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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA Corso di laurea in Giurisprudenza – specialistica Storia del Diritto Moderno e Contemporaneo Alessandro Bertoli IL BEATO GIURISTA E L’«HISTORICO» ABATE Considerazioni e note biografiche a margine dell’orazione su “Lodovico Antonio Muratori e la storia del diritto” del beato professor Contardo Ferrini PAVIA 2007

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIAFACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA

Corso di laurea in Giurisprudenza – specialistica

Storia del Diritto Moderno e Contemporaneo

Alessandro Bertoli

IL BEATO GIURISTA E L’«HISTORICO» ABATEConsiderazioni e note biografiche a margine dell’orazione su “Lodovico Antonio Muratori e la

storia del diritto” del beato professor Contardo Ferrini

PAVIA

2007

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INDICE

INTRODUZIONE Per immergersi nel contesto p. 3

CAPITOLO I Un’orazione parenetica p. 9

CAPITOLO II Consonanza di cuori e di menti. E d’intenti? p. 24

Nota bibliografica e archivistica

A parte i riferimenti bibliografici contenuti nelle note al presente lavoro, non lo corredo di autonomo apparato delle fonti edite, perché per esse rinvio all’ottima ricerca di V. MAROTTA, Cento anni di bibliografia su Contardo Ferrini, in Nuovo Bollettino Borromaico, n° 31, Pavia, 17 Ottobre 2002, pp. 13-45 e in Contardo Ferrini nel I centenario della morte a cura di Dario Mantovani (infra) pp. 249-309. Si tratta di un repertorio organizzato cronologicamente delle opere pubblicate su e da Contardo Ferrini, divise in tre sezioni: I – La figura religiosa; II – La figura scientifica; III – La bibliografia scientifica di Contardo Ferrini. Mi permetto di aggiornare la bibliografia curata da Valerio Marotta con l’indicazione di un recente e importante studio collettaneo apparso su Novarien., rivista dell’Associazione di Storia della Chiesa Novarese, fondata nel 1967 da Angelo Stoppa, n° 32, 2003, Novara, Interlinea Edizioni, 2003. Contiene i contributi di P. D. GUENZI, Contardo Ferrini nel centenario della morte e Contardo Ferrini e l’amicizia come via all’unione con Dio; S. ZANINELLI, Contardo Ferrini e l’Università Cattolica; A. ACERBI, Come un professore salì sugli altari. La beatificazione di Contardo Ferrini; A. DORDONI, La spiritualità di Contardo Ferrini e gli indirizzi del laicato cattolico nella seconda metà dell’Ottocento; M. PEROTTI, Conquista del creato e incontro con Dio in Contardo Ferrini; C. BESANA e P. CERINI, La documentazione archivistica sul beato Contardo Ferrini conservata presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Mi preme sottolineare specialmente l’importanza di quest’ultimo saggio, dal momento che mi risulta essere il primo studio sulla collocazione di alcuni –in vero pochi– documenti originali dell’insigne romanista. I più cospicui sono archiviati nel fondo “Comitato Necchi-Ferrini”, costituito da 52 pacchi di carte, di cui almeno 14 riguardanti il professor Contardo; nelle carte “Meda” vi sono, invece, tracce di rapporti con Ferrini nel 1899: si tratta di brevissime missive relative a incontri di carattere politico-amministrativo, organizzati dai cattolici milanesi per partecipare alla vita amministrativa della loro città; infine, sempre presso l’Università Cattolica, è da segnalare il fondo 138-Ferrini, cart. I, fasc. 1, conservato nell’Archivio per la Storia del Movimento Sociale Cattolico in Italia, dell’Istituto “Giuseppe Toniolo” di Studi Superiori. Dopo un secolo di discorsi e scritti su Contardo Ferrini colpisce il fatto che la biografia di riferimento, nonché principale fonte d’informazioni sia ancora La vita del prof. Contardo Ferrini di Carlo Pellegrini, la cui seconda (e ultima) edizione risale al 1928. Sebbene il lavoro sia scrupoloso, l’intento con cui veniva dichiaratamente scritto era quello di accelerare e suffragare il processo di beatificazione e dunque difficilmente risulta critico nei confronti di Ferrini, spesso dipinto con tinte in vero assai pallide. Molte testimonianze andrebbero verificate soprattutto alla luce della trascurata documentazione archivistica.

Sono grato a mons. Angelo Porta, canonico della Cattedrale di Brescia, per avermi introdotto allo studio (nel significato cristiano alto e arduo d’invito all’imitazione) del beato Contardo Ferrini, col dono dell’agile biografia di Marco Invernizzi, (purtroppo, benché recente, già introvabile), in un giovedì pomeriggio del mio primo anno di studi universitari.

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Corso di laurea in Giurisprudenza – specialistica

Storia del diritto moderno e contemporaneoProf.ssa Marzia Lucchesi

IL BEATO GIURISTA E L’ «HISTORICO» ABATEConsiderazioni e note biografiche a margine dell’orazione su “Lodovico Antonio Muratori e la storia del diritto” del beato professor Contardo Ferrini

Alessandro Bertoli

INTRODUZIONE PER IMMERGERSI NEL CONTESTO

1894: nella Modena città “studiosa, storica e critica”1, città di Lodovico Antonio Muratori2,

in occasione del secondo centenario della sua Laurea in ambo le Leggi, si riunì un mirabile

consesso di menti brillanti nel ricordo di quella che maggiormente rifulse in campo storiografico ed

archivistico, ma nondimeno giuridico. Anche il professore Contardo Ferrini3 si era trovato per

l’occasione nel centro emiliano, dove per quattro anni era stato titolare della cattedra di Pandette e

incaricato per quella di Storia del diritto romano. E di certo passeggiando per le contrade modenesi,

frequentandone l’Ateneo, ma specialmente le chiese, Ferrini non solo avrà sopportato rigidi ed 1 G. CARDUCCI, Il secondo centenario di Lodovico Antonio Muratori, in Prose di Giosuè Carducci MDCCCLIX-MCMIII, Bologna, Nicola Zanichelli, 1907, III ed. p. 493, come citato in C. PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, Torino, Società Editrice Internazionale, II ed. 1928, p. 303 (si tratta della prima, ma tuttora più importante opera biografica –con tensione moderatamente agiografica– sul celebre giurista originario di Suna). Carducci avrebbe in seguito curato anche un’edizione riveduta, ampliata e corretta insieme a Vittorio Fiorini di L. A. MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores. Raccolta degli storici italiani dal Cinquecento al Millecinquecento ordinata da Lodovico Antonio Muratori, Città di Castello, casa editrice Silvestro Lapi, 1905.

2 Lodovico Antonio Muratori, (Vignola 1672 – Modena 1750) fu insigne sacerdote e studioso. Fornisco qualche nota biografica nel capitolo II. Intanto rinvio per il pensiero giuridico dello storico emiliano ad A. CAVANNA, Storia del diritto moderno. Le fonti, Padova, Cluep, 1977, pp. 207-212.3

Contardo Ferrini, (Milano 1859 – Suna 1902) professore universitario beatificato nel 1947 da Pio XII; rimando alla nota bibliografica supra e ai cenni biografici infra.

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umidi inverni, brumosi come quelli della sua Pavia, nostalgico della mediterranea e da poco lasciata

Messina4, ma si sarà al contempo imbattuto in numerose memorie legate allo studioso di cui

ammirò (e col quale, aggiungerei, condivise) la “feconda versatilità d’ingegno e tanto varia

dottrina”5, incastonate come gemme nel tessuto urbano di Modena. Avrà così visitato la chiesa di

Santa Maria Pomposa dove Muratori fu prevosto e che restaurò; la sua casa umile e nascosta, col

vecchio mobilio; la bellissima Biblioteca Estense, dove egli studiò; la chiesa di Sant’Agostino, nella

quale riposano le ossa dello storico, accanto a quelle di un altro insigne, il Sigonio; si sarà

soffermato davanti alla sua statua su corso Emilia, e alle tante memorie che di lui conservano

l’Università e l’unito collegio San Carlo.

Ferrini era a Modena dal 1890 e nel volgere di quei quattro anni si era fatto conoscere dal

mondo accademico che ne apprezzava l’alacrità e lo spessore della produzione scientifica, nella

quale si annovera, per quel fecondo periodo, ad esempio, la prima pubblicazione della Costituzione

degli Ateniesi, appena decifrata dai papiri scoperti in quegli anni di ricche –quanto frettolose–

campagne di scavi archeologici in Egitto, con puntuale edizione critica del testo greco e scorrevole

traduzione in italiano, il tutto corredato di note e introduzione6.

Ma l’opera giuridica ferriniana più importante durante la cattedra modenese fu quel denso e

preciso enchiridion, nella serie dei manuali Hoepli, che ha per titolo Il Digesto. Pochi libri come

questo racchiudono in brevi parole tanta dottrina: lo stesso autore ne era convinto e nella prefazione

così si esprime: “Quanto tesoro io abbia fatto degli studi recenti vedranno senza fatica gli esperti, i

44 In una digressione del discorso inaugurale tenuto a Modena, dal titolo Le scuole di diritto in Roma antica e pubblicato nell’Annuario di quella Università per l’anno accademico 1891-92, Ferrini confessa la sua nostalgia per la montagna: “[…] l’occhio cupido va cercando dalle mura cittadine le linee lontane dell’Appennino, che sfumano nella nebbia invernale”. Dell’alpinismo, sollievo della sua vita e concausa della sua dipartita si dirà in seguito.

5 C. FERRINI, Lodovico Antonio Muratori e la storia del diritto, Modena 1895 in Annuario dell’Università di Modena 1894-95, ma pure riedito con prefazione di A. SOLMI nelle Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza della Regia Università di Modena, n. 28, Modena, 1928, p. 5, dalla quale si traggono questa e le seguenti citazioni. D’ora in avanti MurStDir.6

C. FERRINI, La costituzione degli Ateniesi di Aristotele. Testo greco, versione, introduzione e note, Milano, Hoepli, 1891, pubblicata una seconda volta in V. ARANGIO-RUIZ (a cura di) Opere di Contardo Ferrini. Volume V. Studi vari di diritto romano (sul diritto pubblico, penale, etc.), Milano, Hoepli, 1930, pp. 253-394.

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quali si accorgeranno che spesso una frase o anche una sola parola riassumono lunghe trattazioni e

accennano a vive controversie”7.

Non solo la sua preparazione, bensì pure la meditabonda e fortemente sentita devozione

colpì i Modenesi, stupiti che un uomo di cultura, nientemeno che un professore universitario, fosse

quotidianamente assorto nella preghiera e in pratiche religiose, quali la messa feriale, che a quel

tempo la Chiesa raccomandava ai soli sacerdoti. Ma in Ferrini pare non vi fosse soluzione di

continuità tra la contemplazione mistica e quella studiosa; anzi, se la prima rigenerava le forze e

alimentava la scienza di trascendenza, la “alma” Universitas era davvero nutrice del desiderio di

una sempre più profonda “Veritas”.

I frutti di una simile compenetrazione si rivelarono dunque tali anche a Modena che

Contardo Ferrini fu eletto, con decreto reale, Preside della Facoltà Giuridica già il 31 Dicembre

1891 e con altro decreto del 27 Marzo 1892, Cavaliere della Corona d’Italia8. Il 3 Dicembre dello

stesso anno fu nominato socio della Regia Accademia di Scienze, Lettere ed Arti9, che frequentò

assai più di quella Peloritana di Messina, con una dozzina di colleghi: un “petit comité” –sono

parole sue in una lettera a Gian Antonio Maggi– [presso il quale] “alla formalità delle letture è

sostituita la buona abitudine di esporre liberamente e, per quanto possibile, gemeinverständlich

[“alla mano”] il contenuto: spesso ci si annette una interessante conversazione”10.

A chi rimanesse sorpreso di queste attestazioni di accademie, a cavallo di quei decenni

spesso ridotte a circoli massonici, o delle benemerenze tributate dallo Stato al cattolico Ferrini,

conviene rammentare come lo scontro fra i cattolici militanti e i gruppi liberali che costituivano la

compagine governativa era ancora reale negli anni Novanta del secolo XIX, ma vi erano alcune

7 C. FERRINI, Il Digesto, Milano, Manuali Hoepli, 1893, pp. V-VI.8

Ma mostrava ben scarno interesse per le onorificenze, che chiamava “gingilli”. Non parlò a nessuno della sua nomina a Cavaliere della Corona: i colleghi lo seppero dagli atti ufficiali, mentre sua madre, secondo le testimonianze di Eugenio Albasini Scrosati e Mons. Rodolfo Majocchi nel processo informativo di beatificazione, vuotando una valigia, vi trovò la croce di cavaliere e si lamentò col figlio che non gliene avesse mai dato l’annuncio: rispose che quei gingilli non lo meritavano. 9

Le origini dell’Accademia vanno ricercate in quella dei Dissonanti fondata a Modena nel 1684. 10

C. PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, op. cit., p. 320. Il contenuto delle parentesi quadre è mio.

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eccezioni, quale il caso di Ferrini, che apparteneva a quella parte del mondo cattolico chiamata

transigente o conciliatorista, conservatrice e favorevole alla riconciliazione fra Monarchia e Chiesa,

ossia disposta appunto a un accordo “politico” con lo Stato. Queste eccezioni esprimevano

l’anomalia italiana, dove una minoranza liberale guidava un paese la cui maggioranza era orientata

diversamente. La polemica fra il paese legale e quello reale, fra lo Stato e la Chiesa, assunse toni

accesissimi, ma nonostante scomuniche, arresti, condanne giudiziarie, estremismi verbali, un

seppure tenue rapporto fra le due parti si mantenne sempre, anche nei momenti più aspri. E questo

rapporto, che a detta di alcuni storici contribuì a impedire, se non gli attentati di Passannante e

Bresci e le cannonate di Bava Beccaris, addirittura una vera e propria guerra civile, fu possibile

proprio grazie a politici rispettosi nei confronti della Chiesa cattolica, come, a differenza di quanto

troppe volte sostenuto, il Ministro di Grazia, Giustizia e dei Culti Giuseppe Zanardelli, e a uomini

di Chiesa leali con lo Stato11. Fra questi ultimi vi furono indubbiamente i Ferrini, padre12 e figlio.

