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1 Università degli Studi di Siena Concorso per l’ammissione alla Scuola di Dottorato e Ricerca Riccardo Francovich: Storia e Archeologia del Medioevo, Istituzioni e Archivi. Sezione di Archeologia Medievale Titolo del progetto: Edilizia civile e religiosa: Modi di progettare e costruire nel territorio a sud di Grosseto nei secoli centrali del Medioevo. Candidata Irene Corti ANNO ACCADEMICO 2008/2009

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Università degli Studi di Siena

Concorso per l’ammissione alla Scuola di Dottorato e Ricerca

Riccardo Francovich: Storia e Archeologia del Medioevo, Istituzioni e Archivi.

Sezione di Archeologia Medievale

Titolo del progetto:

Edilizia civile e religiosa: Modi di progettare e costruire nel

territorio a sud di Grosseto nei secoli centrali del Medioevo.

Candidata

Irene Corti

ANNO ACCADEMICO 2008/2009

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Ambito disciplinare

Il progetto di ricerca che qui presentiamo si inserisce da un punto di vista metodologico all’interno

dell’Archeologia dell’Architettura, disciplina relativamente giovane ed ormai pienamente affermata

nello studio di un manufatto architettonico.

Alla fine degli anni Settanta gruppi diversi di ricercatori di Genova, Venezia e Siena, coordinati

rispettivamente da Tiziano Mannoni, Gian Pietro Brogiolo, Roberto Parenti e Riccardo Francovich,

sperimentarono quasi contemporaneamente ma in modo autonomo, alcuni strumenti concettuali per

trascrivere gli effetti del trascorrere del tempo sulle murature1.

La disciplina, sviluppatasi all'interno di cantieri di scavo, inizia a sfruttare la metodologia

dell’indagine archeologica del sottosuolo, l’analisi stratigrafica, partendo dal presupposto che anche

una muratura è il risultato di una serie di azioni costruttive e distruttive chiamate USM (Unità

Stratigrafiche Murarie), le quali come un qualsiasi strato orizzontale, sono legate alle altre USM

presenti nel paramento, attraverso un rapporto fisico diretto e una relazione temporale di anteriorità,

posteriorità e contemporaneità.

Tappe fondamentali nel percorso di sviluppo della disciplina furono in particolare i contributi di

Tiziano Mannoni che posero l’accento su nuovi aspetti, quali i materiali impiegati nelle architetture,

le tecniche costruttive e la possibilità di ricostruire i cicli produttivi connessi all’edificio e al

materiale stesso, risultando elementi funzionali all’interpretazione delle fasi costruttive del

manufatto architettonico e essenziali in un’analisi a caratteri globali di un complesso monumentale2.

Con il tempo l'analisi dell'edilizia storica superò i confini dei cantieri di scavo e trovò fertile campo

di sperimentazione sui grandi complessi monumentali, con risultati sorprendenti grazie alla

possibilità di incrociare le diverse tipologie di fonti dirette (analisi stratigrafica dell’elevato,

tecniche costruttive, materiali utilizzati) con quelle indirette (documenti, iconografia).

L'ampliamento del campo d'indagine portò inevitabilmente ad interessarsi non più solo agli aspetti

formali e tecnologici ma si spinse verso lo studio del contesto economico, politico e sociale in cui

un manufatto edilizio era stato prodotto, mettendo a nudo le potenzialità informative racchiuse in un

edificio.

Grazie poi allo sviluppo di rapporti interdisciplinari con ambiti di studio quali le scienze sociali e

l’antropologia si andò consolidando l’assunto che il mutare delle architetture e delle forme

dell’insediamento, corrispondevano ad una precisa mentalità, ad un insieme di pratiche sociali,

1 Per i principali fondamenti dell’archeologia dell’architettura si vedano i lavori pionieristici di MANNONI 1976 e

1984, i contributi contenuti nel volume FRANCOVICH-PARENTI 1988, e BROGIOLO 1988. A questo si aggiunge la

rivista “Archeologia dell’Architettura”, dal 1996, che mostra l’evoluzione della disciplina in questi ultimi anni. 2 MANNONI 1984, e 1988.

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politiche e economiche complesse, che si riflettevano nell’ambiente tecnico in cui una realtà

insediativa veniva realizzata3.

Alla luce di ciò l’elaborazione di una stratigrafia degli elevati non poteva più prescindere da

un’analisi globale del contesto storico di produzione, permettendo di realizzare quella che viene

definita come “archeologia del contesto”4, che considera il singolo edificio o un intero centro come

deposito di una pluralità di informazioni non solo su se stesso, ma anche sulla società, l’economia e

le forme di potere relative al contesto in cui il manufatto si trova.

Basandosi su tali presupposti negli ultimi anni si sono sviluppate oltre alle pioneristiche esperienze

liguri5, le esperienze in area lombarda sia in ambito urbano e rurale riferibili all’edilizia civile e

religiosa6, e quelle in area laziale7. Va poi ricordato il contributo dato dal Dipartimento di

Archeologia e Storia delle arti dell’Università di Siena legato all’insegnamento di Archeologia

Medievale che ha contribuito alla ricerca, incentrando l’attenzione sullo studio non solo di singoli

complessi monumentali ma su interi centri storici8.

Tuttavia ancora oggi sono poche le ricerche che si avvalgono degli strumenti di indagine propri di

questa disciplina, soprattutto nel territorio oggetto del presente lavoro ovvero, la Maremma

meridionale; ristringendo poi il campo alla propaggine sud della provincia di Grosseto possiamo

renderci conto che, tranne rari casi, non è stato attivato nessun tipo di ricerca archeologica che abbia

interessato né analisi di singole parti di complessi monumentali, o di centri storici, né tanto meno

analisi globali comprensive di indagini sul sito e sul territorio circostante.

Descrizione del progetto di ricerca

E’ proprio verso una maggior comprensione delle dinamiche storiche che caratterizzano un

territorio mediante le tracce lasciate nelle forme del costruito che intende muoversi il presente

progetto di ricerca; l’obiettivo primario sarà l’indagine di un ambito territoriale, l’area a sud di

Grosseto, partendo da un censimento e uno studio esaustivo delle forme architettoniche sia di

singoli monumenti civili e religiosi, sia di interi centri storici, basandosi sulle evidenze materiali

3 BIANCHI 2003 e bibliografia relativa 4 FRANCOVICH-BIANCHI 2003, p. 103 5 I lavori di Tiziano Mannoni e dei suoi collaboratori sono raccolti nei volumi MANNONI 1994; si veda inoltre, in

relazione ad un’archeologia ‘globale’ del costruito, la sintesi bibliografica contenuta in CAGNANA FERRANDO,

1997; CAGNANA 1994. 6 Ricordiamo in particolare BROGIOLO 1984, 1993 e 1998. 7 DE MINICIS 1997 8 Si veda il contributo contenuto in PARENTI 1992 di una lettura integrale della città di Siena, o BIANCHI 2003.

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conservate, per poi dirigersi verso tematismi più vasti che riguardino il contesto economico sociale

e politico in cui queste realtà insediative si sono sviluppate.

