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Università degli Studi di Verona Facoltà di Scienze della Formazione Master di II Livello in Pedagogia Cognitivo Neuromotoria Tesi di Master di II livello TITOLO Disabilità e invecchiamento. Un’esperienza di ricerca. Relatore: prof. Lascioli Angelo Studente: dott.ssa De Bastiani Elisa

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Università degli Studi di Verona Facoltà di Scienze della Formazione

Master di II Livello in Pedagogia Cognitivo Neuromotoria

Tesi di Master di II livello

TITOLO Disabilità e invecchiamento. Un’esperienza di ricerca.

Relatore: prof. Lascioli Angelo Studente: dott.ssa De Bastiani Elisa

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ANNO ACCADEMICO 2005/2006

INDICE INTRODUZIONE pag. 4 CAPITOLO 1: DISABILITA’ E INVECCHIAMENTO 1.1 Dati epidemiologici pag. 6 1.2 Definizione e sintomatologia pag. 8 1.2.1 I sintomi neuropsicologici pag.10 1.2.2 I sintomi non cognitivi pag.11 1.2.3 I sintomi neurovegetativi pag.12 1.3 Interventi nella demenza pag.13 1.3.1 Attenzione al contesto nell’ambiente di vita pag.15 1.3.2 Cura della modalità di interazione comunicativa pag.15 1.3.3 L’intervento sui problemi cognitivi pag.16 1.3.4 L’intervento sui problemi delle abilità funzionali pag.16 1.3.5 L’intervento sui problemi comportamentali pag.17 CAPITOLO 2: IL PROGETTO DI RICERCA 2.1 Premessa pag.18 2.2.Note informative sull’ente pag.19 2.3 Il Centro “La Meridiana” pag.20 2.4.La ricerca pag.26 2.4.1 Gli obiettivi della ricerca pag.28 2.4.2 Le fasi della ricerca pag.29 2.4.3 Il metodo della ricerca pag.34 2.4.4 L’oggetto della ricerca pag.36 2.4.5 I primi risultati della ricerca pag.36 CAPITOLO 3: ELEMENTI DI METODOLOGIA DELLA RICERCA PEDAGOGICA

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3.1 La ricerca pedagogica in educazione speciale pag.38 pag.38 CAPITOLO 4: LA RICERCA. VALUTAZIONE COGNITIVO NEUROMOTORIA 4.1 L’approccio cognitivo neuromotorio pag.40 4.2 L’esperienza personale della ricerca pag.41 4.3 Valutazione cognitivo neuromotoria della ricerca pag.43 4.3.1.1 Premessa generale pag.43 4.3.2 L’antropologia di riferimento e il progetto educativo pag.43 4.3.3 Riflessioni critiche pag.47 4.4 Valutazione finale degli esiti pag.48 CONCLUSIONI pag.50 BIBLIOGRAFIA pag.51 Sitografia pag.53 Materiale grigio pag.53

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INTRODUZIONE Questo lavoro di Tesi nasce dall’esperienza vissuta durante il percorso di stage previsto dal Master di II Livello in Pedagogia Cognitivo Neuromotoria. Durante questo periodo ho avuto la possibilità di partecipare ad una progetto di ricerca sull’invecchiamento delle persone con disabilità intellettiva promosso dall’Anffas Trentino Onlus, Associazione di famiglie di persone con disabilità fisica, psichica e relazionale, per cui lavoro come pedagogista. Il mio stage è stato seguito dal dott. Tiziano Gomiero, pedagogista dell’Anffas e coordinatore del progetto di ricerca. Questa esperienza mi ha permesso di approfondire una problematica emergente. L’aspettativa di vita delle persone con disabilità intellettiva negli ultimi anni sta aumentando in modo notevole. Ciò comporta un rischio, soprattutto per le persone con Sindrome di Down, di sviluppare malattie connesse all’invecchiamento come, ad esempio, una demenza simile a quella di Alzheimer. In particolare la Sindrome di Down sembra essere legata al processo di invecchiamento, tanto da essere definita come “sindrome di invecchiamento precoce”. Queste problematiche necessitano di essere affrontate in modo specialistico, attraverso interventi speciali, che non devono però essere frammentati. L'attenzione alla globalità dell'individuo, propria del Pedagogista cognitivo neuro motorio, diventa infatti di fondamentale importanza per aiutare la persona. L’approccio alla persona anziana con disabilità, non dovrebbe limitarsi a constatare il sintomo, ma cercare di affrontare tutte le problematiche connesse che potrebbero portare ad individuare la causa del malessere sia a livello fisico, che mentale e, in ultima analisi, sociale. E’ importante adottare l’ottica dell’interdisciplinarietà, attraverso il lavoro di equipe dei vari professionisti chiamati in causa. Questo lavoro di Tesi vuole essere un contributo informativo su una problematica emergente per quanto riguarda la disabilità intellettiva, alla quale la Pedagogia cognitivo neuro motoria può dare un importante aiuto. La Tesi è ripartita in quattro capitoli. Il primo capitolo tratta la problematica della disabilità intellettiva e dell’invecchiamento, fornendo dati epidemiologici, descrivendo la sintomatologia e ponendo l’accento sulla tipologia degli interventi da attuare per instaurare una relazione di cura con queste persone. Nel secondo capitolo viene presentato il progetto di ricerca promosso dall’Anffas Trentino Onlus per le persone anziane con disabilità intellettiva e Sindrome di Down. Vengono descritti gli obiettivi e le fasi della ricerca, la metodologia e gli strumenti utilizzati. Il terzo capitolo approfondisce il tema della ricerca pedagogica in educazione speciale.

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Il quarto capitolo, infine, descrive l’esperienza personale vissuta durante lo stage. La partecipazione al progetto di ricerca, viene rivista alla luce del paradigma cognitivo neuromotorio. Vengono qui riportate alcune riflessioni personali sull’importanza del percorso svolto.

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CAPITOLO 1: DISABILITA’ E INVECCHIAMENTO 1.1 Dati epidemiologici

Dal documento dell’ISTAT con dati riferiti al 2000, i disabili in Italia sono circa 2 milioni 800 mila. E’ probabile che questi dati siano sottostimati, in quanto le persone che vivono in famiglia vengono rilevate tramite un’ indagine campionaria effettuata attraverso il metodo dell’intervista diretta al disabile o a un suo familiare1.

Per quanto riguarda la Sindrome Down, i dati epidemiologici parlano di circa 48.000 persone viventi in Italia, delle quali la maggioranza è rappresentata da persone adulte2.

In tutte le persone il naturale processo di invecchiamento porta con sé l’accentuarsi o la comparsa di alcune patologie, ma per quanto riguarda i soggetti con Sindrome di Down, questo procedimento avviene con anticipo.

Questo studio riguarda l’invecchiamento di persone con disabilità intellettiva, ma si soffermerà in particolare sui soggetti con Sindrome di Down. Questa Sindrome genetica, infatti, sembra essere legata in modo particolare al processo di invecchiamento. Essa può essere infatti definita come un sindrome di invecchiamento precoce.

Le persone con Sindrome di Down invecchiano con circa 18 anni di anticipo rispetto ai soggetti con ritardo mentale non specificato. La presenza di un cromosoma in più, dà origine ad uno sbilanciamento genetico che determina una serie di svantaggi biochimici. Nell’organismo dei soggetti con Sindrome di Down, aumenta la produzione della proteina β amieloide che viene codificata sui geni localizzati sul cromosoma 21. Questo favorisce i depositi cerebrali della proteina che determinano la formazione di placche neuritiche che promuovono la degenerazione neuronale e l’apoptosi tipo Alzheimer3.

Un altro fattore di rischio di invecchiamento precoce nei soggetti con Sindrome di Down, è un incremento dello stress ossidativi dovuto, tra le varie cause, ad una sovraespressione del SOD1, codificata da geni localizzati sul cromosoma 21 che altera la bilancia antiossidante.

Negli ultimi anni l’aspettativa di vita delle persone con Sindrome di Down è aumentata moltissimo. Questo è avvenuto grazie ad un miglioramento delle condizioni socio-sanitarie (i trattamenti contro le malattie cardiologiche sono diventati più incisivi ed è diminuita la mortalità infantile) e, come testimonia la tabella 1, si è passati da 9 anni del 1929, ai 48 nel 1990, agli attuali

1 www.webaccessibile.org - consultato in data 26.11.2006

2 www. sindromedidown.it – consultato in data 26.11.2006 3 WISHART J.G., Quality of life for person with disabilities: international Perspectives and Issue, Cambridge, MA: Brookline, 1994.

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64 anni, con una tendenza progressiva all’innalzamento che mostra una progressione demografica superiore a quella della popolazione generale.

Soggetti Down

Soggetti normodotati

Età media di vita Età media di vita

1929

9 anni

1947

12-15 anni

1961

18 anni

1990

70% >40 anni

1991

44% >60 anni 86.4% >60 anni

1992

13.8% >68 anni 74.4%>68 anni

Tabella 1 - studio di Baird e Sadovnich, 1995.

Nei paesi occidentali la popolazione affetta da disabilità intellettiva (Intellectual disabilities, ID) e da sindrome di Down (Down Syndrome, DS) in particolare, sta invecchiando seguendo i trend demografici della generalità della popolazione. Il rischio però di sviluppare una demenza progressiva ed irreversibile simile alla demenza Alzheimer, è in questi soggetti maggiore rispetto ai tassi di incidenza riscontrati nella popolazione generale4. Come per il resto della popolazione, la demenza in individui con ID tende ad esordire dopo 65 anni di età5. Non ci sono al momento molte evidenze dimostrate riguardanti una precocità di esordio della malattia che dipende da cause diverse dalla DS.

L’età media in cui possono evidenziarsi le manifestazioni di una demenza simile all’Alzheimer in soggetti affetti da DS, invece, si situa tra i 51 – 54 anni di età6.

Alcuni studi effettuati attraverso l’esame autoptico di persone con DS di età superiore a 40 anni, mostra che nella quasi totalità dei casi queste persone avevano le tipiche alterazioni

4 EYMAN RK, CALL TL, Life expectancy of persons with Down syndrome, “Am J Ment Retard”, 1991-95; 603-612. 5 JANICKI MP, DALTON AJ., Alzheimer disease in a select population of older adults with mental retardation,. Irish J Psychol, 1993;14:38-47. 6 LAI F,. Clinicopathologic features of Alzheimer disease in Down syndrome, in L. Nadel & C. Epstein C. (Eds) Down syndrome and Alzheimer disease, New York: Wiley-Liss, 1992, pp. 15-34.

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neuropatologiche della demenza tipo Alzheimer (AD)7. Non in tutti i soggetti era però evidente la demenza in vita.

In conclusione, dopo i cinquantanni d’età, più del 50% delle persone con Sindrome di Down presentano evidenze cliniche di decadimento mentale.

1.2. Definizione e sintomatologia

La demenza è una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita di più funzioni cognitive tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative della persona che ne è colpita8. Quando si parla di evoluzione in senso “demenziale”, quindi, si intende un progressivo scadimento dell’efficienza cognitiva e dell’autonomia nella quotidianità.

