UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE - News 2 · RIFORMA PROTESTANTE RIFORMA PROTESTANTE....

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE PER L’INSEGNAMENTO NELLE SCUOLE SECONDARIE CORSO DI STORIA MODERNA PRESENTAZIONE DI UNA UNITÀ DIDATTICA Docente del Corso: Ch.mo Prof. Giuseppe Trebbi Specializzando: Stefano Ulliana Classe di abilitazione: A037 (Filosofia e Storia) Corsi Speciali ex lege N. 143/2004, D.M. 85/2005 A.a. 2006 - 2007.

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UUNNIIVVEERRSSIITTÀÀ DDEEGGLLII SSTTUUDDII DDII TTRRIIEESSTTEE

SSCCUUOOLLAA DDII SSPPEECCIIAALLIIZZZZAAZZIIOONNEE PPEERR LL’’IINNSSEEGGNNAAMMEENNTTOO

NNEELLLLEE SSCCUUOOLLEE SSEECCOONNDDAARRIIEE

CORSO DI STORIA MODERNA

PPRREESSEENNTTAAZZIIOONNEE DDII UUNNAA UUNNIITTÀÀ DDIIDDAATTTTIICCAA

Docente del Corso: Ch.mo Prof. Giuseppe Trebbi

Specializzando: Stefano Ulliana Classe di abilitazione: A037 (Filosofia e Storia)

Corsi Speciali ex lege N. 143/2004, D.M. 85/2005

A.a. 2006 - 2007.

UNITÀ DIDATTICA

UNITÀ DIDATTICA

RELATIVA ALLA RELATIVA ALLA

RIFORMA PROTESTANTE RIFORMA PROTESTANTE

IINNTTRROODDUUZZIIOONNEE Se “il modulo rappresenta una unità formativa autosufficiente in grado di promuovere

saperi molari e competenze che, per la loro alta rappresentatività culturale, e perciò anche tecnico pratica, nel settore specifico di riferimento, siano capaci di modificare significativamente la mappa cognitiva e la rete delle conoscenze precedentemente possedute…” (G.Domenici, 2002) e se la progettazione modulare consente di far affiorare nell’impianto strutturale di ogni disciplina e nella conseguente proposta formativa la struttura reticolare della conoscenza, individuando i nodi concettuali di base, le relazioni che li collegano, alcuni dei possibili percorsi alternativi di apprendimento, allora è possibile stabilire una serie di finalità ed obiettivi formativi, che stabiliscano, definiscano e determinino il progressivo svilupparsi, attraverso i contenuti proposti, i metodi e gli strumenti più adeguati ed opportuni, dell’orizzonte di riferimento della pratica educativa e didattica dell’insegnamento della storia nelle classi delle scuole superiori italiane.

Costituiti, nelle diverse situazioni concrete, in serie discendente, i Piani Educativi di Istituto, la programmazione di classe in relazione agli obiettivi educativo-didattici trasversali, l’eventuale programmazione di Dipartimento (in questo caso il Dipartimento di Filosofia e Storia), stabilita la programmazione disciplinare (sulla base dell’analisi della situazione iniziale, della definizione delle finalità e degli obiettivi e della loro scansione all’interno dei percorsi didattici, della selezione dei contenuti, con la scelta dei metodi e degli strumenti, della determinazione delle modalità generali di verifica e di valutazione), l’orizzonte della pratica educativo-didattica della storia si concentra progressivamente sul rapporto fra le caratteristiche della classe in questione (modalità e stili di apprendimento, variabilità del grado di motivazione ed interesse alla disciplina, presenza in misura diversa di abilità logico-linguistiche) e la proposta effettiva del singolo insegnante.

Stabilite e condotte a termine all’inizio dell’anno scolastico le diverse ed interrelate prove di ingresso (1. la definizione di alcuni termini chiave, successivamente utilizzati con diverso ed approfondito significato nella pratica didattica della storia; 2. l’individuazione delle relazioni di causa ed effetto in un documento considerato e proposto all’analisi; 3. la contestualizzazione e la scansione storica di alcuni documenti (testuali, visivi o auditivi), con l’esplicitazione delle implicazioni sociali, economiche, politiche o in senso lato culturali, che giustificano apparentemente la struttura del documento esaminato; 4. l’analisi di un breve documento, con la richiesta di mettere in luce: i concetti chiave, le strategie argomentative, le analogie, le metafore, il tema o l’argomento, la tesi dell’interprete storico), è possibile ipotizzare di somministrare ad una terza classe di liceo scientifico, verso la fine del corso annuale di frequenza e di studi - all’interno della programmazione modulare

annuale (Modulo dedicato al Tempo delle trasformazioni nella modernità: politica, religione, cultura e scienze: 18-21 ore) - una proposta interpretativa costituita da una particolare Unità Didattica, dedicata alla considerazione e valutazione interpretativa dei Movimenti teologico-politici protestanti (6 ore).

La classe in esame viene, inoltre, valutata ipoteticamente in possesso di generali condizioni di livello medio-alto, sia per quanto riguarda le abilità analitico-sintetiche, sia per quanto è relativo alle competenze legate alla individuazione lessicale o alla ricostruzione/rielaborazione personale delle relazioni storiche di causa/effetto o in relazione alle finalità indicate in modo argomentativo dalle diverse interpretazioni storiografiche principali (marxista, liberale, radicale, cattolica). Viene inoltre presupposta una forte motivazione, partecipazione ed interesse alla disciplina, nella sua forma generale di ricerca e investigazione nella definizione e determinazione (giustificazione) delle modalità di ricostruzione del reale ed ideale storico, secondo un punto di vista ed un principio di tipo immaginativo-razionale, che abbia necessariamente riscontro e corra in parallelo con l’identico punto di vista (e competenza) applicato nella ricerca e nella didattica filosofica. La classe viene quindi investita, sempre ipoteticamente, di una una forte curiosità e di una profonda ed alta aspettativa per l’inesplorato e il non ancora articolato e fondato (o giustificato). Da quest’ultimo punto di vista l’immedesimazione del soggetto discente con il progetto ricostruttivo della disciplina storica incontra una necessaria e possibile traccia di intersezione ed incontro con le motivazioni alla costituzione liberamente creativa e dialettica della personalità del soggetto adolescenziale, investendo di pari passo sia il lavoro storico che quello filosofico di una grande possibilità di efficacia e di motivazione nei confronti dei progetti di studio, della ricerca e della formazione individuale, che perseguano e realizzino progressivamente le finalità generali educativo-didattiche stabilite dall’istituzione scolastica pubblica nazionale.

11.. PPRREERREEQQUUIISSIITTII

Prima di iniziare l’Unità Didattica considerata, vengono riconosciuti alla classe una serie

importante di prerequisiti di medio-alto livello: 1. dal punto di vista speculativo, una accertata consapevolezza del divenire ideologico

proprio della civiltà occidentale, attorno al perno essenziale costituito dal presupposto (di orizzonte e di fondo) costituito dall’intreccio reciproco fra il teologico, il politico e la stessa considerazione naturale (presupposto T.P.N.). All’interno di questo quadro sistematico la consapevolezza dell’intreccio delle tradizioni filosofico-teologiche più importanti (platonismo, aristotelismo medievale) nell’influenza che esse hanno

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generato nell’ambiente culturale germanico (Meister Eckhart, Nicola Krebs). La ripresa del neoplatonismo agostiniano e paolino, nell’opera dei primi Riformatori (soprattutto in relazione al problema fondamentale della salvezza, secondo la grazia e/o le opere).

2. Dal punto di vista storico, politico, sociale ed economico la considerazione meditata della frantumazione politica dei territori germanici soggetti all’Impero, quale fattore di possibile libertà (ed eventuale alternativa) nella costituzione di un orizzonte di civiltà nuovo. La valutata attestazione dell’influenza generata dalla politica di alleanze fra le potenze cattoliche dell’Impero (con la reazione, in difesa, del regno francese). La considerazione dell’importanza economica della scoperta del nuovo mondo (America), con tutti i suoi effetti sulla variazione dei prezzi (inflazione) e sulla mobilizzazione dell’innovazione produttiva (sviluppo della concentrazione finanziaria delle ricchezze e passaggio al capitalismo mercantile).

3. Nel caso, invece, delle abilità e delle competenze, verranno richieste – o recuperate, tramite lo stesso lavoro in classe – le capacità legate alla lettura e decodificazione dei manuali e dei testi utilizzati come fonti dirette o mediate, la capacità di saper individuare le componenti politico-economiche, sociali e culturali degli eventi storici, nella loro reciproca correlazione concausale, l’abilità legata ad una corretta utilizzazione del linguaggio storico, le abilità legate alle capacità analitico-sintetiche, di schematizzazione e di mappatura dei concetti. Ciò in relazione alla necessaria consapevolezza della presenza ed attività di un orizzonte di natura immaginativo-razionale, come luogo della propria autorappresentazione dei concetti (sia di tipo storico, che filosofico), riuscendo in tal modo a superare la tradizionale suddivisione linguistica ed immobilizzante (ideologica) degli stessi. Questa competenza generalizzata si dovrebbe innestare su di un lavoro svolto in precedenza, durante la fase della scuola secondaria inferiore, teso allo sviluppo delle capacità/abilità analitica, sintetica e rielaborativa. Questo orizzonte e sfondo generale permette, infatti, la giustificazione e l’integrazione di tutte le possibili abilità particolari e specifiche, di volta in volta richieste dalla programmazione dell’insegnamento di storia (e di filosofia).

22.. FFIINNAALLIITTÀÀ EE OOBBIIEETTTTIIVVII

Stanti le finalità decise dal Collegio Docenti e dal Consiglio di Classe iniziale, gli obiettivi

disciplinari (competenze ed abilità in relazione alla materia storica) e quelli metodologici (i diversi contributi che le conoscenze danno all’acquisizione di un metodo personale di

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rielaborazione), gli obiettivi specifici legati al Modulo ed in particolare individuati per l’Unità Didattica qui sviluppata si riassumono in:

a) acquisizione di un possibile snodo fondamentale nel modo di pensare la genesi della modernità (in connessione con lo sviluppo integrato del programma didattico di filosofia): la Riforma protestante dà luogo ad una nuova possibile fase di civilizzazione per il continente europeo, nella quale l’elemento platonizzante (trascendente) si scontra e/o si fonde con una rivitalizzazione dell’elemento aristotelizzante (immanente)? La questione della salvezza (secondo la grazia e la provvidenza divine o secondo i meriti legati alle opere) deve essere vista come uno schermo, attraverso ed oltre il quale si muovono fattori di natura teologico-politica, che dunque possiedono in sé una forte carica di trasformazione economico-sociale e culturale? La prevalenza del fattore trascendentista su quello immanentista immobilizza e neutralizza le spinte più rivoluzionarie, messe in moto dalla Riforma? Si può così parlare di una Destra (Calvino) e di una Sinistra (via via più radicale e rivoluzionaria: Melantone, Zwingli, Müntzer e gli Anabattisti) nel movimento teologico-politico protestante tedesco? Con la figura di Lutero a rappresentare il Centro ed il perno per una ricomposizione dell’antico e tradizionale con il nuovo, però limitato ed appunto neutralizzato (nelle sue forme teologico-politiche più eversive)?

b) Questa problematizzazione come può avvalersi degli apporti delle conoscenze storiche legate alla suddivisione territoriale tedesca di quella fase storica? Si devono naturalmente considerare i contesti territoriali germanici limitati come occasione di libertà (teologiche, politiche ed economico-sociali)?

c) Qual è l’influenza della pressione centrale dell’Impero su queste forme di libertà tradizionali? Lo sviluppo della contesa fra il potere politico centrale e la sua difesa del cemento ideologico costituito dalla religione cattolica (Carlo V) pone a rischio di deflagrazione la stessa struttura politico-gerarchica dell’Impero? Apre, o avrebbe potuto aprire, verso soluzioni completamente nuove ed incompatibili con quella ricomposizione fra l’antico ordine feudale e l’avvio di un processo protocapitalistico mercantile, verso il quale le nuove forze dirigenti nell’Impero (Dieta e Függer) sembravano voler spingere?

d) La nuova sistemazione teologico-politica, instabile sino alla metà del secolo successivo (Guerra dei Trent’anni) e diversa nei diversi territori dell’Impero, confligge tendenzialmente e potenzialmente con l’accentuarsi delle tendenze alla concentrazione dei poteri, che dalla costituzione delle monarchie nazionali in Europa tenderà rapidamente in età moderna alla fondazione di stati ad impronta assolutista

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(vedi Francia di Luigi XIV)? Così la mancata costituzione di uno stato unitario germanico (oltre l’apporto linguistico desumibile dall’opera teologico-politico e letteraria di Lutero) vale come una mancanza nei confronti del procedere del progresso storico europeo, o non invece come uno di quei “ritardi” della storia stessa, che – come indicava Ernst Bloch – potevano anticipare un futuro nuovo e completamente diverso, rivoluzionario?

e) Il tema della nascita della coscienza individuale, della sua autonomia e libertà, della sua indipendenza e della sua attiva determinazione progettuale, può collegarsi con l’avventura di una nuova organizzazione razionale della conoscenza scientifica? Il principio della libertà teologica si compone con quello della libertà razionale e della ricerca naturale? La svalutazione iniziale della Natura in Lutero – per la predominanza del peccato originale e della Legge – può trovare soluzione, sempre nello stesso Lutero, con la rivoluzione dell’Amore divino? L’apertura che qui viene decretata “salva” la stessa considerazione naturale e avvia verso le forme di impulso agli studi naturalistici (la linea Paracelso→Böhme)? L’idealismo futuro tedesco sembrerebbe così ad un passo, il futuro passo (con le relative problematiche politiche ed ideologiche della nazione tedesca).

33.. CCOONNTTEENNUUTTII

INTRODUZIONE

L’orizzonte e lo sfondo medievale - teologico e psico-sociale, quindi culturale e in senso

lato politico – era dominato dalla concezione di un Dio, che incuteva paura e terrore, che aveva in se stesso la prevalenza di fattori negativi e di subordinazione, quasi fosse – maschilmente – “invidioso et invido” – avrebbe detto successivamente Giordano Bruno nella sua mirabolante critica del processo ideologico della civiltà occidentale – della libera potenza creativa della Natura e della Ragione. Un Dio che, quindi, faceva intravedere piuttosto la continuità con l’imperio della Legge (il V.T.), piuttosto che la liberazione ottenuta grazie alla spontaneità ed eguaglianza dell’amore (il N.T. ed il Cristo). Tutte le forme ereticali che lo avevano attraversato – Catari, Patari, Albigesi - si fissavano quindi più sulla negazione di questa negazione, con un eccesso della stessa che conduceva verso forme di autocastrazione culturale collettiva, piuttosto che sulla riapertura di un orizzonte positivo sia dal punto di vista psico-socio-dinamico, che culturale e politico. Al contrario i diversi e ricorrenti movimenti italici dei secoli XII-XIII-XIV, legati alle figure di Arnaldo da Brescia (influenzato dall’insegnamento parigino di Abelardo), Gioacchino da Fiore (desideroso di

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trasporre in senso civile l’ideale comunitaristico orientale), Dolcino (con la sua critica alla concezione verticistica e gerarchica del potere, insieme religioso e politico), Pietro d’Abano (fautore della libertà di movimento per gli stessi astri celesti e della visione dialettica di composizione-scomposizione), Marsilio da Padova (che con il suo Defensor Pacis forse dà avvio alla divisione fra potere dello Stato e riferimento teologico ed ecclesiastico) tendevano a considerare e valutare positivamente l’apporto popolare e tendenzialmente democratico alla vita religiosa ed a quella politica, per impedire che la relazione verticale del potere perdesse la Chiesa stessa dentro il vortice alienante dei rapporti di forza (economici, istituzionali e culturali dominanti), e la portasse a farsi strumento della rischiosa valorizzazione delle nuove forze protoborghesi, voluta all’interno delle nuove forme civili cittadine (i Comuni), tese allo smarcamento della vita individuale e collettiva dalla determinazione religiosa ed alla rincorsa della felicità e dei piaceri, che l’ideologia dell’immanenza (Aristotele) poteva fondare e garantire (cfr. le opere letterarie di Boccaccio). Così mentre i Comuni vengono neutralizzati in Italia dall’avvento delle Signorie, forse il movimento umanistico comincia a riutilizzare la rievocazione della posizione classica della filosofia e delle prassi greco-romane per consolidare una forma di potenza immanente, priva della necessaria giustificazione teologica e/o religiosa, ma nello stesso tempo adatta ad impedire vie di fuga laterali di tipo effettivamente rivoluzionario (come invece riaccadrà all’inizio dell’età moderna, almeno nelle sue possibilità teoriche, con le posizioni di Giordano Bruno e Baruch Spinoza). Le posizioni di Lorenzo Valla e di Niccolò Machiavelli starebbero così successivamente a dimostrare un’accettata impossibilità a fuoriuscire da tendenze politiche o politico-teologiche immanenti e/o trascendenti, di nuovo neoplatonizzanti (da Nicola Krebs a Marsilio Ficino). In tal modo la nuova fase dello sviluppo ideologico della civiltà occidentale vedrebbe in Italia agitarsi un dibattito fra due posizioni, che in realtà non consentono – ciascuna per parte propria - alcuna variazione ed alcuna trasformazione di quell’impianto tradizionale, che fa comunque leva su di un orizzonte superiore di determinazione vincolante, di un rapporto di egemonia e di potere ineludibile e necessario. Sia nell’ipotesi di una sovradeterminazione, che in quella di una raccolta di differenze legate dal comune interesse dello Stato regionale in formazione, la divisione, l’alienazione e la scissione del soggetto contempera in sé sia la versione neomistica dell’infinito della volontà e della potenza (sovranità assoluta del regnante), che quella neoaristotelica della separazione astratta delle virtù e delle classi socio-economicamente e politicamente o culturalmente dominanti (secondo il principio di una determinazione di natura oligarchica).

Di fronte a questa situazione sembra allora stare la polemica di natura prettamente religiosa - che pare a questo punto quasi di mera retroguardia - fra un’ipotesi di salvezza

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vincolata alla determinazione dogmatica delle prassi legate alle “buone opere” ed al relativo “merito” ed una nuova ipotesi interpretativa, sollecitata dalla famosa questione della vendita delle indulgenze, ma connessa con le aspirazioni politiche tedesche verso una maggiore autonomia e ad un deciso annullamento di tutte le forme di eterodeterminazione provenienti dal Papa e dalla Curia romana. In questo senso il valore di quest’autonomia e di questa autodeterminazione scinderà veramente e realmente quella proposta umanistica, scindendo quella stessa scissione e così ricomponendo il punto d’origine di una nuova fase di attività, tendenzialmente proiettata verso un mondo veramente e realmente nuovo. Con un nuovo orizzonte ideologico e con nuove modalità dialettiche proposte alle relazioni intersoggettive (sia in terra tedesca, che olandese, od inglese, sino alle colonie americane di nuova formazione).

In questo contesto il primato della fede, della grazia e della Scrittura assumerà, dunque, il valore, il senso ed il significato paradigmatico di una nuova alleanza fra divino ed umano, tesa a ribadire costantemente il proprio contenuto e la propria forma originari (con il richiamo alla fonte del Nuovo Testamento e la messa in questione della tradizione ecclesiastica come giustificazione principale per la salvezza), mentre l’orizzonte finale e conclusivo dell’opera umana nel mondo non deve far altro che seguire il semplice, ma complicatissimo, principio etico-religioso dell’amore fraterno ed infinito (vero ed unico, reale, dono della divina provvidenza). In questo senso si potrebbe anche sostenere che il movimento protestante tedesco rigetterà tutte le incrostazioni umanistiche e classicheggianti della fede, per liberarsi dall’abbraccio mortale con un potere politico ed economico, con il quale, però, non riuscirà mai – ad esclusione delle formazioni più di sinistra, radicali e rivoluzionarie – a fare fino in fondo i propri conti, con ciò dimostrando ancora una volta il difetto d’origine della propria impostazione: l’appiglio alla diagonalizzazione tradizionale dell’Essere, della potenza/volontà divine e dell’ente finito (seguendo, in questo modo, l’impostazione tomistica). Solamente il ripristino del contatto con l’originario creativo e doppiamente dialettico di una materia che appare come spirito (infinito ed universale) ed il capovolgimento del teismo in ateismo come vera e reale religiosità comune permetterà forse – con Fichte, il primo Schelling e la linea interpretativa che nascerà a partire da Feuerbach – al movimento protestante tedesco di realizzare le proprie aspirazioni più alte, profonde e radicali.

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PRIMA PARTE – IL PROBLEMA RAPPRESENTATO DALLA RIFORMA1

Se la modernità pare iniziare nel continente europeo proprio grazie al sommovimento

teologico, ecclesiastico e politico-sociale internazionale originato dalle riflessioni teologiche di Martin Lutero – come sostiene fin dall’Ottocento la storiografia protestante – allora è grazie alla rottura con l’universalismo coatto del cattolicesimo romano, che lo spirito di libertà della nuova epoca può librarsi nei nuovi cieli di un’eticità religiosa e nel contempo civile e politica rinnovata, aperta e di nuovo creativa, forte di nuove promesse di salvezza individuale e collettiva, capace di rinnovare l’impegno per l’evangelizzazione e la trasformazione anche radicale dei modi di vita e dei comportamenti sociali ed economici. Non ci si deve dimenticare, infatti, come gli studi di M. Weber e E. Troeltsch abbiano sottolineato all’inizio del Novecento la forte compenetrazione della corrente che qui definiremo “di destra” del movimento protestante – il calvinismo – con il nuovo ed emergente spirito del capitalismo borghese e mercantile, attento alla accettazione e giustificazione divina della propria “vocazione” e del proprio “successo” economico, sociale e/o politico. Come pure, dal lato opposto, come la stessa “sinistra protestante” sia stata vista come la premessa per lo sviluppo del successivo Deismo e del movimento illuminista più radicale e rivoluzionario,2 magari sino alle prime teorizzazioni socialistiche ed egualitarie, poste a cavallo fra Settecento ed Ottocento (Babeuf, Buonarroti).

Al contrario, se si sottolinea - come fatto nell’Introduzione – la forte valenza predeterminista di origine agostiniana della speculazione di Martin Lutero, non si può non assegnare al movimento protestante una valenza retrograda, con la necessaria futura prevalenza di decisioni teologico-politiche conservatrici, se non addirittura reazionarie (come nel caso della rivolta dei cavalieri e della guerra dei contadini). Che natura dovrà allora essere attribuita al nuovo ordine imposto dal Protestantesimo? Per rispondere a questa domanda è necessario discutere di alcune premesse, legate alle proposte speculative religiose e politico-ecclesiastiche di Desiderio Erasmo (Erasmo da Rotterdam).

Erasmo da Rotterdam Se il controllo dell’istituzione ecclesiastica e degli stessi Ordini religiosi oramai avveniva

tramite l’individuazione e la designazione papale dei “benefici ecclesiastici”, diventa chiaro

1 L’Unità Didattica viene suddivisa in quattro parti o lezioni di un’ora ciascuna (1. Introduzione/Erasmo/Lutero, 2. Sinistra protestante, 3. Destra Protestante, 4. Inghilterra/Italia/Conclusioni). Il testo di riferimento utilizzato è il manuale intitolato La Riforma protestante, di Susanna Peyronel Rambaldi. In: Storia Moderna. <<Manuali Donzelli>>. Roma, Donzelli, 2001. Le pagine utilizzate sono le pagg. 49-76. 2 Cfr. De Mattei, Roberto. A sinistra di Lutero: sette e movimenti religiosi nell’Europa del ‘500. Roma, Città Nuova, 1999.

come la critica alla generale corruzione della Chiesa in ambito medievale sfoci facilmente all’inizio dell’età moderna in prese di posizione personali e dotte, quali appunto quelle assunte, prima da Lorenzo Valla (con la sua De falso credita et ementita Costantini donatione, 1440), poi dallo stesso Desiderio Erasmo. Se, poi, ai benefici ecclesiastici si sommavano le esenzioni fiscali e i tribunali ecclesiastici, la devozione popolare e/o cittadina non poteva non avvertire una straordinaria contraddizione fra la forte spinta alla rievangelizzazione dei ceti cittadini ed il vero spirito mercantile e finanziario, che animava e giustificava realmente la vita della Chiesa, a partire dalle somme istanze decisionali (Papa e Curia romana). Nello stesso tempo i monasteri maschili detenevano il monopolio delle attività di predicazione, mentre quelli femminili diventavano asilo protetto per le figlie delle famiglie nobili o borghesi arricchite. E tutto ciò in un regime di completa dipendenza dal sostentamento esterno, a carico completo del lavoro e dei beni prodotti dalle comunità nelle quali essi erano presenti ed operavano. Un carico ed un peso di separazione e di privilegio decisamente sempre più insopportabile.

Il “merito” ottenuto da Cristo con la sua morte sulla croce, per la salvezza dell’intera umanità (capitalizzazione della morte del divino), era diventato strumento di mercimonio nello scambio ecclesiastico e curiale fra la salvezza delle anime dei defunti ed i lasciti o patrimoni dei parenti, che contribuivano così ad assicurare una notevole fonte finanziaria alle attività economiche della Chiesa stessa. In più, a partire dall’evento della morte, per risalire poi sino alla nascita ed alla vita correttamente cristiana, la serie dei sacramenti contribuiva a indottrinare rigidamente i comportamenti collettivi ed individuali, con una forma di necessitazione schiacciante, priva persino della possibilità di una qualsiasi alternativa o di una critica pratica. Il riconoscimento del proprio peccato diventava nella confessione il riconoscimento della necessaria ed assoluta subordinazione alla struttura che ne poteva annullare gli effetti, per il tramite di una “penitenza operosa”. Il Dio usato per la sua morte si trasformava nel mandante di un completo assoggettamento alle volontà ed alle decisioni umane di un corpo sociale separato e privilegiato, animato con tutta evidenza da uno spirito non propriamente o principalmente evangelico.