Gli elementi principali che ci hanno spinto a scegliere quest’area geografica sono stati in primo

luogo la straordinaria ricchezza di contesti insediativi presenti nel territorio, rappresentati sia da

complessi monastici più o meno conservati, sia da siti fortificati a continuità di vita e abbandonati,

inquadrabili in un arco cronologico che va dal XII al XIV secolo. In secondo luogo l’interesse è

nato dalla consapevolezza di indagare un ambito territoriale piuttosto ampio, che spazia dalla zona

a sud del fiume Ombrone lambendo un tratto della costa tirrenica per giungere fino al fiume Fiora al

confine con la provincia di Viterbo, in cui, tranne in rari casi, non sono state attivate sistematiche

ricerche storico-archeologiche; l’area infatti è stata interessata principalmente da ricognizioni di

superficie nella Bassa e Alta Valle dell’Albegna9, da sporadici scavi (non sempre stratigrafici)10, e

da poche indagini per quanto riguarda le fonti storiche, tra le quali va sicuramente ricordato il

lavoro di sintesi sulla contea aldobrandesca, dal IX al XIII secolo, di Simone Collavini11 e il recente

lavoro di Roberto Farinelli sul fenomeno castrense in rapporto al ruolo svolto - o non svolto - dalle

cosiddette “città deboli in Toscana.”12

Un altro dei motivi che si trova alla base del presente progetto di ricerca riguarda l’importanza che

può avere lo studio del fenomeno dell’incastellamento e del monachesimo nei loro riflessi

architettonici, in un territorio ancora poco indagato da questo punto di vista; i due fenomeni, ritenuti

essenziali per comprendere gli assetti insediativi dell’alto e pieno medioevo in Toscana, verranno

indagati al fine di comprendere le possibili connessioni con il contesto storico e politico dei secoli

in cui i due fenomeni si andavano consolidando, e i possibili punti di contatto tra i due modelli

insediativi.

Un ultimo ma non meno importante elemento che ha condizionato la scelta di questo territorio e ha

motivato a impostare una ricerca di questo tipo, sia da un punto di vista metodologico (l’utilizzo

degli strumenti propri dell’Archeologia dell’Architettura), sia da un punto di vista contenutistico,

(rapporto tra edilizia e potere nei secoli centrali del medioevo), è il fatto che essa potrebbe

contribuire ad arricchire un quadro storico che si sta delineando grazie ai risultati di due importanti

ricerche, che interessano ambiti territoriali specifici della Maremma meridionale nei secoli centrali

del Medioevo, il monte Amiata e la porzione nord- ovest della provincia grossetana.

9 CARANDINI, CAMBI 2002,. 10 Si ricorda per gli scavi a Sovana ARIAS, PANCRAZI 1971 e MICHELUCCI 1995, mentre per gli scavi ad

Ansedonia-Cosa CELUZZA M. G. FENTRESS E. 1994. 11COLLAVINI 1998. 12 FARINELLI 2007

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La prima ricerca, già conclusa, relativa al progetto di dottorato di Michele Nucciotti dell’Università

dell’Aquila13, ha documentato attraverso le metodologie dell’Archeologia dell’Architettura

l’interazione tra le scelte politiche della classe dirigente amiatina del medioevo e la strutturazione

dei sistemi produttivi legati all’edilizia monumentale, dal X secolo alle soglie del Trecento.

L’analisi si è concentrata sull’edilizia monumentale, in quanto miglior espressione materiale dello

status sociale dei detentori del potere nel periodo considerato.

La seconda ricerca, legata al progetto di dottorato di Giuseppe Fichera14, riguarda l’indagine di

alcuni significativi insediamenti fortificati del Comitatus Aldobrandesco ed è finalizzata

all’individuazione delle specificità che caratterizzano la progettazione edilizia e l’ambiente tecnico

dei castelli legati a questa importante casata tra l’XI e XIII secolo.

Il presente progetto potrebbe quindi costituire un tassello in più da aggiungere al panorama storico

dei secoli centrali del medioevo nella Toscana meridionale, capace di chiarire le dinamiche

politiche, economiche e sociali direttamente rispecchiate nelle forme del costruito in un’area ancora

vergine da questo punto di vista, e conseguentemente di evidenziare possibili similitudini e diversità

con le altre aree già indagate.

Senza dubbio una diversità individuabile prima ancora di iniziare il lavoro è rappresentata dal fatto

che il territorio a sud di Grosseto è caratterizzato da una serie meno organica di indagini di tipo

archeologico, e non offre in tal senso un quadro storico ben definito e chiaro, soprattutto per quanto

riguarda le forze politiche che gravitarono in questo territorio.

La ricerca inizierà quindi senza una ricostruzione storica fondata sul confronto tra dati materiali e

storico-documentari, come invece per l’area amiatina e per la porzione a nord-ovest di Grosseto, da

decenni interessate da cantieri di scavo, ricognizioni di superficie e analisi documentarie15.

13 NUCCIOTTI 2005 Le Pietre del potere. Per una storia ‘archeologica’dei quadri politico – istituzionali dell’Amiata

occidentale nel medioevo, Tesi di dottorato In Archeologia medievale: strutture della società, insediamenti e

organizzazione del territorio, attività produttive XV ciclo. Università dell’Aquila. 14 Il progetto di dottorato in Archeologia Medievale, iniziato nell’autunno 2005 all’interno della Scuola di Dottorato

e Ricerca Riccardo Francovich: Storia e Archeologia del Medioevo, Istituzioni e Archivi, dell’Università degli

Studi di Siena, si intitola Archeologia dell’Architettura degli insediamenti fortificati della provincia di Grosseto.

Progettazione edilizia e ambiente tecnico nel comitatus degli Aldobrandeschi. 15 Per quanto riguarda le indagini documentarie si ricorda ancora COLLAVINI 1998 per entrambe le aree, per l’area

nord di Grosseto relativa alle diocesi Massa Roselle e Populonia FARINELLI 2007 per l’area amiatina REDON 1982,

KURZE, PREZZOLINI 1988, ASCHERI, KURZE 1989 . Per le indagini archeologiche si rimanda ai risultati di scavo

nella Rocca di Scarlino editi in FRANCOVICH 1985 e GUIDERI 2002, nel castello di Montemassi in GUIDERI,

PARENTI 2000, a Castel di Pietra i cui dati relativi alle prime campagne sono editi in FRANCOVICH et alii, 1999 e

CITTER 2002 ,e a Rocchette Pannochieschi editi in relazione alle prime campagne di scavo in BIANCHI, BOLDRINI,

DE LUCA 1994; BOLDRINI, DE LUCA 1997; ALBERTI et alii 1997; BELLI, DE LUCA, GRASSI 2003. Vanno poi

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Gli studi condotti nell’area amiatina mostrano infatti che questo territorio occupa, almeno dal X al

XIV secolo, un posto assolutamente di rilievo nelle politiche di controllo della Toscana meridionale

dall’epoca carolingia fino al tardo medioevo; dalla fondazione dell’abbazia di San Salvatore

nell’VIII secolo, attraverso l’epoca della dominazione aldobrandesca nei secoli XI - XIV e fino

all’inclusione dell’Amiata nel contado senese a partire dal Trecento16.

Anche lo scenario storico delineato in relazione ai secoli centrali del Medioevo nell’area a nord di

Grosseto, sembra caratterizzato dalla presenza di importanti famiglie aristocratiche come i Della

Gherardesca o gli Aldobrandeschi, consorterie familiari fortemente radicate nel territorio fin

dall’alto Medioevo, vista l’assenza in tutto il territorio maremmano di grandi centri urbani17.

Per la nostra zona è possibile pensare alla presenza della stessa famiglia comitale degli

Aldobrandeschi, dal momento che le fonti storiche attestano, sin dai secoli altomedievali, ampi

possedimenti di loro pertinenza in quest’area. La loro presenza sarebbe confermata dal fatto che il

territorio a sud dell’Ombrone entra ufficialmente nel XIII secolo a far parte del Comitatus

Aldobrandesco, una grande e complessa struttura istituzionale, nata in seguito al consolidamento

territoriale raggiunto dalla famiglia aristocratica, la quale esercitava ormai diritti signorili sui suoi

possedimenti.

Ad oggi però non è chiaro quale ruolo ebbe, se lo ebbe, questa famiglia nella nascita e sviluppo dei

complessi monastici e dei siti incastellati presenti nel territorio, e quali altri enti laici o religiosi

possono essere stati i promotori del fenomeno dell’incastellamento e del monachesimo;

conseguentemente non è chiaro se gli esponenti di questa famiglia furono i principali committenti

nella progettazione e costruzione delle forme architettoniche e nell’attrarre maestranze sul territorio,

o se altre forme di potere interferirono nelle scelte edilizie, in particolar modo per i secoli prescelti

in questo progetto.