In generale (in realtà parlare di demenza in senso generico è molto fuorviante dovrebbe essere definita la specifica forma tramite un’idonea diagnosi differenziale, ma si assiste ad una notevole difficoltà pratica in ambito sanitario a superare vecchie categorizzazioni nosografiche quali demenza senile) le abilità maggiormente soggette a deterioramento sono: la capacità visuo-spaziale, la capacità mestica, la capacità linguistica, la rapidità nel dare una risposta e la capacità adattiva, intesa come possibilità di vivere in maniera adattata nell’ambiente sociale di appartenenza. Ai sintomi che riguardano le funzioni cognitive, si accompagnano alterazioni della personalità e del comportamento e una progressiva alterazione dello stato funzionale.

Il pattern neurofisiologico di soggetti Down con demenza, non differisce dal quadro di soggetti affetti da demenza di tipo Alzheimer.

Il primo sintomo della malattia di Alzheimer a manifestarsi è generalmente una lieve perdita di memoria, che progredisce gradualmente e alla quale si associano alterazioni della personalità e deficit delle altre funzioni cognitive9.

Il grafico sottoriportato evidenzia alcune prevalenze nella popolazione generale10. 7 WISNIEWSKI HM, SILVERMAN W., Alzheimer’s disease neuropathology and dementia in Down’s Syndrome, in JA. Ronald, J.Perera, L. Nadel, & A. Comblain (Eds.) Down syndrome. Psychological, psychobiological, and socio-educational perspectives. London: Whurr, 1996, pp. 43-50. 8 Materiale grigio fornito dal dott. CORLI per il corso “Cura delle demenze”, Scuola per le professioni sociali, Provincia Autonoma di Bolzano, Anno Formativo 2003/2004. 9 Ibid, pag.24. 10 Materiale grigio fornito da PATRIZIA MECOCCI, 49° Congresso Internazionale SIGG, Firenze, 2006.

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La malattia di Alzheimer rappresenta la più frequente forma di demenza nei paesi occidentali (rappresenta il 50-60% dei casi)11. 1.2.1 I sintomi neuropsicologici

Sinteticamente presentiamo alcuni sintomi neuropsicologici che la persona anziana che evidenza malattia di Alzheimer può sviluppare:

Deficit mestico Deficit di linguaggio Deficit dell’attenzione Deficit della funzione visuo-spaziale

Tabella 2 – Deficit cognitivi nella malattia di Alzheimer

Nello specifico, si possono evidenziare le seguenti problematiche: 11 AA. VV., Manuale per i familiari delle persone affette da demenza, Non so cosa avrei fatto senza di te, Regione Emilia Romagna, Progetto

demenza senile, aprile 2003, pag.23.

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- AFASIA, cioè un disturbo del linguaggio. La persona può presentare difficoltà nel comprendere ciò che gli viene detto, nella fluenza delle parole, nella variazione del tono nel discorso, nella ripetizione continua di parole appena ascoltate o nel recitare sequenze, fino al silenzio quasi totale;

- APRASSIA, cioè un disturbo nelle attività motorie specifiche. La persona non sa più come deve agire per raggiungere lo scopo in assenza di deficit motori. Ad esempio la persona può avere difficoltà nel vestirsi;

- AGNOSIA, cioè un disturbo della percezione uditiva, visiva, propriocettiva, tattile che comporta, a seconda dell’area interessata, la perdita di consapevolezza intera o parziale dello spazio e del proprio corpo;

- DISATTENZIONE, cioè un’incapacità di utilizzare l’attenzione selettiva e quindi di eseguire due attività in simultanea o di ignorare stimoli irrilevanti;

- AMNESIA, cioè un disturbo della memoria. Il soggetto può avere una retrogenesi del ricordo, cioè l’ultima cosa che apprende è la prima ad essere dimenticata. Nelle fasi acute della malattia può esserci addirittura l’impossibilità di un mantenimento minimo di ricordi;

- DISFUNZIONI ESECUTIVE, cioè una sindrome dis-esecutiva. La persona non si riesce a compiere gli atti di vita quotidiani in precedenza appresi o compie attività fuori contesto. Ad esempio il soggetto vede i fili di una tenda e cerca di allacciarli come se fossero dei lacci da scarpe12.

Ognuno di questi sintomi solitamente viene rilevato anche nel comportamento del soggetto.

1.2.2 I sintomi non cognitivi

Possono manifestarsi con frequenza nella persona con demenza, una serie di sintomi non cognitivi come:

Ansia Apatia Irritabilità Reazioni catastrofiche Allucinazioni Aggressività Wondering o vagabondaggio

12 Materiale grigio fornito dal dott. GOMIERO TIZIANO e dal dr. MANTESSO ULRICO, Anffas Trentino Onlus, 2006

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Delirio Disinibizione Insonnia

Tabella 3 – Disturbi non cognitivi nella malattia di Alzheimer.

Molte persone con DS, sviluppano, inoltre, epilessie miocloniche dopo l’esordio della demenza. Questo tardo esordio pare essere correlato con l’apparire di epilessie miocloniche tipiche della sindrome d’ Alzheimer (AD) o di altre patologie (ULD) causate da una mutazione sul cromosoma 21. L’incidenza di tali manifestazione tende ad aumentare con l’aumento di aspettativa di vita.

Molti soggetti con DS evidenziano anche perdita di capelli a chiazze prima di manifestare i primi evidenti segni di demenza13.

1.2.3 I sintomi neurovegetativi

Per quanto riguarda i sintomi neurovegetativi, i soggetti con demenza possono sviluppare: - DISTURBI ALIMENTARI; - DISTURDI DEL SONNO

tra cui la cosiddetta “Sindrome del tramonto”, che determina una comparsa o un’accentuazione dell’agitazione associata ad una confusione temporo-spaziale o a sintomi neuropsichiatrici nelle ore pomeridiane e/o serali14 e inversione del ritmo sonno-veglia.

Nella fase intermedia della malattia, il soggetto diventa incapace di apprendere nuove informazioni, si perde in ambienti a lui familiari, è a rischio di cadute e richiede assistenza nelle attività quotidiane. La memoria a lungo termine è compromessa anche se in modo non completo15.

Nella fase avanzata della demenza, la persona è incapace di camminare e di svolgere qualsiasi attività quotidiana. La memoria sia a breve che a lungo termine è totalmente compromessa. Possono manifestarsi difficoltà nella deglutizione e incapacità di deambulazione, fino ad arrivare alla morte16.

13 Ibidem.

14 Materiale grigio fornito dal dr. DE VREESE per il corso “Cura delle demenze”, Scuola per le professioni sociali, Provincia Autonoma di Bolzano,

Anno Formativo 2003/2004 15 AA. VV., Manuale per i familiari delle persone affette da demenza, Non so cosa avrei fatto senza di te, Regione Emilia Romagna, Progetto

demenza senile, op. cit., pag.25. 16 Ibidem.

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Concludendo, il declino cognitivo è considerato il miglior predittore del declino funzionale della persona. Esso precede anche i vari problemi comportamentali che caratterizzano la malattia e ne predice l’insorgenza17. 1.3. Intervento nella demenza

Una volta diagnosticata, la demenza viene trattata attraverso il controllo dei deficit cognitivi, la cura dei sintomi non cognitivi e il miglioramento dello stato funzionale.

La cura della demenza è a lungo termine, per il carattere degenerativo e progressivo della malattia e il suo perdurare negli anni che porta ad una sua inguaribilità. La cura deve riuscire a rispondere a bisogni emergenti via via sempre più complessi e che coinvolgono in senso patologico l’intero nucleo familiare18.

Per quanto riguarda le persone con disabilità, spesso il rischio che si corre è di non porre attenzione al processo di invecchiamento, ma si consideri solo l’handicap. E’ importante, invece, affrontare e considerare il processo di invecchiamento della persona, cercando di rallentarlo.

I vari interventi di cura devono avere come obiettivo la stimolazione e il mantenimento delle capacità residue della persona con demenza. L’obiettivo principale della cura non è la guarigione, ma la promozione del benessere della persona, cioè il migliore livello funzionale possibile per quella persona, oltre che il contenimento dello stress di chi si occupa di lui. E’ importante quindi riuscire a impostare un sistema di cura protesico che supporti la persona e riesca a valorizzarne le competenze residue e i desideri19.

Attualmente è prevalente l’approccio bio-medico che prevede questa strutturazione dell’intervento terapeutico. Le terapie proposte per il trattamento della demenza sono le seguenti20:

FARMACOLOGICHE • Re-integratori neurostrasmettitoriali (colinomimetici, modulatori reccettoriali) • Nootropi • Antiossidanti • Antiinfiammatori • Chelanti dei metalli • Inibitori secretasi • Antiamiloide (es. vaccino) • Ormoni (estrogeni) • Statine NON FARMACOLOGICHE

17 Materiale grigio fornito dal dott. GOMIERO TIZIANO e dal dr. MANTESSO ULRICO, Anffas Trentino Onlus, 2006

18 S. F. VITALI, La metodologia gentle care, Gerontol, 2004, 52:412-417.

19 Ibidem.

20 Materiale grigio fornito da PATRIZIA MECOCCI, 49° Congresso Internazionale SIGG, 2006

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• Programmi di riabilitazione cognitiva • Programmi di memory training • Reality Orientation Therapy • Interventi ambientali 1.3.1 Attenzione al contesto-situazione nell’ambiente di vita

L’adozione di interventi ambientali assume una valenza fondamentale in caso di persone affette da demenza. L’ambiente è inteso nella sua accezione più ampia di ambiente fisico e umano. Controllare le variabili ambientali, può essere un primo aiuto concreto nella cura della persona con demenza. In particolare è importante:

- semplificare l’ambiente e la disposizione degli oggetti; - gli oggetti di uso quotidiano dovrebbero essere sempre nello stesso posto; - controllare luce ed ombre; - evitare rumori disturbanti e di sottofondo (TV, radio, telefono ecc.); - evitare che i pavimenti presentino disegni complessi o che abbiano lo stesso colore delle

pareti; - i tappeti devono essere rimossi o fissati al pavimento; - tenere fuori dalla portata oggetti potenzialmente pericolosi; - mantenere l’ambiente calmo e tranquillo21.

I comportamenti problematici della persona sono da considerare come sintomi del disagio che la persona vive. Il soggetto va quindi rassicurato e supportato a livello emozionale. La persona con Alzheimer non riconosce più i luoghi e le persone familiari. Questa incapacità di comprendere il mondo esterno, può generare angoscia. In ogni fase della malattia l’ambiente può compensare o accentuare i deficit cognitivi e i problemi comportamentali del soggetto. Le modificazioni dell’ambiente, quindi, non mutano la storia naturale della malattia, ma possono ridurre i problemi comportamentali e il declino funzionale, attraverso la costruzione di un ambiente “protesico”.