Al principiare del 1894, proprio in quella lettera di capodanno indirizzata all’amico Maggi e

poc’anzi citata, Ferrini scrive: “Quest’anno si tratta di celebrare in aprile o in maggio il secondo

centenario della laurea di Muratori. Io fui in consiglio accademico strenuo e gagliardo sostenitore

della proposta. Il Muratori si è laureato in legge, e i grandi meriti suoi, pur nel campo del diritto,

meritano di essere posti in miglior luce. Se, come pare, la proposta si attuerà, inviteremo le diverse

autorità a farsi rappresentare. Voi non vorreste? Pensate che fra le altre cose si vocifera di una gita

universitaria ai colli di Vignola, patria del Muratori”13.

In effetti avrebbe avuto poco senso fare dei festeggiamenti a Vignola, dove già due decenni

prima si era commemorata la nascita del Muratori e altrettanto poco felice sarebbe stato anticipare

la commemorazione in primavera quando la laurea fu conseguita il 16 Dicembre 1694. D’altro

canto, in quel momento, a Ferrini premeva tanto celebrare l’illustre abate, quanto lasciare al più

11 Questa considerazione prende spunto da quella espressa da M. INVERNIZZI, Il beato Contardo Ferrini (1859-1902). Il rigore della ricerca. Il coraggio della fede. Casale Monferrato, Piemme, 2002, p. 48.12

Del padre Rinaldo si avrà modo di parlare nel profilo biografico di Contardo.13

C. PELLEGRINI, Op. cit., pp. 320-321.

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presto Modena, per tornare a Pavia, più vicino ai cari genitori e specialmente all’amatissimo padre

Rinaldo. Aspirava, infatti, alla cattedra di Diritto Civile lasciata vacante dal pensionamento del prof.

Cesare Cattaneo14 dopo trentasei anni di onorato insegnamento. Ferrini era pronto a rinunciare alla

branca prediletta dei suoi studi storici pur di tornare al più presto vicino a Milano15. Pertanto fece

domanda di trasferimento che i colleghi, però, quasi lo costrinsero a ritirare, perché non sprecasse i

talenti votati alla ricerca storica e meno orientati verso la scienza giuridica positiva. Ma nel corso

dello stesso 1894 il professor Luigi Moriani16, romanista valente, per motivi di famiglia chiese ed

ottenne dal ministero di essere traslocato all’università di Siena, sua città natale, ed egli stesso

propose ai colleghi della facoltà di chiamare Ferrini, “già suo alunno”17, a sostituirlo

nell’insegnamento delle Pandette. Dall’Annuario dell’Università ticinense per l’anno accademico

1894-95, si desume come la facoltà giuridica proponesse a voti unanimi la nomina del Ferrini, il

quale dunque, fin dall’autunno, tornava definitivamente nelle aule situate tra i porticati cortili Volta

14 Cesare Cattaneo, professore ordinario di Diritto civile presso l’Università di Pavia dal 1859 al 1891, Cavaliere, Ufficiale e Commendatore dell'Ordine della Corona d'Italia e Cavaliere dell'Ordine del Merito Civile di Savoja; si vedano gli Annuari dell’Università, consultabili sul sito www.unipv.it.15

La famiglia Ferrini viveva a Milano e dal 1866 si era trasferita a palazzo Brivio in via Olmetto 17, nei pressi di piazza Missori: qui visse lo stesso Contardo anche nei suoi anni d’insegnamento pavese, prendendo tutte le mattine il treno, dopo aver partecipato alla Messa. 16

Luigi Moriani, professore ordinario di Diritto romano presso l’Università di Pavia dal 1880 al 1894 e contemporaneamente docente di Esegesi delle fonti di diritto romano con speciale riguardo al diritto bizantino nell’anno accademico 1886-87; Avvocato, Cavaliere dell'Ordine della Corona d'Italia e Commendatore dell'Ordine equestre dei Santi Maurizio e Lazzaro; si vedano gli Annuari dell’Università, consultabili sul sito www.unipv.it.17

Così avrebbe sostenuto lo stesso Moriani, in C. PELLEGRINI, la vita del prof. Contardo Ferrini, op. cit. p. 322, ma è poco attendibile. E della scarsa attendibilità già è spia l’errata grafia del nome: Pellegrini infatti parla di Luigi Mariani. Dallo studio prosopografico sui professori dell’Università di Pavia accessibile attraverso il sito www.unipv.it si risale alla nomina di Luigi Moriani a docente di Diritto Romano solo dall’anno accademico 1880/81. Dal momento che Ferrini si laureò il 21 Giugno 1880 pare impossibile che frequentasse le lezioni del professore di cui un giorno avrebbe degnamente continuato il magistero dalla stessa cattedra. Ma l’idea che Ferrini fosse discepolo del Moriani passa attraverso le commemorazioni del professore senese tenute da Pietro Rossi (21 Marzo 1922) e Filippo Vassalli (2 Giugno 1934) e infine in P. VACCARI, Storia dell’Università di Pavia, 1957. Dario Mantovani nel suo contributo su Contardo Ferrini e le opere dei giuristi in D. MANTOVANI (a cura di) Contardo Ferrini nel I centenario della morte. Fede, vita universitaria e studio dei diritti antichi alla fine del XIX secolo. Atti del convegno celebrato a Pavia il 17-18 Ottobre 2002, XL volume della collana Fonti e studi per la storia dell’Università di Pavia, Milano, Istituto Editoriale Universitario Cisalpino, 2003, p. 138, sostiene che Ferrini ebbe il professore bergamasco Felice Cattaneo (1833-1902), il quale teneva la cattedra di Diritto Romano, oltre a quella di Istituzioni dal 1877, dopo la morte di Pietro Barinetti, come unico professore di materie romanistiche nei quattro anni di studio.Personalmente non escludo, però, che possa essere stato lo stesso Luigi Moriani ad indirizzare il giovane Ferrini verso i due anni di perfezionamento berlinese.Sulla successione degli illustri professori nelle cattedre romanistiche pavesi si veda anche L. MUSSELLI, La Facoltà di Giurisprudenza di Pavia nel primo secolo dell’Italia unita (1860-1960), in Per una Storia dell’Università di Pavia, a cura di Giulio Guderzo, estratto da Annali di storia delle università italiane, anno VII, 2003, Bologna Clueb, 2003, pp. 201-202.

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e delle magnolie. Non volle tuttavia abbandonare l’impegno profuso per la celebrazione del

Muratori e le promesse rivolte ai colleghi modenesi. E quindi puntualmente il 16 dicembre 1894,

accompagnato dagli amici Mapelli, fece ritorno all’Ateneo emiliano. Ma prima, appena giunto a

Modena, corse alla chiesa dei gesuiti, si confessò dal suo penitenziere svizzero Christian Ludwig

(1828-1915), assistette alla Messa e fece la Comunione18.

Tenne allora uno dei suoi più apprezzati discorsi, inaugurando i festeggiamenti per il

secondo centenario della Laurea in Giurisprudenza Civile e Canonica di Lodovico Antonio

Muratori. La cerimonia si fece nell’artistica sala del Collegio San Carlo. Per primo prese la parola il

rettore Giuseppe Triani che così presentò il Ferrini: “Del Muratori come storico del diritto dirà il

professor Contardo Ferrini, che era con noi, preside della facoltà giuridica, quando furono decretate

queste feste ed accettò di parlare; ma a noi, che lo avremmo voluto nostro per sempre per affetto a

lui ed all’Ateneo, lo tolse Pavia, sulla quale giunge l’ombra dei comignoli della capitale lombarda,

che gli è patria; sicché il desiderio del natìo loco vinse l’animo suo, ma non tolse del tutto a noi il

nostro dolore”19. Fu udita con devota attenzione l’interessante conferenza del Ferrini, della quale, a

breve ci si occuperà nello specifico, e che per il momento giova ricordare come finisce, ovvero con

un saluto all’Università modenese, che egli diceva “nostra”, aggiungendo: “Concedetemi, o Signori,

che io continui a chiamarla nostra, poiché me lo impone l’affetto”. Uno scroscio di applausi salutò

queste parole. Dopo il Ferrini, intervenne il professor Bràndoli, poi gli invitati scesero nel cortile

dell’Università, dove si scoprì il monumento al Muratori, opera dello scultore Silvestro Barberini,

eseguita per iniziativa degli stessi studenti, che raccolsero pubbliche offerte. A cerimonia finita, gli

alunni si strinsero con vivissimo affetto attorno all’oratore, se lo presero in mezzo e lo sollevarono

in trionfo sulle loro braccia; ma egli fu così riluttante che quasi svenne e quei giovani subito lo

deposero, nonostante le ovazioni non cessassero. Anche i docenti fecero gran festa al loro collega,

ma egli declinò l’offerta di un banchetto. Accettò invece l’invito a pranzo del professor Pio

18 C. PELLEGRINI La vita del prof. Contardo Ferrini, op. cit. p. 551.19

Annuario dell’Università di Modena, 1894-95.

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Sabbatini, dove si trovarono anche il suo miglior amico modenese, Luigi Olivi e i suoi

accompagnatori, i tre fratelli Mapelli. A sera, prima della partenza, tutti i professori dell’Università

gli dedicarono un cordiale brindisi all’albergo Scudo di Francia, onorando in lui una gloria

dell’Ateneo modenese20.

CAPITOLO I UN’ORAZIONE PARENETICA

Fin dai tempi che precedettero uno studio sistematico della retorica, è uso presso qualunque

oratore dichiarare in principio la difficoltà del tema che affronta e la sua incapacità di trattarlo in

maniera esaustiva; e certo pure il Ferrini avrà apprezzato le captationes bentevolentiae ciceroniane.

Ma credo, per quel poco che mi è dato di conoscere la sua personalità integerrima, che la sua fosse

un’autentica professione di umiltà, davanti alla grandezza di uno studioso come altri ben rari, che

l’Italia abbia dato. Ferrini resta esterrefatto, già lo si diceva, davanti alla feconda versatilità

d’ingegno del Muratori, nel quale vede il “padre della storia”, un “teologo di non comune valore” e

un esperto di letteratura, ma aggiunge che i suoi meriti verso la giurisprudenza “basterebbero ad

onorare un uomo e a perpetuarne la fama”21. Certo è consapevole, e lo afferma forse con un tono

pacatamente provocatorio, che serve un animo anzitutto paziente, ma pure privo di pregiudizi, per

cogliere la ricchezza e modernità delle pagine muratoriane, i cui risultati vengono sovente

paragonati, dal Ferrini, agli ultimi approdi della dottrina storico-giuridica di fine Ottocento e

specialmente a quelli del grande Francesco Schupfer22.

20 Gli avvenimenti di quel memorabile 16 Dicembre a contorno dell’importante discorso sul Muratori e la storia del diritto sono descritti in C. PELLEGRINI, op. cit. pp. 322-323, il quale in parte le ricava dalla testimonianza di Paolo Mapelli nel processo di beatificazione, che ricorda come Contardo “venne sollevato in trionfo dagli studenti dell’Università”, in Sacra Rituum Congregazione E.mo ac R.mo Domino Card. RAPHAELE MERRY DEL VAL relatore, Mediolanem. Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Contardi Ferrini Viri laici Professoris Athenei Papiensis et aliorum. Positio super virtutibus, Roma, Scuola Tipografica Pio X, 1927, p. 533.21

MurStDir, p. 5.22

Si veda anzitutto di F. SCHUPFER, il Manuale di Storia del diritto italiano, Città di Castello, tipografia dello stabilimento Silvestro Lapi, 1892.

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Forse allude anche alla personale esperienza quando, temendo di esporsi con troppa audacia,

afferma che proprio grazie alle vaste conoscenze storiche, Lodovico Antonio Muratori divenne un

esemplare giurista23. E parafrasando il Mommsen, che nella fattispecie si riferiva a Roma, il

professore di Suna, nell’interpretare la grandezza dello storico di Vignola, sostiene una visione

speculare a quella appena prospettata: senza una buona conoscenza del diritto, non si può

comprendere la storia del popolo che lo ha elaborato. Subito Ferrini tradisce la sua formazione

umanistica di comparatista, che fin dalla sua tesi di laurea24 lo portò ad indagare il diritto e la storia

non solo l’uno alla luce dell’altra e viceversa, ma anche con gli occhiali del sociologo, del letterato,

dell’archeologo e dell’antropologo, mostrando una concezione del diritto aliena a qualunque

positivismo e invece improntata ad un romantico storicismo d’influenza savignana; forse non del

tutto immune dalla fenomenologia hegeliana, retaggio del biennio tedesco di studi.