Se le ricostruzioni storiche sembrano quindi delineare un quadro apparentemente poco chiaro e

disomogeneo relativo alle forze politiche che orbitarono nel territorio , il presente progetto si pone

come obiettivo primario di verificare il risvolto materiale degli eventi storici sul costruito

sopravvissuto, ossia la ricostruzione di una serie di ipotesi relative ai principali committenti di tali

opere, una sorta di fondale scenografico basato sulle evidenze materiali che faccia da sfondo ad un ricordati i risultati di scavo, ancora in corso d’opera, a Cugnano editi, in relazione alle prime campagne di scavo, in

BELLI, GRASSI, FRANCOVICH, QUIRÒS CASTILLO 2004, nel castello di Selvena in FRANCOVICH, BIANCHI,

CITTER, FARINELLI 1997 e CITTER 2002 e nell’Abbazia di S. Salvatore in CAMBI, DALLAI 2000.

Relativo alle ricognizioni di superficie si ricorda il volume della carta archeologica dedicato prevalentemente

all’Amiata orientale CAMBI 1996. 16 NUCCIOTTI 2006 17 FARINELLI 2007 e COLLAVINI 1998

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quadro storico politico che, sulla base di una prima ricognizione delle evidenze architettoniche,

sembra riservare una gran quantità di informazioni nuove.

Nello specifico si cercherà di individuare i possibili modi di costruire e di progettare nell’edilizia

civile e religiosa tra i secoli XII e XIII, e, dove possibile, identificare gruppi di maestranze che

operarono nel territorio, per ricostruire le relazioni che intercorrono tra le scelte edilizie adottate

(tipo di materiale, tipologiche costruttive, organizzazione e distribuzione degli spazi) e i poteri

politici che tali scelte effettuarono.

La decisione di utilizzare un vasto campionario che includa le evidenze materiali riferibili sia

all’edilizia civile che religiosa è dettata quindi dalla volontà di giungere ad una visione quanto più

completa possibile, dei modi di costruire e progettare in un preciso ambito geografico e

cronologico.

L’analisi riguarderà due monasteri, Santa Maria Alborense oggi San Rabano, e San Angelo

Rovinato e la canonica di San Bruzio per quanto riguarda l’edilizia religiosa, mentre per l’edilizia

civile saranno indagati cinque centri storici Pitigliano, Sovana, Magliano, Pereta, Montemerano e

tre siti fortificati rurali, Vitozza, Montevitozzo e Capalbiaccio.

Lo studio di insediamenti castrensi e monastici pone di fatto il lavoro di fronte a complesse

tematiche storiche relative al fenomeno del monachesimo e dell’ incastellamento in Toscana e alle

possibili connessioni che esistono tra loro.

I due fenomeni, ritenuti essenziali per comprendere gli assetti insediativi dell’alto e pieno medioevo

in Toscana, hanno goduto di una diseguale attenzione archeologica; infatti mentre l’incastellamento

costituisce da circa trenta anni uno dei temi più frequentemente percorsi dall’Archeologia

Medievale in Italia e per quanto riguarda la Toscana dall'Insegnamento di Archeologia Medievale

dell’Università di Siena,18meno attenzione hanno ricevuto i monasteri almeno fino ad epoche

recenti. Tranne rari casi di progetti di ricerca ben strutturati condotti nella nostra penisola, con il

tentativo di seguire un’analisi globale del complesso monastico, come i progetti di ricerca sul

monastero di S.Vincenzo al Volturno19, S.Salvatore di Brescia20, San Silvestro di Nonantola21, e per

18Il sorprendente interesse verso il fenomeno dell’incastellamento nella regione Toscana ha portato l’Insegnamento di

Archeologia di Siena ad avviare nel 1995 un ambizioso progetto di redazione di un Atlante dei siti fortificati Toscani

nato dalla convenzione tra l’Università degli Studi di Siena e la Bassilichi Sviluppo s.p.a., nell’ambito del “Sistema

Informativo Regionale dei Beni Culturali” ex L. 160/88. Il lavoro prevede una catalogazione di tutti i siti fortificati della

Toscana mediante fonti storiche, studi di topografia storica, ricognizioni archeologiche, scavi, nonché interpretazioni di

foto aeree. FRANCOVICH et alii 1997, pp. 97-101; FRANCOVICH, GINATEMPO 2000. 19 HODGES 1993; MARAZZI-GOBBI 2007. 20 BROGIOLO 1991

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la Toscana, San Michele alla Verruca, S. Quirico di Populonia22, e il recente progetto di scavo nel

monastero altomedievale di Monteverdi Marittimo23, i complessi monastici rimangono realtà

insediative poco indagate nel panorama regionale e in particolar modo nella zona oggetto di

indagine .

Alla luce di ciò la nostra indagine potrà acquisire maggior valore dal momento che cercherà di

rispondere a importanti domande storiografiche; da un lato si proseguirà a far luce sul processo di

incastellamento, in un territorio poco interessato da questo tipo di studio, cercando di evidenziare

possibili diversità o similitudini con zone già indagate. Partendo dell’idea ormai pienamente

appurata secondo cui il castello è un luogo privilegiato dove indagare il definirsi delle forme di

potere, l’evolversi dello sviluppo economico, e dei cambiamenti sociali di un territorio,24 si cercherà

di capire come queste realtà insediative abbiano influito nella geografia storico-insediativa di questo

comprensorio, e il loro ruolo come strumenti per il consolidamento di poteri locali.

Dall’altro si andranno ad indagare i complessi monastici, con l’intento di dimostrare come anche

questi modelli insediativi, sebbene diversi dai siti fortificati per quanto riguarda le componenti

sociali e le tipologie insediative, siano stati ugualmente importanti nelle dinamiche che hanno

portato alla formazione delle signorie territoriali. I monasteri di terza generazione (secondo la

distinzione operata da Kurze25), sembrano porsi in una forma di complementarietà con la

realizzazione dei castelli, affiancandosi o sostituendosi nella costruzione degli assetti territoriali

legati alla nuove aristocrazie locali26; essi oltre a ricoprire un importante ruolo simbolico e sociale,

essendo manifestazioni visibili della potenza raggiunta da una forza politica, sono centri di

conduzione agraria di una zona, inquadrando larghi strati di società locali27.

Ultimo obiettivo sarà quello di verificare i possibili punti di contatto tra i due modelli insediativi,

non solo sul piano cronologico ma soprattutto sul ruolo che hanno svolto nella formazione e

sviluppo dei poteri territoriali nella zona a sud di Grosseto. 21 Si vedano i lavori GELICHI -ALBERTI 2005 per San Michele alla Verruca, GELICHI-LIBRENTI 2004 per

Nonantola, HODGES 1997 per San Vincenzo al Volturno, per San Salvatore di Brescia BROGIOLO 1991. 22 In attesa di una pubblicazione definitiva delle campagne di scavo si veda l’articolo di FRANCOVICH-GELICHI 2004. 23 Per il monastero di Monteverdi Marittimo si veda BELCARI, BIANCHI, FARINELLI 2003 e FRANCOVICH,

BIANCHI 2006. 24 FRANCOVICH, GELICHI 2003, pp.7-8 25 Secondo lo storico Wilhelm Kurze il fenomeno monastico benedettino poteva essere diviso, sul piano temporale in

diverse fasi: una prima stagione contraddistinta dai grandi monasteri regi di epoca longobarda, seguita da una fase di

relativa stasi, tra VIII e IX secolo, durante la quale le fondazioni o ( rifondazioni) si sarebbero ridotte, per poi

riprendere, a partire da X secolo, con una certa vitalità. A tal proposito si veda KURZE 1973 rist. in 1989, pp. 295-317. 26 FRANCOVICH GELICHI 2003, pp.7-8 27 SERGI 1996

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Schede dei siti oggetto d’indagine

Santa Maria Alborense

Collocato fra i colli di Poggio Lecci e di Poggio Uccellina lungo il confine meridionale tra la

diocesi di Roselle e quella di Sovana, in un territorio che fin dal IX secolo faceva parte del

patrimonio aldobrandesco, il monastero benedettino di Santa Maria dell’Alberese oggi chiamato

San Rabano sembra legato alla famiglia comitale la quale, pur mancando una carta di fondazione,

pare esserne stata la fondatrice28.

