgs

231/2001 della società Capogruppo

1.2.1 La valutazione del rischio in Dolomiti Energia : Sintesi del primo Progetto 231

di sviluppo del Modello di Organizzazione e Controllo 231

1.3 Le componenti del Modello

1.3.1. L’Organismo di Vigilanza

1.3.2. Il Codice di Comportamento

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1.3.3. Il Sistema Disciplinare

1.3.4. Formazione e Comunicazione

2. La costruzione giuridica della scienza: il pensiero di Federico Stella nell’ambito

della sicurezza e salute negli ambienti di lavoro

2.1 Il reato – presupposto a natura colposa introdotto nel d.lgs 231/2001 dall’art. 25

septies : il dibattito in dottrina sulla configurazione del vantaggio e dell’interesse

dell’ente nei casi di omicidio colposo o lesione colpose commessi in violazione delle

norme in materia di sicurezza

2.2 L’art. 30 comma cinque del d.lgs 81/2008 : la presunzione di conformità alla

prevenzione dei reati in materia di salute e sicurezza del Modello 231 definito in

conformità alle Linee Guida UNI –INAIL per un sistema di gestione della salute e

sicurezza sul lavoro ( SGSL ) o al BS OHSAS 18001 : 2007

3. L’aggiornamento del “ Modello 231 “ per la prevenzione dei reati in materia di

salute e sicurezza sul lavoro delle società del Gruppo DE

3.1 Le fasi del Progetto di implementazione del “ Sistema di gestione per la Salute e la

Sicurezza “

3.1.2. Individuazione dei Processi di Dolomiti Energia sensibili ai reati in materia di

sicurezza

3.1.3. I Protocolli di prevenzione in materia di sicurezza

3.1.4. Informazione e formazione in materia di sicurezza

4. Aggiornamento delle Componenti del “ Modello 231 “

CONCLUSIONI

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INTRODUZIONE

Il legislatore italiano ratificando ed eseguendo la Convenzione sulla tutela degli

interessi finanziari della Comunità Europea ( 1996 ), la Convenzione relativa alla lotta

contro la corruzione ( 1997 ), la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di

pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali ( 1997 ) ed

ispirandosi alle Sentencing Commision Guedelines for Organizations americane ha

introdotto, con il d.lgs 231/2001, la responsabilità amministrativa delle persone

giuridiche, fattispecie nuova.

Il d.lgs 231/2001 da un lato contempla una lista esaustiva di reati 1 ai quali è

riconducibile la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche 2 e dall’altro,

facendo ricorso allo strumento della norma in concorso con l’autonomia privata , mette

a disposizione delle persone giuridiche destinatarie del decreto uno strumento, il cd

Modello di Organizzazione e Controllo, avente, nel caso in cui soddisfi determinati

requisiti, efficacia esimente da tale responsabilità.

Lo strumento “ Modello 231”, così definito nel linguaggio aziendale comune,

rappresenta quindi uno strumento di governance3 attraverso cui l’ente assume in modo

facoltativo e consapevole una forma organizzativa che se da un lato, con il ricorso a

procedure gestionali/operative, al codice disciplinare ecc. è volta ad imporre una

condotta conforme alle prescrizioni di legge, dall’altro con la condivisione e la

predisposizione di un codice etico o di comportamento è volta a promuovere i valori

sottostanti a tali prescrizioni.

1 Dal 2001 ad oggi la tipologia dei reati – presupposto contemplati nel d.lgs 231/2001 è andata ampliandosi in

conformità a quanto previsto nella legge delega n. 300 del 2000. 2 I contenuti della disciplina del d.lgs 231/2001 è oggetto del secondo capitolo.

3 “Per governance si intende l’insieme di regole, processi, relazioni e consuetudini che sottendono al sistema di

gestione e controllo di un’organizzazione “. Così Paola Lazzaroni e Silvia Furfaro nel Documento di studio La Governance e la responsabilità sociale d’impresa – Una prima analisi sull’applicazione dei Codici Etici in Italia, Bologna, 2009

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Ci si chiede se gli scandali finanziari che hanno caratterizzato lo scenario economico

degli ultimi anni rappresentino il risultato di una crisi dei valori delle persone deputate a

gestire le imprese, specifica tipologia di ente, ovvero gli amministratori che Vincenzo

Buonocore4 definisce “ amministratori troppo avidi o, se si vuole, troppo generosi con

se stessi “ e se gli ordinamenti soffrano per la mancanza di regole precise volte a

prevenire le condotte “abusive” di tali soggetti. Ha ragione Guido Rossi quando

afferma che “ il diritto negli ultimi anni sembra aver sostituito alla rassegnazione un

iperattivismo fine a se stesso, e a secernere senza soluzione di continuità norme che

non incidono sulla realtà sociale né contribuiscono a garantire una ragionevole equità

o a tutelare i soggetti giuridici più deboli”5 ? I casi di cronaca economica e giudiziaria

hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica la criticità insita nel rapporto tra gli

azionisti ed amministratori, criticità che gli economisti definiscono problema di

agenzia , accentuata nel caso della società a proprietà diffusa caratterizzata da una netta

separazione tra proprietà e controllo . Ci si è trovati dunque di fronte a casi in cui gli

amministratori hanno palesemente abusato del loro potere, delle deleghe conferite loro

dagli azionisti, contravvenendo al dovere fiduciario insito nel mandato ricevuto. In

dottrina si è quindi acceso un dibattito vivace in merito alla tipologia di strumenti da

introdurre sia negli ordinamenti giuridici sia nella buona prassi di governance al fine di

prevenire il verificarsi di nuovi casi Enron, Cirio e Parmalat che hanno avuto

conseguenze negative non solo in termini di perdita di fiducia da parte degli azionisti

ma perdita di fiducia da parte dell’intero sistema economico ovvero da parte dei diversi

stakeholder6

per i quali la qualità della reputazione dell’ imprese rappresenta la

discriminante per l’attribuzione della propria fiducia. Il dibattito ha visto spesso

protagonista il rapporto tra il diritto e l’etica e in quest’ottica, secondo me, il Modello

231 rappresenta uno strumento che mira a coniugare l’ottemperanza alla prescrizione

di legge con la promozione di precisi valori etici ispiratori dell’attività dell’impresa ed

ispiratori delle stesse prescrizioni di legge. In particolare le parti del Modello 231

lasciate all’autoregolazione rappresentano lo strumento di self enforcing del modello

stesso e allo stesso tempo, possono diventare uno strumento efficace per la promozione

della Responsabilità Sociale dell’impresa, come si vedrà nel proseguo. 4 V. Buonocore, Etica degli affari e impresa etica in Giurisprudenza Commerciale, 2004, I

5 G. Rossi, Il gioco delle regole, Milano, 2006, pag. 29

6 Stakeholder ovvero “ portatori di interessi “. Ne sono un esempio i dipendenti dell’impresa, i fornitori, i clienti,

ecc..

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Nel corso del secondo anno del percorso universitario specialistico ho avuto

l’opportunità di svolgere uno stage della durata di 9 mesi, concluso a fine novembre

2009 presso la funzione Internal Auditing di Dolomiti Energia S.p.A. società

capogruppo dell’omonimo Gruppo multiutility. Ho collaborato con la Responsabile di

funzione Dottoressa Stefania Condini all’aggiornamento del Modello 231 della

capogruppo Dolomiti Energia Spa e delle società controllate Trenta Spa e Set Spa.

L’aggiornamento ha riguardato la fusione per incorporazione che ha coinvolto la società

capogruppo e l’implementazione nelle tre società di un Sistema di Gestione per la

Salute e la Sicurezza sul Lavoro conforme (ad oggi tuttavia il SGSL non è stato ancora

sottoposto a certificazione) ai requisiti stabiliti dal British Standard OHSAS

18001:2007, requisito che il legislatore, nell’art. 30 del d. lgs 81/2008, ha sancito quale

condizione necessaria in punto di efficacia esimente 7 del Modello 231 dalla

responsabilità amministrativa della persona giuridica ai fini dei reati di omicidio

colposo o lesioni colpose commessi in violazione delle norme in materia di sicurezza

contemplate nel d.lgs 231/2001.

Questo elaborato vuole essere il resoconto del percorso di studio e di esperienza in

azienda grazie al quale ho approfondito il contenuto e l’applicazione del d.lgs

231/2001.

L’ elaborato è suddiviso in tre parti.

La prima vuole presentare il problema di agency insito nel rapporto tra azionista ed

amministratore. Tale “problema” può inficiare la qualità del rapporto fiduciario in

essere tra i due attori se l’amministratore abusa del suo potere e quindi ci si chiede in

linea generale se gli strumenti di corporate governance in particolare quelli forniti

dall’autonomia privata tra i quali si annoverano i Codici Etici siano efficaci nel

riequilibrare il rapporto tra i due attori in un ottica di armonizzazione tra prescrizioni di

legge e principi etici. Verranno inoltre presentate due ricerche condotte dalla

Fondazione Unipolis e da Nicoletta Ferro per la Fondazione Enrico Mattei nell’ambito

dell’applicazione dei Codici Etici in Italia.

7 Il contenuto del comma quinto dell’art. 30 del d.lgs 81/2008 ha aperto un ampio dibattito in seno all’attività ed alla

competenza del giudice chiamato a sindacare in merito all’efficacia esimente del Modello organizzativo nell’ambito dei reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Di questo si darà conto nel terzo capitolo.

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La seconda entra nello specifico del D. lgs 231/2001, presentandone i tratti salienti

della disciplina, in particolare evidenziando il contenuto del concorso tra diritto

positivo ed autoregolamentazione nella realizzazione delle varie componenti del

Modello 231. In questo capitolo verrà inoltre presentato il paradigma della

responsabilità degli amministratori introdotto dalla riforma del diritto societario del

2003, in particolare verranno messi in relazione i principi sanciti dall’art. 2381 c.c con

la responsabilità degli amministratori dell’ente condannato ai sensi del d.lgs 231/2001

prendendo spunto dal pensiero di Vincenzo Buonocore 8 e dal Suo commento alla

sentenza del Tribunale di Milano del 13 Febbraio 20089.

La terza è rappresentata dalla presentazione delle fasi del progetto di aggiornamento del

Modello di Organizzazione e Controllo 231 delle società del Gruppo Dolomiti Energia

SpA nell’ambito della prevenzione dei reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

L’attenzione sarà riservata alla società Capogruppo.

8 V. Buonocore, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del

codice civile in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag.5 ss. 9 V. Buonocore, Commento alla sentenza Tribunale di Milano, 13 febbraio 2008 in merito alla responsabilità da

inadeguatezza organizzativa in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag.177 ss.

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CAPITOLO PRIMO

LA CORPORATE GOVERNANCE TRA DIRITTO ED ETICA

1. Che cos’è la corporate governance? 1.1. La corporate governance e

l’imperfezione del diritto 2. Etica e attività di impresa 2.1 L’etica di impresa: il

triplice angolo visuale 2.2 Etica degli affari e mercato 2.3 Etica degli affari e codici

etici 2.3.1 Codici etici e responsabilità dell’imprenditore 2.4 Etica degli affari, impresa

etica e impresa socialmente responsabile 2.5 Etica e governance aziendale 2.6 La

responsabilità sociale e comunitaria dell’impresa 2.7 Quali strumenti per introdurre

l’etica nella gestione dell’impresa? 3. Il Codice Etico 3.1 Il Codice Etico, il D.lgs

231/2001 e le Linee Guida delle Associazioni di Categoria 3.2 Analisi

sull’applicazione dei codici etici d’impresa in Italia: la ricerca condotta dalla

Fondazione Unipolis 3.2.1 Obiettivi della ricerca 3.2.2 I risultati 3.3 La ricerca

condotta dalla Fondazione Enrico Mattei 3.3.1 I risultati 3.3.2. Riflessioni conclusive

1. Che cos’è la corporate governance ? Non esiste una definizione universale circa il contenuto ed il significato del termine

corporate governance10. Volendo ricercare la causa di tale caratteristica, Maria Rosaria

Ferrarese11 scrive che “ le incertezze nella nozione di corporate governance altro non

siano che il riverbero della congenita imperfezione dello stesso diritto societario12”

spiegando che “ per imperfezione si può intendere sia la sua incompletezza che la sua

incompiutezza giuridica.” In particolare, prosegue l’Autrice, “ l’incompletezza si

manifesta nell’incapacità di governare l’insieme di tutte le relazioni che derivano

dall’organizzazione societaria, e dunque dalla necessità di trovare integrazione in altri

diritti ..” “ ma ciò che è più interessante da analizzare, prosegue l’Autrice, è

10 Nella letteratura inglese il termine corporate governance sta ad indicare il sistema con il quale le società di capitali sono gestite e controllate. Così M.Maugeri, Regole autodisciplinari e controllo societario in Giurisprudenza Commerciale, 2002, I 11 M.R. Ferrarese, Della corporate governance ovvero dell’imperfezione del diritto societario in Governo dell’Impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo I, pag. 387 12 L’Autrice non fa riferimento al diritto societario di un particolare ordinamento giuridico, ne usa il termine in modo generico pur riferendosi soprattutto all’esperienza americana

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l’incompiutezza giuridica del diritto societario, ossia la sua incapacità di governare con

un profilo giuridicamente certo le varie relazioni che derivano dall’organizzazione

societaria e specialmente il rapporto tra manager ed azionisti 13”. Lo stesso Guido

Rossi, studioso di diritto societario, dalla cui letteratura l’Autrice prende spunto,

osserva che “ un tratto comune alla quasi totalità degli ordinamenti societari è

rappresentato dalla vaghezza delle regole di origine legislativa che riguardano

composizione e attività del consiglio di amministrazione..14”

Ci si trova dunque di fronte ad un diritto societario lacunoso e ci si chiede quale modo

tale incompletezza possa essere superata. Lo stesso Rossi afferma che “ per colmare le

lacune ci si affida, nella maggior parte dei casi, a regole statutarie o a codici di

autoregolamentazione, che però….funzionano poco, e male. Salvo rarissime eccezioni,

le norme dettate dalla legge e le eventuali integrazioni previste dall’atto costitutivo, dal

consiglio stesso, o da codici predisposti ad hoc, hanno basi teoriche piuttosto fragili, e

impongono agli amministratori doveri e responsabilità formulati in modo

contraddittorio.”

Ci si chiede dunque quale sia la buona ricetta di corporate governance e, se non può

essere tralasciata l’efficienza della gestione e l’efficacia dei controlli, che Marco

Marulli15 definisce regole elementari ma essenziali, poiché lo scopo dell’impresa è

prima di tutto quello di garantire la prosperità della gestione, nondimeno, afferma

l’Autore, è importante che questo risultato sia conseguito in modo corretto, che esso sia,

cioè, realizzato in condizioni di trasparenza e di verificabilità da parte di tutti i soggetti

interessati. In tale direzione, prosegue l’Autore, si sono indirizzati gli sforzi sia della

legislazione speciale sia della disciplina secondaria dell’autoregolamentazione.

La dichiarazione di Ma rulli mette in luce la presenza, nell’ambito della gestione di

impresa, dei cd stakeholder, i diversi soggetti che, direttamente o indirettamente, oltre

alle figure degli azionisti, soci, titolare sono portatori di interesse nei confronti

dell’impresa quali, ad esempio, i lavoratori, i Clienti, i creditori, le generazioni future

ecc..

13 Il rapporto tra manager ed azionisti secondo una visione “ funzionalista “ del diritto societario è caratterizzato da un problema di agency come si illustrerà nel proseguo del capitolo. 14 G..Rossi, Il conflitto epidemico, Milano, 2003 pag. 71 15 M. Marulli, La delega gestoria tra regola di corporate goverance e diritto societario riformato in Giurisprudenza Commerciale, 2005, I, pag.85 ss.

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Ma quali sono di doveri dell’impresa verso gli stakeholder ? Tralasciando i doveri

derivanti da disposizioni di legge, tra i quali ad esempio il rispetto della normativa

giuslavoristica nei confronti dei lavoratori dipendenti, delle norme di tutela ambientale,

ecc., ci si chiede se vi siano a carico dell’impresa ulteriori doveri che vanno dunque

oltre a quelli imposti dalla legge. Ci si chiede, inoltre, per quale motivo l’impresa si

dovrebbe accollare dei costi, riducendo la sua capacità di produrre profitto e dunque

riducendo la sua capacità di soddisfare gli interessi degli shareholder, per ottemperare

a doveri non obbligatori ma scelti volontariamente al fine di promuovere gli interessi

degli stakeholder . Ci si chiede, infine, se gli interessi di shareholder e stakeholder

siano effettivamente contrapposti nel senso che il soddisfacimento dell’interesse degli

stakeholder comporti necessariamente una perdita in capo agli shareholder oppure se vi

sia una sorta di legame tra il contemperamento degli interessi.

Nel proseguo del capitolo e nella parte conclusiva della tesi si cercherà di dar conto dei

contenuti del dibattito in dottrina in merito ai quesiti fin qui evidenziati.

1.1 La corporate governance e l’imperfezione del diritto Riprendendo il saggio di M.R. Ferrarese citato nel primo paragrafo è opportuno

richiamare la ricostruzione dell’Autrice in merito al nesso tra diritto societario e

corporate governance.

Tale nesso, afferma l’Autrice, risulta definito in modo chiaro nel momento in cui si

prova ad analizzare la corporate governance attribuendogli funzione riparatrice

all’imperfezione del regime giuridico che regge le imprese di capitali. Solo se osservate

in questa luce, le questioni di corporate governance acquistano nuove sfumature e si

spiega il fatto, scrive Ferrarese , che essa sia affidata in buona parte a strumenti extra-

giuridici e privati, come la stessa Autrice dimostrerà nel proseguo del saggio. Inoltre

l’interdipendenza tra diritto societario e corporate governance rimanda alla natura

intrinsecamente “ sociale ” dell’impresa finanziata da capitali di rischio poiché gli

strumenti di governance sono largamente radicati nello stesso ambiente sociale: il

rimedio all’incompiutezza del diritto societario sta dunque, scrive Ferrarese, proprio in

un radicamento “ sociale “ dell’impresa, che negli Stati Uniti ha avuto la sua più piena

espressione. Pertanto, scrive Ferrarese,il congegno variabile chiamato corporate

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governance è frutto di quello specifico contesto storico sociale e del suo corredo

istituzionale; congegno poi trapiantato in altri ambiti compreso quello europeo.

Ne il diritto della proprietà ne il diritto contrattuale16 sembrano poter correggere i

risultati dell’imperfezione del diritto societario. L’Autrice evidenzia però l’esempio

degli Stati Uniti, dove sono stati istituiti validi contrappesi alle inefficienze del diritto

societario, facenti capo a forme di autoregolazione17.

Guido Rossi18porta quale esempio della vaghezza delle regole di origine legislativa che

caratterizza la quasi totalità degli ordinamenti, quelle riguardante la composizione e

l’attività del consiglio di amministrazione ( rif.to società per azioni ) evidenziando che

per colmare tale lacuna, ci si affida a regole statutarie o a codici di

autoregolamentazione che, scrive l’Autore assumendo dunque una posizione in

contrasto con quella assunta da M.R. Ferrarese , funzionano poco e male.

In particolare, scrive Rossi, i codici di autoregolamentazione, per loro natura sprovvisti

di sanzioni hanno rivelato un’inefficacia talmente vistosa da suggerire che alle loro

disposizioni più importanti venisse data forza di legge. Ci si trova dunque di fronte ad

un percorso di regolamentazione – autoregolamentazione che Rossi definisce

paradossale riportando l’esempio americano relativo ai regolamenti emanati il 25 aprile

2003 dalla Securties Exchange Commission in applicazione del Sarbanes – Oxley Act.

Rossi mette dunque in evidenza il problema di self enforcement dei codici di

autoregolamentazione, problema che comunque non risparmia neppure la legge. Infatti

prosegue l’Autore, le leggi sono efficaci fino in fondo solo se dettate in una comunità,

al cui interno la loro accettazione sia accompagnata da un consenso che riguarda altri

ambiti del controllo sociale e del vivere civile, esterni alle sfere del diritto. Emerge,

dalle parole dell’Autore, l’importanza di un processo di condivisione dei valori

promossi e tutelati sia della legge sia dall’autoregolamentazione e quando Rossi, ad

esempio, scrive che l’efficacia dei codici di comportamento e dei codici etici dipende

solo dall’eticità di coloro che li devono applicare mi chiedo se questa affermazione

abbia di fatto un senso dal momento in cui, come si vedrà nel proseguo del capitolo,

16 Per un approfondimento vedi M.R. Ferrarese, Della corporate governance ovvero dell’imperfezione del diritto

societario in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, I, pag. 393 e ss. 17 Alcuni esempi e le considerazioni di alcuni Autori sono oggetto del secondo capitolo. 18 G. Rossi, Il conflitto epidemico, Milano, 2003, pag.71

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l’elaborazione di un codice etico ad esempio, presuppone una condivisone dei valori in

esso promossi precedente all’istituzione dello stesso.

2. Etica e attività di impresa

E’ interessante introdurre il tema del rapporto tra etica ed impresa attingendo al

pensiero di Vincenzo Buonocore 19 il quale scrive che, “ l’inizio del terzo millennio è

stato caratterizzato dal succedersi di eclatanti scandali nel mondo dell’impresa e della

finanza: iniziati nel 2000 negli Stati Uniti con il caso Enron e passando nei due anni

successivi attraverso gli scandali WorldCom, Vivendi, Ahold, si è arrivati ai clamorosi

eventi italiani della Cirio e della Parmalat. Già gli scandali di oltre oceano avevano

provocato anche in Europa contraccolpi di un certo rilievo innescando reazioni

dell’azionariato di grandi società nei confronti di amministratori troppo avidi o, se si

vuole, troppo generosi con se stessi…. “ .” Gli scandali italiani … hanno coinvolto

migliaia di risparmiatori – in massima parte azionisti ed obbligazionisti -, la maggior

parte dei quali non ricchi, ignari ed inermi. Tutti gli scandali, prosegue Buonocore,

attengono tuttavia pur sempre alla questione di come si debba organizzare un’economia

capitalistica rispettosa dei criteri di trasparenza, correttezza, lealtà nei rapporti tra i vari

soggetti in campo. La dimensione etica, afferma l’Autore, non può né esaurirsi nel

rispetto delle leggi né restare un fatto privato circoscritto alla sfera personale. Non basta

l’osservanza delle leggi, perché la dinamica stessa dell’economia dà luogo a situazioni

che non sono state ancora tradotte in fattispecie giuridiche e non basta la morale privata

in quanto le scelte di un’impresa, sebbene non discendano da un mandato pubblico,

tuttavia ricadono anche sulla collettività e quindi presentano profili di interesse generale

e comportano responsabilità di carattere sociale. “

2.1 L’etica dell’impresa: il triplice angolo visuale

Buonocore, nel mettere in luce i punti di vista attraverso cui il problema dell’etica

dell’impresa può essere osservato, evidenzia un triplice angolo visuale:

1) il principio di legalità, formazione della norma giuridica e “ bene comune ”

19 V. Buonocore, Etica degli affari e impresa etica in Giurisprudenza Commerciale, 2004, I, pag.181 ss.

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2) la funzione ausiliaria dell’etica

3) l’etica e la funzione dell’impresa nella comunità

Entrando nel dettaglio dei punti evidenziati, l’Autore specifica che:

- la prima regola etica è quella di osservare la legge nella lettera e nello spirito e

di non cercare modi e strumenti per eluderne impunemente le disposizioni. In

particolare Buonocore ricorrendo ad una citazione di Calamandrei definisce il

senso di legalità “ come quel senso che ogni cittadino dovrebbe avere del suo

dovere morale, indipendentemente dalle sanzioni giuridiche, di rispettare la

legge e di prenderla sul serio ”. Il problema, afferma l’Autore, riguarda la

formazione stessa della norma giuridica, proprio perché il primo momento di

contatto tra etica e diritto, senza che ciò significhi confondere i piani, è

certamente quello della costruzione di una società giusta e l’idea base per il

raggiungimento di tale obiettivo è sempre il bene comune e cioè l’insieme di

quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli, di

raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente. La ricerca

del bene comune, scrive Buonocore, non è una ricerca esclusivamente di

carattere economico e sociologico, ma è anzitutto un problema etico perché

sono in gioco valori etici assoluti e non solo realtà e fatti sociali. Citando Guido

Gonella, l’Autore afferma che “ l’eticità è moralità e giuridicità, è duplice

ordine di valori e il bene, oltre che dal punto di vista della natura e dell’entità,

può essere considerato anche dal punto di vista dell’etica e il bene etico è il bene

dell’azione umana guidata dall’uomo “. Da queste affermazioni si rileva

sostanzialmente che il fine della norma etica e della norma giuridica è lo stesso

ovvero il bene comune anche se come afferma l’Autore non sempre la norma

etica trova traduzione speculare nella norma giuridica. Buonocore rileva inoltre

che nel mondo imprenditoriale esistono dei comportamenti che seppur

ossequiosi della norma giuridica si sostanziano in una lesione degli interessi

altrui e constano nell’applicazione eticamente scorretta della norma giuridica. Si

tratta dunque di abuso del diritto che evidenzia l’Autore è frutto della cultura

dell’opacità elevata a sistema, essendosi spesso consumato con la complicità di

chi avrebbe dovuto tradurre in norme e principi che, pur appartenendo al

patrimonio universale dell’etica, non facevano parte del nostro patrimonio

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culturale e del nostro costume come ad esempio i principi della trasparenza e

della informazione che sono dal 1993 hanno trovato formale ricetto nella nostra

legislazione, nel testo unico bancario e nel testo unico dell’intermediazione

finanziaria e che, come dimostrano i casi evidenziati nella premessa del

capitolo, non sono stati ancora metabolizzati dal nostro organismo;

- la funzione ausiliaria e integratrice dell’etica è riconducibile al momento in cui

il decisore è chiamato a decidere di fronte a veri dilemmi pratici senza avere il

tempo per pensare e, in particolare, trovandosi in una situazione non regolata

dalla norma giuridica e dunque dovendo decidere solo ispirandosi ad un

principio etico.

- la funzione dell’impresa nella comunità è definita dall’Autore come un punto di

vista trasversale rispetto ai due punti precedenti poiché riguarda il fine

dell’impresa nella società e il fine al quale l’imprenditore deve, o comunque,

dovrebbe, conformare la propria condotta e la gestione della propria attività. Ci

si chiede dunque se la responsabilità dell’imprenditore nei confronti della

comunità in cui opera e in particolare verso coloro che alle sorti dell’impresa

sono interessati come azionisti, clienti, fornitori, creditori , i c.d. stakeholder , è

solo quella di fare profitti ovvero deve essere estesa a temi di portata sociale più

generale dei quali l’imprenditore deve farsi carico.

Buonocore definisce fondamentale il ruolo dell’etica nell’attività d’impresa e a

sostegno di questa affermazione cita il pensiero di Amartya Sen il quale sostiene

l’impossibilità di dissociare lo studio dell’economia da quello dell’etica e della filosofia

politica evidenziando in particolare due temi di interesse centrale:

1) il problema della motivazione umana collegata alla domanda etica in senso lato

“ Come bisogna vivere “ che sta a significare che le scelte etiche non potranno

essere del tutto prive di rilevo per il comportamento umano effettivo

2) il giudizio dei risultati sociali collegato al raggiungimento del bene umano nel

senso che è tanto più desiderabile quando no riguarda una sola persona ma un

popolo o una città, secondo la tesi aristotelica.

Secondo Sen l’economia può essere resa più produttiva se si presta maggiore e più

esplicita attenzione alle considerazioni di natura etica. In particolare, Sen confuta la tesi

secondo cui la razionalità deve invariabilmente esigere la massimizzazione

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dell’interesse personale che comporta un netto rifiuto della concezione della

motivazione collegata all’etica. Queste considerazioni, secondo Sen, non inducono a

sostenere che negare che le persone si comportino sempre in modo esclusivamente

mosso dall’interesse personale equivalga ad asserire che esse si comportino sempre in

modo altruistico ma la questione vera è se nell’agire umano vi sia una pluralità di

motivazioni o se sia solo interesse personale a guidare gli uomini : è proprio

l’incapacità di imporre il rispetto delle norme generali a conferire sempre maggiore

rilevanza alle norme di autoregolamentazione e all’etica del comportamento.

Pertanto senza attribuire alcuna funzione salvifica dell’etica, soprattutto per il conflitto

che può nascere tra la certezza del diritto e la mutevolezza dell’etica, Buonocore

afferma che anche altri autori riconoscono che per spezzare l’intreccio tra politica ed

economia che sembra aver raggiunto una mostruosa, patologica indissolubilità che

mette a rischio qualsiasi istituzione non solo finanziaria, la strategia più accessibile

passa per l’etica e per la formulazione di un postulato atto a dimostrare che l’impresa di

per sé è un bene sociale indiscutibile.

2.2 Etica degli affari e mercato

Buonocore rileva che il problema dell’etica degli affari parte dal mercato, habitat

naturale dell’agire imprenditoriale, in particolare dal governo del mercato con la

perenne e quanto mai attuale alternativa tra autoregolamentazione ed

eteroregolamentezione. L’Autore evidenzia che il capitalismo non è un sistema

autosufficiente, né come sistema sociale, né come sistema economico proprio perché il

suo principale meccanismo decisionale è il mercato, il quale può funzionare in modo

efficiente solo se riscuote la fiducia dei risparmiatori. Affinché la fiducia maturi,

prosegue Buonocore, occorre che esso nella sua impalcatura di diritti e di obbligazioni

sia disciplinato da regole che non sono in se stesse di natura economica ma si basano su

principi e valori di natura etica: trasparenza, correttezza, informazione, rispetto per la

persona a prescindere dallo status.

Tali principi possono essere fissati solo da un’autorità che sia esterna all’arena del

mercato ed estranea alla sua logica e che dunque non può non essere di natura politica,

poiché è il potere politico ad essere il tutore dell’interesse generale sia che assuma le

sembianze del legislatore sia che svolga la funzione di vigilante e controllore. Dunque

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al potere politico compete il compito di stabilire un codice di regole e non una

legislazione puntuale ed invasiva ma principi precisi ed univoci per cui le imprese sono

vincolate a comportarsi correttamente nella loro competizione. Ne è un esempio la

legislazione antimonopolistica per assicurare, a protezione di tutti i cittadini,

un’effettiva libertà di concorrenza nel mercato generale senza deprimere il potenziale

creativo delle imprese oppure i meccanismi di controllo e di intervento quando non

vengono rispettati i principi della trasparenza, dell’informazione e della correttezza a

protezione di quella particolare categoria di cittadini che sono i piccoli investitori, ecc.

Quanto affermato denota l’importanza affinché il potere pubblico non può rinunciare al

governo dei mercati.

Agostino Gambino20 scrive che le ragioni di fondo del manifestarsi dell’interesse per

l’etica degli affari è duplice: in primo luogo, la progressiva globalizzazione

dell’economia e del mercato, pregiudicata dall’assenza di regole giuridiche comuni e

riconosciute in tutti i paesi circa i principi fondanti l’operare delle imprese in un

mercato globalizzato; in secondo luogo, l’esigenza delle grandi imprese di presentarsi

sul mercato con un grado adeguato di affidabilità, essenziale al loro sviluppo,

particolarmente perché esse si finanziano con il ricorso al mercato del risparmio e

devono quindi godere della fiducia dei risparmiatori. Per ambedue le ragioni, afferma

Gambino, la ricerca di vincoli etici all’agire delle imprese si pone sostanzialmente a

garanzia del principio della libera competizione, affermato come principio fondante lo

sviluppo mondiale dell’economia e delle nazioni. Si propongono regole condivise al

fine di ridurre asimmetrie informative e conflitti di interessi aventi rilevanza per

categorie di soggetti o anche rilevanza diffusa per l’incidenza dell’attività della grande

impresa sulle condizioni dell’ambiente naturale, appartenente alla intera umanità e alle

generazioni future.

E’ interessante dare conto in merito alla definizione dell’oggetto dell’etica degli affari

proposta da Lorenzo Sacconi21 il quale scrive che “ l’etica degli affari è l’applicazione

della riflessione filosofica alle diverse istituzioni dell’economia, dal livello più generale

( Stato, Mercato ), alle forme organizzative intermedie ( Imprese, organizzazioni ) fino 20

A. Gambino, Etica dell’impresa e codici di comportamento in Rivista del Diritto Commerciale, 2005, I, pag.881 ss. 21

L. Sacconi e S. de Colle, Il codice etico come strumento dei gestione delle relazioni con gli Stakeholder, materiale di studio del corso di Sistemi per la gestione della responsabilità sociale di impresa, a.a. 2008/2009, Corso Laurea Specialistica DEIRS, Facoltà di Economia Università degli Studi di Trento

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alle singole decisioni manageriali e comportamenti individuali ( contratti, rapporti di

lavoro ), al fine di esprimere una valutazione sulla giustificazione morale di tali

istituzioni, riaffermandone la legittimazione morale e, nel caso delle imprese, le

condizioni per una “ licenza di operare “ condivisa.” Si tratta dunque di etica applicata,

così come la bioetica è riflessione morale applicata alla medicina, ecc..

2.3 Etica degli affari e codici etici Buonocore auspica dunque che l’intervento del legislatore sia discreto ed essenziale

attraverso l’identificazione di principi e sanzioni chiari e precisi e non precetti numerosi

e puntuali. Così facendo riemergono con forza elementi integratori o regole che non

sono mai entrati a far parte della disciplina positiva ne sono stati mai usati come base di

valutazione. E’ stato dunque naturale, afferma l’Autore, che la stessa legislazione ma

soprattutto i soggetti agenti nel mercato ricercassero un parametro generale ed

universale che potesse fungere da indicatore di rotta o, se si vuole, da integratore della

loro condotta. La manifestazione più evidente dell’esplosione dell’etica d’impresa si è

concretizzata, afferma Buonocore, nei cc.dd. codici etici attraverso i quali le imprese

hanno istituito un gruppo di norme create dall’impresa stessa o da una categoria di

imprese, adottate per uniformare la propria condotta ai principi contenuti nel codice

stesso. L’Autore richiama ancora una volta il pensiero di Sen che sottolinea

l’essenzialità che accanto alle istituzioni e alle norme di legge, rivestono in

un’economia di mercato i codici di comportamento, dal momento che la necessità di

istituzioni adeguate è legata al ruolo di tali codice e che un’istituzione fondata su assetti

interpersonali e convinzioni condivise opera sulla base di modelli di comportamento

comuni, della fiducia reciproca e della certezza dell’eticità della controparte.

2.3.1 Codici etici e responsabilità dell’imprenditore

Il problema della responsabilità delle scelte grava sempre sulle persone pertanto, scrive

Buonocore, per quanto utili e importanti siano i codici etici e per quanto essi

contengono una serie di correttivi per annullare o almeno ridurre l’asimmetria di fatto

esistente fra imprenditore e stakeholder occorre guardarsi dall’enfatizzarsi sino al

punto da considerarli sostituitivi della coscienza individuale poiché al di là del

riferimento ad alcuni valori fondamentali, verrà sempre un momento in cui il

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decisore/imprenditore si troverà a dover dare una risposta ad un conflitto morale che

impone una scelta fra strade tutte degne di essere percorse. In tutti questi casi il decisore

sarà obbligato a ragionare moralmente secondo una prospettiva più generale che, pur

utilizzandoli, non si limita agli insegnamenti racchiusi nei codici.

Se è vero, come scrive Guido Rossi afferma l’Autore, che la radice di tutti i mal che

affliggono i nostri tempi e il modo degli affari in particolare è l’avidità è altrettanto

vero che contro questa mala pianta nulla o assai poco può la norma giuridica che contro

di essa può più inutilmente dirigersi un richiamo etico che faccia appello anche ai tanti

valori positivi che alla cupidigia si contrappongono e in particolare al valore della

giustizia distributiva e che bolli come comportamento sommamente riprovevole

soprattutto da parte degli uomini pubblici siano essi esponenti delle istituzioni o della

finanza che dovrebbero costituire punto di riferimento per la comunità, il

perseguimento mero della ricchezza e l’ostentazione di questa.

Mi sembra interessante evidenziare la riflessione sui codici etici di Natalino Irti22 .

L’Autore afferma infatti che i codici etici sono destinati ad un processo di

girudificazione poiché , precisa, nutrono l’incauta ambizione di definire i rapporti

dell’impresa con beni e soggetto del mondo esterno, di enunciare fini e obiettivi ultimi,

insomma di nobilitare con i “ valori “ il valore del profitto. Ora tutto questo non è, e

non rimane, innocua professione di fede, programma di vita interiore, ma costituisce

fondamento di attese tutelate dal diritto. Infatti esemplifica l’Autore quando leggiamo

in codici etici esser scopo dell’impresa “ garantire una risposta immediata, qualificata e

competente alle esigenze dei clienti, informando i propri comportamenti a correttezza,

cortesia e collaborazione non è altro che una determinazione unilaterale ma

giuridicamente vincolante il grado di buona fede e di diligenza che essa stessa si

obbliga ad applicare. Il riferimento normativo è all’art. 1989 c.c. ovvero all’istituto

delle promesse al pubblico e nulla impedisce, sostiene l’Autore, che esse siano volte a

integrare il contenuto di negozi o a proteggere interessi di soggetti non legati al

promettente da specifici e previi rapporti. Responsabilità contrattuale e responsabilità

extracontrattuale sono inevitabili corollari di questa configurazione. Si scrive e si dice,

scrive Irti, che questi codici derivano da libera scelta delle imprese, costituiscono

espressione di autonomia, e in qualche modo si contrappongono alle norme dettate da 22

N. Irti, Due temi di governo societario ( responsabilità “ amministrativa” – codici di autodisciplina), in Giurisprudenza Commerciale, 2003, I, pag. 693 ss.

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autorità esterne. Così scrivendo si afferma il vero ma è altresì vero, sostiene l’Autore,

che quelle norme, una volta poste e conosciute e conoscibili dal pubblico, assumono un

alto grado di oggettività, si fanno esterne al soggetto e lo vincolano al pari di qualsiasi

altra norma.

2.4 Etica degli affari, impresa etica e impresa socialmente responsabile

E’ interessante lo spunto di riflessione offerto da Buonocore in merito dibattito acceso

in dottrina circa la possibilità di configurare lo specifico istituto di “ impresa etica “.

L’Autore evidenza che tale definizione non è sinonimo della locuzione “ etica degli

affari “ cioè al modo migliore di conciliare i “ valori degli uomini e gli obiettivi

dell’impresa, da un lato, e di non abusare della posizione forte dall’altra “ nonostante si

possa chiamare impresa etica quella che si proponga questa conciliazione facendola

tracimare nella gestione quotidiana. Tale locuzione però non assume alcuna specificità

o comunque si riduce ad una mera espressione riassuntiva senza alcuna valenza

identificativa.

Come scritto all’inizio del paragrafo, alcuni studiosi ritengono che l’istituto “ impresa

etica “ sia configurabile e l’Autore evidenza quali dovrebbero essere gli elementi a cui

guardare caratterizzanti l’impresa così definita:

1) l’impresa deve evidentemente ispirarsi a principi etici pur con gli adattamenti

imposti dalle singole specificità

2) il ramo merceologico in cui opera l’impresa

3) la scelta della centralità dell’uomo come protagonista e destinatario qualunque

siano le sembianze dell’attività di impresa

4) l’adozione di alcune misure interne relative alla gestione e all’organizzazione

Per quanto riguarda la scelta del ramo merceologico e la scelta della centralità

dell’uomo, afferma Buonocore, si vuole affermare che l’impresa deve dedicarsi alla

produzione di beni o di servizi che sono utili al vivere dell’uomo e che si inseriscono in

una dimensione produttiva pienamente lecita. In particolare, scrive Buonocore, la

presenza di queste due caratteristiche sarà tanto più apprezzabile se avverrà in positivo

attraverso la scelta di un ramo merceologico di particolare valore sociale come

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l’istruzione, l’arte, la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali ed ambientale,

l’assistenza alle categorie socialmente più deboli.

La governance scrive ancora Buonocore, dovrà far incidere i principi etici sul modello

organizzativo aziendale, sui processi decisionali, sulla leadership e sulla gestione delle

risorse umane e, allo scopo di far risaltare l’identità aziendale, dovrà rendere coerenti

pratiche gestionali, obiettivi operativi, responsabilità e valori etici. Questa condotta è

racchiudibile in quattro sostantivi : ascolto, coinvolgimento, informazione , formazione.

All’interno dell’impresa, accanto agli altri organi sociali, viene dunque costituito un

comitato etico con il compito di vigilare sul corretto perseguimento degli obiettivi e sul

mantenimento di certi caratteri attraverso l’espressione di pareri su certi tipi di

iniziative. Relativamente ai profili patrimoniali l’Autore evidenzia che va sempre più

diffondendosi il c.d. bilancio sociale che costituisce un’integrazione del tradizionale

bilancio di esercizio e nel quale sono apposte voci particolari relative agli obiettivi

etici.

Buonocore non nasconde però che c’è anche dello scetticismo che si contrappone

all’interesse verso l’impresa etica a causa della difficoltà di definire ciò che è etico e ciò

che non lo è.

Si va piuttosto facendo strada, scrive Buonocore, il concetto di corporate social

responsability che non va confusa con la forma di filantropia aziendale o come

un’operazione di immagine ma come “ una dottrina che considera l’impresa come

apportatrice non solo di ricchezza sul denaro ma anche di altre utilità, assegnando cioè

all’impresa stessa un ruolo positivo per la crescita e lo sviluppo corretto delle comunità

in cui opera : si pensi all’ambiente…” .

Anche su questa dottrina, scrive Buonocore, si registra tra gli osservatori, se non un

vero e proprio scetticismo,un diffuso tasso di perplessità ovvero una posizione

attendista ad onta di una certa propensione delle piccole e medie imprese italiane a

riconoscere l’importanza della responsabilità sociale ( l’85 % su un campione di 487

imprese tra i 50 e i 500 addetti evidenziata da una ricerca Unioncamere dell’epoca,

ricordiamo che Buonocore scrive questo saggio nel 2004 ). La responsabilità sociale di

tali imprese si manifesta in varie forme, come la partecipazione ad iniziative a favore

della comunità o la richiesta ai propri fornitori di forme di certificazione sociale.

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La stessa ricerca mette in evidenza la preoccupazione delle imprese in merito ad

un’eventuale regolamentazione legislativa per timore che essa si tramuti in un sistema

di vincoli e che finisca per premiare solo la filantropia. Infatti l’Autore sostiene che

mentre il rispetto delle regole etiche è per l’impresa un imperativo assoluto, l’attuazione

di comportamenti solidali deve essere lasciato alla sua discrezione proprio perché i

caratteri somatici di tali imprese, desumibili dall’esame dei bilanci sociali, sono

essenzialmente tre e nessuno dei tre investe di prospetto ed esclusivamente il campo

etico, ma tutte possono essere solo il frutto di una scelta libera, cioè:

- la ricerca di un dialogo sistematico con gli attori esterni, i cd stakeholder, per

meglio comprenderne le esigenze e individuare adeguate modalità di

soddisfazione, la cui applicazione organizzativa si concreta nella individuazione

di “ chi “ debba occuparsi all’interno dell’azienda di gestire queste relazioni,

secondo quali procedure e con quali risorse

- l’impegno delle imprese a rendere noto il proprio intendimento di privilegiare

certi valori nella gestione aziendale, come il bene della persona, l’attuazione

delle pari opportunità, la crescita sostenibile, la diffusione più ampia possibile

del valore economico creato e soprattutto a chiedere la verifica del

raggiungimento degli obiettivi da parte di soggetti esterni

- l’operare per progetti, che si concreteranno in iniziative a favore della comunità.

L’Autore afferma che la locuzione “ impresa socialmente responsabile “ non fa che

riassumere e indicare un carattere che tutte le imprese dovrebbero avere se volessero

prestare ossequio ai precetti contenuti nell’art. 41 della Costituzione Italiana. Infatti

l’Assemblea Costituente delineò nell’art. 41 almeno due di quei caratteri che oggi

sembrano costituire i “ fondamentali “ dell’impresa socialmente responsabile quando

dopo aver proclamato la libertà di iniziativa economica stabilirono che essa non potesse

“ svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,

alla libertà, alla dignità umana “. Dunque, prosegue Buonocore, la responsabilità

sociale dell’impresa è molto di più del modo in cui le imprese devono essere coinvolte

nella propria comunità. Si tratta di porre fine all’idea erronea secondo cui gli obiettivi

sociali, ambientali ed economici si trovano inevitabilmente in conflitto poiché le

imprese e la società sono collegate in maniera inestricabile e le azioni delle une

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inevitabilmente si ripercuotono su quelle dell’altra e le prime devono essere conscie

dell’impatto che hanno sulla comunità.

2.5 Etica e governance aziendale Negli ultimi anni, anche a causa dei ripetuti scandali verificatasi, è maturata dunque

maggiore convinzione circa il ruolo socialmente più ampio dell’impresa nella società

moderna. In particolare assume rilevanza il sistema dei valori condivisi e l’opportunità

di allineare gli interessi dei protagonisti della vita dell’impresa specialmente nel caso

della grande impresa organizzata caratterizzata da una conduzione manageriale

esercitata per conto di una proprietà frazionata e assente dal governo nella quale si

presentano problematiche di governance complesse. Infatti la dissociazione tra le

figure del proprietario dell’impresa e dell’imprenditore che in questi casi è un manager

delegato e in quanto tale legato da un rapporto stretto con il delegante, pone seri

problemi di controllo della delega stessa poiché gli interessi della proprietà e del

management possono essere divergenti.

Le principali domande che gli studiosi si pongono in questo ambito sono le seguenti:

- chi governa effettivamente?

- per conto di chi?

- con quali interessi da privilegiare ?

La teoria dell’agenzia sviluppata dagli economisti offre una risposta a questi quesiti : il

manager ‘ l’agente (agent) a cui, sulla base di un mandato fiduciario, vengono conferiti

dalla proprietà ( principal) il potere e la responsabilità di gestire l’impresa. Ne consegue

che l’agente è tenuto a perseguire gli interessi del principale nel rispetto dei diritti degli

altri partecipanti alla vita aziendale. Così scrive Sergio Sciarelli 23 il quale, inoltre,

afferma che negli anni Ottanta a questa teoria ne è stata affiancata un’altra intesa a

rappresentare diversamente gli obiettivi e le modalità di governo dell’impresa. Tale

teoria è la stakeholder theory la quale sostiene che il management dell’impresa deve

tener conto non solo degli interessi degli azionisti ( shareholder ) ma anche di tutti gli

altri partecipanti ( stakeholder ), interni ed esterni, alla vita aziendale e l’Autore spiega

23 S. Sciarelli, Etica e governance aziendale, in Etica d’impresa (a cura di) Rusconi G., Dorigatti M., Milano, 2005

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che tale teoria si fonda su una visione comunitaria dell’impresa, meglio rispondente al

ruolo che questa è oggi chiamata a svolgere nel contesto socio – economico. L’Autore

precisa che secondo certa parte della dottrina questo modo di vedere il governo

aziendale avrebbe comportato il superamento della shareholder theory fondata sulla

primazia assoluta della proprietà anche se in realtà il dibattito in dottrina è molto vivace

e propone molteplici tentativi di affinamento del quadro concettuale proposto dalla

shareholder theory.

Il concetto che Sciarelli vuole affermare è che l’introduzione dell’etica, necessaria per

affrontare meglio i problemi di governo dell’impresa, è favorita dalla visione dei

rapporti aziendali in termini di stakeholder theory. In particolare, scrive Sciarelli,

quest’ultima teoria pur non avendo comportato di per se l’avvento di una gestione etica

ha comunque fornito il supporto logico e la premessa fattuale per una sua effettiva

affermazione poiché, rispetto alla teoria dell’agenzia, avrebbe favorito una visione

allargata delle relazioni aziendali e aperto dunque la strada ad una più rapida e diffusa

introduzione dell’etica nell’impresa.

Volendo portare invece l’esempio di una “ visione “ diversa in merito al significato che

gli studiosi attribuiscono al concetto di responsabilità sociale dell’impresa, cito il

pensiero di Vittorio Menesini24 il quale sostiene che “ le imprese non possono avere

responsabilità sociale se non nei termini previsti o prevedibili o da prevedere

normativamente, mentre il capitalismo non può avere un ruolo etico diverso dall’essere

se stesso…. Le imprese facciano il loro mestiere producendo reddito, e servendo i

clienti sempre al meglio e con merci innovative : nel rispetto delle leggi, naturalmente.

E in questo può consistere la loro eticità. Se fanno altro, lo fanno male, e

ipocriticamente, perché vogliono costruirsi soltanto un’immagine socialmente agreable.

Ma è solo marketing e chiedere altro, può costituire occasioni per sponsorizzare “ opere

sociali “ come restauri di monumenti, concerti e quant’altro serva sempre per

l’immagine.”