È a causa di questa contraddizione esiziale per la stessa Chiesa che Erasmo da Rotterdam (1466/9-1536) decide di sciogliere il proprio vincolo di obbedienza speculativa alla tradizione, per intraprendere una critica a largo spettro d’orizzonte, tramite la quale riformare – ovverosia restaurare – il messaggio originario della fede cristiana (e quindi delle sue stesse istituzioni ecclesiastiche), nella sua lettera e soprattutto nel suo spirito, di libertà e di amorosa eguaglianza. Gli Adagia, l’Elogio della follia, i Colloqui sono il testamento di un’opera tesa alla fresca e vivace rivitalizzazione del messaggio cristiano e delle sue finalità, secondo gli ideali classici ed eruditi di uno dei primi fra gli Umanisti. Qui la

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sopraffazione che accompagna ogni forma di violenza e che la giustifica, nascondendo dietro ideali strumentali la pura e semplice acquisizione e moltiplicazione del proprio potere (economico, sociale, politico, culturale od anche ecclesiastico) diviene la maschera tragica e nello stesso tempo beffarda dello spirito della Chiesa e dei tempi, in un florilegio continuo ed in un caleidoscopio ininterrotto di immagini e di figure tragi-comiche, destinate a capovolgere il mondo invertito della pseudo-normalità (basata sulla doppiezza e sulla necessaria superstizione), in un nuovo ordine morale e religioso, riacquisito per tutti grazie alla riscoperta ed alla libera espressione del vero, originario, ed autentico messaggio cristiano: l’amore infinito ed universale. Nella stessa Institutio principis christiani non faceva altro che ricordare questo semplice, ma difficilissimo messaggio, rammentando che solo l’umiltà mantiene in contatto con l’originario della creazione. E che di fronte alla protervia del potere la verità di questo infinito si riafferma alta ed ideale a costo del supremo sacrificio, della sua apparente negazione. Quasi nietzscheano prima di Nietzsche, Erasmo sottolinea la valenza distruttiva della Volontà di Potenza del potere umano, feticcio e scimmia di Dio in un presunto sapere ed in una falsa azione, per ripristinare la volontà di potenza dell’originario creativo, libero ed eguale, intimo, vicino a noi e fraterno. Fonte autentica della vera scienza e della buona azione.

La riscoperta dello spirito del Cristianesimo doveva perciò avvenire attraverso una reinterpretazione del testo del Nuovo Testamento, depurata da tutte le incrostazioni dovute ad una cattiva tradizione, sia filologica, che semantico-allegorica. Per questo egli attese alla riedizione critica in greco del Nuovo Testamento (1514), pochi anni prima dell’esplosione del caso “Lutero”.

SECONDA PARTE – LUTERO

Una nuova proposta teologica. È bene ricordare, prima di introdurre la figura di Lutero, il particolare contesto storico-

politico che ha accompagnato e sollecitato lo sviluppo antagonista delle tesi luterane. L’Impero germanico era frantumato3 in una miriade di Stati territoriali, principati ecclesiastici, città libere, ed era debole di fronte alla minaccia esterna rappresentata dai Turchi. In più era minato all’interno dalla contrapposizione fra la visione unitarista e monarchica dell’Imperatore e quella oligarchica e cetuale dei principi territoriali e cittadini. I principi intendevano aumentare la propria autonomia ed il proprio potere, sottraendolo alla Chiesa cattolica germanica, che quindi chiedeva protezione per i propri diritti e privilegi

3 Vedi cartina storico-geografica in Appendice.

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acquisiti presso l’Imperatore, per la conservazione della stabilità dello stesso ordine imperiale. Ma la causa prossima, scatenante dell’incendio e dell’appoggio alla critica luterana, provenne dalle richieste papali di finanziamento per la crociata contro i Turchi del 1518, che i principi tedeschi avrebbero dovuto appoggiare economicamente con le proprie sovvenzioni, in un contesto già piagato dai favoritismi economici ecclesiastici e dall’interventismo locale della Curia romana.

Nato ad Eisleben in Turingia nel 1483 da una famiglia di contadini arricchitasi con l’estrazione del rame, Lutero subito si dedica con fervore agli studi ed al lavoro, ancora intrappolato entro una dimensione superstizioso-religiosa dove le forze del male – i demoni della natura – venivano combattuti dalle forze spirituali evocate dai e grazie ai santi cattolici (veri intermediari di una salvezza ingenua e spontanea, piuttosto paganeggiante). Monaco per grazia ricevuta, comincia ad approfondire la teologia paolina ed agostiniana presso il convento di Erfurt. Dottore in teologia, comincia ad insegnare esegesi biblica presso l’Università di Wittenberg, dove inizia a sviluppare alcune proprie considerazioni sul rapporto d’amore che lega le creature a Dio, attraverso il Cristo (tema della misericordia divina). In questo modo il dono del Figlio diventa il dono della fede, in una forma, in un contenuto e secondo una finalità che l’uomo stesso fatica a comprendere. È il tema dell’imperscrutabilità della grazia e del giudizio divini, del destino dell’umano, che nella sua finitezza non può che affidarsi alla potenza ed alla volontà dell’Essere personale che lo ha creato e che ora lo sostiene. Così di fronte al peccato d’origine – la scelta egoistica e fortissima del bene e del piacere materiale – l’abisso nel quale l’uomo rischia di precipitare può essere risolto e dissolto solamente da un intervento soprannaturale (agostinismo di Lutero), mentre il semplice aggancio alla perfezione umana – l’ascesi e la mortificazione della carne – resta una pura illusione destituita di senso, se bastante a se stessa. L’abisso del negativo - lo sprofondare e rivoltarsi nel circolo diabolico illimitato del possesso – può essere richiuso solamente dall’apertura positiva, che avviene grazie all’accoglimento della fede e della grazia divina.4 La sproporzione fra infinito e finito viene dunque annullata dal farsi finito dell’infinito – Cristo come uomo – in attesa che la sua morte sulla croce ne riveli – attraverso la resurrezione – di nuovo l’infinitezza. Peccatore nella e secondo la Legge (il Vecchio Testamento), l’uomo può decidere se salvarsi o meno uscendo dalla necessaria adeguazione ai comandamenti, che comunque lo tengono connesso al finito, così come è stato voluto dai piani della divina provvidenza, per ritrovare lo spirito di una nuova salvezza, in un nuovo slancio: la giustizia nella fede. L’ordine della fede (il “vivere per fede” di S. Paolo).

4 M. Heidegger costruirà sul darsi di quest’apertura tutta la propria speculazione (Essere ed Esserci).

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Qui non può non esplodere la vitalità del nuovo pensiero teologico luterano, che pare far rimbalzare l’effetto della finita infinitezza di Cristo nell’infinita infinitezza della sua apertura misericordiosa, del suo amore per tutte le creature e della sua volontà salvifica per tutte le creature. Questa visione apre il cuore e la mente di Lutero, che fa della fede nell’amore infinito ed universale il fondamento della sua nuova predicazione e della sua nuova speculazione etico-religiosa.5

La spinta verticale associata a questa direzione scioglieva l’ancoraggio al criterio delle “buone opere”, alla adeguazione che esse stesse sembravano richiedere al fedele sottomesso agli insegnamenti tradizionali della Chiesa. Questa necessità non poteva più assicurare tutto il respiro, la profondità, l’elevazione e l’apertura invece decretate da quell’impostazione. Tutta la serie delle buone opere non sarebbe stata che una misura finita per riempire una grandezza infinita. Tutta la costruzione del potere religioso e temporale, che all’architettonica del finito si appoggiava, non poteva non crollare a pezzi in terra. Ecco la rivoluzione luterana e protestante! Una rivoluzione con effetti devastanti sull’ordine teologico, politico, sociale ed economico tradizionali. Effetti non visti dallo stesso Lutero, come dimostreranno i casi della rivolta dei cavalieri e della guerra dei contadini.

Scrive Susanna Peyronel Rambaldi: “Nessuna opera, nessuna devozione, nessun lascito pio, nessuna mortificazione corporale erano più necessarie agli occhi di Dio, nemmeno la messa, opera per eccellenza, né quei sacramenti che non fossero stati espressamente istituiti da Cristo, cioè il battesimo e l’ultima cena. Le opere che l’uomo poteva compiere per onorare Dio e per aiutare il prossimo erano dunque soltanto una conseguenza della fede.”6 Una fede che non poteva dunque nemmeno essere giudicata esteriormente, da poteri che si ponessero o venissero giudicati come al di fuori di essa. Ecco, allora, l’origine della qualificazione negativa di “setta” e di “fanatismo” attribuiti dal potere combattuto alle forme più resistenti e critiche del movimento protestante. Una fede, soprattutto, che si apre alla grazia divina, perché vive e si nutre di essa, si muove per essa e per essa trasforma il mondo: ecco, ancora, la terribile forza storica del movimento protestante, che determinò una serie di atteggiamenti e di mentalità collettive ed individuali fortemente impegnate nella democratizzazione del mondo moderno, attraverso il Deismo, l’Illuminismo e le fasi precoci del pensiero rivoluzionario ottocentesco (socialista ed anarchico).

Questo nuovo impianto teologico-politico radicale ed originario non poteva quindi non scontrarsi con il movimento di predicazione animato da Johannes Tetzel (legato alla vendita

5 Lo stesso principio in una versione molto più rivoluzionaria mosse la speculazione di Giordano Bruno, influenzato in gioventù dal pensiero di Erasmo da Rotterdam, contro ogni ipotesi storiografica che vede nella Bestia Trionfante dell’omonimo Spaccio un’allegoria di Lutero o dell’intero movimento scismatico protestante. Prova concreta ne fu l’ottima ed indimenticata accoglienza del filosofo nolano presso la città e l’Università di Wittenberg. 6 Storia Moderna, cit., pagg. 54-55.

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delle indulgenze), che rappresentava in sé tutte le caratteristiche della mercificazione di un falsa fede strumentale, tutta orientata a favorire l’intreccio fra gli interessi politico-religiosi locali (Alberto di Brandeburgo, come arcivescovo di Magonza) e quelli romani (la costruzione della nuova basilica di S.Pietro).7

Il corpo dottrinario della nuova proposta teologica. La relazione espressiva e creativa, libera ed eguale, dialettica nel doppio senso della

verticalità metafisica e dell’orizzontalità politica, che il movimento della fede nella grazia divina dimostrava come struttura teologica e politica, doveva nel caso di Lutero naturalmente irrobustirsi della sua attività esegetica, svolta nei confronti dei testi biblici. Grazie alla stampa, tutti i lavori del monaco agostiniano vengono rapidamente divulgati e diffusi: nei primi tre anni dopo la affissione delle 95 tesi (1517-1520) una trentina delle sue pubblicazioni vennero pubblicate in un numero allora elevatissimo di copie. A Wartburg Lutero traduce e pubblica la Bibbia in tedesco (1522), mentre in precedenza aveva dovuto affrontare il legato pontificio, il cardinale Cajetano, di fronte al quale aggiunge il terzo pilastro delle proprie argomentazioni teologiche: l’affermazione dell’autonomia dei testi sacri nella mediazione alla e per la salvezza delle anime.

In questo modo Lutero dispone la serie di quei tre principi fondamentali, che diventerà paradigmatica per l’affermazione della futura confessione religiosa protestante: “sola fide”, “sola gratia”, “sola Scriptura”. Il libro sacro occupa ora quel posto medio e mediano, che in precedenza era stato occupato dal corpo organizzato e gerarchico della chiesa cattolica (che aveva in questo modo fatto valere il criterio fondamentale della filosofica aristotelica).

Nel 1520 Lutero compone Alla nobiltà cristiana di nazione tedesca, Della cattività babilonese della Chiesa, Della libertà del cristiano, attraverso le quali approfondisce gli effetti pratico-politici della propria proposta teorica. Se l’apertura della fede nella grazia era l’universale stesso divino, che si manifestava agli uomini – a tutti gli uomini, nessuno escluso – allora questa stessa apertura giustificava l’affermazione del sacerdozio universale, dunque lo smantellamento della divisione gerarchica fra clero e laicato, ovvero la decadenza della Chiesa tradizionale come veicolo privilegiato della e per la salvezza. Il battesimo infatti faceva entrare consapevolmente – e qui ricorda la futura questione legata alle proposte degli Anabattisti – tutti gli uomini indifferentemente nella comunità dei possibili salvati, che dovevano quindi prestarsi reciprocamente aiuto, così nelle questioni e negli affari della vita quotidiana, come pure nelle comuni decisioni legate allo spirito. La comunità luterana era tanto politica quanto religiosa. Certo il ministro di culto godeva di

7 Le famose 95 tesi, che si sostiene siano state affisse da Lutero sul portale della chiesa di Wittenberg, vengono raccolte qui, in Appendice.

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una particolare posizione di privilegio, ma questa poteva essere fatta decadere, a seguito di un comune giudizio negativo. Entrava così in gioco nella modernità il concetto orizzontale della revocabilità, che impedisce la fissazione sostanziale delle gerarchie (socio-economiche o politico-istituzionali e religiose). Diventava subito evidente, allora, che la demolizione della struttura sostanziale della Chiesa, praticata da Lutero, avrebbe incontrato i desideri di liberazione dai privilegi ecclesiastici dei ceti imperiali (limitazione delle giurisdizioni ecclesiastiche, freno alle ingerenze della curia, liberazione dei contadini dalle corvée ecclesiastiche). Nello stesso tempo questa demolizione dissolveva la materialità strumentale stessa attraverso la quale la gerarchia cattolica si reggeva: il sacrificio legato alla messa non viene ripetuto, ma è solamente quello originario del Cristo; la confessione, la cresima, il matrimonio, l’estrema unzione, il sacramento dell’ordinazione sacerdotale non trovavano aperta e chiara, evidente, affermazione nella Sacra Scrittura. Tutto il movimento e la trasformazione legata al passaggio del Cristo dalla condizione umana a quella di nuovo divina era l’invisibilità infinita ed universale della vera e reale Chiesa, mentre le comunità visibili non potevano non cercare di adeguarsi a questo movimento metafisico.8 Veniva così ridimensionato teoricamente ogni vincolo stabilito dalle leggi umane, che dovevano trovare in quel movimento la propria reale giustificazione e ricomposizione.

È quindi l’orizzonte aperto della libertà – il Padre trinitario, avrebbe poi affermato Giordano Bruno – a mostrarsi e manifestarsi come quel rapporto d’amore reciproco, universale, che ha uno spirito infinito, eterno ed immortale, nel muovere e trasformare in modo eguale e nello stesso tempo diverso tutti gli esseri viventi. Il Padre così si mostra attraverso il Figlio, nel suo stesso Spirito. Creativo, eguale, fraterno.

In questa relazione dialettica Lutero scioglie ogni inutile e dannosa limitazione, ogni freno alla libertà dello spirito, a partire dalla stessa condizione del celibato ecclesiastico. Ed è proprio questa relazione dialettica, che gli consente di ricongiungere in modo apparentemente paradossale gli opposti della libertà e della soggezione, ricordando che quella relazione orizzontale si regge sull’incrocio di quella verticale, che appunto eleva ad una libertà che non è signoraggio medievale, ma accoglienza eguale e reciproca di ogni essere, umiltà profonda nei confronti di ogni reciproco e complementare movimento d’esistenza.9

8 Uno “stabilissimo moto metafisico” lo avrebbe definito poi lo stesso Giordano Bruno, memore egli stesso dell’insegnamento di Origene (“uno e per sempre”). 9 Le due frasi apparentemente in contrasto sono: “Un cristiano è un libero signore sopra ogni cosa e non è sottoposto a nessuno” e “Un cristiano è un servo volenteroso in ogni cosa e sottoposto ad ognuno”. Da: Lutero, Libertà del cristiano, 1520. Anche Giordano Bruno farà di questo schema generale dell’infinito creativo e doppiamente dialettico il motore “presocratico” della propria filosofia, sia sul piano cosmologico (nella relazione fra astri celesti solari e terrestri), sia sul piano della nuova religione eroica dell’amore eguale.

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I primi effetti politici. Convocata per discutere della posizione di Lutero e per costringerlo a ritrattare le sue

argomentazioni teologico-ecclesiastiche, la Dieta di Worms (1521), decisa dal nuovo Imperatore Carlo V (1519), ottiene l’effetto opposto: anziché stabilizzare la situazione politico-religiosa dei territori germanici, causa la definitiva separazione di alcuni fra i principi tedeschi e il potere imperiale. Lutero non ritratta e si mantiene saldo al principio, che ha aperto una nuova visione d’orizzonte, al divino nella coscienza comune e propria. La libertà che è Dio non può, infatti, disgiungersi e separarsi dalla libertà che è e dev’essere l’uomo.10 La libertà dell’uomo, nel contempo, non può a propria volta separarsi e disgiungersi dalla libertà che è Dio. Si può immediatamente notare, qui, quanta influenza questo principio etico-religioso abbia poi determinato sulle correnti politiche più radicali, che dal Deismo attraverseranno l’Illuminismo e sfoceranno nel torrente impetuoso della Rivoluzione francese.

Bandito dall’Imperatore, Lutero viene messo in salvo dall’elettore di Sassonia, il principe Federico di Sassonia, che lo accoglie – dopo un finto rapimento – presso il suo castello di Wartburg. Confinato in questa dimora, Lutero assiste alla rapida diffusione presso tutti i ceti e presso tutti i principi tedeschi della sua posizione teologico-politica. Alcuni dei principi confermarono la propria adesione alle nuove idee, disponendosi in un’alleanza difensiva nei confronti del potere imperiale ed ecclesiastico. Questa alleanza si fondò su una specifica dichiarazione di fede, la Confessio augustana,11 elaborata da Filippo Melantone (1497-1560) e letta alla Dieta imperiale di Augusta del giugno del 1530. La minoranza evangelica, definita <<protestante>>, rifiutò di sottomettersi all’Imperatore, in questo giustificata dallo stesso Lutero, sulla base del fatto che l’elezione stessa dell’Imperatore avveniva dal basso, secondo un potere di investitura, che non poteva e non doveva essere sottratto o diminuito. La teoria dell’elezione avrebbe avuto, come ben si può immaginare, un travolgente sviluppo, insieme al diritto di resistenza, nei secoli successivi.

Nell’Impero si formarono due partiti politico-religiosi, uno cattolico e uno protestante, quest’ultimo organizzato nella Lega di Smalcalda. Nel 1547 la parziale vittoria di Carlo V impone sulla Sassonia e gli altri principi riottosi un Interim (un accordo transitorio), che però su subito rovesciato dalla vittoria protestante nella guerra dei principi (1552) e dalla conseguente pace di Augusta (1555), che portò all’abdicazione dello stesso Imperatore Carlo V. Secondo il principio del cuius regio, eius religio ai principi protestanti – e solo ad

10 In questa alta necessità sta il nucleo della disputa fra il De libero arbitrio di Erasmo da Rotterdam, che riprende le teorie tradizionali sulla libertà dell’uomo come possibilità di scelta, ed il De servo arbitrio di Lutero, che vede invece nell’uomo, nella sua stessa radice d’esistenza e di vita, questa spinta ineludibile alla libertà, ad una libertà quindi necessaria. 11 Vedi documento in Appendice.

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essi, non ai propri sudditi – venne concessa la libertà di culto, in tal modo costituendo la base religiosa per un modello politico di tipo federale. Gli stessi regni di Svezia e di Danimarca adottarono il luteranesimo come religione di Stato.

TERZA PARTE – LA SINISTRA PROTESTANTE

Durante tutta la stagione dei sommovimenti religiosi e politici che accompagnano la

riforma protestante il turbine scatenato dai principi luterani non poteva non investire in modo diverso e differente i diversi strati sociali della popolazione dei diversi territori germanici. Così la nobiltà dei cavalieri, i contadini ed i borghesi delle città rapidamente si impadronirono del senso generale del messaggio luterano, per approfondirne la portata rivoluzionaria. Nel 1525 scoppiò così quella che venne definita la rivolta o la guerra dei contadini. Esacerbate dall’aggravarsi dei vincoli di servitù medievali e dalla relativa limitazione delle libertà amministrative e comunitarie, le popolazioni contadine si richiamarono al <<diritto divino>>, al Vangelo nella lettura luterana, per contrastare le restrizioni e le oppressioni stabilite ed esercitate dal potere gerarchico e separato del combinato-disposto fra il potere ecclesiastico ed il potere temporale dei Signori e dei patrizi cittadini. Seguendo il Manifesto dei Dodici Articoli, redatto nel 1525 dal parroco evangelico di Memmingen, Christoph Schappeler, e dal pellicciaio e teologo laico Sebastian Lotzer, i contadini cominciarono a contestare i diritti signorili sulle persone e sui beni e diritti comunitari (foreste, caccia e pesca). Nello stesso tempo decisero di riappropriarsi dei diritti comunitari sulle terre, chiedendo nel contempo la potestà di eleggere e destituire i parroci e quella di rivolgere le decime alle spese comunitarie dei villaggi e non alla Chiesa.

Questa spinta verso una piena eguaglianza trasformò le comunità di villaggio contadine in “fratellanze cristiane”, spingendo all’estremo le stesse conseguenze della posizione luterana. L’inscindibilità della libertà e la sua inalienabilità componevano un corpo sociale e politico che si autodeterminava ed autorganizzava, nei tributi e nei servizi reciproci e collettivi. La reciprocità positiva diventava il fondamento della nuova esistenza comune. Per questo doveva essere bandita ogni separazione ed ogni potere alienante.

Così, radunati nell’<<Unione cristiana>>, i contadini si contrapposero ai principi, e la rivolta dilagò in tutta la Germania, sino al Tirolo, alla Svizzera e all’Alsazia.12 Dopo il saccheggio di castelli e monasteri, Thomas Müntzer (1489-1525) prese la direzione della rivolta, approfondendone ulteriormente i tratti apocalittici e messianici: la prossima Apocalisse avrebbe decretato l’avvento millenario del nuovo Regno di Cristo, dove pace,

12 Vedi cartina in Appendice.

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giustizia, libertà ed eguaglianza, sarebbero state garantite per tutti e senza alcuna esclusione, proprio grazie alla spada sguainata contro le vessazioni e lo stesso potere dei principi da parte del nuovo popolo degli “eletti”, che avrebbe quindi dovuto eliminare proprio quella tradizionale separatezza ed autoreferenzialità del potere, che era stata trasmessa dalla forma ideologica dominante nella civiltà occidentale (l’Uno necessario e d’ordine). L’infinito aperto dell’Uno luterano diventa così in Müntzer giustificazione materiale – come sarà per la speculazione di Giordano Bruno – per l’eliminazione del distacco e della separazione, della scissione e dell’alienazione della libertà (il Padre), che finalmente si ricompone con la finalità e lo scopo di un’eguaglianza essa stessa infinita (il Figlio), per rendere di nuovo manifesto, reale e concreto, il progetto rivoluzionario dell’infinito dello Spirito, dell’amore infinito ed universale.

Lutero, non solo prese le distanze dal <<diabolico>> Müntzer, ma sobillò – con lo scritto Contro le empie e scellerate bande dei contadini - la feroce reazione dei principi tedeschi contro di lui e le stesse popolazioni germaniche (massacro di Frankenhausen), adeguando il principio di autorità tradizionale all’interno della propria posizione e così cominciando a compiere quel processo regressivo, che animerà la “destra protestante” (Calvino). Veniva di nuovo a separarsi – e a legittimarsi reciprocamente nei suoi due elementi – quella distinzione fra potere religioso e potere terreno, che era stata il versante della tradizionale composizione imperiale e cattolica dei poteri. È in questo momento che il movimento protestante si fa Chiesa visibile a propria volta, abbandonando il radicalismo originario. Se “il mondo di sopra”, spirituale, era ad appannaggio di questa nuova chiesa, “il mondo di sotto”, materiale, doveva restare soggetto alle autorità tradizionali, medievali, senza alcuna possibilità di trasformazione e tanto meno di rivoluzione. È per questo, dunque, che Lutero si riaccosta alla sua formazione neoplatonica, piegando e richiudendo in senso conservatore il proprio precedente orizzonte ed il proprio sguardo, che pare oramai rassegnarsi ad una ricomposizione moderata delle istanze di giustizia sociale ed economico-politica (con riflessi sulla stessa argomentazione teologica e sulle procedure della nuova organizzazione ecclesiale).

La sconfitta di Thomas Müntzer non fu, però, la sconfitta del processo di radicalizzazione teologico-politica del movimento protestante. Altre correnti rivoluzionarie infatti erano provenute in precedenza da Zwickau, una cittadina sassone al confine con la Boemia, dove una nuova predicazione dai fortissimi contenuti spiritualistici ed egualitari era stata portata avanti da tre nuovi predicatori laici: Nikolaus Storch, Thomas Drechsel, Marcus Stübner (i “profeti” di Zwickau). A partire dal 1521 la questione della conversione consapevole e non forzata alla nuova fede – e quindi della sua acquisizione razionale – divenne questione centrale nel dibattito teologico non solo tedesco, comportando dei decisi effetti rivoluzionari

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sulla stessa organizzazione politica delle città e dei territori germanici. Era la famosa fazione religioso-politica definita dai propri avversari come setta degli Anabattisti.