Le prime notizie relative all'impianto monastico risalgono al 1101 e la fondazione va quindi

posizionata nell'XI secolo, probabilmente attorno alla metà del secolo.

Il monastero è stato oggetto di un progetto di restauro successivamente realizzato, e in

contemporanea di un’ indagine archeologica del sottosuolo e degli elevati realizzata dalla

Soprintendenza ai Beni Architettonici ed Ambientali per le province di Siena e Grosseto e dalla

Soprintendenza Archeologica della Toscana.29 Da alcuni saggi di scavo e dall'analisi delle strutture

murarie è stata individuata l'esistenza di una fase anteriore all'XI secolo, una torre circolare, a cui

sarà successivamente addossata la chiesa. La torre è stato interpretata in passato come torre

bizantina facente parte del sistema difensivo costiero della Toscana meridionale, dal momento che

si trova a metà strada tra Talamone e Poggio Cavolo, con possibilità di controllare la via Aurelia30.

Nel XII secolo il cenobio sembra ancora fortemente legato alla famiglia Aldobrandesca dal

momento che questi continuavano ad esercitare la propria tutela sull’edificio.

Nel corso del XIII secolo in seguito alla decadenza morale ed economica che investì i monasteri

benedettini, anche S.Rabano entrò in crisi, e secondo la consuetudine dei papi del tempo, divenne

una commenda sotto papa Gregorio VIII31.

Nel 1307 la Commenda passò sotto i Gerosolimitani di Pisa fino a che nel 1321, in seguito alle lotte

tra Grosseto e Siena, l’abbazia fu occupata dalla famiglia degli Abati diventando un luogo

fortificato. Grazie all’intervento di Siena il convento venne liberato e riconsegnato ai

Gerosolimitani, anche se restò sottomesso a Siena

Del monumento si conserva oggi la chiesa a pianta a croce latina patibulata conclusa con tre absidi

semicircolari che si erige lungo il lato nord occidentale del complesso con un orientamento

canonico est- ovest. L’unica e stretta navata sfocia in un transetto, i cui bracci sono coperti da volte

28 MAIOLI URBINI 1984, p. 77. 29 Si veda la tesi di laurea di MERELLI-SAGINA 1988/1989. 30 CITTER 1996, FARINELLI, FRANCOVICH 2000 p. 166. 31 MARRUCCHI 1998, p. 77.

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a botte; all’innesco tra il transetto e la navata s’innalza una cupola che si raccorda alla pianta

quadrata del vano sottostante, attraverso l’ausilio di quattro pennacchi angolari . Esternamente la

cupola è rivestita da un tiburio ottagonale.

L’entrata principale all’edificio religioso si trova in facciata, preceduta da un atrio da cui si accede

da ovest mentre nell’angolo nord-ovest si colloca la torre campanaria ben conservata Lungo i

perimetrali laterali della chiesa si affiancano vani di servizio le cui pareti esterne si pongono a filo

dei bracci del transetto stesso così da conferire alla pianta dell’edificio una forma rettangolare.

I vani addossati lungo il perimetrale sud delimitano il lato nord-ovest del chiostro. I restanti lati del

chiostro erano probabilmente delimitati dalle facciate degli edifici di cui oggi si conservano parte

dei perimetrali, i quali determinavano anche il limite del recinto dell’intero complesso di dimensioni

pari a 32 x 34 m.

Nell’angolo sud ovest e nord est si collocano due torri fortificate la prima di forma rettangolare

l’altra di forma circolare.

La canonica di San Bruzio

Ubicata nella campagna a sud-est di Magliano in Toscana, lungo la strada che conduce a

Sant'Andrea, la canonica di San Bruzio conserva solo parte dell’originaria chiesa.

Malgrado il carattere monumentale delle strutture conservate, ad oggi la chiesa non è stata

interessata da indagini di carattere storico-archeologico; solo recentemente è diventata oggetto di

una Tesi di Laurea Triennale discussa presso l’Università degli Studi di Siena, relativa ad una

catalogazione delle chiese toscane con cupole tra XI e XIII secolo32.

La canonica è attestata per la prima volta nel 1216 in una bolla papale di Onorio III dove figura tra i

possedimenti del monastero di Sant’Antimo.

Negli elenchi delle Rationes decimarum della diocesi di Sovana degli anni 1276-77 e

successivamente del 1321-1324 la chiesa risulta collegata a Magliano, così come confermerebbe

uno statuto della stessa Magliano in cui si assegna un dazio da pagare ogni anno per la riparazione

del tetto della chiesa da corrispondere con un cero votivo nella ricorrenza della festa del Santo33.

Le ultime notizie relative alla chiesa risalgono al XVIII secolo quando diventa parte della tenuta di

Alberese34.

32 Si tratta di una Tesi Triennale in Conservazione, Comunicazione e Gestione dei Beni Archeologici dell’Università

degli Studi di Siena discussa dalla studentessa Mayuri N., relatore Gabrielli F., dal titolo San Bruzio e le chiese con

cupola della Toscana nei secoli XI-XIII Anno accademico 2005-2006. 33 CITTER 1996, p. 33 e SANTI 1995 p. 239. 34 Ibidem

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Della chiesa a pianta a croce latina con abside semicircolare sporgente si conserva solo la parte

terminale del transetto, il tiburio e l’abside.

Particolarmente interessante risulta il tamburo che sorge sopra il presbiterio all’incrocio degli archi

del transetto con quelli della navata, di forma ottagonale sul quale si imposta una cupola.

All’esterno la cupola risulta rivestita con un tiburio anch’esso di forma ottagonale.

L’abside semicircolare sormontata da semicupole è decorata da motivi ad arcatelle cieche e lesene,

mentre all’interno in corrispondenza degli archi presbiteriali si conservano quattro colonne con

capitelli ornati con fogliame e teste di animali e figure umane, simili a quelli individuati

nell’Abbazia di San Rabano. Quindi mentre impianto può richiamare modelli lombardi le

decorazioni sembrano presentare un inconfondibile gusto francese assai inconsueto nell’entroterra

maremmano35.

Sant’Angelo Rovinato

Il monastero di Sant'Angelo Rovinato è situato in località Sant'Angelo nel comune di Orbetello su

di un’altura non molto distante dalla costa e dal fiume Albegna.

Il monastero abbandonato e in parte occultato dalla vegetazione è di piccole dimensioni e presenta

un impianto tipicamente benedettino con chiostro e cisterna al centro, chiesa sulla sinistra e

ambienti lungo i restanti lati del chiostro. Sulla destra della chiesa si individuano altri ambienti forse

pertinenti alla sacrestia.

È possibile legare la fondazione di questo monastero all’Abbazia delle Tre Fontane di Roma, ente

religioso che dalle fonti storiche sappiamo possedere ampi territori in questa zona relativa all’antico

ager cosanus, comprenso tra l’Albegna, l’Elsa e il mare.36

Sovana

Localizzata su uno degli speroni tufacei della valle del Fiora, nella zona così detta del tufo, a pochi

chilometri a nord-ovest di Pitigliano e a sud-ovest di Sorano, costituisce in quest’area uno dei centri

storici maggiormente conservati e più ricchi di evidenze materiali relative alle fasi di vita medievali,

e al momento l’unico interessato da indagini archeologiche37.