Pertanto, dall’incipit, dice la Storia “essere lo studio completo dello spirito di un popolo”25 e

poi, quasi ravvisandone un andamento ciclico, di corsi e ricorsi (francamente strano per uno storico

attento, capace di riabilitare e gustare il fermento di ogni tratto considerato “buio” del Medioevo),

come già anticamente Polibio, dà per assodato che all’“acme” di ogni civiltà, debba

necessariamente conseguire una “katasftrofè”: “Voi sapete, o signori, che quando un ramo della

cultura, quando anzi, in genere, una manifestazione della civiltà umana per opera di uomini insigni

raggiunge un’alta potenza, suole pur troppo succedere un periodo di decadimento per l’esagerazione

di quei mezzi stessi che cooperarono al passato incremento”26. E prosegue criticando il decadimento

23

Benché gli studi giuridici gli fossero stati praticamente imposti e a dispetto della laurea qui celebrata continuarono per tutta la vita a non andargli troppo a genio. Soprattutto secondo l’impostazione allora predominante e che egli aspramente criticò nei Difetti della Giurisprudenza, mostrando invece una predisposizione singolare e affatto moderna nel De Codice Carolino.24

Quid conferat ad iuris criminalis historiam homericorum hesiodeorumque poematum studium: la tesi di laurea scritta nella lingua di Cicerone, della quale si conserva l’originale presso l’Almo Collegio Borromeo di Pavia per una donazione di un nipote di Contardo nel 1953, risale al 1880 (ma fu pubblicata a Berlino, Calvary, nel 1881, con dedica ai professori della Facoltà di Giurisprudenza e a Giovanni Canna della Regia Università di Pavia) ed è fin dal titolo tutto un programma e una chiara esortazione ad approfondimenti che forse fino ad ora solo la professoressa Eva Cantarella dell’Università degli Studi di Milano ha preso in considerazione ad oltre un secolo di distanza, nei suoi corsi di Diritto Greco. Sulla tesi tornerò in nota nel prossimo capitolo.25

MurStDir, p. 6. 26 MurStDir, p. 10.

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della scolastica con le sue “vacue astruserie” e del barocco dove l’irrequieta esigenza del grandioso

trascende i confini dello strano.

Risalendo con ordine all’inizio della lectio di Contardo Ferrini, non possiamo trascurarne

l’intento parenetico e, per una sorta di positiva deformazione professionale, eminentemente

didattico. Ma sgombero subito il campo da eventuali fraintendimenti: didattica, per Ferrini, non è la

semplificazione ai minimi termini del contenuto, ma il freno ad una forma eccessivamente elaborata

e la briglia, saldamente tenuta, alle digressioni e alle continue parentesi aperte e mai chiuse, che

ingenerano nell’uditorio stordimento e confusione. Nella prefazione del Digesto, che pubblicò

mentre era a Modena, una anno prima di questo discorso, scrisse: “L’esperienza mi ha dimostrato

che nell’insegnamento devesi tenere la massima semplicità di espressione, e che la continua

menzione di scrittori, di libri, di controversie minute ed erudite genera spesso confusione e

impedisce la chiara comprensione delle cose fondamentali. Perciò il mio insegnamento s’è sempre

venuto rendendo più chiaro e metodico”27. Il suo pubblico, però, in questo caso non è costituito di

soli studenti, anzi per la maggior parte dai colleghi, che non cerca di affascinare con una

straordinaria preparazione che pure sarebbe stato in grado di esibire, bensì di esortare –pertanto

dicevamo “parenetica”– all’approfondimento di un testo-monumento della storiografia italiana, il

cui studio non era aduso presso i cultori del diritto: le settantacinque dissertazioni dette Antiquitates

italicae medii aevi di Lodovico Antonio Muratori28.

La storiografia giuridica del tardo secolo Decimonono era solita esaurire la produzione

muratoriana di sua stretta competenza nel “best-seller” Dei difetti della Giurisprudenza29, essendo

27

C. FERRINI, Il Digesto, op. cit., p. VI.28

L. A. MURATORI, Antiquitates Italicae medii aevi, sive dissertationes de moribus, ritibus, religione, regimine, magistratibus… Italici populi referentibus post declinationem Romani Imperii ad annum usque MD. Omnia illustrantur et confirmantur ingenti copia diplomatum et chartarum veterum… additis etiam nummis, chronicis, aliisque monumentis numquam antea editis, Mediolani, ex typographia Societatis Palatinae in Regia Curia, MDCCXXXVIII - MDCCXLII, Volumina VI. 29

L. A. MURATORI, Trattato dei difetti della giurisprudenza, nuova edizione a cura si Arrigo Solmi, Roma, Formiggini, 1933. L’edizione principe del trattato del Muratori è quella dello stampatore Pasquali di Venezia, in folio, uscita nel 1742; questa fu seguita immediatamente dalla più maneggevole edizione in 16°, presso lo stesso stampatore, in Venezia (1743). Altre pubblicazioni seguirono quasi immediatamente, divulgando l’opera muratoriana, che ebbe larghissima fortuna: l’edizione in 4° di Napoli (1742), quella in 12°, pure di Napoli (1743). Larghissima diffusione ebbe anche

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rimasto inedito fino a metà Novecento, per espressa volontà dello stesso autore, il De codice

Carolino30. Ferrini si spinge oltre e stupisce i convenuti al festeggiamento di quel bicentenario, con

una trattazione rapida, ma densa di spunti, sulle Antiquitates italicae. Ma come la storiografia

criminale si è fino ad ora disinteressata dello studio di Omero ed Esiodo, trascurando l’invito del

coraggioso laureando31, così quella specificamente muratoriana ha obliato il cortese e puntuale

invito del poliedrico Ferrini. Sicché anche uno studio attento e dal quale si è attinta materia per le

prossime pagine, come quello di Enrico Pattaro, intitolato Il pensiero giuridico di Lodovico Antonio

Muratori tra metodologia e politica32, su quasi trecento pagine non cita nemmeno una volta le poco

politiche, ma assai “metodiche” Antiquitates italicae.

Le quali, sin dalla prefazione, dichiarano la novità dell’argomento storiografico: il ritorno in

auge dell’Età di mezzo, tempo di non inerte collegamento tra i fasti dell’Impero e le prospettive

della Rinascenza quattrocentesca: Muratori non risparmia un’invettiva sagace ai dotti suoi

contemporanei e Ferrini sintetizza: “se agli eruditi capitava in mano qualche trattato, qualche carme,

qualche legge, era gala se li mettevano da parte, o rigettavano senza manifestare il loro disprezzo”33.

L’oratore, trasportato dai sentimenti di un italiano post-risorgimentale, invaghito della storia nelle

sue manifestazioni più poetiche e così lontane da quell’approccio economicistico che nelle scuole

del XXI secolo sa ancora far andare di traverso agli studenti una delle discipline più belle e

l’edizione di Trento (1744).30

Nell’Archivio Muratoriano presso la R. Biblioteca Estense di Modena, filza V, 2°, vi è un manoscritto autografo del Muratori (di 13 fogli in 4°, pari a pag. 52 complete), che reca questo il titolo De Codice Carolino sive de Legum Codice instituendo ad Augustissimum et invictissimum Romanum Imperatorem Regumque Hispaniarum Carolum VI. Consultatio et Adhortatio auctore Ludovico Antonio Muratorio Serenissimo Ducis Mutinæ Biblioteca Præfecto. Si tratta di una dissertazione del Muratori, composta forse verso il 1730, indirizzata all’imperatore Carlo VI, in cui il Muratori, prendendo in esame le leggi e la giurisprudenza del suo tempo, invita il Principe ad una codificazione, per far giustizia dell’incertezza e dell’ambiguità dominanti. Il disegno fu abbandonato dallo storico, per essere poi nuovamente approfondito nei Difetti della Giurisprudenza; tale connessione è dichiarata dallo stesso Muratori, con una nota autografa posta in capo alla prima pagina del manoscritto: «Non s’ha da dare alla luce per varj riguardi, e poi perché me ne son servito ad altra opera». L’opera ha dunque visto la luce solo nel 1935 a Modena, in appendice a B. DONATI, Ludovico Antonio Muratori e la giurisprudenza del suo tempo, pp. 173 e sgg. 31

Supra, n. 22.32

E. PATTARO, Il pensiero giuridico di Lodovico Antonio Muratori tra metodologia e politica, LXV saggio nella collana delle Pubblicazioni del Seminario giuridico della Università di Bologna, Milano, Giuffrè, 1974.33

MurStDir, p. 6.

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appassionanti, si stupisce insieme al Muratori del disinteresse provato per il “periodo in cui si

svolsero le istituzioni feudali […] i liberi comuni […] moti generosi e potenti come le crociate”, in

cui si contrappose alle “sanguinarie prepotenze […] la mite poesia di Francesco d’Assisi” e mentre

si rinnovava l’ideale della latinità, “l’alto sentimento germanico della individualità si disposò al

concetto cristiano della carità universale”, tempo delle cattedrali, e dell’incontro di “correnti

etnografiche”, “in cui pensò Tommaso d’Aquino e cantò Dante Alighieri”34. Ascoltando parole

simili viene da chiedersi come oggi il giurista Ferrini scriverebbe il preambolo per una ipotetica

“Costituzione per l’Europa”…

Ma veniamo oltre, perché il Medioevo “non è solo il tempo delle invasioni, dei baldi

ardimenti della cavalleria e de’ trovieri; è anche un tempo di vita giuridica intensa, ben superiore a

quella de’ giorni nostri; […] l’idea giuridica s’impone ai popoli e penetra profondamente nella

stessa coscienza delle masse e dà veste e nome ai grandi movimenti politici e sociali”35. E’ proprio

il confronto fra le civiltà che messe a contatto si fondono, a dare impulso e occasione di progresso

al legislatore barbaro, il quale lasciava al vinto il suo diritto, senza trascurare di accoglierne le

migliori norme e consuetudini nella propria produzione legislativa, insieme alla lingua e alla

terminologia tecnica. E pure nei secoli più oscuri il culto dell’idea latina viene mantenuto dalla

Chiesa: “Ecclesia vivit lege romana ed è nel silenzio dei chiostri che le Istituzioni, il Codice e le

Novelle di Giustiniano si vanno trascrivendo”. Ferrini è dell’avviso che la forma iuris della Chiesa

costituisse nello stesso tempo il riflesso e la causa di un ordine avente nella christianitas l’elemento

archetipo e propulsivo: “anche la Chiesa scrive e coordina il suo diritto, anche la Chiesa possiede

ormai il suo Corpus iuris, dove non solo si trova la disciplina interna della gerarchia, ma dove tutti i

precipui rapporti pur del diritto privato hanno menzione e norma non sempre rispondente all’antica

norma romana”36. Questa, a suo dire, venne corretta per il convergere di parecchi fattori quali “un

senso più profondo delle esigenze morali, una tendenza a far prevalere sulla forma la sostanza delle

34 Ibidem.35

Ivi, pp. 6-7. Il corsivo è mio.36 Ivi, p. 7.

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cose, sulle considerazioni d’interesse egoistico massime di benevolenza sociale”. In tal modo,

“trovò una sanzione giuridica l’idea cristiana che sempre più penetrava negli intelletti e nei cuori”37.

Ferrini continua parlando della “lotta mirabile fra la Chiesa e l’Impero, quel formidabile cozzo di

così diverse energie” e “di quel fervore di vita economica e mercantile che si risveglia nel paese

nostro, che ne porta lontana l’influenza oltre i monti e oltre i mari, in cui gareggiano le città nostre

maggiori”38. Si poteva sentire, in queste frasi e nell’andamento di talune parti di questo discorso, la

presentazione della civiltà medievale come edificio saldamente costruito sulle basi del cristianesimo

e sorretto dalla pervasiva e costante azione ecclesiastica, specie dei pontefici romani, che aveva

garantito una convivenza equilibrata e giusta. Si trattava, come ad esempio nello stesso anno aveva

sostenuto Giuseppe Toniolo, di paradigmi insuperati e da riprodurre, pur con le opportune varianti39.

Anche Ferrini sembrava collocare le prospettive dell’efficacia pubblica del cattolicesimo entro lo

schema della restaurazione della societas christiana, che il disegno di Leone XIII aveva

ripetutamente additato come modello per la riconquista religioso-civile della Chiesa sulla società40.

A questo punto Ferrini, che sa bene di non essere uscito dal tema propostosi, teme che così la pensi

il suo uditorio: non tarda dunque a giustificarsi, dicendo che si è limitato ad enumerare “i principali

argomenti sui quali le pazienti e originali indagini del Muratori hanno recato la luce”41. Risultati che

lo storico di secenteschi natali avrebbe ottenuto con lo studio comparato e la minuta riproduzione di

noti, ma perlopiù inediti atti, documenti, diplomi, rogiti e strumenti notarili, cronache, leggi,

monete, medaglie ed iscrizioni, applicando alla conoscenza del Medioevo il paradigma

metodologico che il suo concittadino Sigonio aveva utilizzato per l’indagine delle antichità romane.

37

Ivi, pp. 7-8.38

Ivi, p. 8. 39

G. TONIOLO, La pretesa “evoluzione sociale della Chiesa”, in Rivista Internazionale di scienze sociali e discipline ausiliarie, II/6 (1894), pp. 3-36. 40

Sull’efficacia pubblica del cattolicesimo per Contardo Ferrini, si veda specialmente l’ottimo saggio di A. ZAMBARBIERI, Contardo Ferrini tra mistica e cultura, in D. MANTOVANI (a cura di) Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit., pp. 11-55.41

MurStDir, p. 8.

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Ma la tecnica muratoriana è ulteriormente affinata e cerca costantemente il “diretto appoggio dei

documenti” e solo con cautela e riserbo si spinge a qualche congettura che la storiografia successiva

ha poi sovente trovato non priva di fondamento.

D’altro canto la commemorazione di Ferrini, se da un lato la definimmo parenetica, di sicuro

non è panegirica: riconosciuto “l’altissimo pregio della sostanza”, una critica è avanzata contro il

“difetto della forma”: “nulla, in apparenza di più slegato”42. Muratori infatti trascrive interi

lunghissimi documenti, facendo parco uso di note e appendici e rende così ostica e pesante la

lettura. Non si tratta, però, né di sfoggio d’erudizione, né d’inabile capacità retorica, al contrario

dimostrata con successo anche solo in Dei difetti della giurisprudenza. Egli, infatti, desiderava

tramandare documenti, spesso ottenuti dopo anni di ricerche e contatti epistolari e recapitatigli

direttamente a Modena da ogni angolo d’Italia, ad onore del vero e a suffragio dell’autenticità delle

sue fonti, ma nondimeno per evitare i rischi che lo storico ben conosce43 dell’ambiguità delle

citazioni lette fuori dal loro contesto, utili, oggi si potrebbe aggiungere, ad alimentare un metodo

storiografico verificazionista e anti-popperiano.