1.3.2 La cura della modalità di interazione comunicativa

Per quanto riguarda le modalità di interazione e comunicazione, è importante: - avvicinarsi alla persona in modo graduale cercando di sorriderle e di stabilire un contatto

oculare; - identificarsi e chiamare la persona per nome, parlando lentamente e utilizzando un tono

gentile; - ricordarsi che oltre alla difficoltà di espressione può esserci una difficoltà di comprensione dei

messaggi;

21 AA. VV., Manuale per i familiari delle persone affette da demenza, Non so cosa avrei fatto senza di te, Regione Emilia Romagna, Progetto

demenza senile, op. cit., pp.143-144.

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- essere certi che il soggetto sia sveglio e vigile prima di fargli una richiesta; - utilizzare frasi semplici e brevi, evitando i pronomi; - utilizzare la comunicazione analogica in supporto a quella verbale; - concedere alla persona molto tempo per rispondere; - cercare di evitare le domande. Dove è possibile trasformare la richiesta in una direttiva

positiva; - chiedere una sola cosa per volta; - trasformare le negazioni in affermazioni (ad esempio “Non fare questo…” vs “Facciamo

questo…”); - essere pronti a ripetere più volte ciò che si dice a causa dei possibili problemi di memoria,

prestando attenzione a non denigrare o offendere la persona. 1.3.3 L’intervento sui problemi cognitivi

La demenza colpisce anche le funzioni cognitive. Se si vuole aiutare la persona, può essere utile

porre attenzione:

- a riconoscere quando un ambiente diventa troppo complesso per l’attenzione della persona; - a non chiedere due prestazioni contemporaneamente; - a valutare il livello di complessità del compito che si affida22.

1.3.4 L’intervento sui problemi delle abilità funzionali

La persona con demenza è destinata a perdere progressivamente le abilità funzionali. E’ importante:

- sostituirsi a lui il più tardi possibile nell’esecuzione degli atti di vita quotidiana; - la correzione degli errori deve essere fatta con tatto, ricordando che la persona sbaglia a

causa del deficit; - scomporre gesti complessi in gesti semplici, evitando stimoli distraenti; - durante la vestizione, disporre gli abiti nella sequenza in cui andranno indossati; - al momento del pasto lasciare al soggetto solo le posate che è realmente in grado di

utilizzare; - sfruttare la memoria implicita e gli automatismi residui23.

1.3.5 L’intervento sui problemi comportamentali

22 Ibid, pag.55.

23 Ibid, pag.71-72.

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Oltre alle problematiche fino a qui descritte, la persona con demenza può presentare disturbi del comportamento, come l’aggressività fisica, verbale, l’apatia o la comparsa di allucinazioni. In questo caso è bene proporre alla persona le cose con calma e gentilezza, aspettando il momento più propizio.

Se la persona dovesse soffrire di allucinazioni può essere utile:

- rassicurare e distrarre la persona quando l’allucinazione è in corso; - cercare di individuare l’eventuale causa esterna della dispercezione; - non cercare di convincere la persona che la sua credenza è scorretta; - ridurre i giochi di luci ed ombre negli ambienti; - se i disturbi sono concentrati in alcune ore del giorno o della notte, devono essere

predisposte delle strategie apposite.

La demenza può portare ad una diminuzione della partecipazione attiva del soggetto. Questo può essere causato da una riduzione del livello di collaborazione da parte della persona, che inizia a mettere in atto meccanismi di tipo oppositivo.

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CAPITOLO 2: IL PROGETTO DI RICERCA 2.1 Premessa

Lo stage della durata complessiva di 225 ore previsto dal Master in Pedagogia Cognitivo Neuro Motoria, si è svolto da luglio a novembre 2006 presso alcune strutture dell’Anffas Trentino Onlus, associazione per cui lavoro come pedagogista. In questi mesi ho avuto la possibilità di seguire un progetto di ricerca promosso dall’Associazione sulla demenza in individui adulti e anziani con Sindrome di Down e con disabilità Intellettiva. Il mio percorso di stage, nello specifico, si è svolto presso il Centro “La meridiana” di Trento, servizio dedicato ai soggetti con età avanzata. Questa esperienza mi ha dato l’opportunità di svolgere un’interessante percorso di ricerca, di compiere un’osservazione partecipata e di presentare all’equipe multidisciplinare l’approccio cognitivo neuromotorio ai bisogni educativi speciali.

L’ ipotesi della ricerca è che l’invecchiamento sia un processo strutturato da fattori endogeni (bioculturali e genetici) e da fattori esogeni (ambientali e sociali).

Una comprensione approfondita delle disuguaglianze nelle condizioni di benessere e di salute nell’anzianità, quindi, non può prescindere da un’attenta lettura del sistema delle disposizioni di campo e di habitus che hanno plasmato e continuano a plasmare le condizioni oggettive e gli stili di vita dei soggetti.

A parità di età cronologica, soggetti afflitti da una medesima patologia, ma collocati in spazi relazionali differenti manifesteranno una diversa capacità di adattamento e di reazione a perturbazioni di carattere endogeno (fisico-fisiologico) ed esogeno (sociale). Allo stesso tempo, soggetti che godono delle stesse dotazioni di capitale economico e sociale, ma diversamente colpiti da patologie cronico-degenerative mostreranno una diversa capacità di funzionare e di conseguire gli obiettivi che si sono liberamente posti.

L’obiettivo che la ricerca si pone è descrivere le disuguaglianze delle condizioni di vita degli anziani.

L’adozione di un approccio multidimensionale centrato su più variabili espressive della condizione psicofisica, relazionale, diventa cruciale quando si studiano i soggetti disabili che hanno varcato le soglie dell’anzianità, quando a fare la differenza, sono soprattutto le condizioni di salute e i supporti ambientali e relazionali.

2.2 Note informative sull’ente

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L’A.N.F.F.A.S. (Associazione Nazionale Famiglie di Disabili Intellettivi e Relazionali) è la prima

associazione italiana sorta a tutela dei diritti dei disabili e dei loro familiari. Nel corso degli anni ha cambiato la sua denominazione in “Associazione di famiglie di disabili intellettivi e relazionali”, mantenendo comunque l’acronimo storico.

A partire dal 2002 è passata ad una forma organizzativa più funzionale, diventando una federazione di 182 Associazioni legate tra loro da un patto di solidarietà e da principi ispiratori di riferimento.

L’Associazione non ha scopo di lucro e persegue esclusivamente finalità di solidarietà. Essa si attiva per la tutela dei diritti civili a favore di persone svantaggiate e delle loro famiglie, affinchè sia loro garantito il diritto inalienabile a una vita libera e tutelata, il più possibile indipendente nel rispetto della propria dignità. La sezione di Trento è diventata dal 2003 un’associazione autonoma denominata ANFFAS Trentino Onlus24.

L’ANFFAS promuove il benessere della persona con disabilità intellettiva e della sua famiglia, attraverso attività educative e abilitative finalizzate all’assistenza e alla formazione svolte in apposite strutture e differenziate in base ai bisogni, all’età. I centri diurni sono:

- il Centro Socio-Occupazionale (CSO). E’ un Centro diurno che accoglie giovani-adulti in età

post scuola dell’obbligo o post percorso formativo professionale con un discreto grado di autonomia e di abilità cognitive. Le finalità dei CSO sono l’acquisizione e/o il mantenimento di abilità attraverso lo svolgimento di attività educative atte a favorire lo sviluppo delle autonomie personali e la crescita personale e dell’autostima;

- il Centro Socio-Educativo (CSE) è un servizio diurno che, attraverso la presa in carico della persona e l’attivazione di percorsi individualizzati, ha come obiettivo ultimo il mantenere e/o potenziare le abilità residue della persona accompagnandola nel percorso di adultità. Il servizio è rivolto ad adolescenti in età post scuola dell’obbligo, adulti e anziani, che si trovano in una situazione di disabilità fisica, intellettiva e/o relazionale medio-grave.

Lo scopo dei vari servizi è di favorire l’integrazione sociale delle persone disabili e diffondere una

reale cultura di accettazione della diversità. La mission di Anffas è “promuovere il benessere della persona con disabilità intellettiva e della

sua famiglia, attraverso attività educative ed abilitative, finalizzate all'assistenza e alla formazione, svolte in apposite strutture, differenziate in base ai bisogni ed età, allo scopo di favorirne l'integrazione sociale e diffondere una reale cultura di accettazione della diversità”25. 2.3 Il Centro “La meridiana”

Il Centro La Meridiana di Trento è un Centro Integrato per disabili anziani, cioè una struttura composta da un centro diurno e da un centro residenziale tipo Comunità Alloggio. Le due realtà si 24 ANFFAS Trentino Onlus, Carta dei servizi 2005/2006, Trentouno edizioni, pag.6

25 ANFFAS Trentino Onlus, Bilancio Sociale 2004, Trentouno edizioni, pag.12.

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trovano nello stesso edificio per evitare al soggetto lo stress di continui spostamenti e per venire incontro, con la massima flessibilità, alle esigenze e ai bisogni della persona anziana. Il Centro Integrato è gestito da un'equipe multidisciplinare: un medico di base esperto in disabilità e membro del comitato di bioetica provinciale, un medico specialista in psicogeriatria e dottore in neuroscienze, un’assistente sanitaria, una psicologa e un pedagogista responsabile del Centro che coordina il Centro diurno e quello residenziale.

La struttura è disposta su due piani: al primo piano il Centro diurno, frequentato da 15 utenti, al secondo piano la Comunità Alloggio, frequentato da 10 persone. L’età media degli utenti, la maggior parte con Sindrome di Down, è di circa cinquantanni. Essi provengono da vari Centri diurni dell’Anffas Trentino Onlus e il criterio guida prioritario, ma non esclusivo per cui sono stati scelti, è quello dell’età e della presenza di Sindrome di Down. Questi soggetti sono stati sottoposti ad un preciso screening neuropsicologico e medico sanitario (sono stati infatti esclusi dal disegno di ricerca soggetti che presentavano un grado di demenza accertato superiore a 5 nella GDS - Global Deterioration Scale)26.

La struttura, è stata pensata secondo i criteri più moderni di risposta ai bisogni delle persone con disabilità motoria e con le più recenti acquisizioni in ambito dello studio sugli interventi con persone malate di Alzheimer, con una particolare attenzione alla scelta dei colori, all’utilizzo delle luci, ai giochi d’ombra, pavimenti ecc. e alla composizione delle stanze (si veda il concetto di “ambiente protesico” di Moira Jones che verrà approfondito nel corso del capitolo).

Le varie attività non hanno un orario fisso, ma sono flessibili rispetto ai bisogni della singola persona. In questo modo si cerca di evitare alla persona anziana, qualsiasi forma di stress. Anche le attività quotidiane e domestiche rientrano in quest’ottica, per cui vengono individuate delle fasce orarie molto flessibili per l’alzata, il pranzo o la cena.