Centro etrusco-romano di notevole prestigio, conobbe un periodo di relativa crisi in epoca tardo-

antica di cui rimangono poche tracce materiali. I documenti d’archivio testimoniano invece una

35 SANTI 1995 p. 239.

36 CARANDINI, CAMBI, 2002, pp. 261-262 37 ARIAS, PANCRAZI 1971, MICHELUCCI 1995, CITTER 1995.

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vivacità in età longobarda dal momento che divenne centro di un distretto civile, almeno all’inizio

dell’ VIII secolo, confermata anche da ritrovamenti di tombe di VII –VIII secolo.

La nascita della diocesi di Sovana sembra collocarsi nella seconda metà del VII secolo dal momento

che la presenza di un vescovo è attestato per la prima volta nel 680 d.c.; della primitiva chiesa resta

forse un ciborio a edicola di VIII secolo conservato all’interno dell’attuale chiesa di santa Maria38.

Nel IX secolo è possibile ipotizzare che il distretto civile ed ecclesiastico facente capo a Sovana

fosse uno dei tre comitati della Toscana meridionale, sorti per volere dell’imperatore Ludovico II

alla metà del IX secolo, alla guida dei quali era stato posto un esponente della famiglia

Aldobrandesca, Ildebrando II, al fine di creare una grande circoscrizione pubblica in Maremma

controllabile dall’impero, vista la vicinanza con il Patrimonio di San Pietro39. Di questo periodo non

è visibile, allo stato attuale delle ricerche, nessuna evidenza materiale né tantomeno nelle fonti

storiche è ben documentata una presenza aldobrandesca.

Nella seconda metà del XII secolo Sovana entra a far parte del Comitatus o Districtus

Aldobrandesco una grande e complessa struttura istituzionale, nata in seguito al crollo dell’impero e

al conseguente potere raggiunto dalla famiglia aristocratica che deteneva immensi possedimenti su

cui esercitava ormai diritti signorili40.

L’appartenenza al Comitatus non impediva alla città di avere contatti con nuove realtà cittadine che

si andavano affermando, tanto che nel 1213 Ildebrandino IX concesse al console di Sovana il

permesso di contrarre patti con il Comune di Orvieto41.

Nel 1240 fu presa d’assedio da Pandolfo Fasanella vicario dell’imperatore Federico II incaricato di

confiscare la contea degli Aldobrandeschi, ritenuti nemici dell’impero; ben presto però Sovana

ricompare sotto la guida di Guglielmo Aldobrandeschi, esponente della fazione guelfa, sostenuto

dal papato e da Orvieto, e alla fine del XIII è la principale residenza di Ildebrandino XII conte di

Sovana42.

In seguito gli Orsini succedettero per matrimonio agli Aldobrandeschi e resero Sovana un centro

minore all’interno della loro contea che aveva come sedi principali Pitigliano e Sorano. Nel

Quattrocento entra definitivamente nel dominio senese e vi rimane sino alla seconda metà del

Cinquecento43.

38 FARINELLI FRANCOVICH 2000 p. 188 39 COLLAVINI 1998 40 Ibidem 41 FARINELLI FRANCOVICH 2000 p. 189 42 Ibidem 43 Ibidem

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Sovana conserva numerose e rilevanti testimonianze materiali relative alle fasi di vita medievali

dell’abitato, a partire dalla Rocca Aldobrandesca localizzata nell’ estremità orientale del

promontorio; della rocca sono ancora visibili le mura perimetrali al cui interno, in parte occultati

dalla vegetazione, si individuano alcuni edifici tra cui una torre per buona parte franata e restaurata.

Poco distante dalla Rocca si individua una tratto di cinta muraria che doveva circondare l’intero

centro abitato come testimoniano altri lacerti murari visibili lungo tutto il versante sud. Al centro

dell’abitato, affacciate sulla piazza del Pretorio, vi sono due chiese San Mamiliano e Santa Maria, e

il palazzo pretorio.

Infine sull’estremità occidentale del promontorio si erge la cattedrale di SS. Pietro e Paolo;

l’edificio conserva gran parte dell’impianto originario di XII secolo, malgrado i numerosi interventi

di epoche successive, e si presenta caratterizzato da una pianta basilicale con all’incrocio del

transetto una cupola sovrastata da tiburio e una copertura sorretta da pilastri44.

L’attuale accesso si trova al centro del perimetrale nord anche se l’originario doveva trovarsi nella

facciata oggi occupata dagli ambienti di una costruzione tardo medievale, l’attuale palazzo

vescovile, che ingloba anche il campanile a pianta ottagonale. All’estremità opposta si individua

l’abside semicircolare decorata con falsi archetti pensili. Al di sotto si conserva la cripta absidale,

sorretta da sei colonne di rimpiego su cui si impostano volte a crociera.

Pitigliano

Pitigliano si erge su di un pianoro tufaceo al di sopra di una valle solcata dal fiume Fiora e dal suo

affluente il Lente, e costituisce la città più a sud dell’area del tufo.

Sebbene risulti ampiamente documentato come centro estrusco –romano di notevole importanza,

non lo è altrettanto per i secoli altomedievale e centrali del medioevo.

Nulla sappiamo dei promotori che si occuparono della sua fondazione nei secoli centrali del

medioevo, tranne il fatto che compare, come molti altri siti fortificati della zona, nell’elenco dei

castelli inseriti nel progetto di spartizione della contea Aldobrandesca redatto nel 1216, in seguito

alla lotta per l’eredità iniziata tra i figli di Ildebrandino VIII alla sua morte45.

All’inizio del XIII Pitigliano stipula un accordo con il Comune di Orvieto in cui gli orvietani

pretendono, in cambio di aiuto militare, che la cittadina venga eretta a contea con un Aldobrandesco

con il titolo di conte46.

44 FARINELLI FRANCOVICH 2000 pp. 192-194 45 COLLAVINI 1998 p. 321 46 SANTI 1995 pp. 313-319

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Pitigliano comincia ad acquistare la sua importanza e a comparire maggiormente nei documenti

scritti inizialmente con Ildebrandino il Rosso nel 1259, quando diventa la nuova sede della contea

sostituendo Sovana, successivamente con gli Orsini (famiglia di origine romana) quando, in seguito

al matrimonio tra Anastasia Aldobrandeschi (ultima erede del ramo di questa nobile famiglia) e

Romano Gentile Orsini alla fine del XIII secolo, il centro insieme a Sorano diventa importante

avamposto della nuova contea Orsini47.

Pitigliano conserva ancora oggi alcune testimonianze, seppure labili, delle strutture difensive

dell’abitato medievale. Sono infatti ancora visibili alcune porzioni della cinta difensiva lungo il

versante nord, in parte inglobate nelle abitazioni successive, e una torre rettangolare sporgente a

metà circa dello stesso versante.

Tracce di evidenze materiali ascrivibili ad epoca medievale sono forse individuabili all’interno del

borgo.

Magliano in Toscana

Il centro storico di Magliano si colloca su di un’altura nella bassa valle dell’Albegna.

Un fundus Maliano è documentato già nel 1081, mentre è citato come curtis per la prima volta nel

1097; solo nel 1108 è definito castrum48.

Successivamente Magliano compare in tutti gli atti di divisione dei territori degli Aldobrandeschi a

partire dal 1216 al 1274, appartenente al ramo aldobrandesco di Santa Fiora, fino alla divisione

avvenuta nel 129749.

Dopo vari passaggi di proprietà nel 1326 fu occupato dal re di Napoli Carlo D’Angiò che lo

concesse ai Pannochieschi; successivamente ritornato ai conti di Santa Fiora, passò definitivamente

ai senesi alla metà del Quattrocento che si occuparono di ricostruire il cassero50.

Testimonianze, seppure labili, delle strutture difensive dell’abitato medievale sono riferibili ad

alcune porzioni ancora visibili della cinta difensiva, conservatasi maggiormente nel versante est e

sud –est del centro storico; i tratti di cinta si legano a tre torri rettangolari aggettanti e a una porta

con arco a tutto sesto, accesso sud al paese.