2.6 La responsabilità sociale e comunitaria dell’impresa

24 V. Menesini, Il diritto al mercato come nuovo diritto soggettivo in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo I

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I fatti nuovi che hanno caratterizzato l’evoluzione del mondo dell’impresa, scrive

Sciarelli, e che hanno portato a delle innovazioni sostanziali nei concetti e nelle pratiche

di corporate governante constano nel riconoscimento di una responsabilità sociale

dell’impresa che deve affiancarsi e combinarsi in modo opportuno con quella

economica. Tale responsabilità, specifica l’Autore, tende a travalicare i rapporti con gli

stakeholder diretti per ampliarsi su base più propriamente comunitaria. In altri termini,

scrive Sciarelli, all’impresa devono competere anche la difesa dell’ambiente, per il

quale essa rappresenta comunque una fonte potenziale di inquinamento, e il

miglioramento della qualità della vita della comunità in cui risiede, a cui – per altri

versi – arreca danni collegati alla congestione urbana, all’alterazione del livello dei

prezzi, alla richiesta ulteriore di servizi pubblici non sempre soddisfacibile senza

conseguenze sui residenti, ecc. Per queste motivazioni, precisa l’Autore, l’impresa e

soprattutto quella di più grandi dimensioni viene chiamata con maggiore insistenza a

rendere conto di una responsabilità sociale, corrispondente del resto al potere sociale

che detiene, che deve andare al di là di quella economica ( che naturalmente, di per sé,

già produce comunque benefici effetti sociali ) e che non può essere confinata al mero

ripristino di condizioni degradate per sua colpa, ma deve ampliarsi anche alla

promozione di una migliore qualità della vita. Tutto questo comporta dunque delle

conseguenze di rilievo sulla corporate governance e sono tanto più di vasta portata

quanto maggiore è la dimensione dell’impresa soprattutto se organizzata e retta nella

forma di public company caratterizzata, come evidenziato nei precedenti paragrafi,

dall’assenza della proprietà nella gestione, dall’attribuzione di poteri di governo a

manager professionisti, dall’esigenza e quindi dalle difficoltà di conciliare questo

rapporto con le relazioni da intrattenere con tutti gli altri stakeholder , dal ruolo che

gioca la diffusione dei valori morali nelle scelte strategiche da assumere,

dall’importanza che – a tal fine – può assumere l’etica. Infatti l’adozione di

comportamenti etici, precisa l’Autore, può costituire l’elemento fondamentale per

conciliare gli interessi differenziati dei vari stakeholder in particolare si deve rinvenire

all’individuazione di un obiettivo superiore che possa rispondere meglio agli interessi

di tutti gli stakeholder. A tale proposito, specifica Sciarelli, l’unica finalità che può

vedere accomunati i partecipanti interni ed esterni alla vita dell’impresa, è quella della

continuità dell’organizzazione, ovvero della sopravvivenza e dello sviluppo in funzione

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dell’evoluzione dell’ambiente aziendale. Questo rappresenta dunque, per Sciarelli,

l’obiettivo sovraordinato rispetto ad altri tipi di finalità ( tra cui non può non prevalere

la massimizzazione del valore allargato prodotto ) perché per nessuno stakeholder potrà

essere accettato un comportamento strategico che ponga in dubbio la persistenza

dell’organizzazione.

Sciarelli evidenzia che il punto di difficoltà nella corporate governance consiste nel

comprendere e far comprendere il nesso tra le decisioni via via assunte e i riflessi che

queste potranno produrre nel tempo lungo. Se questo collegamento non appare

evidente, difficilmente uno stakeholder sarà disponibile a sacrificare i suoi obiettivi di

breve termine rispetto a non meglio prevedibili conseguenze di tale sacrificio in

un’ottica di tempo lungo. E’ cioè chiaro, scrive Sciarelli, che l’aspetto cooperativo sarà

esaltato rispetto a quello conflittuale soltanto se all’interno del sistema degli

stakeholder si creerà un meccanismo di fiducia. La govenance diverrà in sostanza tanto

meno complessa quanto più elevata sarà la fiducia riposta nel management e quanto più

tale fiducia sarà ripagata da risultati giusti, equi e gratificanti per tutti. I valori etici

dunque, se permeati nell’organizzazione e fatti propri soprattutto da chi dispone del

potere decisionali, possono quindi rappresentare un’importante collante tra coloro che,

all’interno dell’impresa o all’esterno di essa, partecipano alla vita aziendale poiché

sviluppando la fiducia nell’impresa si riducono i rischi di conflitti distruttivi per la sua

organizzazione.

L’etica, sostiene l’Autore, in quanto dottrina e pratica in grado di aiutare a scegliere fra

il giusto e l’ingiusto, tra il bene e il male, tra gli interessi forti e quelli da tutelare perché

più deboli, costituisce una risposta necessaria alle esigenze della moderna corporate

governance anche alla luce del fatto che al management delegato viene confidata una

responsabilità molto ampia, con controlli che non sempre possono raggiungere gli scopi

a cui sono destinati, e con la necessità dunque di rafforzare, innanzi tutto, la moralità

della conduzione aziendale e di diffondere il patrimonio di valori etici nell’intera

organizzazione. Dunque al grande potere sociale detenuto dall’impresa ne consegue

un’altrettanto grande responsabilità sociale.

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2.7 Quali strumenti per introdurre l’etica nella gestione dell’impresa?

Agostino Gambino25 si chiede quali caratteri possiede il vincolo etico e quale tipo di

cogenza consenta di definirlo come “ vincolo “ all’operare dell’impresa e del mondo

degli affari. Questo interrogativo sposta dunque l’attenzione sulla tipologia di

strumento attraverso il quale i principi etici possono essere introdotti nella gestione

dell’impresa.

Se si parte infatti dal presupposto che, come scrive Danilo Galletti 26 “ le accresciute

complessità e turbolenza ambientali, determinate dalla globalizzazione dei mercati e

dell’economia, mettono alla prova la capacità delle istituzioni politiche di dettare regole

assolute ed universali, che possano mediare fra conflitti ormai sempre più complessi e

frammentati “ si afferma che il diritto dei singoli stati e sovranazionale, non è in grado

di risolvere tali problematiche e si propone al giurista la riscoperta dell’etica come

strumento di mediazione dei conflitti più universale dei diritti nazionali ed al contempo

più rispettoso delle specificità. Infatti Galletti evidenzia che esistono diversi livelli

dell’etica, tanti quanti sono i gruppi sociali omogenei ed individuabili all’interno di una

società, e che ad un grado più elevato attiene ai valori fondanti e generali dell’intera

comunità, mentre a livello più particolare asseconda i valori del gruppo sociale

specifico di riferimento. Tale segmentazione, precisa Galletti, si misura altresì

nell’economia ove all’etica della comunità si sovrappone, in vario modo, quella del

settore merceologico ove opera l’impresa, in un’ osmosi reciproca che è caratteristica di

ogni scambio fra gruppi più ristretti e comunità di riferimento. L’Autore propone

dunque una visone che vede il diritto acquistare una funzione complementare all’etica e

si ipotizza la possibilità di far si che le norme non si limitino più solo ad evitare che

l’iniziativa individuale oltrepassi i confini invalicabili della morale comune, ma si

spingano ad orientare i comportamenti verso standards etici validi. Il diritto

commerciale, afferma Galletti, si trova onerato del difficile compito di dettare un

25

A. Gambino, Etica dell’impresa e codici di comportamento in Rivista del Diritto Commerciale, 2005, I, pag. 881 ss. 26 D.Galletti, Corporate governance e responsabilità sociale dell’impresa, Convegno sul tema sul tema La

responsabilità sociale d’impresa: scelta strategica per una nuova prospettiva di sviluppo europeo, Monza, 2004

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contesto istituzionale ove quella complementarietà possa esplicarsi, e svolga

un’efficace funzione incentivante sui comportamenti economici.

La considerazione della naturale specificità dei valori etici porta Agostino Gambino27

ad affermare che l’etica degli affari ha certamente valore se in determinato contesto

sociale e in una determinata epoca è radicata in un costume derivante dalle convinzioni

profonde dell’uomo, così creando convenzioni sociali con le caratteristiche giuridiche

della consuetudine. Tale situazione però, afferma l’Autore è del tutto improbabile nel

mondo globalizzato dall’economia, povero di valori fondanti riconosciuti come fonte di

doveri di comportamento adottati dalla comunità sociale. In realtà, scrive Gambino,

quando la fonte sostanzialmente esclusiva del diritto è rappresentata, come nelle società

moderne, dallo Stato, la soluzione dei problemi dei conflitti di interesse nell’esercizio

dell’impresa non può che essere affidata a due strumenti, entrambi normativi : la

disciplina espressa dalla norma scritta e l’interpretazione e applicazione delle clausole

generali. In particolare, afferma l’Autore, nel diritto commerciale l’etica può avere un

significato attuale solo se si traduce in disciplina imperativa o nell’applicazione

giurisprudenziale di clausole generali espressive di valori condivisi che da secoli

costituiscono il fondamento della lex marcatoria e che sanzionano la lesione del

rapporto di fiducia di cui sono intessuti i rapporti commerciali. Pertanto, scrive

Gambino, se la traduzione in norme imperative non avverrà, le istanze etiche resteranno

scritte in un libro dei sogni.

Quando Gambino cita le clausole generali dell’ordinamento quali ad esempio il

principio di correttezza e di buona fede, fa riferimento alla loro applicazione

giurisprudenziale ovvero al loro significato specifico nel caso oggetto di sindacato

giudiziale secondo una valutazione ex – post del comportamento oggetto di analisi. E’,

a mio avviso, maggiormente interessante la considerazione del significato di tali

principi generali in una visione ex ante, secondo la logica che vuole che le norme si

spingano sino ad orientare i comportamenti verso standards etici validi , citata da

Galletti. Da questo punto di vista Renzo Costi28 evidenzia che le società possono

adottare il codice etico , tipico strumento di autonomia privata, che tende a vincolare a

27

A. Gambino, Etica dell’impresa e codici di comportamento in Rivista del Diritto Commerciale, 2005, I, pag.881 ss. 28 R.Costi, La responsabilità sociale dell’impresa e il diritto azionario italiano in Guida critica alla responsabilità sociale e al governo d’impresa, Sacconi Lorenzo (a cura di), Roma, 2005.

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particolari criteri la condotta della società e dare contenuti più specifici ai principi di

correttezza e buona fede. L’autoregolamentazione, grazie alla quale possono essere

introdotti o rafforzati i principi etici nella gestione dell’impresa, rappresenta dunque

uno strumento che attraverso la redazione del codice etico permette di specificare ex

ante il significato che le parti coinvolte attribuiscono ai principi generali

dell’ordinamento. Il Codice etico, scrive Lorenzo Sacconi 29, “ può essere considerato

lo strumento principale per l’istituzionalizzazione dell’etica - o più precisamente,

dell’etica degli affari – all’interno dell’impresa “.

3. Il Codice Etico

L’etica degli affari, scrive Lorenzo Sacconi, non ha per oggetto ogni aspetto della

nostra vita: non si occupa, ad esempio, di diverse concezioni personali del bene, o di

convinzioni religiose. Da ciò discende che il Codice Etico d’Impresa non ha, ne

dovrebbe avere, la pretesa di regolare le scelte in ogni ambito della sfera delle relazioni

personali, ma solo nelle relazioni che hanno un’origine “ economica “. L’espressione “

regolare le scelte”, precisa Sacconi, richiama la natura normativa del Codice Etico ( e,

più in generale, di ogni teoria etica ) : il suo scopo ultimo è infatti prescrivere azioni,

non descrivere situazioni. Una funzione fondamentale del Codice Etico è quindi

stabilire delle norme comportamentali che regolino sia i comportamenti dei dipendenti

fra di loro e verso l’impresa, sia le relazioni tra i membri dell’impresa e gli stakeholder

esterni. Il Prof. Sacconi evidenzia però che prima ancora del ruolo del codice come

(auto)regolamentazione dei comportamenti vi è la funzione di legittimazione morale

dell’impresa, ovvero il sostegno della sua reputazione agli occhi degli stakeholder. Il

Codice etico esprime infatti, scrive Sacconi, i doveri fiduciari tra l’impresa – e in

particolare chi la dirige ai vari livelli – e i vari stakeholder dell’impresa : rappresenta

quindi la “ carta costituzionale “ che vincola la discrezionalità di chi è in posizione di

governo nell’impresa, e definisce i confini di un legittimo esercizio dell’autorità.

Sacconi evidenzia inoltre che il codice etico ha importanti riflessi anche sulla

formulazione delle strategie dell’impresa poiché chiarisce a tutti i partecipanti

29 L. Sacconi e S. de Colle, Il codice etico come strumento di gestione delle relazioni con gli stakeholder, materiale di studio del corso di Sistemi per la gestione della responsabilità sociale di impresa, a.a. 2008/2009, Corso Laurea Specialistica DEIRS, Facoltà di Economia Università degli Studi di Trento

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dell’impresa, anche agli stakeholder esterni, quali sono i criteri fondamentali che

devono orientare tutte le scelte dell’impresa, dalle decisioni di tipo strategico alle scelte

operative effettuate quotidianamente dai collaboratori ad ogni livello organizzativo.

Sacconi sintetizza così il significato del Codice Etico:

- rappresenta la “ carta costituzionale ” dell’impresa, una “ carta dei diritti e

doveri morali “ che definisce le responsabilità di ogni partecipante

dell’organizzazione, enunciando principi etici e le norme di condotta mediante

le quali si dà attuazione ai principi orientando i comportamenti individuali;

- costituisce uno strumento di governance e di gestione strategica dell’impresa,

identificando i doveri dell’impresa verso gli stakeholder, e vincolando

innanzitutto i vertici aziendali al rispetto di criteri guida per l’esercizio

dell’autorità legittima, all’interno dell’organizzazione e nei rapporti con gli

stakeholder.

In virtù delle funzioni sopra evidenziate, Sacconi afferma che il codice etico consiste

sia di principi generali che definiscono i valori fondanti dell’impresa (la sua visione

etica, il suo credo) sia di una serie di specifiche norme di comportamento che

chiariscono, anche con esempi pratici, i comportamenti ammessi e quelli vietati,

chiaramente proibendo ogni azione illegale come la corruzione, e indicando modalità di

comportamento per situazioni “ a rischio ” quali il conflitto di interessi, l’accettazione

di regali da parte di fornitori, ecc, definendo anche standard di condotta osservabili e

verificabili da un auditor interno o esterno. Dunque da un lato le regole di condotta

hanno bisogno di principi etici generali che ne chiariscano il significato e le finalità

ultime e dall’altro le dichiarazioni sui Valori perdono di efficacia e quindi di credibilità

se non ne viene esplicitato il contenuto specifico in relazione alle diverse situazioni di

applicabilità.

E’ ovviamente indispensabile la presenza di meccanismi di attuazione collegati al

codice etico ovvero di quelle attività ed iniziative che l’impresa deve avviare o rivedere

al fine di supportare la diffusione e la conoscenza del codice, favorire la condivisione

dei valori e delle regole di comportamento, monitorare l’effettiva attuazione del codice

e gestirne la periodica revisione. Sacconi ne cita un elenco esaustivo:

- Introduzione di programmi di Formazione in etica degli affari;

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- Nomina di una persona responsabile ( Ethics Officer ) dei programmi di etica in

impresa;

- Creazione di una struttura con compiti di supervisione e specifici poteri

decisionali, ad esempio in termini sanzionatori ( Comitato Etico );

- Creazione di meccanismi di segnalazione ( Whistleblowing ) accessibili sia dai

collaboratori sia da stakeholder esterni;

- Processi di Internal Ethical Auditing che ampliano l’attività di audit di tipo

finanziario e di gestione al fine di verificare eticità di comportamenti e

procedure aziendali;

- Attività di Reporting ( bilancio sociale, bilancio di sostenibilità…) con i quali

l’impresa comunica periodicamente all’esterno una misurazione dell’impatto

sociale, ambientale ed economico delle proprie attività e una valutazione dei

risultati ottenuti in relazione agli impegni assunti con il codice etico.

La metodologia di sviluppo del codice etico si basa su un processo di consultazione

degli stakeholder interni ed esterni dell’organizzazione e Sacconi la sintetizza nei

seguenti elementi:

- Definizione della Visione etica d’impresa

- Identificazione degli stakeholder

- Enunciazione di principi etici generali

- Analisi delle aree organizzative critiche nelle relazioni con gli stakeholder

- Definizione Norme di comportamento e Standard di condotta

- Revisione delle politiche aziendali alla luce dei principi etici del codice

- Identificazione degli Strumenti di Attuazione e Controllo

Così facendo si favorisce la condivisione del processo che, come sottolinea Sacconi, è

importante in un processo di autoregolamentazione al fine di una più efficace attuazione

del codice stesso.

Un ulteriore elemento da evidenziare è che il codice etico non è solamente un codice di

condotta. Tale distinzione assume particolare importanza al fine del presente elaborato

poiché con l’introduzione del d.lgs 231/2001, la cui disciplina sarà oggetto del secondo

capitolo, si è assistito ad una ampia diffusione dei codici etici nelle aziende italiane.

Infatti il meccanismo incentivante introdotto dal decreto sembra favorire l’introduzione

di codici etici ed è pertanto interessante osservare i risultati di una ricerca recentemente

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condotta in merito al contenuto di tali codici etici30 poiché considerare il Codice Etico

come un Codice di Condotta e dunque equiparare uno strumento proposto per legge a

uno che risponde unicamente a un processo di autoregolamentazione societaria, rischia

anche di far coincidere la correttezza negli affari con la Responsabilità Sociale

d’Impresa, cui precedentemente abbiamo dato più ampio significato, e di abbinare il

rispetto della legge a un comportamento socialmente responsabile.

Il Codice Etico diventa allora lo strumento di cui può dotarsi l’impresa per promuovere

ed adottare un comportamento socialmente responsabile e dunque, tra le imprese che

adottano il Modello di Organizzazione e Controllo ex d.lgs 231/2001 saranno quelle

effettivamente sensibili alla responsabilità sociale ad andare oltre l’adozione di un

Codice di Comportamento e ad adottare dunque il Codice Etico.

3.1 Il Codice Etico, il D.lgs 231/2001 e le Linee Guida delle Associazioni di Categoria

La disciplina disegnata dal d.lgs 231/2001 ha creato confusione tra l’adozione di

strumenti volontari di promozione di valori e principi etici di responsabilità sociale

(codice etico) e strumenti proposti da una prima interpretazione del d.lgs 231/2001 e

dunque richiesti dalla legge. Infatti le imprese italiane, come risulta dalla ricerca i cui

risultati presenterò nel proseguo del capitolo, si sono dotate di Codici Etici quali

strumenti di compliance del citato decreto e dunque non necessariamente con la volontà

di promuovere la Responsabilità Sociale d’Impresa intesa come una serie di impegni

che vanno oltre a quelli previsti dalla legge.

Il d.lgs 231/2001 all’art.3 fa riferimento all’adozione di un Codice di Comportamento

con il quale si intende “ un insieme di regole che definiscono le responsabilità ed i

comportamenti per individui o organizzazioni ”. Al contrario, nelle Linee Guida di

Confindustria emanate al fine di supportare le imprese nell’attività di implementazione

del Modello di Organizzazione e Controllo previsto dal decreto, si propone l’adozione,

30 Precedentemente alla ricerca, di cui si tratterà in seguito, Nicoletta Ferro nel 2006 in una ricerca condotta per conto della Fondazione Eni Enrico Mattei dal titolo “ Riding the Waves of Reforms in Corporate Law, an Overview of

Recent Improvements in Italian Corporate Codes of Conduct “ poneva in evidenza la differenza tra i due tipi di codice scrivendo : “ The difference between compliance and integrity is the same existing between codes of conduct

and codes of ethics “ …. “ codes of ethics can be viewed as attempts to institutionalize the morals and values of the company founders such that they become part of the corporate culture and help socialize new individuals into the culture. The path leading to the adoption of a code of ethics is usually that of sharing values at a corporate level, not in response to any legal requirement but as a process which companies voluntarily engage in. “

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come se fossero la stessa cosa, di un codice Etico o di un Codice di Comportamento,

promuovendo questo strumento come uno degli elementi qualificanti del Modello

stesso. Le Linee Guida di Confindustria affermano infatti che “ l’adozione di principi

etici rilevanti ai fini della prevenzione dei reati ex d.lgs 231/2001 costituisce un

elemento essenziale del sistema di controllo preventivo. Tali principi possono essere

inseriti in un Codice Etico ( o Codice di Comportamento).” Confindustria inoltre indica

quello che potrebbe essere considerato un contenuto minimo del Codice in relazione

alla prevenzione dei reati presupposto del decreto così schematizzabile:

- pieno rispetto delle leggi e dei regolamenti vigenti in tutti i paesi in cui opera

l’impresa

- corretta registrazione, autorizzazione, verifica, legittimazione, coerenza di

operazioni e transazioni

- dettagli in ordine ai rapporti con gli interlocutori dell’ente ( pubblica

amministrazione, pubblici dipendenti, interlocutori commerciali privati )

Tali interpretazioni rischiamo dunque di creare confusione poiché all’interno del

Modello di Organizzazione e Controllo il Codice ( di Condotta o Etico ) è rilevante non

come strumento di responsabilità sociale tout court ma in quanto influenza e determina

le procedure che si inseriscono all’interno del Modello e perciò saranno controllate

dall’Organismo di Vigilanza con un approccio meramente legale e di controllo di

conformità anziché con un interesse etico o di responsabilità sociale che spetterebbe al

Comitato Etico.

3.2 Analisi sull’applicazione dei codici etici d’impresa in Italia : la

ricerca condotta dalla Fondazione Unipolis31

La ricerca sul tema “Governance e responsabilità sociale” condotta dalla Fondazione

Unipolis e pubblicata nel 2009 ha come obiettivo l’analisi sull’applicazione dei Codici

Etici d’Impresa in Italia partendo dal presupposto che “a un sistema di regole è

indispensabile affiancare una azione profonda e diffusa volta a far crescere una cultura

dell’etica e della responsabilità che faccia perno sugli individui, sulle imprese, sulle

31 P.Lanzarini, S.Furfaro, Governance e responsabilità sociale. Analisi sull’applicazione dei codici etici d’impresa in

Italia, Fondazione Unipolis, I Quaderni Unipolis, 01, 2009

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organizzazioni, sulla politica e le istituzioni a tutti i livelli ”32. Pertanto se l’obiettivo è

la diffusione della cultura etica “ i codici etici, per le imprese e le organizzazioni,

costituiscono uno strumento molto importante proprio nella sfida rappresentata dalla

costruzione di una nuova cultura delle responsabilità. Perché perseguono

principalmente l’obiettivo di far crescere la conoscenza e la consapevolezza delle regole

e dei comportamenti virtuosi, un nuovo “ senso civico”, rispetto ai diversi ambiti nei

quali le persone sono chiamate ad operare. Nell’impresa questo significa soprattutto

creare fiducia. Fiducia tra l’impresa e i propri portatori d interesse, fiducia tra gli stessi

stakeholder……non c’è dubbio che l’accento vada posto sul ruolo – diciamo pure “

educativo“ che tali strumenti devono avere in termini di promozione e diffusione della

cultura etica e della responsabilità fondamentale perché l’impresa possa svolgere la

propria funzione nel mercato e possa competere sulla base non di “trucchi”, ma della

propria capacità di corrispondere a reali bisogni sociali. Contribuendo così, essa stessa,

a far crescere nel mercato e nella società, questa nuova cultura del fare economia.”

3.2.1 Obiettivi della ricerca La ricerca, pur con i limiti evidenziati dagli autori 33, intende analizzare l’impatto che

ha avuto l’introduzione dei Codici Etici in Italia alla luce della considerazione che i

sistemi di governance ovvero l’insieme di regole, processi, relazione e consuetudini che

sottendono al sistema di gestione e controllo di un’organizzazione sono centrali a una

buona, corretta e trasparente conduzione delle organizzazioni, specialmente in contesti

sociali ed economici come quelli attuali dove esiste una spropositata influenza dei

mercati finanziari, globalizzati e ad elevata interdipendenza, sull’economia reale, che

rende sempre più complessa l’efficacia della corporate governance ossia il controllo,

da parte dell’assetto proprietario, delle deleghe, delle responsabilità e dei ruoli attribuiti

agli organi di amministrazione, la gestione e supervisione delle imprese affinché il

cosiddetto

“ fiduciari duty “ sia correttamente esercitato.

32P. Stefanini e W.Dondi,. Etica, responsabilità, nuove regole come condizioni per uscire dalla crisi in Governance e responsabilità sociale. Analisi sull’applicazione dei Codici Etici d’impresa in Italia, Fondazione Unipolis, I Quaderni Unipolis, 01, 2009 33 Rif.to pag.12 I Quaderni Unipolis, 01, 2009

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Di fatto però tali sistemi pur rispondendo alle migliori indicazioni degli Organismi di

Vigilanza, delle banche centrali o della giurisprudenza, corrono il rischio di rimanere

meri meccanismi formali se non sono immersi in un contesto culturale che, pur avendo

molto chiaro l’interesse della proprietà promuova il concetto di “ stakeholder company

“. Si tratta dunque del tentativo di allineare l’interesse della proprietà con quello degli

altri stakeholder poiché in questi casi si può instaurare un volano virtuoso tra interesse

individuale e collettivo, tra creazione di valore economico e sociale.

La ricerca ha dunque analizzato i Codici Etici e il loro “ inserimento “ nella struttura di

governance al fine di osservare se tale strumento è stato utilizzato come mero

strumento di compliance del d.lgs 231/2001 o come strumento per la promozione della

cultura della Responsabilità Sociale dell’Impresa.

La ricerca, partendo comunque dalla considerazione che ad oggi in Italia non si

conoscono ancora gli effetti prodotti dall’introduzione del Codice Etico sulla gestione e

sulla cultura dell’impresa, intende analizzare l’impatto che ha avuto l’introduzione dei

Codici Etici e rispondere ai seguenti quesiti:

- L’adozione dei Codici Etici ha migliorato la gestione e i sistemi di verifica

interni dell’impresa?

- L’applicazione del Codice Etico promuove di fatto comportamenti virtuosi e

penalizza atteggiamenti devianti all’interno dell’Impresa?

- L’introduzione dei Codici Etici ha favorito l’adozione di comportamenti

socialmente più responsabili dal parte dell’impresa in relazione agli Stakeholder

interni ed esterni?

- Dopo 15 anni di attività volta all’introduzione di strumenti di responsabilità

sociale, è cambiata e come la cultura d’impresa?

La ricerca analizza dunque i Codici Etici di imprese private e cooperative con sede sul

territorio nazionale, focalizzandosi sui seguenti ambiti:

- rapporto con il sistema di governance

- presenza del Comitato Etico, ruolo e funzioni, da chi viene nominato, a chi

risponde e come è composto ( numero dei membri, interni/esterni, esecutivi/non

esecutivi )

- sistema di attuazione, controllo e verifica del rispetto dei Valori, Principi, Linee

guida e criteri di comportamento definiti dal Codice Etico

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E’ opportuno evidenziare che la ricerca in una prima fase si è sviluppata come analisi

dei documenti disponibili sui siti web delle aziende e successivamente come interviste

strutturate telefoniche o faccia a faccia con i referenti dei Codici Etici delle singole

imprese.

L’assunzione di fondo è la considerazione del Codice Etico e del Codice di

Comportamento quali equivalenti. La ricerca è suddivisa in due parti. L’analisi

quantitativa in cui sono state analizzate 96 imprese che a settembre 2008 avevano

adottato un proprio Codice e l’analisi qualitativa realizzando 20 interviste faccia a

faccia, telefoniche e via email con altrettanti componenti degli Organi garanti preposti

alla verifica e all’applicazione di Codici Etici nelle rispettive aziende. Le 20 aziende

sono state selezionate dal gruppo delle 96 analizzate nella ricerca quantitativa ed il

campionamento è avvenuto all’insegna di obiettivi di rappresentatività per settori di

attività economica, contenuti del Codice Etico e tipologia di governance.

3.2.2 I Risultati L’elaborazione dei dati raccolti ha permesso ai ricercatori 34 di evidenziare differenti

modalità di applicazione di modelli di gevernance. In particolare sono emersi 10

Modelli caratterizzanti, secondo una mia definizione, un diverso grado di

Responsabilità Sociale dell’impresa. Tale diversa “ gradazione “ emerge sia dal

contenuto del Codice Etico sia dalla presenza o meno di determinati Organi e dal

rapporto tra gli Organi stessi. Senza entrare nel dettaglio di tali Modelli si evidenzia che

nell’Analisi quantitativa sono state prese in considerazione le seguenti caratteristiche:

1) le caratteristiche del Codice Etico e in particolare rispetto al d.lgs 231/2001

evidenziando quanti corrispondevano de facto alla 231, facendone espressamente

menzione, e quanti invece erano espressione di una strategia di Responsabilità

Sociale d’impresa andando dunque ben oltre le richieste del decreto

2) la presenza e le caratteristiche di Organi e Figure aziendali garanti del Codice Etico

3) l’esistenza di procedure aziendali per la segnalazione dei casi di potenziale

violazione del Codice Etico

Per quanto riguarda il punto 1) è emerso che la proporzione di Codici Etici i cui

contenuti vanno oltre a quanto previsto dal decreto legislativo 231/2001 risulta nel 34

La ricerca è stata realizzata da Paola Lanzarini e Silvia Furfaro

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complesso prevalente nonostante si rilevi per le società quotate in borsa una maggiore

tendenza a fare esplicito riferimento al decreto.

Per quanto riguarda il punto 2) è emersa una grande varietà di Organi e Figure aziendali

garanti del Codice Etico sintomo, specifica la ricerca, di un contesto italiano in cui non

esistono ancora modelli di riferimento prevalenti o condivisi. La ricerca, in base

all’Organo a cui viene affidato il ruolo di Garante del Codice, propone un criterio di

classificazione e l’individuazione di 3 tipologie di modello di governance del Codice

Etico:

- Modello Classico: l’incarico è affidato ad un Organo che svolge già altre

funzioni all’interno dell’impresa

- Modello 231: il compito è assegnato all’Organo proposto dalla legge (

Organismo di Vigilanza o Compliancer Officer )

- Modello CSR: l’impresa pone particolare attenzione al tema della responsabilità

sociale, tanto che a garanzia del Codice Etico è istituito un organo ad hoc (

Comitato/Commissione Etica)

Relativamente al punto 3) il primo aspetto analizzato riguarda l’identificazione degli

stakeholder che possono effettuare segnalazioni di possibile violazione del Codice

Etico e nella maggioranza dei casi risulta che tutti gli stakeholder possono farlo. Per

quanto riguarda invece l’identificazione dei soggetti che ricevono tali segnalazioni si

rileva che nella maggioranza dei casi questi coincidono con gli stessi Organi garanti a

cui si aggiungono eventualmente anche i responsabili – referenti gerarchici o le

funzioni di audit-controllo interno.

Per quanto attiene invece l’Analisi qualitativa, è stato sottoposto agli Organi preposti

alla verifica e all’applicazione del Codice Etico dell’impresa un questionario suddiviso

in cinque sezioni tematiche:

- informazioni aziendali

- ruolo, funzione ed impatto del Codice Etico ( motivazioni circa la sua adozione

e rapporti Codice Etico/ Modello; percorsi di informazione e formazione relativi

al Codice Etico, impatto del Codice Etico sulla governance )

- approfondimenti sull’Organo garante

- sistema di segnalazione

- punti critici e buone prassi

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41

Un primo elemento emerso dalle interviste riguarda le motivazioni che hanno spinto le

imprese ad adottare il Codice Etico che, seppur di varia natura, si possono sintetizzare

in due tipologie prevalenti:

1) in 10 casi è emersa la volontà di “ cristallizzare valori e principi già esistenti,

condividere valori e mission dell’azienda con collaboratori, clienti ed altri

stakeholder “ oppure “ consolidare valori sempre esistiti in azienda “

2) in 5 casi è emersa la volontà di adeguare l’organizzazione dell’azienda in

seguito all’entrata in vigore del d.lgs 231/2001 oppure il Codice Etico

rappresenta la prima fase per arrivare alla completa applicazione del dl.gs

231/2001

Nelle interviste è stato inoltre indagato in merito all’identificazione dei soggetti che le

imprese considerano propri stakeholder. La maggior parte delle imprese riconosce

soprattutto i portatori di interessi primari ossia coloro che influenzano e/o sono

influenzati direttamente dalla performance economica aziendale ( dirigenti, dipendenti,

ecc.) mentre è decisamente inferiore la quota di intervistati che hanno indicato anche

gli stakeholder secondari o indiretti ( sindacati, comunità, ambiente e settore non –

profit ).

Un punto, che a mio avviso è di fondamentale importanza anche alla luce di quanto

scritto nei paragrafi precedenti in merito all’importanza della diffusione della cultura

etica nell’impresa, riguarda le attività di informazione e formazione riferibili al Codice

Etico. 15 aziende su 20 ( 75%)

hanno infatti dichiarato di avere già avviato un percorso specifico di comunicazione e

formazione che si rivolge in genere a figure interne all’azienda, mentre negli altri 5 casi

non vi è ancora stata alcuna attività in tal senso. Va evidenziato che si sono potuti

osservare due diversi approcci in questa direzione: il primo in cui l’azienda ritiene la

formazione un doveroso investimento per promuovere la cultura della responsabilità

sociale, il secondo nel quale il Codice Etico viene vissuto semplicemente come una “

nota aziendale ” sulla quale “ non è opportuno perdere tempo e denaro.” La formazione

per i neoassunti è generalmente prevista con la consegna del Codice Etico alla stipula

del contratto mentre gli aggiornamenti del documento possono essere inseriti in

opuscoli allegati alla busta paga o in alcuni casi spediti via posta. Le aziende

maggiormente propense ad investire in formazione di solito preparano corsi

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42

differenziati a seconda degli stakeholder a cui ci si riferisce e procede con processi a

cascata.

La valutazione dell’impatto del Codice Etico sulla governance è stata ritenuta positiva

dalla maggioranza degli intervistati, 14 imprese su 20. All’estremo opposto l’impatto è

stato giudicato

“ minimo” o “ irrilevante “ ( 2 casi ). Altre imprese valutano il Codice Etico niente più

che uno strumento per risolvere i problemi tra dipendenti e dirigenti.

Inoltre i ricercatori giungono a proporre un Modello “ ideale “ di Governance CSR35

Nella ricerca si specifica che, a seguito di un’attenta analisi dei molteplici modelli di

governance di Responsabilità Sociale d’Impresa sviluppati nelle aziende italiane, si

pensa che un modello più coerente con i ruoli dei diversi organi e le diverse funzioni

dei Codici Etici e di Condotta dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

35

Rif.to Tab.27, pag. 45, Quaderni Unipolis, 01

CDA

MOG

Organismo di Vigilanza

Comitato Etico

Codice di Condotta + 231

Codice Etico

CSR Director/ Ethics Officer

Il Comitato Etico dovrebbe occuparsi di CSR governance ed essere composto da una maggioranza di membri esterni

L’Organismo di Vigilanza dovrebbe essere un organo non solo deputato al controllo della 231 ma di tutti quegli aspetti contenuti in un Codice di Condotta degli affari societari e per questo dovrebbe avere dei componenti esterni.

Scambio di informazioni

PROPOSTA DI MODELLO DI GOVERNANCE CSR

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- dividere le funzioni e i significati sottesi al Codice Etico – strumento di

responsabilità sociale – ed al Codice di Condotta – che invece ha come obiettivo

quello di prevenire i reati;

- non sovrapporre una gestione etica di responsabilità sociale con un’azione di

prevenzione e controllo degli illeciti definiti dal d.lgs 23/2001;

- creare due organi con competenze distinte ma in relazione

3.3 La ricerca condotta dalla Fondazione Enrico Mattei ( FEEM )

36

Nicoletta Ferro ha condotto una ricerca, il cui risultato è stato pubblicato nel giugno

2006, nella Nota di Lavoro 82.2006 pubblicata dalla Fondazione Enrico Mattei, al fine

di indagare la situazione in merito agli strumenti di autoregolamentazione impiegati

dalle imprese italiane alla luce della disciplina del d.lgs 231/2001.

La ricerca parte dal presupposto della differenza tra i codici di condotta e i codici etici, i

primi volti ad istituzionalizzare determinati valori morali all’interno

dell’organizzazione ed i secondo volti a determinare norme di comportamento in

risposta a determinati requisiti previsti dalla legge.

La ricerca ha ad oggetto 40 imprese incluse nel Standard & Poor MIB ed è stato

condotta in due fasi. La prima nel Maggio 2004 e la seconda nel Gennaio 2006.

Inizialmente sono stati osservati i siti web delle imprese al fine di verificare che

avessero un codice etico, un codice di condotta, un code of business practice o un

documento “ simile “. Fatta questa verifica le aziende sono state classificate a seconda

del settore di attività, della disponibilità o meno online del codice, della terminologia

attribuita a tale codice, dell’anno di sua istituzione o revisione e nell’area nel sito web

all’interno della quale il codice è stato pubblicato. Di seguito, a titolo esemplificativo,

uno stralcio della tabella pubblicata :

36 Ferro N., Riding the Waves of Reforms in Corporate Law, an Overview of Recent Improvements in Italian Corporate Codes of

Conduct, 2006

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44

COMPANY SECTOR WEB AV. TERMINOLOGY YEAR LOCATION

Alleanza Insurance Available Code of ethics 05/2004 CRS

Eni SpA Oil & Gas Available Code of practice April

2004

Sust.

Fiat SpA Auto Available Code of conduct 2002/2003 C.G.

Questo primo step ha permesso al ricercatore di trarre alcune prime indicazioni.

- Delle 40 aziende quotate nel S&P MIB Index 24 hanno pubblicato sul proprio

sito web il proprio codice

- Delle 40 aziende due sono banche le quali hanno adottato il codice etico al fine

di migliorare il comportamento etico all’interno della propria azienda

- Delle sedici aziende che non hanno pubblicato il proprio Codice, 8

appartengono al settore finanziario/bancario anche se questo non significa che

non abbiano adottato un proprio Codice ma che l’hanno adottato e diffuso

esclusivamente al proprio interno

Inoltre osservando l’area all’interno del sito web nella quale il Codice è stato pubblicato

il ricercatore ha tratto indicazioni in merito all’importanza attribuita dall’azienda nel

comunicare gli obiettivi e i contenuti dell’autoregolamentazione e il proprio impegno a

raggiungerli. Ne è emerso un quadro eterogeneo poiché la maggior parte delle imprese

ha inserito il Codice nell’area dedicata alla Corporate Governance ( CG ) facendo così

passare il messaggio che il Codice è strumento di autoregolamentazione. Sei aziende

hanno pubblicato il Codice nella sezione dedicata alla Corporate Social Responsability

( CRS) o Sustainability Area ( Sust) facendo passare il messaggio che il Codice non è

visto dall’azienda come uno strumento di management ma piuttosto come uno

strumento di comunicazione similmente al Report di sostenibilità sociale.

E’ stata posta l’attenzione anche al nome con il quale il Codice è stato definito dalle

aziende. 15 Codici sono stati definiti Etici mentre per gli altri sono stati usati termini

meno “impegnativi” dal punto di vista filosofico quali Codice di condotta e Carta dei

Valori.

Entrando poi nel merito del contenuto dei Codici, il ricercatore li ha suddivisi in tre

categorie:

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45

- la prima che può definirsi dei Codici etici poiché i codici promuovono i principi

che devono ispirare l’organizzazione e portano esempi di come dovrebbe essere

il comportamento dell’organizzazione

- la seconda include i Codici con una specificità ai contenuti del d.lgs 231/2001

- la terza include i Codici che rappresentano un mix tra le due precedenti

L’anno di adozione o di revisione dei Codici ( dal 2000 al 2004 ) conferma al

ricercatore la tesi secondo cui l’ottemperanza al d.lgs 231/2001 ha contribuito

positivamente alla diffusione dei Codici.

Il secondo step della ricerca ha visto il ricercatore selezionare otto codici. La scelta è

stata fatta basandosi principalmente sulle informazioni offerte dal codice e sull’attività

in ambito internazionale dell’azienda. Queste le aziende oggetto di analisi:

1 Edison

2 Eni

3 Enel

4 Fiat

5 Luxottica

6 UniCredit

7 San Paolo

8 Pirelli

L’obiettivo del secondo step è quello di identificare le differenti tipologie di codice

delle imprese italiane analizzandoli attraverso una check list realizzata dalla FEEM

focalizzando l’attenzione sulle seguenti categorie e variabili e attribuendo alle stesse un

significato particolare in legato all’essenza del codice:

1. le motivazioni sottostanti alla decisione di adottare il codice di condotta e i

soggetti ai quali lo stesso è destinato

2. il “ tono” prevalentemente utilizzato nel codice ovvero si parte dal

presupposto che due toni differenti sono utilizzati nel caso di in cui il codice

abbia finalità preventiva o punitiva

3. i suggerimenti impliciti del codice con riferimento a due possibili approcci

riferiti a promuovere l’autoregolazione o a fornire consigli e indicazioni

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4. le questioni che nel codice sono poste in rilievo

5. il loro rispetto in merito alle previsioni del d.lgs 231/2001 considerando che le

caratteristiche di un effettivo due diligence program sono: mappatura e

valutazione delle attività a rischio, definizione di compliance standard e

procedure che il management deve seguire nel caso di reato, definizione del

sistema sanzionatorio, implementazione di un programma formativo in grado di

assicurare il corretto recepimento del codice di condotta.

3.3.1 I Risultati

Per quanto riguarda il punto 1) l’adozione del codice sembra , nella maggior parte dei

casi analizzati, volta ad identificare un nucleo di valori e principi già radicati nella

cultura dell’impresa e che con il codice vengono riconfermati. Edison e Luxottica ad

esempio riconoscono alcuni principi etici e li trasferiscono nella guidelines per il

management. Unicredit esprime direttamente che il codice è considerato un documento

mirato a guidare il comportamento dell’azienda nella quotidianità e dunque rappresenta

un ausilio per lo svolgimento dei compiti quotidiani.

In tutti i casi analizzati i destinatari del codice vengono identificati nel management e in

chiunque sia chiamato a rappresentare direttamente o indirettamente l’azienda e chi

temporaneamente o momentaneamente entri in relazione con il Gruppo di appartenenza

dell’azienda.

In alcune aziende, tra le quali il ricercatore cita Pirelli e San Paolo, il codice di condotta

è definito come un sicuro punto di riferimento per una corretta ed equa gestione.

La globalizzazione e la complessità della situazione internazionale sembrano suggerire

le ragioni per redigere il codice nei casi di Luxottica ed Eni. Luxottica infatti scrive che

“ a causa della complessità delle situazioni nelle quali il gruppo si trova ad operare è

importante definire chiaramente i valori che il gruppo riconosce, accetta e condivide e il

sistema delle responsabilità che il gruppo si assume nelle proprie relazioni interne ed

esterne .“ Nel Code of practice di Eni si dichiara che il Codice è stato redatto poiché

nella complessità delle situazioni nelle quali Eni opera è importante definire

chiaramente i valori che Eni accetta, riconosce e condivide sia le responsabilità che Eni

si assume al proprio interno ed al proprio esterno.

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47

Tra le aziende analizzate, solo Fiat nella versione revisionata del proprio codice,

considera lo stesso come un elemento costitutivo e fondamentale del sistema di

controllo organizzativo interno che il Gruppo ha costituito per la propria gestione e

sviluppo.

Per quanto attiene ai destinatari dei codici, tutti sono rivolti a chiunque lavori con i

Gruppi, a qualsiasi livello, direttamente o indirettamente, temporaneamente o

definitivamente e, nella maggior parte dei casi, senza limitazioni geografiche.

Per quanto riguarda il punto 2), l’analisi ha evidenziato che solo due codici utilizzano

un mix di tono preventivo e punitivo, un solo codice sembra contenere dichiarazioni

propositive.

L’analisi relativa al punto 3) indica che nessun posto sembra essere lasciato in ogni

codice al giudizio individuale poiché l’approccio dei codici risulta “seek advice”

ovvero è promossa la formula volta ad incoraggiare i dipendenti a rivolgersi ai loro

diretti responsabili per eventuali spiegazioni.

Nell’ambito alle questioni poste in rilievo nei codici, in riferimento al punto 4), le

relazioni con gli stakeholder esterni quali i media, le autorità locali e nazionali, i

sindacati sono valutate importanti nei codici. Le questioni più significative comprese

nei codici sono quelle relative all’ambiente di lavoro come ad esempio il tema delle

molestie, il conflitto di interessi, lo scambio di regali, l’uso di assets aziendali e l’uso

degli strumenti tecnologici.

Relativamente al punto 5), dall’analisi emerge che tutti i codici fanno riferimento alle

previsioni del d.lgs 231/2001, in particolare nella Parte Generale è descritto il contenuto

del decreto mentre gli obiettivi del programma, le relative sanzioni sono contenute in

una parte speciale che include anche la mappatura delle aree a rischio e le relative

procedure.

Nel gennaio 2006 il ricercatore ha riconsiderato le aziende del campione iniziale al fine

di verificare eventuali variazioni nell’adozione dei Codici. Le aziende che hanno

adottato il Codice sono risultate in aumento in particolare grazie all’ottemperanza del

d.lgs 231/2001. Allo stesso tempo però sono stati riscontrati importanti cambiamenti in

merito alla comunicazione, a fianco dell’adozione dei Codici, del sistema di

autoregolamentazione adottato e dell’inserimento tra i propri obiettivi della gestione

“ etica” dell’impresa.

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48

3.3.2. RIFLESSIONI CONCLUSIVE

L’analisi delle ricerche sopra evidenziate mia suggerisce una breve riflessione in merito

al rapporto tra la struttura organizzativa dell’impresa e lo sviluppo della cultura di RS 37 nell’impresa.

Nell’ambito del percorso di studio della laurea specialistica DEIRS ho avuto modo di

approfondire il concetto di Impresa secondo l’approccio multistakehoder “ secondo cui

l’impresa è una costellazione di portatori di interessi, strategicamente coinvolti dalla

conduzione dell’impresa, e i cui interessi e aspettative dipendono in modo essenziale da

essa, e dalla cui cooperazione dipende la possibilità stessa per l’impresa di creare nuovo

valore, valore al quale, in modi differenti, tutti i stakeholder sono interessati 38.”

Di fatto questa visione promuove una nuova figura di Impresa che da soggetto “capace”

di creare la combinazione ottima di input al fine di massimizzare l’output ed il profitto

diventa soggetto capace di creare la combinazione ottima di input al fine di

massimizzare l’output e il profitto sotto il vincolo di mantenere in equilibrio gli

interessi, a volte contrastanti, dei diversi soggetti portatori di interessi nell’impresa.

Due, secondo me, sono gli elementi di novità introdotte dall’approccio

multistakeholder. Un primo elemento di novità riguarda la sfera privata, per così dire,

dell’imprenditore o del manager da lui delegato, un secondo elemento di novità

riguarda la struttura organizzativa dell’impresa e gli strumenti ad uso dell’impresa.

Infatti:

1) Cambiano le competenze dell’imprenditore 39 che da ottimo

produttore/venditore è chiamato a sviluppare nuove competenze e

sensibilità poiché chiamato ad acquisire una nuova “ visione “ dell’

impresa all’interno della quale le decisioni vengono assunte

attribuendo valore ad alcune variabili che in precedenza non venivano

considerate. Accade ad esempio, che nell’organizzazione della

produzione assumano valore alcune variabili in precedenza trascurate

37 Di seguito si farà cenno alla Formazione etica proposta dalle Linee Guida Q-Res, Liuc Papers n.95, Serie Etica, Diritto ed Economia, ottobre 2001 38 Il contratto sociale tra gli stakeholder dell’impresa alla base della leadeship etica, cioè l’autorità manageriale

legittima , Lorenzo Sacconi, Università di Trento 39

Non sempre l’impresa fa capo ad un imprenditore come nell’impresa famigliare. Nelle imprese con capitale frammentato la figura qui richiamata è sostituita dalla figura del manager e degli amministratori.

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come ad esempio la salvaguardia dell’ambiente circostante seppure in

assenza di prescrizione di legge, oppure il ricorso a turni di lavoro

particolarmente penalizzanti per le lavoratrici madri accade quindi che

all’imprenditore si presentino, nello svolgimento della propria attività

dei cd Dilemmi Etici.

2) Cambia la struttura organizzativa che si deve innanzitutto attrezzare

affinché la sensibilità dell’imprenditore trovi spazio all’interno di

specifiche funzioni aziendali ( Ethics Officer, Internal Audit, Gruppo

di lavoro per la RS) permettendo che tale sensibilità venga messa in

evidenza come sensibilità di fatto propria dell’impresa . Al medesimo

fine vengono introdotti sia strumenti in grado di diffondere, mantenere

ed alimentare tale sensibilità tra i vari soggetti interni ed esterni

all’impresa ( codice etico, linee guida Q-Res) sia strumenti in grado di

“misurare” il grado di beneficio che tale sensibilità procura agli

stakeholder ( rendicontazione sociale).