Il Centro dispone, inoltre, di una palestra, di una vasca a farfalla fisioterapica e di una palestra, che vengono utilizzate dagli operatori al bisogno e in forma ludica. Gli interventi sono orientati alla funzionalità globale e specifica (abilità della vita quotidiana) della persona anziana. L’approccio è quello di tipo globale e ’impostazione delle attività, si basa sulla gestione “centrata sulla persona” e quindi un enfasi particolare posta su:

• Personalità • Biografia • Salute fisica • Disturbi neurologici • Psicologia sociale

Essendo la demenza di Alzheimer una malattia attualmente inguaribile, è importante adottare

una corretta gestione di queste persone, che dovrebbe mirare al raggiungimento di una funzionalità ottimale a livello sociale e nel rispetto della personalità, fatta non solo di attività cognitive, ma di sentimenti, azioni, senso di appartenenza, relazioni con gli altri, di identità personale e sociale e,

26 REISBERG B. et al. Int Psychogeriatry, 1999; 11: pagg. 7-23

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quindi di “pace e benessere”. Tale particolare attenzione metodologica implica a livello organizzativo una massima flessibilità nei tempi e modi di attuazione degli interventi.

Per mantenere un giusto equilibrio tra stimolazione e riposo, si presta attenzione nell’interrompere qualsiasi attività svolta dal soggetto al primo segno di stanchezza e di frustrazione e si di strutturare la giornata con diverse attività piacevoli, brevi (non più di mezz’ora) e ripetitive, ma non infantili.

L’elasticità della struttura e delle attività proposte viene considerata uno degli elementi terapeutici essenziali nella relazione tra l’ospite e carer27, in particolare l’assenza o la riduzione dei fattori di stress è un fattore decisivo e, come ricorda Morimoto “L’invecchiamento e lo stress sono le due condizioni umane che appaiate possono profondamente intaccare la qualità di vita…, innescando processi molecolari che permettono malattie neuro-degenerative, alterando il processo di sintesi proteica e con esso la vita cellulare”28. In effetti come indica la ricerca di base appena citata quando le proteine sono programmate in modo errato (e lo stress è stato identificato come un fattore di questo processo), possono acquisire stati prototossici che producono a cascata un serie di eventi molecolari deleteri che portano a disfunzioni cellulari, con conseguenze che possono essere devastanti e che tendono ad accelerare il normale decadimento.

Nelle persone con disabilità, (ma anche persone anziane o con malattie tipo depressione ecc.) si può riscontrare un abbassamento della soglia dello stress. Normalmente la persona sana possiede dei buffers (ammortizzatori) che la aiutano a rimanere stabile o almeno a transitare da uno stato d’animo all’altro molto lentamente.

In persone malate questi buffers si alterano e quindi passano velocemente da uno stato ad un altro molto velocemente (labilità emotiva).

Di seguito viene proposto uno schema del comportamento adattivo che viene utilizzato in questo contesto come una chiave di lettura di alcuni comportamenti non adeguati al contesto.

27 CADONNA M., Demenza in soggetti con Sindrome di Down e disabilità intellettiva, “American Journal on Mental Ritardation”, 4 (2006), n.2,

pp283-290:283. 28 RICHARD I. MORIMOTO, Stress, Aging, and Neurodegenerative Disease, N engl j med 355; 21, November 23, 2006

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Il circuito dell’adattamento comportamentale

Ambiente Comportamento

Analisi & selezione di informazioni rilevanti

Pianificazione diuna risposta comportamentale

Mondoesterno

Individuo

Memoria operativa

Attivazione dellarisposta

Sensibilità al premioAnticipazionedell’obiettivo

Effetti dello stress durante le

24 ore nei malati con ADRD

AM Noon PM Night

Comportamento

inadeguatoSoglia dello

stress

Ansia

Comportamento

adeguato

Attività come la musicoterapica, o la pet-therapy, vengono utilizzate dagli educatori al bisogno. Queste terapie comportamentali effettuate dal personale di cura, appaiono efficaci nel trattamento dei sintomi comportamentali della persona con demenza, solo se vengono somministrate nel momento critico29. Per questo alcuni educatori sono stati formati attraverso corsi di formazione per intervenire in questi ambiti in maniera specifica. La stimolazione cognitiva mira al mantenimento delle capacità di elaborare e conservare nel tempo informazioni utili per padroneggiare il proprio 29 LIVINGSTONE G., Systematic Review of Psychological Approches to the Management of Neuropsychiatric Symptoms of Dementia, “Am J

Psychiatry”, 2005, pp.1996-2021

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mondo interiore e l’ambiente esterno, mentre l’intervento complessivo si caratterizza per un’attenzione ad evitare il più possibile il ricorso a terapie farmacologiche.

L’uso degli psicofarmaci per il controllo dei BPSD (sintomi comportamentali e psicologici della demenza) quali le alterazioni della percezione, del contenuto del pensiero, dell’umore o del comportamento che si osservano frequentemente in malati di demenza, deve rappresentare l’ultima risorsa da utilizzare.

Interventi orientati alle emozioni, infatti, risultano altrettanto efficaci e sembrano avere ripercussioni positive anche sulla soddisfazione professionale degli educatori e o dei familiari 30.

La metodologia di intervento proposta al Centro La Meridiana di Trento, fa riferimento al modello proposto Moira Jones, un approccio sistemico di tipo protesico.

Esso si articola attraverso varie fasi: 1. la conoscenza della persona; 2. la valutazione dell’impatto della demenza sulla singola persona e delle strategie di compenso

che la il soggetto utilizza autonomamente. La valutazione dei deficit deve essere multidisciplinare e deve tradursi in strategie operative31;

3. la costruzione della protesi, che deve tenere conto dell’ambiente fisico, delle persone che curano, delle attività che danno un senso alla giornata della persona con demenza.

In particolare l’ambiente fisico gioca un ruolo molto importante nella cura della persona con

demenza, perché si trova in stretto rapporto con la modificazione della capacità di controllo da parte della persona dell’ambiente stesso. Questo può essere causato dalla lesione della zona temporo-parieto-occipitale da parte della malattia32.

Esiste una corrispondenza inversa (retrogenesi) tra le fasi della malattia e lo sviluppo neuromotorio proposto da Piaget33. Tale costrutto indica un nesso ben preciso tra cambiamenti dello stato funzionale associati alla AD e il loro corrispettivo inverso nell’età evolutiva, tenendo conto di differenze: - fisiche - nelle reazioni sociali - del background socio-culturale tra i malati AD e i loro “coetanei” nell’età evolutiva.

Nella tabella sottostante è riportata una esemplificazione del concetto di retrogenesi.

Stadi

GDS/FAST

Età evolutiva espressa

in anni (aa.)

Bisogno assistenziale del

malato

3 13-19 aa. Nessuno

30 CADONNA M., Demenza in soggetti con Sindrome di Down e disabilità intellettiva,op. cit., p.285.

31 C.S. F. VITALI, La metodologia gentle care, op. cit. pag.413.

32 Ibidem.

33 Ibidem.

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4 8-12 aa. Possibilità di sopravvivenza

autonoma

5 5-7 aa. Impossibilità di

sopravvivenza autonoma se

non con assistenza part-time

6 2-5 aa. Necessità di una

supervisione a tempo pieno

7 0-2 aa. Necessità di assistenza

continua

E’ importante, tra l’altro, sfruttare l’ambiente in modo tale da promuovere la motricità del soggetto

affinchè essa sia significativa per il soggetto stesso. A tale scopo, a titolo esemplificativo, in luogo della ginnastica, presso il Centro la Meridiana di Trento viene proposta una attività di ballo con gli operatori per favorire la mobilizzazione. In questo modo anche una attività motoria che per alcuni può risultare faticosa o non gradevole viene proposta come momento relazionale e piacevole con interazione con operatori e l’utilizzo della musica come mediatore situazionale.

2.4 Il progetto di ricerca

Dal mese di settembre 2006, è iniziato uno studio multicentrico per verificare l’efficacia di questo tipo di intervento e di approccio alla persona anziana con disabilità.

Il progetto di ricerca denominato Progetto DAD (Down Alzheimer Disease), è mirato: - a facilitare una diagnosi sindromica e tipologica del deterioramento cognitivo in atto, secondo i criteri internazionalmente riconosciuti; - al monitoraggio dei fenomeni di invecchiamento-dipendente e delle patologie somatiche e/o psichiatriche concomitanti od intercorrenti; - alla stimolazione delle abilità cognitive e funzionali residue nei soggetti; - al controllo dei BPSD di recente insorgenza o aggravamento e alla formazione ed informazione dei familiari e dei caregivers.

Per rallentare i processi di decadimento che interessano la persona disabile dopo i 50 anni, è importante creare delle strutture in grado di far fronte a queste nuove necessità, con l'obiettivo di ritardare il più possibile l'istituzionalizzazione degli utenti. Non ci sono però al momento attuale interventi che siano stati riconosciuti per la loro efficacia in questo specifico ambito. Di seguito si riporta il quadro sintetico del progetto:

DISEGNO DELLO STUDIO

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• multicentrico, campione selezionato caso-controllo, in doppio cieco per la validazione di alcuni test neuro-psicologici; • durata 156 settimane; • 86 soggetti, età 40-70 aa, diagnosi disabilità intellettiva o di Sindrome di Down (ID o DS) con ritardo mentale di grado grave-moderato (GDS≤4-5); • trattamento: interventi non farmacologici. OUTCOMES PRIMARI valutazione globale dell’andamento della demenza tramite strumenti proposti nella tabella 134. OUTCOMES SECONDARI stato funzionale e comportamento tramite strumenti proposti nella tabella 2.

I soggetti inclusi nello studio saranno seguiti in follow-up successivi ogni 6 mesi, nel corso dei quali saranno sottoposti ad una serie di scale e prove oggettive volte ad evidenziare l’eventuale evoluzione clinica del processo dementigeno.

L’individuazione del campione multicentrico in diverse realtà territoriali della provincia di Trento, è avvenuta attraverso una selezione con il metodo caso-controllo (sesso, età= a

X

± 3 anni, livello di QI= qi

X ± 5), rappresentato da una coorte di soggetti con DS o ID, di cui almeno: 10 soggetti in un contesto di centro integrato dedicato a soggetti anziani, 10 in comunità alloggio con frequenza in centri diurni, 10 frequentanti centri diurni, ma domiciliati presso la famiglia e 10 in Residenze Sanitarie Assistenziali o strutture consimili35. 2.4.1 Gli obiettivi generali della ricerca

Gli obiettivi generali della ricerca sono principalmente tre: - individuare e validare eventuali strumenti predittivi con dei criteri di valutazione

multidimensionale per la diagnosi differenziale tra demenza temporanea potenzialmente reversibile (dovuta ad esempio a dei peggioramenti nelle condizioni di salute), ed una demenza irreversibile e progressiva in soggetti di mezz’età od anziani con disabilità intellettiva e Sindrome di Down. - Verificare l’impatto sulle persone con demenza di tipo Alzheimer e non, di diverse modalità

d’intervento, in un ambiente protesico e di valutarne l’impatto sui caregivers formali e informali ed ipotizzare i criteri per l’erogazione di servizi mirati a questa tipologia di persone e i processi assistenziali adeguati. I servizi dovranno tenere conto dei quattro domini principali della gestione

34 GOMIERO T., DE VREESE L. P., MANTESSO U., Diagnosi, intervento e gestione centrata sulla persona: Adulti e Anziani con Sindrome di Down e Disabilità Intellettiva, Spazi e Modelli. Percorsi evolutivi per la disabilità psicofisica, vol. 3, n. 2, pagg. 25-38, Agosto 2006. 35 Ibidem.