Unendo aspetti delle eresie medievali spiritualistiche e millenaristiche con anticipazioni dei futuri sviluppi storici, anabattisti, spiritualisti e razionalisti evangelici costituiscono una specie di ponte lungo tutta la storia dell’Occidente – addirittura si potrebbe dire sin dai tempi delle eresie di Marcione e di Montano, fino agli attuali movimenti no-global – che conserva e trasmette alla modernità (ed alla contemporaneità) lo spirito della libertà e della fraterna eguaglianza, nell’insieme naturale e razionale, fra le creature e fra gli uomini. La libera decisione di entrare nella comunità dei fedeli si distingueva però dalla necessaria adesione alle forme dell’organizzazione statuale: la Chiesa dei fratelli doveva essere separata dallo Stato dei cittadini. Konrad Grebel, seguace critico di Zwingli a Zurigo, da il via al movimento anabattista, incentrato sul ripudio della violenza e del potere che la richiede: in questo senso separa la nuova chiesa dalle istanze di un potere, che non era ancora stato compiutamente trasformato e che, forse, non avrebbe mai potuto trasformarsi in quel senso positivo, che era invece stato subito indicato dall’originario impulso ed impeto luterano. Il realismo e pragmatismo del potere porta a questa necessaria scissione e separazione. Una scissione e separazione che il potere naturalmente non accettò, perseguitando chi si rifiutava di impugnare le armi e di prestare giuramento nei tribunali.

Dalla Svizzera, quindi, l’influenza dei fuoriusciti pacifisti e della non-violenti catturò gli animi dei radicali sconfitti nella guerra dei contadini, rinnovandone in altro modo lo spirito rivoluzionario. L’involuzione, però, dell’esperimento rivoluzionario della cittadina di Münster (prima con Bernhard Rothmann ed il suo <<comunismo degli apostoli>>, poi con la dittatura teocratica di Jan Mathijs e Jan Bockelson) decretò la fine delle spinte rivoluzionarie in terra tedesca (assedio e massacro del 1535). L’anabattismo proseguì poi in Olanda il proprio processo e progresso storico, con la chiesa fondata da Menno Simons (Chiesa Mennonita, costituita da comunità guidate in modo rigoroso da anziani fedeli all’insegnamento neotestamentario). Nello stesso tempo la fortissima e feroce persecuzione antianabattista perseguita in tutta Europa portava al trasferimento in terra morava (Austerlitz) di un gran numero di profughi. Qui si stabilirono comunità dove si praticò la comunanza dei beni (sia distributiva, che produttiva), secondo l’insegnamento apostolico (Jacob Hutter). La successiva Guerra dei Trent’anni disperse queste comunità.

Tentativi di riforma più moderati e critici, certamente meno rivoluzionari, vennero tentati nella città svizzera di Zurigo, ad opera di Huldrych Zwingli (1484-1531). Nelle città dell’Europa centrale era dalla fine del Medioevo che le spinte per la trasformazione economico-sociale e politico-istituzionale delle strutture civili e religiose avevano manifestato un grande impulso per l’autonomizzazione della vita collettiva ed individuale

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dai controlli e dai legami (dottrinari, giurisdizionali ed economici) delle organizzazioni ecclesiastiche (principi-vescovi) e dal potere dei Signori feudali. Le comunità cittadine per questo avevano favorito ed inseguito degli ideali di tipo repubblicano, che l’influenza dell’Umanesimo italiano non poteva non incrementare e sviluppare (soprattutto attraverso la nascita e la moltiplicazione dei centri di studio e delle Università). Città di mercanti e artigiani, in cui anche la nobiltà aveva dovuto adattarsi agli ordinamenti cittadini su base rappresentativa, Zurigo era governata da un Piccolo e da un Grande Consiglio, in cui si confrontavano gli interessi divergenti delle dodici corporazioni artigiane e della ricca borghesia degli ottimati. Qui l’opera riformatrice di Zwingli accese subito l’interesse e la partecipazione della cittadinanza, spingendola verso l’attivo intervento nelle questioni di natura e di ordine religioso. Subito la critica di Zwingli si dispone a dissolvere l’elemento di mediazione fra Dio e gli uomini del potere ecclesiastico gerarchico tradizionale: i santi. Questi vennero considerati come delle figure strumentali e come delle fonti, quindi, di superstizione a garanzia, non certo della salvezza delle anime dei semplici, quanto piuttosto delle finalità terrene e materiali delle strutture gerarchiche cattoliche tradizionali, che le utilizzavano celebrandole continuamente attraverso i miti e i riti più diversi (ed anche più strani o comunque difficilmente comprensibili). Spinto da una grande volontà razionalizzatrice, sia in campo teologico, che etico-religioso ed ecclesiastico, Zwingli riaccosta la fede al grado più basso e bisognoso della realtà umana: i poveri ed i bisognosi, riattualizzando la potenza grandiosa dell’annuncio evangelico. Nella disputa voluta dal Consiglio cittadino (1523) per la riforma generale della chiesa locale le 67 tesi di Zwingli sbaragliano i divieti preventivi episcopali e riattualizzano un potere costituente immediato (un’affermazione, questa, che avrebbe avuto in futuro grandiosi sviluppi e mirabili conseguenze). Un potere costituente, dunque, religioso e politico immediato, tramite il quale la cittadinanza stessa, nel suo insieme, avrebbe goduto del diritto all’autodeterminazione totale. Zwingli potè quindi continuare la propria predicazione, mentre tutte le immagini dei santi venivano tolte dalle Chiese, per evitare ogni forma di superstizione strumentale. I conventi vennero soppressi, la messa riorganizzata attraverso la semplice lettura e spiegazione della Bibbia, il culto in generale trasformato attraverso la conservazione dei soli sacramenti del battesimo e della cena. Contemporanea alla riforma della chiesa venne realizzata anche una riforma della vita e dell’organizzazione politica della città: con i proventi della vendita dei conventi venne istituita una cassa municipale per i poveri; si istituì un controllo sulla vita familiare e sociale (matrimonio e costumi); si fondò una scuola di studi teologici.

Diversamente da Lutero Zwingli accentuò la lettura allegorica del sacramento dell’eucarestia, alludendo quindi ad un orizzonte di interpretazione che poteva ricostituirsi

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in modo dogmatico. Conseguentemente la razionalità umana non si discostava in immagine da quella divina, che era stata la fonte unica della parola di Dio. Al contrario Lutero, distinguendo in modo oppositivo fra l’infinita sapienza divina e la limitatezza della conoscenza umana, rimase più critico verso la possibilità di organizzare in modo fortemente disciplinato una nuova serie di argomentazioni dogmatiche, preferendo mantenere così separati il piano soprannaturale della fede e della spiritualità da quello naturale della politica. Al contrario Zwingli ricompone in senso possibilmente dogmatico – e di qui le istituzioni di controllo sulla vita dei cittadini – l’ambito politico delle scelte e delle differenziazioni e la sfera principale delle imposizioni religiose. In questo modo una forte visione di tipo necessitarista potè influenzare ed aprire la strada – con il proprio moderatismo conservatore – alle forme più reazionarie e di destra della Riforma protestante: alle posizioni ginevrine di Giovanni Calvino e delle diverse e molteplici diramazioni successive del calvinismo stesso. La sconfitta di Kappel contro i quattro cantoni cattolici (1531) permise a questa nuova corrente di affermarsi e di occupare sullo scenario europeo (si pensi alla Francia, all’Inghilterra, alla Scozia, all’Olanda) uno spazio libero da concorrenti ed avversari (sia teologici, che politici).

QUARTA PARTE – LA DESTRA PROTESTANTE

Riformatore della città di Ginevra, Giovanni Calvino (1509-1564) unisce in sé le

caratteristiche dell’umanista – conosceva il latino, il greco e l’ebraico, che utilizzò per lo studio dei testi sacri e della Patristica - e del riformatore religioso, rigoroso ed estremamente conseguente (ricorda il caso di Michele Serveto). Seguendo la regola luterana, tenne separata la potestà spirituale da quella temporale, pur pensando e ritenendo che l’orizzonte soprannaturale della grazia e della determinazione divina non potesse non giungere – in “basso” – sino ai primi esponenti della società civile e politica, ai magistrati della città, per consentire loro di orientare i comportamenti collettivi al perseguimento del bene comune, ad una corretta giustizia ed a equilibrati e responsabili rapporti civili e sociali.

Fuggito a Basilea dalla Francia per evitare le persecuzioni di Francesco I, qui compone la sua opera forse più importante, l’Istituzione della religione cristiana (1536). In questo manuale di teologia ed ecclesiologia diventa centrale il tema della superiorità e della separatezza imperscrutabile della potenza e della volontà divina, che esprime e manifesta se stessa secondo finalità che restano oscure ai più, pianificando con l’intervento della propria provvidenza le occasioni ed i modi della salvezza e della dannazione, individuale e collettiva. Coinvolto dall’influenza agostiniana (e forse anche eckhartiana), Calvino ritiene che la predestinazione divina tocchi e muova la vita e l’opera, il giudizio, di ogni uomo,

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conducendolo - senza possibilità di errore e di variazione – al destino infallibile e necessario per esso prefissato. In Calvino, dunque, la necessità della libertà si trasforma e capovolge nella necessità della necessità stessa: se in Lutero tutti possono essere salvati, nella posizione espressa da Calvino solo alcuni – pochi – eletti potranno effettivamente esserlo, per quella grazia di Dio che orienta la loro opera verso la perfezione e la purezza. Tutta la “gran massa dannata” resterà invece impotente a salvarsi, perché incapace – per la pervicacia della propria corruzione - di accogliere e vedere la finalità divina.

In una Ginevra liberata dal principe-vescovo e dal dominio sabaudo, Calvino si scontra con gli interessi conservatori e moderati della borghesia cittadina, mentre diventa pastore e predicatore cittadino. Espulso dalla città nel 1538 e rifugiatosi a Strasburgo (dove fu influenzato dalle riflessioni di Martin Butzer), Calvino rientra nel 1541 a Ginevra, imponendo la condizione che la Chiesa locale venisse riformata secondo il Vangelo e gli usi originari delle prime comunità cristiane. Per questo organizza la struttura ecclesiale dividendo il momento dogmatico – lasciato ai dottori in teologia – dal momento pratico – lasciando la predicazione ai pastori; nello stesso tempo una deputazione di anziani scelti dal Consiglio cittadino avrebbe controllato tramite il Concistoro l’adeguazione necessaria dei costumi cittadini alle leggi ed alle prescrizioni religiose decise ed adottate. Per la parte relativa ai più deboli, poveri e bisognosi, l’assistenza cittadina sarebbe stata controllata ed organizzata dai diaconi. Neutralizzazione delle tensioni sociali attraverso l’assistenza e controllo dei comportamenti sociali devianti diventarono allora i due cardini dell’asse di governo della città, mentre teologi e pastori provvedevano alla determinazione della direzione della vita cittadina ed all’attività di persuasione ad essa necessaria. Una santità necessaria e costretta – per la celebrazione della gloria di Dio - fu quindi l’anima determinatrice della vita cittadina, che venne subordinata in basso dal potere di intervento dei magistrati civili ed in alto dalla potestà di intervento dei predicatori (che potevano uniformare alle proprie decisioni le soluzioni alle questioni ed ai problemi più importanti ed essenziali per la conservazione dell’ordine civile). In questo modo Calvino costituiva per la prima volta un regime teocratico, all’interno del quale ogni diversità veniva considerata come una pericolosa devianza e subiva pertanto la necessaria correzione e penitenza religiosa. In un gioco di scambio i ministri del culto giuravano fedeltà alle leggi ed alle magistrature civili, mentre i governanti civili a loro volta assicuravano l’orientamento cristiano della comunità a loro affidata (come a dei pastori laici).

Così l’autorità imperante, voluta e giustificata da Dio stesso, avrebbe avuto due diverse braccia per condurre innanzi e controllare il progresso civile, sociale ed economico della città. In questa politica gerarchica dei due poteri Calvino riesce dunque ad inserire lo strumento privilegiato destinato a realizzarla: il concetto della vocazione e dell’impegno a

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realizzare ciò che interiormente l’uomo sente come chiamata divina, come obbedienza prima ad una vita familiare senza sopraffazione sessuale, poi come attività lavorativa equilibrata, corretta e giusta, senza sopraffazione economica o sociale e politica. Così l’uomo viene chiamato ad agire a gloria di Dio, per dare manifesta testimonianza della sua particolare vocazione e per dimostrare alla comunità l’avvenuta sua elezione o la sua partecipazione al costituendo regno di Dio. Come lo storico e sociologo Max Weber scriverà nel suo L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904/5), Calvino pare instillare nei due secoli successivi – il XVII e XVIII – la malattia vivace dell’attivismo economico eticamente fondato e giustificato, con ciò contribuendo a sviluppare quella forte componente economica legata allo scambio prima ed alla produzione - primaria e secondaria, con le due rivoluzioni industriali del XIX secolo - poi, che forgeranno il progresso storico della civilizzazione borghese e capitalistica. La limitazione delle spese edonistiche e la pressoché totale capitalizzazione dei profitti derivanti dall’attività economica costituì, secondo l’interpretazione weberiana, la base materiale di quell’accumulazione patrimoniale, che successivamente diede impulso continuo all’incremento costante ed alla moltiplicazione delle forze produttive.

Se, dal punto di vista storico-sociale ed economico, la posizione calvinista può essere anche collegata al successivo sviluppo della mentalità capitalista, il movimento internazionale che da essa scaturì influenzò profondamente e durevolmente la formazione di nuovi orizzonti culturali generali, con decisi effetti anche sul piano politico e pragmatico. L’approfondimento della dottrina della predestinazione, da parte del successore di Calvino a Ginevra, Theodore Beza (1519-1605), comportò per la diffusione del movimento calvinista a livello europeo una forte accentuazione della propria volontà di selezione e autovalorizzazione, di distacco e di ripresa di temi storico-biblici a forte componente gerarchica ed autoritaria, negativa e punitiva. Il Vecchio Testamento divenne lo strumento da brandire per la regolazione dei conti con tutta la circostante atmosfera civile e politica, squalificata dall’identificazione religiosa con il male assoluto e radicale. La nuova Gerusalemme diventava l’obiettivo di una radicale trasformazione, destinata a negare tutte le forme negative incontrate, tutte le forze e i condizionamenti che impedivano con la loro diabolica corruzione di raggiungere quella terra promessa, quella organizzazione teologico-politica che era nello stesso tempo segno e prova dell’avvenuta salvezza. In questo vero e proprio delirio di persecuzione e di onnipotenza, Dio garantiva agli uomini attraverso la grazia la salvezza, mentre gli uomini ne riconoscevano la determinazione assoluta attraverso l’obbedienza assoluta alle sue manifestazioni necessarie e necessitanti, alle sue “leggi”. Non è allora difficile vedere in questa impostazione i prodromi e le premesse della formazione dei futuri Stati assoluti. In particolare Ginevra attuò una vera e propria rivoluzione politico-

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sociale: cacciata la parte della popolazione più ricca e legata alla tradizione religiosa, il governo della città venne preso dai profughi e dai perseguitati per motivi religiosi che provenivano dagli altri stati (Francia, Inghilterra, Germania, Italia), con una forte propensione prima all’apertura cosmopolitica dei propri interessi (culturali e materiali), poi al controllo teologico e politico dell’intera cittadinanza.13 Rapida fu la diffusione delle congregazioni calviniste in Francia, con il controllo di numerosi governi cittadini. Altrettanto rapida fu, sempre in Francia, la reazione cattolica contro tale penetrazione e controllo territoriale: si formò un partito cattolico, armato e guidato dai duchi di Guisa, che divenne un elemento delle future guerre di religione in territorio francese (1562-1598), contro l’altro elemento protestante ed ugonotto, guidato dai Borbone. La reazione della grande nobiltà feudale francese alla reazione cattolica – anche questa tendente verso forme di forte centralismo autoritario - si abbevererà alla fonte delle teorie dei monarcomachi, ovverosia a quelle tendenze politiche che giustificavano l’uccisione del tiranno, in nome di un ordinamento garantito e giustificato dalla stessa potenza/volontà e legge divina (V.T. e N.T.).14

Il calvinismo si diffuse anche in Olanda e in Inghilterra, contribuendo alla giustificazione teorica e pratica della guerra contro Filippo II (repubblica d’Olanda, 1566-1648) e della resistenza ai tentativi autoritari e tirannici di Carlo I Stuart (prima rivoluzione inglese, 1640-1649).

QUINTA PARTE – LA RIFORMA IN INGHILTERRA E IN ITALIA

In particolare la situazione inglese vide contrapporsi e svilupparsi diverse tendenze anti-

cattoliche, motivate da una questione strettamente personale. Qui Enrico VIII Tudor (1509-1546) per questioni legate alla trasmissione del regno si era arrogato il diritto di separarsi dalla moglie cattolica Caterina d’Aragona, parente di Carlo V. Alla reazione negativa papale il re inglese convoca il Parlamento, che fra il 1532 ed il 1535 stabilisce una serie di norme che di fatto tagliarono le relazioni della Chiesa d’Inghilterra con il Papa e la Curia romana. Prima di tutto i poteri sul clero vennero trasferiti in capo all’arcivescovo di Canterbury (Thomas Cranmer); poi il re stesso venne nominato <<capo supremo>> della Chiesa

13 Come Giordano Bruno direttamente sperimentò, dopo il caso precedente di Michele Serveto, a proprie spese, durante il suo breve soggiorno ginevrino. 14 Cfr. Theodore Beza, De iure magistratum. Il fondamento divino dell’autorità risiede nella non-contraddizione con la potenza e la volontà divina stessa, esplicitata nei testi sacri (V.T. e N.T.). In caso di contraddizione la mediazione d’ordine che costituisce l’autorità si scioglie e la potenza/volontà divina si esprime direttamente nel diritto comune alla ricostituzione della autorità stessa, attraverso la resistenza giustificata, la detronizzazione e la reintronizzazione. Cfr. Philippe Duplessis-Mornay, Vindiciae contra Tyrannos (1579). Qui la mediazione d’ordine costituisce il (patto) contratto fra Dio, il regnante e i magistrati che rappresentano il popolo. La resistenza al sovrano indegno viene giustificata allo stesso modo.

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d’Inghilterra. L’arcivescovo di Canterbury cercò di introdurre una traduzione della Bibbia in inglese, per favorire il contatto diretto della popolazione con la parola di Dio. La soppressione degli ordini monastici, l’incameramento dei beni ecclesiastici confiscati da parte della corona inglese e la loro vendita favorì, da un lato il finanziamento delle guerre contro la Francia, dall’altro la formazione di un ceto nobiliare di piccoli e medi proprietari terrieri, la famosa gentry. Con Edoardo VI (1547-1553) si avviò la vera e propria Riforma anglicana: venne composto il Book of Common Prayer (1549), che allontanò dal culto ogni forma di superstizione medievale, procedendo ad una semplificazione e volgarizzazione del culto stesso. Nel 1552 questo testo fondamentale venne modificato secondo un impostazione zwingliana da parte di Martin Butzer e Pier Martire Vermigli (presenza simbolica del Cristo nell’eucarestia). L’ascesa al trono di Maria la Cattolica (1553-1558), figlia di Caterina d’Aragona e moglie di Filippo II di Spagna, diede il via alla repressione anti-protestante. Alla sua morte, in un clima di profondo ed esteso risentimento popolare anti-cattolico ed anti-papale, Elisabetta I (1533-1603) spinse il Parlamento a ripristinare la legislazione antiromana precedente (Atto di supremazia) e a riaffermare la precedente riforma liturgica (Atto di uniformità). Con i Trentanove articoli di fede (1562)15 la formazione teologica della Chiesa d’Inghilterra compone alla fine in unità elementi desunti dal cattolicesimo, dal luteranesimo e dal calvinismo (predestinazione ed elezione), cercando di mediare le finalità legate al principio d’autorità – secondo gli interessi della casa regnante – con quelli subordinati (e subordinanti) del potere spirituale (i vescovi anglicani), togliendo forza e giustificazione alle pretese di superiorità e priorità affermate dalla posizione calvinista (Presbiteriani e Puritani), che spingevano strumentalmente verso soluzioni assembleari (sinodo di anziani e pastori), per costituire - come a Ginevra – una forte componente teologico-politica autoritaria (cfr. l’esito dittatoriale di Oliver Cromwell, che unisce il moderatismo alla reazione anti-rivoluzionaria). Anche in quest’ultimo caso, però, la torsione strumentale dell’assemblearismo avrebbe ridato via libera alle contro-spinte rivoluzionarie più radicali ed egualitarie (New Model Army, Diggers, Levellers). In questo contesto e lungo il tragitto storico che porterà alla prima (1640-1649) ed alla seconda rivoluzione inglese (1688-1689), da un lato la spinta residua dei cattolici, dall’altro quella in crescita dei puritani (John Knox in Scozia), determinarono le condizioni per una forte instabilità religiosa e politica, risolta alla fine con l’emigrazione forzata delle componenti religiose più fanatizzate (soprattutto verso le colonie inglesi dell’America settentrionale).

In Italia la situazione generale, sia dal punto di vista politico che teologico ed ecclesiale, era ben diversa. La situazione di conflitto interno fra gli Stati regionali italiani (Repubbliche

15 Vedi testo in Appendice.

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di Venezia e Firenze, Ducato di Milano, Stato della Chiesa, Regno di Napoli) viene a composizione con la pace di Lodi (1454). Successivamente la politica dell’equilibrio, mantenuta grazie alle alleanze intessute da Lorenzo de’ Medici si dissolve con la sua morte (1492), dopo la quale risorgono le fratture e le contrapposizioni d’interesse precedenti, mai veramente risolte: di questa situazione approfitta Carlo VIII, con la sua spedizione meridionale alla conquista del Regno di Napoli (1494). In questo modo si diede luogo alla precipitazione ed al coinvolgimento – per reazione dialettica negativa – di tutte le potenze europee (Spagna, Impero) nel tentativo di controllo e di dominio militare della penisola italiana, per salvaguardare anche in questo caso una relazione di relativo equilibrio, infranta dall’iniziativa francese. È forse in questo momento che iniziano, allora, le guerre europee sul continente ed in ambiente italiano (poi protrattesi sino al secondo conflitto mondiale, nel XX secolo). Il reciproco isolamento e la reciproca dialettica negativa che in questo modo si instaura indebolisce fatalmente e dissolve qualsiasi eventuale progetto di unità politica e statuale nazionale, come ben ci ricorda prima l’analisi critica di Machiavelli e poi quella di Guicciardini. In questo contesto la facile colpevolizzazione delle mire antiunitarie dello Stato della Chiesa provocarono un forte risentimento anti-ecclesiastico e anti-curiale, che sfociò rapidamente in aperta contestazione politica ed in profonda critica teologica, non appena i primi frutti della Riforma protestante d’oltralpe si unirono con la tradizione umanistica e rinascimentale repubblicana. In questo momento la costituzione dell’Inquisizione e dell’Indice dei Libri proibiti sono dunque destinati a reprimere sia l’eresia religiosa, che le forme di mobilizzazione politica, instaurando in questo modo una tradizione conservatrice e censorio-reazionaria, che accompagnerà – influenzandoli profondamente e pesantemente - ogni futuro sviluppo politico-sociale della penisola italiana.

Conosciuto in negativo – come tanta parte della tradizione critica di questo paese, del resto sin dalle prime forme eresiali antiche (Marcione, Montano) – Lutero viene presentato dai controversisti cattolici come un puro e semplice attentato alla stabilità delle autorità politiche e religiose. La deificazione dell’autorità, del suo essere soggetto medio e nello stesso tempo mediante (secondo una tradizione aristotelica neoriplatonizzata), compiuta dalla tradizione cattolica sin dal tempo di Agostino, del resto non poteva non facilitare un orizzonte critico-negativo di questo genere e tipo. Ma saranno proprio alcuni monaci agostiniani (Agostino Mainardi, Giulio da Milano) tra il 1525 ed il 1526 ad entrare in contatto e a diffondere inizialmente le riflessioni di Lutero. Lo stesso generale dei Cappuccini Bernardino Ochino rivolgerà le proprie famose prediche intorno all’interpretazione dei Vangeli.

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A Napoli attorno alla figura di Juan de Valdés (1509-1541) si costituisce un cenacolo spirituale (con lo stesso Ochino, Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga, Galeazzo Caracciolo, Pietro Antonio di Capua, Marc’Antonio Flaminio, Pietro Carnesecchi, Reginald Pole) che elabora progressivamente una riflessione teologica (con evidenti influssi politici) di chiaro stampo razionalista, dove il Dio nascosto ed infinito della tradizione mistica si rivela alla singola coscienza del credente nel suo stesso atto soggettivo di fede, di carità e di speranza. In relazione a quest’apertura – di stampo sicuramente luterano – l’obbedienza all’autorità della Chiesa diventava un atto formale e semplicemente richiesto per evitare la distruzione dell’ordine civile e sociale (nicodemismo). Il moderatismo della critica riformatrice italiana, del resto veniva bene espresso dal Trattato utilissimo del beneficio di Christo verso i christiani, dove l’affermazione della salvezza per sola fede non intaccava né l’organizzazione ecclesiastica tradizionale, né la valutazione e l’uso degli strumenti dottrinari.