A mio avviso l’approccio multistakeholder vede la Responsabilità Sociale40

diffondersi all’interno dell’impresa con un flusso che va dal Vertice41 verso la base42

diffondendosi poi verso l’esterno43. Il fatto che il Vertice adotti di fatto comportamenti

socialmente responsabili avallati dalla predisposizione di una struttura organizzativa

dedicata44 rafforza la credibilità di ogni dichiarazione di intento o determinazione di

obiettivo in ambito di Responsabilità Sociale e ne facilita la condivisione con la base.

Quindi la Responsabilità Sociale è un Valore che produce effetti positivi se condiviso

tra tutti gli stakeholder e in particolare dai soggetti attivi all’interno dell’impresa. A

tale proposito io penso che la formazione e la comunicazione ricoprano un ruolo chiave

nel promuovere tale condivisione.

Entrando maggiormente nel merito della prima tipologia, le Linee Guida Q-Res, ad

esempio, definiscono la formazione etica in azienda come l’insieme delle attività che

sviluppano e adeguano nel tempo la capacità di riconoscere, analizzare e risolvere i 40 “ L’impresa socialmente responsabile nel perseguire i propri obiettivi ( efficienza, quote di mercato, ecc.) tiene in

considerazione gli interessi di tutti gli Stakeholder e sviluppa le attività di business in armonia con le aspettative e i

bisogni degli Stakeholder”. Questa è la mia definizione del concetto di impresa socialmente responsabile. 41 Imprenditore, management, amministratori comunque Stakeholder. 42 Stakeholder interni quali i dipendenti, collaboratori 43 Stakeholder esterni ovvero soggetti esterni con i quali l’impresa entra in contatto direttamente o indirettamente 44

Nel primo capitolo infatti si è evidenziato grazie alla presentazione della ricerca condotta dalla Fondazione Unipolis che le imprese maggiormente vocate alla RS sono dotate di particolare struttura organizzativa.

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50

dilemmi etici a livello organizzativo attraverso strumenti concettuali filosofici,

economici, giuridici, organizzativi. Essa inoltre comunica e crea condivisione attorno ai

valori e ai principi del Codice Etico aziendale, favorisce l’introduzione dei diversi

strumenti di responsabilità etico-sociale d’impresa laddove non siano ancora presenti e

la loro attuazione, allena i decisori ad applicare i principi etici nelle scelte di tutti i

giorni. La formazione etica viene interpretata dalle linee guida sia a livello individuale

che a livello organizzativo in modo da coinvolgere tutta la struttura dell’impresa.

Vengono altresì proposte alcune figure specializzate nell’attuazione del programma di

responsabilità etico-sociale aziendale quali l’Ethics Officer, Comitato Etico, Ethical

Auditor, Responsabile del Bilancio Sociale. Le discipline oggetto di formazione sono

l’etica degli affari dalla quale si evincono le regole del ragionamento sociale, il modello

del contratto sociale dell’impresa, la natura e gli scopi del codice etico, il diritto, la

sociologia a l’economia delle organizzazioni per poter individuare le fonti dei dilemmi

etici ed in particola i comportamenti opportunistici nelle organizzazioni

gerarchiche,ecc. e in particolare per creare i sistemi interni idonea a creare incentivi al

comportamento etico, le basi della cultura d’impresa e gli effetti di reputazione.

Io sono fortemente convinta della necessità all’interno dell’impresa di personale

qualificato e motivato a diffondere i principi etici di riferimento dell’impresa. Nel

capitolo si è più volte richiamato il concetto di corporate governance. Il sistema di

corporate governance rappresenta dunque l’intelaiatura che rende possibile il

meccanismo di gestione dell’impresa. Si tratta, infatti, dell’insieme di consuetudini,

regolamenti, politiche e istituzioni che influenzano il modo in cui la società è

amministrata e controllata ; Si tratta di “ principi e strumenti che intendono disciplinare

la ripartizione di poteri, diritti e responsabilità all’interno dell’organizzazione,

introducendo norme procedurali e schemi di incentivo, nonché prevedendo eventuali

rimedi legali. 45”

Abbiamo visto che i ricercatori hanno assunto la struttura di corporate governance

come indicatore del grado di diffusione della RS in azienda, in particolare ciò che

interessa agli stakeholder è la conferma della presenza in azienda di una cultura di RS

che estende “ il dovere fiduciario da una prospettiva monostakeholder a una prospettiva

multistakehorder, affiancando al diritto di proprietà e controllo un ulteriore insieme di

45 McGraw Hill, Il bilancio sociale nei gruppo aziendali,, Milano , 2007, pag. 101

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responsabilità sociali a tutela dell’interesse degli stakeholder non controllanti.46 ” . In

questo contesto il Codice Etico diventa uno strumento di corporate governance che

rafforza il meccanismo di enforcement del Modello 231 .

Alla luce dei contenuti e dei risultati della ricerca mi chiedo: il Modello di

Organizzazione e Controllo ai sensi del d.lgs 231/2001 può contribuire a promuovere lo

sviluppo e la diffusione della Responsabilità Sociale nell’Impresa?

Proverò a rispondere a questa domanda alla fine del secondo capitolo, dopo aver

presentato la disciplina del d.lgs 231/2001.

46 McGraw Hill, Il bilancio sociale nei gruppo aziendali,, Milano , 2007, pag. 109

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CAPITOLO SECONDO

LA RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DEGLI ENTI

INTRODOTTA DAL D. LGS 231/2001

Premessa 1.. Il d.lgs 231/2001 nella linea evolutiva dell’ordinamento 1. 1 Le fonti

culturali e normative ispiratrici della disciplina della responsabilità amministrativa degli

enti 1.2 La Legge Delega n. 300 del 29 settembre 2000 ed i precedenti normativi in

ambito internazionale 1.3. L’esperienza statunitense dei Compliance Programs 1.4 La

tradizione Italiana nella corporate governance: i cc.dd codes of best practice di

categoria 2. L’impianto del D.lgs 231 del 8 giugno 2001 2.4 Ambito soggettivo di

applicazione e introduzione di meccanismi organizzativi di controllo 2.5 Carattere e

natura della responsabilità amministrativa dell’ente 2.6 Criteri di imputazione della

responsabilità all’ente 2.7 2.4 Esonero da responsabilità 2.8 Il sistema sanzionatorio 3.

Il Modello di Organizzazione e Controllo ex D.lgs 231/2001 tra prescrizione

normativa ed autoregolamentazione societaria 3.1 Le componenti del “ Modello 231 “

espressamente previste dal legislatore 3.1.1. Attività di Risk Assessment e Gap Analysis

3.1.2 L’Organismo di Vigilanza 3.1.2.1 Requisiti essenziali dell’Organismo 3.1.2.2.

L’antinomia

tra indipendenza e inerenza con l’ente vigilato 3.1.2.3. Le peculiari funzioni riservati

all’OdV

3.1.2.4. I poteri dell’OdV: autoregolamentazione, ispettivi e sanzionatori 3.1.2.5. La

responsabilità imputabile ai membri dell’OdV 3.1.2.7 L’OdV nelle strutture societarie

di Gruppo

3.1.2.7 Organismo di Vigilanza e sistema dei controlli alla luce della Riforma del diritto

societario

3.1.3 Sistema Disciplinare 3.2 Le componenti del “ Modello 231 “ delegate dal

legislatore all’autonomia privata 3.2.1. Il Codice di Comportamento Categoriale 3.2.2.

Formazione e informazione dei destinatari delle prescrizione del “ Modello 231“ 4.

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Elaborazione ed adozione dei modelli. Cenni 5. La responsabilità degli amministratori

della società di capitale alla luce dei

precetti dell’art. 2381 c.c. novellato dalla Riforma del Diritto societario 5.1 La

sentenza del Tribunale di Milano del 13 Febbraio 2008: il commento di Vincenzo

Buonocore. 6. Il Modello di Organizzazione e Controllo ai sensi del d.lgs 231/2001 può

contribuire a promuovere lo sviluppo e la diffusione della Responsabilità Sociale

nell’Impresa?

PREMESSA

L’emanazione del d.lgs 231/2001 introduce delle novità sia in ambito penalistico sia

nell’ambito del diritto commerciale. Infatti, come scrive Danilo Galletti 47 , il testo

normativo in questione assegna potenti incentivi affinché le società assemblino i

modelli organizzativi ivi previsti i quali si tradurranno in assetti facenti parte

dell’organizzazione dell’impresa e dell’ente titolare di quest’ultima.

Questo capitolo vuole presentare la disciplina del d.lgs 231/2001, le origini culturali e

giuridiche dei suoi contenuti e della sua modalità applicativa avendo riguardo sia ai

tratti salienti della disciplina sia alle sue implicazioni sugli assetti organizzativi e di

governance delle imprese, in particolare delle società per azioni , quotate e non , dando

conto anche dei contenuti del dibattito in dottrina. Sarà pertanto mia cura presentare i

tratti salienti del decreto integrando l’enunciazione dei precetti con il richiamo al

contenuto degli orientamenti dottrinali nei diversi ambiti di interesse .

L’attività si presenta interessante anche in considerazione del fatto che i principi sanciti

nella disciplina ed i suoi contenuti sono in qualche modo i pionieri dei principi

ispiratori della Riforma del Diritto Societario del 2003 48 , in particolare, scrive

Antonella Gargarella Martelli49 “è maturata la consapevolezza che l’impresa assume un

47

D. Galletti, I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag.126 ss. 48

A tale riferimento Danilo Galletti scrive : “ L’adozione di procedure interne atte a prevenire illeciti si sposa con il

nuovo modo di intendere l’impresa alla luce della riforma del diritto societario del 2003, in termini di previsione

degli scenari futuri e di programmazione dei risultati, ciò che favorisce ( e talvolta impone ) l’organizzazione

dell’impresa non solo attraverso l’adozione di piani, ma anche mediante l’adozione di ruoutines e procedure, che

migliorano l’efficienza e favoriscono la verificabilità delle condotte gestorie “.I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231

del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I 49

A. Gargarella Martelli, L’organismo di vigilanza tra disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e

diritto societario in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag.762 ss.

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54

ruolo centrale nel sistema configurato dal d.lgs 231/2001 in parallelo col la medesima

centralità che riveste anche nel novellato diritto societario”, di cui si accennerà nel

proseguo.

Gli ambiti di applicazione della responsabilità conseguente direttamente o

indirettamente dal decreto sono i seguenti:

- la responsabilità amministrativa dell’ente nel caso in cui, commesso il reato -

presupposto da parte dei soggetti richiamati dal decreto, si dimostri che lo stesso

non ha adottato un Modello organizzativo idoneo a prevenire tale reato;

- la responsabilità amministrativa dell’ente nel caso in cui, commesso il reato -

presupposto da parte dei soggetti richiamati dal decreto, si dimostri che lo stesso

non ha efficacemente attuato un Modello organizzativo idoneo a prevenire tale

reato;

- la responsabilità degli amministratori che con la riforma del diritto societario del

2003 e in particolare con quanto sancito dall’art. 2381 del codice civile in

merito al dovere da parte degli organi delegati di curare che l’assetto

organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle

dimensioni dell’impresa saranno chiamati a rispondere, nel caso di condanna

dell’ente ai sensi del d.lgs 231/2001, per aver omesso di adottare modelli

organizzativi adeguati50 oppure per aver adottato il modello organizzativo senza

averlo di fatto efficacemente attuato;

Un elemento di novità introdotta dal decreto è riconducibile secondo Guido Rossi51 al

principio della separatezza dei patrimoni sociali e personali che caratterizza la società di

capitali. Infatti, scrive l’Autore, dal momento che chi risarcisce è la società, di fatto i

soci divengono indirettamente responsabili per reati commessi dai manager a meno che

i modelli di compliance che la società ha introdotto nei comportamenti societari non la

esoneri dalla responsabilità. Considerando comunque l’eventualità, come si evidenzierà

nel proseguo del capitolo, che la società condannata per i reati commessi ai sensi del

d.lgs 231/2001 potrà attivare un’azione di responsabilità nei confronti degli

amministratori , di fatto il risarcimento graverà sugli amministratori, come a mio avviso

è giusto che sia dal momento che l’adozione o meno del Modello rappresenta un onere

50

Sentenza del Tribunale di Milano, 13 Febbraio 2008 il cui commento di Vincenzo Buonocore verrà brevemente presentato nel proseguo del capitolo. 51

G. Rossi, Il conflitto epidemico, Milano, 2003, pag.140

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55

che gli amministratori possono o meno assumersi esponendosi così

all’autoresponsabilità caratterizzata dall’accettazione delle conseguenze di tale scelta

nella propria sfera giuridica .

1. Il d.lgs 231/2001 nella linea evolutiva dell’ordinamento

Le attività economiche organizzate possono produrre effetti negativi che si

materializzano nelle sfere giuridiche di soggetti formalmente estranei

all’organizzazione societaria. Tali attività sono oggetto del paradigma normativo della

responsabilità civile o amministrativa nel quale la regola giuridica “preme” dall’esterno

sul titolare dei poteri di controllo, affinché ponga in essere gli accorgimenti

precauzionali necessari ad evitare il pregiudizio. Si tratta dunque dell’intervento

correttivo del diritto che pone le condizioni affinché l’esternalità negativa del processo

produttivo venga internalizzata dal soggetto economico. Questo è il sunto di quanto

scrive Danilo Galletti52 affermando successivamente che la regola di responsabilità da

sola non è sufficiente perchè esistono situazioni pregiudizievoli che la riallocazione

delle conseguenze patrimoniali dannose in capo al danneggiante non può ristorare

efficacemente sia a causa della prevedibile incapienza di quello sia perché non sempre

si tratta solo di un problema di capienza patrimoniale essendoci talvolta in gioco valori

fra loro non confrontabili, tali per cui uno appaia incomprimibile e dunque la

compensazione successiva non abbia alcun senso. In particolare, prosegue Galletti, il

caso di incapienza patrimoniale provoca l’estensione degli scenari repressivi in capo ad

altri soggetti terzi che abbiano svolto una qualche funzione di mediazione fra le sfere

soggettive dei danneggianti e dei danneggiati e la rottura del paradigma classico, con la

moltiplicazione delle istanze di ristoro, e l’allontanamento progressivo della soglia del

danno conseguenza “immediata e diretta” ( art. 1223 c.c. ), rischia di compromettere la

tenuta del sistema, provocando un’ondata ridistribuiva non mediata da scelte politiche

consapevoli, e pertanto incapace di svolgere alcuna funzione incentivante coerente. Il

diritto societario, grazie al diritto della crisi e dell’insolvenza dell’impresa, si emancipa

dalla tradizione scientifica e letteraria che ne aveva esaltato la vocazione

52

D. Galletti I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag. 126 ss.

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56

processualistica e liquidativa e dunque la prospettiva ex post, evidenziando invece la

prospettiva ex ante orientandosi dunque verso la prevenzione della conseguenza

pregiudizievole ovvero assumendo ad oggetto del proprio interesse il contesto ove

vengono assunte le decisioni economiche all’interno dell’impresa. Seguendo questa

direzione del diritto , il decreto introduce il concetto di “colpa organizzativa” di cui

l’ente è chiamato a rispondere. In tal modo, afferma Galletti, l’innovazione normativa

introdotta dal decreto si ricollega ad una linea evolutiva dell’ordinamento, ove gli enti

vengono progressivamente obbligati ad internalizzare le proprie inefficienze

organizzative.

1. 1 Le fonti culturali e normative ispiratrici della disciplina della

responsabilità amministrativa degli enti

Nel primo capitolo si è trattato del rapporto tra l’etica e l’impresa, in particolare

dell’approccio etico della responsabilità sociale dell’impresa, volontario ed auto –

imposto a cui si è affiancata la codifica da parte del legislatore di alcune prassi

utilizzate per promuovere la responsabilità sociale dell’impresa.

Ne rappresenta un esempio il D.lgs 231/2001 che, seppur indirettamente come si vedrà

in seguito, ha promosso la diffusione del codice etico 53 , tipico strumento di

autoregolamentazione a cui si è già dato rilievo nel primo capitolo.

Con il D.lgs 231/2001 il legislatore introduce la responsabilità amministrativa delle

persone giuridiche nel nostro ordinamento sulla scia di quanto già avvenuto negli Stati

Uniti e in ottemperanza a quanto definito dalle Convenzioni tra gli Stati europei, come

si illustra di seguito.

1.2 La Legge Delega n. 300 del 29 settembre 2000 ed i precedenti

normativi in ambito internazionale54

La legge delega 29 settembre 2000 n. 300 rappresenta “ il punto di arrivo e quello di

partenza nella costruzione di un diritto penale dell’economia omogeneo a livello

53

Il d.lgs 231/2001 all’art. 6 comma 3 non menziona il codice etico bensì il codice di comportamento. La differenza tra i due documenti, illustrata nel primo capitolo, non è stata colta dai molti in fase di applicazione del decreto. Infatti è maturata l’idea della fungibilità tra i due strumenti. 54

S Vinciguerra, M. Ceresa – Castaldo, A.Rossi La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse (

d.lgs 231/2001 ), Padova, 2004

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57

internazionale, nonché nella predisposizione degli strumenti per un’efficace azione di

politica criminale intesa a prevenire e contenere il crescente fenomeno della

delinquenza economica .55”

La legge delega autorizzava la ratifica e dava esecuzione ad alcuni Atti internazionali

elaborati in base al Trattato dell’Unione europea, in particolare alla Convenzione sulla

tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee ( 1995 ) e relativo primo

Protocollo, alla Convenzione sulla corruzione nella quale sono coinvolti funzionari

delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea ( 1997 ) e alla

Convenzione OCSE ( 1997 ) sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri

nelle operazioni economiche internazionali. Inoltre, la legge conteneva la delega al

Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e

degli enti privi di personalità giuridica, in ottemperanza agli obblighi convenzionali

assunti dall’Italia in seno all’introduzione, a certi condizioni, di una responsabilità degli

enti collettivi.

In particolare con le convenzioni sopra richiamate gli Stati membri hanno assunto

l’obbligo di configurare legislativamente la responsabilità delle persone giuridiche

dichiarate responsabili per i delitti di frode, corruzione attiva, riciclaggio di denaro,

commessi a loro beneficio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto

parte di un organo della persona giuridica, che detenga un posto dominante in seno alla

persona giuridica, basati i) sul potere di rappresentanza di detta personalità giudica, o ii)

sull’autorità di prendere decisioni per conto della persona giuridica, o iii) sull’esercizio

del controllo in seno a tale persona giudica, disponendo ...”sanzioni effettive,

proporzionate e dissuasive, che includono sanzioni pecuniarie o di natura penale o

amministrativa…”. Infatti, come scrive Mario Romano56 essendo la Comunità europea

priva di competenza propriamente penale si è avvalsa anzitutto del diritto penale dei

singoli Stati membri per l’introduzione di apparati sanzionatori in grado di fornire una

qualche coerente tutela ai propri interessi. In verità, afferma Romano, la responsabilità

degli enti non era esplicitamente menzionata dalla Convenzione sulla tutela degli

interessi finanziari della Comunità né lo era dalla Convenzione relativa alla lotta alla

55

S. Bartolomucci Corporate governance e responsabilità delle persone giuridiche, modelli preventivi ad efficacia

esimente ex d.lgs 231/2001, Milano, 2004, pag. 1 56

M. Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società o associazione : profili generali in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo II

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58

corruzione . Entrambe sembravano arrestarsi un poco prima, prevedendo che ciascuno

Stato membro prendesse misure necessarie per consentire una responsabilità penale,

secondo principi stabiliti dal diritto nazionale, dei dirigenti delle imprese o qualsiasi

persona in esse detentrice di un potere di decisione e controllo, nel caso di commissione

dei reati di cui alle Convenzioni da parte di persona soggetta alla loro autorità.

L’obbligo di prevedere una responsabilità delle persone giuridiche, inoltre era

espressamene contemplato, seppure in termini meno circostanziati, dalla Convenzione

OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri.

Queste sono le premesse fondanti della delega al Governo contenuta nella l.. 300/2000

e nell’art. 11 della stessa definisce ex professo i caratteri della nuova disciplina della

responsabilità 57 degli enti collettivi, i presupposti, le condizioni e le modalità di

rilevazione delle responsabilità e di irrogazione delle sanzioni, oltrechè la nuova

configurazione del nesso soggettivo ed oggettivo che fa scaturire dal delitto compiuto

dalla persona fisica, anche una responsabilità propria della persona giuridica58, alla

quale la prima è organicamente legata.

Romano sottolinea che le Convenzioni non vincolavano in alcun modo gli Stati membri

circa la natura, penale in senso stretto e amministrativa, della responsabilità. Infatti esse

nel richiedere che fosse disposta una responsabilità degli enti, prevedevano

esclusivamente l’introduzione di sanzioni, pecuniarie o di altro tipo, che si

presentassero effettive, proporzionate o dissuasive senza imporne la loro natura che

affermavano , invece, potesse essere indifferentemente penale o amministrativa. Tra gli

ordinamenti europei il nostro è stato tra i più restii ad accogliere una responsabilità

penale delle persone giuridiche o degli enti collettivi sotto l’influsso del tradizionale

principio romanistico societas delinquere non potest. Stessa resistenza hanno posto gli

ordinamenti della Germania e della Spagna mentre la responsabilità penale è

57

“ Il d.lgs 23172001 introduce nel nostro ordinamento la responsabilità penale delle persone giuridiche che è un concetto conosciuto da gran parte degli ordinamenti giuridici moderni nonostante le soluzioni sostanziali e processuali adottate per disciplinare tale responsabilità siano diverse nelle varie legislazioni nazionali essendo condizionate dal complessivo tessuto ordinamentale nel quale sono inserite.” Cosi M. Cruciali in Responsabilità

amministrativa di società ed enti (a cura di) Sebastiano Diego, Milano, 2007 58

“ L’incipt comunitario ha sollecitato a livello nazionale, specie nel nostro paese, un acceso dibattito culturale intorno alla configurazione stessa, o meglio, alla configurabilità di una responsabilità personale e diretta dell’ente collettivo per l’illecito penale compiuto dal singolo… Il nostro ordinamento più di altri ha manifestato una forte resistenza all’accoglimento del principio della responsabilità penale delle persone giuridiche e degli enti collettivi, trovando ostacolo nel dettato costituzionale dell’art. 27 che normativizza il vecchio brocardo “ societas delinquere no

potest “ sul quale il nostro Codice penale del 1930 è centrato. Così S. Bartolomucci in Corporate governance e

responsabilità delle persone giuridiche, modelli preventivi ad efficacia esimente ex d.lgs 231/2001, Milano, 2004, pag. .5

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riconosciuta in Olanda, Portogallo, Finlandia, Danimarca e Francia. Il nostro legislatore

dunque nell’alternativa tra responsabilità penale in senso stretto e responsabilità

amministrativa ha optato per la seconda, originariamente solo nell’ambito di alcuni reati

previsti nella legge delega e dal 2001 ad oggi ampliando la gamma dei reati

presupposto.

Il Governo da attuazione alla delega ricevuto dal Parlamento con l’emanazione del

D.lgs 231/2001 “ Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone

giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a

norma dell’art. 11 della legge 29 settembre 2000 n. 300”

1.3 L’esperienza statunitense dei Compliance Programs

La Convenzione OCSE che ha definito gli strumenti di prevenzione e repressione della

criminalità imprenditoriale trova ispirazione dai cc.d.. Compliance company programs

anglosassoni ovvero da modelli organizzativi idonei a conformare alla legge i

comportamenti dei singoli, nonché ad implementare validi strumenti di controllo

interno, capaci di assicurare la correttezza e l’eticità dell’esercizio dell’impresa.

L’origine di tali modelli è legata all’esperienza degli U.S.A. dove la crisi del sistema

sanzionatorio risultato inefficace ed ingiusto indusse il Congresso ad orientare le

proprie scelte non più verso la tipizzazione di nuove e più rigide sanzioni, quanto

nell’intento di assicurarne l’effettività e la certezza, nonché l’uniformità di trattamento

dei soggetti imputati dei medesimi reati. Fu così istituita la U.S. Sententing

Commission, agenzia federale indipendente, incaricata di elaborare delle guidelines e

dei criteri di politica sanzionatoria capaci di supportare le Corti federali nella fase di

quantificazione ed irrogazione della pena. Il lavoro si concretizzò nel 1987 nella

predisposizione delle Federal Sentencing Guidelines destinate alle persone fisiche,

esperienza ripetuta nel 1991 con la predisposizione di un equivalente strumento

destinato alle persone giuridiche Supplementary Report on Sentencing Guidelins for

Organizations, strumento cui si ispira il successivo orientamento europeo ed italiano.

Le Guidelines si presentano così come un approccio operativo innovativo per la

prevenzione dei reati coniugando il principio secondo cui la pena deve risultare giusta e

proporzionata alla gravità dell’offesa ed al grado di colpevolezza della persona

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giuridica in dipendenza del comportamento assunto, come della finalità preventiva del

reato, perseguita mediante coercizione psicologica ad assumere programmi di

autodisciplina e controllo per non incappare in pesanti sanzioni, bensì per beneficiare di

un trattamento premiale.

Il fulcro del sistema di prevenzione dei reati è rappresentato dal c.d. Compliance

program ( programma di adeguamento ) volontariamente elaborato ed adottato dalla

singola impresa con finalità penal-preventiva. I requisiti base affinché la prevenzione

attuata dall’ente possa risultare effettiva e congrua, legittimando l’attenuazione della

sanzione erogabile in caso di commissione di reato, sono indicate dalle stesse

Guidelines. Gia dal 1960 le imprese americane avevano introdotto nella propria

organizzazione il Codice etico, strumento attraverso il quale definire gli standards

comportamentali destinati ai dipendenti, con l’obiettivo sia di scoraggiare l’assunzione

di comportamenti delittuosi sia di introdurre una mentalità aziendale conformata al

rispetto della legalità. Tali codici però si limitavano a dichiarare un “ voler essere”

dell’impresa ed un “dover essere” di coloro che nell’impresa operavano pur

rappresentando uno strumento capace di ridurre l’impatto della reazione sanzionatoria

ad opera dell’Autorità. Le Guidelines realizzano quindi un sistema certo e definito di

cautele e di strumenti di prevenzione e controllo endo-aziendale, riconosciuto e validato

dall’Autorità, conformandosi al quale la singola impresa più coltivare la legittima

aspettativa della sicura riduzione della sanzione, nel caso in cui un reato sia stato

comunque realizzato al proprio interno.

L’esperienza statunitense è stata importata dal legislatore italiano del 2001 infatti se i

Compliance programs nordamericani, debitamente adottati e conformai ai requisiti

specificamente richiesti, consentono di far ottenere alla company una riduzione della

sanzione comminabile, i “modelli di organizzazione e gestione” previsti dal D. lgs n.

231/2001 sostanziano uno strumento di prevenzione dei reati presupposti, la cui

congruità accertata ex post dal giudice penale, può anche dar luogo alla concessione del

beneficio dell’esimente in toto da responsabilità dell’ente. In particolare, scrive Danilo

Galletti59, il decreto tenta di porre incentivi all’adozione di comportamenti virtuosi, atti

a prevenire la commissione di certi reati, attraverso la prospettiva della concessione di

un ’esimente se il modello organizzativo sia riconosciuto idoneo ex post dal Giudice, 59

D. Galletti, I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag. 126 ss.

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61

mentre il compliance programs statunitensi giungono al massimo alla concessione di

un’attenuante e comunque escludono l’ipotesi in cui ci sia coinvolgimento dei livelli

“apicali”.

1.4 La tradizione Italiana nella corporate governance: i cc.dd codes of

best practice di categoria

L’adozione di regole autodisciplinari destinate a regolare i processi decisionali e di

controllo della gestione d’impresa trova spazio nel nostro paese prima dell’emanazione

del D. lgs 231/2001.

Infatti la definizione di principi e procedure uniformi costituiscono i cc.dd Code of best

practice elaborati d associazioni di categoria e d operatori economici di settore.

Un ruolo preminente riveste il Codice di Autodisciplina del “Comitato per la

Corporate Governance delle società quotate “ emanato da Borsa Italiana spa nel 1999 .

La sua adozione riveste carattere di facoltatività e comporta per la società quotata

l’adozione di regole autodisciplinari volte a “ regolare i processi decisionali e di

controllo della gestione d’impresa 60 promuovendo inoltre la comparabilità

internazionale delle regole di corporate governance e adeguandole a standards minimi

di comportamento unanimemente considerati elementi indispensabili alla creazione di

valore a favore degli azionisti pur lasciando alle imprese la facoltà di adattare il

modello organizzativo e funzionale ivi proposto alle peculiarità dell’impresa sia in

termini dimensionali sia di struttura proprietaria. Maugeri evidenzia che le Istruzioni

del Regolamento dei Mercati Organizzati e Gestiti dalla Borsa Italiana, recependo un

auspicio formulato dal Comitato per la Corporate Governance, stabiliscano in capo agli

emittenti l’obbligo di dare informazioni sul proprio sistema di governo societario e

“sull’adesione al Codice” nonché, per gli emittenti che non abbiano adottato il Codice

o vi abbiano dato applicazione solo parziale, quello disinformare il pubblico “ con

cadenza annuale, delle motivazioni che le hanno indotte a tale decisione”. In sostanza

l’organo gestorio delle società aderenti al Codice si impegna al rispetto di ulteriori

regole di azione con il rischio che questo possa rivelarsi inefficiente nel caso in cui

ogni nuovo precetto si traduca in nuovi costi sia per quanto riguarda un’eccessiva “

60

Così M. Maugeri, Regole autodisciplinari e governo societario in Giurisprudenza Commerciale, 2002, I, pag.88 ss.

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burocratizzazione” del comportamento degli amministratori61. Maugeri individua due

possibili orientamenti per attribuire significato dell’adesione al Codice, nonostante i

rischi evidenziati, orientandosi verso due “punti di vista” differenti che di seguito

sintetizzo:

- Sul versante del “ prodotto62” : il modello societario prescelto e la sua agevole

conoscibilità da parte del mercato contribuirebbe a rafforzare la convinzione

degli investitori nella maggiore efficienza della realtà imprenditoriale dotate di

“ buone” regole organizzative, in quanto meglio attrezzate a garantire più

elevati rendimenti

- Sul versante del “soggetto”: ci si chiede se sia consentito assegnare a tali regole

un ruolo in punto di valutazione dei compiti e delle responsabilità degli

amministratori, in particolare, l’interrogativo è se le regole procedimentali di

comportamento disegnate nel Codice di Autodisciplina non possano fornire

indicazioni per riempire di contenuto le clausole generali che, secondo la

normativa di volta in volta applicabile, presiedono alla condotta degli

amministratori dell’emittente quotato. In particolare l’assorbimento in via

pattizia di regole dirette a isolare, rendere trasparenti e neutralizzare possibili

fattispecie di conflitto di interessi potrebbe allora costituire criterio di

valutazione per il giudice chiamato a pronunciarsi in sede contenziosa su

vicende concernenti la responsabilità degli amministratori per violazione degli

obblighi di diligenza inerenti all’esercizio dell’attività d’impresa.

Questo secondo orientamento fa strada all’ipotizzata funzione integrativa o

specificativa dei precetti primari a cui può assolvere il Codice di Autodisciplina e in

particolare, afferma Maugeri, tale funzione è riscontrabile nell’esercizio delle

disposizioni di cui all’art. 150 t.u.f. che prevede il dovere in capo agli amministratori di

“riferire tempestivamente, secondo e modalità stabilite dall’atto costitutivo e con

periodicità almeno trimestrale, al collegio sindacale sull’attività svolta e sulle

operazioni di maggior rilievo economico, finanziario e patrimoniale, effettuate dalla

61

Rif.to nota ( 20 ) in M. Maugeri, R Regole autodisciplinari e governo societario in Giurisprudenza Commerciale, 2002, I. 62

Da una definizione di G.Ferri in Autonomia statutaria e mercato a confronto, ove la constatazione che la società per azioni è vista nel testo unico della finanza nella prospettiva del mercato e dunque “ come struttura che “ produce “ strumenti finanziari. Rif.to nota ( 27 ) in M. Maugeri, Regole autodisciplinari e governo societario in Giurisprudenza Commerciale, 2002, I, pag.88 ss.

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società o dalle società controllate; in particolare riferiscono sulle operazioni nelle quali

essi abbiano un interesse, per conto proprio o di terzi, o che siano influenzate dal

soggetto che esercita l’attività di direzione e coordinamento ” cui è ricollegabile la

previsione nel Codice di Autodisciplina di un flusso informativo di tipo ascendente

dagli organi delegati al consiglio di amministrazione riscontrabile dall’art. 5 il quale

dispone che “ il comitato esecutivo – tramite il suo presidente – e gli amministratori

delegati rendono periodicamente conto al consiglio delle attività svolte nell’esercizio

delle deleghe loro attribuite. Gli organi delegati, inoltre, forniscono adeguata

informativa sulle operazioni atipiche, inusuali o con parti correlate, il cui esame e la cui

approvazione non siano riservati al consiglio di amministrazione. Essi forniscono al

consiglio di amministrazione e ai sindaci le stesse informazioni.”

Alla riflessione di Maugeri, che scrive prima della Riforma del Diritto Societario,

segue nel 2003 una riflessione di Natalino Irti 63 che nell’ambito del versante

“soggettivo” indicato da Maugeri afferma che le norme del Codice di Autodisciplina,

non tanto specificano il criterio generale, quanto aggiungono altre ipotesi, o categorie di

ipotesi al criterio generale allargando di fatto il campo della responsabilità nonché la

discrezionalità del giudice anche in considerazione che è lo stesso codice civile a

rinviare ai codici di autodisciplina dimostrando, afferma Irti, che le norme del Codice di

Autodisciplina sono dentro e non fuori del nostro ordinamento giuridico, cioè che esse

hanno rilevanza come criteri per la valutazione dei comportamenti e la decisione delle

relative controversie.

Al fine del presente elaborato, nei prossimi paragrafi, sarà interessante richiamare gli

spunti offerti dalla dottrina nell’ambito del rapporto tra le regole di governance

introdotte dal d.lgs 231/2001 e quelle previste dal Codice di Autodisciplina.

Anche specifiche categorie professionali hanno codificato principi valutativi

standardizzati ed efficaci procedure di controllo destinate al raggiungimento di obiettivi

economico-produttivi, informativi e di conformazione dei comportamenti alle norme

vigenti. Ne è un esempio il Position Paper pubblicato nel 2001 dall’Associazione

Italiana Internal Auditors.

63

N. Irti , Due temi di governo societario (responsabilità “amministrativa” – codici di autodisciplina) in Giurisprudenza Commerciale, 2003, I, pag.693 ss.

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2. L’impianto del D.lgs 231 del 8 giugno 2001

Il D.lgs n. 231/2001 introduce nel nostro ordinamento un innovativo strumento di

politica criminale coinvolgendo direttamente il privato nell’azione di prevenzione e

repressione di fenomeni criminali utilizzando la tecnica della moral suasion ritenuta

efficace per contrastare dall’interno delle strutture operative gli atti criminali. Ne

consegue un sistema normativo che reiterando e ribadendo l’imperatività e la vigenza di

norme di legge penale vincolante per l’azione del singolo, attribuisce all’ente cui quello

sia legato da un vincolo organico o da un rapporto di subordinazione, una funzione che

può essere definita di garanzia del rispetto della norma. Infatti all’ente è richiesto di

proteggere i beni tutelati dalla norma penale, espletando ogni necessaria ed opportuna

attività (di formazione, di sensibilizzazione, di monitoraggio e controllo) presso i

singoli operatori facenti parte della propria organizzazione cosicché qualora gli stessi

realizzino un’azione delittuosa e questa produca una situazione di vantaggio per l’ente,

alla responsabilità penale del singolo autore si aggiunga una responsabilità dell’ente

collettivo da cui ne consegue una sanzione. Nel contempo il decreto dispone che l’ente

virtuoso che abbia adottato opportune e congrue misure preventive possa essere

esentato da tale responsabilità nel caso in cui il reato sia stato realizzato.

Fino all’entrata in vigore di tale decreto, il principio della personalità della

responsabilità penale (ex. Art 27 della nostra Costituzione) aveva evitato all’ente

qualunque conseguenza sanzionatoria di tipo penale che non fosse l’obbligazione civile

prevista dagli artt.196 e 197 c.p. per il pagamento di multe o ammende, inflitte all’ente

solo in caso d’insolvibilità dell’autore materiale del fatto.

Benché il decreto qualifichi formalmente l’anzidetta responsabilità dell’ente come

“amministrativa”, secondo la maggioranza dei giuristi che si sono occupati

dell’argomento questa nuova forma di responsabilità avrebbe natura sostanzialmente

penale. Infatti si tratta di una responsabilità che deriva dalla commissione di un reato

che viene accertata dal giudice penale attraverso il processo penale celebrato a carico

dell’autore del reato-presupposto.

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65

2.1 Ambito soggettivo di applicazione e introduzione di

meccanismi organizzativi di controllo

L’art.1, comma 2, d.lgs n.231/2001 si applica agli enti forniti di personalità giuridica e

alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica quindi a qualsiasi

soggetto diverso dalla persona fisica comunque costituito, con esclusione dello Stato,

degli enti pubblici territoriali, degli enti pubblici non economici nonché degli enti che

svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Per quanto riguarda i criteri scelti per l’imputazione dell’illecito all’ente , la normativa

ha prediletto un criterio misto tenendo conto della qualifica e della posizione dell’autore

dell’illecito nell’ambito dell’ente, oltre che dell’interesse o del vantaggio conseguito

dall’ente dalla realizzazione del reato.

I soggetti destinatari delle norme sulla responsabilità amministrativa vengono

individuati nell’art.1 commi 2 e 3, in particolare:

nel comma 2 si individuano in positivo i soggetti destinatari

nel comma 3 si precisano in negativo i soggetti esclusi

Soggetti destinatari: “…enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni

anche prive di personalità giuridica .” Le nozioni di società e associazione sono

adeguatamente precisate dal diritto commerciale e civile mentre la nozione di ente nel

decreto costituisce un’ampia categoria di genere che si caratterizza per avere un proprio

interesse o vantaggio diverso da quello della persona fisica che agisce per suo conto,

essere amministrato o rappresentato, o gestito da persone ed essere dotato di

organizzazione, avere un proprio patrimonio o fondo comune.

Soggetti esclusi: “..Stato,.. enti pubblici territoriali, ..altri enti pubblici non economici

nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.” L’obiettivo del

legislatore perseguito con tale previsione è quello di evitare di paralizzare l’esercizio di

potestà pubblicistiche e di escludere una compressione dell’esercizio di attività di

natura politica assistite dalla garanzia costituzionale poichè l’applicazione di sanzioni

pecuniarie o, soprattutto, interdittive a questi soggetti sarebbe comunque

controproducente poiché gli effetti della sanzione avrebbero finito per recare danno ai

cittadini come contribuenti o fruitori di servizi. L’applicazione della normativa è

circoscritta algi enti pubblici economici i quali operano in maniera imprenditoriale, a

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scopo di lucro, nella produzione e nella fornitura di beni e servizi, conformemente alle

regole del diritto privato.

Non sono inoltre soggette alla disciplina le imprese individuali, sulla cui esclusione è

intervenuta la Corte di cassazione sez. IV penale, sentenza 22 aprile 004 n. 18941 che

ha stabilito che la disciplina sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche

non può essere estesa a tali imprese poiché presentano evidenti caratteri di diversità

rispetto agli enti collettivi considerati dal D.lgs 231/2001 e non è quindi possibile

invocare una disparità di trattamento in violazione dell’art.3 della Costituzione per

sostenere la legittimità di una simile interpretazione.

Per quanto concerne l’interpretazione dell’art.1 del decreto, Mario Bussolotti64 avanza

alcune perplessità. L’Autore sostiene che trovandosi la normativa in questione a metà

strada fra la disciplina delle sanzioni amministrative e la disciplina penale, per effetto

del divieto di applicazione analogica che caratterizza ambedue i sistemi sanzionatori, ne

deriva che non possono essere ritenuti responsabili enti collettivi privi di personalità

giuridica che siano diversi dalle associazioni e dalle società. Questa interpretazione

porta secondo l’Autore alla discutibile esenzione dei consorzi accentuando di

conseguenza la differenza tra i consorzi ed altre figure associative il cui oggetto o scopo

non sia direttamente connesso con l’attività imprenditoriale dei consorziati. Rimangono

inoltre esclusi, afferma Bussolotti, i G.E.I.E. e le fondazioni non riconosciute pertanto,

sostiene l’autore, è davvero singolare che le fondazioni che abbiano anche per oggetto

principale o secondario l’esercizio, diretto o indiretto, di un’attività di impresa siano

escluse. Bussolotti rileva inoltre un diverso orientamento secondo cui destinatari della

normativa sarebbero tutti i soggetti collettivi ad eccezione di quelli esonerati dal terzo

comma dell’art.1. Tale orientamento, afferma l’Autore, non è condivisibile perché

trascura che l’area dei destinatari della disciplina è individuata in positivo dal secondo

comma dell’art. 1 e che il terzo comma provvede solamente a ritagliare alcuni eccezioni

all’interno di tale area, pertanto i soggetti che in partenza fossero situati al di fuori

dell’area di cui al secondo comma non hanno necessità di essere esonerati ai sensi del

terzo comma.

64

M. Bussolotti, Procedimento sanzionatorio e “ vicende modificative dell’ente” nella legge sulla responsabilità

amministrativa degli enti collettivi in Rivista del Diritto Commerciale, 2003, I, pag. 33 ss.

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67

2.2 Carattere e natura della responsabilità amministrativa

dell’ente

La natura della responsabilità introdotta dal decreto è stato fin dall’inizio uno dei punti

sui quali maggiormente si è concentrato il dibattito dottrinale. In particolare la

discussione ha interessato la natura della responsabilità che il legislatore italiano ha

voluto attribuire alla categoria delle persone giuridiche articolandosi tra l’ipotesi di una

responsabilità amministrativa o penale.

Prima dell’introduzione della disciplina contenuta nel decreto se certa ed assodata era la

responsabilità civile dell’ente, impossibile invece era il riconoscimento di una qualsiasi

responsabilità penale dello stesso a causa della disposizione contenuta nell’art. 27 della

Costituzione secondo il quale “ la responsabilità penale è personale (comma 1) e “le

pene…devono tendere alla rieducazione del condannato (comma 3) dove “personale” ”,

in base ai lavori preparatori della Costituzione, significa “ per fatto proprio “, essendosi

voluto espressamente escludere la responsabilità “ per fatto altrui “ ; da tale

impostazione nasce il principio espresso nell’adagio “societas delinquere non potest”,

formulazione con la quale si escludeva dal nostro ordinamento, in modo assoluto (fino a

qualche tempo fa) una responsabilità penale in capo alle persone giuridiche. Mario

Romano 65 a tale proposito afferma che il modello di responsabilità prescelto dal

legislatore, con la competenza del giudice penale ed il conseguenti adattamento

processuale, si avvicina non poco all’altro, della responsabilità penale in senso stretto;

ma non può ugualmente dirsi la stessa cosa. Ed è un bene che sia così, prosegue

l’Autore, poichè una responsabilità penale autentica degli enti avrebbe posto il

problema della compatibilità con l’art. 27 Cost., norma che in altri ordinamenti non

esiste in eguali termini. E’ certamente vero che anche l’ente agisce nel mondo di diritto,

come è certamente vero che anche l’ente compie fatti, ma è altrettanto indubbio che

esso agisce e compie fatti proprio attraverso i comportamenti di soggetti per conto loro

responsabile di fronte all’ordinamento penale. Inoltre va rilevata la componente

personale/soggettiva del reato in particolare per quanto riguarda l’indispensabilità di

dolo o colpa per l’affinamento contenutistico della responsabilità ovvero la capacità di

intendere e di volere quale condizione di fondo della rimproverabilità del fatto al suo

65

M.Romano, La responsabilità amministrativa degli enti, società o associazioni: profili generali in Governo dell’impresa e marcato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo II

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68

autore: tutto ciò lontanissimo da un organismo pluripersonale. Queste considerazioni

portano ad individuare la responsabilità dell’ente quale una responsabilità tecnica di

pura iscrizione normativa ovvero obiettivamente e soggettivamente altra rispetto a

quella dell’individuo nonostante lasciare nell’ordinamento norme relative a condotte

connotate da un’ impronta particolarmente negativa sul piano etico – sociale come

riservate alle sole persone fisiche, prosegue l’Autore, ha il pregio culturalmente non

indifferente di esaltare lo specifico della persona umana e quella libertà del singolo che

sta alla base della sua responsabilità e, a tale riguardo, l’ammissione di una

responsabilità propriamente penale degli enti collettivi potrebbe condurre a

deresponsabilizzare i singoli autori del fatto e a disincentivarne la ricerca del colpevole.

Romano definisce dunque la responsabilità in capo all’ente una responsabilità non

originaria, derivata e dipendente.

Anche Natalino Irti 66 , relativamente alla compatibilità della responsabilità

amministrativa delle persone giuridiche con il precetto costituzionale “ societas

delinquere non potest ” evidenzia l’infondatezza della tesi di chi afferma il tramonto di

tale principio poiché il decreto disciplina una responsabilità per reato altrui e non una

responsabilità per reato proprio poiché il legislatore distingue tra responsabilità penale

dell’autore del reato e responsabilità amministrativa della persona giuridica

evidenziando però, a differenza di Romano, l’autonomia delle due responsabilità,

provata da quanto stabilito dall’art. 8, primo comma del decreto secondo cui “ la

responsabilità dell’ente sussiste anche quando: a) l’autore del reato non è stato

identificato o neo è imputabile; b) il reato si estingue per una causa diversa

dall’amnistia.” La logica del decreto, afferma Irti, non è di imputare i reati alla persona

giuridica ma di farla responsabile in base al criterio dell’interesse o del vantaggio. Si

configura dunque una responsabilità correlativa al rendimento del reato poiché, come

previsto dall’art.5 del decreto, uno dei criteri di attribuzione della responsabilità

consiste nel fatto che il reato sia commesso nell’interesse o in vantaggio della persona

giuridica. Si tratta di una ridefinizione del rischio di impresa il quale si allarga,

sostiene Irti, fino a comprendere sanzioni applicate per reati altrui e dunque l’ente che

combina beni per l’esercizio di un’attività economica assume anche il rischio

dipendente da reati i quali siano commessi da soggetti dell’organizzazione e tornino di 66

N. Irti, Due temi di governo societario (responsabilità “amministrativa” – codici di autodisciplina) in Giurisprudenza Commerciale, 2003, I, pag. 693 ss.

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utilità all’impresa mettendo dunque in rilievo la struttura interna dell’impresa, i rapporti

di gestione, i vincoli di dipendenza gerarchica.

Per quanto riguarda lo schema di responsabilità degli enti rinvenibile in altri

ordinamenti europei, Romano evidenzia i punti di contatto dello schema adottato dal

nostro legislatore con quello della legge tedesca sulle infrazioni amministrative del

1968 (c.d.Ordunngswidrigkeiten). Infatti l’ordinamento tedesco prevede una

responsabilità amministrativa dell’ente quando un reato o un illecito amministrativo sia

stato commesso da un suo organo o da un componente di esso, o da un amministratore

o rappresentante o procuratore generale di una persona giuridica, o di una società o

associazione priva di capacità giuridica con violazione di obblighi propri dell’ente o

quando l’ente ne abbia tratto o dovesse trarne vantaggio. Quindi, come nel nostro

ordinamento, la responsabilità dell’ente ha natura amministrativa e anche là deriva dalla

realizzazione colpevole di un illecito, penale o amministrativo che sia, da parte di

particolari soggetti. Inoltre, come previsto dal d.lgs 231/2001, anche in Germania la

sanzione può essere irrogata all’ente anche nel caso in cui non si proceda nei confronti

del singolo o il procedimento a suo carico sia sospeso, sebbene l’accertamento

dell’illecito del singolo rimanga comunque doveroso. A differenza però del d.lgs

231/2001, che prevede un elenco esaustivo di reati – presupposto, la legge tedesca ha

introdotto una figura generale di illecito amministrativo dell’ente in relazione alla quale

il reato del singolo autore funge da semplice condizione oggettiva di punibilità.

Pertanto la differenza, evidenzia Romano, consiste nel fatto che nel nostro ordinamento

la responsabilità dell’autore per il reato rimbalza in altra forma sull’ente soltanto se

l’ente stesso “ne può” per la sua concreta commissione sebbene con l’inversione

dell’onere della prova nel caso che l’autore sia un soggetto di vertice, la colpevolezza

dell’ente è comunque sempre indispensabile per l’imputazione ad esso della sanzione.

In particolare il sistema diversifica i tipi di responsabilità, come si vedrà in seguito, e la

responsabilità amministrativa dell’ente, prosegue Romano, sorge solo in quanto in capo

ad esso si ravvisi una sua colpevolezza di organizzazione che abbia in concreto

contribuito alla realizzazione dell’illecito penale della persona fisica. Si assiste dunque

ad una forma di partecipazione dell’ente nel reato benché si tratti di un concorso

certamente anomalo, evidenzia Romano, con l’imputazione alla persona fisica e all’ente

per un unico fatto, di un distinto illecito; si tratta di un concorso nel quale al contributo

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di un garante “collettivo” (garante non persona fisica) viene fondamentalmente

associata, sul presupposto di una colpevolezza seppur artificiosa comunque plausibile,

una responsabilità diversamente qualificata.