Nel versante nord- est, nord-ovest e in parte nel versante occidentale sono invece visibili tratti di

una cinta muraria più tarda, presumibilmente riferibile al progetto di ridefinizione del cassero

portato avanti da Siena nel Quattrocento, caratterizzati da una base a scarpa e associati a torrioni

circolari. 47 Ibidem 48 CARANDINI CAMBI 2002 p.260 49 Ibidem 50 SANTI 1995 p. 232

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All’interno del centro storico lungo la via principale sono visibili alcuni edifici di epoca medievale

come la chiesa di San Giovanni Battista, un edificio denominato Palazzo di Checco il Bello e

proseguendo verso nord in direzione della porta San Martino, l’omonima chiesa di San Martino.

Pereta

Il piccolo centro storico di Pereta si localizza nella bassa Valle dell’Albegna a nord- est di Magliano

in Toscana.

Il nome di Pereta compare per la prima volta nel 1032 in un atto notarile dove vengono vendute

delle terre presso località Pereto51.

La prima attestazione di pieve a Pereta è relativa al 1138, mentre solo nel 1203 è documentata come

insediamento incastellato52.

Nonostante non sia citata come castello e non vi siano diretti collegamenti con gli Aldobrandeschi

per l’XI e il XII secolo, è possibile attribuire la fondazione a questa famiglia, date le vicende

politiche successive che la vedono fortemente legata a questa casata.

Nel 1238 fu presa d’assalto dai senesi insieme ai castelli di Magliano e Montiano, come territorio

dal quale sferrare l’attacco decisivo a Sovana, sede principale della contea aldobrandesca53.

Riconquistata dagli Aldobrandeschi nel 1260 Pereta passò sotto il ramo dei conti di Santa Fiora.

Estremamente scarse e labili si presentano le evidenze materiali riferibili alle fasi di vita medievali

dell’abitato; nel punto più alto del centro storico si conserva una torre e alcune evidenze inglobate

in una abitazione adiacente la torre stessa, uniche testimonianze di una rocca o cassero di forma

ellittica il cui accesso era garantito da una porta a sud-est. Subito fuori la rocca di fronte alla porta

d’accesso si conserva la piccola Chiesa di santa Maria.

Più a valle con forma più allungata verso ovest si conserva una seconda cinta meglio visibile nei

versanti nord e nord-ovest dove sporge anche una torre quadrata.

Montemerano

51 SANTI 1995 p.240 52 Ibidem 53 SANTI 1995 p.240

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Il centro storico di Montemerano localizzato su di un’altura tra il fiume Albegna e Fiora

immediatamente a nord di Manciano, viene menzionato per la prima volta nel privilegio di

Clemente III del 1188.

Fin dagli inizi del Duecento fu sede della signoria locale dei Baschi famiglia di origine orvietana,

legata agli Aldobrandeschi per matrimonio, e ancora nel 1274 risulta sotto il loro dominio. La

famiglia si sottomise poi al comune di Orvieto nel 1297, anche se in seguito si unì alla rivolta dei

conti di S. Fiora e dei signori di Vitozza proprio contro Orvieto. Sedata la rivoluzione tra il 1316 e il

1317, Montemerano torna sotto il dominio dei Baschi grazie all’appoggio dell’imperatore Ludovico

il Barbaro. I signori di Montemerano resteranno però sottoposti al Comune di Orvieto fino alla fine

del XIV secolo quando passeranno sotto Siena.54

Il centro storico presenta scarsissime testimonianze relative al tessuto urbanistico basso medievale;

sono individuabili solo una torre quadrangolare e qualche lacerto della cinta inglobato nelle

successive abitazioni, testimonianze di un’antica rocca localizzata nel punto più alto dell’abitato.

All’esterno di quello che doveva essere il perimetro della rocca si individua la chiesa di San Giorgio

costruita intorno al 1380 per volontà dei Baschi; la parte inferiore della navata nord presenta una

tecnica muraria diversa rispetto alla facciata unico altro fronte visibile dell’edificio religioso.

Vitozza

L’insediamento di Vitozza localizzato nel comune di Sorano presso la località San Qurico

costituisce uno degli esempi meglio conservati e più significativi di un centro fortificato rurale di

epoca medievale della zona cosiddetta del tufo. Si tratta di un insediamento abbandonato

caratterizzato dalla presenza di abitazioni rupestri, realizzate sui fianchi dello sperone tufaceo, al di

sopra delle quali si conservano strutture medievali in pietra

Le 180 grotte individuate sono state interessate negli anni ottanta da piccoli sondaggi di scavo e da

rilievi che ne hanno chiarito le forme e le dimensioni55. I risultati emersi documentano una

frequentazione in grotta almeno a partire dal XII per protrarsi fino al XVIII secolo56.

Attorno alla seconda metà del XII secolo invece è stata collocata la realizzazione dell’abitato in

pietra che si sviluppa all’incirca per 900 metri in direzione sud-est/-nord-ovest lungo tutto il pianoro

sommitale.

Dallo spoglio dei documenti editi, il toponimo di Vitozza comincia ad apparire agli inizi del XIII

secolo legata agli Aldobrandeschi che erano subentrati al controllo del castello al posto di una

54 SANTI 1995 p. 277 55 PARENTI, 1980 56Ivi, p.39

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famiglia locale, il cui esponente principale era un certo Ranieri di Bartolomeo, forse appartenente

ad un ramo della stessa famiglia Aldobrandesca57. Infatti Vitozza compare nell’elenco dei castelli

sotto il controllo della famiglia comitale sia nel 1208 e nel 1216.

Nei primi del Duecento Vitozza è sede anche di un comune dal momento che nel 1222 sono

attestati dei consules Vitoij, che avevano stretto legami con Orvieto58.

Successivamente passa sotto i Baschi, famiglia comitale di Montemerano, ma continuerà ad essere

strettamente legata al Comune di Orvieto che non sarà mai estraneo alle vicende politiche di questo

castello.

Nel corso del Trecento Siena approfittando dello stato di crisi in cui versava tutta l’area , avanzò le

proprie mire espansionistiche sul centro fortificato, opponendosi agli Orsini che ormai erano i nuovi

padroni della Contea di Sovana; al 1389 infatti risale un atto di alleanza tra i Baschi e Siena contro

gli Orsini59.

Questo clima di conflitti continuerà ancora nei primi decenni del Quattrocento sino a che la

popolazione iniziò ad abbandonare il sito trasferendosi nella vicina Sorano e in altri centri limitrofi.

Solo le grotte bisognose di poca manutenzione, continuarono anche se in maniera sporadica ad

essere abitate fino alla fine del Settecento.

Tra le evidenze materiali conservate riferibili all’abitato in pietra di notevole interesse sono i resti di

una rocca o cassero situata all’estremità meridionale dell’abitato; del complesso è in parte visibile

un edificio costruito sul limite del pianoro a difesa della strada e dell’entrata all’abitato, un edificio

di cui si conserva un solo perimetrale caratterizzato da buche relative ad un solaio e una torre in

parte crollata; lungo il versante occidentale si individuano le mura che dovevano cingevano la

rocca.

Proseguendo verso nord-est si individuano i ruderi di quella che viene definita la chiesaccia, un

edificio di grandi dimensioni ad aula unica con campanile a vela. Infine nello sperone nord-ovest, si

individuano in parte nascosti dalla vegetazione resti di altri edifici e di una probabile seconda

chiesa.

Montevitozzo

57 Ivi, p.19 58 FARINELLI, FRANCOVICH 2000 pp.196-199 59 Ibidem

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Si tratta di un insediamento fortificato localizzato su di un’altura a qualche chilometro di distanza

dall’omonimo paese, nella porzione nord del comune di Sorano.

È attestato come sito fortificato solo nel 1216 quando compare nell’atto di divisione tra i figli di

Ildebrandino XII.

Montevitozzo fu al centro di duri conflitti fra gli Aldobrandeschi e il Comune di Orvieto, che si

conclusero nel 1284 con la sottomissione di questo a Orvieto.