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della persona con demenza: attività cognitive, abilità funzionali, comportamento, famiglia e qualità della vita36. 2.4.2 Le fasi della ricerca

La prima fase della ricerca è consistita nello studio della documentazione esistente sulla problematica della disabilità e invecchiamento.

La ricerca documentaria iniziale è stata svolta dal Dott. De Vreese responsabile scientifico del progetto di ricerca, dal responsabile sanitario medico di base dell’Associazione, dal coordinatore della ricerca e da alcuni ricercatori del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova.

Essa si è svolta essenzialmente su due livelli: 1. livello medico-sanitario, attraverso una ricerca sulle riviste specialistiche e sulle banche dati

virtuali (PUBMED, CAPERE ecc.) con particolare attenzione agli studi panel basati sui criteri della based evidence medicine, oltre ad aggiornamenti ottenuti tramite la partecipazione a convegni internazionali in ambito geriatrico e della disabilità;

2. livello psico-pedagogico, con gli stessi criteri sopra elencati.

Per la selezione degli strumenti diagnostici, sono state seguite le linee guida dell’ AAMR-IASSID Working Group for the Establishment of Criteria for the Diagnosis of Dementia in Individuals with Intellectual Disability, reperibile nell’articolo “Diagnosis of Dementia In Individuals with Intellectual Disability”37.

Dallo studio della letteratura esistente, sono stati individuati alcuni test di valutazione neuropsicologica e medica (vedi tabella 1).

Uno degli obiettivi specifici della ricerca è infatti quello di verificare la validità e la fedeltà del Dementia Questionnaire for Persons with Intellectual Disabilities e del Dementia Scale for Down Syndrome, che sono considerati dall’AAMR-IASSID (Working Group for the Establishment of Criteria for the Diagnosis of Dementia in Individuals with Intellectual Disability, i due strumenti più importanti per lo screening di una sospetta demenza in persone con ID e DS.

In una fase successiva della ricerca, si prevede il confronto di questi due strumenti con altre due scale, finora non utilizzati in Italia, quali lo strumento di valutazione Rocco Geriatric Assessment e il questionario Assessments for Adults with Developmental Disabilities38.

36 Ibid, pag.284.

37 AYLWARD E.H., PH.D., D. B. BURT, PH.D., L.U. THORPE, M.D.F. LAI, M.D..A.J. DALTON, PH.D., Diagnosis of Dementia In Individuals with Intellectual Disability, “American Association on Mental Retardation”, Ottobre 1995. 38 Ibidem.

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25

Tutte le scale e le prove elencate necessitano di uno studio di attendibilità e validità statistica nella popolazione italiana con ID o DS. Quelle indicate in grassetto dovranno essere sottoposte anche al procedura di traduzione e retro-traduzione dall’inglese in italiano.

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26

Nota: tutte le scale e prove elencate necessitano di uno studio di attendibilità e validità statistica nella popolazione italiana con ID o DS. Quelle indicate in grassetto dovranno essere sottoposte anche alla procedura di traduzione e retro-traduzione dall’inglese in italiano.

Si è proceduto poi

alla traduzione in italiano dei test e alla

validazione dei test, iniziando dal DMR, uno

degli strumenti principali

della ricerca, la cui

versione italiana verrà

Tabella 1

Procedure valutative per la diagnosi clinica di

DAD*

Criteri

diagnostici di

demenza

Metodo di

Analisi Strumenti previsti

Bibli

ogra

fia

Declino

mnestico o

Anamnesi,

intervista/questi

onario ai

caregiver,

anche

professionali

Scale sulla

demenza:

declino in

altre

funzioni

cognitive

Dementia Scale for

Down Syndrome* DSDS Gedye, 1995

Dementia

Questionnaire for

Mentally Retarded

Persons* DMR Evenhuis e

coll., 2004

Test

Neuropsicologi

ci Funzioni cognitive:

Severe Impairment

Battery abbreviata

SIB, Saxton e coll.,

2005

Test for Severe

Impairment

TSI, Albert e Cohen,

1992

Abilità

funzionali

Anamnesi,

intervista/questi

onario ai

caregiver,

anche

professionali

Scale sulla

demenza:(vedi

sopra)

Funzioni cognitive:

(vedi sopra)

Alzheimer

Functional

Assessment Tool

AFAS

www.emedicinehelth.

com/articles

Tabella 2

Procedure valutative per stabilire criteri e

l'efficacia degli interventi

Dominio Ambito Strumenti previsti Bibliografia

La qualità

della

gestione

quotidiana

Life Style Approach LSA, Simard,

1999

Gestione

dell'ospite e

dei

caregivers

formali

ATLANTER Studio Vega

Osbwin Millichap e coll.,

2003

Severe Impairment

Battery abbreviata

SIB, Saxton e

coll., 2005

Funzioni

cognitive Test for Severe

Impairment

TSI, Albert e

Cohen, 1992

Disability

Assessment of

DAD, Gélinas e

coll., 1999 Alzheimer Functional

Assessment Tool

AFAS,

www.emedicineh

ealth.com/articles Verifica

della

gestione

quotidiana

Functional

Assessment Staging

FAST, Reisberg e

coll., 1984

Abilità

funzionali Scala di Tinetti per

valutazione

dell’equilibrio e della

andatura

Tinetti, Tinetti,

1986

Behavioral Pathology

in Alzheimer’s

disease Rating Scale

Frequency-Weighted

BEHAVE-AD-

FW, Villa e

coll.,2005 Cohen-

Mansfiel

d

Agitation

Inventor

y

CMAI, Cohen–

Mansfield , 1986

Comportame

nto

Behavioral and

Emotional Activities

Manifested in

Dementia

BEAM-D, Sinha

e coll., 1992

Ospite Dementia Quality

Life

DEMQOL,

Smith e coll.,

2005

Qualità di

vita Operatori

Maslach Burnout

Inventory

MBI, Maslach C.

1994

Famiglia Caregiver Burden

Inventory

CBI, Novak e

Guest, 1989

Mini Nutritional MNA, Guygoz e Stato di

Salute fisica

Non-communicative

Patient’s Pain NOPPAIN, Snow

e coll., 2004 Indice Cumulativo di

Comorbilità

CIRS, Conwell e

coll, 1993

Indici di

sofferenza

MSSE Zaminof

e Adunsky, 2005

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27

pubblicata nel prossimo numero della rivista dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. La validazione del DMR è avvenuta su un campione di 60 soggetti con disabilità intellettiva e

Sindrome di Down, attraverso una doppia somministrazione effettuata da educatori diversi a un mese di distanza l’una dall’altra. Lo stesso procedimento verrà adottato nel corso della ricerca, per le altre scale psicometriche ancora da validare.

Durante la fase di screening e di diagnosi di demenza, sono stati applicati gli strumenti sopra indicati ( vedi tabella 1 e 2), ed è stata compiuta una valutazione clinica secondo i criteri proposti da Aylward e collaboratori. Sono stati così per l'individuati circa 60 soggetti, d’entrambi i sessi, d‘età compresa fra i 40 e 70 anni, afferenti ai diversi centri partecipanti al progetto, che rispondono ai criteri sopra riportati.

Dall’agosto 2006 fino all’agosto 2007, si sta procedendo con una prima taratura di valutazione dei dati raccolti sulle scale di valutazione e l’eventuale implementazione delle stesse o costruzione di nuovi strumenti di misura. Si sta procedendo, inoltre, alla predisposizione degli strumenti di intervento e si ripeterà lo studio osservazionale sui BPSD con metodo ABC Antecedent-Behaviour-Consequences all’interno del Centro integrato La meridiana di Anffas di Trento.

Dall’agosto 2007 all’agosto 2008, si procederà all’estensione dello studio osservazionale ai soggetti dei gruppi di controllo; alla verifica della validità clinica delle scale e delle prove oggettive, alla valutazione in termini di costi-benefici dell’approccio utilizzato e alla valutazione delle ricerche svolte.

Si arriverà infine alle conclusioni longitudinali su tutto il gruppo campione in accordo con le linee guida AAMR dato che la somministrazione longitudinale di test che certificano il livello di declino in individui con ID o DS è un’assoluta necessità prima di avere sufficienti informazioni che suffraghino la diagnosi di demenza 39.

39 Ibidem.

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2.4.3 Il metodo della ricerca

La metodologia utilizzata per la ricerca si differenzia in modo abbastanza netto per i due obiettivi generali. Essa è essenzialmente di tipo quantitativo e clinico per l’individuazione degli strumenti diagnostici. La ricerca di tipo quantitativo in questo senso ha l’obiettivo di identificare gli elementi comuni e i caratteri generali utili per definire i parametri di riferimento, di capire i processi educativi in atto e di prefigurarne possibili sviluppi40 oltre a consentire una generalizzazione e ripetibilità delle somministrazioni.

Per quanto riguarda l’obiettivo di valutare l’efficacia dell’intervento, accanto a strumenti di tipo quantitativo quali gli inventari di frequenza di problematiche comportamentali, trovano spazio anche strumenti che appartengono a modalità qualitative come alcune interviste strutturate che sono utilizzate per la verifica della qualità di vita negli attori coinvolti.

Di norma Il concetto classico di affidabilità mira a garantire che i risultati siano replicabili indipendentemente da chi li ha ottenuti, dal metodo usato, dal momento in cui sono stati ottenuti ed a garantire che vi sia una coerenza interna negli strumenti di rilevazione adottati. In questo modo si sottraggono le spiegazioni fornite alla pura occasionalità, neutralizzando le influenze spurie per far idealmente emergere il solo fenomeno.

Le metodologie qualitative preferiscono riconoscere la relazione inevitabile tra i fenomeni osservati e le circostanze nelle quali li si osserva. Anch’esse sono però interessate a sottrarre le conclusioni alla pura occasionalità ed a chiarire il legame che unisce gli strumenti di ricerca adottati. La soluzione è quella di esplicitare tale relazione, in modo da offrirla all’attenzione ed alla consapevolezza di chiunque legga i risultati ottenuti. Questo rappresenta uno sforzo forse ancora più ampio, di chiarire le condizioni generali, non solo quelle ufficialmente ‘manipolate’, che influenzano i risultati ottenuti.

In questo caso l’affidabilità è così sostituita da due criteri, trasparenza e riflessività. Gli strumenti di tipo qualitativo che vengono utilizzati sono: l’osservazione partecipata e una

particolare modalità di osservazione strutturata basata sullo shadowing tramite un pacchetto software per l’osservazione strutturata OsbWin. Quest’ultimo è uno strumento osservativo che permette, attraverso l’utilizzo di un palmare e di video riprese, di osservare e verificare il comportamento del soggetto41. Attraverso questo tipo di osservazione, si cerca di individuare le strategie più adatte per ogni singolo soggetto in quel specifico contesto ambientale.