Gli enti risponderanno per non aver fatto quanto era loro possibile per evitare la

realizzazione di illeciti al proprio interno. La loro responsabilità viene quindi calibrata

come colpa di organizzazione concretizzandosi quando il compimento di reati è stato

agevolato da un deficit organizzativo dell’ambiente in cui il reo persona fisica ha

operato. Facendo riferimento alle caratteristiche organizzative delle persone giuridiche,

al fatto che esse danno vita a veri organismi naturali, dotati di volontà propria come

persone fisiche ed inoltre sulla base del rapporto di “ immedesimazione organica” con

la persona fisica si è ritenuto possibile imputare all’ente non solo gli atti leciti posti in

essere a suo nome da rappresentanti e/o amministratori ma anche gli atti illeciti verso i

quali l’ente ha sia un certo interesse a che vengano realizzati sia un potere di influenza

sul loro compimento.

Il decreto legislativo non cita espressamente il concetto di responsabilità penale degli

enti collettivi ma come evidenziato dalla relazione che accompagna il decreto

legislativo si introduce il concetto di illecito amministrativo a natura complessa. Non si

tratta quindi di una responsabilità penale vera e propria né di una responsabilità

amministrativa tradizionale ma, piuttosto di una forma di responsabilità considerata un

tertiun genus 67, scrive Alessandra Rossi, che coniuga i tratti essenziali del sistema

67

“ …è altrettanto vero come sia ormai operativa nella nostra realtà “ pubblicistica” una tripartizione di responsabilità:

- la prima – penale – caratterizzata dalla commissione da parte di un soggetto – persona fisica di un fatto di reato tipico, antigiuridico e colpevole, il cui regime sanzionatorio si fonda sulle sanzioni, detentive e pecuniarie di natura principale, ovvero di natura accessoria, di cui alla codificazione penalistica, direttamente comminate – qui, a ben vedere, si evidenzia il nucleo della questione – all’autore dell’illecito, salva l’operatività degli artt.196 e 197 c.c. che si pongono, in riferimento alle sole sanzioni pecuniarie, in un’ ottica di sussidiarietà applicativa; la seconda – amministrativa - sussumibile sotto le “regole” di cui alla l. 24.11.1971 n. 689, anch’essa caratterizzata dalla commissione di un illecito da parte di un soggetto – persona fisica, illecito del pari tipico, antigiuridico e colpevole, il cui regime sanzionatorio si fonda sulle sanzione pecuniarie di natura principale, ovvero di natura accessoria, di nuovo direttamente comminate all’autore dell’illecito, salva l’operatività dell’art. 6 l.n 689/1981 che si pone in un’ottica di solidarietà applicativa; la terza demandata alle disposizioni sostanziali “ di parte generale “ contenute nel d.lgs n.231, la quale nasce dalla precommissione di un fatto di reato, tassativamente ricompresso nel catalogo relativo ( ai sensi degli articoli in questa sede al vaglio), da parte di un soggetto – persona fisica, ma direttamente ascritta all’ente che, “collegato” con detto soggetto il quale dovrà comunque aver agito nell’interesse od a vantaggio dell’ente. Responsabilità normativamente indicata in modo ambiguo come amministrativa , e equivoci ed errate unificazioni esegetiche con la “vera” responsabilità amministrativa ( di cui alla ora richiamata l. n.689/1981), affatto differente, mentre il meccanismo di contestazione dell’illecito, quello di irrogazione delle sanzioni, il sistema di “ memorizzazione” delle condanne come regolati dalla parte processuale del decreto in esame sembrano piuttosto evocare modelli prettamente penalistici. Così A.Rossi, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse ( d.lgs n..231/2001), Padova, 2004, pag. .33

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penale e di quello amministrativo, nel tentativo di contemperare le ragioni della

massima efficacia preventiva, con quelli, ancora più ineludibili della massima garanzia.

Infatti il legislatore italiano al fine di superare l’ostacolo costituito dal principio sancito

dall’art.27 della Costituzione e le eventuali correlate censure costituzionali, definisce

tale responsabilità come “responsabilità amministrativa”. Di fatto però si evidenzia la

sussistenza di molteplici indici che portano a ritenere che il decreto abbia previsto una

forma di responsabilità penale avendo apprestato in caso di configurabile responsabilità

dell’ente, garanzie identiche a quelle approntate per tale forma di responsabilità. Infatti

il soggetto competente a infliggere le sanzioni previste dal decreto è il giudice penale

(art. 36), all’ente si applicano le garanzie previste per l’imputato (art. 35) e le

disposizioni del codice di procedura penale (art. 34) in quanto compatibili .

2.3 Criteri di imputazione della responsabilità all’ente

L’art. 5 del decreto sancisce che l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo

interesse o a suo vantaggio :

a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di

direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia

finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la

gestione e il controllo dello stesso;

b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui

alla lettera a)

L’ente non risponde se le persone indicate hanno agito nell’interesse esclusivo proprio

o di terzi.

Pertanto le condizioni essenziali affinché sia configurabile la responsabilità dell’ente

sono le

seguenti:

a) sia stato commesso un reato a cui la legge collega la responsabilità

b) il reato sia stato commesso nell’interesse dell’ente stesso

c) l’autore del reato sia soggetto in posizione c.d. apicale ovvero sia un c.d.

sottoposto

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I reati contemplati dal decreto sono andati via via aggiornandosi nel corso del tempo.

Di seguito l’elenco dei reati-presupposto contemplati ad oggi dal decreto 68:

- Reati commessi nei rapporti con la Pubblica Amministrazione ( artt. 24, 25 )

- Delitti informatici e trattamento illecito di dati ( art. 24 bis )

- Delitti di criminalità organizzata ( art. 24 ter )

- Reati di falsità in monete, carte di pubblico credito, in valori di bollo e in strumenti o

segni di

riconoscimento ( art. 25 bis )

- Delitti contro l’industria e il commercio ( art. 25 bis. 1 )

- Reati societari ( art. 25 ter )

- Reati con finalità di terrorismo od i eversione dell’ordine democratico previsti dal

codice penale e

dalle leggi speciali ( art. 25 quarter.1 )

- Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili ( art. 25 quarter 1.)

- Delitti contro la personalità individuale ( art. 25 quinquies )

- Reati di abusi di mercato ( art. 25 sexies )

- Reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime, commessi con

violazione delle

norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro ( art. 25 septies )

- Ricettazione, riciclaggio e impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita

( art. 25 octies )

- Delitti in materia di violazione del diritto d’autore ( art. 25 novies )

- Induzione a non rendere dichiarazioni o a rendere dichiarazioni mendaci all’autorità

giudiziaria ( art. 25 novies )

- Reati transnazionali ( Legge 16 marzo 2006, n. 146, artt. 3 e 10 )

La realizzazione di uno dei reati indicati costituisce un presupposto necessario ma non

sufficiente per l’imputazione della responsabilità amministrativa infatti l’ente è

chiamato a risponderne solo se il fatto è commesso:

- anche solo parzialmente nel suo interesse o a suo vantaggio ( criterio oggettivo

n.1 )

68

Fonte Confindustria – Affari Legali – Settembre 2009

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- da parte di uno dei soggetti qualificati indicati all’art. 5 del decreto ( criterio

oggettivo n.2 )

- con colpa dell’ente ( criterio soggettivo ), ovvero criterio di contenuto diverso a

seconda dell’autore del reato.

Il criterio soggettivo è volto ad indagare se la commissione del reato sia riconducibile o

meglio rimproverabile all’ente nel senso che l’atto illecito costituisca l’espressione de

una politica aziendale o, perlomeno, di un deficit di organizzazione. Infatti gli artt. 6 e 7

sanciscono l’esclusione della responsabilità dell’ente nel caso in cui lo stesso abbia

adottato ed efficacemente attuato prima della commissione del reato un modello di

organizzazione idoneo a prevenire la commissione di reati della specie di quello che è

stato realizzato. Inoltre il criterio soggettivo si atteggia in maniera diversa a seconda

che il rato sia stato commesso da un soggetto apicale o da un subalterno, infatti:

- nel caso in cui il rato venga commesso da un soggetto in posizione apicale la

responsabilità dell’ente è presunta poiché si ritiene che quando un soggetto è al

vertice delle gerarchie di un ente il suo comportamento ben possa essere ritenuto

automaticamente come espressione della politica dello stesso, delle scelte

strategiche e dell’etica promossa. Questo comporta che l’ente sia considerato in

partenza come automaticamente responsabile in caso di commissione di un reato

da parte di una persona fisica collegata in modo qualificato. E’ stato quindi

previsto un’inversione dell’onere della prova pertanto l’ente è ritenuto

meritevole di essere sanzionato se non dimostra la mancanza della sua relativa

colpa. L’art.6 prevede che l’ente non è responsabile se prova l’adozione e

l’attuazione da parte dell’organo dirigente di un modello di organizzazione e

gestione idoneo a prevenire reati, l’affidamento del compito di vigilanza ad

apposito organismo autonomo di controllo e l’effettiva vigilanza di

quest’ultimo, l’elusione fraudolenta del modello da parte del reo. Quest’ultima

caratteristica è volta a dimostrare come il comportamento del singolo costituisca

la personale devianza rispetto alla tipologia di condotta promossa dalla politica

dell’ente . Pertanto l’attività di indagine condotta dal giudice nell’accertamento

della responsabilità verrà concentrata prevalentemente sul contenuto dei modelli

di organizzazione e gestione e sulla effettiva capacità delle misure adottate

dall’ente di prevenire la consumazione dei reati.

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L’elusione fraudolenta potrebbe manifestarsi in seguito a condotta del vertice

che agisce nell’interesse esclusivo proprio o di terzi, o agisce al solo fine di

arrecare danno all’ente con la conseguenza quindi di far venire meno il criterio

di imputazione oggettivo previsto dall’art.5,

- nel caso in cui il reato venga commesso da un subalterno la responsabilità sorge

in capo all’ente quanto vi è l’elusione degli obblighi di controllo e vigilanza

sull’operato del soggetto stesso. In questo caso entrano in gioco i c.d.

compliance programs volti ad escludere il manifestarsi di tale elusione. Infatti la

predisposizione ed efficace attuazione dei modelli di organizzazione e di

controllo funge da scusante per l’ente che pur avendo adottato efficacemente il

modello ha visto un proprio subalterno compiere uno dei reati contemplati dal

decreto sfuggendo al vaglio dei controlli interni dal momento che è dimostrata

la puntuale diligenza nell’apprestare le misure previste dalla normativa per

cercare di evitare il compimento di tale illegalità. A differenza del caso

precedente non vi è inversione dell’onere della prova in capo all’ente pertanto

sarà l’accusa a dover dimostrare il deficit organizzativo della persona giuridica e

in presenza di una carenza organizzativa si ravvisa una specie di agevolazione

colposa da parte dell’ente che ne giustifica l’attribuzione di responsabilità

amministrativa poiché l’ente è ritenuto colpevole di negligenze a monte del

sistema organizzativo e dei controlli.

I modelli di organizzazione, gestione e controllo vengono così a costituire regole

cautelari che l’ente deve rispettare. La loro adozione costituisce la modalità di esercizio

della vigilanza anticrimine dell’ente e, se efficacemente attuata, da luogo ad una

scusante.

Quanto fin qui specificato ci dimostra che la fattispecie di illecito dell’ente non ha una

struttura unitaria69 infatti nel caso in cui il reato sia commesso da soggetto in posizione

apicale è sufficiente che il reato acceda al fatto dell’ente mentre nel caso in cui il reato

sia commesso da soggetto cd subalterno è richiesto che il reato sia agevolato dal fatto

dell’ente.

69

S. Vinciguerra, M. Ceresa – Castaldo, A. Rossi, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo

interesse ( d.lgs n..231/2001 ), Padova, 2004, pag. 26

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75

2.4 Esonero da responsabilità

Il decreto legislativo negli artt. 6 e 7 ha previsto l’esonero dalla responsabilità dell’ente

che dimostri, in sede giudiziale, di aver adottato ed efficacemente attuato modelli di

organizzazione, gestione e controllo idonei a prevenire reati della specie di quello

verificatosi.

Infatti la norma configura l’adozione del sistema di controllo in termini di facoltatività,

e non di obbligatorietà. Il problema dell’opportunità dell’adozione del modello di

organizzazione e di controllo è quindi una questione molto importante sia in

considerazione della possibile promozione di un’azione di responsabilità nei confronti

degli amministratori che, non avendo predisposto il modello, non abbiano permesso

all’ente di fruire del relativo esonero da responsabilità70 sia relativamente al fatto che

l’adozione di un modello organizzativo può cambiare, anche in misura considerevole, il

modo di operare di un’impresa poiché l’introduzione di meccanismi organizzativi e di

controllo potrebbe infatti limitare la libertà decisionale e di azione dei soggetti in

posizione di vertice. Non va comunque sottovalutata la critica avanzata da Danilo

Galletti71 evidenziando un alto rischio che le società assemblino modelli organizzativi

in realtà inidonei al solo fine di beneficiare dell’effetto in termini di immagine legato

alla spontanea ottemperanza ad un precetto legale, aumentando così il proprio capitale “

reputazionale “ senza tuttavia apportare alcun beneficio in termini generali. I modelli

concretamente predisposti ed immediatamente pubblicati sui siti web aziendali, scrive

Galletti, sembrerebbe confermare l’impressione che molte attuazioni tempestive

abbiano in realtà soltanto una funzione di facciata. Tale problema secondo l’Autore è

riconducibile sia all’assenza di un meccanismo attendibile di “certificazione” , tra

l’altro non proprio auspicabile poiché potrebbe comportare un’eccessiva

standardizzazione perdendo così i tratti peculiari della “ personalizzazione” del modello

e dalla carenza di meccanismi giuridici che consentano di sanzionare l’attuazione “

fittizia” del decreto.

70

Si evidenzia la sentenza n. 1774/2008 del Tribunale di Milano che ha condannato gli amministratori a risarcire i danni alla società che era stata ritenuta responsabile per corruzione per non avere provveduto all’adozione del modello di organizzazione e controllo e in particolare il presidente del consiglio di amministrazione e l’amministratore delegato sono stati condannati per non avere sollecitato l’organo amministrativo ad approvare l’adozione del modello e per non essere stati nemmeno in grado di motivare la volontà di non introdurre tali modelli. 71

D. Galletti , I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag.126 s.

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76

Il mio personale pensiero è che oggi anche in seguito all’attività della giurisprudenza

che ha sanzionato enti ed amministratori sia per la mancata adozione del modello sia

per l’inefficacia dello stesso, ha prodotto una maggiore sensibilità verso il contenuto del

decreto e soprattutto verso i principi ed i comportamenti virtuosi che il decreto intende

promuovere.

Paolo Montalenti in un recente saggio 72 si pone l’interrogativo se l’istituzione del

Modello 231 sia un onere o un obbligo. In linea di principio, scrive Montalenti,

tecnicamente si tratta di un onere73 infatti la sanzione per la mancata adozione del

Modello, in base alla legge speciale, può essere comminata ex post, come sanzione

amministrativa, in caso di perpetrazione del reato nell’interesse dell’ente. E’ vero

anche, prosegue l’Autore, che l’art. 2381 c.c. impone agli amministratori di dotare la

società di assetti organizzativi adeguati: là dove il rischio da reato, e quindi il rischio di

sanzione per la società, non sia insignificante, la mancata predisposizione del Modello

costituisce anche un inadempimento agli obblighi degli amministratori di predisporre

assetti organizzativi adeguati.

Queste affermazioni aprono lo spazio ad una riflessione in merito al significato del

concetto di autoresponsabilità nel contesto relativo all’esecuzione dell’onere

concernente la realizzazione del Modello ex d.lgs 231/2001 da parte degli

amministratori. Come scrive Valeria Caredda 74 l’autoresponsabilità 75 è intesa

genericamente come sopportazione delle conseguenze che i propri atti producono nella

propria sfera giuridica e dunque è nel campo dell’autonomia dei privati (in questo caso

gli amministratori della società) che questa definizione merita attenzione. Caredda pur

evidenziando che il legislatore ignora il termine auto responsabilità, definisce questo

72

P. Montalenti , Organismo di vigilanza e sistema dei controlli in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag. 643 ss. 73

Così anche A. Gargarella Martelli che scrive : “ ….Modello Organizzativo la cui adozione da parte dell’ente non costituisce un obbligo bensì un onere. Tale ultima affermazione, tuttavia necessita di alcuni chiarimenti. Invero l’opinione per cui l’adozione del c.d. “ Modello 231” si configura come mero onere per l’ente appare del tutto condivisa sul solo versante penalistico. Con riguardo al profilo delle ricedute civilistiche in punto di responsabilità degli amministratori, invece, considerato anche l’art. 2381 c.c. si potrebbe ragionevolmente ipotizzare in capo all’organo amministrativo un dovere di adozione di modelli idonei alla prevenzione dei rischi da illecito con conseguente possibile esercizio dell’azione di responsabilità da parte della società per violazione del dovere di corretta amministrazione e del dovere di vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo. “ L’organismo di

vigilanza tra disciplina della responsabilità amministrativa degli enti e diritto societario” in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag.766 74 V. Caredda, Autoresponsabilità e autonomia privata, Torino , 2004, pag.2 75

In dottrina due diversi orientamenti di pensiero propongono un diverso modo di intendere l’autoresponsabilità. Un primo filone vede nell’autoresponsabilità la conseguenza del mancato assolvimento di un’onere; un secondo individua l’autoresponsabilità come un “ vincolo a sopportare le conseguente del proprio comportamento. Per un approfondimento si veda Autoresponsabilità e autonomia privata , Valeria Caredda, Torino 2004, pag. 45 ss.

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77

concetto come la necessità giuridica di subire gli effetti dell’atto posto in essere dal

soggetto o dell’omissione dello stesso, e risponde ad un’istanza di coerenza, etica prima

ancora che giuridica. Partendo dunque dal presupposto che la decisione di assumere o

meno l’onere di dotare la società del Modello 231 spetta al CdA è evidente che si tratta

di una decisione frutto dell’esercizio dell’autonomia privata riconosciuta agli

amministratori che sono “liberi”, per così dire, di assumere le proprie decisioni secondo

le proprie valutazioni. Come scrive Natalino Irti76, l’esercizio della libertà di scegliere

comporta autoresponsabilità nel senso che il rischio della scelta appartiene totalmente

all’autore della decisione. Ci si chiede però quanto di fatto sia libera tale scelta poiché,

se si accetta l’osservazione di Montalenti, l’amministratore si trova di fronte ad un

onere per quanto attiene le previsioni del d.lgs 231/2001 ma allo stesso tempo

all’obbligo di dotare la società di assetti organizzativi adeguati secondo quanto

prescritto dall’art.2381 cc; obbligo dal quale deriva responsabilità dell’amministratore

nel caso di inadempimento ovvero nel caso di condanna dell’ente per mancata o

inefficace adozione del Modello 231.

Se invece confutiamo la tesi di Montalenti (oppure spostiamo l’osservazione

dall’entrata in vigore del d.lgs 231/2001 fino all’entrata in vigore della Riforma Vietti)

affermando che l’esercizio o meno dell’onere previsto dal decreto non rientra

nell’ambito di valutazione circa l’adempimento degli amministratori a quanto prescritto

dall’art. 2381 del c.c. cade l’ipotesi che l’amministratore possa essere ritenuto

responsabile nell’eventualità di condanna dell’ente ai sensi del d.lgs 231/2001. Sotto

questa ipotesi dunque l’amministratore si troverebbe gravato della sola

autoresponsabilità a cui però, come deduco dagli scritti della Caredda, la legge non ne

fa derivare conseguenze nella sfera giuridica del soggetto. A questo punto entrerebbe

in gioco ancora l’etica poiché sarebbe il soggetto a doversi sentire autoresponsabile ed

eventualmente ad assumere decisioni tali da far ricadere gli effetti negativi delle sue

scelte nella propria sfera giuridica, ad esempio presentando le proprie dimissioni o

risarcendo volontariamente l’ente del danno subito dalla propria condotta.

Ricordiamo però che il ruolo dell’amministratore può essere diverso nei casi di

condanna dell’ente infatti quest’ultimo può essere condannato sia per la mancata

76

N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Bari, 1998, pag.73

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adozione del Modello 231 ( non esercizio dell’onere ) sia per l’adozione di un Modello

231 inefficace. In questo secondo caso l’onere può essere considerato assolto?

Senza entrare in questa sede nella specifica classificazione della tipologia di onere,

quello previsto dal d.lgs 231/2001 può essere considerato, secondo me, l’onere inteso

come norma tecnica detto anche regola finale. La regola finale è una regola giuridica

che non obbliga in senso assoluto ma che indica modalità e mezzi necessari al

conseguimento di determinati fini pertanto il perseguimento del fine è libero (sollevare

l’ente dalla responsabilità ex d.lgs 231/2001 nel caso di commissione di uno dei reati

contemplati dal decreto stesso) però il fine stesso richiede l’uso di certi strumenti

(adottare il Modello 231). Dunque, come scrive Caredda, ciò che è prescritto

primariamente sono i mezzi per conseguire un certo fine (adozione di un efficace

Modello 231) che però resta libero. Si tratta di un dovere finale o dovere libero poiché

l’atto benché necessario non è tuttavia imposto. Da queste affermazioni sembra dunque

che l’adozione di un Modello 231 inefficace possa essere considerato come un mancato

assolvimento dell’onere. In entrambi i casi dunque l’amministratore è chiamato

all’autoresponsabilità della propria scelta con l’aggravante nel secondo caso di avere

investito risorse dell’ente per l’assolvimento dell’onere previsto dal decreto senza

averlo di fatto assolto conformemente alla regola tecnica del decreto rendendosi dunque

responsabile verso la società ai sensi dell’art.2392 c.c.

per non aver adempiuto ai doveri imposti dalla legge con la diligenza richiesta dalla

natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze. Quello che voglio dire è che se

la scelta dell’amministratore di non assolvere l’onere potrebbe farsi rientrare in una

scelta a carattere gestionale-economica dettata ad esempio da una valutazione costi

benefici legata al costo eccessivo di implementare il Modello a fronte della presenza

poco rilevante di processi sensibili ai reati previsti dal decreto, la scelta di assolvere

l’onere e dunque di conformarsi alla prescrizione del decreto vincola l’amministratore a

seguire le prescrizioni della legge e pertanto diventa responsabile ai sensi dell’art. 2392

della modalità attraverso cui implementa il Modello 231 dell’ente proprio perché,

assunto volontariamente l’onere di adottare il Modello, è tenuto ad osservarne le

relative prescrizioni della legge nella sua implementazione.

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79

2.5 Il sistema sanzionatorio

Il sistema sanzionatorio77 contenuto nel D.lgs n.231/2001 è stato delineato prevedendo

sanzioni pecuniarie, sanzioni interdittive e sanzioni accessorie. In particolare il sistema

sanzionatorio si presenta idoneo a sostenere un “ attacco alla politica d’impresa a

connotazione troppo spesso improntata sull’illegalismo attraverso il vantaggioso

escamotage ed il facile sfruttamento di una responsabilità mediata delle sole persone

fisiche in essa operanti, laddove adesso il peso della criminalizzazione non risulta più

univoco su detti soggetti ma duplicato78 “.

Il sistema sanzionatorio previsto dal legislatore è complesso ed è basato su principi che

si ispirano alle garanzie stabilite per le sanzioni penali. Va evidenziato il Principio di

legalità che si evince dalla lettura dell’art .2 secondo il quale la responsabilità dell’ente

per l’illecito dipendente da reato-presupposto deve essere prevista da una legge ed

inoltre una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto. Tale garanzia si

estende anche alle sanzioni che per essere applicabili all’ente devono essere previste da

un atto avente forza di legge entrato in vigore prima della commissione del reato. L’art.

3 intitolato “Successioni di leggi” disciplina il caso di modifica delle sanzioni e dispone

che, analogamente a quanto previsto per la successione delle leggi in materia di

responsabilità penale, l’ente non potrà essere ritenuto responsabile e se vi è stata

condanna ne cessano l’esecuzione e gli effetti giuridici, quando il fatto non è più

ritenuto reato da una legge successiva. Inoltre un’ulteriore ipotesi di eliminazione della

responsabilità è data dall’abrogazione del reato che ne costituisce il presupposto. Lo

stesso art. 3 dispone inoltre che nel caso in cui la legge di riferimento del tempo in cui è

stato commesso l’illecito e le leggi successive sono diverse, si applica quella le cui

disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo sia intervenuta pronuncia irrevocabile

77

“… l’opzione sanzionatoria gioca un ruolo primario, fornendo uno degli imprinting fondanti la caratterizzazione, un “ marchio di prestigio “ meritevole del più alto riconoscimento; ed anche nel particolare settore qui in commento, nel generale contesto di nuova meditazione della responsabilità della persona giuridica, nonché in un’ottica di “ fattibilità prognostica”, il relativo dna si completa con la sistematica della previsione sanzionatoria “. Così A. Rossi, La responsabilità dell’ente per il reato commesso nel suo interesse ( d.lgs n..231/2001 ), Sergio Vinciguerra, Massimo Ceresa-Gastaldo, Alessandra Rossi, Padova, 2004, pag. 64 78

Così Paliero, Il d.lgs 8 giugno 2001 n. 231: d’ora in poi, societas delinquere ( et puniri ) potest, in Corriere giur. 2001, pag. 846

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Le sanzioni previste dal decreto possono essere ricondotte a tre categorie:

- Sanzioni principali o autonome: possono essere applicate indipendentemente

dall’applicazione di altre sanzioni. A loro volta possono essere suddivise in

sanzioni generali che sono applicabili a qualsiasi illecito dipendente da reato (

sanzione pecuniaria e confisca ) e le sanzioni speciali che sono applicabili solo

in riferimento a particolari illeciti dipendenti da rato ( ad esempio le misure

interdittive ) ;

- Sanzioni accessorie: si applicano in aggiunta ad altre sanzioni che ne

costituiscono il presupposto indispensabile ( ad esempio la pubblicazione della

sentenza di condanna ), pertanto la sua applicazione è condizionata

dall’esistenza della sanzione principale che ne costituisce il presupposto

giuridico;

- Sanzioni sostitutive: si applicano in sostituzione di una sanzione che ne

costituisce il presupposto ( ad esempio la prosecuzione dell’attività dell’ente da

parte di un commissario giudiziale e la sanzione pecuniaria in conversione di

sanzione interdittiva );

In particolare la tipologia delle sanzioni è la seguente:

- Sanzioni pecuniarie : appartengono alla categoria Sanzioni principali o

autonome sopra descritta. Consistono nel pagamento di una somma di denaro ed

in particolare l’art. 10 comma 1 del decreto sancisce che “ per illecito

amministrativo dipendente da reato si applica sempre la sanzione pecuniaria “ .

Il decreto ha indicato come sistema di commisurazione della sanzione

pecuniaria un sistema per quote di importo e numero variabile il giudice

attraverso una duplice quantificazione determina l’importo della singola quota (

espresso in euro ) e il numero di quote. L’importo della sanzione pecuniaria

risulterà dalla moltiplicazione delle quote per l’importo della quota. L’art. 10

comma 2 del decreto sancisce che “ la sanzione pecuniaria viene applicata per

quote in un numero non inferiore a cento né superiore a mille, e nel successivo

comma 3 che “ l’importo di una quota va da un minimo di euro 258 ad un

massimo di euro 1.549 ”. Ne consegue che il valore minimo della sanzione

pecuniaria è di euro 25.800 ed il valore massimo potrà essere di euro 1.549.000.

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L’art. 12 stabilisce i casi in cui vi è la riduzione della sanzione pecuniaria e,

stabilendo che questa non potrà essere in alcun caso inferiore ad euro 10.329.14,

sancisce che:

- la sanzione pecuniaria è ridotta della metà, pur non potendo essere superiore

ad euro

103.291,00 se:

a) l’autore del reato ha commesso il fatto nel prevalente interesse proprio o

di terzi e l’ente non ne ha ricavato vantaggio o ne ha ricavato un vantaggio

minimo;

b) il danno patrimoniale cagionato è di particolare tenuità ;

- la sanzione pecuniaria è ridotta da un terzo alla metà se, prima della

dichiarazione di

apertura del dibattimento di primo grado :

a) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze

dannose o pericolose del reato ovvero si è adoperato efficacemente in tale

senso;

b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a

prevenire reati della specie di quello verificatosi.

c) inoltre la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi nel caso in cui ricorrano

entrambe le suddette condizioni

Emerge dunque l’importanza e l’utilità per l’ente di aver adottato idoneo

modello organizzativo e di averne attuato l’effettiva implementazione ed i

relativi controlli grazie alla loro funzione preventiva di esclusione della

responsabilità nel caso di commissione di un determinato reato –presupposto

con la conseguente esclusione delle sanzioni previste sia al suo potere di

produrre una riduzione della sanzione pecuniaria ovvero la conversione della

sanzione interdittiva in sanzione pecuniaria laddove sia stato adottato

successivamente alla commissione del reato medesimo in pendenza di

procedimento.

Per quanto concerne la determinazione dell’importo della quota, spetta al

giudice in un’ottica di efficacia della sanzione, determinarla tenendo conto delle

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condizioni economiche e patrimoniali dell’ente 79 . La determinazione del

numero delle quote è invece determinata dal giudice tenendo conto delle

caratteristiche dell’illecito, cioè la gravità del fatto, il grado di responsabilità

dell’ente e l’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e

per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

E’ importante evidenziare che la sanzione pecuniaria non potrà avere come

effetto la paralisi dell’attività dell’ente ed il pagamento della sanzione non potrà

pregiudicare la situazione finanziaria al punto di non consentirne il proseguo

dell’attività.

- Confisca 80 -sanzione : appartiene alla categoria delle Sanzioni principali o

autonome ed ha come scopo quello di ottenere il prezzo o il profitto del reato da

parte dell’autore dell’illecito. L’art.19 del decreto sancisce che “ nei confronti

dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo

o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al

danneggiato “.Tale sanzione viene sempre applicata a qualsiasi illecito

dipendente da reato- presupposto ma potrà essere applicata solo previa

emissione di sentenza di condanna.

Il profitto soggetto a confisca è costituito da denaro o altra utilità quali risultino

dal compimento dell’attività illecita indipendentemente dagli investimenti

preventivi o dai costi sostenuti in precedenza, in particolare deve sussistere un

rapporto di pertinenza diretta con il reato – presupposto da cui dipende l’illecito

ed il denaro o le altre utilità confiscate. Questo sta a significare che ad esempio

non potranno essere confiscati beni ed utilità frutto del successivo investimento

delle somme provenienti dall’atto illecito.

Tale legame di pertinenzialità diretta tra il reato – presupposto e profitto/utilità

non concerne l’identificazione diretta tra i beni legati alla commissione del reato

ed i beni che potranno essere confiscati ma concerne al fatto che l’entità dei beni 79 “ … si evidenzia che ciò che interessa in questo contesto è stabilire sia il risultato della gestione corrente cioè il valore dell’attivo realizzato nell’esercizio, sia stabilire il valore attivo a disposizione dell’ente per la gestione futura. Per poter effettuare tali valutazioni costituiscono sicuramente un mezzo importante le risultanze delle scritture contabili, ma gli accertamenti non si limiteranno alle sole emergenze formali o contabili ( che possono essere anche fuorvianti , ma andranno ad interessare tutti i dati sostanziali acquisiti nelle indagini, quindi anche attraverso eventuali perizie o consulenze tecniche da svolgersi nel giudizio per determinare l’entità delle attività dell’ente”. S. Diego (a cura di), Responsabilità amministrativa di società ed enti, il modello organizzativo ex d.lgs 231/2001, Milano, 2007, pag. 47 80

La confisca qui in esame si differenzia dalla confisca quale misura di sicurezza con carattere preventivo prevista dall’art.240 del codice penale.

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oggetto di confisca dovrà essere determinata in relazione al reato – presupposto.

Questo principio ha reso possibile l’introduzione della possibilità, in via

generale, di effettuare una confisca per equivalente. Infatti il comma 2 dell’art.

19 sancisce che “ ..la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre

utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato”.

Il decreto legislativo prevede inoltre due ulteriori tipologie di confisca:

- art. 15 comma 2, art. 45 comma 3, art. 79 comma 2 : confisca del profitto

derivante dalla prosecuzione dell’attività a seguito di gestione commissariale;

- art. 23 : confisca del profitto realizzato a seguito dell’inosservanza di sanzioni

interdittive

- Sanzioni interdittive : appartengono alla categoria Sanzioni principali o

autonome e si caratterizzano per la loro incisività sulla continuazione, parziale o

totale dell’attività dell’ente. La loro durata non può essere inferiore a tre mesi e

superiore a due anni. Non si applicano ai casi indicati nell’art. 12 relativi alle

ipotesi di riduzione della sanzione pecuniaria.

Possono accompagnarsi alla sanzione pecuniaria nel casi di particolare gravità

espressamente previsti, quali ad esempio i casi previsti dall’art. 9 comma 2:

a) nell’interdizione dell’esercizio dell’attività;

b) nella sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze e concessioni

funzionali alla commissione dell’illecito;

c) nel divieto di contrattare con la P.A., salvo che per ottenere le prestazioni

di un pubblico servizio;

d) nell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e

l’eventuale revoca di quelli già concessi;

e) nel divieto di pubblicizzare beni o servizi;

Si tratta dunque di sanzioni speciali che sono applicabili solo a particolari illeciti

dipendenti da reato – presupposto e per i quali sono espressamente previste e al

verificarsi delle

condizioni previste nell’art. 13 comma 1 del decreto :

a) “ l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilavante entità e il reato è stato

commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti

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all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato è stata

determinata o agevolata da gravi carenze organizzative “ ;

b) “ in caso di reiterazione degli illeciti”.

L’art. 20 del decreto chiarisce il concetto di reiterazione degli illeciti richiamate al

punto b) sancendo che “si ha reiterazione quando l’ente, già condannato in via

definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro

nei cinque anni successivi alla condanna definitiva ” .

Le sanzioni interdittive sono suscettibili di applicazione congiunta ma non sono

applicabili qualora, secondo quanto disposto dall’art. 17 del decreto,prima della

dichiarazione di apertura di dibattimento di primo grado, l’ente abbia provveduto a:

a) risarcire il danno provocato dal reato commesso;

b) eliminare le carenze organizzative mediante adozione ed attuazione del

modello organizzativo

c) mettere a disposizione il profitto conseguito

Per quanto attiene le sanzioni interdittive è interessante riportare il contenuto delle

considerazioni di Natalino Irti81 in merito alle conseguenze civilistiche di tali sanzioni.

Infatti, precisa Irti, le sanzioni interdittive si riferiscono o ad atti di terzi ( ad esempio la

sospensione o la revoca di autorizzazioni ecc.; la esclusione da finanziamenti ecc.) o ad

atti della persona giuridica e dunque ci si chiede se vengano colpiti da nullità gli atti

compiuti in inosservanza di esse. Il legislatore serba silenzio intorno al problema della

nullità pertanto, afferma l’Autore, occorre distinguere tra “ interdizione dell’attività” e

divieti di contrattare con la pubblica amministrazione di “ pubblicizzare beni o

servizi”. Nel primo caso, trattandosi di un’attività che si risolve in una sequenza di atti,

materiali e giuridici non ha senso la nullità poiché non è concepibile la nullità di

un’attività. Nel secondo caso invece, trattandosi di divieti a singoli e specifici atti per

l’esercizio dei quali l’ente è privato della capacità o meglio della legittimazione a

compiere dati negozi e dunque non si ravvisa un semplice obbligo di non fare ma

l’impossibilità giuridica di fare certi contratti da cui l’Autore deduce la nullità di tali

contratti. Per quanto riguarda invece le sanzioni interdittive riguardanti gli atti di terzi,

queste possono determinare la nascita di obbligazioni restitutorie quali ad esempio la

restituzione di somme già percepite per mutui, contributi, sussidi ecc poiché la revoca, 81

N. Irti, Due temi di governo societario (responsabilità “amministrativa” – codici di autodisciplina) in Giurisprudenza Commerciale, 2003, I, pag.693 ss.

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facendo venir meno il titolo originario, genera di per sé l’obbligazione di restituire le

somme già ricevute.

Riemerge, come abbiamo già evidenziato in precedenza, l’importanza e l’utilità per

l’ente di aver adottato idoneo modello organizzativo e di averne attuato l’effettiva

implementazione ed i relativi controlli. Si evidenzia inoltre che nell’art. 49 il decreto

prevede che la misura cautelare 82, quando già applicata, può essere sospesa di fronte

all’esplicita volontà dell’ente di porre in essere gli adempimenti rispetto ai quali il

provvedimento legislativo ( art. 17 ) condiziona la mancata applicazione delle sanzioni

interdittive. Inoltre l’art. 45 prevede che il giudice prima della conclusione del

procedimento, può disporre l’applicazione di sanzioni interdittive qualora sussistano

gravi indizi di responsabilità e vi siano altresì fondati e specifici elementi tali da far

ritenere concreto il pericolo della commissione di nuovi illeciti della stessa indole di

quelli per cui si procede. Per quanto riguarda i criteri di accertamento di tali

condizioni e la modalità di richiesta delle misure valgono le disposizioni sancite dal

codice di procedura penale per l’applicazione delle misure cautelari nei confronti

dell’imputato – persona fisica e pertanto possono colpire l’ente nella fase iniziale del

procedimento anticipando nel contenuto anche le sanzioni interdittive più gravi.

- Sanzioni accessorie: consiste nella pubblicazione della sentenza che può essere

disposta dal giudice, come previsto dall’art. 18 del decreto, qualora sia stata

irrogata all’ente una sanzione interdittiva. La pubblicazione avviene a spese

dell’ente sanzionato “ in uno o più giornali indicati dal giudice nella sentenza

nonché mediante affissione nel comune ove l’ente ha la sede principale ”.

- Sanzioni sostitutive: la loro applicazione dipende dall’applicazione di altre

sanzioni ma non si cumulano con queste. L’art. 15, ad esempio, disciplina

l’attività del “ Commissario giudiziale ” incaricato dal giudice di proseguire

l’attività dell’ente per un periodo pari alla durata della sanzione interdittiva nel

caso in cui ricorra almeno una delle condizioni previste dallo stesso articolo,

ovvero:

a) l’ente svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica utilità la cui

interruzione può arrecare un grave pregiudizio alla comunità;

82

Rif.to art. 34 d.lgs 231/2001 – Applicazione delle misure cautelari -

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b) l’interruzione dell’attività dell’ente, tenendo conto delle sue dimensioni e

delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, può provocare

rilevanti ripercussioni sull’occupazione.

Lo stesso articolo dispone che il commissariamento non possa essere disposto quando

l’interruzione dell’attività consegue all’applicazione in via definitiva di una sanzione

interdittiva. Il Commissario dovrà predisporre i modelli organizzativi idonei a

prevenire la commissione di illeciti della stessa specie di quelli commessi e per il

compimento di atti di straordinaria amministrazione dovrà ottenere ogni volta

l’autorizzazione del giudice.

Lo stesso articolo dispone inoltre che il profitto derivante dalla prosecuzione

dell’attività è assoggettato a confisca.

La disciplina delle sanzioni, scrive Sebastiano Diego83, è un ulteriore elemento che

rafforza l’inquadramento della natura di responsabilità penale attribuita alla

responsabilità oggetto del decreto. Infatti tali sanzioni non assumono in via diretta la

funzione di assicurare un effetto favorevole a una parte determinata ma trascendono

l’interesse o vantaggio particolare di una parte soltanto, assumendo quel connotato

pubblicistico che caratterizza le sanzioni amministrative o penali. La responsabilità non

può essere definita amministrativa poiché si evidenzia che l’applicazione delle sanzioni

previste nel decreto prescinde del tutto dall’esistenza di una rapporto giuridico entro cui

si inscrive l’atto illecito caratterizzato da una posizione di superemazia della pubblica

amministrazione e che fonda in questi casi il potere punitivo così da qualificare come

amministrativa la sanzione irrogata. Pertanto al di la del nomen iuris utilizzato dal

legislatore sembra inappropriato definire la sanzione amministrativa.

3. Il Modello di Organizzazione e Controllo ex d.lgs 231/2001 tra

prescrizione normativa ed autoregolamentazione societaria

Come ho anticipato nella premessa, il legislatore nell’introdurre lo strumento “ Modello

organizzativo “ idoneo a sollevare l’ente dalla responsabilità amministrativa, introduce

uno strumento che vede il concorso della norma e della autoregolamentazione per la sua

realizzazione. Infatti il decreto da un lato prescrive gli obiettivi che tale modello deve

83

Sebastiano Diego (a cura di), Responsabilità amministrativa di società ed enti, il modello organizzativo ex d.lgs

231/2001, Milano, 2007

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perseguire al fine della sua efficacia e dall’altro demanda all’autonomia dei singoli enti

la modalità attraverso cui realizzarlo, in particolare nell’ambito di alcune sue

componenti. L’art. 6 comma 3 del decreto introduce l’ambito di applicazione che è

demandato all’autoregolazione degli enti sancendo che “ I modelli di organizzazione e

di gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 284 , sulla

base di codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti,

comunicate al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può

formulare, entro 30 giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati ” .

Il legislatore pur vincolando la funzione e l’obiettivo del Modello di organizzazione e

gestione a quanto previsto nel comma 2 dell’ art. 6 demanda all’autonomia privata

delle imprese, riconoscendo che questa può essere esercitata attraverso l’attività delle

associazioni rappresentative delle stesse, la possibilità di istituire uno strumento a ciò

deputato che tenga conto della peculiarità della tipologia di attività esercitata

dall’impresa stessa che, come si vedrà in seguito, rappresenta l’oggetto di analisi

dell’attività di Risk Assesment , punto di partenza per la costruzione del Modello di

organizzazione e gestione.

Il seguito all’impulso fornito dal legislatore è riscontrabile nelle Linee Guida per la 85costruzione dei Modelli di Organizzazione, Gestione e Controllo ex. D.lgs. 231/2001

approvate da Confindustria il 7 marzo 2002 ed aggiornate nel corso del tempo al fine di

adattare il loro contenuto alle modifiche intervenute sul decreto, in particolare

all’introduzione di ulteriori tipologie di reato - presupposto.

In particolare il documento di Confindustria tratta i seguenti ambiti della disciplina:

- Individuazione dei rischi e protocolli

- Codice etico ( o di comportamento ) con riferimento ai reati ex D.lgs 231/2001

e sistema disciplinare

84

L’art. 6 d.lgs 231/2001 comma 2 specifica le esigenze a cui devono rispondere i modelli di organizzazione e di gestione : individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati ; prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire; individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati; prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli; introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello 85 Le “ Linee guida per la costruzione dei modelli di organizzazione, gestione e controllo ex D.lgs. n. 231/2001 ” approvate da Confindustria nel marzo 2002 e successivamente modificate, costituiscono la prima concreta applicazione di un facoltativo codice comportamentale di categoria. Linee guida sono state inoltre emanate da Ania, Abi, Farmaindustria, ecc. inoltre è garantita l’autonomia privata alle singole imprese di adottare un Modello che non si ispiri a tali linee guida

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88

- L’organismo di Vigilanza

- Modelli organizzativi e soglie dimensionali: una chiave di lettura per le piccole

imprese

Inoltre segue l’appendice Case Study che riporta il testo di legge delle singole

fattispecie criminose richiamate dal decreto e per ciascuna, illustra i caratteri tipici, le

condotte e le modalità omissive, nonché i controlli e le cautele generalmente assumibili

per il contenimento del rischio di commissione del reato.

Il documento propone ai propri associati una metodologia d’azione nella elaborazione

dei modelli, approntando contenuti minimi e generali del codice etico, dei protocolli

comportamentali e del sistema disciplinare presentando inoltre le possibili opzioni nella

configurazione dell’Organismo di Vigilanza ribadendo nel contempo la finalità di

supporto di tale documento agli associati che nell’elaborare il proprio modello

organizzativo, di gestione e controllo dovrà tener conto della propria realtà aziendale.

Pertanto, come evidenziato di seguito, le componenti del Modello possono essere

suddivise tra quelle espressamente previste dal legislatore e quelle introdotte

dall’autonomia privata al fine di favorire il raggiungimento degli obiettivi fissati dal

legislatore.

Cesare Pedrazzi86 nel suo saggio del assume una posizione critica nel confronto del

Modello introdotto dal decreto affermando che con la sua adozione all’ente si

richiedono laboriosi accorgimenti preordinati, stabiliti inderogabilmente dagli art.6 e 7,

che comportano ineludibili irrigidimenti di ordine sia organizzativo che operativo in

funzione specialpreventiva.

Natalino Irti 87 invece considera l’adozione del Modello, coerentemente con la logica

secondo cui la responsabilità dell’ente rientra nel rischio di impresa e dunque nel

rischio dell’organizzazione, l’unico modo per fronteggiare tale rischio ed i tal modo

l’organizzazione cura se stessa mediante ulteriore organizzazione.

Quasi a dar seguito al pensiero di Irti, Danilo Galletti88 mette in evidenza che il

modello, trattandosi anche dell’adozione di procedure interne atte a prevenire illeciti, si

86 C. Pedrazzi, Corporate governance e posizioni di garanzia: nuove prospettive in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi,i Milano, 2002, Tomo I 87

N. Irti, Due temi di governo societario (responsabilità “amministrativa” – codici di autodisciplina) in Giurisprudenza Commerciale, 2003, I, pag.693 ss. 88

D. Galletti, I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag. 126 ss.

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89

sposa anche con il nuovo modo di intendere l’impresa alla luce della riforma del diritto

societario del 2003 nella quale l’organizzazione dell’impresa ha luogo non solo

attraverso l’adozione di piani ma anche mediante l’adozione di routines e procedure che

migliorano l’efficienza e favoriscono la verificabilità delle condotte gestorie nonostante

l’altra faccia della medaglia sia costituita dalla possibilità che un eccesso di

burocratizzazione produca fenomeni di stallo organizzativo e paradossalmente di

disincentivazione ad attivarsi, per evitare di incorrere nella violazione degli obblighi di

trasparenza e di comportamento. Galletti, afferma inoltre che i fini propri del legislatore

possono essere compromessi se l’eccessivo zelo imposto dal modello preventivo o dal

sistema sanzionatorio inducono a comportamenti di “ copertura “ rispetto alle violazioni

altrui che siano riscontrate qualora il sistema sia percepito ingiusto.

3.1 Le componenti del “ Modello 231 “ espressamente previste dal

legislatore

3.1.1. Attività di Risk Assessment e Gap Analysis

L’attività consiste nell’analisi del contesto aziendale al fine di evidenziarne le aree o i

settori di attività potenzialmente a rischio del verificarsi dei reati – presupposto

contemplati dal decreto. Vengono pertanto identificate macro aree, micro aree e infine i

processi aziendali redigendo una cd Mappatura delle aree a rischio. Il passo successivo

consiste nell’identificare i piani di miglioramento volti a monitorare le aree a rischio e

quindi a prevenire il verificarsi dei reati. Si

tratta in sostanza di introdurre specifiche procedure volte a disciplinare lo svolgimento

dei processi a rischio.

Tale attività attiene, come evidenziato da Galletti 89 , alla struttura dell’impresa: la

società deve infatti individuare le attività, ovviamente imprenditoriali, nel cui ambito

possono essere commessi reati ed identificare misure idonee a prevenire, scoprire ed

eliminare i pericoli di reato. E’ l’assunzione di decisioni al livello delle scelte d’impresa

ad interessare il campo di applicazione del Decreto e, come precedentemente

evidenziato, il decreto tenta di porre incentivi all’adozione di comportamenti virtuosi,

89

D. Galletti, I modelli organizzativi nel d.lgs n. 231 del 2001: le implicazioni per la corporate governance in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag. 126 ss.

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atti a prevenire la commissione di certi reati e l’idoneità preventiva deve spingersi,

sostiene Galletti, fino alla capacità di prevenire rischi di reato prevedibili, alla luce delle

conoscenze disponibili, non potendosi l’ordinamento accontentare della mera esistenza

di una frode ovvero dell’aggiro fraudolento del modello al fine di ritenere adempiuto

l’onere di predisposizione di un efficace modello. Risulta arduo, scrive Galletti,

stabilire i confini esatti dell’ambito di esigibilità del livello di prevenzione poiché se la

prevedibilità andasse intesa con riferimento a tutte le conoscenze anche astrattamente

disponibili, a prescindere dal loro costo, ne risulterebbe incentivata altresì l’innovazione

tecnologica al fine di reperire tecniche preventive più efficienti; viceversa, un eccesso

di responsabilizzazione potrebbe conseguire effetti di overdeterrence.