Agli inizi del XV secolo passa sotto il controllo di Siena per poi essere comprato da Niccolò III

degli Orsini che lo inglobò nella Contea di Pitigliano dove rimase sino alla conquista medicea.60

La fortificazione è caratterizzata da una planimetria di forma allungata in direzione est-ovest- che si

sviluppa lungo tutto il pianoro sommitale. Sull’estremità orientale si individua un edificio a pianta

quadrata conservato in elevato per circa tre quattro metri verosimilmente identificabile con una

torre; a lato sono visibili lacerti murari non ben interpretabili mentre più a valle nella pendice

meridionale si vedono i resti di una cinta muraria.

Capalbiaccio

Il Castello di Capalbiaccio si trova sull'omonimo poggio nella parte sud-occidentale del territorio

comunale di Capalbio.

Il complesso fortificato è menzionato per la prima volta nel privilegio di Alessandro III del 1161 per

l’abbazia delle Tre Fontane, alla quale si potrebbe attribuire la fondazione del castello; nei decenni

successivi l’abbazia lo cedette agli Aldobrandeschi, per poi passare agli Orsini di Pitigliano61.

Con il dominio degli Orsini il castello risulta formalmente sottomesso anche al Comune di Orvieto

sino alla conquista senese nel 1416. Entrato a far parte del territorio della Repubblica di Siena, ne fu

decisa l'immediata distruzione62.

Per tutto l’ampio pianoro sulla vetta della collina sono ancora conservati i resti della cinta muraria e

numerosi ruderi non ben identificabili.

Prassi operativa

La scarsità di indagini archeologiche all’interno del territorio oggetto d’indagine, fa si che il nostro

progetto di ricerca prenda l’avvio con la consapevolezza dei limiti imposti dall’assenza di

un’analitica scansione cronologica proveniente dalla stratigrafia orizzontale o da un’analisi dei

60 GUERRINI 1990, p. 195 61 CAMMAROSANO, PASSERI, 1985, p. 287 62 Ibidem

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depositi verticali e in alcuni casi di rilievi planimetrici di dettaglio. A questo si aggiunge la

difficoltà data dalla presenza infestante della vegetazione che in alcuni casi occulta le superfici

indagabili, e i massicci interventi successivi di ristrutturazione che hanno interessato nei secoli

soprattutto i centri storici, a rendere ancora più difficoltosa la leggibilità delle fasi insediative e delle

trasformazioni spaziali, e la realizzazione di rilievi e di planimetrie. Questi elementi andranno in

parte ad incidere sui tempi di avanzamento della ricerca e sulle potenzialità informative che il

manufatto edilizio potrebbe racchiudere.

Alla luce di ciò la prassi operativa avrà inizio con una scansione del lavoro in due fasi: una prima

che consisterà nella raccolta e documentazione dei dati, e successivamente nella informatizzazione

e rielaborazione degli stessi.

Un primo passo si muoverà nell’intento di analizzare la documentazione storica già edita,

cartografica e documentaria, foto aeree, a cui si affiancherà parallelamente l’attività sul campo

dedicata all’analisi delle forme architettoniche relative all’edilizia civile e religiosa, utilizzando gli

strumenti propri dell’Archeologia dell’Architettura.

Si procederà nella lettura stratigrafica delle evidenze materiali superstiti per individuare i principali

rapporti di cronologia relativa tra le strutture; verranno registrate le tecniche murarie e dove la

leggibilità lo permette verranno analizzati i sistemi di aperture, gli elementi architettonici strutturali

o decorativi e possibili segni lapidari.

Importante per la nostra ricerca sarà lo studio della planimetria e dell’organizzazione degli spazi

con particolare attenzione allo sviluppo planimetrico dei centri storici per individuare possibili

progetti urbanistici e alla distribuzione spaziale dei complessi monastici dal momento che offre

molteplici informazioni sulla vita e sulle attività del cenobio stesso.

I sistemi di rilievo che verranno adottati in questo progetto utilizzano la strumentazione informatica

sia per la realizzazione di planimetrie sia per i rilievi fotogrammetrici degli elevati.

Nel primo caso le planimetrie verranno rielaborate mediante programmi quali CAD o GIS63 per

vettorializzarle e georeferenziarle rendendole perfettamente misurabili, strumento indispensabile

per l’analisi degli spazi e delle forme; nel secondo caso per avere una buona base grafica utile alla

lettura stratigrafica dell’elevato si procede con la realizzazione di mosaici fotogrammetrici

raddrizzati, privi cioè, grazie all’utilizzo di softwares adeguati, delle deformazioni date dalla presa

fotografica, e restituiti in formato raster in scala reale.

63 Per le metodologie informatiche applicate si veda FRANCOVICH, VALENTI 2000, pp.11-20; VALENTI 1999,

pp. 93-109; VALENTI 1998, pp.305-329. Per una bibliografia esaustiva sull'argomento si rimanda al sito internet del

Dipartimento di Archeologia Medievale dell'Università di Siena, nella sezione dedicata al LIAAM (Laboratorio di

Informatica Applicata all'Archeologia Medievale).

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Su questo supporto grafico verranno individuate e numerate tutte le attività murarie riscontrabili, le

USM, che sono l’elemento più dettagliato in cui si divide la sequenza stratigrafica.

All’interno delle operazioni di registrazione grafica delle evidenze materiali sopra descritte, di

notevole interesse sarebbe inserire, su alcuni complessi monastici, l’utilizzo delle tecniche di laser

scanning per l’acquisizione tridimensionale delle strutture monumentali. Questa tecnologia è stata

sperimentata all’interno del LIAAM, Laboratorio di Informatica Applicata all’Archeologia

Medievale, dove da qualche anno vengono correntemente applicate tecniche di laser scanning per la

catalogazione digitale dei reperti archeologici64 e dal 2004 per le riproduzione in 3d mediante uno

scanner 3D laser a lunga gittata, dei depositi orizzontali dello scavo di Mirandolo65. Questa

sperimentazione è attualmente oggetto di una tesi di dottorato in Archeologia Medievale, indirizzo

Archeologia Informatica, dal titolo Sperimentazione di uno scanner laser 3d in Archeologia.

Definizione di procedure e possibili campi di utilizzo.”, realizzata da Mirko Peripimeno.

Recentemente anche il LAAUM, Laboratorio di Archeologia dell’Architettura e dell’Urbanistica

Medievale dell’Università di Siena –Grosseto per il territorio della provincia di Livorno e Grosseto,

sta utilizzando le tecniche di laser scannig nel rilievo dei manufatti architettonici.

Il risultato del lavoro è la creazione di un modello grafico 3D che oltre ad essere una visione

tridimensionale del manufatto architettonico chiaramente riscontrabile nell’immediata semplice e

fedele ricostruzione della realtà, divulgabile verso il grande pubblico, è soprattutto un’informazione

geometricamente perfetta e georeferenziabile nelle sue tre dimensioni reali, utilizzabile come

strumento di rilievo per lo studio delle registrazioni delle superfici murarie e della lettura delle unità

stratigrafiche.

L’applicazione di questa tecnologia al presente progetto, tenendo in giusta considerazione il

carattere ancora pioneristico della tecnica stessa, sarà condizionata in primo luogo dal tempo e dalle

risorse economiche disponibili per la realizzazione del progetto stesso, e in secondo luogo dallo

stato di conservazione delle forme architettoniche da indagare. Infatti visti gli importanti esiti dei

primi test effettuati con questa tecnologia66 si cercherà di scegliere i complessi monumentali

maggiormente leggibili nelle loro forme, come il caso di Santa Maria dell’Alberese, l’insediamento

di Vitozza e la Rocca di Sovana. 64 FRANCOVICH-VALENTI 2002; PERIPIMENO–SALVADORI 2003a; PERIPIMENO–SALVADORI 2003b;

PERIPIMENO–SALVADORI 2004. 65 http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/MIRANDUOLO/MIRscanner.html 66 I primi test sono stati effettuati nel cantiere di scavo del Castello di Miranduolo e nella vicina Abbazia di San

Galgano in provincia di Siena, visibili all’indirizzo web citato alla nota 36; nell’ambiente della cripta del Duomo di

Siena e nella Fonte di Follonica sempre di Siena, visibili nel DVD realizzato dal LIAAM dal titolo La Fonte di

Follonica e le Fonti medievali di Siena, 2004.