E’ uno sforzo di esplicitazione e riordinamento della metodologia qualitativa affinché essa non si affidi puramente all’estro interpretativo di chi conduce la ricerca, ma approfondisca la riflessione e la trasparenza procedurale per permettere lo scambio con gli altri membri della comunità scientifica ed il controllo della qualità dei propri risultati. In questo senso si cerca ad esempio di definire quali siano le scelte da fare o i criteri di qualità da applicare nel rispetto dei propri presupposti ontologico-

40 GATTICO E., MANTOVANI S., La ricerca sul campo in educazione. I metodi quantitativi, Bruno Mondatori Editore, Milano, 1998, pag.79.

41 MILLICHAP, OLIVER, MCQUILLAN-KASLY, LLOYD, HALL, Desciption functional analisys of behavioral excess shown by adults with Down

Sindrome and dementia, “International Journal of geriatric psychiatry”, 2003; 18:844-854.

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29

epistemologici. In particolare, vi è l’intenzione di effettuate una prima in ambito italiano, dello studio eseguito da Millichap D. e altri (2003)42con un campione molto più esteso.

Lo studio esamina l’ipotesi che esista una relazione funzionale tra gli eventi sociali ambientali e gli eccessi comportamentali in individui con Sindrome di Down e demenza.

Il Disegno di ricerca specifico prevede che una serie di soggetti siano seguiti in ambito multicentrico (centro La Meridiana di Trento e centri di altri comprensori del Trentino) con un età che può andare dai 40 ai 60 anni (minimo n = 10) utilizzando una procedura di osservazione diretta basata su un’analisi di tipo descrittivo-funzionale e che utilizza come metodo l’osservazione diretta o tramite video ripresa, condotta nell’ambiente naturale dei partecipanti (centri diurni o comunità alloggio) su periodi significativi da 12 a 16 ore. I dati saranno raccolti in riferimento agli eccessi comportamentali verbali e non verbali, comportamenti adeguati e interazioni verbali con gli altri. L’ambiente sociale sarà osservato includendo il comportamento del gruppo dei pari e dello staff di operatori coinvolto.

L’utilizzo della stessa procedura (palmare e Software OSbWin) e degli stessi item di correlazione dello studio sopraindicato garantisce la possibilità di ampliare l’attendibilità e la validità di contenuto della ricerca. Ciò consente di valutare se e in che modo, nel nostro contesto culturale, economico e sociale, siano compatibili i risultati e le conclusioni ottenute nello studio anglosassone. L’analisi sequenziale di questo studio mostra, infatti, che intervengono cambiamenti nella probabilità di contatti sociali nel periodo precedente o immediatamente successivo ai comportamenti verbali. L’attenzione a questo fattore ha la stessa rilevanza nell’ambito della letteratura che si è occupata di anziani adulti con demenza. L’analisi dei soggetti con sindrome di Down può allora diventare un target per ricadute terapeutiche e di intervento non farmacologico che vanno al di fuori dell’ambito della specifica patologia, essendo i comportamenti rilevati sovrapponibili a quelli della popolazione anziana con demenza. Tale studio può essere applicato anche in contesti quali case di riposo e centri servizi o in altri ambienti naturali. 2.4.4 L’oggetto della ricerca

L’oggetto principale della ricerca è l’individuazione di una diagnosi precoce di Alzheimer in soggetti di mezz’età o anziani con disabilità intellettiva e Sindrome di Down. Una volta definita la diagnosi, si cerca di proporre di modelli di intervento sperimentali in grado di produrre processi di realizzazione umana.

2.4.5 I primi risultati della ricerca

Dopo un anno dall’inizio della ricerca, possono essere evidenziate le seguenti ricadute a livello educativo:

- riduzione nell’utilizzo di psicofarmaci;

42 Ibidem.

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- assenza di utilizzo di metodi contenitivi (fisici, chimici, ambientali). Si è provveduto, inoltre, alla sostituzione del DEMOQL, con un altro strumento il QUALID

SCALE, in quanto è risultato non efficace con la tipologia di soggetti della ricerca (vedi tabella 2). Vi sono delle ricadute operative in ambito assistenziale per i Servizi socio-sanitari. Il progetto

DAD di ANFFAS TRENTINO ONLUS, infatti, è aperto a collaborazioni multicentriche con altri soggetti che, a vario titolo, operano nell’ambito della disabilità adulta.

Vi è da parte dell’Associazione un tentativo di sensibilizzare anche gli amministratori pubblici a questi problemi con la consapevolezza che affrontare in termini metodologici il problema del disabile che diventa anziano, significa poi poter affrontare ancora meglio il problema dell’anziano in generale. E’ opportuno pensare che una programmazione ed una messa in opera di un progetto di questo tipo, che sia pure impegnativo sul piano economico, è sicuramente meno oneroso rispetto a quello che costeranno le persone disabili in termini di assistenza se non si farà un programma organico per loro, senza contare che la qualità di vita di queste persone sarebbe estremamente povera e ciò sarebbe intollerabile per una società civile ed economicamente avanzata. Erogare servizi più costosi e di pessima qualità sarà il paradosso cui si potrebbe arrivare se non si prenderanno e pianificheranno seriamente interventi a tal scopo.

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CAPITOLO 3: ELEMENTI DI METODOLOGIA DELLA RICERCA PEDAGOGICA 3.1 La ricerca pedagogica in educazione speciale Il fine di ogni ricerca, anche educativa, è la conoscenza43. Nella ricerca in generale, l’azione del ricercatore consiste in un’attività conoscitiva di analisi e riflessione su un problema reale, che precede l’intervento. Nella ricerca in educazione, invece, è l’azione educativa stessa che genera un processo di riflessione e quindi di ulteriore conoscenza44. L’azione educativa deve essere guidata dall’intenzionalità e deve mirare all’incremento di sviluppo umano45. Chi fa ricerca in ambito educativo, cerca di dare una risposta ai vari interrogativi che l’educazione pone. Cerca di trovare quelle azioni educative in grado di incrementare lo sviluppo umano di una persona. La ricerca in educazione non ha quindi solamente un fine conoscitivo, o pratico, ma conoscitivo e pratico nello stesso tempo46. La ricerca-azione è la modalità più importante per compiere cambiamenti in ambito educativo47. Solo attraverso questa modalità di ricerca, si riesce a cogliere in profondità quei movimenti neuro-biologici e motivazionali in grado di portare il soggetto ad una piena umanizzazione48. L’oggetto di studio della ricerca in pedagogia speciale è l’educazione dell’uomo e, in particolare, i problemi educativi speciali dell’uomo: l’handicap, ma non solo. La pedagogia speciale si occupa di tutti quei bisogni educativi speciali che non possono essere trattati in modo ordinario. La ricerca in educazione speciale ha come finalità l’individuazione degli interventi atti a superare i problemi causati dalle resistenze al pieno sviluppo umano49. L’handicap, ad esempio, si evidenzia proprio al momento dell’azione educativa come resistenza al pieno sviluppo umano. Il pedagogista speciale è quell’esperto in grado di distinguere il deficit dall’handicap. E’ colui in grado di far emergere dal deficit, quell’ulteriore campo di intervento che è l’handicap50. L’esperto in pedagogia speciale conosce i modelli di sviluppo tipico di un soggetto e, tramite l’osservazione mirata, è in grado di analizzare le diversità. L’ottica con cui viene considerato lo sviluppo atipico è

43 LAROCCA F., Azione mirata. Per una metodologia della ricerca in educazione speciale, FrancoAngeli Editore, Milano, 2003, pag.9. 44 LASCIOLI A., Elementi introduttivi alla metodologia della ricerca pedagogica, materiale grigio fornito per il Master di II Livello in Pedagogia

Cognitivo neuro-motoria, Università degli Studi di Verona, Anno Accademico 2005/2006, pag.1. 45 LAROCCA F., Azione mirata. Per una metodologia della ricerca in educazione speciale, Franco Angeli Editore, Milano, 2003, pag. 39.

46 LASCIOLI A ., Elementi introduttivi alla metodologia della ricerca pedagogica, op. cit., pag.2.

47 LAROCCA F., Azione mirata. Per una metodologia della ricerca in educazione speciale,op. cit., pag. 267.

48 Ibid, pag. 273.

49 LASCIOLI A., Elementi introduttivi alla metodologia della ricerca pedagogica, op. cit., pag.11

50 Ibid, pag.12.

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quella educativa dell’ incremento di capacità. Non ci si ferma alla constatazione di un problema. Tutte le persone, in quanto tali, hanno il diritto ad un percorso di umanizzazione che sviluppi, nel modo migliore possibile, le capacità di base: relazione, comunicazione, autonomie personali e sociali. E’ importante, quindi, non negare il deficit e lo sviluppo atipico, ma mettere a fuoco in modo specialistico i problemi ad esso connessi, per trovare delle risposte specialistiche. In quest’ottica, “speciale” non è il soggetto in quanto handicappato, ma l’intervento che si andrà a proporre. L’intervento dovrà essere il frutto di una specializzazione, di un lavoro di equipe in grado di rispondere ai bisogni speciali della persona e della sua famiglia in modo globale, senza frammentare gli interventi. Questa modalità di approccio ai bisogni educativi speciali della persona è quella propria del paradigma cognitivo neuro-motorio che verrà approfondito nel prossimo capitolo.