3.1.2. L’Organismo di Vigilanza

Una delle condizioni necessarie ai fini dell’esonero dalla responsabilità amministrativa

dell’ente consta nell’istituzione di un Organo di Vigilanza, di seguito OdV, nominato

dall’organo amministrativo che al momento della formale adozione del Modello di

organizzazione e controllo dovrà disciplinare anche gli aspetti principali relativi al

funzionamento di tale organo, quali la modalità di nomina e revoca, la durata in carica,

il compenso ed i requisiti soggettivi dei suoi componenti.

L’organismo di controllo viene individuato nel d.lgs 231/2001 all’art. 6 comma 1 lettera

b) il quale sancisce che l’ente non risponde del reato commesso se prova, fra le altre

cose, che “ il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di

curare il loro aggiornamento 90 è stato affidato a un organismo dell’ente dotato di

autonomia poteri di iniziativa e controllo” , e che secondo la lettera d) “ non vi è stata

omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo di cui alla lettera b). Si

stabilisce ancora, nell’art. 6 comma 4 che “ negli enti di piccole dimensioni i compiti

indicati nella lettera b) del comma 1, possono essere svolti direttamente dall’organo

dirigente ” .

Nonostante dal decreto non emergano con precisione le caratteristiche tipiche di tale

organismo, dalla lettura dell’art. 6 è possibile ricavare alcune indicazioni; l’organismo

90 Critica la posizione di C. Pedrazzi in merito all’attività di tale organismo: “ Vorremmo aggiungere che questo controllo a uso – ci si consenta – parafulmine si caratterizza per una finalità preventiva indiretta : non serve a prevenire concreti episodi delittuosi, bensì ad assicurare l’effettività dei modelli di organizzazione e gestione adottati. “ Così in Corporate governance e posizioni di garanzie: nuove prospettive in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo I

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deve essere costituito negli enti “ non di piccole dimensioni “ mentre negli altri il

compito di vigilanza e controllo potranno essere ricompresi nei doveri ed oneri in capo

all’organo dirigente oppure potranno essere affidati i compiti dell’organo di vigilanza a

funzioni aziendali già attive quali, ad esempio, l’ufficio legale o l’Internal Auditing 91.

Poiché l’Organismo di Vigilanza diventerà il garante del modello di cui curerà

aggiornamento ed applicazione dovrà operare in posizione di indipendenza e di terzietà

rispetto a coloro su cui dovrà vigilare. Per quanto riguarda la responsabilità circa

l’effettiva osservanza della legalità nell’azione dell’ente questa rimane nella sfera dei

soggetti responsabili dell’amministrazione e controllo dell’ente stesso92 e di fatto la

sanzione per il mancato o erroneo controllo da parte dell’Organismo di vigilanza

rimarrà all’interno dell’ente ed avrà natura solo contrattuale ( violazione del mandato

ricevuto ) .

I requisiti richiesti dalla norma ( art. 6 ) e dalle best practices offrono alcuni spunti di

riflessione circa l’oggetto e la modalità di esercizio dell’attività dell’Organismo di

Vigilanza e la sua composizione. Innanzitutto l’attività di competenza dell’OdV può

essere suddivisa in due macroaree:

- I compiti di vigilanza sull’osservanza del modello : verifiche periodiche

sull’operatIvità posta in essere nelle aree di attività considerate sensibili,

approfondimenti relativi a presunte violazioni del modello.

- La supervisione su funzionamento e aggiornamento del modello medesimo :

verifiche volte ad assicurare che il modello sia efficientemente calibrato rispetto

alle esigenze di controllo, che esista un’efficace azione per promuovere la

conoscenza del modello, che esistano canali di comunicazione efficienti, che la

copertura del rischio di commissione di reati sia costantemente monitorata alla

luce delle modifiche nel tessuto aziendale e nel contesto di riferimento.

E’ interessante affrontare le tematiche sopra evidenziate sulla base dell’esperienza delle

Guidelines, letta alla luce delle best pratices internazionali. Infatti le Guidelines

91

Questa alternativa è criticata da A.Frignani e P.a Grosso che scrivono : “ L’opzione di affidare i compiti dell’organo di vigilanza a funzioni aziendali già attive ci pare presentare la controindicazione per cui tali funzioni poterebbero non avere il grado di indipendenza rispetto ai “ soggetti in posizione apicale “, né la stabilità, necessaria al fine di garantire l’efficace applicazione del modello.” I modelli organizzativi ex d.lgs 231/2001. Etica d’impresa e

punibilità degli enti ( a cura di) Carlo Monesi, Milano, 2005, pag. .383 92

Ciò vale anche ai fini dell’eventuale applicazione dell’art. 40 comma 2 c.p. : “ Non impedire l’evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo “

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92

dispongono da un lato che l’organizzazione debba assicurare “ that the organisation’s

compliance and ethics program is followed, including monitoring and auditing to detect

criminal conduct” , e dall’altro che deve “ evacuate periodically the effectiveness of the

organisation’s compliance and ethics program “. Queste disposizioni sono in linea con

l’evoluzione delle best practices internazionali. Infatti standards, best practices e

dottrina dedicano ampio spazio all’attività di monitoring e auditing, attività oggetto

degli standard di riferimento per la professione di internal auditor , dal modello CoSo,

dai codici di corporate governance. In particolare, il riferimento al modello CoSo per la

definizione dell’attività di controllo da parte dell’ OdV è utile al fine di superare il

rischio di una visione frammentata dei compiti precedentemente evidenziati. Infatti, il

modello non è altro che una componente ( focalizzata e formalizzata ) del sistema dei

controlli interni e dunque l’adozione delle metodologie di assesment previste dalle best

practices conferiscono unitarietà all’attività del sistema dei controlli. A tale conclusione

è giunta anche l’Associazione Italiana Internal Auditors che nel Position Paper D.lgs

231/2001 afferma che “ i cinque componenti…in cui si articola il modello di controllo

interno proposto dal CoSo è l’abbreviazione di Committee of the Sponsoring

Organizations of the Tradeway Commission. Il modello proposto è quello

maggiormente utilizzato per la definizione di un sistema di controllo interno ed è

suddiviso in cinque componenti.

Ambiente di controllo :

Comunicazione e implementazione concetti di integrità e valori etici

Politica di reclutamento e promozione del personale, competenze delle risorse umane

Stile di conduzione e qualità personali/professionali dei dirigenti

Struttura organizzativa

Assegnazione competenze e responsabilità

Direttive del personale

Vigilanza e supervisione del consiglio di direzione o dell’audit cometee

Valutazione dei rischi aziendali:

Processo di identificazione dei rischi esterni ( es. nuove leggi ) ed interni ( lacune del

sistema )

Processo di valutazione dei rischi ( impatto, costo )

Valutazione delle probabilità

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Sviluppo misure per “ coprire “ i rischi ( assunzione, condivisione, eliminazione )

Misure di controllo:

Esistenza di politiche e procedure necessarie

Obiettivi finanziari chiari e supervisione attiva

Separazione appropriata delle funzioni

Riconciliazione periodica dei conti significativi

Protezione appropriata contro l’accesso non autorizzato ai dati confidenziali

dell’azienda

Controllo fisico dell’accesso, IT ha influenza diretta sulle misure di controllo, verifiche

generali da parte di IT

Controlli manuali e controlli informatici

Sistemi informativi rilevanti per la contabilità compresi i processi aziendali collegati e

la comunicazione

Sistemi di informazioni affidabili, informazioni rilevanti raccolte in modo affidabile e

distribuite in modo appropriato

Comunicazione adeguata ai diversi livelli gerarchici, i collaboratori ricevono le

informazioni necessarie per eseguire i controlli

I collaboratori conoscono le loro competenze e le responsabilità.

Sorveglianza dei controlli

Tali componenti sono., di fatto, ripresi nei Modelli proposti dalle Federal Sentencing

Guidelines “ , quindi attraverso l’interposizione delle Guidelines si crea il

collegamento tra il modello proposto dal CoSo report ed il modello proposto dal d.lgs

231/2001.

Tale interpretazione discende dal fatto che il nostro legislatore non offre alcuna

spiegazione di dettaglio che possa agevolare l’interpretazione della locuzione “

vigilanza sul funzionamento e l’osservanza “ ( lettera b) art .6 ) ed è coerente con

quanto disposto al punto a) dello stesso art. 6 ovvero che il Modello deve essere idoneo

a prevenire e deve essere efficacemente attuato. A tale riguardo si può verificare che

nella sostanza l’Organismo di Vigilanza svolge, tra i suoi compiti istituzionali, alcune

attività tipiche di Internal Auditing, in particolare l’attività cd di assurance, ovvero un “

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oggettivo esame delle evidenze, allo scopo di ottenere una valutazione indipendente dei

processi di gestione del rischio, di controllo o di governance dell’organizzazione 93“.

3.1.2.1 Requisiti essenziali dell’Organismo

Gli articoli 6 e 7 sopra citati forniscono indicazioni in merito alle principali

caratteristiche che l’OdV deve presentare:

- Autonomia : il legislatore fa riferimento ad “ autonomi poteri di iniziativa e di

controllo “. In particolare si tratta di autonomia decisionale in seno all’aspetto

funzionale, alla libertà di autodeterminazione e di azione in riguardo al pieno

esercizio della discrezionalità tecnica nell’espletamento delle funzioni

riconducibili ad un organismo autoreferenziale.

L’autonomia sarà esercitata innanzitutto rispetto alla società nel senso che

l’organismo dovrà rimanere estraneo ad ogni forma di interferenza o pressione

da parte del management,

non dovrà essere in alcun modo coinvolto nell’esercizio di attività operative, né

partecipe di decisioni gestorie. Senza tale autonomia l’OdV non potrebbe

svolgere un effettivo controllo che è rivolto anche nei confronti dell’organo

dirigente che lo ha nominato. Per questa ragione la sua collocazione gerarchica è

posta al medesimo livello dell’organo amministrativo dotato di effettivi poteri

ossia il presidente del CdA o il consigliere delegato.

L’autonomia è inoltre riconducibile anche alla dimensione regolamentare intesa

come potestà dell’OdV di autodeterminarsi, fissando le proprie regole

comportamentali, procedurali ed il proprio budget di periodo ( deliberato dalla

società).

Quindi l’autonomia decisionale si esplica nell’esercizio di poteri di controllo, di

ispezione, di iniziativa, di consultazione, di proposizione, di critica, di

rilevazione, di contestazione, di attivazione, di coordinamento con il Vertice

dirigente e con i controllori.

93

The Institute of Internal Auditors, Standard Internazionali e Guide Interpretative per la Pratica professionale dell’Internal Auditing, 2006, secondo cui la definizione di Internal Auditing è un’attività indipendente e obiettiva di assurance e consulenza, finalizzata al miglioramento dell’efficacia e dell’efficienza dell’organizzazione. Assiste l’organizzazione nel perseguimento dei propri obiettivi tramite un approccio professionale sistematico, che genera valore aggiunto in quanto finalizzato a valutare e migliorare i processi di controllo, di gestione dei rischi e di corporate governance “

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95

- Indipendenza : tale requisito, pur non essendo espressamente indicato dalla

legge, sostanzia la condizione necessaria di non soggezione ad alcun legame di

sudditanza nei confronti della società e per essa del suo management. A tale

proposito il legislatore è intervenuto nella Relazione accompagnatoria al D.lgs.

231 chiarendo che “ …per garantire la massima effettività del sistema, è

disposto che la societas si avvalga di una struttura che deve essere costituita al

suo interno ( onde evitare facili manovre volte a precostituire una patente di

legittimità all’operato della societas attraverso il ricorso ad organismi

compiacenti e soprattutto per fondare una vera e propria colpa dell’ente ) dotata

di poteri autonomi e specificamente preposta a questi compiti ”. Ne consegue

pertanto l’istituzione di un organo terzo, gerarchicamente collocato al vertice

della linea di comando, le cui scelte non sono sindacabili.

- Professionalità ed onorabilità: l’OdV deve essere professionalmente capace ed

affidabile, caratteristiche non specificate dal legislatore ma estrinseche

all’autonomia che gli è riconosciuta. E’ importante evidenziare che tali requisiti

devono connotare necessariamente l’organo mentre possono essere richiesti

facoltativamente in capo ai singoli componenti di esso o quantomeno a taluni.

Infatti un organismo destinato a ricoprire un ruolo così impegnativo e delicato

non può essere che tecnicamente idoneo, ossia dotato delle cognizioni tecniche

ed esperienziali indispensabili ad assicurare un coretto ed efficace esercizio

delle proprie funzioni, come anche dotato di strumenti e risorse informative

necessarie all’esercizio del monitoring e della vigilanza. Va evidenziato che la

funzione attribuita all’Organismo richiede nei membri una competenza

professionale multidisciplinare che presuppone cognizioni tecniche, almeno a

livello collegiale, di natura giuridica, contabile aziendale ed organizzativa fatta

salva la possibilità di reperire all’esterno della società il supporto tecnico

specialistico. Oltre che preparato l’OdV dovrà essere costituito da membri

onorabili, affidabili, lontani da ogni posizione di conflittualità, condizione che

dipenderà dalla tipologia di organismo implementato. Infatti se sarà chiamato a

svolgere tale funzione un organo sociale/funzione già esistente si tratterà di

testare la sussistenza e sufficienza dei requisiti già richiesti per esso dalla legge

e dallo statuto; diversamente, se sarà costituito un organismo ex novo, sarà lo

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stesso modello organizzativo o anche il codice etico, lo statuto a determinare

specificamente i requisiti soggettivi necessari.

- Continuità d’azione: si tratta di un’esigenza primaria al fine della vigilanza

sull’effettiva ed efficace adozione del Modello. Ciò che è richiesto ai membri

dell’OdV è un impegno anche non esclusivo ma prevalente idoneo ad assolvere

con continuità, efficienza e presenza le varie incombenze tipiche della funzione

di tale organismo.

3.1.2.2. L’antinomia tra indipendenza e inerenza con l’ente vigilato

L’art. 6 del decreto che definisce l’OdV “ organismo dell’ente “ configurando quindi

tale organo come “ interno “ all’ente vigilato e quindi partecipe all’organigramma,

condizione necessaria affinché l’organo sia sufficientemente edotto in merito alla realtà

societaria ed aziendale.

Tale inerenza però non deve limitarne l’autonomia e l’indipendenza e l’idea che la

condizione di estraneità dal soggetto controllato sia prerogativa irrinunciabile per

un’efficace vigilanza deve essere superata attraverso la conciliazione di tali requisiti

ovvero mediante la nomina di un OdV indipendente ed autonomo, che pur composto da

soggetti esterni alla società, sia collegialmente

“ presente “ nel contesto organizzativo in quanto a questo stabilmente relazionato.

Come si è accennato in precedenza, tale risultato può essere raggiunto

istituzionalizzando ed ufficializzando la collocazione dell’OdV ai vertici della gerarchia

societaria ovvero riconoscendogli un ruolo preciso di funzioni e poteri nel sistema dei

poteri aziendale grazie al quale instaurare dei rapporti interorganici stabili che gli

consentano di ottenere un flusso informativo costante nonché di potersi coordinare sia

con l’organo amministrativo sia con il collegio sindacale, il revisore contabile, ecc. Non

di minor rilievo è l’assolvimento della funzione di rilevazione, diretta o indiretta, di

eventuali violazioni del Modello e della conseguente attivazione della reazione

disciplinare. Infatti l’internalizzazione nell’organizzazione dell’OdV induce nel

personale dipendente l’ideo dell’autorità nonché di autorevolezza.

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3.1.2.3. Le peculiari funzioni riservate all’OdV

Gli artt. 6 e 7 del decreto non forniscono un elenco esaustivo dei compiti demandati all’

OdV che possono comunque essere ricondotti alle seguenti funzioni tipiche e

necessarie:

- Attività di vigilanza e controllo: la funzione primaria dell’OdV è la vigilanza

continuativa sulla funzionalità del Modello adottato. Questo significa che l’OdV

dovrà curarne l’attuazione e la corretta applicazione, l’aggiornamento e gli

adattamenti necessari o utili.

L’attività si concretizza nel verificare la coerenza tra i comportamenti aziendali

concreti e il Modello predisposto anche alla luce delle modifiche intervenute in

ambito organizzativo al fine di garantire l’idoneità del Modello a prevenire

fattispecie di rischio anche di nuova insorgenza. In particolare la verifica è

rivolta alle varie componenti del Modello quindi il codice etico,

l’inventariazione delle criticità dell’organizzazione ai fini della commissione dei

reati presupposto, i protocolli di comportamento adottati per un’idonea

prevenzione di tali reati, il sistema sanzionatorio vigente, il sistema dei poteri

ovvero la struttura dell’organigramma e la ripartizione delle deleghe di poteri.

Tale verifica impone all’ OdV il controllo periodico e/o saltuario delle singole

aree valutate come sensibili, l’effettiva adozione e corretta applicazione dei

protocolli, la predisposizione e la regolare tenuta dei documenti previsti da tali

protocolli, l’efficienza e la funzionalità delle misure e delle cautele fissate dal

Modello.

- Adattamento ed aggiornamento del Modello: l’attività consta

nell’aggiornamento di ogni componente del Modello reso necessario od

opportuno in una serie di circostanze oggettive. Ne sono un esempio la necessità

di un approfondimento regolamentare o la proceduralizzazione di una funzione

già ricompressa in una macro area o in un processo ritenuto a rischio – reato, la

variazione dell’attività o della sua modalità, modifiche della società in

coincidenza di eventi straordinari, l’ intervento correttivo in caso di

malfunzionamento dello stesso o in caso di riscontro di violazioni fino al caso in

cui sia stato commesso un reato presupposto da parte di un soggetto apicale o di

un sottoposto.

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Un’altra circostanza oggettiva che porta all’ aggiornamento del Modello è data

dalla novellazione legislativa di integrazione/modifica del testo del D.lgs

231/2001 o di materie correlate qual è il caso dell’integrazione legislativa del

numerus clausus di reati presupposti.

Va annoverato anche il caso in cui l’aggiornamento è frutto dell’esercizio

dell’autonomia contrattuale da parte della società volto a modificarne lo statuto,

il codice etico e di comportamento oppure il proprio assetto organizzativo o la

propria policy aziendale.

Resta comunque di competenza dell’organo gestorio ovvero del massimo livello

decisionale della società la competenza di deliberare l’aggiornamento del

Modello ricoprendo l’OdV un ruolo propulsivo, propositivo di critica costruttiva

e di valutazione in merito alle variazioni tecniche da apportare al Modello che

poi sottoporrà all’organo gestorio affinché provveda al suo recepimento

ufficiale.

Va evidenziato che indipendentemente dal verificarsi degli eventi sopra

descritti, l’OdV ordinariamente effettuerà un follow up di periodo, di prassi

semestrale poiché il decreto non stabilisce termini in tale senso,

dell’inventariazione e gradazione dei rischi - reato in tutte le aree aziendali

anche al fine di rilevare nuovi ambiti sensibili.

- Informativa e coordinamento interorganico : tale attività è volta a favorire

quanto disposto dall’art. 6 del decreto, secondo comma, d) in merito ad una

delle caratteristiche peculiari del Modello che deve “ prevedere obblighi di

informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul

funzionamento e l’osservanza dei modelli ”.

Questa finalità si concretizza attraverso l’attivazione di flussi informativi bi –

direzionali tra l’OdV e amministratori, organi di controllo, dirigenti, dipendenti

e collaboratori. La garanzia dell’effettiva attivazione di tali flussi informativi è

data da quanto statuito sia dal codice etico e di comportamento sia dal modello

stesso in particolare dalle procedure gestionali societarie. Tale flusso

informativo potrà concretizzarsi con diverse modalità adottate anche

cumulativamente:

1. Reporting interno delle attività svolte

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2. Produzione di qualsiasi documentazione sia ritenuta necessaria e utile da

parte dell’OdV

3. Note dell’Organo dirigente volto a sollecitare un parere consultivo su

specifici aspetti di rilievo

4. Appositi strumenti di di comunicazione volti a segnalare il verificarsi di

comportamenti in violazione del Modello

L’OdV al fine di poter esplicare le proprie funzioni necessita di dati e informazioni ,

in particolare:

a) informazioni relative al banckground aziendale, antecedente l’istituzione

dell’OdV

b) notizie relative all’effettiva attuazione, a tutti i livelli aziendali del Modello, con

evidenza delle eventuali sanzioni irrogate ovvero dei provvedimenti di

archiviazione di procedimenti sanzionatori, con relative motivazioni

c) l’insorgere di nuovi rischi nelle aree dirette dai vari responsabili

d) anomali, atipicità riscontrate o risultanze da parte delle funzioni aziendali, delle

attività di controllo poste in essere per dare attuazione al Modello

e) provvedimenti e/o notizie provenienti da qualsiasi Autorità pubblica, dai quali si

evinca la pendenza o lo svolgimento di indagini per i reati di cui al D.lgs

231/2001

f) comunicazioni interne/esterne in relazione a qualsiasi fattispecie che possa

essere messa in collegamento con ipotesi di reato presupposto

g) istituzione di commissioni d’inchiesta o relazioni interne dalla quali emergano

responsabilità per ipotesi di reato

h) avvenuta concessione di erogazioni pubbliche, rilascio di nuove licenze, di

autorizzazioni o di altri provvedimenti amministrativi

i) operazioni finanziarie di qualsiasi tipologia che assumano rilievo per valore,

modalità, rischiosità, atipicità, connessione con l’attività sociale espletata, per

coinvolgimento di “ parti correlate “

j) partecipazione ed aggiudicazione di gare d’appalto ( ad evidenza pubblica o a

trattativa privata ) di beni, di opere o di servizi, nonché instaurazione di rapporti

contrattuali con la P.A.

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100

k) ogni accertamento giudiziario, fiscale, del Ministero del Lavoro e degli enti

previdenziali, dell’Antitrust e di altre Autorità di vigilanza, a cura del

responsabile dell’area che è sottoposta agli accertamenti

l) avvenuta conclusione di un’intesa vincolante o di una partnership a cura di chi

abbia gestito il processo e/o attività propedeutica

m) comunicazione e informativa documentale in caso di operazioni societarie

straordinarie, nonché delle connesse adunanze dell’organo amministrativo

n) per società soggette a vigilanza Consob, copie dei prospetti informativi e/o delle

comunicazioni da trasmettere o già trasmesse

o) comunicazione tempestiva dell’emissione e/o della sottoscrizione di nuove

azioni e di strumenti finanziari

p) avviso contenente le valutazioni in ordine alla scelta effettuata, qualora venga

conferito l’incarico a una società per la revisione del bilancio, nonché

sull’insussistenza di cause di incompatibilità per il conferimento dell’incarico.

Va evidenziato che l’inosservanza dei suddetti obblighi informativi nei confronti

dell’OdV costituisce una violazione al Modello e comporta l’applicazione delle

sanzioni previste dal sistema disciplinare aziendale. Anche per tale motivo, in linea con

quanto previsto dal codice etico, l’OdV anche avvalendosi di consulenti esterni, cura il

coordinamento con l’organo dirigente e l’organizzazione di corsi di formazione sui

contenuti del Modello adottato, del d.lgs 231/2001 e sulle specie di reato ivi richiamate,

nei confronti di tutti i componenti della società.

3.1.2.4. I poteri dell’OdV: autoregolamentazione, ispettivi e

sanzionatori

Il requisito dell’autonomia riconosciuta all’OdV dal decreto comporta che l’organo

possieda poteri di auto – organizzazione e di definizione delle procedure interne per

l’esercizio delle proprie funzioni. Fanno parte di tali poteri la scelta delle modalità di

auto – convocazione, di tenuta delle riunioni, di deliberazione, di comunicazione e

rapporto diretto con ogni struttura aziendale, di coordinamento con gli altri organi

endo/extra sociali, di acquisizione di informazioni, dati e documentazioni da/verso ogni

livello aziendale, di funzioni ispettive, di attivazione di procedimenti disciplinari nei

confronti di chi non abbia rispettato il modello adottato.

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101

L’OdV deve avere inoltre accesso senza previa autorizzazione a tutte le informazioni e

documentazioni aziendali presso qualsiasi organo/funzione aziendale. L’OdV tratterà

tali informazioni nel rispetto dei vincoli di riservatezza, della privacy, della deontologia

professionale salvo ulteriori vincoli normativi speciali ( ad esempio disciplina insider

trading ). Inoltre l’OdV dovrebbe poter partecipare a talune sedute del CdA, o

equipollente organo gestorio, o dell’Assemblea qualora sia necessario ai fini

dell’adozione di provvedimenti nei confronti degli amministratori.

Relativamente ai poteri ispettivi, oltre alla disamina dell’adeguatezza del Modello

attraverso la funzione di controllo e vigilanza, l’OdV è titolare di poteri ispettivi di

carattere strumentale, quali:

- verifiche e periodiche su alcune operazioni che superino un determinato valore

economico/impegno di spesa, in particolare quelle che comportino rapporti con

la P.A.

- verifiche su alcune operazioni/processi societari significativi, in primis la

gestione finanziaria e le operazioni di tesoreria

- intervento immediato in occasione di accertamenti ed ispezioni da parte di

Autorità

- verifica e cura dell’interpretazione delle disposizioni del codice etico e

comportamentale, del Modello e delle procedure aziendali

- verifica del rispetto delle leggi, del codice etico nonché del Modello da parte di

tutti i destinatari

- adempimento dell’obbligo di informazione, in particolare, delle risultanze

periodiche dell’attività di controllo e delle anomalie eventualmente riscontrate

- verifiche periodiche e a campione della regolarità formale dei report / moduli

previsti in tutti i protocolli, della documentazione di supporto, ecc.

- coordinamento con il collegio sindacale, con il revisore contabile , la società

incaricata della revisione, il comitato per il controllo interno se implementato

presso la società quotata, in prossimità della redazione delle comunicazioni

sociali e della redazione del progetto di bilancio

- intervento e verifica immediata qualora gli venissero segnalate irregolarità

ovvero le stesse emergessero in corso dei controlli e delle ispezioni

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102

E’ opportuno evidenziare che in caso di segnalazione o denuncia, l’OdV effettua le

conseguenti verifiche dandone conto tempestivamente agli organi deputati ed in caso di

accertamento della violazione, sentito l’autore ed indipendentemente dall’eventuale

instaurazione di un giudizio penale e di una sua eventuale condanna, segnala

prontamente ed ufficialmente l’evento all’organo amministrativo ed a quello di

controllo, proponendo nel contempo la misura sanzionatoria prevista dal sistema

disciplinare aziendale. Va ricordato che l’iter formale di contestazione dell’addebito e l’

irrogazione della sanzione rimane in capo al datore di lavoro poiché l’OdV è

esclusivamente l’organo deputato al controllo ed alla vigilanza sul Modello come

concernente all’obbligo di legge che vincola l’OdV alla “ sola “ sorveglianza e non

all’obbligo di impedire la commissione del reato presupposto.

3.1.2.5. La responsabilità imputabile ai membri dell’OdV

E’ fuori dubbio che i membri dell’OdV siano soggetti a responsabilità civile ai sensi

dell’art. 2043 del Codice Civile per l’incarico espletato. In dottrina però è acceso il

dibattito in merito alla prefigurabilità anche di una responsabilità penale in capo ai

membri dell’OdV per il mancato esercizio della funzione di controllo e vigilanza . Il

riferimento è all’art. 40, secondo comma, del Codice penale in quale sancisce che “ non

impedire l’evento che si ha obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo “ . Si

tratterebbe dunque di un “ concorso “ omissivo nel reato presupposto e realizzato da

parte del membro dell’OdV e va evidenziato che, nonostante il dibattito in dottrina, la

giurisprudenza non si è ancora pronunciata a riguardo.

3.1.2.6. L’OdV nelle strutture societarie di Gruppo

E’ opportuno evidenziare che le prescrizioni del decreto sono vincolanti ed imperative

per le singole imprese appartenenti al Gruppo societario e pertanto spetterà all’organo

dirigente della società partecipata valutare l’opportunità di esercitare la facoltà di

adottare un congruo Modello di gestione e controllo con finalità penal – preventive. A

tale riguardo, Galletti, afferma che il tema dei gruppi in relazione alle implicazioni

poste dal Decreto, è ancora straordinariamente negletto e questa rilevazione stride con

la diffusione dell’organizzazione di gruppo. Inoltre, precisa Galletti, talune norme della

Riforma del 2003 quali ad esempio l’obbligo di motivare le decisioni intragruppo ( art.

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2497 ter c.c. ), oppure le procedure da adottare in relazione alle c.d. parti correlate (

art.2391 bis c.c. ) convergono naturalmente con le finalità del decreto, costituendo

frammenti naturali di modelli organizzativi preventivi delle situazioni presupposte.

Montalenti94 a tale riguardo propone due alternative interpretative per colmare tale “

vuoto normativo “. La prima consiste nell’interpretazione estensiva del combinato

disposto di cui agli artt. 5, 1° comma e 7, 1° e 2° comma.95 ma tale interpretazione non

convince l’Autore poichè le disposizioni di riferimento si riferiscono a persone fisiche

sottoposte alla direzione e alla vigilanza di altri soggetti a loro volta persone fisiche,

non a società sottoposte a direzione e coordinamento. La seconda si fonda invece sul

terreno “ argomentativo” e consta nell’indicazione che nella predisposizione del

Modello ai fini della migliore prevenzione dei reati nei singoli enti/società,debba essere

tenuta in considerazione la dimensione del gruppo, senza che per questo debba venir

meno la soggettività separata di tutte le singole società agli effetti dell’applicazione

della disciplina della responsabilità amministrativa, che non può “ risalire “ dalla

controllata alla capogruppo. Inoltre, prosegue l’Autore, dall’assunto che l’istituzione

dell’OdV non si configura tecnicamente come un obbligo e che la disciplina

dell’attività di coordinamento è si disciplina societaria ma anche dell’impresa non è

aprioristicamente configurabile come necessaria l’istituzione di tanti OdV quante sono

le società del gruppo ma possono istituirsi OdV nelle società più importanti da

coordinarsi con l’OdV della capogruppo a cui possono affidarsi i compiti di vigilanza

non solo relativi alla capogruppo ma anche relativi ad altre società del gruppo ed al

gruppo come insieme. Più precisamente, spiega Montalenti, non essendo l’OdV

qualificabile come organo societario potrà svolgere la sua funzione per più società e

dunque l’OdV della capogruppo svolge una funzione di coordinamento ma non in

quanto OdV di gruppo, qualificazione che urta contro il sistema di soggettività separate

su cui si fonda il d.lgs 231/2001, bensì come OdV della capogruppo che in ragione

94

P. Montalenti, Organismo di vigilanza e sistemi dei controlli in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag.643 ss. 95

“ Più precisamente si potrebbe sostenere che “ l’ente ( società controllata )” è “ responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio “ da persone che “ ( in quanto esponenti della società controllante che esercita attività di direzione di gruppo ) “ esercitano anche di fatto la gestione e il controllo dello stesso “ ( art. 5, 1° comma, lettera b) ). Reciprocamente si potrebbe giungere a ritenere che “ l’ente ( società controllante )” è “ responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio “ da persone ( che in quanto esponenti della società controllata sottoposta alla direzione di gruppo della controllante sono ) sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a) “ ( in quanto esponenti della società controllante esercente la direzione di gruppo). Così P. Montalenti in Organismo di vigilanza e sistemi dei controlli in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag. 643 ss.

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104

delle dimensioni del grupo opera per il migliore funzionamento degli OdV delle singole

società.

La stessa società dovrà pertanto scegliere di implementare il modello adatto alla

propria attività e di istituire un proprio OdV che espleti le funzioni illustrate nei

paragrafi precedenti.

Tale conclusione emerge dalla considerazione del fatto che il decreto è privo di alcuna

specifica disposizione derogatoria riguardante il Gruppo che “ sarebbe ovviamente

priva di giustificazione data la persistente carenza del riconoscimento legislativo di una

personalità giuridica autonoma ed unitaria ( distinta da quella delle singole partecipate )

del gruppo ancorché ricorra un’integrazione economica sia peri vincoli derivanti dal

principio di stretta legalità che permea l’intero impianto del d,lgs 231/2001. Ciò

nondimeno, la ricorrenza di una tale realtà e, per essa, il qualificante esercizio di una

direzione strategica e di governo accentrata, permetterà di modulare l’azione di

prevenzione, assumendo formule attuative idonee a realizzare, ove possibile, una

semplificazione organizzativa ed operativa, un risultato sinergico, un contenimento dei

costi di impianto e di mantenimento del modello di legalità preventiva, un

coordinamento delle azioni e delle opzioni delle singole società nella centralità

riconosciuta della capogruppo96 ” .

Ad esempio potrebbe essere elaborato ed adottato un codice etico e comportamentale

unitario di gruppo, formalmente assunto dall’organo dirigente della società capogruppo,

il cui contenuto viene recepito attraverso l’ufficializzazione da parte dei propri organi

amministrativi dalle singole società partecipate. L’alternativa consiste nel “ duplicare

“ presso ciascuna partecipata il Modello elaborato ed adottato dalla capogruppo con il

rischio però di duplicare starndards comportamentali elaborati per la società

capogruppo che di fatto però sono incongrui, estranei ed inefficaci per le singole

società.

Per quanto attiene alla nomina dell’OdV da parte della singola società

controllata/collegata sarà la configurazione della struttura organizzativa a suggerire la

soluzione da adottare in tale senso dal momento che il legislatore nulla prescrive a tale

riguardo. Pertanto la scelta è riconducibile ad esigenze di coordinamento e sinergia in

96

S.Bartolomucci , Corporate governance e responsabilità delle persone giuridiche, modelli preventivi ad efficacia

esimente ex d.lgs 231/2001, Milano, 2004, pag. 268

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ambito infra-gruppo che come conducono, spesso, alla centralizzazione presso la

capogruppo, di una serie di funzioni tra le quali la funzione di controllo di specifici

settori e la sorveglianza della gestione che viene centralizzata nella funzione internal

auditing e/o il comitato per il controllo interno possono portare all’istituzione di un

OdV di vertice espletante le funzioni di vigilanza e controllo del modello in

coordinamento con i singoli OdV nominati presso ciascuna società.

La scelta in seno alla centralizzazione o meno dell’OdV avrà riguardo anche della

tipologia di attività svolta da ciascuna società avendo queste una diversa configurazione

del rischio reato ai quali sono sottoposte e pertanto si necessita l’istituzione di un OdV

“ specializzato “ per ciascuna società.

3.1.2.7 Organismo di Vigilanza e sistema dei controlli alla luce della

riforma del diritto societario.

La riforma del diritto societario ha elevato i principi di corretta amministrazione a

clausola generale di comportamento degli amministratori, prima espressamente

contemplata soltanto per le società quotate. Pertanto il rispetto delle regole tecniche e

non solo giuridiche, di buona gestione, è oggi norma di diritto comune. Ne consegue

che il paradigma degli assetti organizzativi adeguati assume il ruolo centrale quale

canone necessario di organizzazione interna dell’impresa, sul piano gestionale,

amministrativo e contabile, diventando uno strumento di tracciabilità dei processi e

dunque criterio di valutazione della responsabilità di amministratori, dirigenti e

controllori.

Così scrive Paolo Montalenti 97 evidenziando che tale principio si evince dalla

previsione di un obbligo specifico di vigilanza sul rispetto di tali principi in capo agli

organi di controllo seppure, afferma l’Autore, per un difetto di coordinamento tale

situazione si rinviene soltanto per il collegio sindacale e per il consiglio di sorveglianza

ma non per il comitato per il controllo sulla gestione. Per quanto concerne il sistema di

controllo interno, l’Autore osserva che questo potrebbe assumere espressamente rilevo

normativo esclusivamente nel modello monastico poiché l’art. 2409-octiesdecies, 5°

comma lett. b) statuisce che il comitato per il controllo sulla gestione “ vigilia

sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo

97

P. Montalenti, Organismo di vigilanza e sistemi dei controlli in Giurisprudenza Commerciale, 2009

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106

interno, del sistema amministrativo e contabile “. Per quanto concerne le norme

corrispondenti realtive al sistema tradizionale e al sistema dualistico non contemplano

esplicitamente, tra le competenze del collegio sindacale e del consiglio di sorveglianza,

la vigilanza sul sistema di controllo interno. Tale disparità di regolazione, scrive

Montalenti, non trova giustificazione poichè i tre modelli amministrativi alternativi si

pongono come indifferenziati ed applicabili a qualsiasi tipologia di impresa. L’Autore

propone dunque di procedere ad un’interpretazione correttiva del dettato letterale delle

diverse disposizioni normative giungendo alla conclusione che l’obbligatorietà del

sistema di controllo interno deve essere riconosciuta in termini di adeguatezza della

struttura organizzativa della società, valutata in rapporto alle dimensioni dell’impresa e

non in ragione dei sistemi amministrativi adottati ferma restando l’obbligatorietà del

sistema di controllo interno per le società quotate su mercati regolamentati come

espressamente prevista dal t.u.f.

L’autore ritiene che il fulcro della disciplina debba essere ricercato nelle disposizioni

del modello – base di amministrazione e controllo da cui si evince che:

1. gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e

contabile sia adeguato alla natura e alla dimensione dell’impresa ( art.

2381 5° comma )

2. il consiglio di amministrazione ne valuta l’adeguatezza sulla base delle

informazioni ricevute ( art. 2381 5° comma )

3. il collegio sindacale ( art. 2403 1° comma ), o il consiglio di

sorveglianza ( art. 2409-terdicies, 1° comma, lett. c) ) o il comitato per il

controllo sulla gestione ( art. 2409 – octiesdecies, 5° comma, lett.b))

vigilano sull’adeguatezza

Pertanto, conclude Montalenti, il controllo sull’adeguatezza degli assetti organizzativi e

sul rispetto dei principi di corretta amministrazione è oggi compito espressamente

assegnato sia al consiglio di amministrazione come plenum sia all’organo di controlli,

anche se con tipologie di controllo diverse, di valutazione, il primo, di vigilanza (

quindi anche con atti ispettivi ) ,il secondo.

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107

E’ interessante, al fine del presente elaborato, presentare le considerazioni di Montalenti

in merito all’intersezione delle problematiche relative al sistema dei controlli98 con la

disciplina del d.lgs 231/2001. In particolare l’Autore rileva che nonostante non ci sia

coincidenza tra il Modello ex d.lgs 231/2001 e le adeguate strutture di controllo interno

di cui al testo unico della finanza e all’art. 2381 comma 5° c.c., anche alla luce

dell’elaborazione di guidelines specifiche da parte delle associazioni di categoria che si

sono basate specificamente sull’art.6 comma 3° del decreto, si rileva un punto di

intersezione tra la disciplina del decreto e la disciplina introdotta dalla riforma del

diritto societario, è rappresentato dall’evoluzione dei “ sistemi di responsabilità

societaria “ da responsabilità diretta a responsabilità per omessa vigilanza. Infatti,

sostiene l’Autore, “ l’organo dirigente “ deve avere “ adottato ed efficacemente attuato

modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati “. Inoltre, il “ compito

di vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli e di curare il loro

aggiornamento “ deve essere affidato “ a un organismo dell’ente dotato di autonomi

poteri di iniziativa e di controllo “. L’introduzione di questo nuovo “ organismo “,

afferma l’Autore, solleva l’interrogativo se esso si configuri come un vero e proprio “

organo societario “ e, in ogni caso, come si configuri la responsabilità dell’organismo

stesso in rapporto con la responsabilità degli amministratori e dei sindaci. Montalenti

evidenzia che essendo l’OdV istituito in conseguenza all’adempimento di un onere e

non di un obbligo, non può essere qualificato come organo societario nonostante

l’adozione del Modello e dunque l’ istituzione dell’OdV possano configurarsi come

obbligo derivato dal dovere generale di dotare la società di assetti organizzativi

adeguati. Per quanto attiene la responsabilità del CdA invece, l’Autore ritiene che non

possa essere ritenuta esclusa in seguito alla mera istituzione dell’OdV seppur ne risulti

ridimensionata al più tenue standard della responsabilità per omessa vigilanza

sull’operatività “ dell’organismo “ oppure, ove l’istituzione di quest’ultimo sia stata

demandata all’amministratore delegato ( o al comitato esecutivo ) , per omessa

vigilanza sull’esercizio del dovere di vigilanza da parte dell’amministratore delegato

nei confronti dell’organismo.

98

Per la definizione puntuale delle componenti del sistema dei controlli si veda il paragrafo 2, Organismo di

vigilanza e sistemi dei controlli, P. Montalenti in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag. 643 ss.

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3.1.3. Sistema Disciplinare

Gli enti sono tenuti a redigere un sistema disciplinare volto a sanzionare le violazioni al

Modello. Il decreto non offre alcuna indicazione specifica in merito alle caratteristiche

che tale sistema deve avere, introducendo previsioni estremamente generali, ma è

chiaro nel prevedere all’art. 6 comma 2 lettera e) che l’ente deve introdurre un sistema

disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

E’ certo però che il Sistema Disciplinare, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti,

dovrà essere redatto secondo i principi previsti dallo Statuto dei Lavoratori L. 300/70 e

dal Contratto Collettivo Nazionale applicato al singolo lavoratore.

Per quanto riguarda gli Amministratori, sarà lo stesso CdA a determinare, mediante

delibera, il contenuto delle sanzioni.

Nella redazione del sistema disciplinare non viene omesso di prevedere sanzioni anche

per figure che pur non essendo dei potenziali “ rei “ in quanto né lavoratori dipendenti,

né amministratori, possono in qualche modo indurre il compimento del reato da parte di

questi ( ad esempio fornitori, procacciatori d’affari, ecc..). La sanzione sarà prevista a

mezzo clausola contrattuale in genere del tipo “ clausola risolutiva espressa “ .

3.2 Le componenti del “ Modello 231 “ delegate dal legislatore

all’autonomia privata

L’art. 6 comma 3 del decreto introduce l’ambito di applicazione che è demandato

all’autoregolazione delle imprese sancendo che “ I modelli di organizzazione e di

gestione possono essere adottati, garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di

codici di comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti,

comunicate al Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può

formulare, entro 30 giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati “.

.Avendo sviluppato nel primo capitolo il tema del codice etico ed avendo dato conto,

con l’ausilio dei risultati emersi dalla ricerca condotta dalla Fondazione Unipolis,

dell’applicazione di tale strumento da parte di un campione di imprese italiane, nel

paragrafo successivo ci si limiterà all’esposizione dell’interpretazione conseguente

all’articolo del decreto sopra citato.

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3.2.1. Il Codice di Comportamento Categoriale

Come precedentemente specificato, il decreto riconosce agli enti la facoltà di elaborare

i propri Modelli sulla base di codici comportamentali predisposti dalla propria

associazione rappresentativa previa verifica da parte del Ministero, secondo quanto

stabilito dall’art. 6 comma tre : “ I modelli di organizzazione e di gestione possono

essere adottati garantendo le esigenze di cui al comma 2, sulla base di codici di

comportamento redatti dalle associazioni rappresentative degli enti, comunicati al

Ministero della giustizia che, di concerto con i Ministeri competenti, può formulare

entro trenta giorni, osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire reati 99”.

La lettura di questo comma ha sollevato fin dall’emanazione del decreto talune

questioni. Infatti ci si chiede quali siano innanzitutto le associazioni rappresentative

degli enti e quali siano i Ministeri chiamati in concerto con il Ministero di giustizia a

verificare i codici comportamentali, quale valore hanno le loro osservazioni in merito

all’idoneità del Modello e qual è il ruolo di tale osservazione nel processo valutativo

del giudice?

Inoltre ci si chiede come deve valutarsi il comportamento dell’ente collettivo che

proceda personalmente all’elaborazione di un modello, ignorando o disapplicando il

codice comportamentale proposto dall’associazione di appartenenza 100 . La

conseguenza di tali dubbi fu che di fatto si arrivò ad una “ percezione distorta e

pericolosamente fuorviante 101 “in merito alla funzione del documento redatto dalle

associazioni di categoria. Infatti si fece strada l’interpretazione che attribuiva al codice

di comportamento, una volta validato dal Ministero, l’effetto esimente da

responsabilità dell’ente che lo avesse fatto proprio. Di fatto si è inteso il codice

comportamentale di categoria quale sostituto del Modello ovvero si è inteso il codice

99

“ Sin dalla promulgazione del D. lgs 231/2001, tale norma ha richiamato l’attenzione degli operatori più per quanto ometteva di dire e puntualizzare, che per il suo disposto. E’ risultato subito evidente che l’efficacia esentiva di tali codici categoriali, sebbene “ validati “ amministrativamente dal Ministero, dovesse – al pari di quelli personalmente elaborati – restare condizionata al giudizio ex post di idoneità anticrimine rimesso al giudice penale, esclusivamente competente ad accertare la conguità del modello adottato in relazione al reato comunque verificatosi e , in caso positivo, ad accordare l’esimente da responsabilità amministrativa“. S.Bartolomucci, Corporate governance

e responsabilità delle persone giuridiche, modelli preventivi ad efficacia esimente ex d.lgs 231/2001, Milano, 2004, pag. 228 100

Il Gruppo Enel ha adottato un Modello e pur non rivestendo il carattere soggettivo di “ associazione rappresentativa” lo ha inoltrato al Ministero della Giustizia per l’esame e la validazione. S.Bartolomucci, Corporate

governance e responsabilità delle persone giuridiche, modelli preventivi ad efficacia esimente ex d.lgs 231/2001, Milano, 2004, pag. 228 101

S. Bartolomucci, Corporate governance e responsabilità delle persone giuridiche, modelli preventivi ad efficacia

esimente ex d.lgs 231/2001, Milano, 2004, pag. 229

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110

stesso quale modello standard di organizzazione e gestione per tutti gli enti

compartecipi alla medesima associazione.

Taluni di questi dubbi sono stati chiariti dal Regolamento attuativo, D.M. n. 201 del 26

giugno, infatti a due anni dal D.lgs 231/2001, il Ministero della Giustizia emana il

succitato decreto dal titolo “ Regolamento recante disposizioni regolamentari relativi al

procedimento di accertamento dell’illecito amministrativo delle persone giuridiche,

delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, ai sensi dell’art.

85 del decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231 ”.

Di fatto il decreto è composto da pochi articoli destinati all’organizzazione dei

competenti uffici giudiziari , a regolare la formazione e la tenuta dei fascicoli e dei

registri relativi ai procedimenti di accertamento della responsabilità amministrativa

degli enti collettivi. Tre articoli, il 5,6 e 7 definiscono l’iter amministrativo del

facoltativo interpello ministeriale sulla conformità dei codici comportamentali di settore

al fine della loro validazione. Il decreto però non fornisce risposte definitive in merito

al quesito posto sul codice di comportamento ma offre nuovi spunti interpretativi per

una più chiara lettura del terzo comma dell’art. 6 del D. lgs 231/2001.

Per prima cosa è confermato che siano oggetto specifico della consultazione le

guidelines proposte dall’associazione di categoria ovvero le direttive e raccomandazioni

generalmente rivole a tutti gli associati per l’elaborazione dei loro modelli e non certo

un “ modello penal – preventivo “ di categoria valido, efficace e presuntivamente

congruo a configurarne l’efficacia esimente della responsabilità amministrativa per

l’ente che lo adotta. Di conseguenza si sollevano i dubbi in merito al fatto che rimane in

capo al singolo associato l’onere della materiale elaborazione del “ proprio “ modello e

del conseguente rischio circa la sua conformità e congruenza nonostante le prescrizioni

categoriali. Pertanto il codice, debitamente validato dal Ministero, potrà supportare

l’associato ma non esentarlo preventivamente e certamente dai rischi di incongruità del

modello che andrà ad implementare conformandosi al codice di categoria poiché solo

l’accertamento giudiziale della reale attitudine anti – reato varrà all’ente la concessione

del beneficio dell’esimente da responsabilità.

A ben vedere sono molteplici le ragioni che confermano l’inadeguatezza di un

eventuale codice di categoria standard effettivamente in grado di perseguire gli

obiettivi penal - preventivi richiesti dal decreto:

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111

- la caratteristica di infungibilità che caratterizza i vari enti associati è incompatibile

con l’applicazione tout court di previsioni e soluzioni generalizzate

- il codice originariamente emesso risulta necessariamente provvisorio poiché la sua

completezza dipende dall’aggiornamento costante in coincidenza con l’intervenuta

novellazione del numerus clausus di reati – presupposti che chiederanno la ripetizione

della procedura di validazione ministeriale

- lo specifico assetto organizzativo e gestorio dei singoli enti, favorita dalle opzioni

introdotte dalla riforma del diritto societario, richiede la specifica calibrazione del

modello

Alla luce di tali considerazioni si ipotizzano due obiettivi ultimi del legislatore circa la

predispostone del codice di comportamento da parte delle associazioni di categoria ed il

relativo vaglio da parte del Ministero :

1. promuovere l’azione anti - reato svolta dalle associazioni di categoria

attraverso la sensibilizzazione dei propri associati all’adeguamento alle

prescrizioni del D. lgs 231/2001 e al contempo

2. selezionare le associazioni di categoria effettivamente rappresentative, le sole

legittimate a predisporre codici “ accreditati “, impedendo l’affollamento di

associazioni di facciata nonché la divulgazione di linee guida inadeguate se non

pregiudizievoli agli enti associati.