Un altro movimento riformatore importante in terra italica fu quello dei Valdesi. A Modena il cardinal Giovanni Morone coprì le azioni degli eterodossi locali, subendo insieme ad altri alti prelati l’azione repressiva di Papa Paolo IV, che si esercitava grazie all’Inquisizione (a partire dal 1542) sia contro l’eresia luterana, che contro i tentativi degli “spiritualisti” italiani di conquistare e riformare dall’interno la struttura ecclesiastica. Del resto, l’azione dell’Inquisizione provocò la fuga dall’Italia di Bernardino Ochino, Agostino Mainardi, Giulio da Milano, Pier Martire Vermigli. Molte erano le città italiane che avevano, infatti, accolto le nuove idee protestanti: Venezia, Modena, Bologna, Lucca, Siena. Nelle piccole comunità clandestine erano presenti elementi della nobiltà ed appartenenti al clero, artigiani che costituirono dei cenacoli culturali dove si svilupparono riflessioni autonome e diversificate (di natura etico-sociale e laica). Problemi di natura teologica, interpretativa od organizzativa ne costituivano il contenuto tematico. Risultati ne furono una approfondita critica al culto superstizioso dei santi, ai privilegi del clero, alle imposizioni della Chiesa non fondate sulle sacre Scritture, con la conseguenza ulteriore che le stesse istituzioni ecclesiastiche venivano investite di una tale delegittimazione teorica e pratica, da venire identificate come un effettivo capovolgimento dell’autentico spirito cristiano.

Forme radicali di critica e di contestazione teologico-politica emersero in Veneto, dove l’anabattismo incarnò la volontà di dissolvimento della gerarchia del potere e della violenza del potere stesso. In questa critica radicale esso si riconnettè ad un certo filone antitrinitario, che negava la separatezza della natura divina del Cristo (la separazione e contrapposizione tradizionale fra infinito superiore e finito inferiore), ricongiungendola al reale e concreto movimento dello Spirito, secondo l’originaria libertà del Padre. In questo senso quelli che vennero negativamente definiti dai propri avversari come “antitrinitari”, in realtà espressero

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una diversa valutazione e considerazione dell’immagine in movimento del divino. Essa doveva esprimere la reale inscindibilità della libertà (il Padre) e dell’eguaglianza (il Figlio), attraverso l’amore insieme infinito ed universale (lo Spirito). In questa rivoluzione della Trinità tradizionale essi – come fece, dopo di loro e prima dei fratelli Lelio e Fausto Sozzini, Giordano Bruno – immisero nella riflessione teologico-politica la natura razionale di un’umanità sciolta dal feticcio della partecipazione al potere ed alla sua violenza rassicurante ed indirizzata, invece, verso gli esiti felici di un universale spirito di tolleranza religiosa e politica. L’Olanda e l’Inghilterra del ‘600, la Francia del ‘700, sapranno portare a nuovo e fecondo sviluppo i semi gettati da questi pensatori ed umanisti, mentre la cappa conformista cattolica italiana – o attraverso lo strumento inquisitoriale, o per mezzo della rigida subordinazione dei poteri politici ed accademici – trasmise allo sviluppo storico italiano del ‘600 e ‘700 un immobilismo imposto ed uno autonomo, vero e proprio sterilizzatore di ogni movimento realmente creativo e dialettico. Con conseguenze pesantissime, giunte sino all’attuale contemporaneità.

SESTA PARTE – CONCLUSIONI

Quali furono, allora, le conseguenze principali dello sviluppo del movimento protestante?

Forse è possibile riassumerle tramite questa serie. 1. Si frantumò l’universalismo cattolico, nel suo orizzonte culturale e di organizzazione

sociale: la conoscenza più alta, quella teologica, divenne appannaggio anche dei laici; questa diffusione ed il movimento critico e giustificativo al quale diede origine modificò in profondità ed ampiezza l’assetto istituzionale, sia ecclesiastico, che generalmente politico; questa modificazione andò nella direzione di un rigetto della separazione classica e tradizionale del potere, dell’ordinamento dell’autorità che, anche quando venne conservata nella sua legittimazione divina, consentì comunque e sempre un richiamo ed un riflesso attivo da parte popolare ed assembleare, quando non un fondamento ed una giustificazione radicale e totalmente democratica; questa partecipazione popolare e democratica riversò nelle chiese riformate e negli stati che le accoglievano una fortissima componente creativa e dialettica, di natura immediatamente materiale ed organizzativa (con una forte tendenza all’autodeterminazione ed autorganizzazione); gli effetti economico-sociali di questa partecipazione furono progressivamente sempre più presenti, evidenti ed automoltiplicativi, muovendo la modernità verso ideali di benessere e di sicurezza collettivi tendenzialmente sempre migliori e più felici; per questo la pluralità dei movimenti protestanti – sia nelle loro forme progressive, che apparentemente

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regressive – diede un grande contributo alla scissione della modernità dal passato tradizionale medievale.

2. Si frantumò l’universalismo cattolico nelle coscienze individuali: l’orizzonte determinante e di compenetrazione superiore, attuato grazie alla mediazione ecclesiastica si dissolve nella propria sostanzialità ed autoreferenzialità, mentre ricompare il concetto e la prassi antica dell’infinito creativo e doppiamente dialettico; l’immagine in movimento del divino, la sua potenza inscindibile ed inalienabile, fa riscoprire al soggetto la propria forza morale e politica, incrementandone la speranza e la tendenza progettuale ideale; conseguentemente il soggetto si libera dalla concezione tradizionale del peccato, come sottrazione e negazione alla determinazione superiore di un’autorità separata; depone la strumentalizzazione della vita attraverso la morte, la finitezza e la definizione archetipica (i santi); conseguentemente, ancora, il soggetto riacquisisce la dimensione della felicità, come universale nello stesso tempo collettivo ed individuale, inalienabile.

3. Nella sua parte oggettiva e nella sua parte soggettiva il movimento protestante riesce, dunque, a costituirsi come fattore veramente e realmente determinante nel processo di passaggio alla modernità, come rottura e scissione rispetto alla tradizione rigidamente determinista e separata del potere, sia spirituale che temporale; in questo esso favorì la trasformazione del senso e della struttura economica e sociale avviata con i processi di accumulazione primaria del Capitale, come pure le trasformazioni politiche ed istituzionali che accompagnarono questo evento.

4. In Germania la Riforma avanzò terribilmente lungo le potenzialità rivoluzionarie che aveva aperto (Thomas Müntzer), regredendo per la paura delle stesse verso posizioni moderate e conservatrici, che annullarono la totalità di quelle potenzialità, per concentrarle di nuovo secondo un tipo di visione e di prassi quasi tradizionale (Lutero).

5. Nella Confederazione elvetica il moderatismo iniziale (Zwingli) aprì la strada verso soluzioni neoautoritarie, basate sulla costruzione del consenso popolare (Calvino).

6. In Francia la pulsione verso la libertà radicale attecchì con maggior vigore, preparando esiti futuri e lontani di maggior spessore ideale e pratico.

7. In Inghilterra il moderatismo riformista (Elisabetta I) non riuscì all’inizio a tenere completamente a freno le tendenze assembleariste, che si divisero secondo una tendenza ancora neoautoritaria (Oliver Cromwell), oppure verso esiti radicalmente e totalmente democratici (Diggers, Levellers). Per questo utilizzò due diverse e successive rivoluzioni per la rinormalizzazione del paese: la prima che raggiunse esiti reazionari, la seconda che ristabilì un ordine moderato e liberale (cfr. John Locke).

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8. Negli Stati regionali della penisola italiana il conformismo cattolico moderò le sparse e residue formazioni riformiste, spegnendo sul nascere per intimidazione o per acquiescenza generale ogni pulsione per la trasformazione, con un lungo lascito di immobilismo e di ricomposizione delle spinte versate alla modificazione dello status quo.

44.. MMEETTOODDOOLLOOGGIIEE,, SSTTRRUUMMEENNTTII,, MMAATTEERRIIAALLII

L’attività dell’insegnante si indirizzerà fondamentalmente nei propri interventi

(introduttivi, di spiegazione, sintetici e conclusivi) all’apertura ed alla conferma di un orizzonte di comprensione generale (differenza Cattolicesimo/Protestantesimo), all’interno del quale sia possibile prima depositare gli eventi e gli snodi problematici principali (Centro/Sinistra/Destra Protestante), poi sia raccoglibile e sistematizzabile l’insieme dei fatti e delle relazioni storiche (causa/effetto, finalità), in tutte le componenti visibili ed eventualmente implicite (economia, società, cultura, psicologia di massa).

Per realizzare, dunque, gli obiettivi stabiliti per la programmazione modulare ed in particolar modo gli obiettivi definiti per l’Unità Didattica considerata, si attuerà un confronto diretto con i testi delle diverse proposte teologiche (qui posti in Appendice), con un grande utilizzo di mappe concettuali (abbozzate dall’insegnante all’inizio, costruite progressivamente insieme alla classe durante le spiegazioni frontali e/o dialogate, confermate alla fine come guida per il riepilogo, l’eventuale recupero o il potenziamento). Per rendere poi consapevole la classe della sussistenza di una pluralità di interpretazioni di questa fase storica, si confronterà il manuale scelto dal Collegio Docenti con il manuale utilizzato per la definizione dei contenuti didattici di questa Unità (sotto indicato), avviando in tal modo la classe stessa verso la consapevolezza dell’esistenza delle principali correnti storiografiche e delle principali scuole interpretative italiane (marxista, liberale, cattolica, critico-radicale).

Le lezioni vedranno, quindi, alternarsi brevi spiegazioni e contestualizzazioni iniziali e un immediato riscontro con i dati interpretativi offerti dai testi (fonti, documenti, cartine, manuali), sviluppando un metodo di lavoro comune basato sullo scambio dialettico e sulla problematizzazione (lezione dialogata). L’approfondimento comune ed individualizzato verrà poi svolto secondo la modalità principale del lavoro per gruppi (apprendimento cooperativo). Nel caso particolare individuato dal Movimento Protestante la divisione per gruppi tematici ricalcherà la scansione problematica proposta dall’insegnante (Centro – Sinistra – Destra protestante), mentre la suddivisione dei compiti – che dovrà essere avviata per prima - prevederà inizialmente la considerazione delle possibili fonti documentarie, per

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la definizione di un possibile schema generale delle diverse proposte teologiche, con la ricostruzione dei possibili orizzonti speculativi di riferimento, con le diverse e possibili applicazioni etico-politiche ed economico-sociali (schemi e mappe concettuali).

In modo più definito il momento analitico vedrà l’individuazione, sulle fonti e sui documenti posti in Appendice (o fatti ricercare dai ragazzi stessi), dei termini, dei concetti e delle idee fondamentali, con la segmentazione/paragrafazione/titolazione dei testi offerti, la ricomposizione schematica e la produzione finale di opportune ed adeguate mappe concettuali (come guida per l’esposizione orale o scritta).

Invece il momento legato all’acquisizione delle competenze vedrà stabilire alla fine delle lezioni dei momenti di discussione plenaria, dove le acquisizioni precedenti verranno integrate fra di loro, per ricostruire quell’orizzonte generale di riferimento che era stato stabilito come finalità didattica principale, mentre si formerà progressivamente quella contestualizzazione storico-geografica degli eventi e delle loro relazioni, che costituirà la base per una eventuale compilazione di un tema e di una ricerca storica (vedi qui Verifiche e Valutazione). Nello stesso tempo si avvierà – sempre in sede di discussione dialogata e plenaria – una riflessione sugli eventuali rapporti del Movimento Protestante con fatti, eventi e disposizioni mentali collettive ed individuali sviluppatesi lungo la modernità (integrando in questo modo il lavoro su quest’Unità Didattica con il lavoro sul Modulo in generale). Compiendo così infine una fase conclusiva di attualizzazione delle medesime problematiche, in relazione ai bisogni formativi degli stessi soggetti educativi (realizzazione di sé, apertura al mondo ed alle differenze, fiducia nelle proprie capacità ed abilità d’intervento in un presente storicizzato).

Per quanto riguarda gli strumenti ed i materiali da utilizzare, vengono evidenziati, di

seguito: a) un manuale di storia: es. Storia Moderna. <<Manuali Donzelli>>. Roma, Donzelli,

2001. Nelle pagine già indicate in precedenza. b) Appendice. Con fonti, documenti e cartine relative agli argomenti trattati (95 tesi,

confessione augustana, 39 articoli). In relazione all’analisi delle 95 tesi può essere utilizzato il lavoro di Mauro Fracas, La sfida di Lutero, le 95 tesi di Wittemberg, corso S.S.I.S.S. Trieste 2004-2006 (Corso di Didattica della Storia, III; a cura di Roberto Spazzali; Egbooks, Trieste, 2006. Pagg. 103-118).

c) Le mappe concettuali abbozzate dall’insegnante e costruite insieme alla classe. d) I siti di informazione storica, dai quali è possibile scaricare testi, documenti,

spiegazioni ed interpretazioni: www.it.wikipedia.org. Anche www.pbmstoria.it: qui si può utilizzare il materiale disposto all’interno del Percorso n. 8, dedicato a: Il ruolo

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della Riforma nella nascita dell’Europa moderna, http://www.pbmstoria.it/unita/04473m-01%20cs1/percorsi/08/index.htm; oppure la presentazione in PowerPoint su Rinascimento, Riforma e rivoluzione scientifica, liberamente scaricabile all’indirizzo http://www.pbmstoria.it/insegnare_18_6_32. Un altro sito sulla Riforma, dotato di una grande quantità di testi e documenti, è: http://www.mun.ca/rels/reform/index.html. Il Catechismo della Chiesa cattolica è esperibile dal sito: http://www.vatican.va/archive/ccc/index_it.htm.

La scansione delle lezioni, relative alla parti nelle quali è divisa quest’Unità Didattica è la

seguente:

PRIMA LEZIONE (1 ora) Introduzione, Erasmo e Lutero. Discussione plenaria finale.

SECONDA LEZIONE (1 ora) La Sinistra Protestante. Discussione plenaria finale.

TERZA LEZIONE (1 ora) La Destra Protestante. Discussione plenaria finale.

QUARTA LEZIONE (1 ora) La Riforma in Inghilterra e in Italia. Conclusioni. Discussione plenaria finale.

QUINTA LEZIONE (1 ora) Cooperative learning (lavoro di gruppo). SESTA LEZIONE (1 ora) Verifica finale.

55.. VVEERRIIFFIICCHHEE EE VVAALLUUTTAAZZIIOONNEE

Obbedendo alle indicazioni dei cosiddetti <<Programmi Brocca>>, le prove di verifica

saranno costruite per misurare l’acquisizione degli obiettivi specifici legati al modulo considerato e per impostare, eventualmente, un lavoro di recupero/potenziamento delle conoscenze/abilità/competenze precedentemente individuate ed esplicitate.

Si darà così spazio – attraverso tests di domande a risposta multipla od aperta (tipologia d’esame A); attraverso l’eventuale produzione di un breve saggio formulato sulla base di un’adeguata documentazione (tipologia B), come approfondimento individuale del lavoro di apprendimento cooperativo; attraverso l’elaborazione di un tema ad impronta storica (tipologia C) – alla:

a) individuazione e spiegazione dei termini, dei concetti e delle idee fondamentali, espresse attraverso l’interpretazione degli snodi problematici indicati nella scansione dei contenuti;

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b) interpretazione che svilupperà la fase analitico-sintetica, a sua volta legata alle abilità, all’individuazione delle strategie argomentative e delle finalità presenti nei documenti considerati;

c) nella fase legata allo sviluppo delle competenze, la valutazione in sede di discussione plenaria e dialogata degli apporti individuali, sino all’approfondimento in una interrogazione individualizzata.

Esempio di verifica, fondata su domande a risposta aperta (breve o più approfondita). Classe 3ª …. Cognome e Nome: …………….………………. Data: ………………………….

PRIMA DOMANDA. Come descriveresti la distinzione fra l’orizzonte culturale, teologico e politico, proposto dalla tradizione cattolica e quello innovativo proposto da Lutero?

Risposta di riferimento. Tradizione cattolica. L’atto e la potenza diagonali e sorgivi del Dio che ha potenza,

volontà e sapere infiniti ed assolutamente determinanti subordina e nega la potenza autonoma a fare, conoscere e sperare del soggetto umano (peccato di ribellione e di mancato riconoscimento della subordinazione). Lutero. L’impotenza a fare, conoscere e sperare,

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viene superata attraverso la ricostituzione del rapporto diretto ed immediato con il Dio che salva attraverso l’amore del Cristo, espresso nei Vangeli. L’intervento superiore della grazia ed il dono della fede rivolge di nuovo l’uomo a Dio e gli consente di sperare di nuovo in una salvezza universale, individuale e collettiva. La predestinazione si tramuta nella considerazione del peccato d’origine: l’orizzonte razionale è solamente quello divino, che nella sua provvidenza agisce misteriosamente – e non per via di una sostanzializzazione del medio ecclesiastico - l’opera di salvezza.

SECONDA DOMANDA. In che senso la cosiddetta “Sinistra Protestante” ha radicalizzato il movimento progressivo aperto da Lutero? Le conseguenze civili, politiche e sociali di questa radicalizzazione hanno comportato degli effetti sulla speculazione teorica e la considerazione pratico-politica di Lutero: quali?

Risposta di riferimento. L’unità di materia e spirito comportò l’apertura di un concetto di libertà ed eguaglianza fra

di loro inscindibili e validi per ogni contesto umano. Breve descrizione degli avvenimenti. Lutero risponde con una regressione conservatrice, teologica e politica. Accentua il carattere della distinzione fra potenza religiosa dello Spirito e potere temporale terreno, rilegittimando la giustificazione divina della legge e dell’ordine, civile e politico, ovvero dell’autorità.

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TERZA DOMANDA. Come inseriresti e collocheresti la posizione di Zwingli in rapporto alle modificazioni sviluppatesi nella posizione di Lutero? Quali sono i rapporti del primo con gli esponenti più radicali del protestantesimo?

Risposta di riferimento. Zwingli procede a costituire un nuovo orizzonte di determinazione razionale, con

contenuto dogmatico, con ciò aprendo la strada alla reazione calvinista. Viene criticato dagli esponenti radicali. Cfr. Contenuti.

QUARTA DOMANDA. Come e con quale nuovo orizzonte si impone l’organizzazione teologico-politica calvinista? In che senso la posizione calvinista potrebbe definirsi come “Destra protestante”?

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Risposta di riferimento. Con i quattro ministeri (anziani, diaconi, pastori e teologi) Calvino organizza un controllo

religioso della vita etica e politica della città di Ginevra. Accentua definitivamente la dottrina della predestinazione e della elezione, per spingere verso soluzioni insieme assembleariste e di consenso autoritario. Attua una versione protestante dell’iniziale posizione cattolica.

QUINTA DOMANDA. Come si realizza e secondo quali scopi, alla fine prevalenti, la Riforma in Inghilterra? Quali effetti ha avuto la diffusione delle idee riformate negli Stati regionali italiani?

Risposta di riferimento.

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Inghilterra. Composizione fra interessi borghesi e mercantili e stabilizzazione politico-religiosa, autonoma e nazionale. Italia. Prevalenza del conformismo cattolico.

SESTA DOMANDA. Scrivi delle personali conclusioni al lavoro di ricerca e di gruppo, attuato in classe ed a casa, come prosecuzione di una eventuale ricerca individuale. Utilizza il materiale realizzato.

Risposta di riferimento. Cfr. Contenuti.

CRITERI DI VERIFICA DEL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI PREFISSATI La valutazione avverrà tenendo conto dei seguenti criteri di verifica:

1. Le conoscenze dimostrate, a seconda che risultino: a) approfondite b) organiche c) essenziali d) frammentarie e/o limitate.

2. L’esposizione, a seconda che risulti più o meno: a) approfondita b) articolata c) coerente

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d) corretta. 3. L’uso più o meno appropriato del linguaggio specifico.

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SSOOMMMMAARRIIOO

INTRODUZIONE.............................................................................................................3

1. PREREQUISITI............................................................................................................4

2. FINALITÀ E OBIETTIVI ............................................................................................5

3. CONTENUTI................................................................................................................7

Introduzione ..................................................................................................................7

Prima Parte – Il problema rappresentato dalla Riforma..............................................10

Erasmo da Rotterdam..............................................................................................10

Seconda Parte – Lutero ...............................................................................................12

Una nuova proposta teologica.................................................................................12

Il corpo dottrinario della nuova proposta teologica. ...............................................15

I primi effetti politici. ..............................................................................................17

Terza Parte – La sinistra protestante ...........................................................................18

Quarta Parte – La destra protestante ...........................................................................22

Quinta Parte – La Riforma in Inghilterra e in Italia....................................................25

Sesta Parte – Conclusioni............................................................................................29

4. METODOLOGIE, STRUMENTI, MATERIALI.......................................................31

5. VERIFICHE E VALUTAZIONE...............................................................................33

SOMMARIO.......................................................................................................................40

APPENDICE.......................................................................................................................41

IMPERO GERMANICO (1477).................................................................................42

RIFORMA E CONTRORIFORMA ...........................................................................43

LE 95 TESI DI LUTERO ...........................................................................................44

LA CONFESSIONE AUGUSTANA .........................................................................50

CARTINA RELATIVA ALLA GUERRA DEI CONTADINI..................................67

I TRENTANOVE ARTICOLI DELLA CHIESA ANGLICANA .............................68

AAPPPPEENNDDIICCEE Cartine geo-storiche, fonti e documenti

IMPERO GERMANICO (1477)

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RIFORMA E CONTRORIFORMA

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LE 95 TESI DI LUTERO (dal sito: http://www.valdesidipignano.it)

1) Il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, dicendo: « Fate penitenza», volle che tutta la

vita dei fedeli fosse una penitenza. 2) E questa penitenza non può intendersi della penitenza sacramentale (cioè della

confessione e della soddisfazione, che viene compiuta mediante il ministero dei sacerdoti).

3) Né tuttavia ha in vista la sola penitenza interiore, ché, anzi, non v'è penitenza interiore se questa non produce esternamente le diverse mortificazioni della carne.

4) Perdura perciò questa pena finché continua l'odio di se stesso (la vera penitenza interiore), vale a dire fino all'entrata nel regno dei cieli.

5) Il Papa non vuole né può rimettere alcuna pena, fuori di quelle che ha imposto o per suo volere o per le leggi ecclesiastiche.

6) Il Papa non può rimettere alcuna colpa se non dichiarando e approvando che è stata rimessa da Dio o rimettendo nei casi a lui riservati, fuori dei quali la colpa di certo rimarrebbe.

7) Dio non rimette certamente la colpa a nessuno, senza nel contempo sottometterlo al sacerdote suo vicario, completamente umiliato.

8) I canoni penitenziali sono imposti solo ai vivi, e nulla devesi imporre in base ad essi ai moribondi.

9) Quindi lo Spirito Santo ci benefica nel papa, eccettuando sempre nel suoi decreti i casi di morte e di necessità.

10) Agiscono con ignoranza quei sacerdoti, che riservano penitenze canoniche per il purgatorio ai moribondi.

11) Le zizzanie di mutare una pena canonica in una pena del purgatorio sono state certo seminate mentre i vescovi dormivano.

12) Una volta le pene canoniche venivano imposte non dopo, ma prima dell' assoluzione, come prova della vera contrizione.

13) I morenti soddisfano (solvunt) ogni cosa con la morte, e sono già morti alla legge dei canoni, essendone sollevati per diritto.

14) La integrità o carità imperfetta del morente comporta necessariamente un grande timore, tanto maggiore quanto essa e minore.

15) Questo timore e orrore basta da solo (per non parlare del resto) a costituire la pena del purgatorio, in quanto è prossimo all'orrore della disperazione.

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16) L'inferno, il purgatorio ed il cielo sembrano distinguersi tra loro come la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.

17) Sembra necessario che nelle anime del purgatorio l'orrore diminuisca nella misura in cui aumenta la carità.

18) Né appare approvato vuoi sulla base della ragione vuoi sulla base delle scritture che queste anime si trovino al di fuori della capacità di meritare o di aumentare la carità.

19) Né appare provato che esse siano certe o sicure della loro beatitudine, almeno tutte, anche se noi ne siamo certissimi.

20) Pertanto il Papa con la remissione plenaria di tutte le pene non intende semplicemente (quella che riguarda) tutte, ma solo (quella che riguarda) le pene imposte da lui.

21) Errano dunque quei predicatori di indulgenze, i quali dicono che l'uomo può essere liberato e salvato da ogni pena mediante le indulgenze del papa.

22) (Il papa anzi) non rimette alle anime in purgatorio nessuna pena che avrebbero dovuto subire in questa vita secondo i canoni.

23) Se mai può essere concessa ad alcuno la completa remissione di tutte le pene, è certo che essa può essere data solamente ai perfettissimi, cioè a pochissimi.

24) Perciò deve accadere che la più parte del popolo sia ingannata da quella promessa di liberazione dalla pena indiscriminata e appariscente.

25) Quella potestà che il papa ha in genere sul purgatorio, l' ha qualsiasi vescovo e curato nella propria diocesi o parrocchia.

26) Il papa agisce benissimo quando concede alle anime la remissione non a causa del potere delle chiavi (che non ha), ma a modo di suffragio.