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CAPITOLO 4: LA RICERCA: VALUTAZIONE COGNITIVO NEURO-MOTORIA

4.1 L’approccio cognitivo neuro-motorio

Il paradigma cognitivo neuro-motorio, è un modello di interpretazione dei problemi educativi speciali. Tale modello cerca di dare una risposta ai vari aspetti, invisibili e problematici, a cui rinviano i bisogni educativi speciali di alcuni soggetti. L’educazione speciale all’interno del paradigma cognitivo neuro-motorio, cerca di comprendere come e cosa fare affinché la persona possa realizzare il massimo livello di sviluppo possibile51. E’ importante considerare tutti gli ambiti di incremento umano: dalla cognitività, all’affettività, alla motricità, alla sensorialità. I vari interventi mirati all’incremento di sviluppo umano, non devono essere frammentati, ma devono essere l’esito di un processo che considera la persona nella sua globalità52. Per fare questo l’educatore speciale che adotta il paradigma cognitivo neuromotorio, deve saper lavorare in equipe per far fronte, attraverso i vari punti di vista, al problema educativo speciale. I limiti organici e fisici sono infatti compito di specialisti, di medici e riguardano l’area medico-sanitaria, ma quando il soggetto presenta anche una difficoltà a maturare lo sviluppo della personalità, occorre che intervenga il punto di vista pedagogico-educativo e in particolare la pedagogia speciale53. E’ importante che il punto di vista medico-sanitario e quello pedagogico-educativo, collaborino in modo sinergico. Il metodo da adottare è quello clinico-dialogico che è in grado di leggere la problematica attraverso vari punti di vista e angolazioni, operando in continuazione degli approfondimenti. È un dialogo interdisciplinare clinico finalizzato a cogliere ciò che un solo punto di vista non vedrebbe54. Il paradigma cognitivo neuro-motorio utilizza il dialogo interdisciplinare per cercare di dare una risposta ai bisogni educativi speciali. 4.2 L’esperienza personale di ricerca

51 LASCIOLI A., Elementi introduttivi alla metodologia della ricerca pedagogica, op. cit., pag.10.

52 Ibidem.

53 LAROCCA F., Nei frammenti l’intero. Una pedagogia per la disabilità, Edizioni Franco Angeli, Milano, 1999, pag.61

54 Ibidem.

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Ho deciso di svolgere lo stage previsto dal Master di II Livello in Pedagogia Cognitivo Neuromotoria presso l’associazione per cui lavoro come pedagogista. Il mio collega dott. Tiziano Gomiero, mi propose di partecipare ad un progetto di ricerca appena avviato sull’invecchiamento delle persone disabili, in particolare quelle con Sindrome di Down. Accettai con entusiasmo la proposta di partecipare al progetto in qualità di ricercatrice, in quanto questa rappresentava una problematica sentita nel mio lavoro con le perone adulte con disabilità intellettiva.

La regressione dei livelli di autonomia e il decadimento cognitivo che accompagna il processo di invecchiamento di queste persone, infatti, determina la necessità di individuare dei servizi che permettano di rallentare questo generale declino. E’ importante riconoscere alla persona disabile questo nuovo status sociale di “anziano”. Bisogna andare contro il processo di “infantilizzazione culturale55” che purtroppo molto spesso accompagna la visione di queste persone che qualcuno vorrebbe considerare come degli eterni bambini. Altra concezione da evitare è quella dell’ageismo, cioè il considerare l’invecchiamento in termini di disfunzione e di malattia: “Non c’è nulla da fare è vecchio”. E’ importante pensare ai nostri ospiti in termini di progetto di vita, il che comprende, inevitabilmente, anche il processo di invecchiamento.

Grazie a questa esperienza, che sta proseguendo anche dopo la conclusione delle ore previste per lo stage universitario, ho avuto l’occasione di partecipare in prima persona ad un progetto di ricerca, di approfondire una tematica molto importante per il mio lavoro e fare una riflessione critica alla luce di quanto avevo appreso e interiorizzato durante il percorso del Master.

Il mio lavoro di stage ha avuto come finalità l’acquisizione di conoscenze legate alle problematiche connesse alla disabilità e l’invecchiamento. Questa esperienza mi ha consentito di utilizzare specifiche modalità di progettazione e di conoscere metodiche relative alla valutazione dei risultati finalizzando l’osservazione.

Il metodo da me utilizzato durante lo stage è stato quello dell’osservazione partecipata che mi ha consentito di osservare, ma nello stesso tempo vivere in prima persona la situazione in cui si svolgeva l’azione. L’osservazione partecipata può essere considerata come “presenza educativa, aiuto in situazione”56 che permette, come tutte le modalità di ricerca-azione, di chiedere e dare spiegazioni mentre si verificano i fenomeni. Questa metodologia mi ha permesso di osservare l’organizzazione del Centro La Meridiana di Trento e i suoi utenti.

Oltre all’osservazione partecipata, ho avuto modo di far parte di alcune fasi della ricerca. In particolare ho somministrato ad un campione di utenti provenienti da vari centri diurni dell’Anffas Trentino Onlus dove opero come pedagogista, alcuni tra i test previsti alla ricerca. Il campione scelto era composto da circa una quindicina di soggetti con disabilità intellettiva e Sindrome di Down con più di cinquantanni. I test somministrati sono stati: Vineland57, DMR58 (vedi tabella. 2 capitolo 2).

Una volta raccolti i dati ho avuto la possibilità di elaborarli e verificarli insieme all’equipe interdisciplinare. 55 MONTOBBIO E., Il viaggio del Signor Down nel mondo dei grandi. Come i “diversi” possono crescere, Edizioni del Cerro, Pisa, 1992.

56 LAROCCA F. , Pedagogia speciale, op. cit., pag.132.

57 SPARROW S.S., D.A. BALLA, D.V. CICCHETTI, Vineland Adaptive Behavior Scale, Intervista forma completa, adattamento italiano a cura di G.

BALBONI E L. PEDRABISSI 58 EVENHUIS e coll, Dementia Questionnaire for Mentally Retarded Persons, 2004

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4.3 Valutazione cognitivo neuro-motoria della ricerca 4.3.1 Premessa generale

L’oggetto formale della ricerca in educazione è la tensione alla riduzione di asimmetria tra essere e dovere/potere essere. Lo sguardo si focalizza sull’analisi del processo evolutivo, sul cambiamento in atto non riconducibile a processi maturazionali.

La ricerca, secondo me, ha cercato e sta cercando di mettere in luce questi cambiamenti che si pongono come incremento di sviluppo umano. Tali cambiamenti devono essere intesi come processi di realizzazione, cioè aumento di capacità, o meglio, visto che si parla di soggetti anziani, come mantenimento delle capacità residue. Il pedagogista ha il compito di indagare le variabili che hanno portato a questi cambiamenti. Le variabili possono essere ambientali, relazionali e sensoriali-cognitive-motorie. L’indagine deve avvenire non con un obiettivo descrittivo, ma prescrittivo, cioè per mettere in atto delle prassi educative.

Il pedagogista ha il compito di stimolare e coordinare i vari interventi sulla persona (sensoriali, motori, riabilitativi, cognitivi e relazionali) e di renderli coerenti tra loro attraverso la stesura del progetto educativo-assistenziale della persona e, nello stesso tempo, di favorire una capacità riflessiva nei caregivers e nei vari operatori coinvolti un’azione di mirroring, volta a rendere consapevoli del significato intenzionale e prassico delle azioni intraprese anche, come nel caso di soggetti molto anziani, quando si tratta di un accompagnamento ad un declino inevitabile.

4.3.2 L’antropologia di riferimento e il progetto educativo

Il rispetto della persona e della sua centralità in una visione globale, può essere considerato il punto di partenza che accomuna il progetto di ricerca dell’Anffas Trentino Onlus e il paradigma cognitivo neuro-motorio.

Il riferimento valoriale che ANFFAS adotta per il raggiungimento dei suoi scopi, è espresso dalla Teoria Semantica della Persona e trova fondamento, tra gli altri, nel personalismo cristiano di Mounier e Maritain59.

Questa visione antropologica costituisce la cornice di riferimento all’interno della quale prende corpo il progetto educativo e più in generale verso il quale tendono in modo sinergico tutti i servizi che vengono proposti in ogni ospite da parte di Anffas Trentino Onlus.

Il soggetto affetto da handicap è persona, cioè una “struttura di desiderio”, poiché ogni uomo per il fatto stesso di esistere, afferma nella sua vita un significato per cui vale la pena vivere,60 e come tale ha la il diritto di essere aiutato a realizzare tutte le sue potenzialità che vanno sempre inquadrate all’interno di un progetto di vita complessivo.

In modo sintetico possiamo identificare, in chiave esistenziale, il desiderio di felicità come il motore di ogni agire umano. Tutte le forme umane nascono da questo fenomeno, da questo dinamismo costitutivo dell’uomo. Il desiderio accende il motore dell’uomo, indicando in questo modo 59 Si cita a titolo esemplificativo MARITAIN J., L’Educazione al Bivio, Edizioni La Scuola, Brescia, 2000

60 CHIOSSO G., Teorie dell’educazione e della formazione, Edizioni Mondadori Università, pagg.126-128

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quel complesso di esigenze ed evidenze originarie che sono innate ed inestirpabili. In tale contesto la prima attività educativa (e-ducere trarre, condurre fuori, far emergere) consiste nel facilitare e nel fare emergere l’espressività di questo elemento costitutivo quindi disegnare un profilo funzionale che tenga conto di questo dinamismo.

Immediatamente dopo la prassi educativa deve tradursi in un accompagnare61 la persona che ci è affidata in un percorso che deve configurarsi come un’introduzione alla realtà totale e che quindi può e deve partire dall’intervento individuale, ma deve poi tradursi nel massimo di integrazione sociale possibile in quel momento e che deve essere sempre guidato da una intenzionalità62 ben chiara.

La persona, a partire dalla propria condizione (fisica, economica, sociale, psicologica ecc.), è concepita come titolare di diritti e doveri che confluiscono nella sua vocazione alla realizzazione integrale della propria personalità e che si accresce dalla dimensione individuale/personale a quella comunitaria in un percorso di allargamento concentrico delle esperienze.

La proposta differenziata e progressiva di esperienze (che costituisce il fulcro dell’attività educativa) per essere fatta propria dal soggetto deve essere mediata, aiutandolo così a coglierne il significato.

L’ accompagnamento/mediazione non sono intesi come applicazione di attività o di strategie educative, ma un’arte che si adatta alle singole circostanze d’esercizio e alle diverse tipologie di relazione che vi possono essere. Lo strumento di analisi per definire le tappe di un percorso autentico di sviluppo della persona è rappresentato non da un singolo professionista, ma da un’equipe interdisciplinare63 a cui è affidata la persona, oltre alla famiglia e a tutti gli attori che sono coinvolti nel processo educativo, con la consapevolezza che ogni persona sfugge per sua natura ad una definitività esaustiva e che rimane un “punto di fuga64” che dovrà essere rispettato se non si vuole ridurre la portata di ogni singolo individuo.

Deve esserci la consapevolezza di dover contrastare il rischio inevitabile di una logica semplificatoria o schematica che porti ad una applicazione ideologica ed astratta di strategie: Occorre tentare continuamente sintesi approssimative e transitorie, che hanno il loro punto di espressione e strumento privilegiato nella relazione interpersonale tra il soggetto e chi di volta in volta svolge le funzioni educative (genitore, insegnante, educatore, terapeuta ecc.).

Sinteticamente si può affermare che il tentativo che viene perseguito è quello di approcciare la persona a partire da ciò che c’è (non da ciò che manca) cercando di valorizzare al massimo le

61 Il concetto di pedagogia etimologicamente inteso deriva dalla parola greca composta da “pais” (fanciullo) e “agogòs” (accompagnatore), nella

lingua latina il “paedagogus” era il precettore che accompagnava a scuola il fanciullo. 62 Senza un fine un telos, una precisa finalità educativa, che non può essere posta in termini astratti o utopici non si può dare una lettura unitaria

dell’esperienza e si rischia di proporre un insieme di azioni disordinate, contradditorie o casuali che anche nel linguaggio comune identifichiamo come “diseducative” , cfr.. XODO C., Introduzione alla Pedagogia, in Studium Educationis, n.1, CEDAM, Padova,1996, pag. 126 e seguenti. 63 Nelle pratiche educative diventa importante tenere conto non solo delle aspettative personali dell’ospite, che sono fattori motivanti, ma anche

dell’analisi delle aspettative di chi presta aiuto come fattori di promozione fondamentali nella relazione d’aiuto, cfr., GIUS E. et altri, Psicologia sociale dei poteri: formazione della personalità e processi socioriabilitativi, in Studium Educationis, n.1, CEDAM, Padova,1996, pag. 96 e seguenti. 64 In questo ambito è inteso come lo specifico irriducibile a cui esplicitamente o implicitamente ogni pratica o teoria pedagogica fanno riferimento

e che può ben connotarsi come il “misterioso” differenziale che esiste in ogni persona, vedi tra gli altri F. TONNIES, Comunità e Società, Milano 1963, pag. 218.