3.2.2. Formazione e informazione dei destinatari delle prescrizione

del “ Modello 231 ”

Istituire un modello penal – preventivo con l’obiettivo di incidere sulla condotta dei

suoi destinatari non può che avere come prerogativa l’adeguata formazione e

informazione circa il suo contenuto.

E’ fondamentale che i destinatari abbiano conoscenza in merito ai vari contenuti ( reato

– presupposto, sanzioni, esonero responsabilità, ecc..) della disciplina introdotta nel

nostro ordinamento dal d.lgs 231/2001 e delle attività implementate dall’ente al fine di

prevenire tali reati contestualmente alle sanzioni disciplinari rivolte ai destinatari che

non si atterranno alla condotta preventiva. Secondo me l’attività di formazione e

informazione rappresenta un importante elemento per l’autosostenibilità del Modello la

cui introduzione se non fosse accompagnata da una adeguata attività formativa e

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112

informativa rischierebbe di essere percepita come l’ imposizione a tenere una

determinata condotta o a svolgere una determinata mansione in un determinato modo da

parte vertice con il rischio di demotivare i destinatari dall’adottare tali comportamenti.

Un’adeguata attività formativa e informativa consente invece di diffondere sia i principi

etici valorizzati dall’ente sia le modalità di comportamento ritenute adeguate al fine di

perseguire tali principi102 . Si crea così una cultura comune all’interno dell’ente che

rafforza il senso di appartenenza dei vari attori all’ente stesso e favorisce la

convergenza del comportamento dei singoli verso il modello di comportamento di

riferimento.

4. Elaborazione ed adozioni dei Modelli. Cenni

Come ribadito più volte, si rileva la mancata definizione di un modello legale standard

ed è opportuno ricordare che nel di fatto il modello non consta nell’esistenza di un

unico documento bensì dell’insieme degli strumenti già menzionati.

Il legislatore nella norma definisce e prescrive le sole “ funzioni “ ovvero le esigenze a

cui deve rispondere il modello senza fornire alcuna indicazione in merito alle modalità

della sua elaborazione ed al suo contenuto. Ciò è conseguenza della logica

dell’adozione volontaria di un apparato penal – preventivo conforme alla realtà

dell’ente che lo redige, e a tale riguardo, ricordiamo che l’ente nel momento in cui

assume la decisione di implementare il modello ex d.lgs 231/2001 assume un onere e

non sta obbedendo ad un obbligo imposto dalla legge 103.

102

In merito alla funzione dello strumento formativo, mi trovo pienamente concorde con il contenuto delle Linee Guida per il Management redatte nell’ambito del Progetto Q –Res: la qualità della responsabilità etico – sociale d’impresa, Ottobre 2001, CELE – Centre for Ethics, Law & Economics, PAG. 30: “ Gli obiettivi della formazione etica in azienda riguardano tanto le azioni e le decisioni individuali quanto l’organizzazione nel suo complesso. A livello individuale la formazione etica è finalizzata a creare la consapevolezza dei problemi e dei giudizi morali impliciti nelle scelte economiche,…,favorire la crescita di abilità di decisione morale “ allenando “ i decisori ad esercitare il giudizio morale in ogni decisione aziendale,..”. A livello organizzativo la formazione etica ha per obiettivo : promuovere e rafforzare la “ cultura d’impresa “ e l’adesione alla visione etica d’impresa da parte di dirigenti, collaboratori e neo assunti, far conoscere il codice etico, le norme, le regole e le procedure interne cui attenersi, far emergere il “ consenso morale “, nella prospettiva del contratto sociale soggiacente alla visione, ai principi, alle norme ( codice etico ),….” 103

“ L’obbligo è una situazione giuridica passiva polarizzata verso l’archetipo del dovere, connotata dal carattere della necessità di una condotta. L’onere è una situazione giuridica anfibia, connotata in pari tempo dai caratteri della necessità e della libertà, si che il titolare di essa per ottenere effetti giuridici a sé favorevoli deve conformare la propria condotta a specifiche regole giuridiche. “ Così .P.Ielo, Giudice del Tribunale di Milano, Paper

dell’incontro di studio sul tema: “La responsabilità degli enti estesa ai reati di omicidio e lesioni colpose

per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro dalla legge 123/2007 “ promosso dall’Ufficio per gli Incontri di Studio del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 2008

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Infatti il decreto all’art. 6 comma due lettera a) prescrive che una delle esigenze del

modello è quella di “ individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi

reati “. Tale attività, definita c.d. “ mappatura dei rischi “ o Risk Assessment è volta

alla concreta rilevazione in ambito aziendale delle specifiche aree di rischio – reato

riguardante non tutte le ipotesi di cui al numerus clausus, bensì solo a quelle ritenute

potenzialmente verificabili. La lettera b) dello stesso comma prescrive che il modello

deve “prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione

delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire” mettendo ancora in evidenza

la “personalizzazione” del modello ai reati potenziali e dunque all’attività specifica

dell’ente nei suoi diversi ambiti. Per quanto riguarda la vigilanza sull’applicazione dei

protocolli di prevenzione, ne abbiamo già menzionato in precedenza trattando

dell’OdV.

Il modello, nonostante il termine fuorviante, si configura quindi come un impianto

articolato e complesso composto di regole, precauzioni, procedure, cautele, controlli ed

adattamenti in grado di renderlo idoneo alla gestione dei rischi di reato rilevanti per

l’attività dell’ente, nonché di fornire un’identità e funzionalità etica all’ente stesso. A

ben osservare la struttura del modello può essere distinta in una parte “generale” e in

una parte “speciale”. Mentre nella prima vengono illustrati i contenuti del D. lgs

231/2001 (natura, destinatari e finalità del modello, procedure di adozione e di

modifica, configurazione dell’OdV, sistema disciplinare), nella seconda si definiscono

le misure preventive e le prescrizioni comportamentali idonee a gestire i rischi rilevati.

Per quanto concerne invece il contenuto, il modello si compone di tre elementi destinati

ad integrarsi e coordinarsi funzionalmente nel perseguimento di un comune intento

ovvero del Codice di comportamento , dei Protocolli ovvero delle regole

comportamentali standardizzate in funzione preventiva dei reati e di un sistema

disciplinare destinato ad essere applicato nei casi di mancata osservanza del modello.

Di seguito se ne riporta il contenuto:

- Codice di comportamento : è il documento nel quale l’ente definisce e

proclama i principi, i valori, le attitudini che lo caratterizzano ed in cui si

riconoscono tutti i soggetti che in essa operano. Il codice ha la funzione di

uniformare ed omogeneizzare i singoli comportamenti, di rendere compatibile e

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sinergico il perseguimento del fine lucrativo con il rispetto della legalità nonché

di definire una missione e visione condivise.

- Protocolli : rappresentano degli standards comportamentali cui devono

uniformarsi taluni soggetti operanti in delimitati ambiti aziendali ovvero

coinvolti nell’esecuzione di specifiche funzioni e procedure per le quali sia

stata accertata una potenzialità ovvero una sensibilità alla commissione di un

reato presupposto.

- Sistema disciplinare: strumento a supporto dell’efficace applicazione del

modello poiché è volto a sanzionare il mancato rispetto delle misure prescritte (

lettera e) comma 2 art. 6 del decreto ). L’apparato sanzionatorio è coerente con

la funzione di vigilanza e di costante monitoraggio da parte dell’OdV.

Per quanto attiene le fasi di costruzione del modello, possono essere individuati i

seguenti step:

a) Definizione dei principi etici

b) Process assessment

c) Risk assessment

d) Risk management

e) Definizione ( revisione se esistente ) di un idoneo sistema sanzionatorio

f) Nomina ed attivazione dell’Organismo di Vigilanza

g) Adozione e condivisione del modello

h) Attivazione dei canali informativi e di coordinamento tra gli organismi societari

di gestione e di controllo e l’OdV ( eventualmente anche OdV di Gruppo)

i) Attività di follow –up per la verifica dell’effettività ed efficacia del modello

implementato

5. La responsabilità degli amministratori della società di capitale

alla luce dei precetti dell’art. 2381 c.c. : cointeressenze con le

disposizioni del d.lgs 231/2001

Come accennato nei paragrafi precedenti, la riforma delle società di capitali e in

particolare il novellato art. 2381 stabilisce che il consiglio di amministrazione “ sulla

base delle informazioni ricevute, valuta l’assetto organizzativo, amministrativo e

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contabile della società” e che “ gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo,

amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa ”.

A chiarire il significato dell’art. 2381 sono molto efficaci le parole di Maddalena

Rabitti104 : “ al dovere degli amministratori di perseguire “ l’interesse sociale” che

rappresenta, ad un tempo, l’obiettivo cui tradizionalmente tendono gli amministratori e

il parametro di riferimento dell’operato degli stessi, viene così affiancato un nuovo

dovere, sempre di carattere generale, volto a perseguire un diverso interesse che

potremmo definire più propriamente “ imprenditoriale”, che pone un legame di

dipendenza tra scelte gestionali e struttura organizzativa della società, variabile in

relazione alle dimensioni e alla complessità della società.”

E’ opportuno evidenziare che quanto sancito dall’art. 2381 costituisce un vero e proprio

obbligo della cui inosservanza, scrive Vincenzo Buonocore105, i gestori possono essere

chiamati a rispondere nei confronti sia dei soci sia delle componenti esterne all’impresa

come fornitori, consumatori, clienti.

Per quanto attiene il presente elaborato è interessante indagare se il principio di

adeguatezza dell’assetto organizzativo sancito dall’art. 2381 ha una qualche attinenza

con il principio di adeguatezza introdotto dal comma 6 del d.lgs 231/2001.

Buonocore evidenzia infatti che tra le fonti normative che richiamano il principio di

adeguatezza si annovera anche il d.lgs 231/2001 ma anche le norme regolamentari, i

codici individuali e collettivi di autodisciplina, come quelli previsti dallo stesso decreto

e le linee guida contenute in tali codici che, sebbene generali ed astratte, scrive

l’Autore, traducono in norme giuridiche non certo primarie principi che provengono

dalla scienza dell’organizzazione aziendale con la conseguenza che nel valutare la

responsabilità dell’ente il giudice dovrà preliminarmente accertare l’efficacia del

modello di organizzazione in concreto adottato, utilizzando come parametri proprio i

criteri aziendalistici. Buonocore specifica che pur non essendovi sinonimia tra “ assetto

organizzativo “ e “ organizzazione ” la disposizione introdotta dall’art. 2381 riporta in

posizione di preminenza l’organizzazione, confermando le affermazioni degli altri

giuristi di cui si è dato conto nei paragrafi precedenti. L’ambito del tema

104

M. Rabitti, Rischio organizzativo e responsabilità degli amministratori , Milano, 2004 105

V. Buonocore, Adeguatezza, precauzione. Gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto,

del codice civile in Giurisprudenza Commerciale, 2006, I, pag.5 ss.

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dell’adeguatezza che qui ci interessa è dunque quello collegato al tema della

responsabilità, in particolare alla responsabilità da “ inadeguatezza” organizzativa.

Il tema diventa interessante se concretamente applicato al contesto della responsabilità

del consiglio di amministrazione e degli organi delegati nell’eventualità che l’ente sia

condannato ai sensi del d.lgs 231/2001. L’ente condannato manifesta infatti la mancata

adozione o l’inefficace attuazione del Modello 231 evidenziando dunque mancanze

“organizzative” Ho cercato tra le sentenze di primo grado una sentenza che

confermasse il fatto che i precetti dell’ 2381 c.c. rappresentano strumento di ristoro a

disposizione delle parti lese da esercitare nei confronti del consiglio di

amministrazione o degli organi delegati.

Ho trovato la sentenza del 13 Febbraio 2008 del Tribunale di Milano.

5.1 La sentenza del Tribunale di Milano del 13 Febbraio 2008: il

commento di Vincenzo Buonocore

La sentenza in oggetto risolve la causa legale tra una la società , precedentemente

condannata ai sensi del d.lgs 231/2001, e l’amministratore della società. In particolare

si discute in giudizio in merito alla responsabilità dell’amministratore per inadeguata

attività amministrativa per aver omesso di adottare modelli organizzativi adeguati, ed in

particolare quelli previsti dal d.lgs 231/2001 . L’amministratore, è opportuno

specificare, ha subito condanna a pena detentiva per i reati commessi e per i quali è

stata accertata la responsabilità ai sensi ex d.lgs 231/2001 della società.

Il Tribunale accoglie da domanda della società e riconosce la responsabilità in capo

all’amministratore per l’omessa adozione di un adeguato modello organizzativo.

Questo sommariamente l’oggetto e l’esito del giudizio. E’ interessante dar conto dei

tratti principali del commento di Vicenzo Buonocore106 alla sentenza.

Buonocore è infatti convinto che il Tribunale pur non richiamando la norma

dell’art.2381 c.c. di essa ha fatto sostanziale applicazione facendosi, però, scrive,

espressamente guidare dalle disposizioni contenute nel d.lgs 23172001 perché attinenti

alla fattispecie sottoposta al suo esame.

106 V. Buonocore , Commento alla sentenza Tribunale di Milano, 13 Febbraio 2008 in merito alla responsabilità da inadeguatezza organizzativa in Giurisprudenza Commerciale, 2009, pag.177 ss.

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In particolare Buonocore afferma che la sentenza mette in luce alcune evidenze che gli

permettono di avanzare le seguenti previsioni:

a) La prima evidenza passa attraverso la individuazione di compiti, poteri e doveri

di chi deve creare od osservare, se previamente delineato dalla legge, il modello

“adeguato”. Non è detto che tali soggetti debbano essere necessariamente gli

amministratori, i quali dovranno essi stessi a loro volta essere “adeguati” e

dovranno compiere scelte adeguate nei settori di loro competenza. In termini più

chiari, niente impedirà, negli eventuali giudizi contro la società, di risalire agli

amministratori, se l’inadeguatezza, in uno dei settori indicati, dipenda dalla loro

gestione, ma, trattandosi di responsabilità dell’impresa, nulla impedirà che la

ricerca del responsabile si fermi a quell’ufficio che, adeguatamente strutturato,

aveva ilo compito di curare un settore determinato e soprattutto che il

“processo” abbia come “oggetto” l’accertamento dell’adeguatezza

dell’organigramma e del funzionigramma sul piano oggettivo e su quello

soggettivo.

b) La seconda evidenza consiste nella valorizzazione del controllo come momento

di verifica del precetto dell’adeguatezza. Infatti con l’art. 2403 c.c. il legislatore

affida ai delegati la funzione di “curare” che l’assetto organizzativo,

amministrativo e contabile sia “ adeguato “alla “natura” e alle “dimensioni”

dell’impresa, ai deleganti ha affidato la “ valutazione” del modello creato dai

deleganti, affidando loro sostanzialmente una funzione di controllo.

c) La terza evidenza riguarda i giudici, nel senso che l’adeguatezza, soprattutto se

considerata insieme ad altre prescrizioni contenute nell’art. 2381, quali ad

esempio quelle relative ai piani strategici e alla valutazione del generale

andamento della gestione e delle prospettive di questa, fungerà sempre più da

parametro per l’accertamento della responsabilità d’impresa e, in secondo

luogo, che valutare il tasso di adeguatezza, di qualunque specie essa sia,

significa esercitare un potere che comporta un’ampia discrezionalità in capo al

titolare del potere stesso.

Buonocore afferma inoltre che questa sentenza permette di dare un fondamento più

consistente a chi ha formulato la previsione sulla pervasività o la potenzialità invasiva

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del principio di adeguatezza nelle azioni di responsabilità nei confronti degli

amministratori.

Riportando quanto scritto da Maddalena Rabitti107, l’attività degli amministratori si

compone, dunque, di due momenti significativi: l’organizzazione e la vigilanza. Essi,

pertanto, possono essere chiamati a rispondere:

a) se non hanno creato una organizzazione efficiente:

b) se non verificano che, anche in concreto, vi sia lo scambio delle informazioni

dovute (attività volta a favorire l’attività di vigilanza)

6. Modello di Organizzazione e Controllo ai sensi del d.lgs

231/2001 può contribuire a promuovere lo sviluppo e la

diffusione della Responsabilità Sociale nell’Impresa?

Ho concluso il primo capitolo lasciando in sospeso il quesito titolo del presente

paragrafo poiché ritenevo opportuno, approfondire la disciplina del decreto prima di

rispondere.

Partiamo dal presupposto, ovvio, che i reati contemplati dal decreto non collimano con

il comportamento di una persona o impresa socialmente responsabile e che comunque

essere socialmente responsabili non implica esclusivamente non commettere tali reati.

Il Modello di Organizzazione e Controllo 231 si riferisce di fatto ad un insieme di

componenti che devono essere orientati alla prevenzione dei reati : l’organizzazione

aziendale , le procedure interne di organizzazione, gestione e controllo del business, le

politiche di comportamento. La normativa consente espressamente che le

Organizzazioni imprenditoriali di riferimento possano emanare delle Linee Guida per la

costruzione di questi modelli organizzativi. Confindustria ha quindi emanato le Linee

Guida che introducono i seguenti principi di controllo:

Gli elementi qualificanti del Modello disciplinati dal d.lgs 231/2001 sono i seguenti:

1. Mappatura aree di rischio aziendali

2. Piano di miglioramento del sistema di controllo interno ( processi e procedure )

e requisiti organizzativi

107

M. Rabitti , Rischio organizzativo e responsabilità degli amministratori, Milano, 2004

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3. Organismo di Vigilanza che ha il compito di vigilare sul funzionamento e

l’osservanza dei modelli, di curare il loro aggiornamento. Possiede autonomi

poteri di iniziativa e controllo.

4. Sistema disciplinare che preveda sanzioni specifiche per le violazioni del

Modello

5. Flussi informativi verso l’OdV che a sua volta deve rendere conto all’organo di

gestione dell’impresa.

Gli elementi qualificanti del Modello indicati dalle Linee Guida di Confindustria

sono i seguenti:

1. Codice etico ( o di comportamento )

2. Formazione personale ed adeguata informazione.

3. Adeguamento del Codice alle variazioni del d.lgs 231/2001 a cura

dell’Organismo di Vigilanza

Da questa prima suddivisione si evince l’importanza delle indicazioni delle Linee

Guida di Confindustria al fine di rafforzare la capacità del Modello di “autosostenersi”.

Mi spiego meglio. Il decreto stabilisce i precetti a cui l’ente si deve attenere affinché il

Modello organizzativo sia esimente della responsabilità a carico dell’ente. Attenzione

perché il decreto si prefigge di disciplinare procedure organizzative entrando così

attraverso la sfera organizzativa e gerarchica dell’impresa nella sfera personale degli

individui parte dell’organizzazione, nell’ambito del loro comportamento che di fatto è

legato alla loro cultura, al loro modo di interpretare il rapporto con gli altri e con

l’impresa. Pertanto, se i contenuti delle procedure organizzative e gestionali non sono

“chiari” al destinatario o, nel peggiore dei casi, non sono “ riconosciuti” poiché non li

sente propri, saranno difficilmente praticati con il conseguente fallimento del Modello

organizzativo, vanificando gli sforzi del legislatore volti ad introdurre meccanismi

organizzativi e comportamentali penal - preventivi . Le Linee Guida di Confindustria

integrando le componenti del Modello 231 previsto dal decreto con il Codice etico, i

percorsi formativi e informativi forniscono una possibile soluzione all’eventuale

“rigetto” dei contenuti delle procedure da parte dei destinatari. Infatti il loro scopo è

essenzialmente quello di creare condivisione sui valori ispiratori della norma agendo

nella sfera culturale ed emotiva dei destinatari.

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Queste considerazioni introducono una discriminante importante sull’efficacia del

Modello 231 in quanto mettono in rilievo il fatto che, in assenza di una cultura propria

delle persone destinatarie del Modello che sia coincidente con la cultura che il Modello

vuole promuovere, i precetti del legislatore rimarranno carta straccia ( procedure ) se

l’impresa non saprà dotarsi, attraverso un processo di condivisione, di un Codice Etico

adeguato ed attuare dei percorsi formativi ed informativi volti a colmare il gap tra la

cultura degli individui e la cultura promossa Modello. Secondo me, dunque, gli

elementi introdotti dalle Linee Guida offrono alle imprese gli strumenti di

autoregolazione attraverso i quali porre le basi per un efficace condivisione di valori e

principi etici108 che costituiscono il volano principale attraverso il quale attivare il ciclo

virtuoso volto a garantire l’osservanza del Modello 231. Abbiamo visto che il decreto

prevede una precisa attività di monitoraggio e verifica sull’osservanza del Modello a

cura dell’ Organismo di Vigilanza. La “credibilità” circa l’importanza dell’esito di tale

attività è rafforzata dalla “minaccia credibile” rappresentata dalle sanzioni previste dal

Sistema Sanzionatorio , interno all’ente, a carico dei soggetti che non rispettano il

Modello. La finalità preventiva accomuna dunque le due tipologie di strumenti

rappresentate da una parte dalle Procedure contenenti i Protocolli di prevenzione e

Codice Etico e dall’altra dall’attività di verifica dell’Organismo di Vigilanza e dalle

sanzioni previste nel Codice disciplinare; tipologie di strumenti che insieme,

utilizzando leve diverse quali la prevenzione nel primo caso e la minaccia nel secondo,

concorrono alla sostenibilità del Modello 231. Il rapporto tra i due strumenti sembra

suggerire che un efficiente utilizzo del primo conduce a maggiore efficacia ed

efficienza nell’utilizzo del secondo.

Le imprese hanno stilato il proprio Codice etico, implementato i propri programmi di

formazione e informazione, dato vita ad una struttura organizzativa ad essi dedicata in

modi differenti109 a seconda dell’importanza strategica attribuita alla responsabilità

sociale. Alcune imprese si sono limitate a recepire nei Codici di comportamento le

108 “…..l’idea di preferenze conformiste secondo cui le preferenze degli agenti economici ( lavoratori, consumatori, investitori, ecc.) contengono una componente psicologica basata sul fatto che se i membri di un’organizzazione hanno partecipato ( anche ipoteticamente ) ad un accordo su un codice morale dell’impresa, se si aspettano reciprocamente conformità ai principi del codice da parte degli altri partecipanti all’organizzazione, se essi stessi si conformano, allora la conformità ai principi etici concordati offre loro una componente aggiuntiva di utilità tale da controbilanciare l’incentivo ad approfittare opportunisticamente dell’adesione altrui per non fare la propria parte. Se un dato valore è stato affermato e accettato ( concordato ) allora c’è una preferenza per la sua reciproca osservanza.”. Il contratto sociale tra gli stakeholder dell’impresa alla base della leadeship etica, cioè l’autorità manageriale

legittima , Lorenzo Sacconi, Università di Trento 109Ricerca condotta dalla Fondazione Unipolis e brevemente presentata nel primo capitolo.

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prescrizioni del decreto, altre invece si sono spinte oltre, verso un vero e proprio

Codice Etico cercando una condivisione ed una affermazione di principi ritenuti

fondamentali nella gestione del business.

Il manifestarsi di uno o dell’altro caso implica un diverso sforzo da parte dell’impresa .

Infatti l’impresa che vuole operare in modo socialmente responsabile va oltre

all’adottare un comportamento conforme alla legge impegnandosi a realizzare il proprio

business nel rispetto degli interessi che non sono tutelati dalla legge ma che l’impresa

ritiene degni di tutela secondo la visione multistakeholder. Si impegna a “ convincere”

in primis i propri collaboratori della bontà della sua visione promuovendone la

condivisione, punto di partenza affinché questa poi si rifletta nel loro comportamento.

Tale sforzo non può prescindere da una forte convinzione in merito alla criticità del

ruolo dell’impresa nella società e di un forte senso di autoresponsabilità sociale che

porta l’impresa ad individuare i rischi che possono derivare dalla sua condotta e a

sostenere dei costi per evitare che tali rischi si concretizzino.

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CAPITOLO TERZO

LA PREVENZIONE DEI REATI IN MATERIA DI SALUTE E SICUREZZA SUL

LAVORO NEL MODELLO 231 DELLE SOCIETA’

DEL GRUPPO DOLOMITI ENERGIA

1. Breve presentazione dell’attività de Gruppo Dolomiti Energia S.p.A. 1.1.

L’adozione del d.lgs 231/2001 nel Gruppo Dolomiti Energia SpA 1.2 Fasi di

costruzione del Modello di organizzazione e Controllo ex d.lgs 231/2001 della società

Capogruppo 1.2.1 La valutazione del rischio in Dolomiti Energia : Sintesi del primo

Progetto 231 di sviluppo del Modello di organizzazione e Controllo 231 1.3 Le

componenti del Modello 1.3.1. L’Organismo di Vigilanza 1.3.2. Il Codice di

Comportamento 1.3.3. Il Sistema Disciplinare 1.3.4. Formazione e Comunicazione 2.

La costruzione giuridica della scienza: il pensiero di Federico Stella 110 nell’ambito

della sicurezza e salute negli ambienti di lavoro 2.1 Il reato – presupposto a natura

colposa introdotto nel d.lgs 231/2001 dall’art. 25 septies : il dibattito in dottrina sulla

configurazione del vantaggio e dell’interesse dell’ente nei casi di omicidio colposo o

lesione colpose commessi in violazione delle norme in materia di sicurezza 2.2 L’art.

30 comma cinque del d.lgs 81/2008 : la presunzione di conformità alla prevenzione dei

reati in materia di salute e sicurezza del Modello 231 definito in conformità alle Linee

Guida UNI –INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro (

SGSL ) o al BS OHSAS 18001 : 2007 3. L’aggiornamento del “ Modello 231 “ per la

prevenzione dei reati in materia di salute e sicurezza sul lavoro delle società del

Gruppo DE 3.1 Le fasi del Progetto di implementazione del “ Sistema di gestione per

la Salute e la Sicurezza ” 3.1.2. Individuazione dei Processi di Dolomiti Energia

sensibili ai reati in materia di sicurezza 3.1.3. I Protocolli di prevenzione in materia di

sicurezza 3.1.4. Informazione e formazione in materia di sicurezza 4. Aggiornamento

delle Componenti del “ Modello 231”

CONCLUSIONI

110 F. Stella, La costruzione giuridica della scienza: sicurezza e salute negli ambienti di lavoro in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo II

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1. Breve presentazione dell’attività del Gruppo Dolomiti Energia

Il Gruppo Trentino Servizi nasce nel 1998 per volontà dei Comuni di Trento e Rovereto

( azionisti di riferimento ), dall’unione delle Aziende dei servizi pubblici delle due città.

Il Gruppo fin dalla sua origine è attivo nell’ambito energetico, della gestione dei servizi

ambientali, dei servizi di illuminazione pubblica e nel campo delle energie rinnovabili.

Nel marzo 2009 Trentino Servizi ha assunto il nome Dolomiti Energia in concomitanza

della fusione con la società Dolomiti Energia.

Ad oggi le società di maggior rilievo per sviluppo di business e fatturato sono, oltre alla

Capogruppo Dolomiti Energia Spa attiva nella produzione di energia, distribuzione di

gas e nella fornitura di servizi centralizzati alle società del Gruppo, le società

controllate Set Distribuzione SpA che svolge attività di distribuzione di energia elettrica

e Trenta SpA che acquista e vende energia elettrica, gas, calore, acqua e servizi

ambientali.

Il nuovo scenario organizzativo vedrà nel prossimo gennaio 2010 la costituzione di una

nuova società, la Dolomiti Reti SpA, a cui verrà affidata la gestione della rete gas in

ottemperanza a quanto stabilito dal legislatore comunitario. in materia di Unbundling

funzionale.

1.1. L’adozione del d.lgs 231/2001 nel Gruppo Dolomiti Energia SpA

Il Modello 231 è stato adottato formalmente per la prima volta dalla Società Trentino

Servizi SpA nel marzo 2008 a valle di una significativa attività progettuale di analisi dei

rischi e di implementazione dei protocolli che illustrerò di seguito.

Successivamente, in data 6 Novembre 2009 con delibera del Consiglio di

Amministrazione di Dolomiti Energia SpA il Modello 231 è stato aggiornato in seguito

all’introduzione di misure di prevenzione dei reati in materia di salute e sicurezza

previsti dall’art. 25-septies del d. lgs 231/2001 e dei cd delitti informatici e trattamento

illecito dei dati introdotti previsti dall’art. 24 bis del d.lgs 231/2001

Lo stesso percorso ha seguito il Modello 231 delle due società controllate Set

Distribuzione SpA e Trenta SpA istituito rispettivamente nel mese di luglio e di

dicembre del 2008.

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La decisione del Gruppo è stata dunque quella di istituire un Modello 231 per ciascuna

società e di istituire un Organismo di Vigilanza per ciascuna società , Il Responsabile

Internal Audit della società Capogruppo è membro di ciascun OdV..

Dal documento di sintesi del Modello 231 emerge l’obiettivo delle tre società di “

uniformarsi a quanto disposto dal d.lgs. 231/01 e successive integrazioni, e di garantire

correttezza e eticità 111 nello svolgimento delle attività aziendali .L’adozione del

111 Il significato attribuito al termine eticità è spiegato all’interno del Codice di Comportamento di Gruppo all’interno del quale vengono ribaditi i “ PRINCIPI ETICI A CUI SI ISPIRANO LE ATTIVITÀ E LE RELAZIONI DEL GRUPPO DE “Tutte le azioni svolte e, in generale, i comportamenti posti in essere dai destinatari del presente Codice nello svolgimento dell’attività lavorativa devono essere ispirati e attenersi ai seguenti principi etici:

- Responsabilità; il Gruppo DE ha come principio imprescindibile il rispetto delle leggi, dei regolamenti e, in generale, delle normative vigenti e dell’ordine democratico costituito. Gli amministratori ed i dipendenti del Gruppo, nonché gli altri destinatari del Codice, sono pertanto tenuti a rispettare tale principio ed in nessun caso, è ammesso perseguire o realizzare l’interesse della Società in violazione di leggi.

- Correttezza; il principio della correttezza implica il rispetto dei diritti, anche sotto il profilo della privacy e della tutela della personalità individuale, di tutti i soggetti che risultino coinvolti nella propria attività lavorativa e professionale. Inoltre, gli amministratori ed i dipendenti del Gruppo DE, nonché i Destinatari esterni, devono agire correttamente al fine di evitare situazioni di conflitto di interessi, intendendosi per tali, genericamente, tutte le situazioni in cui il perseguimento del proprio interesse sia in contrasto con gli interessi e la missione del Gruppo. Sono, inoltre, da evitare situazioni attraverso le quali un dipendente, un amministratore o Destinatario esterno possa trarre un vantaggio e/o un profitto indebiti da opportunità conosciute durante lo svolgimento della propria attività.

- Imparzialità; il Gruppo DE vieta ogni discriminazione razziale, di sesso, di nazionalità, di religione, di lingua, sindacale o politica nell’assunzione, nella retribuzione, nelle promozioni o nel licenziamento nonché ogni forma di favoritismo.

- Onestà; gli amministratori ed i dipendenti del Gruppo DE, nonché gli altri Destinatari, debbono avere la consapevolezza del significato etico delle loro azioni e non devono perseguire l’utile personale o aziendale in violazione del presente Codice.

- Integrità; il Gruppo DE non approva né giustifica alcuna azione di violenza o minaccia finalizzata all’ottenimento di comportamenti contrari alla legge e/o al Codice di Comportamento.

- Trasparenza; nell’ambito degli adempimenti istituzionali e normativi del Gruppo, il principio della trasparenza si fonda sulla veridicità, accuratezza e completezza dell’informazione sia all’esterno che all’interno di ciascuna delle Società facenti parte del Gruppo DE.

- Efficienza, professionalità e collaborazione; in ogni attività lavorativa deve essere perseguita l’economicità della gestione e dell’impiego delle risorse aziendali, pur rispettando sempre gli standard qualitativi più avanzati. Ciascun dipendente e amministratore del Gruppo deve garantire impegno e rigore professionale nello svolgimento delle attività in azienda, fornendo apporti professionali adeguati alle responsabilità assegnate, assicurando collaborazione ai colleghi e tutelando l’immagine e la reputazione del Gruppo DE.

- Spirito di servizio; gli amministratori ed i dipendenti del Gruppo DE, nonché gli altri Destinatari, devono orientare la propria condotta, nei limiti delle rispettive competenze e responsabilità, al perseguimento della missione aziendale volta a fornire un servizio di alto valore sociale e di utilità per la collettività, nell’ottica del miglioramento continuo del servizio fornito.

- Concorrenza; il Gruppo DE intende sviluppare il valore della concorrenza adottando principi di correttezza e leale competizione nei confronti degli operatori presenti sul mercato.

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- Rapporti con la collettività e tutela ambientale; il Gruppo DE ha un forte legame con il territorio e, consapevole che le proprie attività incidono sullo sviluppo economico-sociale e sulla qualità della vita del territorio stesso, si impegna nelle attività del Gruppo a migliorare l’impatto presente e futuro sull’ambiente, investendo in innovazione per la tutela delle risorse naturali e la sostenibilità delle fonti energetiche.

- Ripudio di ogni forma di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico; il Gruppo DE ripudia ogni forma di terrorismo e intende adottare, nell’ambito della propria attività, le misure idonee a prevenire il pericolo di un coinvolgimento in fatti di terrorismo, così da contribuire all’affermazione della pace tra i popoli e della democrazia. A tal fine, la Società si impegna a non instaurare alcun rapporto di natura lavorativa o commerciale con soggetti, siano essi persone fisiche o giuridiche, coinvolti in fatti di terrorismo, così come a non finanziare o comunque agevolare alcuna attività di questi.

- Rapporto con i Soci e Salvaguardia del Patrimonio; il Gruppo DE, consapevole dell’importanza del ruolo rivestito dal socio, si impegna a fornire informazioni accurate, veritiere e tempestive sui fatti e sull’andamento aziendale. Costituisce impegno di ciascuna delle società facenti parte del Gruppo DE, e in primis dei rispettivi amministratori, tutelare e accrescere il valore della propria attività, attraverso la valorizzazione della gestione, il miglioramento continuo degli standard negli impieghi produttivi e il mantenimento del patrimonio, nel pieno rispetto delle regole in essere.

- Risorse Umane; il Gruppo DE è consapevole che il funzionamento dell’organizzazione ed il raggiungimento degli obiettivi dipende dall’apporto fondamentale di tutto il personale. Il Gruppo pone quindi grande attenzione alle risorse umane:

· alimentando lo spirito del lavoro di squadra; creando i presupposti per lo sviluppo delle potenzialità di ogni persona; condannando comportamenti discriminatori; motivando e coinvolgendo il personale nello sviluppo dei progetti e nella realizzazione degli obiettivi; offrendo le opportunità, in ambiente di lavoro e attraverso piani di formazione, per una crescita delle competenze, delle conoscenze e delle capacità; creando uno stato emotivo ed un clima relazionale basato sulla lealtà, sulla correttezza e sul rispetto delle personalità, del pensiero e delle opinioni di ogni individuo; creando ed alimentando un clima gestionale che sappia motivare, riconoscere e gratificare il contributo a livello di squadra e di singolo individuo; tutto questo nel rispetto della normativa vigente in materia di diritti della personalità individuale.

· assicurando che il processo di selezione venga svolto valutando il candidato in base alla corrispondenza del profilo rispetto alle esigenze espresse dalla singola Società, nel rispetto delle pari opportunità fra i candidati e della normativa in materia di rapporto di lavoro. L’assunzione del personale avviene sulla base di regolari contratti di lavoro, non essendo ammessa alcuna forma di rapporto lavorativo non conforme o comunque elusiva delle disposizioni vigenti.

· tutelando la personalità individuale; il Gruppo DE riconosce l’esigenza di tutelare la libertà individuale in tutte le sue forme e ripudia ogni manifestazione di violenza, soprattutto se volta a limitare la libertà personale, nonché ogni forma di violazione della dignità del singolo individuo. Il Gruppo si impegna a promuovere, nell’ambito della propria attività ed in primis tra i propri dipendenti, collaboratori, fornitori e partner, la condivisione dei medesimi principi. I dipendenti che ritengano di aver subito discriminazioni possono riferire l’accaduto all’Organismo di Vigilanza111 e/o al proprio responsabile che procederà ad accertare l’effettiva violazione del Codice di Comportamento. Non costituiscono discriminazioni quelle differenze di trattamento economico e professionale connesse alla normale gestione e sviluppo delle risorse umane. Il Gruppo DE contrasta al proprio interno ogni forma di mobbing sia orizzontale sia verticale.

· tutelando la privacy dei dipendenti; il Gruppo DE tutela la privacy dei propri dipendenti, secondo le norme vigenti in materia, impegnandosi a non comunicare né diffondere, fatti salvi gli obblighi di legge, i relativi dati personali senza previo consenso dell’interessato. L’acquisizione, il trattamento e la conservazione di dette informazioni avviene all’interno di specifiche procedure volte a impedire che persone non autorizzate possano venirne a conoscenza.

· stabilendo che i rapporti tra i dipendenti, a tutti i livelli, siano improntati a criteri e comportamenti di correttezza, collaborazione, lealtà e reciproco rispetto.

- Salute, Sicurezza e Ambiente; nell’ambito delle proprie attività, il Gruppo DE si impegna a tutelare l’integrità morale e fisica dei propri dipendenti e collaboratori presenti in azienda, avviando iniziative volte a promuovere

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Modello è finalizzata da un lato a determinare piena consapevolezza presso i soci,

amministratori, dipendenti e collaboratori della società delle disposizioni e delle

relative conseguenze del d.lgs. 231/01; dall’altro, grazie ai protocolli identificati e

all’attività di vigilanza istituita, a poter prevenire e / o reagire tempestivamente al fine

di impedire la commissione dei reati definiti nel citato decreto.”

A conferma di quanto evidenziato nel secondo capitolo, il Modello 231 si può dunque

definire come un complesso organico di principi, regole, disposizioni, schemi

organizzativi e connessi responsabilità e poteri, funzionale alla diligente gestione di un

l’adozione di comportamenti responsabili e sicuri e assicurare l’attuazione di tutte le misure di sicurezza fornite dall’evoluzione tecnologica per garantire un ambiente lavorativo sicuro e salubre, nel pieno rispetto della normativa vigente in materia di prevenzione e protezione.

- Cliente; la conoscenza dei bisogni dei cittadini e il legame con il territorio sono i riferimenti primari dell'attività aziendale, che mira alla soddisfazione dei clienti e all'integrazione e al miglioramento continuo della qualità dei servizi. Per questo motivo il Gruppo DE ritiene fondamentale avere un contatto diretto con il cliente e creare un rapporto professionale ispirato alla fiducia, disponibilità, flessibilità, chiarezza, attenzione e affidabilità. Il Gruppo DE si impegna a non discriminare i propri clienti ed a soddisfarli in adempimento agli obblighi fissati dalle convenzioni, dagli accordi e dalla normativa vigente in materia. I contratti e le comunicazioni con i clienti devono essere chiari e in linea con la normativa dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (A.E.E.G.), formulati con il linguaggio più vicino possibile a quello della clientela diffusa e conformi alle normative vigenti e alle indicazioni delle Autorità. Il sistema di verifica e risoluzione dei reclami attuato nei confronti dei clienti deve permettere che le informazioni siano fornite attraverso una comunicazione, sia verbale che scritta, costante e tempestiva. Le prestazioni ai clienti vengono di norma fornite in base all’ordine d’arrivo delle richieste, pur valutando e motivando casi d’urgenza a cui assegnare priorità rispetto alle altre richieste. Il Gruppo ha inoltre introdotto indicatori volti a monitorare l’efficienza dei rapporti con la clientela.

- Fornitori; il coinvolgimento dei fornitori nel rispetto degli standard di qualità, ambientali e di sicurezza è fondamentale per costruire con loro un rapporto propositivo e di cooperazione che consenta di prevenire i rischi connessi all’attività aziendale e di tutelare l’ambiente. Il Gruppo DE si impegna ad individuare i propri fornitori nel rispetto delle norme vigenti e delle procedure interne, in base a valutazioni relative alla competitività, alla qualità, alla solidità, alle condizioni economiche praticate e agli adempimenti in materia di sicurezza e ambiente. Il fornitore sarà selezionato, fra gli altri requisiti, anche in considerazione della capacità di garantire il rispetto del presente Codice di Comportamento.

- Cooperazione attiva e piena con le Autorità, i Soggetti pubblici e gli Organi di Vigilanza; i dipendenti e gli amministratori del Gruppo DE devono tenere nei rapporti con la PA e gli organi di vigilanza un comportamento etico, trasparente, corretto e cooperativo.

- Rapporti con gli stakeholder (soggetti "portatori di interessi" nell’azienda); instaurare un clima positivo, corretto e trasparente nei confronti di tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione della missione aziendale ed i cui interessi risentono delle modalità con cui l’azienda persegue il raggiungimento della stessa risulta fondamentale per garantire e proteggere la reputazione e la credibilità che il Gruppo DE ha saputo conquistarsi negli ambiti locali, regionali e nazionali in cui opera.

- Separazione di ruoli e poteri; il Gruppo DE si impegna al fine di garantire al proprio interno il principio della separazione di ruoli e poteri tra chi esegue, chi verifica e chi approva e, con particolare riferimento ai principali processi di gestione delle provviste, tra chi chiede l’assunzione di una persona o l’acquisto di un bene (funzioni aziendali), chi ne gestisce la ricerca e l’assunzione o l’acquisto (rispettivamente funzione Risorse Umane e funzione Approvvigionamenti) e chi assicura il pagamento del personale o dei beni ricevuti attraverso l’utilizzo delle risorse finanziarie (funzione Amministrazione). A tal fine sono state progettate e attuate procedure interne finalizzate alla gestione corretta, trasparente e verificabile dei principali processi di gestione delle provviste.

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sistema di controllo e monitoraggio dei processi sensibili al fine di prevenire,

all’interno di tali processi, la commissione, anche tentata, dei reati previsti dal d.lgs.

231 e successive integrazioni. La finalità preventiva del Modello si esplica sia nei

confronti di soggetti in posizione “apicale” sia di soggetti sottoposti all’altrui direzione

operanti in nella società ( rif.to criterio oggettivo n .2 presentato nel capitolo secondo

par. 2.3 ).

Dalla lettura del documento emerge inoltre chiaro il riferimento, nella predisposizione

del Modello 231, sia al d.lgs. 231/01 e successive integrazioni sia alle Linee Guida di

Confindustria . Infatti il documento precisa che il Modello 231:

� identifica e valuta i rischi aziendali in relazione ai reati ex 231 e successive

integrazioni;

� progetta, valuta e implementa un sistema di controllo preventivo;

� adotta un codice etico e il relativo sistema sanzionatorio;

� individua un organismo di vigilanza permanente.

Viene inoltre posta l’attenzione sul fatto che la definizione e l’adozione del Modello

231 rappresenta l’approdo dell’attività di analisi e valutazione del rischio (risk

assessment) e di verifica delle carenze (gap analysis), sintetizzata nei punti sopra citati

e svolta nel corso di un progetto dedicato che ha coinvolto il Vertice aziendale, la

funzione Internal Audit e tutte le funzioni aziendali responsabili di aree e processi

sensibili ai reati definiti nel citato decreto, nonché di quei meccanismi di governo

necessari al sistema di organizzazione e controllo.

1.2 Fasi di costruzione del Modello di Organizzazione e Controllo

ex d.lgs 231/2001 della società Capogruppo

Le Linee Guida di Confindustria definiscono le caratteristiche essenziali del processo di

costruzione del Modello di Organizzazione e Controllo 231 come un tipico processo di

gestione e valutazione dei rischi (risk management e risk assessment). L’obbligo

previsto dall’art. 6, secondo comma, lettera a) e b) D.lgs. 231/2001, infatti,

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comprenderebbe «l’analisi del contesto aziendale per evidenziare dove (in quale

area/settore di attività) e secondo quali modalità si possono verificare» i reati che il

Modello di Organizzazione e Controllo 231 deve prevenire e «la valutazione del

sistema esistente all’interno dell’ente ed il suo eventuale adeguamento, in termini di

capacità di contrastare efficacemente, cioè ridurre ad un livello accettabile, i rischi

identificati ».

In questo contesto, diventa cruciale la definizione di “rischio accettabile”. In proposito,

le Linee Guida statuiscono espressamente che «la logica economica dei costi (secondo

la quale un rischio è ritenuto accettabile quando i controlli aggiuntivi sono più costosi

della risorsa da proteggere) non può … essere un riferimento utilizzabile in via

esclusiva». Quindi, il costo economico del sistema è di per sé secondario rispetto al

bene protetto. Viceversa, il “rischio accettabile” viene identificato in un «sistema di

prevenzione tale da non poter essere aggirato se non fraudolentemente », in linea con la

disposizione normativa che prevede quale criterio oggettivo di attribuzione della

responsabilità l’elusione fraudolenta del modello di organizzazione.

Di conseguenza, la soglia di rischio deve essere tale da escludere che il soggetto

operante in nome e per conto dell’azienda sia all’oscuro delle direttive aziendali e che il

reato possa essere commesso a causa di un errore di valutazione delle direttive

medesime.

Le fasi prodromiche alla costruzione del sistema

L’obiettivo del processo che si va a costituire con l’implementazione del Modello 231 è

ovviamente, «la procedimentalizzazione delle attività che comportano un rischio di

reato al fine di evitarne la commissione». Per fare ciò, altrettanto ovviamente, è

indispensabile una preventiva analisi delle attività, per definirne la corretta

procedimentalizzazione.

A questo scopo, nell’ambito di un’attività di risk assessment, vengono individuate tre

fasi distinte:

- esame degli ambiti aziendali di attività, individuando attività e/o funzioni e/o

processi, al fine di definire una mappa delle aree a rischio;

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- analisi dei rischi potenziali, al fine di definire una mappa documentata delle

potenziali modalità di commissione degli illeciti nelle aree a rischio già

individuate in precedenza;

- valutazione, ed eventuale adeguamento, del sistema di controllo preventivo

già esistente, oppure costruzione del sistema di controllo preventivo prima

non esistente, al fine di definire una descrizione documentata del sistema

posto in essere.

Questo sistema «dovrà essere tale da garantire che i rischi di commissione dei reati …

siano ridotti ad un “livello accettabile”», ovvero che il sistema sia aggirabile solo

fraudolentemente.

1.2.1. La valutazione del rischio in Dolomiti Energia

Con incontro del 16 aprile 2007, il Vertice aziendale ha presentato alla prima linea della

Società l’avvio del “Progetto 231” finalizzato allo sviluppo del Modello di

Organizzazione e Controllo della società ai sensi dell’art. 6, secondo comma, lettera a)

del D.lgs. 231/01 e delle Linee Guida di Confindustria,.

Il Progetto ha riguardato inizialmente la Capogruppo Dolomiti Energia S.p.A. e

successivamente l’attività progettuale è stata estesa alle altre Società controllate del

Gruppo – seppur tenendo in considerazione le specifiche caratteristiche delle singole

realtà aziendali.

Il Progetto è stato realizzato dall’Internal Audit con il supporto dello studio legale

esterno Simmons & Simmons.

Nel corso del progetto, il Gruppo di Lavoro ha significativamente coinvolto sia le

funzioni aziendali competenti - nell’attività di comprensione, analisi e valutazione,

nonché condivisione dei vari temi -; sia il Comitato Guida del Progetto - composto dal

Presidente, dall’Amministratore Delegato e dal Direttore Generale della società -, con

informative periodiche sull’avanzamento del progetto e incontri mirati alla condivisione

dei passi successi e all’indirizzo di criticità emerse nel corso del Progetto.

Il Progetto si è articolato nelle seguenti fasi

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Fase 1. Avvio e Risk Assessment Macro

La presente fase ha portato alla realizzazione delle seguenti attività:

· Organizzazione, pianificazione, comunicazione e avvio del Progetto;

· Raccolta documentazione / informazioni preliminari;

· Analisi dell’azienda e identificazione delle aree a rischio ex 231 (aree sensibili)

e dei relativi responsabili;

· Analisi e valutazione dell’ambiente di controllo di Dolomiti Energia per

identificare le eventuali carenze rispetto alle componenti chiave del Modello di

Organizzazione e Controllo.

La fase ha prodotto, oltre alla specifica documentazione di pianificazione,

organizzazione, comunicazione e avvio del Progetto, i seguenti documenti.

1. il documento “Analisi e Valutazione dell’Ambiente di Controllo e delle Macro

Attività di Controllo esistenti nella società - Documento pre Gap Analysis Micro”,

finalizzato ad identificare le carenze a livello macro del sistema di controllo

esistente.

2. il documento “Mappatura Aree Sensibili e Linee Guida”, finalizzato alla

formulazione di linee guida per la successiva fase di analisi e valutazione di

dettaglio dei rischi presenti in azienda, connessi ai cd “reati 231” (Risk assessment

Micro). In particolare il documento riporta:

a. la definizione del quadro normativo di riferimento del Progetto;

b. l’individuazione delle aree di attività della società che possono essere ritenute

rilevanti ai fini della responsabilità ex 231 (“Aree Sensibili”), oggetto di

indagine nella successiva Fase 2.