27) Predicano l'uomo quelli che dicono che appena il soldino gettato nella cassa risuona, un'anima se ne vola via (dal purgatorio).

28) Certo è che col tintinnio della moneta nella cassa si possono aumentare il guadagno e l'avidità; ma il suffragio della Chiesa dipende solo da Dio.

29) Chi sa se tutte le anime nel purgatorio desiderino essere liberate, come si narra di S. Severino e di S. Pasquale?

30) Nessuno è sicuro della realtà della propria contrizione; tanto meno può esserlo del conseguimento della remissione plenaria.

31) Quanto è raro un vero penitente, altrettanto è raro chi acquista veramente le indulgenze, cioè è rarissimo.

32) Saranno dannati in eterno con i loro maestri coloro che si credono sicuri della propria salvezza per mezzo delle lettere di indulgenza.

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33) Bisogna specialmente evitare coloro che dicono che quelle indulgenze del papa sono un dono inestimabile di Dio, per cui l'uomo viene riconciliato con Dio.

34) Infatti tali grazie ottenute mediante le indulgenze si riferiscono solo alle pene della soddisfazione sacramentale, stabilite dall'uomo.

35) Predicano una dottrina non cristiana coloro che insegnano che non è necessaria la contrizione per quelli che comprano le indulgenze per i defunti o le lettere confessionali.

36) Qualsiasi cristiano veramente pentito ottiene la remissione plenaria della pena e della colpa che gli spetta, anche senza lettere di indulgenza.

37) Qualunque vero cristiano, vivo o defunto, ha la partecipazione, datagli da Dío, a tutti i beni del Cristo e della Chiesa, anche senza lettere di indulgenze.

38) Tuttavia la remissione e la partecipazione del papa non è affatto da disprezzarsi, perché, come ho detto, è la dichiarazione della remissione divina.

39) E' difficilissimo anche ai più dotti teologi esaltare allo stesso tempo davanti al popolo l'ampiezza delle indulgenze e la verità della contrizione.

40) La vera contrizione cerca e ama le pene; la prodigalità delle indulgenze invece produce un rilassamento e fa odiare le pene, o almeno ne offre l'occasione.

41) I perdoni apostolici devono essere predicati con prudenza per evitare che il popolo non finisca con il credere falsamente che essi siano preferibili alle altre buone opere di carità.

42) Bisogna insegnare ai cristiani che non è intenzione del Papa di equiparare in alcun modo l'acquisto delle indulgenze con le opere di misericordia.

43) Bisogna insegnare ai cristiani che è meglio dare a un povero o fare un prestito a un bisognoso che non acquistare indulgenze.

44) Poiché la carità cresce con le opere di carità e l'uomo diventa migliore, mentre con le indulgenze questi non diventa migliore, ma solo più libero della pena.

45) Bisogna insegnare ai cristiani che chi vede un bisognoso e lo trascura per comprarsi indulgenze, si merita non l'indulgenza del papa ma l'indignazione di Dio.

46) Bisogna insegnare ai cristiani che, eccettuato il caso in cui abbondano di beni superflui, debbono risparmiare il necessario per la loro casa e non sprecarlo mai per le indulgenze.

47) Bisogna insegnare ai cristiani che l'acquisto delle indulgenze è cosa libera non di precetto.

48) Bisogna insegnare ai cristiani che il papa, quanto più ha bisogno, tanto più desidera per sé, nel concedere le indulgenze, una devota preghiera piuttosto che del pronto denaro.

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49) Bisogna insegnare ai cristiani che i perdoni del papa sono utili, se essi non vi confidano, ma diventano molto nocivi se, a causa di quelli, perdono il timore di Dio.

50) Bisogna insegnare ai cristiani che se il papa conoscesse le estorsioni dei predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di S. Pietro finisse in cenere, piuttosto che vederla edificata con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecorelle.

51) Bisogna insegnare ai cristiani che il papa, come deve, vorrebbe dare del proprio denaro (anche a costo di vendere - se se fosse necessario - la basilica di s. Pietro) a quei molti ai quali alcuni predicatori di indulgenze carpiscono denaro.

52) E' vana la fiducia nella salvezza mediante le lettere di indulgenze, anche se un commissario, e perfino lo stesso papa impegnasse per esse la propria anima.

53) Nemici del Cristo e del papa sono coloro i quali, perché si possano predicare le indulgenze, ordinano che la parola di Dio sia fatta del tutto tacere nelle altre chiese.

54) Si offende la parola di Dio quando in una stessa predica si dedica un tempo uguale o maggiore all'indulgenza che ad essa.

55) E' certamente intenzione del papa che se si celebra l'indulgenza, che è cosa minima, con una sola campana, con una sola processione, con una sola cerimonia, il Vangelo che è la cosa più grande, sia predicato con cento campane, cento processioni, cento cerimonie.

56) I tesori della Chiesa, dai quali il papa concede le indulgenze, non sono sufficientemente ricordati né conosciuti presso il popolo cristiano.

57) Che non siano beni temporali è certo evidente: infatti molti di quei predicatori non usano profondere tanto facilmente tali tesori, ma solamente raccoglierli.

58) Né sono i meriti di Cristo e dei santi, perché questi operano sempre, senza l'intervento del papa, la grazia dell'uomo interiore e la croce, la morte e l'inferno dell'uomo esteriore.

59) Tesori della Chiesa chiamò S. Lorenzo i poveri della Chiesa; ma egli parlava il linguaggio del suo tempo.

60) Senza temerarietà diciamo che questo tesoro sono le chiavi della Chiesa (donate per il merito di Cristo).

61) E', chiaro infatti che per la remissione delle pene e dei casi (riservati) basta la sola potestà del papa.

62) Vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Vangelo della gloria e della grazia di Dio. 63) Ma questo tesoro è a ragione odiatissimo perché dei primi fa gli ultimi. 64) Il tesoro delle indulgenze invece è giustamente il più accetto, perché fa degli ultimi i

primi.

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65) Dunque i tesori evangelici sono reti con le quali una volta venivano pescati uomini ricchi.

66) Ora i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.

67) Le indulgenze, che i predicatori esaltano a gran voce come grazie grandissime, appaiono veramente tali per i guadagni che permettono.

68) Al contrario sono le minime paragonate alla grazia di Dio ed alla pietà della croce. 69) I vescovi e i curati sono tenuti ad accogliere con tutto il rispetto i commissari delle

indulgenze apostoliche. 70) Ma sono ancor di più tenuti a vigilare attentamente, con gli occhi e le orecchie ben

aperte, perché, invece del mandato ricevuto dal papa, quelli non predichino i loro sogni.

71) Sia anatemizzato e maledetto chi parla contro la verità delle indulgenze apostoliche. 72) Sia benedetto invece chi si oppone alla sfrenatezza e alla licenza nel parlare dei

predicatori di indulgenze. 73) Come il papa fulmina giustamente coloro che operano qualsiasi macchinazione

contro la vendita delle indulgenze. 74) Così molto più gravemente intende colpire coloro che, con il pretesto delle

indulgenze, operano macchinazioni a danno della santa carità e verità. 75) Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da poter assolvere un uomo

anche se questi - per impossibile - avesse violato la madre di Dio, è pura follia. 76) Al contrario affermiamo che i perdoni papali non possono cancellare neppure il

minimo peccato veniale, quanto alla colpa. 77) Dire che neppure S. Pietro, se fosse oggi papa, potrebbe dare maggiori grazie, è una

bestemmia contro S. Pietro e il papa. 78) Diciamo invece che anche questo papa, come qualsiasi altro, possiede grazie

maggiori, come il Vangelo, le virtù, i doni di guarigione ecc. secondo I Corinti 12. 79) Dire che la croce delle insegne papali, eretta solennemente, equivalga alla croce di

Cristo, è bestemmia. 80) Dovranno renderne conto vescovi, curati e teologi che permettono che simili discorsi

siano tenuti al popolo. 81) Questa scandalosa predicazione delle indulgenze è tale che non rende facile neppure

ad uomini dotti di difendere il rispetto dovuto al papa dalle calunnie o, se volete, dalle sottili obiezioni dei laici.

82) Vale a dire: perché il papa non vuota il purgatorio a causa della santissima carità e della grande sofferenza delle anime, che è la ragione più giusta di tutte, quando libera

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un numero senza fine di anime a causa del funestissimo denaro per la costruzione della basilica, che è un motivo futilissimo?

83) Parimenti: perché devono continuare le esequie e gli anniversari dei defunti e non restituisce, o permette siano ritirati i benefici istituiti per loro, dal momento che è un'offesa pregare per dei redenti?

84) Parimenti: qual è questa nuova pietà di Dio e del papa, per cui concedono per denaro ad un empio nemico di liberare un'anima pia ed amica di Dio, mentre non la liberano con gratuita carità per la sofferenza in cui quest'anima pia e diletta si è venuta a trovare?

85) Parimenti: perché canoni penitenziali di per sé e per il disuso già da tempo morti e abrogati, tuttavia a causa della concessione delle indulgenze sono riscattati ancora con il denaro come se fossero ancora in pieno vigore?

86) Parimenti: perché il papa, le cui ricchezze oggi sono più crasse di quelle dei più ricchi Crassi, non costruisce almeno la basilica di s. Pietro con il suo denaro, invece che con quello dei poveri fedeli?

87) Parimenti: che cosa rimette o partecipa il papa a coloro che, a causa di una perfetta contrizione, hanno diritto alla piena remissione o partecipazione?

88) Parimenti: quale maggior bene si arrecherebbe alla Chiesa se il papa, invece di concedere ad ognuno dei fedeli queste remissioni e partecipazioni una sol volta, la concedesse cento volte al giorno?

89) Dato che il papa, per mezzo delle indulgenze, cerca la salvezza delle anime più che il denaro, perché sospende le lettere confessionali e le indulgenze precedentemente concesse, mentre sarebbero ancora efficaci?

90) Soffocare queste sottilissime argomentazioni dei laici con la sola forza e senza addurre ragioni, significa esporre la Chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.

91) Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l'intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente risolte, anzi non esisterebbero.

92) Addio dunque a tutti quei profeti che dicono al popolo di Cristo: « Pace, pace », mentre non v'è pace.

93) E sia bene per tutti quei profeti che dicono al popolo di Cristo: croce, croce, mentre non v'è croce.

94) Bisogna esortare i Cristiani perché si sforzino di seguire il loro capo Cristo attraverso le pene, le morti e gli inferni.

95) E confidino così di entrate nel cielo più attraverso molte tribolazioni che non nella sicurezza di (una falsa) pace.

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LA CONFESSIONE AUGUSTANA (dal sito: http://www.it.wikipedia.org)

ARTICOLO 1 – LA NATURA DI DIOARTICOLO 1 – LA NATURA DI DIO

«Le nostre Chiese, per unanime consenso, insegnano che il decreto del Concilio di Nicea a proposito dell'unità della divina essenza e della Trinità è veritiero e da credersi senza dubbio alcuno».

Confutatio pontificia

Viene ribadita la natura Trinitaria di Dio contro le eresie manicheiste, ariane, eunomiane, maomettane, ecc. Dio è uno e trino, eterno, privo di corpo e dotato di potenza, saggezza e bontà infinita: egli è il creatore e preservatore di ogni cosa visibile o invisibile che sia. Dio è in tre persone uguali e distinte: il Padre, suo figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo. La Chiesa di Roma fu in accordo con questo articolo.

ARTICOLO 2 – IL PECCATO ORIGINALEARTICOLO 2 – IL PECCATO ORIGINALE

«E insegnano anche che dalla caduta di Adamo tutti gli esseri umani generati in via naturale nascono in stato di peccato, il che significa privi di timore di Dio, privi di fiducia in Lui e pieni di concupiscenza; e che questo malanno o peccato originale è realmente peccato che persino ora condanna e porta morte eterna su coloro che non sono rinati attraverso il battesimo e lo Spirito Santo».

Confutatio pontificia

Viene sottolineata la natura intrinsecamente corrotta dell'uomo, che rappresenta un handicap che solo il battesimo e la rinascita nello Spirito Santo possono superare: la forza e la ragione dell'uomo non possono, da sole, giustificarlo davanti a Dio. Non possono quindi cancellare il suo stato di peccatore e farlo salvo.

La Chiesa di Roma accettò il secondo articolo, ma confutò la natura del peccato: «che il peccato originale sia che gli uomini nascano senza timore di Dio e fiducia in Lui, è da rigettarsi completamente, poiché è evidente ad ogni cristiano che l'essere privo di timore di Dio e di fede in Lui è la colpa di un adulto ben più che l'offesa di un bimbo appena nato, che non possiede ancora l'uso della ragione».

ARTICOLO 3 – IL FIGLIO DI DIOARTICOLO 3 – IL FIGLIO DI DIO

«Ed inoltre insegnano che il Verbo, cioè il Figlio di Dio, assunse natura umana nel grembo della Beata Vergine Maria, così che vi sono due nature, la divina e l'umana, inseparabilmente unite in una Persona, un Cristo, vero Dio e vero uomo [...] che patì, fu crocifisso, morì e fu sepolto [...] e di nuovo verrà per giudicare i vivi e i morti, come propone il Credo apostolico».

Confutatio pontificia

Qui la Confessione propone esattamente gli stessi articoli di fede che compaiono nel Credo Niceno-Costantinopolitano e sui quali la Confutatio fu in totale accordo.

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ARTICOLO 4 – LA ARTICOLO 4 – LA GIUSTIFICAZIONEGIUSTIFICAZIONE

«Ed altresì insegnano che l'uomo non può venire giustificato dinnanzi a Dio per la sua propria forza, merito od opera, ma viene gratuitamente giustificato per grazia dell'amore di Dio attraverso la fede, quando l'uomo creda di essere accolto nel favore di Dio e che i suoi peccati vengano perdonati per grazia di Cristo che, morendo, ha compiuto espiazione dei nostri peccati.»

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma accettò che i meriti dell'uomo non potessero bastare di fronte alla potenza salvifica della grazia divina, unica via di salvezza. Si oppose però con fermezza all'idea che questi meriti, acquisiti attraverso le opere, non fossero meritori, necessari e indicati come via di salvezza e santificazione in tutte le Sacre Scritture: «Dovremo tutti comparire di fronte al trono di Cristo e che ognuno riceva nel suo corpo a seconda di ciò che avrà compiuto, sia il bene o il male.» (Cor. 2 5-10).

ARTICOLO 5 – IL MINISTERO DELLA CHIESAARTICOLO 5 – IL MINISTERO DELLA CHIESA

«Ed essi insegnano che noi si possa ottenere questa fede, e che sia stato istituito il ministero dell'insegnamento del Vangelo e quello dell'amministrazione dei sacramenti. Perché attraverso la Parola e i sacramenti, come attraverso strumenti, lo Spirito Santo è dato ed opera la fede; dove e come piaccia a Dio, in coloro che ascoltano il Vangelo perché diano testimonianza che Dio, non per nostri propri meriti ma per amore di Cristo giustifica coloro che credono di essere accolti nella grazia di Dio per amore di Cristo.

I ministri condannano gli Anabattisti e gli altri che pensano che lo Spirito di Dio venga agli uomini senza Parola esterna, attraverso la loro preparazione e lavoro».

Confutatio pontificia

La Confutatio accettò l'articolo puntualizzando che lo Spirito non infondesse solo la fede, ma anche le virtù di speranza e amore.

ARTICOLO 6 – LA NUOVA OBBEDIENZAARTICOLO 6 – LA NUOVA OBBEDIENZA

«Ed inoltre insegnano che questa fede deve produrre buoni frutti, a che è necessario compiere le buone opere comandate da Dio, poiché ciò è la volontà del Signore, ma che non dobbiamo fare affidamento su queste opere per meritare la giustificazione davanti a Dio. Perché la remissione dei peccati si ottiene attraverso la fede, così come la stessa voce di Cristo attesta».

Confutatio pontificia

La Chiesa_cattolica confutò l'eccessivo accento della salvezza attraverso la Fede e il minor risalto delle buone opere "Non chi dice di me 'Signore, Signore' entrerà nel regno dei cieli, ma chi compie la Volontà del Padre mio' (Mt 7, 21). Inoltre alla Chiesa Romana parve inaccettabile il primato della virtù della Fede sopra quella della Carità, "che è il sigillo della perfezione".

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ARTICOLO 7 – LA CHIESAARTICOLO 7 – LA CHIESA

«E [insegnano, NdR] che una sola Chiesa santa durerà per sempre. La Chiesa è la congregazione dei Santi, in cui i Vangeli sono insegnati nel modo corretto e i sacramenti correttamente amministrati. E [insegnano anche] che ai fini della reale unità della Chiesa sia bastevole l'accordo sulla dottrina del Vangelo e l'amministrazione dei sacramenti. Non è necessario che le tradizioni umane, cioè riti o cerimonie istituiti dagli uomini, debbano essere uniformi ovunque. Così come disse Paolo: "Una fede, un battesimo, uno stesso Dio e padre per tutti"» (Ef. 4, 5-6)

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma contestò che la Chiesa fosse solo «la congregazione dei Santi», poiché nel corpo di essa vi sono anche i peccatori, che solo Gesù nel Suo giudizio separerà dai salvati e solo nel momento che Lui riterrà opportuno. Apprezzò, inoltre, che riti particolari potessero essere differenti senza per questo inficiare la solidità e unità della Fede, distinguendoli dai riti universali «Noi dobbiamo ritenere che questi riti siano stati tramandati dagli apostoli».

ARTICOLO 8 – COSA È LA CHIESAARTICOLO 8 – COSA È LA CHIESA

«Sebbene la Chiesa sia l'insieme dei Santi e dei veri credenti, poiché in questa vita vi sono strettamente mescolati ipocriti e peccatori, resta comunque valevole il sacramento amministrato da tali persone [...] Sia i sacramenti, sia la Parola hanno effetto a motivo della loro istituzione da parte di Cristo a prescindere dal loro venire amministrati da uomini indegni. [Le nostre Chiese, NdR] condannano i Donatisti, e altri simili, che negano la legittimità del ministero degli uomini indegni nella Chiesa e che pensano che il ministero di tali uomini sia privo di costrutto e di nessun effetto».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma accettò l'articolo.

ARTICOLO 9 – IL BATTESIMOARTICOLO 9 – IL BATTESIMO

«Del battesimo essi insegnano come sia necessario alla salvezza, e che attraverso il battesimo sia offerta la grazia divina, che i bambini vadano battezzati e che questi, poiché gli viene offerta la grazia di Dio attraverso il battesimo, in quella grazia vengono accolti. Condannano gli Anabattisti, che rifiutano il battesimo degli infanti e che sostengono che i bambini sono salvati senza battesimo».

Confutatio pontificia

La Confutatio approvò l'articolo, unendosi alla generale condanna degli Anabattisti che definì «la peggior stirpe di uomini sediziosi».

ARTICOLO 10 – LA CENA DEL SIGNOREARTICOLO 10 – LA CENA DEL SIGNORE

«Della cena del Signore essi insegnano come il corpo e il sangue di Cristo siano realmente presenti, e distribuiti a coloro che della Cena del Signore mangiano; e rifiutano quelli che insegnano diversamente».

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Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma accettò l'articolo.

ARTICOLO 11 – LA CONFESSIONEARTICOLO 11 – LA CONFESSIONE

«Della confessione essi insegnano che l'assoluzione privata vada mantenuta nelle chiese, sebbene in confessione una enumerazione di tutti i peccati non sia necessaria. Perché è impossibile come dice il salmo: "Chi può comprendere il suo errore?" (Sal 19, 12».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma non oppose confutazione se non la richiesta che i sacerdoti chiedessero ai fedeli di confessarsi almeno una volta all'anno e di dichiarare tutti i peccati commessi che venissero loro alla mente dopo un serio e onesto esame di coscienza: «Lavami Signore dalle mie colpe segrete» (Sal 19,17).

ARTICOLO 12 – IL PENTIMENTOARTICOLO 12 – IL PENTIMENTO

«Del Pentimento essi insegnano che vi è remissione dei peccati per coloro che siano caduti [nel peccato] dopo il battesimo ogni qualvolta essi siano convertiti e che la Chiesa debba impartire assoluzione e questi che ritornino pentiti. Ora, il pentimento consiste specificamente di queste due parti: una è la contrizione, cioè il terrore che smuove la coscienza attraverso la conoscenza del peccato; l'altra è la fede che è nata dal Vangelo o dall'assoluzione e che crede che per amore di Cristo i peccati vengono perdonati, che conforta la coscienza e che la distoglie dagli errori. Dopo le buone opere non potranno che giungere, poiché sono il frutto del pentimento. Condannano gli Anabattisti che negano che chi fu giustificato una volta possa perdere il Santo Spirito. E condannano quelli che sostengono che alcuni possano arrivare a tanta perfezione che non possono peccare. Sono condannati ance i Novatisti che non assolverebbero coloro che avessero peccato, anche se tornassero pentiti. E rifiutano, inoltre, quelli che predicano che la remissione dei peccati venga attraverso la fede, ma che ci comandano di meritare la grazia attraverso la soddisfazione propria [che ritengono che si possa meritare la grazia del perdono solo attraverso pentimento e opere umane, anche se buone e non irrinunciabilmente attraverso il pentimento e il sacramento, NdT]».

Confutatio pontificia

La Chiesa cattolica contestò con grande energia che il pentimento si componesse di sole due parti (contrizione e confessione) anziché di tre:

contrizione divengo consapevole di avere peccato e ne comprendo la gravità;

confessione ammetto davanti a Dio e alla Chiesa il mio peccato con l'intenzione di ottenere la

grazia che solo il sacramento può darmi e che mi sosterrà perché io non pecchi ancora;

soddisfazione

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conscio delle conseguenze che il mio errore ha avuto sullo stato della mia anima e sul rapporto tra me e gli altri miei fratelli mi adopero per riparare i danni compiuti. Vengo così educato alla virtù, a fuggire le occasioni future di errore, divengo di esempio agli altri e allevio le conseguenze morali e sociali del mio peccato.

La Chiesa, inoltre, contestò che la fede potesse essere la seconda parte chiave del pentimento perché chi non crede non può pentirsi e la fede è la base di ogni pentimento. La sminuizione del ruolo delle opere, come già altrove, trovò anche qui un netto rifiuto e vennero citati diversi passi dei Vangeli, delle Lettere e dei padri della Chiesa dove si sostiene come fosse giusto e doveroso da parte della Chiesa imporre opere di soddisfazione al peccatore.

ARTICOLO 13 – LA FUNZIONE DEI SACRAMENTIARTICOLO 13 – LA FUNZIONE DEI SACRAMENTI

«Dell'uso dei sacramenti insegnano che i questi vennero ordinati non solo per essere segni della professione tra gli uomini, ma anche per essere segni e testimonianze del volere di Dio verso di noi, istituiti per risvegliare e confermare la fede in coloro che li usano. Noi dobbiamo dunque usare dei sacramenti così che la fede si irrobustisca per credere alle promesse che sono offerte e realizzate attraverso i sacramenti. Condannano altresì quelli che insegnano che i sacramenti giustifichino per il solo atto e che non insegnano che, nell'uso dei sacramenti, è necessaria la fede che crede che i peccati vengano perdonati».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma non obiettò, ma si limitò a chiedere che i sacramenti citati fossero i sette sacramenti della Chiesa Romana.

ARTICOLO 14 – L'ORDINE ECCLESIASTICOARTICOLO 14 – L'ORDINE ECCLESIASTICO

«Dell'ordine ecclesiastico insegnano che nessuno possa pubblicamente insegnare nella Chiesa o amministrare i sacramenti se non sia stato regolarmente chiamato [a questo]».

Confutatio pontificia

La Chiesa cattolica domandò che la chiamata dei pastori fosse in accordo a quella regolarmente in uso nella Chiesa di Roma e che non fosse derivante da pressioni esercitate dalla gente o derivanti da tumulti di popolo. Ammonì, inoltre, a che ciò non si verificasse.

ARTICOLO 15 – I RITI DELLA CHIESAARTICOLO 15 – I RITI DELLA CHIESA

«Delle usanze nella Chiesa insegnano che debbano venire osservate quelle che lo possono senza [commettere] peccato, e che sono profittevoli per la tranquillità e il buon ordine nella Chiesa, come in particolare sono i giorni festivi, le festività [maggiori] e così via. Ciononostante, a proposito di tali cose gli uomini vengono ammoniti a che le coscienze non siano affaticate come se tale osservanza fosse necessaria alla salvezza. Vengono anche ammoniti sul fatto che le tradizioni umane istituite per compiacere Dio, per ottenere [la sua] grazia e per dare soddisfazione dei peccati [cioè per cancellare o attenuare le conseguenze spirituali e sociali di un peccato commesso, NdT] sono contrarie al Vangelo ed alla dottrina della fede. Pertanto voti e tradizioni riguardanti le carni, i giorni [in cui astenersi o fare penitenza, NdT], eccetera istituiti per meritare grazia e per dare soddisfazione di peccati sono inutili e contrarie al Vangelo».

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Confutatio pontificia

La Confutatio obiettò fermamente sull'ultima parte dell'articolo e ribadì la bontà delle tradizioni di sacrificio ed espiazione dei peccati che la storia aveva stabilito, dichiarando la loro piena concordanza con il Vangelo.