Muratori avverte il suo lettore nei casi in cui paventa la mancanza di genuinità delle fonti e

del resto dedica una sagacissima dissertazione –la XXXIVa all’inizio del III tomo– che dà esempi

mirabili di critica sottile e arguta nel discernere i documenti veri da quelli falsi o manipolati.

Ferrini, a chiusa del discorso sul metodo del Muratori, riporta un giudizio di Manzoni44, che dipinge

il modenese come un “cercatore indefesso, discernitore guardingo, editore liberalissimo di memorie

di ogni genere”, ben lontano dai modelli di suoi contemporanei stigmatizzati nei Promessi Sposi e

tra tutti penso specialmente a don Ferrante e, perché no, allo stesso Anonimo secentesco cui tutta la

42 Ibidem.43

Rischi che dall’Università di Ragensburg hanno recentemente dispiegato i loro effetti a livello planetario con la divulgazione decontestualizzata di un passo dei Dialoghi fra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1391-1425) e il saggio persiano Mudarris nella dotta lectio del 12 Settembre 2006 di Papa Benedetto XVI, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, in www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/september/documents.44

Non sono stato in grado di collocare il giudizio su Muratori espresso dall’autore dei Promessi Sposi, ripreso da Contardo Ferrini in MurStDir, p.9. Manzoni d’altro canto fa riferimento al Muratori nel suo Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia e, con giudizio meno lusinghiero di quello citato, nella Storia della colonna infame.

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storia, o meglio l’Historia (non a caso prima parola del sommo Romanzo storico) sarebbe stata a

metà Ottocento attinta.

Pare, al Ferrini, che il secondo cinquantennio del suo secolo fosse erede diretto della prima

metà del Settecento in cui visse Muratori, quasi scavalcando la parabola secolare che vi stava in

mezzo. Ovvero quei cent’anni di un Illuminismo che, imbaldanzito dalla superiorità della Ragione

scoperta più nel “vaniloquio filosofico”, che nelle “ricerche minute e rigorose” da parte di “uomini

più forniti di spirito che d’ingegno, più eleganti nell’espressione che sicuri nel ragionamento”,

considerò il Medioevo come “vilains siècles d’ignorance”45. Sicché gli illuministi ebbero una

concezione infima della storia medievale e a maggior ragione del suo diritto che, se in buona parte,

a livello di negozi e procedure, il Muratori avrebbe salvato o addirittura ripristinato dal diritto

barbarico (come il processo sommario, ad onta di quello farraginoso e arbitrario a lui

contemporaneo)46, Cesare Beccaria47, i fratelli Verri o altri Caffettieri avrebbero, invece, ben

volentieri eliminato, facendo giustizia di qualsiasi benché minimo riferimento allo Ius Commune:

giustizia poi in concreto fatta dai Codici illuminati francese ed austriaco48.

45

MurStDir, p. 10. 46

Di “spedite procedure longobarde”, Muratori parlò pure nel Trattato dei difetti della giurisprudenza, dove, al capitolo XIV, scriveva: “Noi appelliamo barbari i Longobardi e i Franchi, e v’ha taluno [Andrea d’Isernia] che scioccamente ha appellate asinine le loro leggi, quantunque leggi quasi tutte lodevoli e buone. Ma certo nella lor semplicità erano essi esenti da quel malanno dannosissimo di cui ora parliamo. In uno o due o tre placiti ordinariamente si soleano produr le scritture e i testimoni occorrenti a dir le ragioni delle parti, e si veniva tosto alla sentenza”. 47

C. BECCARIA, Dei delitti e delle pene (la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli ha proposto nel 2001, nell’ambito della collana “Biblioteca Europea” l’anastatica dell’Edizione rivista, corretta e disposta secondo l’ordine della traduzione francese. Approvato dall’Autore coll’aggiunta del commentario alla detta opera di Mr de Voltaire tradotto da celebre Autore, Londra, Presso la Società dei Filosofi,1774, dalla quale traggo la citazione), inizia la prefazione “A chi legge”, scrivendo: “Alcuni avanzi di Leggi di un antico Popolo conquistatore, fatte compilare da un Principe, che dodici secoli fa regnava in Costantinopoli, frammischiate poscia co’ riti Longobardi, ed involte in farraginosi volumi di privati, ed oscuri interpreti, formano quella tradizione di opinioni, che da una gran parte dell’Europa ha tuttavia il nome di Leggi”.48

Rispettivamente con l’articolo 7 della legge 30 Ventoso anno XII (21 Marzo 1804), n. 3677e con la Patente 1° Giugno 1811 di promulgazione del Codice Civile Generale.

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“Fu solo in principio di questo secolo, che cominciò un salutare movimento di riscossa”49.

Capitanato dal Savigny50, in Italia ebbe come “epigoni” del Muratori, Carlo Troya51, Baudi da

Vesme52, Carlo Promis53 e Amedeo Peyron54. Viene da essi ribadita la dignità di ogni cultura

giuridica, approfondita con la ricerca inesausta di documenti, “la relativa illustrazione, la

comparazione degli istituti giuridici di un popolo con tutte le altre manifestazioni della civiltà sua”,

49 MurStDir, p. 10.50

Friedrich Carl von Savigny, (Francoforte sul Meno, 1779 - Berlino, 1861) fondatore della corrente filosofica di stampo romantico dello Storicismo e della sistematica del diritto romano, si distinse per l'importanza da lui attribuita alla storia nella formazione delle nazioni e del diritto, attaccando in maniera veemente le codificazioni contemporanee e vedendo, invece, nelle consuetudini locali la più spontanea espressione del diritto. Si vedano F. C. SAVIGNY, Vom Beruf unserer Zeit für Gezetzgebung und Rectwissenschaft (Della vocazione del nostro tempo per la legislazione e la giurisprudenza), Heidelberg, 1814 e System des heutigen römischen Rechts (Sistema del diritto romano attuale).

51 Carlo Troya, (1784-1858) fu autore di una fortunata Storia d’Italia nel Medioevo e di alcuni saggi storici, tra cui Della condizione de’ romani vinti da Longobardi e Del vetro allegorico di Dante.52

Baudi da Vesme, (Cuneo, 1809 – Torino, 1877) Conte di San Martino, di Rivalba e di Buttigliera, si laureò in giurisprudenza all’università di Torino nel 1830 e sposò Amata de Corbeau-Vauserre dalla quale ebbe sette figli; fu membro della Deputazione di storia patria di Torino, eletto alla Camera dei Deputati per tre legislature dall’aprile 1848 all’ottobre 1849, fu Senatore dal 1850, Cavaliere e Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro e Cavaliere dell’Ordine civile dei Savoja; tra le sue pubblicazioni storico-giuridiche Edicta regum Longobardorum quae comes Baudi a Vesme in genuinam formam restituit secundum editionem Augustae Taurinorum repetenda curavit J. F. Neigebaur, cum appendice: Regum Langobardorum leges de structoribus, Monachii, Sumptibus et typis Georgii Franz, 1850.53

Carlo Promis, (Torino, 1808 – 1873) Architetto e storico dell'architettura, esponente dell'Ecclettismo, si occupò prevalentemente dell'aspetto didattico dell'architettura. Laureatosi presso la facoltà di Architettura di Torino nel 1828, si trasferì a Roma per circa otto anni, dove conobbe C. Fea, L. Canina, A. Nibby, e dove si dedicò agli studi di archeologia e di disegno degli edifici antichi. Nel 1836 ritornò a Torino, continuando il lavoro di ricerca storica. Nel 1837 fu nominato Ispettore dei Monumenti d'Antichità nei Reali Stati. Dal 1843 al 1869 ricoprì la cattedra di Architettura Civile presso la Scuola di Applicazione degli Ingegneri di Torino in seguito alla nomina ricevuta direttamente da Carlo Alberto. Per quanto riguarda la produzione architettonica di Carlo Promis sono da ricordare: il progetto della basilica da costruire presso il Valentino (1846), il progetto urbanistico di piazza Carlina (1851), la riqualificazione architettonica e urbanistica delle vie e piazze porticate tra viale del Re e viale di S. Salvario (1852), e nella zona di Porta Nuova, la realizzazione di case porticate per il corso della Cittadella, ora piazza Solferino (1853), il progetto (eseguito postumo) di un edificio pubblico a sostegno di Porta Palatina (1871). Inoltre ha lasciato numerose e importanti opere storiche riguardanti il Piemonte e i commentari all’opera citata di Baudi da Vesme, Regum Langobardorum leges de structoribus quas C. Baudius a Vesme primus edebat Carolus Promis commentariis auxit secundum editionem augustae Taurinorum repetendas curavit J. F. Neigebaur, Monachii, G. Franzius, 1853.54

Amedeo Peyron, (Torino, 1785 – 1870) filologo classico e antichista, studioso di papirologia e di diritto antico, dal 1815 tenne la cattedra di Lingue orientali nell’Università torinese. Discepolo di Tommaso Valperga di Caluso, dopo la laurea (1808) e l’ordinazione a sacerdote (1809) succede al maestro sulla cattedra di lingue orientali (1815). Socio dell'Accademia delle Scienze di Torino (di cui è tesoriere dal 1826); ricopre numerosi incarichi nel mondo culturale e politico sabaudo (docente dell’Ateneo, direttore della Biblioteca Universitaria e promotore del Museo Egizio; Rettore nel triennio 1826-1829; membro del Magistrato della Riforma, del Consiglio Superiore dell’Istruzione Pubblica e della Giunta di antichità e belle arti; senatore del Parlamento subalpino) fino al ritiro dalla vita pubblica e dalla docenza – ma non dagli studi - nel 1849. Aperto alla lezione filologica di matrice germanica, con l’edizione dei frammenti di Empedocle e di Parmenide (Lipsia 1810) riconsegna all’Italia la prassi dell’edizione critica dei classici, emigrata oltralpe dai tempi della Controriforma. La perizia di Peyron si conferma a livello europeo con la successiva edizione dei frammenti torinesi di palinsesti ciceroniani (Stuttgart-Tübingen 1824). Dello stesso anno è l’edizione dei frammenti del Codice Teodosiano da un palinsesto dell’XI sec. che costituisce un importante capitolo nella storia del diritto antico. I

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nella ferma convinzione che “di nessuna gente, per quanto barbara, tornasse inutile conoscere la vita

giuridica”55. Simili idee circolarono tra questi studiosi, fino a portare “la scienza nostra ad un alto

grado di sviluppo” grazie alle occasioni del loro confrontarsi, in altre parole grazie all’Università,

intesa davvero come luogo d’incontro del sapere nell’universalità dei suoi aspetti, approfonditi dalle

singole discipline56.

A questo punto s’innesta una lucida considerazione premonitoria rispetto agli esiti di oltre

cinquant’anni più avanti di storiografia giuridica e rimasta inascoltata, in taluni casi, ancora oggi. Si

fa qui riferimento alle aberrazioni di ogni abuso interpolazionistico nella ricostruzione storica e il

rimando immediato, ancorché implicito, è a un certo tipo di studio del diritto giustinianeo nel

velleitario intento di riportare alle forme pure il jus classico57 Se il merito di Lodovico Antonio

suoi lavori sui papiri greci del Museo Egizio di Torino (1826-1828) aprono nuove vie alla papirologia documentaria e alla conoscenza dell’Egitto tolemaico. Infine, intervallati a lavori di più stretta pertinenza orientalistica (un lessico e una grammatica della lingua copta, interventi sulla tradizione biblica e sull’Egitto) e a scritti di storia sabauda, si segnalano gli studi di storia greca che culminano nella traduzione ed esegesi di Tucidide, Della guerra del Peloponneso libri VIII, volgarizzati ed illustrati con note e appendici, I-II, Torino 1861). Disincantato testimone della genesi dello Stato unitario, osservatore attento e pessimista degli aspetti pedagogici dell’insegnamento (Dell’istruzione secondaria in Piemonte, Torino 1851), l’abate Peyron non lascia scolari diretti, se si esclude il nipote Bernardino Peyron, 1828-1903, orientalista e bibliotecario dell’Ateneo torinese. Egli assiste in disparte al passaggio dall’erudizione tardo-umanistica al metodo filologico di derivazione tedesca di cui è comunque ispiratore e esempio, soprattutto con l’impulso dato alla politica di apertura ai dotti di Germania - come Barthold Georg Niebuhr, Friedrich Ritschl, Theodor Mommsen - messa in atto dall’Accademia delle Scienze di Torino.55

MurStDir, p. 10. 56

Fare esperienza di Universitas è sperimentare che “noi, nonostante tutte le specializzazioni, che a volte ci rendono incapaci di comunicare tra di noi, formiamo un tutto e lavoriamo nel tutto dell’unica ragione con le sue varie dimensioni, stando così insieme anche nella comune responsabilità per il retto uso della ragione […]” sono parole ormai note di Papa Benedetto XVI (Fede, ragione e università, op. cit.) che avrebbero trovato largo consenso in professori come Ferrini o in storici come quelli da lui citati o in quei suoi colleghi che coi loro busti marmorei s’incarnano anche architettonicamente nell’Alma Ticinensis Universitas, ma che chiamano pure a riflettere se questa idea sia ancora in concreto la vitale vocazione delle nostre università.57

La scoperta nel 1816, del Palinsesto veronese contenente le Istituzioni di Gaio, quella dei Fragmenta Vaticana che restituivano passi di commentari di giuristi romani e altri minori ritrovamenti, suggerendo il confronto con il Digesto di Giustiniano, caricavano di particolare interesse le parole dell’Imperatore stesso che, nella costituzione Tanta, con cui emanava il Digesto, affermava che nell’opera d’escerzione dei frammenti delle opere dei giuristi classici “multa et maxima sunt, quae propter utilitatem rerum transformata sunt” (§ 10), al punto da non lasciar inalterati neppure i testi delle costituzioni imperiali che i giuristi classici avessero richiamato nelle loro opere. Di qui il nascere e il progredire di quella critica interpolazionistica, volta a depurare il testo giustinianeo degli elementi estranei e spurii introdotti dai compilatori e restituire così il genuino dettato del giurista classico. Solo che la moderna critica interpolazionistica portava, fin dalle origini, due vizi: da una parte nasceva con un fine che le era estraneo, dando una mano alla dommatica pandettistica nel togliere quanto nei testi finisse col turbare le armoniche costruzioni concettuali del positivismo giuridico e, dall’altra, partiva dal presupposto, fallace nella sua assolutezza, che il pensiero dei giuristi classici fosse di tale rigore logico (“matematico” eran d’accordo nel definirlo sia Leibniz che Savigny) da non tollerare la minima incrinatura nell’argomentazione giuridica. Al riguardo si veda F. BONA, Contardo Ferrini tra storia e sistematica giuridica in Nuovo Bollettino Borromaico, n. 20, settembre 1982, Pavia, Tip. Commerciale Pavese, pp. 33-49 ora in Cento anni di bibliografia su Contardo Ferrini in Nuovo Bollettino Borromaico, n. 31, 17 ottobre 2002, pp. 93-104 e specialmente ho attinto alle pp. 94-95.