Fase 2. Risk Assessment Micro

La presente fase ha portato alla realizzazione delle seguenti attività:

· Analisi di dettaglio delle aree a rischio identificate, attraverso interviste e

compilazione di questionari con i relativi responsabili.

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· Identificazione degli specifici processi sensibili ai reati ex 231 emersi

dall’analisi di dettaglio delle aree.

· Valutazione dei rischi attraverso la mappatura dei processi sensibili in termini

di:

- Reati a cui ciascun processo risulta esposto;

- Potenziali modalità attuative del reato per ciascun processo;

- Funzioni organizzative coinvolte nel processo;

- Livello di copertura dei processi in termini di: Sistema dei poteri, Sistemi

informativi, Procedure documentali, reportistica;

- Descrizione del flusso di processo.

La mappatura dei processi è stata riportata nel “Documento Finale di Risk Assessment”

(punto di partenza della fase 3 successivamente alla quale è stato integrato divenendo il

documento “Documento Finale di Risk Assessment e Gap Analysis (DRAG)”).

Fase 3. Gap Analysis e definizione del Piano di Implementazione

La presente fase ha portato alla realizzazione delle seguenti attività:

· Identificazione del quadro di protocolli micro ideali da applicare a ciascun

processo sensibile al fine di prevenire la commissione di reati ex d.lgs. 231/01 e

successive integrazioni.

· Valutazione della mappatura dei processi sensibili - effettuata in fase 2 - al fine

di identificare le carenze dei processi sensibili rispetto al quadro di protocolli

ideali identificati (Gap Analysis).

· Definizione del piano di azioni da attuare per lo sviluppo del Modello di

Organizzazione e Controllo 231 nella società tenendo conto delle carenze

emerse sui processi (Risk Assessment Micro) e delle raccomandazioni fornite

nella fase 1 del Progetto con riferimento all’ambiente di controllo e alle

componenti macro del Modello (Risk Assessment Macro).

Il risultato di tali attività è riportato nei seguenti documenti:

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1. “Documento Finale di Risk Assessment e Gap Analysis (DRAG)” che sostituisce il

documento finale della fase 2 e lo integra con le criticità / carenze rilevate in fase di

gap analysis.

2. “Piano di Azioni Correttive (Action Plan)” che riporta:

a. la definizione del quadro di protocolli ideali di riferimento ;

b. le proposte di intervento finalizzate alla realizzazione del Modello di

Organizzazione e Controllo della società.

Il Piano così definito è stato presentato al Vertice aziendale e successivamente

sottoposto al Consiglio di Amministrazione e al Collegio Sindacale della società, in

data 22 novembre 2007, i quali hanno preso atto dell’avanzamento del lavori, in attesa

di esaminare la sintesi del Modello 231 che gli sarebbe poi stata sottoposta per la prima

approvazione in data 31 marzo 2008.

Fase 4. Implementazione del Piano

La presente fase ha portato alla realizzazione delle seguenti attività:

· Implementazione del Piano di azioni di miglioramento definito alla Fase 3 del

Progetto, che ha portato alla definizione, condivisione e formalizzazione di:

- Le Componenti Macro del Modello 231 (Codice di Comportamento, Codice

Disciplinare, Manuale Organizzativo e funzionigramma, Deleghe e Matrice

di Autorizzazioni interne, Organismo di Vigilanza, Piano di comunicazione

e formazione).

- Protocolli e procedure per ciascun processo sensibile.

· Formalizzazione del Modello di Organizzazione e Controllo 231 riportato

integralmente nel presente documento.

Il Modello di Organizzazione e Controllo 231 è stato approvato nella sua prima

versione con delibera del consiglio di amministrazione della Società in data 31 marzo

2008 .

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1.3 Le componenti del Modello.

Di seguito si illustrano le componenti chiave del Modello di Organizzazione e

Controllo 231 di Dolomiti Energia sviluppate in linea con i requisiti del d.lgs. 231/01 e

con i protocolli Macro sintetizzati in precedenza e finalizzate a prevenire la

commissione dei reati definiti nel citato decreto. Segnatamente le componenti chiave

sono:

- Il Modello di governo aziendale, composto da:

· Il Sistema organizzativo

· Il Sistema dei Poteri

· Il Sistema dei Processi / procedure

· Altri meccanismi: Sistemi informativi e Piani di programmazione

economico-finanziaria.

- Il Codice di Comportamento

- Il Sistema disciplinare

- L’Organismo di Vigilanza

- La Comunicazione e la Formazione

Il Modello di Governo aziendale:

Sistema organizzativo

La crescente complessità nello scenario competitivo della Società e le disposizioni

normative degli ultimi anni hanno portato il Management di Dolomiti Energia a definire

un assetto organizzativo caratterizzato da flessibilità e ricerca di efficienza, in grado di

promuovere l’innovazione tecnologica e il miglioramento continuo in ottica di

valorizzazione delle competenze delle risorse umane, soddisfazione del cliente e

rispetto dell’ambiente.

Inoltre Dolomiti Energia, quale capogruppo di un Gruppo composto da più Società

operanti in settori / attività diversi, seppure connessi tra loro, ha l’evidente ulteriore

esigenza di dover anche dirigere e coordinare l’attività delle altre società del Gruppo,

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operanti lungo tutta la filiera dalla produzione di energia elettrica, alla distribuzione e

vendita di gas metano e nei servizi idrico oltre ai servizi di igiene urbana..

Come conseguenza, la Società ha adottato un’organizzazione societaria e di Gruppo

basata sui principali processi aziendali, affidandone la responsabilità organizzativa a

specifiche funzioni, separate tra loro al fine di garantire un efficace sistema di

contrapposizione e controlli incrociati sui processi aziendali più critici per il

raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Al contempo, al fine di perseguire sinergie organizzative e gestionali, pur mantenendo

la specificità del business di ciascuna Società del Gruppo, la Società ha identificato un

assetto organizzativo che da un lato centralizza nella Capogruppo i processi di supporto

e di governo e le relative funzioni, assegnando a queste ultime un ruolo di assistenza e

di fornitura di servizi a tutte le Società del Gruppo (cd “funzioni centralizzate”);

dall’altro decentralizza i processi primari e le relative funzioni nelle specifiche entità

societarie del Gruppo (cd “funzioni operative”).

Il Sistema Organizzativo di Dolomiti Energia, anche in quanto Capogruppo del Gruppo

DE, qui riportato in estrema sintesi, è stato definito e formalizzato all’interno di un

documento denominato “Manuale Organizzativo” (Doc. GDE-MAN-ORG) finalizzato

a:

- definire il sistema organizzativo attuale e aggiornato del Gruppo DE, in termini di

modello di business e assetto organizzativo del Gruppo e delle Società controllate,

di principi organizzativi utilizzati e infine di modalità, strumenti e responsabilità di

aggiornamento e diffusione degli aspetti organizzativi;

- definire e formalizzare per le varie Funzioni aziendali delle Società le linee di

dipendenza gerarchica, le responsabilità e le principali interfacce

dell’organizzazione ufficiale aggiornata;

- stabilire il principio della contrapposizione / separazione delle Funzioni come

principio portante dell’organizzazione del Gruppo DE.

Il Manuale organizzativo contiene uno specifico documento denominato

“Funzionigramma “ (Doc. DO-DE) che illustra in modo chiaro le linee di dipendenza

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gerarchica, le responsabilità organizzative e le principali interfacce per le varie funzioni

aziendali, nonché l’organigramma complessivo della Società.

Il funzionigramma costituisce un elemento chiave del Manuale Organizzativo in quanto

definisce gli ambiti di competenza degli attori dell’organizzazione e consente di rendere

trasparente e formale l’applicazione del principio della contrapposizione delle funzioni

utile a ridurre la possibilità di comportamenti autonomi e indipendenti, nonché

l’applicazione dei principi di controllo raccomandati dalle Linee Guida di Confindustria

come illustrati al par. 2.2..

In conclusione, Dolomiti Energia si è dotata, in conformità con il protocollo macro

definito in precedenza, di un sistema organizzativo:

- definito, attraverso gli strumenti citati;

- coerente, in quanto quadro di riferimento principale di tutti i sistemi e processi

aziendali che ad esso devono riferirsi;

- ispirato a principi organizzativi stabiliti: organizzazione per processi;

contrapposizione delle funzioni; decentralizzazione operativa e centralizzazione dei

servizi di supporto e governo;

- diffuso, attraverso il sito intranet aziendale a cui accedono tutti i dipendenti,

informati da una mail ogni qual volta si verifica un cambiamento organizzativo;

attraverso le bacheche aziendali per i dipendenti non dotati di postazione

informatica;

- costantemente aggiornato, ossia ogni modifica organizzativa permanente determina

la revisione e la conseguente ridiffusione del funzionigramma e relativo

organigramma, attraverso un sistema unitario, strutturato e autorevole di gestione

dell’organizzazione.

Poteri interni / esterni

Il Sistema dei Poteri di Dolomiti Energia, strutturato in ossequio delle prescrizioni di

legge, si compone di 3 tipologie di Poteri:

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· poteri esterni (“Poteri Esterni”), definiti anche “deleghe” o “procure”, si

intendono i Poteri conferiti alle posizioni aziendali di porre in essere

determinate azioni, in nome e per conto della Società, nei confronti di terzi

esterni alla Società stessa. Sono esempi di Poteri Esterni: il potere di firmare un

contratto di assunzione di personale o di acquisto di beni o servizi; il potere di

aprire un conto corrente e/o di movimentazione dello stesso.

· poteri interni (“Poteri Interni”) si intendono le autorizzazioni interne in forza

delle quali le posizioni aziendali esercitano, all’interno dell’organizzazione

aziendale, un Potere nell’ambito di un determinato processo. Sono esempi di

Poteri Interni: l’autorizzazione di una richiesta di acquisto; la verifica e

conferma da parte del Responsabile di funzione della ricezione del bene /

servizio richiesto che autorizza l’Amministrazione al pagamento del fornitore.

· procure speciali (“Procure Speciali”) si intendono le deleghe o procure

assegnate, in forma scritta, a posizioni della struttura aziendale per l’esercizio di

un singolo atto.

e si fonda sui seguenti principi, tesi a garantire che tale elemento chiave di controllo

contribuisca all’efficacia del Modello di Organizzazione e Controllo 231:

- Poteri Esterni e Interni devono essere coerenti, per tipo e per limite, con le

responsabilità organizzative e con il livello gerarchico della struttura organizzativa,

come stabilite nel funzionigramma e nell’organigramma della singola Società

- Poteri Esterni e Interni devono essere coerenti con il principio della separazione dei

poteri, ossia tra chi richiede (ad es. la funzione operativa Gas che chiede un servizio

di manutenzione per la rete), chi soddisfa la richiesta (es. la funzione

Approvvigionamenti che ricerca il fornitore e stipula il contratto) e chi attiva il

pagamento a fronte della richiesta soddisfatta (es. la funzione Amministrazione che

paga la fattura ricevuta dal fornitore previa conferma da parte della funzione Gas di

aver ricevuto correttamente il servizio). Possono esistere limitati casi di deroga al

principio della separazione dei poteri qualora vi sia un meccanismo di

contrapposizione alternativo.

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- Poteri Esterni e Interni, assieme al Manuale organizzativo e al funzionigramma,

costituiscono il sistema di riferimento al quale si ispirano e nel quale operano tutte

le procedure documentali e informatiche della Società e del Gruppo.

- Il sistema di gestione dei Poteri deve essere unitario e definito in termini di regole e

responsabilità di definizione, aggiornamento, diffusione e controllo.

- Particolare attenzione deve essere portata nell’assegnazione di poteri esterni

permanenti o per singolo atto (procure speciali ) agli amministratori e alle posizioni

aziendali che hanno rapporti con la Pubblica Amministrazione in processi esposti ai

reati ex d.lgs. 231/01 e successive integrazioni.

- Deleghe e procure devono essere assegnate in relazione alla effettiva necessità delle

stesse.

- Generalmente, ogni Responsabile ha tutti i poteri dei propri collaboratori, tranne

alcune eccezioni stabilite per conformità ai principi del Modello di Organizzazione

e Controllo 231.

- Le procure speciali devono essere conferite in forma scritta, per singolo atto e

identificando nel dettaglio gli estremi dell’atto oggetto di delega, nel rispetto dei

sistemi di organizzazione e controllo interni. Tale facoltà è limitata a specifici casi

caratterizzati da effettiva convenienza operativa.

- In linea con il principio di coerenza del sistema e con la necessità di diffusione delle

regole del sistema, si stabilisce un adeguato flusso informativo interno alle funzioni

interessate.

I poteri esterni e i poteri interni di Dolomiti Energia sono formalizzati rispettivamente

attraverso delibera del Consiglio di Amministrazione che approva le deleghe degli

amministratori e delle posizioni aziendali e attraverso il documento Matrice di

Autorizzazioni.

Sistema di processi / procedure

Per processo (“Processo”) si intende un insieme di attività interrelate, svolto all'interno

dell'azienda e teso al raggiungimento di un obiettivo aziendale, che crea valore

trasformando delle risorse (input del processo) in un prodotto (output del processo)

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destinato ad un soggetto interno o esterno all'azienda (cliente). I processi possono

essere svolti manualmente, oppure con l’utilizzo di applicativi informatici.

Le procedure (“Procedure”) sono gli strumenti aziendali di definizione e

formalizzazione dei Processi in termini di scopo, ambito di applicazione, principi,

responsabilità, modalità operative e eventuali strumenti utilizzati (report, schede,

moduli, modelli, etc.) nello svolgimento del Processo stesso.

Ciò premesso, il Sistema di Gestione dei Documenti prescrittivi 112 - gestito

centralmente e in modo unitario, seppur con la significativa collaborazione delle

funzioni responsabili dei processi e delle funzioni responsabili di specifici ambiti di

controllo – costituisce un significativo elemento del Modello di Organizzazione e

Controllo 231, in quanto fornisce uno strumento operativo di gestione, coordinamento e

controllo dei processi aziendali e in particolare di quelli esposti ai reati ex d.lgs. 231/01

e successive integrazioni o che fungono da strumenti alla commissione di tali reati. Per

tali processi cosiddetti sensibili il Sistema procedurale consente di definire scopo,

ambito di applicazione, criteri, responsabilità, modalità operative e strumenti, nonché

gli specifici protocolli preventivi illustrati nel presente Modello.

In questa ottica dunque i processi aziendali, e in particolare quelli sensibili:

· sono definiti nel rispetto di principi e norme di comportamento etico

(correttezza, trasparenza, onestà, collaborazione, integrità,…)

· prevedono meccanismi interni di controllo;

· sono caratterizzati dal principio della contrapposizione delle funzioni e

separazione dei poteri nello svolgimento del processo;

· sono coerenti rispetto alle responsabilità organizzative assegnate

all’organizzazione aziendale, ai poteri interni ed esterni, al Codice di

Comportamento ed alla normativa vigente;

· sono tracciabili e verificabili al fine di dimostrare l’applicazione e il rispetto dei

punti precedenti;

112

Intesi come Linee Guida, Procedure Gestionali di Gruppo, Procedure Gestionali Societarie come definito nella relativa Linea Guida “Gestione dei Documenti prescrittivi”

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· sono aggiornati all’evolvere del contesto organizzativo, di business e normativo;

· sono oggetto di controllo dell’attività in quanto ritenuta sensibile ai reati ex 231

(indipendente e di linea) con reportistica;

· sono formalizzati all’interno di documenti e procedure aziendali che ne

disciplinano modalità operative, responsabilità e protocollo di prevenzione; tali

documenti sono diffusi a tutte le funzioni aziendali che partecipano al relativo

processo attraverso un Sistema Documentale Aziendale (accessibile dal portale

interno aziendale) unitario, autorevole, definito in termini di regole,

responsabilità, cicli autorizzativi e strumenti di definizione e diffusione.

Altri meccanismi di governo

L’attuazione del Modello di Governo aziendale illustrato è supportato da ulteriori

meccanismi di controllo a livello aziendale e di Gruppo:

· i Piani di programmazione economica finanziaria, che costituiscono il quadro

vincolante di riferimento all’interno del quale si realizzano i processi generatori

di costi e ricavi per la Società e per il Gruppo;

· il Sistema informativo integrato aziendale, in via di continuo miglioramento,

che opera come strumento di integrazione e di controllo dei processi aziendali

più critici.

1.3.1. L’Organismo di Vigilanza

In ottemperanza a quanto previsto all’art. 6, lettera b), del D.lgs. 231/01 , è istituito

presso Dolomiti Energia S.p.A. un organo con funzioni di vigilanza e controllo (di

seguito Organismo di Vigilanza, Organismo o OdV) in ordine al funzionamento,

all’efficacia, all’adeguatezza ed all’osservanza del Modello.

Nell’esercizio delle sue funzioni, l’Organismo deve improntarsi a principi di autonomia

ed indipendenza. A garanzia del principio di terzietà ed indipendenza, l’OdV è

collocato in posizione gerarchica di vertice della Società. Esso deve riportare

direttamente al Consiglio di Amministrazione e all’Assemblea dei Soci.

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I membri dell’Organismo di Vigilanza sono scelti tra soggetti particolarmente

qualificati, in modo che la composizione dell’organismo sia tale da garantire i requisiti

di indipendenza, professionalità e continuità d’azione previsti dal Decreto.

L’OdV di Dolomiti Energia S.p.A ha struttura collegiale ed è dotato di “autonomi

poteri di iniziativa e controllo”.

L’OdV di Dolomiti Energia S.p.A è composto da tre membri effettivi così individuati:

· un membro esterno alla società, dotato di competenze professionali specifiche in

ambito aziendalistico, che non intrattiene con la Società relazioni economiche

tali da condizionarne l’autonomia di giudizio nei rapporti con la Società, con le

sue controllate, né è titolare – direttamente ed indirettamente – di partecipazioni

azionarie tali da permettergli di esercitare il controllo su DE. L’assunzione

dell’incarico avverrà contestualmente alla sottoscrizione di accordo di

riservatezza in merito ai contenuti relativi all’esercizio della funzione..

· un membro del Collegio Sindacale di Dolomiti Energia S.p.A.;

· il Responsabile della Funzione Internal Audit

È garantita, in ragione delle competenze, dei ruoli e della professionalità dei

componenti dell’OdV, la necessaria autonomia dell’Organismo stesso.

L’OdV di Dolomiti Energia S.p.A è nominato con delibera del Consiglio di

Amministrazione.

L’OdV dura in carica per l’intero mandato del Consiglio di Amministrazione vigente,

salvo rinnovo dell’incarico da parte del Consiglio di Amministrazione. I suoi membri

possono essere revocati solo per giusta causa, previa delibera del Consiglio di

Amministrazione, sentito il parere del Collegio Sindacale, in ogni caso il Consiglio di

Amministrazione deve riferirne senza ritardo i motivi all’Assemblea dei Soci.

In caso di rinuncia o di sopravvenuta indisponibilità, morte, revoca o decadenza di uno

dei componenti dell’OdV, il Consiglio di Amministrazione, alla prima riunione

successiva, provvederà alla nomina del componente necessario per la reintegrazione

dell’OdV. Il nuovo nominato scadrà con il componente già in carica.

Costituiscono cause di ineleggibilità e/o di decadenza dei componenti dell’Organismo

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di Vigilanza:

a. ricoprire la carica di membro con poteri esecutivi del CdA di Dolomiti

Energia S.p.A., nonché la carica di membro con poteri esecutivi del CdA di

società controllate o comunque collegate a DE;

b. essere legato a DOLOMITI ENERGIA SPA od alle società controllate o

comunque ad essa collegate da un rapporto di lavoro, collaborazione e/o

consulenza;

c. essere membro o dipendente della Società di revisione di DOLOMITI

ENERGIA SPA;

d. incorrere nelle circostanze di cui all’art. 2382 del Codice Civile;

e. essere sottoposto a misure di prevenzione disposte dall'autorità giudiziaria ai

sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965,

n. 575, e successive modificazioni ed integrazioni, salvi gli effetti della

riabilitazione;

f. essere indagato e/o l’aver riportato sentenza di condanna o di applicazione

della pena su richiesta delle parti ex art. 444.c.p.p. e ss., con sentenza

passata in giudicato,

1) alla reclusione per uno dei delitti previsti nel titolo XI del libro V del

codice civile e nel regio decreto del 16 marzo 1942, n. 267;

2) alla reclusione per un tempo non inferiore a un anno per un delitto contro

la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il

patrimonio, contro l'ordine pubblico, contro l'economia pubblica ovvero

per un delitto in materia tributaria, nonché per i delitti commessi in

violazione delle norme di prevenzione e vigilanza in materia di salute e

sicurezza sul lavoro;

3) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque

delitto non colposo;

fatti salvi gli effetti della riabilitazione, di cui all’art. 178 c.p., e

dell’estinzione del reato ai sensi dell’art. 445, II comma, c.p.p.;

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g. il trovarsi in situazioni che gravemente ledono l’autonomia e l’indipendenza del

singolo componente dell’OdV in relazione alle attività da lui svolte.

In casi di particolare gravità, il Consiglio di Amministrazione potrà disporre – sentito il

parere del Collegio Sindacale – la sospensione di uno dei componenti dell’Organismo

di Vigilanza e la nomina di un componente ad interim; in questo caso il Consiglio di

Amministrazione deve riferirne senza ritardo all’Assemblea dei Soci.

Alla prima riunione l’OdV eleggerà il Presidente, informandone al più presto il

Consiglio di Amministrazione.

L’OdV si doterà di un regolamento interno disciplinante le modalità operative del

proprio funzionamento, nel rispetto dei seguenti principi generali:

· continuità nell’azione di controllo e verifica circa l’effettività ed adeguatezza

del Modello;

· l’OdV dovrà riunirsi almeno semestralmente e redigere apposito verbale della

riunione;

· le riunioni saranno valide solo in presenza di tutti i componenti dell’Organismo.

L’OdV ha i seguenti compiti:

· vigilare con costanza sull’effettività del Modello, ossia vigilare affinché i

comportamenti posti in essere all’interno della Società corrispondano a quanto

previsto dal Modello e che i destinatari dello stesso agiscano nell’osservanza

delle prescrizioni contenute nel Modello stesso, al fine di prevenire e rilevare

l’insorgere di comportamenti anomali e/o irregolari rispetto al Modello;

· verificare nel tempo l’efficacia e l’adeguatezza del Modello, ossia della sua

concreta capacità di prevenire i comportamenti illeciti del caso;

· promuovere e contribuire, in collegamento con le altre funzioni interessate,

all’aggiornamento e adeguamento continuo del Modello e del sistema di

vigilanza sull’attuazione dello stesso;

· vigilare sull’attuazione, effettività e adeguatezza del Codice di Comportamento

secondo quanto illustrato all’interno del Codice stesso.

Da un punto di vista operativo, l’OdV ha il compito di:

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· verificare periodicamente le attività poste in essere nell’ambito dei processi

sensibili come individuati dal Modello;

· verificare la mappa delle funzioni e dei processi sensibili, al fine di adeguarla ai

mutamenti dell’attività e/o della struttura aziendale, nonché ad eventuali

modifiche normative. A tal fine, all’OdV devono essere segnalate, da parte del

management aziendale, le eventuali situazioni in grado di esporre l’azienda al

rischio di reato.

· effettuare verifiche periodiche sulla base di un programma annuale comunicato

al Consiglio di Amministrazione, volte all’accertamento di quanto previsto dal

Modello 231 ed in particolare che le procedure e i controlli in esso contemplati

siano posti in essere e documentati in modo conforme e che i principi del

Codice di Comportamento siano rispettati; elaborare le risultanze delle attività

effettuate;

· verificare l’adeguatezza ed efficacia del Modello 231 nella prevenzione dei reati

di cui al d.lgs. 231/01 e successive integrazioni;

· svolgere periodicamente controlli a sorpresa nei confronti dei processi aziendali

identificati come sensibili ai fini della commissione di reati ex d.lgs. 231/01 e

successive integrazioni;

· sulla base di tutte le verifiche citate ai punti precedenti, elaborare le risultanze

delle attività effettuate e predisporre periodicamente un rapporto da presentare

al Consiglio di Amministrazione, che evidenzi le problematiche riscontrate e ne

individui le azioni correttive da intraprendere;

· coordinarsi con le altre funzioni aziendali competenti (anche attraverso riunioni

debitamente verbalizzate):

- per uno scambio di informazioni al fine di tenere aggiornati i

processi a rischio reato. In particolare le varie funzioni aziendali

devono comunicare all’OdV eventuali nuove circostanze che possano

ampliare le aree a rischio di commissione reato di cui l’OdV non sia

ancora venuto a conoscenza;

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- per tenere sotto controllo l’evoluzione dei processi a rischio al fine di

realizzare un costante monitoraggio;

- per i diversi aspetti attinenti l’attuazione del Modello 231 (

definizione e implementazione di clausole contrattuali;

comunicazione e formazione del personale; cambiamenti

organizzativi; novità normative; etc);

affinché vengano tempestivamente intraprese le azioni correttive necessarie per rendere

il modello adeguato ed efficace;

· raccogliere, elaborare e conservare tutte le informazioni rilevanti ricevute nel

rispetto del Modello;

· favorire e stimolare iniziative per la formazione dei destinatari del Codice di

Comportamento e del Modello 231 e per la sua comunicazione e diffusione,

anche eventualmente predisponendo la documentazione a ciò necessaria.

Tutte le comunicazioni devono essere svolte per iscritto.

L’Organismo, nello svolgimento dei compiti che gli competono, potrà avvalersi, oltre

che della sua propria struttura, del supporto di quelle funzioni aziendali di Dolomiti

Energia SpA che di volta in volta si rendessero utili nel perseguimento del detto fine e

in particolare:

· della funzione Internal Audit dotata di indipendenza rispetto alle altre funzioni

aziendali oggetto della vigilanza;

· della funzione Risorse Umane, della funzione Affari Legali e Protezione Dati

Personali ciascuno per i rispettivi ambiti di competenza,

nonché di eventuali consulenti esterni.

Nel complesso, l’attività di vigilanza dell’OdV deve tendere a:

1. qualora emerga che lo stato di attuazione dei protocolli identificati dal Modello

per la prevenzione dei reati ex d.lgs. 231/01 e successive integrazioni, sia

carente, sarà compito dell’OdV adottare tutte le iniziative necessarie per

correggere questa condizione:

- sollecitando i responsabili delle funzioni al rispetto del Modello;

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- proponendo correzioni che devono essere apportate alle prassi

lavorative;

- segnalando i casi più gravi di mancato rispetto del Modello ai rispettivi

responsabili;

2. qualora, invece, dal monitoraggio, emerga che il Modello risulta attuato e

rispettato ma si rilevi essere non idoneo a evitare il rischio del verificarsi di

taluno dei reati menzionati dal d.lgs. 231/01 e successive integrazioni, sarà

ancora l’OdV a doversi attivare per sollecitarne l’aggiornamento.

Nello svolgimento dei compiti assegnati, l’OdV ha accesso senza limitazioni alle

informazioni aziendali per le attività di indagine, analisi e controllo. È fatto obbligo di

informazione, in capo a qualunque funzione aziendale, dipendente e/o componente

degli organi sociali, a fronte di richieste da parte dell’OdV o al verificarsi di eventi o

circostanze rilevanti ai fini nello svolgimento delle attività di competenza dell’OdV.

L’Organismo di Vigilanza riferisce in merito all’attuazione del Modello, all’emersione

di eventuali aspetti critici e comunica l’esito delle attività svolte nell’esercizio dei

compiti assegnati al Consiglio di Amministrazione, al Collegio Sindacale e ad

Assemblea dei soci.

Sono previsti i seguenti flussi informativi dall’OdV.

a. Annualmente l’OdV presenta al Consiglio di Amministrazione, al Collegio

Sindacale ed all’Assemblea dei soci una relazione scritta che evidenzi:

· quanto emerso dall’attività svolta dall’OdV nell’arco dell’anno

nell’adempimento dei propri compiti ;

· il piano delle attività che intende svolgere nell’anno successivo;

· eventuali modifiche normative in materia di responsabilità amministrativa

degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001 e successive integrazioni;

· il rendiconto relativo alle modalità di impiego delle risorse finanziarie

costituenti il budget in dotazione all’OdV.

b. L’OdV, con cadenza almeno semestrale, deve inoltre presentare una relazione

scritta al Consiglio di Amministrazione ed al Collegio Sindacale, in merito a:

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⋅ i controlli e le verifiche effettuati ed il loro l’esito;

⋅ lo stato di avanzamento del proprio piano di attività di controllo, segnalando

gli eventuali cambiamenti apportati, indicando le motivazioni;

⋅ l’eventuale necessità di aggiornamento e/o modifiche da apportare al

Modello;

⋅ segnalare innovazioni legislative in materia di responsabilità amministrativa

degli enti.

c. In ogni caso, l’Organismo di Vigilanza deve comunicare immediatamente al

Consiglio di Amministrazione e al Collegio Sindacale in merito a:

· gravi violazioni al Modello individuate durante lo svolgimento delle

verifiche;

· eventuali problematiche significative scaturite dall’attività.

Gli incontri tra l’OdV e il Consiglio di Amministrazione e/o il Collegio Sindacale

devono essere documentati per iscritto mediante redazione di appositi verbali da

custodirsi da parte dell’OdV stesso.

Si prevede, inoltre che in caso di violazione del Modello commessa da parte di uno o

più membri del Consiglio di Amministrazione, l’Organismo di Vigilanza informa

immediatamente il Collegio Sindacale e tutti gli amministratori. Il Consiglio di

Amministrazione procede agli accertamenti necessari e assume, sentito il Collegio

Sindacale, i provvedimenti opportuni.

L’OdV ha il potere di convocare l’Assemblea dei Soci in caso di gravi violazioni del

Modello e/o nel caso di inerzia del Consiglio di Amministrazione e/o del Collegio

Sindacale ovvero nel caso in cui il Consiglio di Amministrazione e/o il Collegio

Sindacale non provvedessero in merito alle segnalazioni circa eventuali violazioni al

Modello riscontrate e comunicate dall’Organismo stesso.

Comunicazione dell’Organismo di Vigilanza verso le funzioni di DE

L’OdV può inoltre, valutando le circostanze:

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· comunicare per iscritto i risultati dei propri accertamenti ai responsabili dei

processi oggetto dei controlli. In tal caso, sarà necessario che l’OdV ottenga dai

responsabili dei medesimi processi un piano delle azioni con relativa tempistica

in ordine alle attività da migliorare, nonché le specifiche delle modifiche che

saranno attuate;

· segnalare alle funzioni competenti per iscritto eventuali comportamenti / azioni

non in linea con il Modello 231 e con le procedure aziendali relative, al fine di:

- acquisire tutte le informazioni da inviare alle funzioni competenti per

valutare e applicare le sanzioni disciplinari

- evitare il ripetersi dell’accaduto.

Tali segnalazioni devono essere comunicate il prima possibile dall’OdV al Consiglio di

Amministrazione e al Collegio Sindacale affinché assicurino il supporto delle strutture

aziendali idonee nelle attività di accertamento e di attuazione delle misure correttive.

Obblighi di informazione nei confronti dell’Organismo di Vigilanza

L’Organismo di Vigilanza deve obbligatoriamente essere informato mediante apposite

segnalazioni da parte dei soggetti tenuti all’osservanza del Modello in merito a eventi

che potrebbero ingenerare responsabilità di DE S.p.A. ai sensi del d.lgs. 231/2001 e

successive integrazioni. Valgono al riguardo le prescrizioni contenute nel Codice di

Comportamento del Gruppo DE.

L’Organismo di Vigilanza valuta le segnalazioni ricevute e le attività da porre in essere;

gli eventuali provvedimenti conseguenti sono definiti e applicati in conformità a quanto

previsto nel codice disciplinare.

Nessun tipo di ritorsione può essere posta in essere a seguito e/o a causa della

segnalazione, anche qualora quest’ultima si rivelasse infondata, fatta salva l’ipotesi di

dolo.

L’Organismo di Vigilanza si adopera affinché coloro che hanno effettuato le

segnalazioni non siano oggetto di ritorsioni, discriminazioni o, comunque,

penalizzazioni, assicurando, quindi, la adeguata riservatezza di tali soggetti (salvo la

ricorrenza di eventuali obblighi di legge che impongano diversamente).

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Oltre alle segnalazioni relative a violazioni, devono essere trasmesse all’Organismo di

Vigilanza:

· le notizie relative ai procedimenti disciplinari azionati in relazione a presunte

violazioni del Modello ed alle eventuali azioni disciplinari intraprese da parte di

DE SpA , compresi le archiviazioni di tali procedimenti, con le relative

motivazioni;

· da parte delle funzioni aziendali, ciascuna per il proprio ambito di competenza,

tutte le informazioni circa eventuali cambiamenti che possono influenzare

l’adeguatezza e l’efficacia del Modello, collaborando attivamente con

l’Organismo stesso nelle attività di aggiornamento del Modello e delle sue

componenti, ossia in via esemplificativa ma non esaustiva:

- notizie relative ai cambiamenti organizzativi;

- aggiornamenti del sistema delle deleghe;

· report e altri protocolli di controllo posti in essere dalle funzioni responsabili del

processo in attuazione al Modello, in linea con le procedure interne, ossia in via

esemplificativa ma non esaustiva:

- report relativi alle consulenze e servizi professionali;

- report relativi alle sponsorizzazioni, liberalità e omaggi;

- report impiego cellulari aziendali;

- report ordini e contratti con fornitori;

- report ordini e contratti con clienti pubblici;

- acquisti urgenti;

- richieste di finanziamenti pubblici;

- report utenze del sistema integrato aziendale;

- dichiarazioni di veridicità e attestazione relative alla redazione del

bilancio da parte delle funzioni coinvolte;

· anomalie riscontrate dalle funzioni stesse;

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· provvedimenti e/o notizie provenienti da organi di polizia giudiziaria o da

qualsiasi altra autorità, dai quali si evinca lo svolgimento di indagini, anche nei

confronti di ignoti, per reati compiuti nell’esercizio dell’attività aziendale;

· richieste di assistenza legale inoltrate da Amministratori, Dirigenti e/o dai

dipendenti, nei confronti dei quali la Magistratura proceda per reati compiuti

nell’esercizio dell’attività aziendale;

· relazioni interne dalle quali emergano eventuali responsabilità per reati compiuti

nell’esercizio dell’attività aziendale;

· copia dei verbali delle riunioni dell’Assemblea dei Soci, del Consiglio di

Amministrazione e del Collegio Sindacale.

Al fine di dotare di effettiva autonomia e capacità l’OdV, Dolomiti Energia S.p.A. ha

previsto che nel Modello di Organizzazione e Controllo 231 sia specificato che:

- le attività poste in essere dall’OdV non possano essere sindacate da alcun altro

organismo o struttura aziendale, fatte salve le valutazioni e le deliberazioni

eventualmente assunte dall’Assemblea dei soci;

- l’OdV, anche demandando strutture interne, abbia libero accesso presso tutte le

funzioni aziendali senza necessità di ottenere ogni volta alcun consenso, al fine di

ottenere, ricevere o raccogliere informazioni o dati utili per lo svolgimento delle

proprie attività.

In sede di definizione del budget aziendale, il Consiglio di Amministrazione deve

approvare una dotazione iniziale di risorse finanziarie, proposta dall’OdV stesso, della

quale l’OdV dovrà disporre per ogni esigenza necessaria al corretto svolgimento dei

compiti cui è tenuto (consulenze specialistiche, trasferte, ecc) e di cui dovrà presentare

rendiconto dettagliato in occasione del report annuale al Consiglio di Amministrazione.

Per il primo anno di funzionamento dell’Organismo è demandato al Consiglio di

Amministrazione il potere di determinare la dotazione di risorse finanziarie, fatto salvo

il potere dell’Organismo di Vigilanza di chiedere - motivandola - un’integrazione.

Il Consiglio di Amministrazione può riconoscere emolumenti ai componenti dell’OdV.

Ove riconosciuti, tali emolumenti devono essere stabiliti nell’atto di nomina o con

successiva delibera del Consiglio di Amministrazione.

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1.3.2. Il Codice di Comportamento

Dolomiti Energia è la Capogruppo di un gruppo industriale che, per struttura e

dimensione, per le attività gestite e per il legame con il territorio e l’ambiente, svolge

un ruolo rilevante rispetto al mercato, allo sviluppo economico, alla protezione

dell’ambiente e al benessere delle comunità in cui è presente, operando in una

molteplicità di contesti istituzionali, economici, politici, sociali e culturali.

Coerentemente, tutte le attività di Dolomiti Energia devono essere svolte secondo

principi etici di osservanza della legge, rispetto dell’ambiente, onestà, integrità,

chiarezza e trasparenza, correttezza, buona fede, leale competizione, nel rispetto degli

interessi legittimi di clienti, dipendenti, soci, partner, enti locali con cui la Società

intrattiene rapporti per la gestione dei servizi, e della collettività in cui Dolomiti

Energia è presente con le proprie attività.

Al fine di dare concretezza e continuità a quanto premesso e garantire il buon

funzionamento, l’affidabilità e la reputazione della Società, Dolomiti Energia si è dotata

di un proprio Codice di Comportamento che ha l’obiettivo di identificare e diffondere i

principi etici ed i criteri di comportamento che devono essere osservati nello

svolgimento delle attività aziendali, istituendo meccanismi finalizzati alla loro

attuazione e rispetto.

Le disposizioni del Codice sono vincolanti per i comportamenti di tutti gli

amministratori di Dolomiti Energia, dei suoi dipendenti, consulenti e di chiunque operi

in nome e per conto di Dolomiti Energia, indipendentemente dal rapporto giuridico

sottostante. Tali soggetti, Destinatari del Codice di Comportamento, sono obbligati al

rispetto delle disposizioni del Modello 231 e dei principi etici di riferimento e delle

norme di comportamento stabiliti nel citato Codice. Le eventuali violazioni sono punite

con le sanzioni indicate nel sistema disciplinare di ciascuna Società e per i destinatari

esterni in sede contrattuale.

L’Organismo di Vigilanza ha il compito di vigilare sull’attuazione del Modello 231 e

quindi del Codice di Comportamento, sulla loro effettività, adeguatezza e capacità di

mantenere nel tempo i requisiti di funzionalità ed efficacia richiesti dalla legge.

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Con delibera del Consiglio di Amministrazione, il Codice di Comportamento può

essere modificato e integrato, anche sulla base dei suggerimenti e delle indicazioni

provenienti dall’Organismo di Vigilanza.

In estrema sintesi, il Codice di Comportamento stabilisce, in conformità con il

protocollo macro definito in precedenza, che:

- Dolomiti Energia ha come principio imprescindibile il rispetto di leggi e

regolamenti vigenti in tutti i paesi in cui esso opera;

- ogni operazione e transazione di Dolomiti Energia deve essere correttamente

registrata, autorizzata, verificabile, legittima, coerente e congrua;

- relativamente ai rapporti con la Pubblica Amministrazione e pubblici dipendenti

devono essere adottati principi di base.

Per la trattazione completa della componente chiave Codice di Comportamento si rinvia

al documento integrale “Codice di Comportamento” in appendice al presente

documento.

1.3.3. Il Sistema Disciplinare

Ai sensi dell’art. 6, primo comma, lett. e) del D.lgs. 231/2001, il Modello di

Organizzazione e Controllo 231 deve “introdurre un sistema disciplinare idoneo a

sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.”

Al fine di soddisfare il requisito richiesto dal d.lgs. 231/01 pertanto, il Sistema

sanzionatorio aziendale è stato integrato anche con la previsione di sanzioni applicabili

in caso di violazione delle regole e dei principi stabiliti nell’ambito del Modello di

Organizzazione e Controllo 231, con particolare riferimento alle norme contenute nel

Codice di Comportamento, nel Sistema dei Poteri, nelle Procedure implementate e agli

obblighi di comunicazione all’Organismo di Vigilanza.

Conseguentemente,,con lo scopo di garantire l’effettività del Modello stesso e al

contempo l’efficacia dell’azione di controllo dell’Organismo di Vigilanza, il Sistema

Sanzionatorio aziendale è stato così strutturato:

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- il Codice Disciplinare Aziendale è stato integrato al fine di includere anche le

misure disciplinari connesse alla violazione del Modello.

- Sono state introdotte specifiche sanzioni per l’inosservanza da parte dei membri del

Consiglio di Amministrazione del Modello 231.

- Sono state introdotte negli accordi con i fornitori o collaboratori esterni che

agiscono in nome e per conto della società, specifiche clausole contrattuali

applicabili nei casi di violazione del Modello 231 e delle relative procedure.

L’applicazione delle sanzioni disciplinari presuppone la semplice violazione delle

regole del Modello di Organizzazione e Controllo 231, indipendentemente dall’effettiva

commissione di un reato implicante la responsabilità della Società.

L’applicazione del sistema è autonoma rispetto allo svolgimento e all’esito del

procedimento penale eventualmente avviato presso l’Autorità giudiziaria competente.

Codice Disciplinare Aziendale per i dipendenti

Le sanzioni disciplinari disposte per i dipendenti al fine indicato nel presente paragrafo

sono riportate nella Parte Seconda bis del Codice Disciplinare Aziendale; esse

dovranno essere applicate nel rispetto delle disposizioni di legge, di contratto e

aziendali che regolano la materia, in relazione alla gravità della violazione e

dell’eventuale reiterazione, nel rispetto delle procedure previste dall’art. 7 della L.

300/1970 (Statuto dei Lavoratori).

Le sanzioni disciplinari in esame si rivolgono a tutti i dipendenti della Società.

Ai fini dell’applicazione delle sanzioni disciplinari, si intendono per violazioni tutte le

inosservanze di:

• regole, norme e principi contenuti nel Codice di Comportamento del Gruppo

Dolomiti Energia;

• disposizioni relative al Sistema dei Poteri della Società, ovvero tutte le

disposizioni contenute nelle procure e nelle deleghe sia relativamente all’azione

nei confronti di terzi, sia relativamente a tutte le disposizioni interne in forza

delle quali le varie posizioni aziendali esercitano un potere nell’ambito di un

determinato processo;

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• regole stabilite nelle Procedure implementate con il Modello di Organizzazione

e Controllo 231 in relazione ai processi identificati come sensibili ai reati ex

231/01 e successive integrazioni (a titolo esemplificativo: assunzione del

personale; gestione risorse finanziarie; acquisizione di contratti con soggetti

pubblici; finanziamenti agevolati; richiesta di autorizzazioni a soggetti pubblici

acquisizione di diritti reali

• disposizioni relative agli obblighi di comunicazione all’Organismo di Vigilanza

come descritti all’interno del Codice di Comportamento e nel Modello 231.

Alla notizia di una violazione del Modello, corrisponde l’avvio della procedura di

accertamento delle mancanze stabilita dal CCNL vigente per i dipendenti.

Più in particolare, su eventuale segnalazione della notizia di violazione da parte

dell’Organismo di Vigilanza, e sentito il superiore gerarchico dell’autore della condotta

censurata, la Funzione Risorse Umane individua - analizzate le motivazioni del

dipendente - la sanzione disciplinare applicabile e provvede alla sua erogazione.

Sistema disciplinare per gli Amministratori

Allo scopo di garantire l’effettività del Modello 231, anche nei confronti dei

componenti del Consiglio di Amministrazione, è stata adottata una serie di sanzioni

comminabili nei confronti di tali soggetti in caso di violazione, da parte degli stessi,

delle regole e dei principi stabiliti nell’ambito del Modello di Organizzazione e

Controllo 231, con particolare riferimento alle norme contenute nel Codice di

Comportamento, nel Sistema dei Poteri, nelle Procedure implementate e agli obblighi di

comunicazione all’Organismo di Vigilanza.

In particolare, nei confronti del componente del Consiglio di Amministrazione della

Società che abbia violato una o più regole di condotta stabilite nell’ambito del Modello

di Organizzazione e Controllo 231, viene comminata una sanzione graduabile dal

rimprovero scritto alla revoca dalla carica, in considerazione dell’intenzionalità e

gravità del comportamento posto in essere (valutabile in relazione anche al livello di

rischio cui la Società risulti esposta) e delle particolari circostanze in cui il suddetto

comportamento si sia manifestato.

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Per le modalità di accertamento della violazione e dell’erogazione della sanzione si

rinvia al paragrafo del presente Modello relativo all’Organismo di Vigilanza.

Sistema disciplinare per fornitori e collaboratori esterni che agiscono in nome

e per conto di DE

Allo scopo di garantire l’effettività del Modello 231, anche nei confronti dei fornitori e

collaboratori esterni che agiscono in nome e per conto di DE, viene prevista una

clausola contrattuale - da inserire nel contratto di riferimento del fornitore – che

stabilisce l’obbligo, con relativa sanzione, di attenersi alle regole di condotta del Codice

di comportamento e del Modello 231 di Dolomiti Energia.

1.3.4. Formazione e comunicazione

Dolomiti Energia S.p.A. si impegna a promuovere e dare ampio spazio ai temi legati

all’area etico / comportamentale del personale ed alla prevenzione delle irregolarità.

In questo contesto viene data ampia divulgazione dei principi contenuti nel Modello

231, affinché:

- ogni componente del Modello, che abbia un impatto sull’operatività di ciascun

amministratore o dipendente di DE, sia da questi conosciuta;

- il singolo sia adeguatamente formato in modo tale che sia in condizioni di applicare

correttamente le componenti del Modello rilevanti per la sua posizione.

Formazione e comunicazione a tutti i Responsabili di Funzione, in particolare

ai Responsabili di Aree / Processi sensibili ai reati 231

Il Modello 231, nelle sue varie componenti, è comunicato formalmente dal Presidente

del Consiglio di Amministrazione a tutti i Responsabili di Funzione, in particolare ai

Responsabili di Aree / Processi sensibili ai reati 231. I principi e i contenuti del

Modello sono divulgati mediante corsi di formazione a cui è posto l’obbligo di

partecipazione. La struttura dei corsi di formazione è definita dall’Organismo di

Vigilanza in coordinamento con le funzioni aziendali competenti.

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Formazione e comunicazione per i dipendenti

I principi del Modello sono comunicati a tutti i dipendenti di Dolomiti Energia S.p.A..

Al contempo il Modello 231 viene pubblicato nel sito intranet aziendale a disposizione

di ogni dipendente. Il documento è inoltre consegnato a ciascun nuovo dipendente di

Dolomiti Energia S.p.A. da parte della funzione Risorse Umane che fornisce anche una

specifica formazione in fase di inserimento. Sono, inoltre, definite iniziative di

formazione / informazione mirata a partecipazione obbligatoria, in particolare per i

dipendenti coinvolti nei processi sensibili, al fine di divulgare e di favorire la

comprensione dei principi e dei contenuti del Modello 231 e delle procedure collegate,

nonché di aggiornare in ordine a eventuali modifiche intercorse. La formazione viene

erogata dall’Organismo di Vigilanza, anche attraverso la funzione Internal Audit, o

direttamente dai Responsabili dei processi sensibili ai propri collaboratori.

3. La costruzione giuridica della scienza: il pensiero di Federico

Stella 113

nell’ambito della sicurezza e salute negli ambienti di

lavoro

L’introduzione con l’art. 25 - septies nel d.lgs 231/2001 del reato- presupposto di

omicidio colposo o lesioni colpose commessi in violazione delle norme in materia di

sicurezza e salute nei luoghi di lavoro114 ed in particolare il contenuto dell’art. 30

comma 5 del d.lgs 81/2008115 che ha attribuito ai Modelli “ definiti conformemente

alle Linee Guida UNI – INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul

lavoro ( SGSL ) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001: 2007 “

una presunzione di conformità116 ai sensi del d.lgs 231/2001 mi ha dato modo di

riflettere sul pensiero di Federico Stella in merito alle carenze del sistema giuridico

italiano in ambito alla valutazione del rischio connessa alla sicurezza e salute negli

113 F. Stella, La costruzione giuridica della scienza: sicurezza e salute negli ambienti di lavoro in Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo II 114

Reati introdotti dalla L. 123 del 3 Agosto 2007 115

Art. 30, comma 5 d.lgs 81/2008 : “ In sede di prima applicazione, i modelli di organizzazione

aziendale definiti conformemente alle Linee Guida UNI – INAIL per un sistema di gestione della salute e

sicurezza sul lavoro ( SGSL ) del 28 settembre 2001 o al British Standard OHSAS 18001: 2007 si

presumono conformi ai requisiti di cui al presente articolo e per le parti corrispondenti…..” 116

Non dimentichiamo che il giudizio di conformità e il carattere esimente del Modello 231 è oggetto di sindacato giudiziale

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ambienti di lavoro, espresso dall’autore in un saggio del 2001. Infatti, le osservazioni e

gli auspici del giurista, scomparso nel 2006, trovano, a mio modo di vedere,

riconoscimento nei precetti dell’art. 30 comma 5 del d.lgs 81 / 2008.