ARTICOLO 16 – LE QUESTIONI CIVILIARTICOLO 16 – LE QUESTIONI CIVILI

«Delle questioni civili [che riguardano la vita pubblica e politica, NdT] essi insegnano che le ordinanze civili legittime sono opere giuste di Dio e che sia giusto per i Cristiani di prendere servizi pubblici, presiedere come giudici, giudicare secondo la legge imperiale ed altre esistenti, comminare giuste punizioni, intraprendere guerre giuste, servire come soldati, sottoscrivere contratti legali, avere proprietà, giurare quando richiesto dai magistrati, sposare una donna e prendere marito. [...] Condannano gli Anabattisti che proibiscono ai Cristiani questi uffici pubblici».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma approvò questo capitolo, sottolineando la condanna agli Anabattisti, verso i quali tutte le chiese cristiane si trovavano concordi in una totale condanna.

ARTICOLO 17 – IL RITORNO DI CRISTO PER IL GIUDIZIOARTICOLO 17 – IL RITORNO DI CRISTO PER IL GIUDIZIO

«Ed inoltre insegnano che alla consumazione del mondo Cristo apparirà per il giudizio e resusciterà tutti i morti; darà ai giusti ed agli eletti vita eterna e gioia inesauribile, ma condannerà gli ingiusti e i malvagi al tormento eterno. Condannano gli Anabattisti che pensano che vi sarà termine alle punizioni dei condannati e dei malvagi. E condannano anche altri che stanno ora diffondendo alcune opinioni ebraiche per cui prima della risurrezione dei morti i giusti prenderanno possesso del mondo e gli iniqui saranno ovunque soppressi».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma accettò l'articolo.

ARTICOLO 18 – IL LIBERO ARBITRIOARTICOLO 18 – IL LIBERO ARBITRIO

«Del libero arbitrio essi insegnano che la volontà dell'uomo abbia una certa libertà di scegliere per il bene nelle cose civili, e di operare secondo ragione. Ma non ha potere, senza lo Spirito Santo, di operare secondo la bontà divina, cioè di operare per il bene nelle cose dello Spirito; questo perché l'uomo [come creatura, NdT] naturale non ricevette le cose che sono dello Spirito del Signore; ma questa giustezza è generata nel cuore quando il Santo Spirito ne viene ricevuto attraverso la Parola. [...] Sosteniamo che tutti gli uomini abbiano libero arbitrio: libero, poiché ha la guida della ragione e non perché sia capace, senza Dio, tanto di cominciare quanto, infine, di terminare nulla in faccende che riguardino Dio, ma solo in cose di questa vita, che siano esse giuste o sbagliate. Io chiamo "buoni" quei lavori che germogliano dalla bontà in natura, quali la volontà di lavorare nei campi, di bere e di mangiare, di avere amici, di vestirsi, di costruire una casa, di prendere moglie, di allevare bestiame, di apprendere le diverse arti o qualsiasi cosa giusta riguardi questa vita. Perché tutte queste cose non sono senza dipendere dalla provvidenza divina. Chiamo "cattive" tutte quelle azioni come adorare idoli, commettere omicidi, eccetera. Condannano i Pelagiani ed altri che insegnano come, senza lo Spirito Santo, e per la sola forza della natura, siamo capaci di amare

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Dio sopra ogni altra cosa ed anche di operare i comandamenti di Dio come toccare "la sostanza dell'atto". Perché, anche se la natura [dell'uomo] è capace di fare il lavoro esteriore, perché è capace di trattenere le mani dal furto e dall'omicidio, tuttavia non può produrre i moti interiori come il timore di Dio, la fede in Dio, la castità, la pazienza, ecc.».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma si trovò in accordo su questo capitolo e sulla condanna delle eresie.

ARTICOLO 19 – LA CAUSA DEL PECCATOARTICOLO 19 – LA CAUSA DEL PECCATO

«Di ciò che sia causa del peccato sostengono che, sebbene Dio crei e preservi la natura, la causa del peccare è la volontà dei malvagi, cioè degli ingiusti e lontani da Dio; [e questa] volontà, priva dell'aiuto di Dio, da Dio stesso si allontana».

Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma si trovò in perfetto accordo su questo capitolo, che distingueva la causa della malvagità dalla infinita bontà di Dio e ne ascriveva i motivi e le responsabilità alla corruttibilità della natura umana e del suo giudizio debole.

ARTICOLO 20 – FEDE E BUONE OPEREARTICOLO 20 – FEDE E BUONE OPERE

«Coloro che ci insegnano [la fede] vengono falsamente accusati di proibire le buone opere. Ma i loro scritti sui Dieci comandamenti, ed altri dello stesso peso, portano testimonianza di come essi abbiano insegnato per scopi ineccepibili riguardo a tutti gli stati e doveri della vita, cosa nei vari stati di una vita e quali lavori in ciascuna delle condizioni [in cui un uomo può trovarsi in vita sua] possano piacere a Dio. A proposito di queste cose i predicatori hanno sino ad oggi insegnato non poco e bandito solo l'operare infantile ed inutile come festività particolari, alcuni digiuni, confraternite, pellegrinaggi, servizi in onore dei santi, l'uso di rosari, monachesimo e così via. Da quando i nostri avversari sono stati ammoniti su queste cose, stanno ora disimparandole e non si applicano a questi lavori inutili tanto quanto prima. Di pari passo cominciano a parlare della fede, della quale vi era, sino ad ora, un silenzio che destava meraviglia. Essi insegnano che siamo giustificati non per le sole opere, ma intrecciano fede ed opere e sostengono che da fede e opere siamo giustificati. Questa dottrina è più tollerante di quella precedente e può portare maggiore consolazione che la loro vecchia dottrina.

In considerazione del fatto che, prima d'ora, la dottrina riguardante la fede, che dovrebbe essere la principale nella Chiesa, ha giaciuto per così lungo tempo sconosciuta, tanto che tutti debbono concordare che vi fosse il più profondo silenzio nei loro sermoni sulla giustezza della fede, mentre solo la dottrina delle opere veniva trattata nelle chiese, i nostri insegnanti hanno istruito le Chiese a trattare l'argomento fede come segue:

Primo, che le nostre opere non possono riconciliarci con Dio o meritare perdono dei peccati, grazia e giustificazione, ma che otteniamo ciò per la sola fede quando crediamo che veniamo accolti nel favore di Dio per amore di Cristo, il solo che fu posto come mediatore e propiziatore [tra l'uomo peccatore e Dio, offeso e allontanato dal peccato dell'uomo, NdT] perché il Padre venisse riconciliato [con noi] per Suo tramite. Chiunque, quindi, confidi di meritare grazia per le sue opere, sdegna il merito e la grazia di Cristo e cerca una via verso Dio senza l'aiuto di Cristo, per sola forza umana, anche se Cristo disse di sé: "Io sono la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14, 6).

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Questa dottrina riguardante la fede è trattata ovunque da Paolo: "Per grazia siamo salvati tramite la fede e non per noi stessi, è dono di Dio e non delle opere" (Ef 2, 8). Ed infine, temendo che qualcuno possa artificiosamente sostenere che noi si abbia creato una nuova interpretazione di Paolo, [aggiungiamo a riprova delle nostre tesi che] questa intera faccenda è supportata dalle testimonianze dei padri della Chiesa. Perché Agostino, in molti dei suoi volumi, difende la grazia e la giustizia della fede rispetto ai meriti delle opere. E Ambrogio, nel suo De Vocatione Gentium, e in altri punti, insegna ad amarne gli effetti: perché nel De Vocatione Gentium dice quanto segue: "la redenzione per il sangue di Cristo diverrebbe di ben piccolo valore né la preminenza delle opere dell'uomo verrebbe rimpiazzata dalla pietà di Dio, se la giustificazione, che è operata tramite la grazia, fosse dovuta a meriti precedenti e fosse quindi non il dono gratuito di un benefattore, ma la paga dovuta a un lavoratore".

Ma sebbene questa dottrina sia in odio agli inesperti, le coscienze ansiose e che provano paura di Dio trovano alla prova dei fatti che essa porta la più grande consolazione perché le coscienze non possono trovare pace in alcuna opera, ma solo nella fede quando intraprendano il cammino sicuro nel quale è per grazia di Cristo che essi hanno un Dio riconciliato [con loro]. Come insegna Paolo, (Rom 5, 1): "Giustificati dalla fede, abbiamo la pace di Dio". Tutta questa dottrina va riportata a questo conflitto delle coscienza atterrita, e senza questo conflitto nulla può venirne compreso. Pertanto l'uomo inesperto e profano mal giudica su questa materia nel sognare che la giustizia cristiana non sia altro che giustizia civile e filosofica.

Sino ad ora le coscienze sono state ammorbate dalla dottrina delle opere e non hanno ascoltato la consolazione del Vangelo. Alcune persone furono condotte dalla coscienza nel deserto, in monasteri dove sperarono di meritare grazia per la scelta della vita monastica. Altre hanno programmato altri lavori per i quali ottenere grazia e perdono dei peccati. E dunque vi era gran bisogno di trattare e di rinnovare questa dottrina della fede in Cristo per concludere che quel tormento delle coscienze non deve restare privo di consolazione, ma che esse debbano conoscere che grazia e perdono dei peccati e giustificazione si ottengono appieno per la Fede in Cristo.

Le persone vengono inoltre ammonite che qui il termine 'fede' non significa meramente la conoscenza dei fatti storici, come tra i malvagi e i pagani, ma significa una fede che crede non solo il dettato storico, ma anche gli effetti di quel dettato e, nello specifico, questo punto: il perdono dei peccati, e cioè che otteniamo grazia, giustizia e perdono dei peccati attraverso Cristo.

Ora, chi sa di avere un Padre amorevole verso di lui, conosce davvero Dio; costui sa, inoltre, che Dio ha cura di lui e su Dio fa affidamento; in una parola egli non è privo di Dio come sono i pagani. Perché i malvagi e lontani da Dio non possono credere questo punto: il perdono dei peccati. E per questo essi odiano Dio come se fosse loro nemico, non vi si affidano e non si aspettano nulla di buono da Lui. Agostino ammonisce, inoltre, i suoi lettori su ciò che significa il termine 'fede' e insegna che il termine 'fede' è accolto nelle Scritture non in quanto conoscenza dei fatti, come tra coloro che sono lontani da Dio, ma come senso di fiducia che consola e incoraggia la mente tormentata.

Oltre a ciò viene a noi insegnato che sia necessario compiere buone opere, non perché noi si debba fidare di meritare grazia tramite loro, ma perché ciò è volontà di Dio. È solo tramite la fede che si conosce il perdono dei peccati e ciò è in cambio di nulla. E poiché lo Spirito Santo viene ricevuto tramite la fede, i cuori sono rinnovati e dotati di nuovi affetti, così che sono in grado di portare avanti buone opere. Perché Ambrogio dice: "La fede è la madre di una volontà corretta e di un corretto agire perché i poteri dell'uomo senza lo Spirito Santo sono pieni di sentimenti contrari a Dio, e sono troppo deboli per compere opere che a Dio piacciano. Inoltre sono in balia del demonio che spinge gli uomini a compiere peccati, a professare idee malvagie, a macchiarsi di veri e propri crimini. Questo si può vedere nei filosofia che, sebbene si applicassero con forza a vivere

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una vita onesta non vi riuscirono, ma vennero macchiati di molti turpi crimini. Questa è la debolezza dell'uomo quando è privo di fede e privo dello Spirito Santo e si governa da sé per le sue sole forze umane.

Per questo motivo si può vedere immediatamente che questa dottrina non va accusata di proibire le buone opere, ma come anzi le raccomandi in massimo grado, Perché mostra ciò che ci rende in grado di farle. Perché senza fede la natura umana non può in alcun modo fare ciò che è richiesto dal primo e dal secondo comandamento. Senza fede essa non può fare affidamento su Dio, né aspettarsi alcunché da lui, né sopportare la propria croce, ma solo cercare e fidare dell'aiuto dell'uomo. E quindi quando non vi è fede né fiducia in Dio tutte le accezioni della lussuria e gli istinti dell'uomo ne governano il cuore. Perciò Cristo disse: "Senza di me voi non potete nulla" (Gv 16,6); e per questo la Chiesa canta: "Se manca il tuo favore/ non c'é nulla che possa trovarsi nell'uomo/ e nulla in lui è innocente"».

Confutatio pontificia

Questo punto è uno dei più rilevanti della Confessione augustana, nonché il più lungo e doviziosamente spiegato della prima parte a conferma di quanto l'argomento stesse a cuore dei riformati. La Chiesa di Roma confutò ciò che aveva già confutato altrove e cioè il posto secondario in cui le opere venivano relegate dal nuovo punto di vista. Inoltre rifiutò che dare risalto al ruolo delle opere di misericordia significasse sdegnare i meriti della passione di Cristo, colui che con il suo esempio (e la sua morte) ci insegna ad agire come piace a Dio e pertanto a compiere le opere che contribuiscono a cancellare i nostri peccati e il suo sdegno verso le nostre offese.

ARTICOLO 21 – LA DEVOZIONE AI SANTIARTICOLO 21 – LA DEVOZIONE AI SANTI

«Della devozione verso i santi essi insegnano che l'esempio dei santi può venirci posto ad esempio, che dobbiamo seguire la loro fede e le loro buone opere, secondo la nostra vocazione, così che l'imperatore può seguire l'esempio di Davide nel far guerra per scacciare i Turchi da questo paese, perché entrambi sono re. Ma le scritture non insegnano l'invocazione dei santi né a chieder loro aiuto, perché è proposto a noi l'unico Cristo come mediatore, propiziatore, sommo sacerdote, e intercessore. A lui vanno rivolte le nostre preghiere, ed ha promesso che le avrebbe ascoltate, e questa devozione gli più grata di ogni altra, e cioè che in ogni afflizione si faccia ricorso a lui: "se l'uomo pecca, abbiamo un avvocato davanti al Padre..." (Gv 2, 1)

Questo è il fulcro della nostra dottrina nella quale, come si può vedere, non vi è nulla che si discosti dalle Scritture o dalla Chiesa cattolica, o dalla Chiesa di Roma per come è conosciuta attraverso i suoi scrittori. Questo è il caso in cui giudicano crudelmente quelli che insistono che i nostri insegnanti debbano venire trattati come eretici. Vi è, tuttavia, disaccordo su alcuni abusi che hanno strisciato nella Chiesa senza avere alcun diritto. Ed anche in questi casi dovrebbe esservi pietà da parte dei vescovi verso di noi a causa della confessione di fede che abbiamo testé rivisto; perché persino i canoni non sono tanto severi da chiedere riti identici ovunque, né i riti sono stati gli stessi in ogni tempo e per tutte le chiese sebbene tra noi i rituali antichi vengano in larga parte diligentemente osservati. Perché è un'accusa falsa e malevola che tutte le vecchie istituzioni siano state abolite nelle nostre chiese. Ma è una lamentela comune che vi siano alcuni abusi riguardo ai riti ordinari. Poiché questi non posso venire approvati con retta coscienza, sono stati parzialmente rettificati [...] e che erano stati erroneamente accettati dalla corruzione dei tempi. [...] Può venire prontamente giudicato che nulla serve meglio a mantenere la dignità della cerimonie ed a nutrire la reverenza e la pia devozione tra la gente che la corretta osservanza delle cerimonia nella chiese».

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Confutatio pontificia

La Chiesa di Roma sottolineò come i notabili delle città, i principi e lo stesso Imperatore dovessero invece sottoscrivere la devozione dei santi, che non poteva ridursi alla semplice, per quanto necessaria, imitazione del loro esempio. E citando sant'Agostino dissero: «Un popolo cristiano celebra la memoria dei martiri con osservanza religiosa che condivide i loro meriti e viene aiutata dalle loro preghiere». I santi, dunque, erano degni di devozione perché potevano, con i loro meriti, intercedere presso Dio per chi rivolgeva loro preghiere, elemosine e atti devozionali.

ARTICOLO 22: DELLE DUE SPECIE NEL SACRAMENTOARTICOLO 22: DELLE DUE SPECIE NEL SACRAMENTO

Ai laici viene offerto tanto il vino quanto il pane nella mensa del Signore, perché questa usanza ha comandamento da parte del Signore in Mt 26, 27: 'Bevetene tutti' dove Cristo ha chiaramente dato comando sulla coppa da cui tutti dobbiamo bere. E per evitare che qualcuno sostenga artificiosamente che ciò ci riferisce ai soli sacerdoti, (San) Paolo in Cor 11, 27 porta un esempio in cui appare che la congregazione tutta usasse di entrambe le specie. E questa usanza rimase a lungo nella Chiesa né si sa quando o per quale autorità sia stata cambiata. (…)

Anche in questo caso la Chiesa cattolica chiamò a sostenere la tesi opposta la sua stessa tradizione, i Padri della Chiesa stessa e il Vangelo nel solo episodio di Emmaus in cui Gesù, mostrandosi ai discepoli, officiò la comunione con solo il pane e non anche il vino. La Chiesa spiegò, inoltre, che il problema che si era posto, nei tempi antichi, e che aveva condotto al cambiamento era la difficoltà di amministrare un liquido a folle di persone tra cui vi erano sempre numerosi vecchi, malati e handicappati. Il prezioso sangue di Cristo non poteva correre il rischio di finire per terra a causa di una mano malferma e questo tendeva a succedere con una certa frequenza. Dunque si era ritenuto che 'Bevetene tutti' andasse inteso come rivolto solo ai sacerdoti e non a tutte le persone indiscriminatamente. Ai laici si sarebbe offerto il solo pane e una opinione contraria sarebbe equivalsa ad uno scisma.

ARTICOLO 23: DEL MATRIMONIO DEI PRETIARTICOLO 23: DEL MATRIMONIO DEI PRETI

Vi sono state frequenti lamentele per l'esempio di preti che non erano casti. Per questa ragione anche Papa Pio si riporta che abbia detto che vi erano motivi per i quali il matrimonio doveva venire tolto ai preti, ma ben più gravi erano quelli per cui avrebbe dovuto venirgli reso. (…) Per questo i nostri sacerdoti erano desiderosi di evitare scandali evidenti e pertanto presero moglie e gli venne insegnato che era legittimo per loro contrarre matrimonio. Primo perché (San) Paolo dice, 1 Cor 7,2-9, 'per non fornicare lasciate che ogni uomo abbia la sua propria moglie' ed anche 'é meglio sposarsi che ardere'. Secondo Cristo dice, Mt 19,11, 'non tutti gli uomini possono ricevere queste parole' là dove Egli insegna che non tutti gli uomini sono fatti per condurre una vita da soli ; perché Dio creò l'uomo per la procreazione, Gen 1,28. Né è nel potere dell'uomo senza un dono particolare e per opera di Dio di alterare questa (volontà espressa nella sua) creazione. Perché è evidente e molti hanno ammesso che da questo tentativo non è risultato alcun bene, alcuna vita onesta e casta, nessuna condotta Cristiana, sincera e retta, piuttosto un terribile e orrendo tormento di coscienze senza pace è stato provato da molti sino alla fine dei loro giorni. E perciò coloro che non sono adatti a condurre una vita da soli debbono contrarre matrimonio. Perché nessuna legge umana, nessun voto possono annullare il comandamento e l'ordine posto da Dio. Per queste ragioni i preti insegnano che è legittimo per loro prendere moglie.

È inoltre evidente che nella Chiesa antica i preti fossero uomini sposati. Perché (San) Paolo dice, Tim 3,2, che va scelto come vescovo chi sia maritato. E in Germania, quattrocento anni fa per la prima volta, i preti furono violentemente obbligati a condurre una vita solitaria, il che incontrò una tale resistenza che l'arcivescovo di magonza, quando fu per pubblicare il decreto pontificio su questa faccenda venne quasi ucciso nel tumulto che i preti inferociti scatenarono. E la gestione della cosa fu tanto crudele che non soltanto vennero proibiti matrimoni nel futuro, ma persino i matrimoni esistenti vennero stracciati, contrariamente ad ogni legge divina e umana, contrariamente

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persino ai Canoni stessi, posti non solo dai Papi, ma dai maggiori sinodi. Inoltre, molte persone di alta carica, intelligenti e timorate di Dio sono note avere spesso espresso timore che questo celibato forzato e il privare gli uomini del matrimonio (che Dio Stesso ha istituito come libera scelta per l'uomo) avesse mai prodotto alcun risultato apprezzabile, ma avesse introdotto mali grandissimi e vizi perversi e molte iniquità. Vedendo inoltre che, all'invecchiare del mondo, la natura dell'uomo diviene più debole, è bene vigilare perché nessun altro vizio faccia danno in Germania. Inoltre Dio ordinò il matrimonio come aiuto alla infermità umana. I Canoni stessi dicono che il vecchio rigore deve, ora e da qui in poi, negli ultimi tempi (della storia del mondo e dell'uomo - n.d.t.) venire allentato a causa della debolezza dell'uomo, il che è auspicabile venga applicato anche in questa faccenda. E ci si può aspettare che le chiese manchino di pastori una volta o l'altra se il matrimonio sarà ancora a lungo proibito. Ma mentre le legge di Dio è in pieno vigore, mentre i costumi della Chiesa sono ben noti, mentre celibati impuri causano tanti scandali, adulteri ed altri crimini che meritano la punizione di un giusto magistrato, da tuttavia meraviglia che in nulla ci si applichi tanto crudelmente quanto nel matrimonio dei preti. Dio ha dato disposizione di onorare il matrimonio. In tutte le leggi delle società civili, persino tra i pagani, il matrimonio è tenuto in grande onore. ma ora uomini, e quindi, preti vengono crudelmente condannati a morte contrariamente agli intenti delle leggi Canoniche per nessuna altra causa che il matrimonio. (San) Paolo in Tim 4,3, riporta una dottrina malvagia che proibisce il matrimonio. Questo può venire prontamente compreso quando la legge contro le unioni venga mantenuta con tali punizioni. Ma se alcuna legge dell'uomo può annullare le disposizioni di Dio, nemmeno può farlo un voto. In tal senso (San) Cipriano consiglia che le donne che non abbiano mantenuto la Castità che avevano promesso debbano sposarsi. Queste sono le sue parole, libro I, epistola XI: ma se esse non vogliono o non sono in grado di perseverare, è meglio per loro sposarsi che cadere nelle fiamme della loro lussuria, non daranno certo offeso ai loro fratelli e sorelle. E persino le leggi canoniche mostrano una certa indulgenza verso coloro che abbiano preso i voti prima di una età appropriata, come è stato sin qui generalmente facile (che si verificasse)."

La Chiesa cattolica manifestò su questo punto non solo un totale dissenso, ma anche un vero sbigottimento. Questo traspare dal tono della risposta e dal lungo elenco di esempi storici che portò a sostenere la tesi che i sacerdoti fossero i guardiani della Castità, della purezza, una virtù suprema senza la quale la santificazione del genere umano (e dunque la sua salvezza) non sarebbe stata possibile.

La questione era, infatti, destinata a restare altamente controversa poiché entrambe le tradizioni si ritrovano nel corso della storia della Cristianità sin dai suoi primi inizi. Lo testimoniano le stesse parole dell'Apostolo Paolo sulla Castità che non è la chiamata di tutti e sul "meglio sposarsi che ardere" che entrambe le parti chiamarono a sostegno di tesi diametralmente opposte. La Chiesa Romana fondamentalmente sostenne che la Castità fosse sempre stata richiesta per l'avvicinarsi a Dio e che fosse stato così anche ai tempi dei patriarchi soggetti alla "vecchia legge": quando officiavano si astenevano dalla moglie. Poiché la nuova legge, quella del Vangelo, chiama a un officio perenne, un sacerdozio ininterrotto, ne consegue che il sacerdote debba astenersi sempre e vivere in Castità perpetua. Come avrebbero potuto, infatti, due coniugi dedicarsi solo al Signore senza mancare verso l'uno verso l'altra? Per la Chiesa di Roma la dedizione a Dio completa e profonda era basata su una preghiera ininterrotta che escludeva a priori la possibilità dell'amore terreno. In tal senso i matrimoni che erano stati sciolti, cui alludeva la Confessione, non lo erano stati davvero poiché, in quanto illegittimi e contrari alla Legge Canonica, non erano mai esistiti come legame reale, ma solo come reale malcostume. La via della Castità restava incrollabilmente valida e resa possibile dall'esclusione dalle donne, dalla penitenza fisica e spirituale, dal lavoro, dal castigare i sensi dell'udito (e non prestare ascolto a sciocchezze, pettegolezzi, vanità) e della vista. "Ma la Chiesa - termina la confutatio pontificia - non proibisce, perciò il matrimonio, tanto che lo enumera tra i sette sacramenti; Con ciò, comunque, è chiaro che sulla base del loro ministero superiore Essa debba contare sulla superiore purezza degli ecclesiastici".