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Muratori è stato quello di “non disgiungere l’esercizio della critica dalla ricerca coscienziosa”58,

certo si deve avvertire che l’equilibrato bilanciamento fra la critica e la ricerca non è operazione

facile; anche perché la prima esercita sullo storico un’attrattiva maggiore, vuoi per l’impiego

dell’ingegno e la manifestazione della propria perspicacia, vuoi perché appunto per questi motivi

viene in evidenza l’individualità dello studioso più per le sue capacità interpretative che, appunto,

per la ricerca diligente, la quale resta un’attività fondamentale, ma di mera riproduzione.

“Oggidì in non pochi storici del diritto tale attrattiva fu sentita più del dovere e la critica è

trascesa in ipercritica, il che significa –poiché gli estremi si toccano– che è data troppa parte alla

fantasia. Il documento, il fatto non è più il punto di partenza dell’indagine; lo storico procede invece

da qualche sua congettura, da qualche ricostruzione ingegnosa, geniale anche se vuolsi, ma pur

sempre arbitraria; se i fatti non si piegano ad essa, si fanno piegare; se i documenti non rispondono,

si dichiarano senza troppi scrupoli falsi; se la falsità non può assolutamente sostenersi, si dichiarano

alterati; se anche l’alterazione è manifestamente impossibile, se ne danno interpretazioni artificiose,

contorte, stravaganti”59. L’ipercriticismo che, in questo modo, si andava preparando finì col

condurre ad un, seppur nascosto, antitribonianismo, per cui la “caccia alle interpolazioni”, diventata

quasi fine a se stessa, si gloriava di aver stanato quanto d’irrazionale, di inetto, d’incongruo, di

concesso ad esigenze etiche o sociali estranee al sistema i compilatori avrebbero affastellato, senza

che la stessa critica si desse sempre carico delle ragioni sostanziali che avrebbero indotto i

compilatori ad alterare i testi classici. Pubblicando così documenti inventati e a piacimento

rimanipolati, non si è fatto altro che ritardare il progredire degli studi, perché i nuovi specialisti non

sono più in grado di raccapezzarsi sulle fonti cui dare credito. “Ma vorrei levare una voce in tempo,

perché non si perda il frutto di tante laboriose ricerche…”60: voce di uno che grida nel deserto,

anche a Ferrini si applica l’adagio evangelico del nemo propheta in patria. E non si pensi che

58

MurStDir, p. 11.59

Ibidem. 60

Ibidem.

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questa sia stata l’unica occasione in cui il Nostro si fosse erto in maniera decisamente critica contro

questo antitribonianismo di maniera. Un simile atteggiamento si coglie in sue ricerche di notevole

respiro, quali “Le presunzioni in diritto romano”61 e, un anno dopo la declamazione modenese, la

recensione del contributo di Henry Appleton “Des interpolations dans le s Pandectes et des

méthodes propres à les découvrir”62.

D’altro canto la questione dell’atteggiamento di Ferrini verso la nascente critica

interpolazionista è un punto nevralgico nella valutazione della sua figura scientifica63.

Ferrini sostiene che l’auctoritas metodologica cui guardare dovrebbe essere quella del Muratori e

un buon modello (forma a parte, come già si diceva) quello delle Antiquitates italicae. Delle quali

passa ad elencare i contenuti. Il versatile storico di Vignola discorre dell’elezione degli imperatori

romani e dei re italici, degli officia della domus regis e dunque delle cariche principali: duces,

marchiones, comites palatii, missi regii, minores iustitiae ministri, ma è talmente minuziosa la

distinzione dei rapporti in categorie, soprattutto di duchi, da aver ingenerato, in una poco attenta

storiografia successiva, molta confusione. L’undicesima dissertazione è dedicata ai feudi e alla loro

61 C. FERRINI, Le presunzioni in diritto romano in Rivista italiana di scienze giuridiche, XVI (1892), pp. 258-294, ma riportate nel terzo volume delle Opere di Contardo Ferrini. Studi vari di diritto romano e moderno, a cura di Emilio Albertario, Milano, Hoepli, 1929, pp. 417-451.62

C. FERRINI, Recensione a H. Appleton, Des interpolations dans les Pandectes et des méthodes propres à les découvrir, in Rivista italiana di scienze giuridiche, XIX (1895), pp. 208-209, ma riportate nel secondo volume delle Opere di Contardo Ferrini. Studi sulle fonti del diritto romano, a cura di Emilio Albertario, Milano, Hoepli, 1929, pp. 526-527.63

Sic in D. MANTOVANI, Contardo Ferrini e le opere dei giuristi, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit. p. 160, il quale riprende F. BONA, Contardo Ferrini tra storia e sistematica giuridica, op. cit. Secondo Mantovani nell’opera di Ferrini, concentrata dapprima sulla ricostruzione del pensiero dei singoli giuristi romani e solo in seguito sulla sistematica elaborazione degli istituti giuridici classici, si potrebbe riconoscere una graduale evoluzione dell’approccio metodologico, che alla fine avrebbe sposato una cauta filologia depuratrice d’interpolazioni, nella cornice della quale avrebbe comunque preso alcuni abbagli come quello del costrutto “licet…attamen”, che escludeva potesse essere classico. Una prima tappa correrebbe dal 1885 al 1887, gli anni del ritorno da Berlino, a cui risalgono gli studi su Cascellio, Tuberone, Mela, Atilicino, Plauzio, Fulcinio Prisco, Viviano, Ottaveno e Pedio. Sono indagini con un impianto ricorrente in cui i giuristi non vengono calati nel loro ambiente politico, culturale ed economico, ma piuttosto valutati per loro complessiva originalità dottrinale, e racchiusi in bozzetti di tuttora viva espressività.A partire dal 1887, le indagini sulla storia della giurisprudenza non sono più intitolate a nomi di giuristi ma ad opere. L’abbandono delle indagini sui giuristi ha varie motivazioni: la pubblicazione della Palingenesi di Lenel, che attrae lo sguardo sui profili d’ordine sistematico, la nascente critica interpolazionista, che diminuisce la fiducia di poter ricuperare l’identità dei giuristi e un crescente interessamento per gli studi condotti con riferimento ad istituti. Alla terza fase, infine, appartengono i lavori sulle fonti delle Istituzioni di Giustiniano che, dal 1885, occuperanno Ferrini per 15 anni. Si tratta di ricerche che affrontano un problema giuridico in chiave filologica, con ben più forti aperture al metodo interpolazionista.

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origine, che si riporta ai secoli X e XI, come risultato della fusione di due istituzioni carolinge, il

“beneficio” e il “vassallaggio”64.

Le dissertazioni toccano poi la condizione di notai, aldii, arimanni, servi e homines de

masnada e le varie origini della servitù, con opportuna illustrazione dei rapporti personali e

patrimoniali con i padroni, “in accordo con lo stato attuale delle cognizioni”, sottolinea Ferrini,

facendo specifico riferimento al contributo su questi temi dello Schupfer nell’Enciclopedia giuridica

italiana65.

Sul fisco nel Medioevo, Muratori si sofferma parlando di faeneratores, tributi, confische,

banna e zecche; il diritto commerciale è affrontato quando descrive i mercati, i privilegi dei

mercanti e i banchi di cambio, nonché i trattati mercantili, con i quali già sfiora gli argomenti di

diritto internazionale analizzati nel Tomo quarto, al centro del quale sta la vita dei liberi comuni con

le reciproche guerre, represaliae, alleanze e paci e gli specifici privilegi imperiali e immunità.

Tornando ancora al secondo Tomo, “la condizione delle donne –descrive Ferrini–, specialmente

sotto i Longobardi, con illustrazione delle relative istituzioni giuridiche (mundio, mundualdo,

faderfio, metamorgincap), sono temi di dissertazione […] a cui si aggiungono quella sulle «leges

italicae» e quella sui placiti”66. Del terzo Tomo delle Antiquitates, Ferrini apprezza, oltre ai discorsi

su carte e sigilli, quelli sull’enfiteusi, ma in particolare la dissertazione intorno all’istituto della

precaria, “che qui viene per la prima volta illustrato e ben distinto tanto dal livello, quanto dal

precario romano”67. D’altro canto l’oratore non può esimersi dal rilevare, e al contempo giustificare,

64 Un saggio spesso trascurato sull’origine dei feudi, anteriore alla storiografia francese novecentesca di cui caposcuola in materia è M. BLOCH, La société féodale, Paris 1939, trad. it. La società feudale, Torino, Einuadi, 1971, è quello di un giovane Giuseppe Zanardelli, ancora tenuto lontano dalla politica da parte del regime austriaco e votato al giornalismo e alla storia del diritto, che sulla rivista milanese di Carlo Tenca, Il Crepuscolo, pubblica a puntate una interessante recensione alla Storia dei feudi di Sartori di Sacile: Il Crepuscolo, a. III, n° 8, 27 Febbraio, pp. 133-137; a. III, n° 45, 7 Novembre 1852, pp. 713-716; a. III, n° 46, 14 Novembre 1852, pp. 728-730. Gli articoli sulla storia dei feudi sono stati ripubblicati recentemente da G. GANGEMI, La linea lombarda del federalismo. Carlo Cattaneo, Giuseppe Zanardelli e Arcangelo Ghisleri, Roma, Gangemi, 1999, pp. 47-90.65

F. SCHUPFER, Aldi, liti e romani. Studi sulla società dei secoli barbarici, Milano, L. Vallardi, 1886, in Enciclopedia giuridica italiana, vol. I, parte II, voce “Aldi”.66

MurStDir, p. 13.67

Ibidem.

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una lacuna grave “ed è che il Muratori pensa che ne’ popoli germanici tali istituti sieno sorti dopo la

diffusione del cristianesimo illuso dalle forme che vanno assumendo e dai riti che li

accompagnano”68: le origini precristiane arcaiche, in taluni casi celtiche, però, sono tuttora

sottoposte ad indagini avallate dagli studi comparati di archeologia e antropologia, che al tempo di

Ferrini avevano tratto impulso anche dal monumentale Ramo d’oro di Frazer69.

La rapida rassegna dei temi presi in considerazione da Lodovico Antonio Muratori, a

conferma delle sue “grandi benemerenze” nei confronti della storia del diritto, si conclude con gli

istituti del diritto ecclesiastico affrontati nelle “Antichità italiche del Medioevo”: censi e redditi

della Chiesa Romana, immunità, oneri e privilegi del clero, advocati ecclesiarum e procedura

speciale per i chierici.

L’orazione di Contardo Ferrini, prima di chiudersi con una riflessione sulla funzione

legittimatrice e vivificante del Passato per l’Università, tocca cursoriamente due degli scritti più noti

del Muratori, di stampo il primo letterario e solo il secondo schiettamente giuridico, ma entrambi

imprescindibili per lo storico del diritto. Ferrini ricorda infatti come nella seconda parte del tomo

primo dei Rerum italicarum scriptores il Muratori pubblicasse una buona edizione dell’Editto di

Rotari, corredato di giunte, introduzione e note, su cui dovette lavorare a lungo e con fatica come

appare anche dalle sue lettere dirette al Sassi, prefetto della Biblioteca Ambrosiana. In quella del 26

Novembre 1722, ad esempio, Muratori scrive con tono rivelatore del suo stato d’animo: “Queste

benedette leggi mi fanno molto sospirare; ma farò quanto potrò e infine spero che la nostra edizione

avrà qualche pregio sopra le altre”70. Sul valore rivestito dalla legislazione nella comprensione della

storia di un popolo, secondo il pensiero muratoriano, è illuminante la stessa prefazione al volume in

cui compare l’Editto longobardo: “Nationum enim genium et acta ita in legibus introspicimus, ut in

speculo imaginem”.

68

Ibidem. 69

J. FRAZER, Il ramo d’oro, Roma, Newton Compton, 2006. La prima edizione di The Golden Bough: A Study in Magic and Religion è del 1890 in 2 volumi. La terza (1906-1915) in 12 volumi.

70 MurStDir, p. 14.

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Ferrini non trascura il fatto che quello che ai suoi tempi non poteva che essere considerato

un “insigne monumento legislativo” –stiamo sempre parlando dell’Editto di Rotari– venisse ancora

calunniato all’epoca del Muratori e non stupisce che commentatori del Codice giustinianeo di poco

anteriori, come Luca de Penna e Andrea d’Isernia avessero espresso apprezzamenti del tipo: “Ius

longobardicum est asininum et sine ratione”71.