Stella scrive che “ l’impetuoso sviluppo della tecnologia degli ultimi decenni ha

determinato dei cambiamenti nel sistema produttivo che hanno subito accelerazioni

esponenziali, improvvise, ampie e sempre più numerose; queste accelerazioni hanno

costruito la sorgente di nuovi pericol, legati all’attività lavorativa, che impongono un

ripensamento degli schemi tradizionali di sicurezza del lavoro, nell’ambito di una

nuova visione dell’economia di mercato, maggiormente attenta alle esigenze di

protezione dei lavoratori ”. L’autore indica quale strumento di politica della sicurezza e

della salute in grado di fronteggiare tali pericoli il processo di valutazione del

rischio 117. Tale valutazione assume rilevanza poiché una volta conclusa, afferma

l’autore, “ chi è preposto a stabilire norme e leggi dà il via al processo di gestione del

rischio, assicurandosi che la reale esposizione al rischio sia conforme ai livelli di

accettabilità già fissati dagli esperti ”. Questo processo assume dunque il connotato di

funzione pubblica e l’autore si chiede a chi spetta la conduzione della valutazione del

rischio degli ambienti di lavoro e a chi spetta l’elaborazione della politica della

sicurezza sul lavoro ? Stella elimina categoricamente la possibilità che tale compito sia

affidato alle singole società e imprese affermando che tale valutazione, carica di valori,

spetta ai responsabili di decisioni politiche ovvero a chi è preposto a stabilire norme e

leggi 118 pur riconoscendo che le regole tecniche possono diventare precetti giuridici

qualora siano richiamate da una fonte del diritto. Inoltre, prosegue l’autore, ad un

privato non possono essere attribuite funzioni pubbliche qual è il processo di

117

Stella descrive il processo di valutazione del rischio suddividendolo in tre fasi: - identificazione del rischio - stima del rischio - decisioni : il processo qui si articola in tre stadi ovvero viene identificata una minaccia per la salute e la

sicurezza dell’uomo, successivamente scienziati stimano il rischio di morte o di danno collegato a determinati livelli di esposizione a quel pericolo e infine scienziati, economisti, medici, sociologi e responsabili di decisioni politiche valutano quale livello di esposizione al rischio, se ne esiste uno, è accettabile per la società.

118 Così anche Schunemann : “ la minimizzazione del rischio o la sua riduzione al di sotto di una certa soglia di

rilevanza, può essere prefissata solo in virtù di una valutazione, e perciò non dalla tecnica, ma dal diritto, in altre parole, la tecnica esprime solo un giudizio di idoneità delle regole precauzionali a ridurre il pericolo, mentre la conseguente valutazione è parte dell’imperativo giuridico che deve essere formulato esclusivamente dal legislatore,…ciò che la popolazione deve accettare in quanto rischio residuo,…, non può essere affidato alla responsabilità decisionale dei fruitori della tecnica, ma deve essere stabilito tramite legge statale “, in La costruzione

giuridica della scienza: sicurezza e salute negli ambienti di lavoro, F.Stella, Governo dell’impresa e mercato delle regole, Scritti giuridici per Guido Rossi, Milano, 2002, Tomo II pag. 1284

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valutazione del rischio per la sicurezza sul lavoro in forza del principio costituzionale

sancito nell’art. 41 secondo cui “ l’iniziativa economica privata non può svolgersi in

contrasto con l’utilità sociale, o in modo da recare danno alla sicurezza… La legge

determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività pubblica e privata possa

essere indirizzata e coordinata a fini sociali ” . Da questo principio l’autore fa

discernere la conseguenza che spetta alla legge provvedere alla tutela di quei beni che,

come la sicurezza sul lavoro, hanno un rilievo costituzionale assoluto; tutela che non

po’ essere delegata al privato ovvero al datore di lavoro.

Stella, nel proseguo del saggio, indica quale esempio da seguire, nell’ambito della

tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, il modello americano di

valutazione del rischio dove il Congresso ha demandato il compito di controllare il

rischio per la sicurezza del lavoro e per la salute ad agenzie amministrative federali

quali l’agenzia per la protezione ambientale ( Environmental Protecion Agency, EPA ) e

all’autorità per la salute e la sicurezza sul lavoro (Occupational Safety and Health

Administration, OSHA e National Institute for Occupational Safety and Health,

NIOSH). Tali agenzie, spiega Stella, sono dotate di ampie risorse finanziarie che

consentono loro di utilizzare, nella procedura di valutazione del rischio, una vasta

gamma di competenze specialistiche giungendo all’elaborazione di linee-guida per la

tutela della salute e della sicurezza alle quali poi le singole imprese devono dare

realizzazione sotto il controllo delle stesse agenzie che hanno anche il compito di

emanare ingiunzioni. Il modello americano si presenta dunque come un sistema in cui

la funzione pubblica di valutazione del rischio non è stata lasciata all’impresa che

comunque è messa in grado di conoscere nei dettagli e sotto tutti i profili rilevanti il

contenuto di tale valutazione e di dar vita ai programmi interni di protezione 119 ,

secondo le indicazioni vincolanti delle linee – guida. Lo sguardo al modello americano

è volto alla ricerca di alternativa rispetto al modello italiano, in particolare l’autore

definisce carente il sistema giuridico italiano poiché “ le imprese italiane si trovano

nell’impossibilità di capire quale sia la “politica della scienza”, frutto delle valutazioni

pubbliche; meno che mai sono in grado di capire quale sia la valutazione politica e

pubblica dei principali aspetti problematici della valutazione del rischio, per la tutela

119 Tali programmi di prevenzione “ calati “ nel contesto del Modello 231 costituiscono i cd Protocolli di prevenzione

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della scurezza sul lavoro e della salute. Stella inoltre scrive : “ E’ qui nella mancanza di

una politica della scienza organica e pubblica, nella mancanza di dettagliate linee –

guida, nella mancanza di prese di posizione, ad opera di agenzie pubbliche,

sull’incertezza scientifica, che sta la distanza che separa gli standards di valutazione del

rischio propri di una democrazia avanzata, come quella degli Stati Uniti, dagli

standards ancora oggi adottati dalla democrazia italiana ”. L’autore auspica il

coinvolgimento anche nel nostro ordinamento di agenzie pubbliche indipendenti nella

valutazione del rischio per la sicurezza e per la salute, auspicio in netto contrasto, come

evidenziato dall’Autore, con la disciplina del d.lgs 626/94, al tempo in vigore ed

abrogata dal d.lgs 81/2008, nel quale è definita indelegabile da parte dei privati datori

di lavoro la funzione di valutazione del rischio e la conseguente programmazione delle

sicurezza. Stella afferma però che tale obbligo in capo al datore di lavoro non è

incompatibile con il modello delle agenzie regolamentatorie poiché “ se si vuole trovare

il modo di rendere esigibile l’obbligo per i datori di lavoro di informarsi circa i

progressi tecnici e le conoscenze scientifiche120 non v’è altra via da seguire se non

quella della predisposizione di linee guida minuziose, come sono le linee – guida delle

agenzie federali americane ” realizzando così la cd “ costruzione giuridica “ della

scienza e della tecnica.

Fatta questa premessa, a mio avviso non rimane che riscontrare come nell’art. 30 del

d.lgs 81/2008 siano stati colti almeno in parte e non so se in modo volontario o meno,

gli auspici di Federico Stella.

120

Tali conoscenze sono alla base di una adeguata attività di valutazione del rischio

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2.1 Il reato – presupposto a natura colposa introdotto nel d.lgs

231/2001 dall’art.25 septies : il dibattito in dottrina sulla

configurazione del vantaggio e dell’interesse dell’ente nei casi

di omicidio colposo o lesione colpose commessi in violazione delle

norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro ”

L’art. 9 della Legge 3 agosto n. 123/ 2007 ha esteso l’ambito applicativo della

responsabilità da reato degli enti alla materia degli infortuni sul lavoro istituendo nel

d.lgs 231/2001 l’art. 25 septies.

L’art. 300 del d.lgs 81/2008 attuativo della L. 123/2007 e successivamente il d.lgs

106/2009121 hanno inoltre modificato i profili sanzionatori della responsabilità dell’ente

per omicidio colposo, lesioni gravi e gravissime derivanti dalla violazione di norme

antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro. Vengono così

introdotti nel d.lgs 231/2001 i reati di natura colposa aprendo un dibattito in dottrina in

merito al criterio d’imputazione soggettivo dell’interesse o vantaggio anche non

esclusivo dell’ente di cui si è detto nel secondo capitolo. Declinare questa categoria

nell’ambito dei reati colposi pone il problema della non compatibilità concettuale tra

illeciti caratterizzati dalla non volontà dell’evento e la formula interesse o vantaggio

dell’ente quale criterio di imputazione oggettivo stabilito in via originaria dall’art. 5 del

d.lgs 231/2001. In tale direzione la commissione GRECO, insediata presso il Ministero

della giustizia, ha elaborato una proposta di modifica dell’art.5 del d.lgs 231 /2001 nella

quale si afferma che “ l’introduzione fra i reati presupposto di reati colposi di evento

come quelli di omicidio e lesioni colpose in materia di tutela sul luogo di lavoro ha

implicato la modifica del criterio di imputazione oggettiva stabilito in via originaria

dall’art. 5 d. lgs 231/2001, criterio che, all’evidenza, era stato elaborato sullo sfondo

esclusivo di reati dolosi. Il non discutibile rilievo che nei reati colposi l’evento è

necessariamente “non voluto” importa la non coerenza della formula che vede

l’interesse o il vantaggio dell’ente elementi qualificanti “la commissione del reato” ,

121

Si tratta del decreto legislativo 3 agosto, n. 106 “ Disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 9 aprile 2008, n .81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro “

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pacifico essendo che i reati di omicidio e lesioni colpose si compiono con il verificarsi

dell’evento costituito del reato stesso (appunto la morte o le lesioni). In relazione alla

“criminalità del profitto” (che fonda la scelta di estendere a queste fattispecie la

responsabilità diretta dell’ente) la caratterizzazione significativa sembra invece

agevolmente predicabile rispetto alle condotte che casualmente determinano l’evento

reato. Sicchè si è ritenuto di modificare l’art. 5 del decreto legislativo riferendo – per i

reati colposi – la qualificazione dell’interesse o del vantaggio direttamente alla condotta

costitutiva del reato stesso…..è d’altronde di immediata evidenza che una condotta

consistente, ad esempio, nella omessa predisposizione di provvidente antinfortunistiche

su un macchinario, ben può essere tenuta “ nell’interesse o a vantaggio dell’ente “ed

essere per tale giuridicamente qualificata, posto che il “ risparmio” dei costi

concernenti l’omesso intervento prevenzionale è riferibile all’ente stesso..”.

In dottrina a tale riguardo sono maturati orientamenti diversi122 :

- secondo un primo orientamento vi è una relazione di irriducibilità

concettuale tra l’interesse o vantaggio dell’ente e la natura del reato colposo

pertanto si propone un’ interpretatio abrogans della norma poiché ostativa

alla possibilità teorica di individuare uno degli elementi costitutivi dei criteri

di iscrizione oggettiva dell’illecito dell’ente in relazione ai reati colposi;

- secondo un secondo orientamento nei reati colposi la coppia concettuale

interesse – vantaggio deve essere riferita alla condotta che lo ha determinato.

Così si esprime Poniz123 : “…Perché l’attuale previsione normativa abbia un

senso, e possa trovare una possibilità applicativa immediata, senza attendere

correzioni (….) occorre fornire un’interpretazione della locuzione dell’art. 5

del d.lgs 231/2001 piuttosto ampia: fino a farvi ricomprendere l’interesse o

vantaggio che l’ente ne tragga, anche indirettamente, dalla condotta o dalle

condotte da cui deriva l’evento, e non ( solo ) dall’evento in quanto tale..”

- Secondo un terzo orientamento, nei reati colposi, in ragione della natura loro

propria, sarebbe configurabile solo il vantaggio dell’ente, da apprezzare con

122

P. Ielo, Giudice del Tribunale di Milano, Paper dell’incontro di studio sul tema: “La responsabilità degli enti

estesa ai reati di omicidio e lesioni coplose per violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro dalla legge

123/2007 “ promosso dall’Ufficio per gli Incontri di Studio del Consiglio Superiore della Magistratura, Roma, 2008 123

L. Poniz, La responsabilità per gli eventi infortunistici, responsabilità penale e responsabilità d’impresa dopo la

L.123/2007, Milano, 2008

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una valutazione ex post. Tale interpretazione consente l’estensione della

responsabilità a tutti quei casi in cui il vantaggio dell’ente è un effetto

fortuito della condotta pertanto il vantaggio non sarà mai riconducibile al

reato, lesioni gravi o omicidio colposo, ma sempre alla condotta che lo ha

determinato.

- Secondo un quarto orientamento il collegamento tra l’illecito posto in essere

dalla persona fisica e l’interesse dell’ente potrà essere sia mediato che

immediato sì che in relazione ai reati colposi di impresa si avrà una

relazione mediata nel senso che non è tanto il reato in se quanto l’attività nel

coso della quale è commesso il reato ad essere funzionale al perseguimento

dell’interesse dell’ente.

Paolo Ielo, Giudice del Tribunale di Milano sostiene che la soluzione del problema

della compatibilità tra i reati colposi e i criteri di iscrizione oggettiva dell’illecito

all’ente può essere cercata in una ( ri )definizione delle regole generali della

responsabilità amministrativa da reato. Infatti, sostiene il Giudice, prima dell’entrata in

vigore della Legge 123/2007 si poteva sostenere che l’interesse, di cui all’art,5 del d.

lgs 231/2001, poteva essere inteso in senso soggettivo e dunque valutabile ex ante,

distinguendosi dal concetto di vantaggio oggettivo valutabile ex post124 , oggi invece,

l’art. 25 septies “ conferisce indubbia forza all’opposta linea di pensiero secondo cui

l’interesse dell’ente deve essere inteso oggettivo e riferito alla condotta del soggetto

attivo del reato ”. Dunque l’interesse dell’ente deve essere inteso in senso oggettivo,

come qualità che caratterizza la condotta in sé idonea a produrre un beneficio per l’ente

e non come dolo specifico del suo autore in modo tale che vi sia assoluta compatibilità

tra i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità da reato all’ente e la natura dei

reati colposi.

L’art. 25 septies è oggetto di dibattito anche in relazione alla ricostruzione dei criteri

d’imputazione oggettiva dell’illecito all’ente. In particolare la questione consta nel

definire come le categorie generali del d.lgs 231/2001 si declinano nel settore della

tutela antinfortunistica e dell’igiene e sicurezza sul lavoro e di come si coniugano con

una dettagliata normativa di settore anch’essa connotata da finalità di preventiva. In

124

L’autore fa riferimento a alla relazione ministeriale di accompagnamento al decreto secondo cui l’interesse si caratterizza per una sua connotazione marcatamente soggettiva, diversa dal vantaggio

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particolare, come evidenziato nel secondo capitolo nel caso in cui il reato sia commesso

da organi apicali l’ente si libera se prova la sussistenza di due condizioni:

1) l’adozione e l’efficace attuazione di modello organizzativo

2) l’elusione fraudolenta del modello da parte dell’autore del fatto

La seconda condizione , afferma il Giudice, “pare essere strutturalmente irriducibile a

una dimensione della colpevolezza caratterizzata dall’assenza della volontà dell’evento,

com’è nei reati colposi”. Dunque l’opzione in concreto che si pone è di ritenere

impossibile la prova liberatoria in relazione ai reati colposi quando il reato è commesso

da un organo apicale ovvero ritenere che tale condizione, in questo ambito, non è

richiesta e dunque“la prova liberatoria dell’ente dovrà avere riguardo alla dimostrazione

della adozione ed efficace attuazione dei modelli organizzativi.”

Assume dunque rilevante importanza, nell’ambito dei reati in materia di salute e

sicurezza, il contenuto dei modelli organizzativi125. In particolare in tale ambito si pone

il problema, afferma il Giudice, di “ coniugare la specificità delle regole della

responsabilità degli enti con l’articolata disciplina prevista nel settore antinfortunistico

e in materia di igiene e salute del lavoro, plessi normativi aventi identiche finalità di

prevenzione.” Nel secondo capitolo ho evidenziato che il d. lgs 231/2001 dedica ai

contenuti del modello organizzativo gli art. 6 e 7 ricorrendo alla tecnica normativa che

utilizza criteri strutturali e criteri funzionali volti a determinare il contenuto del modello

attraverso l’individuazione di specifiche componenti e l’enunciazione della funzione

che lo stesso deve perseguire. Il ricorso a tali criteri presuppone un catalogo di reati –

presupposto omogenei ma, scrive il Giudice, “ l’accentuarsi dei processi espansivi

della responsabilità degli enti per un verso introduce nella platea dei reati presupposto

fattispecie tra loro disomogenee, imponendo elementi di specificità per ciascuna area di

rischio, per altro verso pone il problema di individuare i nessi esistenti tra i modelli

organizzativi finalizzati alla prevenzione del reato e sistemi di regole cautelari già

fissate in fondi di normazione di diversa efficacia ”. Quindi nelle aree caratterizzate da

una normazione di settore avente finalità cautelari, come il caso della normativa

antinfortunistica, il rapporto tra essa e il modello organizzativo sarà di inclusione,

125 La commissione Greco proponeva in ordine ai reati colposi l’eliminazione del requisito dell’elusione fraudolenta ai fini della prova liberatoria a favore dell’ente

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sostiene il Giudice, come di fatto è dimostrato dall’art. 30 del d.lgs 81/2008126 che nel

definire il contenuto del modello organizzativo idoneo ad avere efficacia esimente

prevede, tra l’altro, che essi debbano contenere un sistema orientato all’adempimento

degli obblighi giuridici, analiticamente indicati, previsti dal medesimo decreto con

finalità di prevenzione127 . Ci si chiede dunque se la norma fissi un contenuto legale

necessario del modello organizzativo al fine della sua efficacia esimente e dunque se, in

ambito di salute e sicurezza sul lavoro, fornisca all’interprete una griglia di valutazione

della idoneità del modello stesso. Se l’orientamento è questo, scrive il Giudice, “ si

dovrà concludere che il citato art. 30 abbia introdotto una disciplina di diritto speciale128

nel sistema della responsabilità degli enti con riferimento all’area delineata dall’art. 25

septies pertanto, prosegue l’autore “ in sede giurisdizionale la valutazione dell’idoneità

del contenuto del modello organizzativo sarà sostanzialmente bloccata da valutazione

legali, si che il giudice dovrà prendere atto della corrispondenza tra i contenuti del

modello e i contenuti legalmente predeterminati e sarà rimessa a valutazione solo la

valutazione dell’attuazione dei contenuti del modello”.

126

Decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 “ Attuazione dell’art. 1 della Legge 3 agosto 2007, n.123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro “ 127

L’art. 30 comma 1 sancisce che : Il modello di organizzazione e di gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, …….., deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:

a) al rispetto del standard tecnico – strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici

b) alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti

c) alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza

d) alle attività di sorveglianza sanitaria e) alle attività di informazione e formazione dei lavoratori f) alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza

da parte dei lavoratori g) alla acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge h) alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate

Inoltre lo stesso articolo prevede che il modello: debba prevedere idonei sistemi di registrazione dello svolgimento dell’attività di prevenzione ( secondo comma) debba prevedere una adeguata articolazione funzionale ( terzo comma ) debba prevedere un idoneo sistema di controllo e di vigilanza ( quarto comma) 128

Lo stesso Paolo Ielo sostiene che tale interpretazione pone problemi di incostituzionalità della norma in quanto la legge delega per il riassetto e la riforma della normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro Legge 123/2007 con riferimento alla disciplina della responsabilità degli enti, prevedeva principi direttivi che legittimavano il legislatore delegato solo alla modifica del regime sanzionatorio pertanto l’introduzione di una deroga ai criteri di valutazione del modello organizzativo previsti dal d.lgs 231/2001 rappresentata dalla valutazione legale predeterminata del contenuto del modello, non ha appiglio formale o sostanziale nella legge delega e l’art. 30 del d.lgs 81/2001 palesa evidenti profili di incostituzionalità.

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2.2. L’art. 30 comma cinque del d.lgs 81/2008 : la presunzione di

conformità alla prevenzione dei reati in materia di salute

e sicurezza del Modello 231 definito in conformità alle Linee Guida

UNI –INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul

lavoro ( SGSL ) o al BS OHSAS 18001 : 2007

Nel quinto comma dell’art. 30 del d.lgs 81/2008 trovano applicazione gli auspici di

Federico Stella che nel 2001 prendeva ad esempio, nell’ambito della disciplina a tutela

della salute e sicurezza sul lavoro, il modello americano e in particolare evidenziava la

necessità anche per l’ordinamento giuridico italiano, di linee guida predisposte da

esperti alle quali il datore di lavoro avrebbe dovuto fare riferimento nel condurre

l’attività di valutazione del rischio e di predisposizione dei protocolli preventivi a tali

reati. Infatti l’art. 30 sancisce che “ in sede di prima applicazione, i modelli di

organizzazione aziendale definiti conformemente alle linee guida UNI – INAIL per un

sistema di gestione e sicurezza sul lavoro ( SGSL ) del 20 settembre 2001 o al British

Standard OHSAS 18001 :2007 si presumo conformi ai requisiti di cui ai commi

precedenti per le parti corrispondenti ”. Questa affermazione sostanzia una presunzione

di conformità dei compliance conformi alle linee guida UNI – INAIL o al BS OHSAS

18001 :2007 che avrebbe l’effetto di attribuire ad essi l’efficacia esimente di cui all’art.

6 del d.lgs 231/2001. Al giudice sarebbe dunque inibita non solo la valutazione di

idoneità del modello organizzativo ma anche la possibilità di verificare l’esistenza di

tali condizioni ove i compliance fossero conformi ai parametri indicati. Sarebbe

interessante verificare le sentenze in tale ambito anche perché mi chiedo come

potrebbero essere configurate le situazioni nelle quali le imprese pur adottando un

sistema di gestione della salute e della sicurezza ispirato a tali norme, di fatto non ne

possiedano la certificazione.

Le società del Gruppo Dolomiti Energia, ad esempio, hanno aggiornato il proprio

modello di organizzazione e controllo implementando nel 2009 un Sistema di Gestione

della Salute e Sicurezza ispirato alla norma BS OHSAS 19001: 2007 ad oggi non ancora

certificato.

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Io ho partecipato, nel corso dello stage iniziato a marzo e concluso a fine novembre

2009, al gruppo di lavoro che ha gestito il Progetti per l’implementazione del Sistema

di gestione aziendale per la salute e sicurezza nelle tre società.

Di seguito presenterò le tappe del Progetto che ha condotto all’aggiornamento del

Modello di Organizzazione e Controllo nelle sue varie componenti.

3. L’aggiornamento del “ Modello 231 “ per la prevenzione dei reati

in materia di salute e sicurezza sul lavoro delle società del Gruppo

DE

Nell’autunno del 2008, su espresso mandato del Vertice aziendale di Dolomiti Energia

SpA, è stato avviato un progetto finalizzato alla revisione del sistema di gestione della

salute e sicurezza per le tre società del gruppo al fine di adeguarlo alla norma BS

OHSAS 18001: 2007 secondo quanto previsto dall’art. 30 del d.lgs 81/2001 .

Tale progetto, della durata indicativa di diciotto mesi, è stato assegnato ad una società

esterna specializzata nel settore della sicurezza e dei sistemi di organizzazione e

gestione.

In fase di avvio progetto è stato definito il gruppo di lavoro, costituito da un

capoprogetto (Responsabile Servizio QSA che offre servizio centralizzato alle società

del Gruppo ed RSPP) per Dolomiti Energia, dall’Internal Audit e dai tecnici della

società incaricata.

Sono stati coinvolti, secondo le specifiche responsabilità e competenze, le seguenti

figure aziendali: il Datore di Lavoro e suoi delegati, i Dirigenti per la sicurezza, alcuni

preposti, il Responsabile Risorse Umane, il Responsabile Approvvigionamenti e

Logistica, altri responsabili di funzione interessati.

All’ODV è stato presentato il progetto in fase di avvio e successivamente per illustrare

lo stato avanzamento dei lavori; è inoltre stata presentata una sintesi delle attività di

progetto alle RSU/RSL.

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3.1 Le fasi del Progetto di implementazione del “ Sistema di gestione

per la Salute e la Sicurezza “

Il Progetto si è articolato nelle seguenti fasi.

1. Avvio del progetto

2. Progettazione dell’organizzazione aziendale per la sicurezza sul lavoro.

3. Progettazione del Sistema di Gestione aziendale per la sicurezza

� verifica di conformità iniziale

� progettazione ed implementazione del sistema OHSAS 18001

� aggiornamento del modello di organizzazione e controllo ex D. Lgs.

231/2001

4. Supporto all’implementazione del SGSL

5. Effettuazione di verifiche tecniche e convalida dei piani di prevenzione

6. Conduzione di audit interni del SGSL

Relativamente alle fasi 2 e fase 3, l’attività aveva lo scopo di analizzare

l’organizzazione dal punto di vista sia del rispetto della normativa (requisiti tecnici), sia

dal punto di vista della sua strutturazione (aspetti organizzativi, gestionali e di

controllo).

A tal proposito l’attività è stata suddivisa in due parti.

La prima ha riguardato una verifica della documentazione prescrittiva e cogente

(Documento di Valutazione dei rischi, piano di emergenza, autorizzazioni, denuncie,

verbali di controllo ed ispezione, verifiche periodiche, …).

La seconda ha riguardato l’analisi dei documenti di nomina e designazione, le

procedure già atto (sistemi di gestione già implementati) ed il grado di sensibilizzazione

delle diverse funzioni aziendali in materia di salute e sicurezza. In questa fase sono state

incontrate ed intervistate le principali figure di riferimento della società (Dirigenti con

delega del DdL, Dirigenti e Preposti, RSPP, Responsabili di funzione).

Lo scopo di questa fase di progetto era duplice:

- comprendere e conoscere l’organizzazione aziendale esistente, relativamente

alla gestione della sicurezza, al fine di poter successivamente elaborare una

proposta di struttura organizzativa di Gruppo relativamente agli aspetti di salute

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e sicurezza in grado di fornire efficacia, efficienza e sostenibilità nella gestione

della prevenzione.

- individuare le aree a rischio di commissione dei reati in materia di salute e

sicurezza, al fine di poter definire le contromisure di prevenzione.

La proposta della nuova struttura organizzativa è stata presentata al Vertice aziendale

all’inizio del mese di marzo 2009 e successivamente consolidata e confermata in data 7

ottobre, alla presenza dei Datori di Lavoro.

La mappatura delle aree a rischio è stata presentata all’OdV e al CDA nel mese di

luglio 2009. Nell’ambito di tale attività, ed in coerenza con le attività legate alla

progettazione del sistema di gestione per la salute e sicurezza sono stati individuati i

protocolli di prevenzione necessari.

3.1.2. Individuazione dei Processi di Dolomiti Energia sensibili ai reati

in materia di sicurezza

L’art. 6, comma 2°, lett. a), del Decreto dispone che il Modello preveda un meccanismo

volto ad “ individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati”.

• Si è pertanto proceduto all’individuazione dei fattori di rischio di commissione

o accadimento di reati in violazione di disposizioni in materia di igiene e

sicurezza dei luoghi di lavoro, in coerenza con gli ambiti richiamati dall’art. 30

del d. lgs 81/08.

In questa fase, sono state prese in considerazione le situazioni che hanno un

impatto sulla gestione degli aspetti connessi con la salute e la sicurezza e che quindi

possono essere ipoteticamente ritenute di una qualche possibile realizzazione,

nell’interesse o vantaggio della società, durante, o comunque in occasione dello

svolgimento dell’attività sia di tipo ordinario, sia di tipo straordinario o in condizioni di

emergenza.

Di fatto, relativamente ai reati di natura colposa in violazione delle norme

antinfortunistiche, sono state individuate tre macroattività sensibili, in coerenza con i

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sopraccitati ambiti richiamati dall’articolo 30 comma 1) del D. Lgs. 81/2008. Ognuna

delle macroaree contiene le attività sensibili a queste collegate.

Macroarea 1) Requisiti minimi (tecnici ed organizzativi): rispetto degli standard

tecnico-strutturali di legge relativi ad attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti

chimici, fisici e biologici. Misure generali di tutela. Certificazioni e documenti di legge.

Identificazione ed attribuzione delle responsabilità per le figure di riferimento.

Macroarea 2) Responsabilità: Rispetto degli obblighi di legge da parte dei soggetti

coinvolti, in particolare relativamente a:

- attuazione di prescrizioni e direttive

- verifica del rispetto di obblighi e direttive

- monitoraggio applicazione e verifica efficacia

Macroarea 3) Prevenzione e controllo operativo:

- valutazione dei rischi e definizione delle misure di prevenzione

- dispositivi di protezione individuale

- informazione, formazione ed addestramento

- sorveglianza sanitaria

- gestione delle emergenze

- manutenzione

- comunicazione e consultazione

- gestione degli appalti

- vigilanza e riesame

L’attività di mappatura delle aree a rischio ha evidenziato che tutte le aree di attività

aziendale sono a rischio di commissione dei reati di natura colposa qui contemplati, pur

se con differenti tipologie e gradi di rischio a conferma dell’utilità di gestire i processi

e le attività aziendali secondo un sistema di gestione della sicurezza in linea con la

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normativa OHSAS 18001, in attuazione delle Linee Guida del Gruppo Dolomiti

Energia (LG GDE-003) specificamente redatte129.

.

3.1.3. I Protocolli di prevenzione in materia di sicurezza

I protocolli di prevenzione rappresentano lo strumento chiave attraverso cui vengono

applicate le misure generali di tutela . Nell’ambito salute e sicurezza sono state

identificate le seguenti misure generali di tutela:

- La programmazione e la destinazione di adeguate risorse economiche, umane ed

organizzative necessarie per il rispetto delle misure di prevenzione e sicurezza,

per la verifica della loro attuazione e per la vigilanza sull’osservanza degli

adempimenti prescritti;

- I processi produttivi sono programmati in modo tale da ridurre al minimo

l’esposizione dei lavoratori ai rischi, in relazione a quanto riportato nel DVR;

- Gli ambienti di lavoro, le attrezzature, le macchine e gli impianti sono

regolarmente oggetto di manutenzione programmata o straordinaria, quando

necessario;

- Le vie di esodo, le uscite di emergenza, le attrezzatura di pronto soccorso ed i

presidi di sicurezza sono contraddistinti da apposita segnaletica a norma di

legge, al fine di richiamare con immediatezza l’attenzione su situazioni

costituenti pericolo o sui comportamenti da adottare per prevenirlo e

combatterlo;

- I compiti e le mansioni sono affidate ai lavoratori tenendo conto delle loro

capacità e delle condizioni di salute;

- Il rispetto delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e l’utilizzo del DPI

sono costantemente monitorati da parte dei responsabili aziendali, che ne

esigono l’osservanza, segnalando all’azienda per gli opportuni provvedimenti,

anche disciplinari, le ipotesi di violazione;

129

E’ da tenere presente che il Modello 231 consta di diversi componenti tra i quali i protocolli di prevenzione alla cui base si trovano le Linee guida della società che stabiliscono i principi ispiratori dell’attività di prevenzione nei vari ambiti a rischio reato.

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- L’azienda sta implementando un sistema di gestione della salute e sicurezza

secondo la Norma BS OHSAS 18001 (edizione 2007). Il sistema è mantenuto

attivo e monitorato da risorse interne appositamente dedicate, cotto il

coordinamento e supervisione del responsabile di sistema (RSGSL) e del

rappresentante dell’Alta Direzione.

Inoltre sono state predisposte specifiche misure di controllo e prevenzione:

I. Documenti descrittivi del Sistema e del suo stato di attuazione

� Documento di Valutazione dei Rischi, redatto e conservato ai sensi e per gli effetti

di cui agli artt. 17, 28 e 29 del D. Lgs. 81/08.

� Manuale del sistema di gestione.

� Relazione semestrale di RSPP al Datore di Lavoro e Responsabile Risorse Umane.

� Relazione, almeno annuale, del Datore di lavoro all’AD ed al Consiglio di

Amministrazione.

� Verifica della conformità legislativa valutata in fase di implementazione del SGSL

(presenza e vigenza di autorizzazioni, CPI, conformità impianti, marcature CE,

verifiche periodiche, collaudi, nomine e designazioni, formazione, elenco

attrezzature e sostanze pericolose, …).

II. Riunioni di coordinamento, consuntivazione o aggiornamento

� Riunioni informali periodiche di aggiornamento tra i Rappresentanti dei Lavoratori

per la sicurezza, il RSPP e gli ASPP.

� Riunioni di coordinamento per nuovi progetti (gestione dei cambiamenti) o

problematiche.

� Riunioni annuali (ex art. 35 del D. Lgs. 81/08).

� Riunioni di riesame del sistema SGSL.

III. Procedure e documenti di riferimento

Ad integrazione delle componenti macro del Modello di Organizzazione e Controllo

della Società volti alla prevenzione di tutti i reati ex dlgs 231/01, ossia:

� Codice di Comportamento di Gruppo.

� Sistema disciplinare.

� Disposizioni organizzative.

nel Modello vengono introdotti dei documenti di riferimento specifici per la

prevenzione dei reati in materia di sicurezza:

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� Politica aziendale per la salute e la sicurezza.

� Attribuzione incarichi e qualifiche.

� Piano degli interventi migliorativi, comprensivo della formazione da effettuare.

� Budget di spesa (investimenti e spese correnti).

� Procedure gestionali ed operative del sistema di gestione della salute e sicurezza.

� Schede Operative di Sicurezza.

IV. Monitoraggio e controllo

� Sopralluoghi da parte del medico competente e del RSPP all’interno dei luoghi di

lavoro, in conformità a quanto previsto dal D. Lgs. 81/08.

� Monitoraggio annuale della conformità legislativa.

� Controlli e monitoraggi come da piano dei controlli.

� Attività di audit interni.

� Analisi degli incidenti e delle non conformità.

� Sorveglianza sanitaria.

� Attività di sorveglianza da parte delle funzioni responsabili.

� Vigilanza da parte dell’ODV.

Inoltre, poiché l’art. 6, comma 2°, lett. c) del Decreto dispone che i modelli prevedano

“modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei

reati”, nello specifico ambito della gestione della salute e sicurezza, gli elementi

specifici di controllo sono così di seguito rappresentati:

- Definizione di un budget annuale di spesa in materia di salute e sicurezza,

definito in funzione dei risultati della valutazione dei rischi;

- Aggiornamento del budget a fronte di cambiamenti e modifiche (o gestione

extra budget);

- Identificazione di una figura responsabile dell’attuazione delle misure di

prevenzione, assegnataria della risorsa (come da articolo 28 del D. Lgs. 81/08);

- Modalità di gestione del budget assegnato ai delegati del DL

- Tutte le spese relative sono registrate, documentate e verificate.

L’ODV è messo a conoscenza della definizione, destinazione e gestione del budget.

Relativamente agli aspetti connessi con la gestione della salute e sicurezza, al fine di

consentire all’Organismo di Vigilanza di monitorare efficacemente le misure di

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prevenzione e protezione poste in atto dalla Società allo scopo di prevenire gli infortuni

sul lavoro, evitando al contempo inutili sovrapposizioni con l’attività di controllo già

delegata alle strutture aziendali competenti, si prevede pervengano all’Organismo di

Vigilanza, con le cadenze predefinite, i seguenti documenti e relazioni:

I. Relazione scritta periodica, almeno semestrale, contenente la descrizione della

situazione delle unità locali per quanto riguarda l’igiene e sicurezza sul lavoro

(stato del sistema di prevenzione e protezione implementato in azienda). Tale

relazione, predisposta da RSPP viene trasmessa al Datore di Lavoro ed al

Responsabile Risorse Umane;

II. Relazione annuale riepilogativa sul Sistema di Prevenzione e Protezione,

predisposta dal Datore di Lavoro, che la illustra all’Amministratore Delegato e

questi al Consiglio di Amministrazione;

III. Budget annuale di spesa/investimento predisposto al fine di effettuare gli

interventi migliorativi necessari e/o opportuni in ambito di sicurezza;

IV. Notifica tempestiva degli infortuni con prognosi maggiore o uguale a 40 giorni.

L’OdV, in tali casi, potrà acquisire dal Datore di lavoro, dall’RSPP e dal RSL:

a. Le informazioni necessarie per verificare le cause dell’infortunio stesso;

b. Le ragioni per le quali le misure di prevenzione e sicurezza non hanno, in

tutto o in parte, funzionato;

c. Le indicazioni circa le misure correttive che si intendono adottare per

evitare la ripetizione delle condizioni che hanno consentito l’infortunio;

d. I successivi riscontri circa l’effettiva adozione delle misure correttive.

V. Messa a disposizione del documento di valutazione del rischio di cui all’articolo

28 del D. Lgs. 81/08, ivi compreso l’elenco delle sostanze pericolose e nocive ai

sensi della normativa vigente

VI. segnalazione tempestiva, da parte del RSPP, delle situazioni anomale riscontrate

nell’ambito delle visite periodiche o programmate. Tali segnalazioni, nel

rispetto delle norme sulla privacy, saranno riferite al tipo di mansione, alle

sostanze utilizzate ed alla lavorazione che il medico competente ritiene possa

avere incidenza sulla salute del lavoratore

VII. segnalazione tempestiva, da parte dei responsabili aziendali, di situazioni di

pericolo o comunque di rischio che possano pregiudicare la salute o l’integrità

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fisica delle persone che operano in azienda o che possono comunque essere

danneggiate a seguito di attività svolte dall’azienda

VIII. segnalazione tempestiva, da parte del responsabile Risorse Umane, di ogni

variazione nelle persone dei soggetti responsabili o incaricati in materia di

sicurezza, prevenzione infortuni ed igiene del lavoro

IX. segnalazione, da parte del RSPP, della effettuazione degli interventi formativi in

materia di sicurezza, prevenzione ed igiene del lavoro, ovvero segnalazione

della mancata effettuazione di quelli programmati, indicandone le ragioni

X. trasmissione del verbale della Riunione annuale ex articolo 35 del D. Lgs. 81/08

e del riesame della direzione relativamente al sistema di gestione della salute e

sicurezza.

L’Organismo di Vigilanza potrà, inoltre, assistere alle riunioni annuali previste

dall’articolo 35 del D. Lgs. 81/08, nonché al riesame della Direzione.

L’Organismo di Vigilanza potrà, infine, sulla base delle informazioni

pervenutegli, chiedere al RSPP o agli altri Destinatari del Modello gli ulteriori

approfondimenti che riterrà opportuni.

3.1.4. Informazione e formazione in materia di sicurezza

Come evidenziato nel secondo capitolo, la formazione e l’informazione dei destinatari

del Modello 231 rappresenta un punto critico in merito all’effettiva applicazione dei

contenuti del Modello. In riferimento al sistema di prevenzione e protezione adottato

dalla Società e ai sensi di quanto previsto dal D. Lgs. 81/08, tra i compiti del Datore di

Lavoro e dei Dirigenti ai fini della sicurezza, rientrano anche i seguenti:

a. provvedere affinché ciascun lavoratore riceva un’adeguata informazione a) sui

rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi all’attività dell’impresa in

generale; b) sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta

antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro; c) sui nominativi dei lavoratori

incaricati di applicare le misure dl cui agli articoli 45 e 46 del D. Lgs. 81/08; d)

sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e

protezione, e del medico competente;

b. provvedere affinché ciascun lavoratore riceva una adeguata informazione: a) sui

rischi specifici cui è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di

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sicurezza e le disposizioni aziendali in materia; b) sui pericoli connessi all’uso

delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di

sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica; c)

sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate;

c. fornire le informazioni di cui al comma 1, lettera a), e al comma 2, lettere a), b)

e c), anche ai lavoratori di cui all’articolo 3, comma 9 del D. Lgs. 81/08;

d. resta inteso che il contenuto dell’informazione deve essere facilmente

comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative

conoscenze. Ove l’informazione riguardi lavoratori immigrati, essa avviene

previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso

informativo;

e. assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata

in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con

particolare riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione,

organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri del vari soggetti

aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle

mansioni e al possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di

prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza

dell’azienda, nel rispetto di durata, contenuti minimi e modalità della

formazione definiti mediante accordo in sede di Conferenza permanente per i

rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano

adottato, previa consultazione delle parti sociali, entro il termine di dodici mesi

dalla data dl entrata in vigore del D. Lgs. 81/08;

f. assicurare, altresì, che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed

adeguata in merito ai rischi specifici di cui ai titoli del D. Lgs. 81/08 successivi

al I. Ferme restando le disposizioni già in vigore in materia, la formazione di cui

al periodo che precede è definita mediante l’accordo di cui al comma

precedente;

g. La formazione e, ove previsto, l’addestramento specifico devono avvenire in

occasione: a) della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio

dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro b) del

trasferimento o cambiamento dl mansioni; c) dell’introduzione di nuove

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attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati

pericolosi. L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di

lavoro. La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere

periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione del rischi o all’insorgenza di

nuovi rischi;

h. fornire ai preposti, in azienda, un’adeguata e specifica formazione e un

aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e

sicurezza del lavoro. I contenuti della formazione di cui al presente comma

comprendono: a) principali soggetti coinvolti e i relativi obblighi; b) definizione

e individuazione dei fattori di rischio; c) valutazione dei rischi; d)

individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione

e protezione;

i. fornire ai lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e lotta

antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed

immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione

dell’emergenza un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento

periodico; in attesa dell’emanazione delle disposizioni di cui al comma 3

dell’articolo 46 del D. Lgs. 81/08, continuano a trovare applicazione le

disposizioni di cui al decreto del Ministro dell’interno in data 10 marzo 1998,

pubblicato nel S.O. alla Gazzetta Ufficiale n. 81 del 7 aprile 1998, attuativo

dell’articolo 13 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626;

j. fornire al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza una formazione

particolare in materia di salute e sicurezza concernente i rischi specifici esistenti

negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli

adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei

rischi stessi. Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del

rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di

contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei contenuti e della durata

minimi stabiliti dall’articolo 37 del D. Lgs. 81/08.

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4. Aggiornamento delle Componenti del “ Modello 231 “

Contemporaneamente all’implementazione del Sistema di Gestione per la Salute e la

Sicurezza sono state aggiornate le varie componenti del Modello. Infatti è stato

aggiornato il Codice di Comportamento di Gruppo inserendo ulteriori riferimenti al

rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza e al contempo è stato aggiornato

il Sistema disciplinare delle singole società inserendo le sanzioni conseguenti al

mancato rispetto dei nuovi principi inseriti nel Codice di Comportamento di Gruppo da

parte di tutti i soggetti interessati . Sono state aggiornate le Linee Guida di Gruppo e le

Procedure di Gruppo e Societarie inserendo i protocolli di prevenzione ispirati alla

norma OHSAS 18001 : 2007.

Con l’ausilio della società di consulenza che ha curato l’implementazione del Sistema

di Gestione Salute e Sicurezza, sono stati organizzati nel mese di novembre, in coda

all’approvazione dell’aggiornamento del Modello 231 da parte del CdA, i percorsi

formativi rivolti ai Dirigenti per la Sicurezza e Preposti con l’obiettivo che questi

diffondano poi i contenuti dell’aggiornamento ai propri collaboratori.

Nei prossimi mesi, inoltre, il Gruppo attiverà una campagna di sensibilizzazione al

rispetto delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro rivolta ai dipendenti e

collaboratori.

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LEGENDA SIGLE ED ABBREVIAZIONI capitolo terzo

Sigla Significato SGSL Sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro RSGSL Responsabile del sistema di gestione della sicurezza RAD Rappresentante dell’alta direzione RD Rappresentante della direzione DdL Datore di Lavoro RSPP Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione ASPP Addetto al Servizio Prevenzione e Protezione RLS Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza SPP Servizio di Prevenzione e Protezione MC Medico competente DVR Documento di Valutazione dei Rischi

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CONCLUSIONI Alla conclusione di ogni esperienza, come consuetudine, mi fermo a riflettere.

Ripensare all’esperienza vissuta, rivedere i volti delle persone che ho incontrato e con

cui mi sono confrontata, ripercorrendo con la memoria i fatti accaduti, mi aiuta a

rafforzare il senso dell’esperienza ed a interiorizzarne il valore. Mi fermo dunque a

“tirare le somme”, per la verità spesso in modo poco neutrale, influenzata da un grande

ottimismo che mi porta, nella maggior parte dei casi, a sottovalutare i “costi” ed a

sopravalutare i “ benefici ”. E’ stato proprio l’ottimismo a condurmi fino a qui, al

conseguimento della Laurea Specialistica al termine di un periodo di stage di nove

mesi presso la funzione Internal Audit di Dolomiti Energia S.p.A..

Il presente elaborato è dunque il frutto di un percorso di studio e lavoro che ho condotto

con l’obiettivo di acquisire sia conoscenze in merito ai contenuti della disciplina

introdotta dal d.lgs 231/2001, sia competenze in merito alla modalità di

implementazione del Modello di Organizzazione e Controllo ivi previsto, con la

curiosità di indagare se la finalità penal–preventiva perseguita dal legislatore ha

contribuito alla promozione ed alla diffusione di un maggior senso di Responsabilità

Sociale, di seguito RS, da parte delle imprese. Il bilancio di questa esperienza è

certamente positivo poiché nonostante la presenza di costi legati alla fatica e al costo

opportunità dello stage i benefici rappresentati dalla soddisfazione umana e

professionale sono di gran lunga superiori.

A fianco dell’esperienza in azienda che mi ha consentito di prendere confidenza con gli

strumenti caratterizzanti il Modello, ho approfondito la conoscenza del decreto d.lgs

231/2001 ricercando, nelle Riviste Giuridiche e nei testi citati in bibliografia, i

contributi dei diversi Autori al dibattito accesosi in dottrina sia per quanto attiene i

tratti salienti della disciplina quali il carattere e la natura della responsabilità dell’ente, i

criteri di imputazione di tale responsabilità, l’ambito soggettivo di applicazione, ecc. sia

per quanto attiene le novità introdotte dall’art. art. 25 septies relativamente al reato-

presupposto di omicidio colposo o lesioni colpose commessi in violazione delle norme

in materia di salute e sicurezza sul lavoro .

L’analisi del contenuto e dei risultati delle ricerche condotte dalla Fondazione Unipolis

e da Nicoletta Ferro per la Fondazione Enrico Mattei in merito alla diffusione dei

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Codici Etici in Italia aveva lo scopo di suggerire la risposta alla mia curiosità circa gli

effetti dell’applicazione del d.lgs 231/2001 sulla diffusione della RS nelle imprese. Le

ricerche hanno evidenziato un incremento nell’adozione dei Codici Etici da parte delle

imprese senza però riuscire a dimostrare quanto di fatto questo sia indice di un effettivo

incremento della RS. E’ significativo il titolo dell’articolo con cui Luca Iezzi ha

presentato i risultati della ricerca Unipolis, pubblicato da la Repubblica Affari &

Finanza il 12/10/2009 : “ Non basta un codice a fare etica un’azienda ”. Il giornalista

cita l’esempio di Parlmalat evidenziando che la società risultava formalmente in regola

con il d.lgs 231/2001 nonostante le cronache abbiano poi dimostrato l’effettiva

condotta in contrasto con qualsiasi principio di RS, cita l’esempio di Enron, altro caso

noto alla cronaca, evidenziando che la società pubblicava il bilancio etico e sociale. Si

può inoltre citare il caso Eni, azienda campione nelle ricerche analizzate, che

contravvenendo agli impegni assunti nel proprio codice etico è tutt’ora coinvolta in uno

scandalo legato al pagamento di tangenti in Nigeria. Dalle ricerche dunque, emerge

l’incremento della diffusione dei Codici Etici in Italia in seguito all’adeguamento al

d.lgs 231/2001 ma non emerge il grado di effettiva diffusione della RS. La conclusione

a cui sono giunta è che il Modello 231 così come “ disegnato” dal legislatore sia

potenzialmente idoneo ad innescare il circolo virtuoso che conduce allo sviluppo della

cultura di RS nell’impresa purchè l’ambito del Modello “lasciato” all’autonomia privata

sia realizzato sfruttando in pieno i vantaggi offerti dall’autoregolamentazione , che io,

in questo ambito, identifico nei benefici derivanti dalla condivisione dei principi e dei

valori che lo stesso Modello vuole promuovere; valori e impegni che danno vita al

Codice Etico che rappresenta dunque uno strumento di corporate governance che

rafforza il meccanismo di enforcement del Modello 231 .

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RINGRAZIAMENTI

Ringrazio i miei genitori che mi hanno “regalato” l’ottimismo.

Ringrazio papà Franco che con il suo esempio di buona volontà mi ha trasmesso la

voglia di fare e di tradurre i sogni in attività concreta evitando di relegare questo mio

modo di essere ad una mera potenzialità.

Ringrazio Boris per la fiducia incondizionata che mi ha dato e per aver creduto nel mio

progetto.

Ringrazio il Professore Giacomo Bosi per la pazienza con cui ha sopportato una tesista

“ complicata ”.

Ringrazio Dolomiti Energia S.p.A. per l’opportunità di crescita professionale che mi ha

offerto.

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