ARTICOLO 24: DELLA MESSAARTICOLO 24: DELLA MESSA

"Le nostre chiese vengono falsamente accusate di abolire la messa; perché la Messa è mantenuta presso di noi e celebrata con la massima reverenza. Circa tutte le cerimonie solite sono anch'esse

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mantenute, salvo che le parti cantate in latino vengono qua e là inframmezzate da inni in Tedesco, che sono stati aggiunti per insegnare alla gente. Perché le celebrazioni sono necessarie a questo solo fine, che gli ignoranti vengano istruiti su ciò che hanno bisogno di sapere di Cristo. E non solo (San) Paolo ha comandato di usare nelle chiese un linguaggio compreso dalla gente, 1 Cor 14, 2-9, ma è anche stato ordinato dalla legge Civile. La gente viene abituata a partecipare insieme al Sacramento, se qualcuno ne ha le caratteristiche necessarie, ed anche questo aumenta la reverenza e la devozione del culto pubblico. Perché nessuno viene ammesso prima che sia stato esaminato. La gente viene anche ammaestrata sulla dignità e l'uso del sacramento, quanta gran consolazione porti ad una coscienza inquieta, che possono imparare a credere in Dio, ed attendersi da Lui ed a Lui chiedere tutto ciò che vi è di buono. (…) Questo culto è caro a Dio; questo uso del Sacramento nutre la vera devozione verso Dio. Non sembra, inoltre, che la Messa venga celebrata con maggior devozione tra i nostri avversatori che tra di noi. Ma è evidente che, per un lungo periodo, questo è anche stato la lamentela pubblica e più doloroso di tutte le brave persone che le messe siano state biecamente profanate e usate a scopo di lucro. Perché è cosa nota quanto questo abuso sia considerato normale in tutte le chiese e come molti celebrino contrariamente alla Legge Canonica. Ma (San) Paolo minaccia con rigore quelli che hanno a che fare indegnamente con l'Eucarestia quando dice, 1 Cor 11, 27, 'Chiunque mangerà di questo pane e berrà di questa coppa del Signore senza essere degno, sarà colpevole del corpo e del sangue del Signore. Quando, dunque, i nostri ministri sono stati ammoniti contro questo peccato, le messe Private sono state tra noi discontinue, perché quasi nessuna Messa Privata veniva celebrata se non per amor di guadagno.

Né i vescovi erano all'oscuro di questi abusi, e se li avessero corretti per tempo, ci sarebbe ora meno dissenso. Sino ad oggi, per la loro connivenza hanno sofferto che molte corruzioni strisciassero nella Chiesa. Ora, che è troppo tardi, cominciano a lamentarsi dei problemi della chiesa, quando questi fattori di disturbo si sono generati semplicemente da questi abusi che erano tanto evidenti da non potersi sopportare oltre. Ci sono stati gravi dissensi sulla Messa, sul Sacramento. Forse il mondo sta venendo punito per profanazioni, tanto durature, della Messa così come sono state tollerate nelle chiese per tanti secoli da quegli stessi uomini che erano sia nella possibilità sia nell'assoluto dovere di correggerli. Perché nei dieci comandamenti sta scritto, Ex 20, 7: 'Il Signore non considererà innocente chi profana il suo nome. Ma da che il mondo ebbe inizio, nulla di quanto Dio mai ordinò sembra essere stato tanto oggetto d'abuso per sudicio guadagno quanto la Messa.

Si aggiunse anche l'opinione, che infinitamente aumentò le messe Private, e cioè che Cristo, per la Sua passione ha portato soddisfazione per il peccato originale e istituì la Messa nel senso per cui fosse un offerta fatta per i peccati quotidiani, sia veniali che mortali. Da ciò è sorta l'idea comune che la Messa porti via i peccati dei vivi e dei morti per il solo atto esteriore. Allora si iniziò a disputare se una Messa detta per molti valesse tanto quanto messe speciali per singoli e questo ha portato a questa infinita moltitudine di Messe. [Con questo lavoro gli uomini vollero ottenere da Dio tutto quanto di cui avessero necessità e allo stesso tempo la Fede in Cristo e la vera devozione furono dimenticate.] Su queste opinioni i nostri insegnanti hanno ammonito che allontanano dalle Sante Scritture e sminuiscono la gloria della Passione di Cristo. Perché la passione di Cristo è stato un sacrificio offerto a Dio e un atto di soddisfazione, non solo per il peccato originale, ma anche per tutti gli altri come è scritto nella Lettera agli Ebrei, 10 ,10: 'Siamo santificati per tramite dell'offerta di Cristo una volta per tutte' (…)

Le Scritture ci insegnano, inoltre, che siamo giustificati dinanzi a Dio attraverso la Fede in Cristo quando crediamo che i nostri peccati vengono perdonati per amore di Cristo. Ora se la Messa porta via i peccati dei vivi e dei morti per il solo atto esteriore, la giustificazione viene dall'opera delle messe non dalla fede, e questo lo vietano le Scritture. Ma Cristo ci comanda, Lc 22, 19: 'Fate questo in memoria di me'. Dunque la Messa fu istituita a che la Fede di coloro che usano del Sacramento potessero ricordare quali benefici ricevesse attraverso Cristo e (potessero) consolare e confortare la

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coscienza ansiosa. Perché ricordare Cristo è ricordare i suoi benefici e far proprio che ci sono realmente offerti. E non è abbastanza ricordare la sola Storia perché questa la possono ricordare anche gli Ebrei e gli infedeli. Pertanto la Messa va usata in questo senso: che il Sacramento sia amministrato per coloro che hanno bisogno di consolazione; (…)

Ora, poiché la Messa è un offrire il Sacramento, officiamo la Comunione ogni giorno santo, e, se qualcuno La desidera anche negli altri giorni quando è data a chi la chiede. E questa usanza non è una novità nella Chiesa, perché i Padri prima di Gregorio non facevano menzione di alcuna messa privata, ma di quella pubblica [la Comunione] parlavano molto. (San Giovanni) Crisostomo dice che i preti stavano ogni giorno in piedi all'altare chiamando alcuni alla Comunione e tenendo indietro altri. (…) E (San) Paolo, 1 Cor 11, 33, ordina a proposito della Comunione: 'Attendete l'uno gli altri, così che vi sia una partecipazione comune.' Poiché dunque la Messa (così come in uso) da noi ha l'esempio della Chiesa, preso dalle Scritture e dai Padri, abbiamo fiducia che non possa venire disapprovata, specialmente dato che le cerimonie pubbliche, per la maggior parte come quelle sin qui in uso, sono mantenute; solo il numero delle messe differisce e ciò perché abusi tanto grandi e manifesti possano venire profittevolmente ridotti. Perché nei tempi antichi, persino nelle Chiese più frequentate la Messa (intendendo con essa la celebrazione che comprenda il rito dell'Eucarestia - n.d.t.) non era celebrata ogni giorno (…)."

La Confutatio obiettò che "qualsiasi cosa sia aggiunta (all'articolo) che sia contrario all'osservanza generale della Chiesa Ortodossa e Universale viene rifiutato perché offende gravemente Dio, ferisce l'unità cristiana e genera dissensi, tumulti e rivolte nel Sacro Romano Impero". Nello specificò criticò la decisione di officiare parti della Messa in Tedesco, poiché il latino are la lingua universale di una Chiesa Universale cui i preti appartenevano prima di appartenere alle terre dove officiavano i riti. Ai fedeli era sufficiente dire 'Amen' con Fede quando richiesto: comprendere con intelligenza non era necessario. Né era necessario, sebbene fosse l'uso dei primi cristiani, officiare in una lingua comprensibile alla popolazione dei fedeli: quelli non conoscevano la Chiesa e i suoi usi e dovevano venire istruiti di tutti, mentre ora conoscono la Chiesa e cosa vada o non vada fatto sin dalla culla.

Sulla presenza degli abusi riconobbe la necessità di porvi rimedio, ma ribadì con forza la necessità delle messe di suffragio dei defunti e delle messe quotidiane che ritenne assolutamente necessaria alla vitalità della Fede e del culto di Cristo, dei Santi e della Chiesa stessa. Quanto al rifiuto che le messe fossero un sacrificio a favore tanto dei vivi quanto dei morti tacciò il concetto di eresia filo-Catara e ribadì che la Messa lavasse via, previo pentimento sincero e profondo, le conseguenze dei peccati dei vivi rendendoli più forti nella Fede e alleviasse le pene delle anime del purgatorio. "È stato sufficientemente reso noto che non veniamo giustificati per Fede, ma per Carità. (…) perché la giustificazione (operata grazia alla Carità) comincia per Fede poiché essa è la sostanza delle cose sperate" In questo modo la Chiesa di Roma ribadì la pariteticità delle tre virtù teologali: Fede, Speranza e Carità. Inoltre "Se essi ritengono che una Messa porti vantaggio, quanto maggior vantaggio si avrà da un gran numero di Messe". Ridurle o limitarle era un atto grave e ingiustificato da ripudiarsi immediatamente.

ARTICOLO 25: DELLA CONFESSIONEARTICOLO 25: DELLA CONFESSIONE

"La Confessione nelle Chiese non è abolita tra noi; perché non è infrequente dare il corpo del Signore soltanto a quelli che siano stati prima esaminati ed assolti. E la gente viene istruita con grande attenzione sulla Fede nella assoluzione sulla quale vi era prima il più profondo silenzio. Alla nostra gente viene detto che debbono tenere in alta considerazione l'assoluzione, come se fosse la voce di Dio e pronunciata per comando di Dio. (…)

Ma della Confessione (i nostri insegnanti - n.d.t.) insegnano che non è necessario enumerare tutti i peccati, e che la coscienza non va affaticata con l'ansia di enumerarli tutti, perché è impossibile contarli tutti (…). Ma se non vengono perdonati i peccati se non quelli enumerati, le coscienze non troveranno mai pace; perché molti peccati non sanno vederli o non li ricordano. (…)"

La Confutatio obiettò che "Una piena confessione non è solo, come non sarebbe necessario dire, necessaria per la salvezza, ma diviene il nerbo della disciplina Cristiana e della intera obbedienza". Le obiezioni e le proposte della

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Confessio Augustana erano su questo pari all'eresia dei Montanisti, di ben 12 secoli prima. Anche questo articolo si chiuse con una chiamata ad inchinarsi alle superiori necessità dell'unità della Chiesa e al superiore giudizio del Papato.

ARTICOLO 26: DELLA DISTINZIONE TRA I CIBIARTICOLO 26: DELLA DISTINZIONE TRA I CIBI

"Vi è stata generale opinione, non solo tra la gente, ma anche tra coloro che insegnavano nelle chiese, che il fare distinzione tra le carni, ed altre usanze simili, siano opere meritorie di grazia e che possano portare soddisfazione dei peccati. E che il mondo lo pensasse appare evidente da questo, che nuove cerimonie, nuovi ordinamenti, nuovi giorni da santificare e nuove feste vennero giornalmente istituiti e gli insegnanti nelle chiese imposero questi servizi come necessari per meritare grazia e terrorizzarono le coscienze degli uomini ogni volta che questi le avessero omesse. Dalla convinzione di queste tradizioni ne è risultato un gran detrimento alla Chiesa. Primo, è stata oscurata da questo la dottrina della Grazia e della giustizia della fede, che è la parte fondamentale del Vangelo, e dovrebbe emergere come la più importante nella Chiesa perché i meriti di Cristo siano ben riconosciuti e perché la Fede, che crede che i peccati vengono perdonati per amore di Cristo, sia esaltata ben oltre le opere. (…) Secondo, queste tradizioni hanno oscurato i comandamenti di Dio, perché le tradizioni vennero poste ben sopra di essi. Si insegnò alla Cristianità che consisteva totalmente nella osservanza di certi giorni da santificare, riti, digiuni e paramenti. L'osservanza di queste cose si è guadagnata l'esaltato titolo di essere la vita spirituale e la vita perfetta. Nel mentre i comandamenti di Dio, secondo la vocazione di ciascuno, come avere una discendenza per un padre, avere bambini per una madre, governare lo stato per un principe, per fare un esempio, erano privi di onore, mondani ed imperfetti e ben sotto queste osservanze luccicanti. E questo errore tormentò gravemente le coscienze che si dolsero di essere tenute in uno stato di vita imperfetto come nel matrimonio, nell'officio di un magistrato, o in altre amministrazioni civili; d'altro canto ammiravano i monaci e simili e immaginavano falsamente che le osservanze di questa gente fossero più grate a Dio. Terzo, le tradizioni portarono gran danno alle coscienze perché era impossibile il mantenerle tutte e pure gli uomini le giudicavano atti necessari di fede. (…) E nel raccogliere tutte queste tradizioni le scuole e i sermoni sono state tanto prese che non ebbero il piacere di approfondire le Scritture e di cercare la ben più utile dottrina della Fede, della Croce, della Speranza, della dignità degli affari civili, della consolazione delle coscienze oppresse.(…)

I nostri avversari obiettano che i nostri insegnanti si oppongano alla disciplina ed alla mortificazione della carne, come i Gioviniani. Ma si può desumere il contrario dai loro scritti. Perché hanno sempre insegnato sulla (dottrina della) Croce che rende necessario per i Cristiani sopportare le afflizioni. Questa è la vera, onesta, sincera da testimoniare, da esercitare con diversi dispiaceri e che condivide la crocefissione con Cristo. Inoltre insegnano che ogni Cristiano debba allenarsi e sottoporsi a costrizioni del corpo o a esercizi fisici e travagli si che né la sazietà né la pigrizia o possano indurre a peccare, ma non che si possa meritare grazia o dare soddisfazione per i peccati tramite questi esercizi. E questa disciplina esteriore deve venire proposta con forza sempre, non solo in alcuni giorni programmati. (…) Pertanto non condanniamo il digiuno in sé, ma le tradizioni che prescrivono certi giorni e certe carni, con pericolo per la coscienza, come se queste faccende fossero un servizio necessario. Nonostante questo molte tradizioni sono mantenute presso di noi, che conducono a un buon ordine nella Chiesa (…). Ma allo stesso tempo le persone vengono ammonite che queste osservanze non giustificano dinanzi a Dio, e che in queste cose non si commette peccato se si omettono involontariamente. Tale libertà nei riti umani non era sconosciuta ai Padri. (…)"

Il Papato rifiutò l'articolo in blocco, sulla base della sua autorità morale che Gli era stata affidata da Cristo per tramite di Pietro e che rendeva l'obbedienza alle Sue disposizioni vincolante. Questo vincolo comprendeva anche le tradizioni che il Papato riteneva venire direttamente dagli apostoli. L'osservanza di queste pratiche non poteva venire fatta senza Fede ed anzi caratterizzava la Fede stessa dei Cristiani rispetto ai Turchi o ad altri infedeli, che non avevano tali mezzi per santificarsi. Principi e comuni erano dunque ammoniti a seguire fedelmente il dettato di Roma.

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ARTICOLO 27: DEI VOTI MONASTICIARTICOLO 27: DEI VOTI MONASTICI

"Cosa sia insegnato dalla nostra parte rispetto ai voti monastici, sarà meglio compreso se verrà ricordato quale sia stata la condizione dei monasteri e quante cose venissero fatte, all'interno di quegli stessi monasteri, contrarie alle leggi canoniche. Ai tempi di (Sant') Agostino erano associazioni libere. Dopo, quando la disciplina si corruppe, vennero aggiunti voti ovunque allo scopo di restaurarla, come in una prigione ben pianificata. Gradualmente numerose altre osservanze vennero aggiunte a fianco dei voti. E tutte queste costrizioni vennero addossate su molti prima che questi avessero raggiunto l'età legale, contro i Canoni. Molti, poi, entrarono in questo tipo di vita con ignoranza, incapaci di giudicare la propria forza, anche se di età sufficiente. In tal modo intrappolati furono costretti a rimanere anche se alcuni avrebbero potuto venire liberati per quanto gentilmente previsto dai Canoni. E ciò fu più il caso di conventi di suore che di monaci, sebbene si sarebbe dovuta mostrare maggiore considerazione riguardo al sesso debole. Questo rigore dispiacque a molti uomini giusti prima di questo tempo che vedevano giovani e fanciulle scaraventati in convento per tutta una vita. Loro vedevano bene che sventurati risultati vennero da queste procedure, che scandali si crearono, che trappole vennero gettate sulle coscienze! (…) A questi mali s'aggiunse una convinzione che, come ben si sa, spiaceva un tempo persino ai monaci tenuti in maggior conto. Insegnarono che i voti fossero pari al Battesimo; insegnarono che per questo tipo di vita meritassero il perdono dei peccati e giustificazione davanti a Dio. (…) Così hanno fatto credere alla gente che l'ordinazione fosse assai meglio del Battesimo e che la vita monastica fosse assai più meritoria di quella dei magistrati, di quella dei pastori e così via, che servono la loro vocazione secondo i comandi di Dio, senza alcun servizio posto dall'uomo. (…) Una Volta erano scuole di Teologia o di altre scienze, utili alla Chiesa, e così ne venivano pastori e vescovi. Ora son tutt'altra cosa (…) si che la dottrina dei nostri insegnanti può venire, su questo, meglio compresa. Primo insegnano, sul contrarre matrimonio, che sia legittimo per gli uomini che non son adatti per una vita solitaria perché i voti non possono annullare un comandamento e una disposizione divina. ma il comandamento di Dio è, 1 Cor 7, 2: "Per evitare la fornicazione, lasciate che ogni uomo abbia la sua donna". (…) In secondo luogo perché i nostri avversari esagerano tanto gli obblighi o gli effetti di un voto quando, allo stesso tempo, non hanno una parola sulla natura del voto stesso, cioè che debba essere attuabile, che debba essere libero e scelto spontaneamente e deliberatamente? Ma si sa bene quanto sia nelle possibilità dell'uomo la Castità perpetua. E quanto pochi sono quelli che hanno preso i voti spontaneamente e deliberatamente! Fanciulle e giovani, prima che siano in grado di giudicare vengono persuasi e talvolta persino obbligati a prendere i voti. (…) Molte leggi canoniche sciolgono i voti pronunciati prima dei quindici anni, perché prima di tale età non sembra che vi sia giudizio sufficiente in una persona per decidere riguardo ad una condizione perpetua di vita. Altri Canoni, assicurando di più alla debolezza umana, aggiungono qualche anno poiché proibiscono i voti fatti dei diciotto anni. Quali dei due dovremmo seguire? la maggior parte avrebbe motivo di lasciare i monasteri, perché molti di loro han preso i voti prima che avessero raggiunto quelle età.

(…) Inoltre i precetti di Dio e il vero servire Dio sono oscurati quando la gente sente che solo i monaci sono in uno stato di perfezione. Perché la perfezione cristiana consiste nel temere Dio (nell'avere rispetto umile e profondo della Maestà di Dio e della responsabilità cui siamo chiamati dal progetto amorevole che ha su ognuno di noi - n.d.t.) di cuore e dunque formarci una Fede grande e fidare che per l'amore di Cristo abbiamo un Dio con cui siamo riconciliati, nel chiedere a Dio (quanto ci è necessario) e nell'aspettarci senza alcun dubbio il Suo aiuto in ogni cosa che, secondo la vocazione che viviamo, sia da farsi; e nel contempo essere diligenti nelle buone opere esteriori e servire bene la nostra vocazione. In queste cose consiste la vera perfezione e il vero servizio a Dio. non consiste nel celibato, nell'elemosinare o in un'apparenza da straccioni. (…)"

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Come forse si può facilmente intuire la Chiesa di Roma rifiutò questo articolo in blocco e con grande forza, sulla base di diversi passi dei Vangeli, dell'Antico Testamento e delle Lettere, oltre che per i molti esempi di virtù e di civiltà che la vita monastica aveva prodotto. Gli abusi, che non negava, non erano motivo sufficiente a rinnegare un sistema chiaramente indicato da Dio stesso: "Chiunque lasci la sua casa, i suoi fratelli, o sorelle, padre o madre, moglie, figli o terre per amore del mio nome riceverà cento volte tanto ed erediterà al vita eterna" (Mt 19, 29).

ARTICOLO 28: DEI POTERI ECCLESIASTICIARTICOLO 28: DEI POTERI ECCLESIASTICI

Vi è stata gran controversia sul potere dei vescovi, in cui alcuni hanno goffamente confuso il potere della Chiesa e quello della spada. E da tale confusione sono risultate guerre terribili e tumulti, mentre il Pontefice, incoraggiato dal Potere delle Chiavi; non solo ha istituito nuovi servizi e affardellato le coscienze con … e scomuniche, ma ha anche iniziato a prendersi il potere temporale e a prendere l'Impero all'Imperatore.. Questi mali sono stati disapprovati con forza nella Chiesa da uomini saggi e devoti. Pertanto i nostri insegnanti, per il conforto delle coscienze degli uomini, sono stati costretti a mostrare le differenze tra il potere della Chiesa e quello della spada ed insegnano che di entrambi, per volere divino, si debba avere reverenza ed onorarli come la maggior benedizione di Dio sulla Terra. Ma questa è la loro opinione, che il Potere delle Chiavi o potere dei vescovi sia, in accordo con i vangeli un potere o comandamento di Dio di predicare il Vangelo, rimettere o mantenere i peccati e amministrare i sacramenti. Per questo comandamento Cristo mandò innanzi i suoi apostoli, Gv 20, 21: Come mio Padre ha mandato me, così io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo. Qualunque peccato rimetterai sarà rimesso a loro e qualsiasi non rimetterai resterà loro non rimesso. Mc 16, 15: andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura. Questo potere è esercitato solo insegnando o pregando il Vangelo e amministrando i Sacramenti, secondo la vocazione a molti o a individui singoli. Per causa di ciò sono garantite non le cose fisiche, ma quelle eterne, come la giustizia eterna, lo Spirito Santo, la vita eterna. Queste cose non possono che venire dal ministero della Parola e dei Sacramenti (...). Dunque, poiché il potere della Chiesa garantisce le cose eterne ed è esercitato solo dai ministri della Parola, non interferisce con governo civile, non più di quanto lo faccia l'arte del canto. Perché il governo civile ha a che fare con cose diverse rispetto al Vangelo. I legislatori civili non difendono le menti ma i corpi e le cose che appartengono contro le aggressioni manifeste e trattengono gli uomini con la spada e le punizioni corporali per preservare la giustizia civile e la pace.

Pertanto il potere della Chiesa e quello civile non vanno confusi. (...) Non lasciamo che l'una irrompa nell'amministrazione del dovere dell'altro. (...) Se i Vescovi hanno un qualche Potere della Spada, quel potere che hanno non è perché sono vescovi e per incarico dai Vangeli, per le leggi umane ed avendolo ricevuto dai re e dall'Imperatore., cui appartiene. (...) Si discute inoltre se Vescovi e pastori abbiano il diritto di introdurre cerimonie nella Chiesa e fare leggi riguardanti le carni, i giorni da santificarsi e i gradi, cioè l'ordine dei ministri, e così via. (...) (...) i Vescovi non hanno potere di decretare nulla contro il Vangelo. La Legge Canonica dice lo stesso (...). Ora, è contro la scrittura stabilire o richiedere l'osservanza di qualsiasi tradizione, perché per questa osservanza noi si faccia soddisfazione dei peccati o si meriti grazia e giustificazione. (...). Gradualmente furono decretate nuove festività, prescritti digiuni, istituite nuove cerimonie e servizi in onore dei santi, perché gli autori di queste faccende credettero che stessero, tramite queste, meritando grazia. (...)

Se i vescovi hanno diritti di affardellare le chiese con un'infinità di tradizioni e di intrappolare le coscienze, perché le Scritture proibiscono così spesso di fondare tradizioni e di dar loro ascolto? (...) noi rispondiamo che sia legittimo per vescovi e pastori dare ordine su cose che si debbano fare ordinariamente nelle chiese, non per questo meriteremmo grazia o compiremmo soddisfazione per i peccati o che le coscienze debbano venire oppresse a giudicarli servizi necessari e a pensare che sia un peccato non adempirvi se non si reca offesa al prossimo (se non si reca danno tanto materiale quanto morale al prossimo. L'offesa include anche lo scandalo che si può dare alla società- n.d.t.). (...)

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È giusto che le chiese debbano mantenere la norma, per amore di concordia e di tranquillità, cosi ché nessuno offenda l'altro, che tutte le cose nelle chiese debbano venire fatte con ordine e senza confusione (...) ma in modo che le coscienze non siano oppresse a pensare che queste cose siano necessarie alla salvezza o a giudicare che pecchino quando non vi adempiono senza che ciò rechi offesa ad altri. Così come nessuno dirà che una donna pecca se gira in pubblico a Articolo scoperto purché non rechi offesa.(...) Gli apostoli comandarono, At 15, 20, di astenersi dal sangue. Chi fa osservanza di questo ora? E non pecca chi non l'osserva perché nemmeno gli stessi apostoli vollero caricare le coscienze di un tale peso, ma lo proibirono per un po', per evitare le offese (al prossimo). In questo decreto dobbiamo considerare sempre quale sia lo scopo del Vangelo. (...) Non è il nostro scopo di strappare con la forza il governo dai vescovi, ma almeno questa singola cosa chiediamo, e cioè che permettano che il Vangelo sia insegnato correttamente e con purezza e che allentino alcune osservanze che non possono venire rispettate senza incorrere in peccato. Ma se non faranno alcuna concessione, dovranno vedere come stiano dando motivo a Dio di approntare, per colpa della loro ostinazione, la causa di uno scisma."