Muratori era invece del parere che il diritto barbarico andasse studiato non solo per

intendere a fondo la storia di Goti, Visigoti, Vandali, Longobardi e altri popoli, bensì per riflettere

sulla formazione e l’eventuale riforma del diritto comune settecentesco. Con questa prospettiva,

l’abate Lodovico Antonio, che pure negli anni in cui pubblicava i Rerum italicarum scriptores

aveva esaltato le Costituzioni Piemontesi del 1723 e del 172972, sembra discostarsi dalla soluzione

adottata dal Re di Sardegna che aveva nei casi controversi proibito ogni intervento interpretativo

sulla scorta della dottrina giuridica73, rimettendo lo scioglimento dei dubbi alla decisione dei

giudici. Egli voleva invece che fosse lo stesso sovrano con la sua legge a sciogliere i punti

controversi del diritto vigente, togliendo ogni facoltà interpretativa ed ogni discrezionalità ai giudici

il cui arbitrio temeva fortemente e forse più ancora degli abusi degli interpreti, evidentemente nella

consapevolezza del carattere corporativo o di casta della loro classe, vero corps d’état della società

d’antico regime. Per queste ragioni, in attesa di un generale riordinamento legislativo e

giurisprudenziale, il Muratori affiancava alla proposta di “un piccolo codice nuovo di leggi” che

risolvesse in modo definitivo le questioni più dibattute nel foro e nella dottrina per l’autorità

sovrana della sua fonte, quella di un reclutamento selettivo dei giudici tra persone non solo estranee

71 Ivi, p. 15. Si veda, inoltre, l’implicito riferimento al giudizio incriminato di Andrea d’Isernia nel Trattato dei difetti della giurisprudenza, capitolo XIV, supra, n. 44. 72

Ancora nel Trattato dei difetti della giurisprudenza, parlando degli inconvenienti dei fedecommessi, al capitolo XVII avrebbe lodato l’opera di consolidazione del sovrano sabaudo: “[…] Egli è da desiderare che in primo luogo dappertutto si possa introdurre la provvisione che […] è stata specialmente ingiunta con utili regolamenti per gli suoi stati dal providentissimo re di Sardegna Vittorio Amedeo nel lib. V, tit. 2 delle sue costituzioni”. Ma tornando Muratori sull’argomento nella Pubblica felicità (capitolo X), preferì citare l’editto emanato a Firenze nel 1747 da Francesco I di Lorena “più circostanziato”. 73

Leggi e costituzioni di Sua Maestà, Libro III, titolo XXII, § 15: “[…] Proibiamo agli Avvocati di citare nelle Allegazioni veruno de’ Dottori nelle materie Legali, ed a’ Giudici tanto Supremi, che Inferiori di deferire all’opinione di essi, sotto pena tanto contro detti Giudici, che Avvocati della sospensione da’ loro uffizi, fino a che ne abbiano da Noi riportata la grazia”.

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alle parti, ma anche all’ambiente cittadino. Questi avrebbero dovuto decidere le controversie

brevemente, al modo in cui si giudicava negli ordinamenti barbarici del Medioevo e, cioè, con una

sorta di rito sommario, a suo giudizio assai preferibile alle farraginose procedure del processo

romano-canonico della tradizione tardo-medievale in quel momento imperante74.

“L’investigazione storica del diritto [dunque non] fu pel Muratori fine a se stessa, [ma] ben

seppe egli dalla vasta e molteplice notizia del passato trarre sussidio pel giudizio del presente e per

le riforme del futuro”75.

CAPITOLO II CONSONANZA DI CUORI E MENTI. E D’INTENTI?

Se tornasse in auge il genere biografico di ascendenza plutarchea delle “Vite parallele”,

certo quelle di Lodovico Antonio Muratori e Contardo Ferrini potrebbero essere facilmente e

felicemente accostate. Modena, come luogo geografico d’incontro, sarebbe un interessante punto di

partenza, ma, più che altro, un pretesto, perché caso mai si dovesse identificare un luogo fisico

impregnato di un senso profondo, capace di trascendere i due secoli che li separano, indicherei il

cortile di una università o la navata laterale di una chiesa: è nell’intensità degli studi e nell’ansietà

di un quotidiano confronto e conforto del divino che Muratori e Ferrini trovano una consonanza

esemplare. Resa ancor più rara dal fatto che, per entrambi, la duplice urgente esigenza di alimento

intellettuale e spirituale, di storia e di sacro, si placasse soltanto nella perfetta coincidenza di questi

momenti.

74 Le considerazioni dall’ultimo capoverso non vengono svolte dal Ferrini, ma sono finalizzate a consentire una contestualizzazione dello studio di Muratori medievista entro il suo pensiero giuspolitico (Dei difetti della giurisprudenza, edizione a cura di G. L. BARNI, Milano, 1958, pp. 154 ss.) e la sua epoca, alla luce delle pagine di C. GHISALBERTI, Unità nazionale e unificazione giuridica in Italia, Bari, Laterza, 1979, pp. 43-44.75

MurStDir, p. 16.

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Non si può, a mio avviso, studiare la produzione di Muratori prescindendo dalla “paternità” del suo

sacerdozio o peggio, intendendo la scelta ecclesiastica come il ripiego a una condizione di

rispettabile tranquillità, adatta a studi eruditi.

Parimenti sono persuaso che un secolo di storiografia su Contardo Ferrini76 non sia stato in grado

che di restituirci un’immagine diafana di quella che io chiamerei –mi si passi l’espressione– la

“maternità” dell’animo vergine di Ferrini, se davvero possiamo dire “alma”, nutrice, alimentatrice

dello spirito vago del Vero, l’“Universitas” nella quale fu da Berlino a Messina protagonista. Infatti

gli approfondimenti ferriniani hanno preso di volta in volta in esame il giurista e docente o il

cristiano di eroiche virtù: col risultato di conoscere o un professor Ferrini tutto preso da minute e

peregrine questioni del diritto romano e bizantino o un volto del beato Contardo tutto circonfuso di

luce e rilassato in un’espressione quasi inebetita77. Anzi, col risultato, ben più triste, che in questa

netta distinzione di approcci storiografici (aut religio -fides- aut scietia -ratio-) ai giuristi è

pressoché ignota la produzione ferriniana e ai fedeli è sconosciuto il modello di bontà è serietà

laicale incarnato –con tratti unici nel panorama della santità cristiana– da Contardo Ferrini.

È Arrigo Solmi, che nella prefazione all’edizione ventottana del discorso Lodovico Antonio

Muratori e la storia del diritto, presentato nelle pagine precedenti, mirabilmente accosta le due

figure:

“Il Ferrini non era soltanto un giurista insigne e un conoscitore insuperabile delle fonti e dei

testi del diritto romano; ma, per la vastità e per la genialità dei suoi studi storico-giuridici, e

per la cognizione profonda della storia e del diritto dell’Oriente mediterraneo, era anche

l’erudito più adatto a comprendere e a valutare gli sviluppi e le deviazioni della grande

civiltà romana nel medioevo; poiché gli sviluppi e le deviazioni del mondo occidentale,

76 Supra, nota bibliografica. 77

Come nel quadro di Attilio De Paoli (1959) esposto nel Collegio Borromeo. Di maggior pregio dal punto di vista artistico e, invece, calata nella realtà quotidiana di Ferrini, la lezione di Diritto all’Università, è la grande tela donata da Mario Acerbi alla chiesa del Carmine di Pavia nel 1964, per la terza cappella della navata laterale di sinistra, dove la locale Unione dei Giuristi Cattolici di Pavia, intitolata al Beato, ha di recente iniziato a trovarsi per la celebrazione della Messa. Esistono monumenti dedicati a Contardo Ferrini a Pavia (Università, infra, nota 92), Modena (Università, scultore Ivo Soli, 1927), Messina, (lapide con medaglione a bassorilievo nell’Università) Milano (altare delle spoglie nell’Università Cattolica) e Suna (Campo Santo).

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studiati con tanta dottrina dal Muratori, non erano troppo distanti da quegli sviluppi e da

quelle deviazioni che il mondo bizantino, oggetto delle ricerche del Ferrini, rivelava alle

menti attonite dei dotti. L’uno e l’altro costruivano sui saldi fondamenti, sui muri maestri del

diritto romano: l’uno e l’altro erano illuminati dalla luce nuova di una fede rivelata. […] Il

Ferrini, non meno del Muratori, era immerso infaticabilmente negli studi, con una devozione

e con una dedicazione quasi completa. Il Ferrini, non meno del Muratori, nutriva una fede

alta, consapevole, sincera. La consonanza era, si può dire, perfetta”78.

Era il 17 Luglio 1729 quando Montesquieu, durante quell’itinerario che avrebbe trasformato in un

libro, Viaggio in Italia, fece tappa a Modena, dove si trovò assai bene: frequentava un caffè nel

quale si riunivano i nobili e il salotto della contessa Cesi (“che è una bellissima donna”), dove si

trovavano altre dame “molto garbate e gentili”. Una frequentazione, in particolare, riempiva le sue

giornate di ammirazione sincera, estesa egualmente all’uomo e allo studioso che si trovava innanzi.

“Vedevo spesso”, racconta, “anche il Muratori, che ha pubblicato moltissime opere”. E, nel

tracciarne un ritratto, con poche ma esatte pennellate, procedeva dalle virtù umane per intendere, in

esse, il segreto di quell’operosità eroica, instancabile. La schiettezza è la prima nota che lo colpisce

(“uomo semplice”); vengono poi la naturalezza (“spontaneo”), l’acume riscaldato d’affetti

(“intelligente, caritatevole”), la probità che addita infine l’eccellenza (“onesto, sincero, insomma un

uomo eccezionale”).

Tra le righe, persino un Illuminista resta colpito dalla compenetrazione e dalla

“compresenza” (se tale può dirsi senza violarne la complessa origine morale) della vocazione

storica e della vocazione religiosa del Muratori. Questa poi, nel tempo, si era venuta manifestando

con l’abitudine costante allo studio. Avvezzo com’era ad ascoltare, nel silenzio, il maturarsi del

proprio pensiero, che si volgeva curioso intorno ai fatti per accertare e chiarire nuovi problemi o

questioni, il Muratori sentì che la crescita di luce interiore portava con sé, quasi per logica naturale,

una chiarezza maggiore al suo occhio di storico, il quale, negli avvenimenti ricostruiti e

78 A. SOLMI, Prefazione a MurStDir, pp. 1-2.

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documentati, fiutava il pensiero che spiegava le motivazioni varie dei casi umani, nella loro vita

politica ed economica, negli accadimenti dell’esistenza. I lumi del vero non conoscevano allora, a

giudizio del Muratori, altra autorità che non fosse la loro certezza storica, misurata sui documenti e

approfondita col pensiero, con la guida della ragione. Studiare, sviscerare nei suoi caratteri la realtà

sociale degli uomini, fermarne la conoscenza e testimoniarla con l’edizione dei documenti e delle

fonti; raccogliere inoltre, intorno ai doveri e al pregio intrinseco della ricerca storica, i dotti italiani

e stranieri in una repubblica letteraria, che fosse prova e stimolo fecondo per la collaborazione

culturale, fu il primario scopo del Muratori, che a quello si votò pienamente consapevole che la via

dotta e illuminata, cristiana e “galileiana” a un tempo (quindi scientifica, tenace, armata del proprio

rigore di metodo) della ricerca erudita, non gli avrebbe risparmiato fatiche e dispiaceri, né, come

talora avviene purtroppo, la malevolenza dei mediocri.

Da quest’ambito religioso e intellettuale, che onorava la Verità della fede nelle verità

particolari della storia, che non possono adulterarsi mai per zelo confessionale senza oltraggiare,

con ciò stesso, quella Verità medesima nella quale vivono e si muovono e trovano giustificazione e

pienezza, discesero il suo rigore storiografico e la serenità morale che mostrava nel rivelarsi curioso

delle scienze naturali (dei sogni, del barometro, dei fulmini, della follia, dei misteri del

sonnambulismo…), la sua costante avversione e polemica contro ogni forma di superstizione,

contro ogni sopruso compiuto con il velame dell’autorità religiosa.

Lo scrupolo, che è a un tempo erudito e morale, del “più diligente esame delle cose”, unito

all’ardore della “libertà di meglio ricercare il vero”, senza che per questo venga meno la

“venerazione” da offrire alla Verità o ai sommi filosofi, divengono la via muratoriana a una

filologia, a una ricerca storica, a un pensiero storiografico altamente moderni79.

Dopo la laurea del 1694, Muratori non intraprese la carriera forense, ma presto si distinse

per la sua erudizione, soprattutto a Milano, dove aveva vissuto e lavorato con prestigio alla

Biblioteca Ambrosiana fino al 1700. Dopo la Vita, e le Rime del Maggi (pubblicate in quell’anno)

79 Traggo spunto per simili considerazioni da M. VEGLIA, Ludovico Antonio Muratori e la vita culturale nell’età dell’Illuminismo, in Storia dell’Emilia Romagna. 2. Dal Seicento a oggi, Bologna, Il Mulino, specialiter pp. 22-25.

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vennero il volume sulla Perfetta Poesia (già compiuto nel 1703), la Lettera su Lucano (1706), le

Osservazioni al Petrarca del 1707, le Riflessioni sopra il Buon Gusto e il De ingeniorum

moderatione in religionis negotio (ancora nel 1703, a chiarificazione dell’intento morale che

improntava di sé l’intero edificio della sua operosità, il Muratori aveva steso i Primi disegni della

Repubblica Letteraria d’Italia). Del 1714 è il trattato, destinato presto a larga fortuna, sul Governo

della peste. E mentre, nel 1723, escono i primi due tomi dei Rerum Italicarum Scriptores, nel 1732

è compiuta l’opera più grande della storiografia italiana del Settecento e non a caso collaudata

anche dal Ferrini ad usum jurisprudentiae, le Antiquitates italicae, poi tradotte e riassunte nelle

Dissertazioni sopra le antichità italiane. Presumibilmente è pure da attribuire agli anni Trenta il De

Codice Carolino, convertitosi però definitivamente in Trattato dei difetti della giurisprudenza solo

nel 1742.