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positività che si riscontrano e potenziare o mantenere questi aspetti allargandoli al massimo delle possibilità.

Per raggiungere tale scopo generale possono essere quindi utilizzate tutte le diverse metodiche e attività terapeutiche e riabilitative che possano avere una ricaduta positiva e che devono trovare una loro coerenza complessiva d’intervento all’interno del progetto educativo.

L’antropologia di riferimento è quella che considera ogni uomo una persona e quindi un valore, un universo unico e irripetibile e difficilmente afferrabile65.

L’antropologia di riferimento e la visione del processo educativo che fanno da sfondo alla ricerca di Anffas Trentino Onlus, sono comuni a quella del paradigma cognitivo neuro motorio e hanno come obiettivo la ricerca di coerenti metodologie operative, affinché il progetto elaborato risponda ai bisogni reali e individuali degli utenti e attento alla globalità della persona.

Il progetto educativo viene stilato sulla base di un’analisi disposizionale dettagliata, con una chiara individuazione delle aree di lavoro, tanto dettagliata negli obiettivi quanto flessibile nel definire tempi e metodi. La mappa degli obiettivi diventa così lo strumento attraverso il quale gli interventi si armonizzano in modo coerente tra loro.

Alla luce del paradigma cognitivo neuro motorio, si osserva come la componente emotivo relazionale debba necessariamente essere presa in considerazione, e tuttavia, pur essendo fondamentale per costruire l’aggancio con il soggetto, non deve tralasciare la parte cognitiva e motoria, che devono avere una propria autonomia, richiedendo propri metodi di intervento per lo sviluppo. L’approccio con il soggetto in difficoltà, infatti, non dovrebbe limitarsi al sintomo, ma cercare di affrontare tutte le problematiche connesse che potrebbero portare ad individuare la causa del malessere sia a livello fisico, che mentale e, in ultima analisi, sociale. E’ importante, quindi, adottare l’ottica dell’interdisciplinarietà, attraverso il lavoro di equipe: il paziente non può essere considerato come "proprietà privata" del singolo professionista, chiuso nel proprio studio/orticello, ma tutti i professionisti sono chiamati a fare la propria parte in modo coordinato e nel pieno rispetto delle reciproche professionalità.

Anche per quanto riguarda questo importante aspetto, trovo che vi sia una corrispondenza tra il progetto di ricerca e il paradigma cognitivo neuro-motorio. Le riunioni con l’equipe alle quali ho partecipato, vedevano infatti la collaborazione di vari professionisti come il pedagogista, lo psicologo, i caregiver formali e informali, il medico ecc., con l’obiettivo di avere un quadro completo di ogni utente e per capire, attraverso i vari punti di vista, come intervenire nel modo migliore possibile.

La corretta gestione di queste persone, deve mirare alla diminuzione dello stress e all’aumento del benessere individuale, attraverso il raggiungimento di una funzionalità ottimale che non riguarda solo le funzioni cognitive, ma anche i sentimenti della persona, le azioni che compie, il senso di appartenenza e di identità66.

65 LAROCCA F., .ALBERTOLI G., GIRELLI, TOCCHETTI, TURRA, VENDRAMINI, Corso di sensibilizzazione per Operatori Socio-Sanitari e di

Volontariato, Gruppo studio e ricerca sull’handicap Università di Verona, marzo – maggio 1998, pag.6. 66 GOMIERO T., La Meridiana, una “nicchia ecologica”. Centro integrato dedicato a soggetti Down e ID di età adulta avanzata, “Anffas Trentino

Onlus”, dicembre 2006, num.13.

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4.3.3 Riflessioni e osservazioni critiche

Per quanto riguarda l’osservazione degli utenti, il metodo utilizzato nella ricerca è quello indiretto, che vede l’utilizzo di strumenti video e palmari, che registrano i comportamenti dei singoli utenti nei vari contesti di vita. Questi strumenti vengono utilizzati non tanto con la pretesa di avere dei dati e delle informazioni oggettive sulla singola persona, ma per avere la possibilità di rivedere alcune sequenze significative insieme agli educatori e riflettere sul significato educativo di alcune azioni. Oltre a questi metodi qualitativi di tipo indiretto, nella ricerca si intrecciano anche metodi di osservazione più diretta quali l’osservazione partecipata compiuta dagli educatori coinvolti nel progetto e, periodicamente, dai ricercatori stessi. Questo tipo di metodologia permette di individuare le condizioni che determinano e influiscono sull’azione educativa e permettono una continua auto-valutazione della ricerca in corso.

Penso che questo tipo di metodologia possa essere coerente con la metodologia della ricerca educativa in chiave cognitivo neuromotoria. L’osservazione, compiuta dalle persone coinvolte a vario titolo nella ricerca, deve avere come obiettivo l’individuazione delle condizioni di esercizio vincolanti dell’ambiente67. Ogni ricerca, infatti, ha bisogno di una qualche forma di osservazione per cogliere le ragioni dei cambiamenti.

Per quanto riguarda l’approccio metodologico, esso pone l’attenzione alla costruzione di ambiente “protesico”. La protesi comprende: lo spazio fisico e le persone i cui atteggiamenti devono essere caratterizzati da flessibilità e pazienza. La specifica metodologia utilizzata nel Centro La Meridiana, ha dei punti in comune con l’approccio cognitivo neuro-motorio. Uno di essi è sicuramente l’utilizzo di un approccio che cerca di superare modello biomedico di assistenza e di cura, che si basa sulla patologia e su interventi che curano i sintomi e la malattia. In questo modello, infatti, le persone diventano “pazienti” e i “pazienti” diventano la loro malattia68. L’attenzione è sulla gestione dei comportamenti problematici che conseguono al deterioramento cerebrale, che vengono considerati come parte inevitabile della malattia e quindi trattati a livello farmacologico69.

L’approccio cognitivo neuro-motorio e quello del Gentlecare, cercano, invece, di tenere conto anche degli aspetti sociali della persona e dell’influenza che l’ambiente esercita su di essa. E’ importante conoscere il deficit della persona, ma per attivare interventi educativi adeguati e volti a compensare i deficit, favorendo le funzioni residue, allo scopo di migliorare la qualità di vita della persona.

4.4 Valutazione degli esiti

L’osservazione partecipata che ho condotto, seppur per pochi mesi, mi ha permesso di verificare sul campo gli effettivi benefici del trattamento “protesico” dei soggetti considerati. Essa mi ha aiutato

67 LAROCCA F., Azione mirata. Per una metodologia della ricerca in educazione speciale,op. cit., pag.56.

68 JONES M., Gentlecare. Un modello positivo di assistenza per l’Alzheimer, Edizione italiana a cura di L. Bartonelli, Edizioni Carocci Faber,

Roma, 2005, pag.32. 69 Ibid, pag.41.

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a dare un senso all’esperienza che stavo compiendo e, nello stesso tempo, mi ha aiutato ad individuare, insieme ai componenti dell’equipe interdisciplinare, le strategie educative più idonee per gli utenti. In questo senso l’osservazione partecipata non ha solamente un obiettivo conoscitivo, ma anche innovativo70.

Il partecipare a questo progetto di ricerca mi ha quindi permesso di utilizzare gli strumenti osservativi appresi durante il Master. Grazie a questa esperienza, ho potuto approfondire le problematiche connesse alla metodologia della ricerca in educazione speciale. Inoltre ho avuto la possibilità di conoscere una problematica così importante per il mio lavoro di pedagogista nelle strutture dell’Anffas, che sono i processi di invecchiamento e le problematiche ad esso connesse, in particolare quelle relative alla demenza di tipo Alzheimer che può svilupparsi nelle persona con Sindrome di Down.

Durante la mia esperienza di stage, non ho avuto modo di sviluppare la parte relativa agli aspetti prettamente motori, soprattutto per mancanza di tempo.

I quattro mesi dedicati allo stage mi sono serviti principalmente per conoscere la realtà del Centro La Meridiana, i suoi utenti e il progetto di ricerca già avviato.

Ho avuto la possibilità, inoltre, di partecipare in prima persona ad una fase di realizzazione della ricerca e questa è stata per me un’esperienza importante e arricchente dal punto di vista professionale.

Concludendo, la ricerca e le attività previste al Centro rispondono ai requisiti del paradigma cognitivo neuro-motorio. Seppur utilizzando metodologie specifiche che riguardano le problematiche connesse ai processi di invecchiamento, rimane come base fondamentale e come sfondo a tutta la ricerca, l’approccio globale alla persona disabile. Solo attraverso quest’ottica propria del paradigma cognitivo neuro-motorio, si può intervenire nella maniera adeguata alle problematiche connesse all’invecchiamento e alla demenza, dove i problemi cognitivi si intrecciano con quelli motori, comportamentali, relazionali e si ripercuotono sul sistema familiare del soggetto.

70 LAROCCA F., Azione mirata. Per una metodologia della ricerca in educazione speciale,op. cit, pag.79.

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CONCLUSIONI

Questo lavoro di Tesi non ha la pretesa di essere esaustivo riguardo all’argomento scelto, ma vuole essere un contributo per rendere più conosciuta, nell’ambito della disabilità, una tematica che negli ultimi anni sta emergendo e che necessita di interventi specializzati.

L’approccio alla persona con handicap, sia essa giovane o anziana, necessita di un punto di vista che tenga conto degli aspetti medico-sanitari, ma anche quelli pedagogico-educativo. Queste due ottiche possono, infatti, collaborare in modo sinergico attraverso un dialogo interdisciplinare, finalizzato a cogliere ciò che un solo punto di vista non vedrebbe, per riuscire a restituire globalmente alla persona una qualità di vita il più possibile soddisfacente.

Ho cercato di spiegare in che modo il pedagogista speciale, grazie alla sua specifica professionalità e al paradigma cognitivo neuro-motorio, possa intervenire nelle problematiche connesse alla disabilità e all’invecchiamento, tenendo conto della persona nella sua globalità.

Lo stage e l’approfondimento svolto attraverso questo lavoro di Tesi, mi hanno permesso di svolgere un’importante esperienza di ricerca, che mi ha arricchita a livello personale e professionale. Per questo ringrazio il dott. Tiziano Gomiero che mi ha dato questa importante opportunità e che mi ha seguita come tutor durante il mio percorso.

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