La Chiesa di Roma rispose che: "Anche se nell'articolo sul Potere Ecclesiastico sono state aggiunte un sacco di cose, con più asprezza di quanto necessario, va comunque dichiarato che ai molto reverendi vescovi e preti ed all'intero clero, tutto il potere ecclesiastico è liberamente concesso che a loro appartenga per legge o usanza. Inoltre è giusto mantenere per loro tutte le immunità, i privilegi, i ranghi e le prerogative a loro garantite dagli Imperatori Romani e dai re. E che queste cose che sono state garantite agli ecclesiastici dalla munificenza o come dono possano venire rotte da qualsiasi principe o da ogni altro suddito dell'Impero Romano. (...)" Il potere vescovile, dunque, doveva essere esercitato a buon diritto per salvaguardare la salvezza delle coscienze e in tal senso poteva interferire o sovrapporsi con quello civile. Aggiunse che la Libertà Cristiana citata nella Confessio, che le chiese tedesche ritenevano fondarsi sul messaggio evangelico originario e che le autorizzava a contestare il Pontefice, era una inconcepibile licenza che avrebbe condotto la gente alla rivolta e alla sedizione. Rimandò infine alla autorità dei principi e dei notabili correggere gli abusi che erano stati fatti notare, la cui esistenza non contestava, per riportare lo zelo cristiano "alla sua gloria primitiva". "A questo, come è evidente a tutti, la Sua Maestà ha sin d'ora profuso la massima cura e impegno e gentilmente promette di impiegare in questo tutti i suoi uomini e il suo zelo."

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CARTINA RELATIVA ALLA GUERRA DEI CONTADINI (dal sito: http://www.it.wikipedia.org)

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I TRENTANOVE ARTICOLI DELLA CHIESA ANGLICANA (dal sito: http://www.it.wikipedia.org)

II testo da cui dipende questa traduzione a quello del Prayer Book del 1928, ripreso in The Encyclopedia of American Religions: Religious Creeds, a cura di J. Gordon Melton, 1988.

I. LA FEDE NELLA SANTA TRINITÀ

Vi e un solo Dio vivo e vero, eterno, senza corpo, parti o passioni, di infinita potenza, sapienza e bontà, creatore e conservatore di tutte le cose, visibili e invisibili. Nell'unità di questa divinità vi sono tre Persone, di un'unica sostanza, potenza ed eternità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

II. LA PAROLA O FIGLIO DI DIO INCARNATO, CHE DIVENNE VERO UOMO

Il Figlio, che e la Parola del Padre, generato dall'eternità dal Padre, Dio vero ed eterno, e consustanziale al Padre, ha assunto la natura umana nel grembo della santa Vergine, prendendo dalla sua sostanza; cosi due nature, complete e perfette, cioè la divinità e l'umanità. sono inscindibilmente unite in una sola Persona, dando luogo a un solo Cristo, vero Dio e vero uomo, il quale veramente soffri, fu crocifisso, morì e fu sepolto, per riconciliare il Padre con noi e per essere un sacrificio, non solo per il peccato originale ma anche per i peccati attuali degli uomini.

III. LA DISCESA DI CRISTO AGLI INFERI

Come si deve credere che Cristo e morto per noi e fu sepolto, cosi si deve anche credere che egli discese agli inferi.

IV. LA RISURREZIONE DI CRISTO

Cristo è veramente risorto dai morti e ha ripreso il suo corpo con carne, ossa e tutto ciò che appartiene alla perfezione della natura umana, con il quale ascese al cielo, dove siede per ritornare poi a giudicare tutti gli uomini nell'ultimo giorno.

V. LO SPIRITO SANTO

Lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figlio, e della stessa sostanza, maestà e gloria del Padre e del Figlio, Dio vero ed eterno.

VI. LA SUFFICIENZA DELLE SACRE SCRITTURE PER LA SALVEZZA

La sacra Scrittura contiene tutto ciò che e necessario per la salvezza. Non si deve quindi esigere da nessuno di credere come articolo di fede, né si deve pensare sia richiesto o necessario per la salvezza, tutto ciò che non si legge in esse o che non può essere provato attraverso di esse. Per Sacre Scritture intendiamo quei libri canonici dell'Antico e del Nuovo Testamento sulla cui autorità non vi sono mai stati dubbi nella chiesa.

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Nomi e numero dei libri canonici: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, Giosue, Giudici, Rut, I Samuele, II Samuele, I Re, II Re, I Cronache, II Cronache, I Esdra, II Esdra, Ester, Giobbe, Salmi, Proverbi, Ecclesiaste o Predicatore, Cantica o Canti di Salomone, quattro profeti maggiori, dodici profeti minori.

E gli altri libri che - come dice Girolamo - la chiesa legge per ricavarne esempi di vita e istruzioni pratiche, senza tuttavia ritenere che fondino alcuna dottrina; tali sono i seguenti: III Edra, IV Esdra, Tobia, Giuditta, seguito del libro di Ester, Sapienza, Gesù figlio di Sirach, profeta Baruch, Canto dei tre fanciulli, storia di Susanna, Bel e il Drago, preghiera di Manasse, I Maccabei, II Maccabei.

Riceviamo tutti i libri del Nuovo Testamento cosi come essi sono generalmente ricevuti e li consideriamo canonici.

VII. L'ANTICO TESTAMENTO

L'Antico Testamento non e in contraddizione con il Nuovo, poiché sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento viene offerta all'umanità la vita eterna da Cristo, che e il solo mediatore fra Dio e l'uomo, essendo al tempo stesso Dio e uomo. Non si devono perciò ascoltare coloro che inventano che gli antichi padri si aspettavano solo promesse passeggere. Benché la legge data da Dio attraverso Mose, riguardante le cerimonie e i riti, non vincoli i cristiani ne le sue prescrizioni civili debbano essere obbligatoriamente ricevute in un qualsiasi stato, nessun cristiano e ciò nondimeno dispensato dall'obbedienza ai comandamenti che sono detti morali.

VIII. I CREDI

Devono essere fedelmente ricevuti e creduti il Credo niceno e quello che viene comunemente chiamato il Credo degli apostoli, dato che possono essere provati con certissime prove della sacra Scrittura.

IX. II PECCATO ORIGINALE O PECCATO CON CUI SI NASCE

Il peccato originale non consiste nel seguire Adamo (come affermano senza fondamento i pelagiani), ma è la colpa e la corruzione della natura di ogni uomo generato per via naturale dalla progenie di Adamo, mediante la quale l'uomo è molto lontano dalla giustizia originale ed e per sua natura incline al male, cosicché la carne ha sempre desideri contrari allo Spirito; e perciò in ogni essere umano nato in questo mondo esso merita la collera divina e la dannazione. E questa contaminazione della natura resta anche in coloro che sono rigenerati, per cui la bramosia della carne, detta in greco phroneia sarkos (che alcuni interpretano come conoscenza, altri come sensualità, altri come affezione, altri ancora come desiderio della carne) non e sottomessa alla legge di Dio. E benché non vi sia condanna per coloro che credono e sono battezzati, tuttavia l'apostolo confessa che la concupiscenza e la bramosia hanno di per se la natura del peccato.

X. II LIBERO ARBITRIO

La condizione dell'uomo, dopo la caduta di Adamo, e tale che egli non può volgersi e prepararsi, con le sue forze naturali e le opere buone, alla fede e alla chiamata di Dio. Non abbiamo quindi alcuna capacità di fare opere buone gradite e accette a Dio, senza che la grazia di Dio, attraverso il Cristo, ci prevenga, in modo che abbiamo la buona volontà, e open insieme a noi quando abbiamo questa buona volontà.

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XI. LA GIUSTIFICAZIONE DELL'UOMO

Siamo ritenuti giusti davanti a Dio solo per i meriti del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo per fede e non a motivo delle nostre opere o dei nostri meriti. Il fatto di essere giustificati unicamente per fede e perciò una dottrina molto salutare e ricca di consolazione, come si dice più diffusamente nell'omelia sulla giustificazione.

XII. LE OPERE BUONE

Benché le opere buone, che sono frutto della fede e seguono la giustificazione, non possano cancellare i nostri peccati e sopportare la severità del giudizio di Dio, sono nondimeno gradite e accette a Dio in Cristo e scaturiscono necessariamente da una fede vera e viva, per cui attraverso di esse si può conoscere la fede viva con la stessa certezza con cui si può conoscere un albero dai suoi frutti.

XIII. LE OPERE PRIMA DELLA GIUSTIFICAZIONE

Le opere compiute prima della grazia di Cristo e dell'ispirazione del suo Spirito non sono gradite a Dio, poiché non scaturiscono dalla fede in Gesù Cristo; ne fanno si che gli uomini possano ricevere la grazia o - come dicono gli autori scolastici - meritino la grazia de congruo; al contrario, non essendo compiute come Dio ha voluto e ordinato che fossero compiute, non abbiamo alcun dubbio che sono, di loro natura, peccato.

XIV. LE OPERE SUPEREROGATORIE

Non si possono insegnare senza arroganza ed empietà le opere volontarie che vengono compiute al di la, al di fuori e al di sopra dei comandamenti di Dio e che essi chiamano opere super-erogatorie; infatti, attraverso di esse gli uomini affermano non solo di rendere a Dio tutto ciò che sono tenuti a fare, ma di fare per lui più di quello che sono tenuti a fare, mentre Cristo dice chiaramente: ”Quando avete fatto tutto ciò che vi e stato comandato, dite: Siamo servi inutili”.

XV. SOLO CRISTO È SENZA PECCATO

Riguardo alla verità della nostra natura, Cristo si e reso in tutto simile a noi eccetto il peccato, dal quale e stato chiaramente immune sia nella sua carne che nel suo spirito. Egli e venuto per essere l'agnello senza macchia, per togliere, mediante il sacrificio di se stesso fatto una volta per tutte, i peccati del mondo e in lui - come dice s. Giovanni - non vi fu peccato. Ma noi tutti, benché battezzati e rinati in Cristo, pecchiamo in molte cose e se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non a in noi.

XVI. II PECCATO DOPO IL BATTESIMO

Non ogni peccato mortale commesso deliberatamente dopo il battesimo e peccato contro lo Spirito Santo è imperdonabile. Non si deve quindi negare la concessione del perdono a coloro che cadono in peccato dopo il battesimo. Dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, possiamo allontanarci dalla grazia ricevuta e cadere nel peccato e con la grazia di Dio possiamo risollevarci ed emendare la nostra vita. Devono essere quindi condannati coloro che dicono di non poter più peccare per tutto il tempo della loro vita terrena o che negano il perdono a coloro che si pentono realmente.

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XVII. LA PREDESTINAZIONE E L'ELEZIONE

La predestinazione alla vita e lo scopo eterno di Dio, con cui (prima che fossero poste le fondamenta del mondo) egli ha fermamente decretato, nel suo segreto consiglio, di liberare dalla maledizione e dalla dannazione coloro che egli aveva scelto in Cristo di fra gli uomini e di condurli, attraverso Cristo, alla salvezza eterna come vasi onorevoli. Per cui, coloro che sono provvisti di un tale eccellente beneficio di Dio sono chiamati, secondo il disegno di Dio, dal suo Spirito che opera a tempo opportuno: mediante la grazia essi seguono la chiamata; sono liberamente giustificati; sono resi figli adottivi di Dio; sono fatti a immagine del suo Figlio unigenito Gesù Cristo; camminano religiosamente nelle opere buone e, alla fine, per la misericordia di Dio, raggiungono la felicità eterna.

Come la devota considerazione della predestinazione e della nostra elezione in Cristo e piena di dolce, piacevole e indicibile consolazione per le persone religiose e tale da far sentire loro l'azione dello Spirito di Cristo, che mortifica le opere della carne e le loro membra terrene ed eleva la loro mente verso le realtà superiori e celesti, consolidando al tempo stesso e confermando grandemente la loro fede nel godimento dell'eterna salvezza in Cristo e accendendo fervidamente il loro amore per Dio, cosi per le persone curiose e carnali, che mancano dello Spirito di Cristo, l'avere continuamente davanti agli occhi la realtà della predestinazione divina e una pericolosa rovina, con cui il diavolo le spinge o alla disperazione o alla sregolatezza di una vita scellerata, non meno pericolosa della disperazione. Inoltre, dobbiamo ricevere le promesse di Dio nel modo in cui esse sono generalmente proposte nella sacra Scrittura e, nel nostro agire, dobbiamo seguire quella volontà di Dio che ci viene espressamente indicata nella parola di Dio.

XVIII. II CONSEGUIMENTO DELLA SALVEZZA ETERNA SOLO NEL NOME DI CRISTO

Devono essere detestati anche quanti osano affermare che ogni uomo sarà salvato dalla legge o sètta che egli professa, per cui deve mettere ogni cura a ordinare la sua vita secondo quella legge e il lume naturale. La sacra Scrittura, infatti, ci presenta solo il nome di Gesù Cristo come nome attraverso il quale gli uomini devono essere salvati.

XIX. LA CHIESA

La chiesa visibile di Cristo è un'assemblea di fedeli, nella quale la pura parola di Dio è predicata e i sacramenti sono debitamente amministrati secondo l'ordinanza di Cristo, in tutte quelle cose che sono necessariamente richieste dagli stessi. Come le chiese di Gerusalemme, di Alessandria e di Antiochia hanno sbagliato cosi anche la chiesa di Roma ha sbagliato, non solo nel modo di vivere e nelle cerimonie ma anche in materia di fede.

XX. L'AUTORITÀ DELLA CHIESA

La chiesa ha il potere di decretare riti o cerimonie e ha autorità nelle controversie di fede; tuttavia, non e lecito alla chiesa comandare qualunque cosa che sia contraria alla Parola scritta di Dio, ne può spiegare un passo scritturale in modo che esso sia in contraddizione con un altro. Per cui, benché la chiesa sia testimone e custode della sacra Scrittura, ciò nondimeno, come non deve decretare nulla contro la stessa, così non deve prescrivere nulla, oltre la stessa, che debba essere creduto come necessario per la salvezza.

XXI. L'AUTORITÀ DEI CONCILI GENERALI

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I concili generali non possono essere riuniti senza l'ordine e la volontà dei principi. E quando sono riuniti (essendo un'assemblea di uomini che non sono tutti governati dallo spirito e dalla parola di Dio) possono sbagliare, e a volte hanno sbagliato, persino in cose che riguardano Dio. Di conseguenza, le cose da essi comandate come necessarie per la salvezza non hanno ne forza ne autorità, se non si può mostrare che sono state tratte dalla sacra Scrittura,

XXII. II PURGATORIO

La dottrina romana riguardante il purgatorio, i perdoni, il culto e 1'adorazione, come pure le immagini e le reliquie, e anche l'invocazione dei santi, è cosa stolta, inutilmente inventata, che non trova alcun fondamento e giustificazione nella Scrittura, ma che e piuttosto contraria alla parola di Dio.

XXIII. II MINISTERO NELLA COMUNITÀ CRISTIANA

Non e consentito a nessuno di assumere l'ufficio della predicazione pubblica o dell'amministrazione dei sacramenti nella comunità cristiana senza essere stato debitamente chiamato e inviato a compiere un tale ufficio. Dovremmo considerare legittimamente chiamati e inviati coloro che sono scelti e chiamati a questo ufficio da persone che hanno l'autorità pubblica, conferita loro nella comunità cristiana, di chiamare e inviare ministri nella vigna del Signore.

XXIV. PARLARE NELL'ASSEMBLEA CRISTIANA

Ripugna assolutamente alla parola di Dio e alla tradizione della chiesa primitiva il fatto di pregare in pubblico nella chiesa o di amministrare i sacramenti in una lingua che non e compresa dal popolo.

XXV. I SACRAMENTI

I sacramenti ordinati da Cristo non sono solo distintivi o i simboli della professione dei cristiani, ma sono piuttosto testimonianze certe e sicure e segni efficaci della grazia e della buona volontà di Dio nei nostri confronti, mediante i quali egli opera invisibilmente in noi e non solo ci stimola ma anche ci rafforza e conferma la nostra fede in lui.

Due sono i sacramenti ordinati da Cristo nostro Signore nel Vangelo: il battesimo e la cena del Signore.

Quei cinque che vengono comunemente chiamati sacramenti, cioè la confermazione, la penitenza, l'ordine, il matrimonio e l'estrema unzione non devono essere annoverati fra i sacramenti del Vangelo, poiché in parte sono derivati da una corrotta imitazione degli apostoli e in parte sono stati di vita permessi nelle Scritture. Essi non hanno tuttavia la stessa natura sacramentale del battesimo e della cena del Signore, non possedendo alcun segno o cerimonia visibile comandati da Dio.

I sacramenti non sono stati comandati da Cristo per essere guardati o per essere portati in giro, ma perché ne facessimo il debito uso. E solo se vengono degnamente ricevuti, essi hanno un benefico effetto o operazione; ma coloro che li ricevono indegnamente si procurano la loro condanna, come dice s. Paolo.

XXVI. L'INDEGNITÀ DEI MINISTRI NON IMPEDISCE L'EFFICACIA DEI SACRAMENTI

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Benché nella chiesa visibile i cattivi siano sempre mescolati con i buoni e benché a volte i cattivi abbiano grande autorità nell'amministrazione della Parola e dei sacramenti, ciò nondimeno, poiché essi non lo fanno nel loro proprio nome ma nel nome di Cristo, e amministrano con il suo mandato e la sua autorità, noi possiamo servirci del loro ministero, sia nell'ascolto della parola di Dio che nella ricezione dei sacramenti. Né l'efficacia dell'ordinanza di Cristo viene soppressa dalla loro malvagità, né la grazia dei doni di Dio viene da essa diminuita in coloro che con fede e giustamente ricevono i sacramenti loro amministrati. Essi sono efficaci a causa dell'istituzione e della promessa di Cristo, sebbene siano amministrati da uomini malvagi.

Tuttavia, la disciplina della chiesa richiede che si scoprano i cattivi ministri e che vengano accusati da quanti sono a conoscenza delle loro mancanze e, infine, nel caso in cui siano trovati colpevoli, che vengano deposti con giusto giudizio.

XXVII. II BATTESIMO

Il battesimo è non solo un segno di professione e un marchio di differenza, mediante il quale i cristiani si distinguono da coloro che non sono cristiani, ma e anche un segno di rigenerazione o di nuova nascita, mediante il quale, come attraverso uno strumento, vengono debitamente innestati nella chiesa coloro che ricevono il battesimo, vengono visibilmente sottoscritte e suggellate le promesse del perdono del peccato e della nostra adozione a figli di Dio nello Spirito Santo, viene confermata la fede e accresciuta la grazia attraverso la preghiera a Dio.

In ogni modo va conservato nella chiesa il battesimo dei bambini, poiché concorda pienamente con l'istituzione di Cristo.

XXVIII. LA CENA DEL SIGNORE

La cena del Signore e non solo un segno dell'amore che i cristiani dovrebbero avere scambievolmente fra di loro, ma anche e soprattutto il sacramento della nostra redenzione mediante la morte di Cristo. Quando riceviamo giustamente, degnamente e con fede questo sacramento, il pane che spezziamo e partecipazione al corpo di Cristo e allo stesso modo il calice della benedizione e partecipazione al sangue di Cristo.

La transustanziazione (o cambiamento della sostanza del pane e del vino) nella cena del Signore non può essere provata mediante la sacra Scrittura; essa e piuttosto contraria alle chiare parole della Scrittura, scardina la natura del sacramento e ha dato luogo a molte superstizioni.

Il corpo di Cristo e dato, preso e mangiato nella cena solo in un modo celeste e spirituale. E il mezzo attraverso il quale si riceve e mangia, nella cena, il corpo di Cristo e la fede.

Il sacramento della cena del Signore non e stato conservato, portato in giro, alzato o adorato, in base a un comandamento di Cristo.

XXIX. I MALVAGI NON MANGIANO IL CORPO DI CRISTO NELL'USO DELLA CENA DEL

SIGNORE

I malvagi e coloro che sono privi di una fede viva, benché mastichino carnalmente e visibilmente (come dice s. Agostino) il sacramento del corpo e del sangue di Cristo, non comunicano in alcun modo con Cristo; essi mangiano e bevono, invece, il segno o sacramento di una realtà cosi grande per la loro condanna.

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XXX. LE DUE SPECIE

Il calice del Signore non deve essere negato ai laici, per cui, per ordinanza e comandamento di Cristo, si devono amministrare a tutti i cristiani entrambe le parti del sacramento del Signore.

XXXI. L'UNICA OBLAZIONE DI CRISTO TERMINATA SULLA CROCE

L'offerta che Cristo ha fatto di se una volta per tutte e la perfetta redenzione, propiziazione e soddisfazione per tutti i peccati del mondo intero, sia originali che attuali, e non esiste alcun'altra soddisfazione per il peccato al di fuori di essa. I sacrifici delle messe, riguardo ai quali si diceva abitualmente che il sacerdote offriva Cristo per i vivi e per i morti, per ottenere la remissione della pena o della colpa, erano quindi favole blasfeme e pericolosi inganni.

XXXII. II MATRIMONIO DEI PRETI

A vescovi, preti e diaconi non è fatto obbligo dalla legge di Dio né di scegliere lo stato della vita solitaria né di astenersi dal matrimonio. È quindi perfettamente lecito per loro, come per tutti gli altri cristiani, di contrarre matrimonio a loro propria discrezione, se ritengono che esso possa servire meglio alla pietà.

XXXIII. COME DEBBANO ESSERE EVITATE LE PERSONE SCOMUNICATE

La persona che mediante una pubblica denuncia ecclesiastica è stata giustamente separata dall'unità della chiesa e scomunicata, deve essere considerata da tutta la moltitudine dei fedeli come pagana e pubblicana fin quando non si sia pubblicamente riconciliata attraverso la penitenza e non sia stata ricevuta nella chiesa da un giudice che ha autorità di farlo.

XXXIV. LE TRADIZIONI DELLA CHIESA

Non e affatto necessario che le tradizioni e le cerimonie siano le stesse in ogni luogo o siano del tutto simili; esse sono state, infatti, diverse in ogni tempo e possono essere cambiate a seconda della diversità dei paesi, delle epoche e dei costumi degli uomini, in modo che nulla venga ordinato contro la parola di Dio. Chiunque infrange pubblicamente, volontariamente e di proposito, mediante il suo giudizio privato, le tradizioni e le cerimonie della chiesa che non sono contrarie alla parola di Dio e che sono state ordinate e approvate dalla comune autorità deve essere pubblicamente rimproverato (perché altri non siano tentati di fare lo stesso) come chi manca contro l'ordinamento comune della chiesa, offende l'autorità del magistrato e ferisce la coscienza dei fratelli deboli.

Ogni chiesa particolare o nazionale ha autorità di prescrivere, cambiare e abolire cerimonie o riti della chiesa ordinati dalla sola autorità umana, in modo che ogni cosa sia fatta per la comune edificazione.

XXXV. LE OMELIE

Il secondo libro delle omelie, i cui titoli abbiamo ripreso in questo articolo, contiene una dottrina pia, salutare e necessaria per il nostro tempo, cosi come faceva il precedente libro delle omelie pubblicato al tempo di Edoardo VI. Riteniamo quindi che debbano essere diligentemente e distintamente lette nelle chiese dai ministri, in modo da poter essere comprese dal popolo.

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Nomi delle omelie

1. Sul corretto uso della chiesa

2. Contro il pericolo dell'idolatria

3. Sulla riparazione e sulla pulizia delle chiese

4. Sulle opere buone: anzitutto del digiuno

5. Contro la ghiottoneria e l'ubriachezza

6. Contro l'eccesso di paramenti e addobbi

7. Sulla preghiera

8. Sul luogo e sul tempo della preghiera

9. Sulla celebrazione delle preghiere pubbliche e dei sacramenti in una lingua conosciuta

10. Sulla riverente stima della parola di Dio

11. Sulle elemosine

12. Sulla natività di Cristo

13. Sulla passione di Cristo

14. Sulla risurrezione di Cristo

15. Sulla degna ricezione del sacramento del corpo e del sangue di Cristo

16. Sui doni dello Spirito Santo

17. Per i giorni delle rogazioni

18. Sullo stato del matrimonio

19. Sulla penitenza

20. Contro la pigrizia

21. Contro la ribellione

XXXVI. LA CONSACRAZIONE DEI VESCOVI E DEI MINISTRI

Il libro della consacrazione dei vescovi e dell'ordinazione dei preti e dei diaconi, quale è stato promulgato dal sinodo generale di questa chiesa nel 1792 contiene tutto ciò che e necessario per tali consacrazioni e ordinazioni. Esso non contiene alcuna cosa che sia per sé superstiziosa o empia. Decretiamo quindi essere giustamente, debitamente e legittimamente consacrato e ordinato chiunque e consacrato o ordinato secondo la detta forma.

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XXXVII. L'AUTORITÀ DEI MAGISTRATI CIVILI

L'autorità del magistrato civile si estende a tutti gli uomini, sia al clero che ai laici, in tutte le cose temporali, ma egli non ha alcuna autorità nelle cose puramente spirituali. E riteniamo sia dovere di tutti gli uomini che professano il Vangelo rendere una rispettosa obbedienza all'autorità civile, regolarmente e legittimamente costituita.

XXXVIII. LA NON COMUNIONE DEI BENI DEI CRISTIANI

Le ricchezze e i beni dei cristiani non sono comuni per quanto riguarda il diritto, il titolo e il possesso degli stessi, come pretendono falsamente certi anabattisti. Ciò nondimeno ogni uomo, secondo le sue possibilità, deve fare generose elemosine ai poveri, prendendo da ciò che possiede.

XXXIX. II GIURAMENTO DEL CRISTIANO

Come confessiamo che il giurare vano e precipitoso a vietato ai cristiani da nostro Signore Gesù Cristo e da Giacomo suo apostolo, così riteniamo che la religione cristiana non proibisce [il giuramento], ma che un uomo può giurare quando il magistrato lo richiede, in una causa di fede e di carità. Ma, secondo l'insegnamento del profeta, lo si faccia con giustizia, discernimento e verità.

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