La varietà della produzione scientifico-letteraria muratoriana, la vastità e diversità dei temi

trattati, dei testi pubblicati e commentati, riportavano il Modenese alla varietà stessa della cultura, al

prodigio della mente umana che ne accoglie tutti gli aspetti e, nella mente, all’impronta di Dio. Così

le due vocazioni si tengono in lui e, nel chiarirsi a vicenda, si danno reciproco lume. Per questo non

si capisce affatto il Muratori, o se ne impoverisce la figura e se ne offusca la vivacità, quando non si

coglie lo stupore, la meraviglia poetica che suscitava in lui ogni operazione dell’anima coi suoi

desideri, ogni moto del pensiero coi suoi raziocini. Le nozioni, le immagini, i volti, i casi

dell’esperienza, i fatti della storia e delle lingue, i libri e tutto, insomma, si posa nella nostra mente

e, trovando in essa la propria casa, ne addita l’architetto divino.

La tensione religiosa, connaturata com’era all’indagine storiografica, non poteva quindi

rimuovere le oscurità che avvolgevano la conoscenza dei fatti senza prima discendere da un’interna

e morale rimozione d’ogni tenebra e “bassura” spirituale. Insomma, occorreva evitare ogni forma

d’ignoranza, con le sue facili tentazioni circa la spiegazione della realtà, e chiarire a se stessi una

via etica che divenisse la ragione riposta della metodologia storiografica.

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Contardo Ferrini nacque a Milano il 4 aprile 1859 da Rinaldo, originario del Ticino, laureato

a Pavia in Ingegneria e in Architettura, docente di fisica al Politecnico80 e Luigia, sorella di

Monsignor Antonio Buccellati, amico di Rinaldo e, più tardi, prima maestro, poi collega di

Contardo all’Università di Pavia, dove insegnò Diritto Penale e Diritto Ecclesiastico81. La scelta di

un nome tanto peregrino, di origine e sonorità germanica (Contardo significa “pugnace”, “duro in

battaglia”) era dettata forse solo in parte dall’onore che si voleva tributare ad un omonimo bisnonno

materno, quanto piuttosto dalla devozione che nella cittadina di Broni si portava alle reliquie di un

pellegrino laico del XIII secolo, San Contardo d’Este82. La sensibilità culturale della famiglia

Ferrini, agiata, colta e assidua nella pratica di vita cristiana, favorì in Contardo il precoce risveglio

di una spiccata intelligenza. Ancora giovanissimo, scriveva:

“Io non saprei concepire una vita senza preghiera, uno svegliarsi al mattino senza incontrare

il sorriso di Dio; un reclinare il capo la sera, senza il pensiero a Dio. Una tal vita dovrebbe

80 Rinaldo Ferrini fu un grande divulgatore scientifico, appassionato al progresso industriale che stava mutando il volto di Milano nella seconda metà dell’Ottocento; per l’editore Ulrico Hoepli pubblicò diversi manuali tra cui quelli di Elettricità; Elettricista; Energia fisica; Galvanoplastica; Riscaldamento e ventilazione e Telegrafia. Anche Contardo avrebbe scritto per Hoepli: Storia delle fonti del Diritto romano e della Giurisprudenza romana (1885); Diritto Romano (1885; II edizione rifatta 1898); Studi sul “legatum optionis” (1885); La teoria generale dei legati e dei fedecommessi secondo il Diritto romano con riguardo all’attuale giurisprudenza (1889); La costituzione di Atene di Aristotele (1893); Il Digesto (1894) e un manuale di teoria generale del Diritto Penale romano (1899). 81

Non mi pare che fino adesso la storiografia abbia dato particolare rilievo alla presenza di un prete liberale, vicino al vescovo di Cremona Geremia Bonomelli e all’abate Antonio Stoppani, nella Commissione di preparazione del Codice Penale Zanardelli (a parte cenni in A. ZAMBARBIERI, Contardo Ferrini tra mistica e cultura op. cit., pp. 11-55; E. DEZZA, Tra scuola classica e scuola positiva: Antonio Buccellati e le “Istituzioni di diritto e procedura penale” (1884), in Saggi di storia del diritto penale, pp. 391-423). Antonio Buccellati avrebbe peraltro fatto da mediatore degli eruditi studi del nipote Contardo Ferrini sulla figura del “tentativo”, allora estranea al diritto positivo e da poco ventilata nella dottrina giuridica italiana. Ferrini la ricostruisce a partire dal diritto romano, presso cui il “conatus” era ignorato ed esprime perplessità in merito alla sua punibilità: si veda C. FERRINI, Il tentativo nelle leggi e nella giurisprudenza romana e Ancora sul tentativo nel diritto romano, apparsi in Ateneo Veneto, rispettivamente di Gennaio-Febbraio e Luglio-Agosto 1884, poi ristampati in Opere di Contardo Ferrini, vol. V, op. cit. pp. 51-72, il primo e 73-105, il secondo. Sul tema segnalo B. SANTALUCIA, Contardo Ferrini e il diritto penale, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit., pp. 102-104 e inoltre, sull’accoglimento del “tentativo” nel Codice Penale del 1890, S. DEL CORSO, Il tentativo nel Codice Zanardelli, in Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, 1990, pp. 955-99682

Oggi, anche nella Chiesa, la memoria delle virtù del Contardo medievale è stata praticamente persa, ma in compenso degnamente sostituita da quella del Professore, in vita sempre devoto al patrono di Broni, invocato nella parte conclusiva del suo Regolamento di vita: mi pare un’interessante linea di continuità nella santità laicale della terra pavese. Nella stessa Broni, tre anni prima della solenne beatificazione del Ferrini, già era pronta una pala d’altare in cui il pittore bergamasco Vanni Rossi lo rappresentava in tight con testi giuridici alla mano, per la Basilica di San Pietro apostolo. In AA.VV., Grande libro dei santi. Dizionario Enciclopedico, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1998, vol. I, pp. 476-480 si trovano due brevi profili biografici del Santo e del Beato (non privi di talune imprecisioni); per San Contardo d’Este rimando inoltre a L. CHIAPPINI, Realtà e leggenda di San Contardo, in Atti e memorie della Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria, IV (1946-1949), pp. 69-82 (con edizione della vita).

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assomigliare a notte tenebrosa, arida per un tremendo anatema di Dio... come si possa

durarla in tale stato è per me un mistero. Io supplico il Signore che la preghiera non abbia

mai a morire sulle mie labbra. Sì, perché quel giorno che tacesse la preghiera, vorrebbe dire

che Dio mi ha abbandonato”83.

Adolescente fu iniziato allo studio delle lingue orientali da Monsignor Antonio Maria Ceriani,

prefetto della Biblioteca Ambrosiana. Impara l’ebraico e il siriaco e legge la Bibbia nelle lingue

originali. A soli 17 anni pubblicava un’opera scientifica dal titolo Ricerche sulla capacità giuridica

presso gli Ebrei, che suscitò l’encomio del Rabbino Maggiore di Milano, Alessandro da Fano.

L’educazione di Contardo iniziò presso il collegio delle Orsoline di Sant’Ambrogio; nello studio si

rivelò subito un appassionato ricercatore della Verità, attratto dal mondo dei principi primi e

fondamentali e dalle grandi domande sul senso della vita. Dopo la licenza liceale nel 1876, si

iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza in Pavia, alloggiato presso il collegio Borromeo; professori e

condiscepoli si trovarono presto urtati dalla sua professione di fede aperta e sicura e qualcuno prese

a deriderlo soprannominandolo “San Luigi” in segno di scherno. Conseguì una laurea brillantissima

il 21 Giugno 188084. Ricevette una borsa di studio e in Novembre partì per la Germania, per 83 C. FERRINI, Pensieri e preghiere, Milano, Vita e Pensiero, 1928, II edizione.84

Supra, n. 24. È priva di fondamento la tradizione secondo cui il giovane Contardo avrebbe scritto la sua tesi di laurea in greco e fosse stato costretto a tradurla poi in latino, per incapacità di alcuni professori di leggerla. D’altro canto non escludo che avesse tradotto in nota (sempre in latino) i numerosi brani di letteratura greca per non mettere in imbarazzo buona parte della commissione di laurea. È pur vero che il latino stesso rende oggi difficoltosa la circolazione di un elaborato che per originalità ed esemplarità varrebbe la pena che fosse più noto almeno entro le mura robuste dell’Università di Pavia. Mi sono messo all’opera in questo senso e intanto qui mi permetto di fornire la traduzione della pagina introduttiva:“Sull’utilità per la storia del diritto penale dello studio dei poemi di Omero ed Esiodo. Chi non ammetterebbe che lo studio della scienza antica può essere della massima utilità a coloro che indagano le origini del diritto? Giova, infatti, rievocare fin dai primordi le vicissitudini degli istituti giuridici e delle norme sociali, al punto che possa essere per un certo verso condivisa perfino la massima di Licurgo: Sarebbe facile, se avessimo chiara l’intenzione dei legislatori antichi, conoscere la verità. Coloro che davvero si dedicano alla storia del diritto sanno bene che non occorre che simili considerazioni vengano ripetute più a lungo di quanto la materia lo richieda, né citare con una punta di saccenteria quel che cantava Ennio [Reth ad Her.] che spesso Cicerone citava. Non a ciò, tuttavia, è rivolta la nostra attenzione, al punto che, negletti gli studi e le norme più recenti, rivolti con tutto il cuore all’antichità, da lì soltanto attingiamo la conoscenza del diritto. Anzi, talora troviamo norme sconvenienti per enormità e barbarie, gradualmente perfezionate in modo più umano e che solo finalmente con questa nostra epoca hanno raggiunto quello sviluppo per cui a buon diritto paiono aver toccato il culmine. Ma, dal momento che la storia è maestra di vita, di tal fatta certamente sarà il frutto, perché, sebbene richiamiamo alla memoria gli errori degli uomini, i quali in nessun tempo e in nessun luogo sono completamente sviati dalla verità o si sforzano almeno di muoversi attraverso le tenebre in direzione della luce della sapienza, rischiariamo ulteriormente la verità e ci accostiamo al suo culto con più spiccato fervore. Così la speranza è che non venga negato a questo nostro scritto tutta la possibile indulgenza. Dunque, il nostro intento è trarre specialmente dai poemi omerici qualcosa che giovi alla storia del diritto penale e –per quanto ne siamo il grado– la

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specializzarsi all’Università di Berlino. Dai suoi scritti dell’epoca appaiono già chiare due scelte

fondamentali alle quali dedicherà l’intera sua breve esistenza: la preghiera e lo studio. A Berlino

incontra la Germania appena uscita dalla persecuzione dello Stato contro i cattolici, attraverso il

Kulturkampf, tentativo velleitario di “emancipazione” della società e dello Stato dall’influenza della

Chiesa cattolica: è l’epoca del cancelliere Otto Bismarck (1815-1898). Quando il Ferrini arriva a

Berlino circa un quarto delle sedi parrocchiali in Prussia è vacante, e i vescovi di Poznan, Colonia,

Münster, Paderborn, Breslau sono costretti all’esilio. A Berlino, nella chiesa di Santa Edvige, dove

sente cantare inni religiosi e patriottici, si incontra con i giovani cattolici che reagiscono alle

persecuzioni con l’azione politica svolta dal Zentrum, il partito guidato da Ludwig Windthorst, che

alla fine costrinse Bismarck a cercare un accordo diplomatico diretto con la Santa Sede, sfociato poi

nelle leggi di pacificazione del 1886-1887. In terra tedesca Ferrini scriveva:

“Divino potere della fede. Ignorando i confini di nazione e di lingua, ci consideriamo

fratelli. Tanto è ammirabile l’universalità del Cristo; tanto è vero che in Lui non c’è greco,

né barbaro, né sciita, ma siamo tutti affratellati in Lui”85.

E poi una pagina d’afflato mistico sull’Eucaristia:

“È l’assimilazione dell’uomo a Dio. Chi sa dire a quale punto di santità giunga l’anima che

spesso, con devozione ed affetto e con somma riverenza, si ciba di questo Pane purissimo,

che è Gesù Cristo, e incorpora e immedesima in sé il prezzo della Redenzione? Ecco quindi

qui il segreto della santità: grazie a Gesù, Pane di vita, noi vivremo e non morremo mai”86.

illustri. Non sembra infatti assurdo che, provando straordinario piacere nella lettura dei loro versi, ne ricaviamo qualcosa anche per la nostra tesi. È noto come tutti i Greci, come da purissima ed inesauribile fonte attingessero sapiente ammaestramento dai poemi di Omero ed essendo questi, monumenti del diritto naturale, dell’età che Vico chiama eroica, è lecito che da essi possano essere tratti validi sussidi per illustrare la storia del diritto dei Greci”. 85

C. FERRINI, Pensieri e preghiere, op. cit. 86

Ibidem.

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È in un simile contesto che, all’età di ventidue anni, Contardo si orientò verso la consacrazione

nello stato laicale. Ritornato in Italia nel 1882, pochi anni dopo, il 6 gennaio 1886, nella chiesa

milanese dell’Immacolata, officiata dai Frati Minori, ricevette l’abito del Terz’Ordine Francescano.

Il 6 Novembre dell’anno successivo fece la professione. Il Terz’Ordine (oggi detto Ordine

Francescano Secolare) riunisce coloro che vogliono vivere il Vangelo imitando San Francesco e

rimanendo nella propria condizione secolare, cioè, nel caso di Contardo, nello stato laicale.