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Tutti i risultati del rilievo informatizzato che verranno realizzati nei singoli manufatti edilizi

andranno a implementare una piattaforma GIS realizzata e gestita dal software ArcView. La

piattaforma è stata progettata all’interno del LAAUM Laboratorio di Archeologia dell’Architettura

e dell’Urbanistica Medievale dell’Università di Siena –Grosseto per il territorio della provincia di

Livorno e Grosseto.

La piattaforma risulta associata a un sistema di archivi relazionali gestiti con il software Access, per

inserire i dati alfanumerici riferiti ai siti indagati in maniera più analitica possibile. Infatti il

database presenta un’architettura di tipo gerarchico costituita da una serie di schede che vanno dal

generale al particolare; si inizia con la scheda del Sito dove verranno introdotti i dati relativi alla

localizzazione nel territorio dello stesso, le caratteristiche morfologiche idrografiche e topografiche,

la presenza di reti viarie antiche e contemporanee, e le evidenze materiali sia civili che religiose con

un loro orizzonte cronologico.

Si passerà poi alla scheda di registrazione dell’Edificio religioso finalizzata alla registrazione delle

strutture appartenenti all’edilizia religiosa; questa scheda è strutturata in due sezioni: una parte

destinata alla descrizione della localizzazione della struttura all’interno del sito, e una parte molto

analitica incentrata sulla descrizione della struttura stessa. Vi sono campi dedicati alle dimensioni

dell’edificio, all’orientamento e alla posizione dell’accesso odierno, ai materiali costruttivi

impiegati, alle sezioni dei muri e all’accesso originario; si richiede inoltre un’analisi iconografica

della struttura con il numero di navata e campate, della terminazione e delle caratteristiche del

transetto e delle coperture. Si passa alla descrizione dell’apparato decorativo e dell’arredo liturgico,

e alla presenza di sepolture, epigrafi e di possibili tracce di progettazione. Si conclude con una

descrizione discorsiva dell’edificio con una possibile cronologia dello stesso.

La schedatura degli edifici civili avviene mediante la scheda di Edificio; questa scheda è

caratterizzata da una prima parte relativa alla localizzazione della struttura nel territorio ed

all’interno del sito indagato e da una parte descrittiva dell’evidenza incentrata dapprima sullo stato

di conservazione, sulla leggibilità, sui cambiamenti della destinazione d’uso, sulla classe e

sul tipo edilizio di appartenenza, sui materiali costruttivi impiegati, sugli accessi originari, sulla

forma della struttura e sulla sezione dei muri; un’ulteriore sezione è dedicata alla registrazione degli

elementi strutturali decorativi (solai, porte, aperture,nicchie, mensole e buche pontaie interne ed

esterne, livelli pavimentali, copertura) e infine uno spazio dedicato alla descrizione discorsiva

dell’edificio.

La scheda denominata Tecnica Muraria registra le caratteristiche di una tecnica costruttiva

individuata in un determinato corpo di fabbrica all’interno di un complesso architettonico.

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Molto dettagliata la scheda risulta divisa in varie sezioni a partire dalla prima dove viene localizzata

la tecnica all’interno del sito per poi restringersi all’indicazione del complesso architettonico e del

corpo di fabbrica d’appartenenza.

Le sezioni successive interessano l’analisi della muratura, la descrizione dei materiali costruttivi, le

dimensioni dei componenti e l’indicazione di eventuali campionature di malta o intonaci o altro.

L’ultima sezione riguarda la descrizione discorsiva della tecnica e la possibile datazione.

Nella scheda di Apertura oltre alla localizzazione della finestra o porta nel corpo di fabbrica,

vengono descritte tutte le caratteristiche tipologiche che comprendono stipiti, architrave, mensole e

altri tipi di elementi architettonici che interessano le aperture, con indicate le dimensioni e il numero

di conci che costituiscono il vano, per poi concludere con una descrizione discorsiva e una

datazione.

Infine vi è la scheda di registrazione dell’Unità Stratigrafica Muraria dove oltre alla

localizzazione e alla definizione della stessa, importanti sono l’inserimento dei rapporti stratigrafici

in relazione alle altre unità e la possibile attribuzione ad un’attività periodo e fase di appartenenza.

Obiettivi della ricerca e tempistica

Questo progetto vuole attuare un ampio percorso di ricerca che, partendo dall’analisi delle forme

architettoniche conservate relative all’edilizia civile e religiosa, giunga a comprendere le

connessioni tra le evidenze architettoniche e il contesto in cui sono state realizzate, con particolare

attenzione all’individuazione di cambiamenti nelle scelte edilizie in connessione con i passaggi di

potere che caratterizzarono il territorio nei secoli centrali del Medioevo, per ampliarsi infine ad

un’analisi sistematica del fenomeno dell’incastellamento e del monachesimo vista l’importanza che

queste realtà insediative hanno avuto nelle dinamiche politiche, sociali ed economiche nel territorio

nei secoli centrali del Medioevo.

Per raggiungere tale scopo si sono prefissati degli obiettivi che possono essere distinti su due livelli

di lettura, strettamente connessi e consequenziali.

Il primo livello, prettamente specifico, legato allo studio delle evidenze materiali sarò costituito dai

seguenti obiettivi:

• Analisi stratigrafica delle evidenze murarie superstiti per una ricostruzione della sequenza

costruttiva che interessa le fasi di vita del manufatto architettonico.

• Analisi e classificazione delle tecniche costruttive adottate nella realizzazione delle evidenze

architettoniche, con l’elaborazione di una cronotipologia delle tecniche stesse.

• Creazione dove possibile di una sequenza cronotipologica relativa alle aperture individuate.

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• Ricostruzione planimetrica del complessi civili e religiosi con l’analisi dell’aspetto

dimensionale e funzionale e messa a fuoco di moduli spaziali.

• Analisi dell’assetto planimetrico dei centri storici con possibile individuazione di sistematici

progetti urbanistici.

Potendo usufruire di questa mole di dati uniti alle fonti documentarie la dove sono disponibili, sarà

possibile passare al secondo livello di lettura mediante il raggiungimento di un’altra serie di

obiettivi:

• Ricostruzione del cantiere edilizio inteso come stretta interazione tra maestranze

costruttrici e committenze sostenitrici delle spese e delle scelte tipologiche, con

un’attenzione particolare all’individuazione di eventuali conoscenze tecniche diverse

all’interno delle maestranze, come la presenza di manodopera specializzata, e alle

disponibilità economiche dei committenti.

• Rielaborazione delle planimetrie e delle forme dei complessi monumentali e dei centri

storici con individuazione di tipologie edilizie, cercando di legarle a possibili idee

progettuali, e individuando il diverso ruolo che ebbero le maestranze e committenze

nella loro realizzazione.

• Comprensione del più ampio fenomeno dell’incastellamento e del monachesimo

all’interno del territorio, ricostruendo le dinamiche politiche, economiche e sociali che

determinarono la nascita e lo sviluppo di queste forme insediative, e le possibili

connessioni che intercorrono tra di loro.

L’organizzazione del lavoro diluito in tre anni vedrà una scansione cronologica così ripartita:

nel I e II anno il 60% del tempo verrà dedicato alle operazioni su campo, per la raccolta dei dati

archeologici necessari alla nostra indagine mentre il 40% sarà impiegato per l’informatizzazione

dei dati stessi.

Il III anno sarà in buona parte dedicato ( il 60%) alla rielaborazione dei dati mentre una restante

parte alla stesura della tesi di dottorato.

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