Frattanto, già dal 1883, il giovane studioso aveva iniziato una fulgida carriera accademica, che lo

vide dapprima docente di Diritto penale romano e di Esegesi delle fonti di diritto romano

nell’Università di Pavia; poi professore a Messina dal 1887. La permanenza nella città siciliana fu

tutta segnata dalla sofferenza causata dal distacco da Milano. La bellezza di quella terra, però, gli fu

di notevole conforto. Il primo anno non risultò facile. Gli studenti ereditati in corso d’anno gli

sembrarono impreparati e Ferrini, a sua volta, apparve particolarmente severo. Molti studenti

disertarono le lezioni e un giornaletto universitario pubblicò un articolo sul “professore bigotto”. A

riprova della sua severità si conserva traccia di una bocciatura con zero trentesimi! L’anno 1887-

1888 andò meglio. Ferrini si trasferì a villa Macri, che dominava la città, lo stretto e la costa, con

alcuni colleghi, fra cui il futuro statista Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952)87. Anche le lezioni

quell’anno furono frequentate con maggior interesse. Alla fine del 1889 ottenne di essere chiamato

a Modena88. Infine nel ‘94, ancora a Pavia insegnò fino alla morte Diritto romano ed Esegesi delle

Istituzioni di Giustiniano. Ferrini continuò, però, a risiedere con la famiglia a Milano, preferendo

rimanere celibe, nonostante coltivasse un elevato concetto del matrimonio come sacramento e come

istituto indispensabile nella società civile.

87 M. INVERNIZZI, Il Beato Contardo Ferrini (1859-1902), op. cit. pp. 41-46. Su V. E. Orlando cfr. M. FOTIA, Il liberalismo incompiuto. Mosca, Orlando, Romano tra pensiero europeo e cultura meridionale, Milano, Guerini e associati, 2001; inoltre dello stesso V. E. ORLANDO, Miei rapporti di governo con la Santa Sede, Milano, Garzanti, 1944, II edizione.88

A. METRO, Contardo Ferrini e la cattedra a Messina, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit. pp. 85-92. Per alcuni cenni circa la carriera accademica modenese rimando, supra, all’introduzione.

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Autore di oltre duecento pubblicazioni89 e caposcuola di una nuova generazione di romanisti

in Italia90, ebbe particolare attenzione alla edizione critica delle fonti. Secondo la deposizione

giurata dell’etruscologo Bartolomeo Bogara, che riferisce d’un colloquio avuto a Berlino con

Theodor Mommsen (1817-1905) nell’Agosto 1902, due mesi prima della morte di Ferrini, il celebre

studioso tedesco

“[…] ne fece il massimo elogio, dicendo che, come il secolo decimonono per gli studi

romanistici s’intitolava dal Savigny, così il ventesimo si sarebbe intitolato dal Ferrini; e che

per merito del Ferrini, il primato degli studi romanistici passava dalla Germania all’Italia.

Del resto, soggiungeva il Mommsen, noi non siamo invidiosi”91.

Il professore manifestava il suo sapere con grande umiltà e ritrosia: negli studi sapeva

spaziare dal diritto alla filosofia, dalla glottologia alla letteratura italiana e straniera; nel campo del

diritto greco-romano, Ferrini era consapevole di muoversi come un esploratore incompreso e

solitario (era convinto che molto fosse ancora da scoprire). La sua opera è stata distinta da Fausto

Goria92 in due periodi: il primo, dal 1882 al 1886 circa, dove l’interesse principale fu rappresentato

dalla Parafrasi greca delle Istituzioni e dagli Scolii; il secondo, che va da circa il 1896 alla morte,

dedicato ai Basilici. L’inizio delle ricerche di diritto bizantino risaliva al soggiorno berlinese

quando, dietro incoraggiamento di Alfred Pernice, e anche grazie a materiali fornitigli da Zachariae

89

Supra, nota bibliografica. 90

Del resto si laureò proprio nel 1880, nel quale si suole indicare la data precisa del rinnovamento della scienza giuridica italiana, prendendo a termine iniziale le prolusioni di due giovanissimi giuristi, Enrico Ferri (1856-1929), il fondatore della sociologia criminale, ed Enrico Cimbali (1855-1887), che per sciagurata coincidenza fu colpito, come Ferrini quindici anni più tardi, da malattia tifoidea che lo portò alla morte, pure egli giovanissimo, a 33 anni, prima però munito dei conforti religiosi dal collega Contardo, che ne avrebbe “ereditato” la cattedra di Diritto civile a Messina. Ho tratto queste considerazioni da D. MANTOVANI, Contardo Ferrini e le opere dei giuristi, op. cit., pp. 132-133. 91

La celebre deposizione, ripresa da chiunque si sia cimentato in commemorazioni ferriniane, spesso con gravi imprecisioni (ad esempio, attribuisce l’elogio a Zaccaria Von Lingenthal sbagliando grossolanamente i secoli, l’agiografo, in vero molto attento nella descrizione della spiritualità di Ferrini, anche grazie alla felice selezione di scritti, lettere e pensieri religiosi, C. CORSANEGO, Contardo Ferrini, venerabile, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1931, p. 34) si può leggere in C. PELLEGRINI, La vita del prof. Contardo Ferrini, op. cit. pp. 464-467.92

F. GORIA, Contardo Ferrini e il diritto bizantino, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit. pp. 111-128.

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von Lingenthal (che andava a trovare nella sua tenuta nella Sassonia orientale dove lo studioso si

era ritirato), concepì il progetto dell’edizione della Parafrasi greca delle Istituzioni. Della sua opera

è stato evidenziato lo spirito altruistico (non teneva le scoperte per sé) e di servizio: il suo sforzo

principale fu, infatti, diretto all’edizione di fonti (indispensabili per ogni ricerca ulteriore) che

venivano messe a disposizione degli studiosi non appena possibile, a volte anche a scapito della

precisione93. Una conferma di questo spirito di servizio si trova nel fatto che le edizioni da lui curate

furono quasi tutte accompagnate dalla traduzione latina (a differenza di quelle del von Lingenthal).

Nel quadro di quel fascio di esperienze giuridiche che vanno sotto il nome di “metodo dogmatico

sistematico”, ogni giurista aveva la sua individualità. Nella stessa Germania non erano poi mancate

istanze di studio del “diritto romano storico puro” in contrapposizione al “diritto romano attuale”

(Lenel, Gradenwitz). Nell’Italia tardo ottocentesca, inoltre, l’entrata in vigore del codice del 1865

aveva provocato mutamenti dottrinali significativi. Il diritto romano stava cambiando natura,

diventando sempre più storicizzato. Ferrini ebbe sempre la consapevolezza che nel diritto romano

non si dovesse più cercare il diritto vigente, ma non si emancipò mai da impostazioni dogmatico-

sistematiche e accettò la linea di Filippo Serafini, secondo cui il diritto romano è soprattutto quello

giustinianeo esposto secondo la sistematica “tedesca”. Secondo Antonio Mantello94 tutte le opere di

Ferrini (sulla giurisprudenza, sul diritto penale e su quello bizantino) sono state strumentalmente

piegate alla conoscenza dei dogmi giuridici visti nella loro funzione e nel loro sviluppo. Ferrini si

situerebbe lungo un crinale: quello che divide l’epoca del diritto giustinianeo studiato come diritto

vigente, da quella in cui viene visto come fondamento delle legislazioni moderne. Oltre che di

93 M. INVERNIZZI, Il Beato Contardo Ferrini (1859-1902), op. cit., pp. 85-86, dedica un capitoletto alle “citazioni sbagliate” di Contardo Ferrini: “[…] Quando il professor Baviera, dopo la morte di Ferrini, curerà una nuova edizione del Manuale di Pandette, dovrà correggere più di cinquecento citazioni sbagliate. Per questo Contardo veniva preso in giro dall’amico e collega Scialoja, che scherzosamente gli diceva: «Carissimo, quando tu indovinerai una citazione, ti mando un telegramma di congratulazione» (in Pellegrini, La vita…, p. 221)”. La schiettezza di Vittorio Scialoja è giustificata da una profonda amicizia, confermata, anche dopo la morte di Ferrini, nella cospicua donazione di 20 Lire che Scialoja elargì il 7 Marzo 1904 per il monumento affidato allo scultore Enrico Cassi per il portico occidentale del Cortile delle Statue nell’Università di Pavia, come si ricava dalla lettura della Cartella 781 Sottoscrizioni e spese per i monumenti dei professori, fascicolo Ferrini, elenco sottoscrittori della lapide Ferrini, 1903-1906, conservata nell’Archivio Storico dell’Università di Pavia. 94

A. MANTELLO, Contardo Ferrini e la Pandettistica, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit., pp. 177-200.

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pubblicazioni scientifiche, fu autore di numerosi scritti religiosi. Il Ferrini seppe mantenere, senza

riguardi umani, uno stile di vita cristiano rispettoso delle convinzioni altrui, coniugando insieme la

scrupolosa preparazione del docente universitario e del ricercatore nel campo del Diritto Romano,

con le istanze della fede, considerata non un ostacolo, ma anzi uno stimolo arricchente la persona

dedita alla ricerca scientifica95.

Ferrini si occupò, inoltre, abbastanza attivamente della vita sociale e politica: fu portato a

Palazzo Marino dalla lista Eclettica (o Contrattata, frutto di un accordo tra le organizzazioni

cattoliche milanesi e il partito liberale) quando aveva 36 anni. Venne candidato come

rappresentante del mondo cattolico nel Consiglio Comunale di Milano e acconsentì per spirito di

servizio. Fu un conservatore garbato che fece pochi e cauti interventi, pervasi da un costante

scetticismo verso le istituzioni terrene. Elisa Signori96 ricorda due occasioni di fattivo impegno

tecnico. La prima, lo vide opporsi al concentramento delle Opere Pie parrocchiali che un progetto di

Crispi mirava ad assorbire nella Congregazione di Carità; Ferrini insieme ad altri colleghi firmò e

istruì molti ricorsi amministrativi. La seconda risale al 1895, quando fu membro della Commissione

“dei nove” a cui il Consiglio attribuì il compito di realizzare un progetto di riassetto-unificazione

tributario. Nel 1898 Milano è in regime d’assedio. L’anno successivo la breve esperienza

amministrativa si conclude. Ma anche in questo incarico Contardo espresse l’equilibrio e la

prudenza propria di un saggio amministratore e di un cattolico completo: sua preoccupazione fu di

difendere, per quanto possibile, l’insegnamento della religione nelle scuole primarie. Lo

appassionava il rapporto tra scienza e fede che il materialismo imperante scioglieva nell’ateismo o

nell’indifferenza. Coltivò, tra i primi in Italia, il progetto di una Università Cattolica. Non la vide;

l’Università del Sacro Cuore, nata a Milano nel 1921, lo riconobbe però suo precursore e ispiratore.

95 Sul punto è interessante la querelle intorno all’influenza più o meno positiva dell’assorbimento nelle pratiche devote sulla disponibilità al magistero accademico di un professore come, nella fattispecie, Contardo Ferrini, che nasce dalla diversa lettura del ruolo di docente del Beato fatta in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit., da A. GUARINO, Contardo Ferrini e gli studenti, pp. 93-96 e D. MANTOVANI, Contardo Ferrini e le opere dei giuristi, op. cit., approfondita specialmente nella nota 74 di quest’ultimo. 96

E. SIGNORI, L’impegno di Contardo Ferrini nella vita amministrativa di Milano, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit., pp. 57-76.

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Attento alle amicizie, offriva la propria disponibilità, manifestando, in particolare, la virtù

dell’eutrapelìa, cioè della giocondità: in lui trasparivano gioia e contentezza e pare che tale serenità

fosse contagiante97. Ma tutto il suo essere è proteso a raggiungere la perfezione cristiana nella vita.

Nei suoi scritti religiosi la sua anima si espande in un continuo contatto con Dio, che trasforma chi

scrive e chi legge in un “miles Christi”, che lotta nel quotidiano per mantenere fisso il riferimento a

Dio e alle sue leggi. Lettere agli amici, preghiere e opuscoli vari, trasmettono la sua capacità di

elevarsi verso il divino attraverso il dovere professionale e umano. Nel tempo libero destinava

energie e attenzioni all’alpinismo che “sembrava avere l’ufficio di concorrere a integrare e a

perfezionare il suo tipo morale”98. Forse proprio a causa di un’escursione in montagna, durante la

quale si era dissetato con l’acqua infetta di un ruscello che scorreva in mezzo ad un pascolo

vaccino, colpito dal tifo, nella località di Suna (Novara), ripetendo pie giaculatorie negli intervalli

del delirio provocatogli da fortissime febbri, moriva a 43 anni, il 17 ottobre del 1902. Quando era

ancora un giovane professore a Modena, quasi profeticamente aveva confidato a un amico: “Quanto

a me, preferirei morire nella mia Suna. Se la morte mi cogliesse qui in Modena disturberei troppe

persone, il rettore dell'università, i professori, le autorità dovrebbero scomodarsi in mille modi; a

Suna mi accompagnerebbero all'ultima dimora soltanto gl'intimi, la gente del paese, i bambini, i

poveri, quelli che soffrono, quelli che pregano, quelli che veramente giovano all'anima”. Per

volontà di padre Agostino Gemelli, Rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, le spoglie

mortali, ad eccezione del muscolo cardiaco, furono trasportate dal cimitero di Suna a Milano, e

riposano nella cripta dell’Università, perché Contardo sia ricordato e imitato quale modello di vita

da studenti e professori.

All’origine del processo di beatificazione vi fu il sentire di un gruppo di amici (specialmente

il collega Olivi e i conti Mapelli), ma anche il significato simbolico che avrebbe potuto avere

97 M. INVERNIZZI, Il Beato Contardo Ferrini (1859-1902), op. cit. p. 42.98

Carlo Pellegrini dedica il lungo capitolo XVIII della sua biografia all’Alpinismo e Contardo Ferrini, concludendolo con un paragrafo sulla Santificazione dell’alpinista e dell’alpinismo. Inoltre, F. OLGIATI, Il santo delle Alpi, in Vita e Pensiero, XVII, pp. 349-354.

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l’elevare agli altari un professore universitario, come cruciale smentita della pretesa inconciliabilità

tra scienza e fede e come ostacolo formidabile alla prepotenza dei modelli positivistici e

massonici99. Emerse così l’icona dello scienziato credente e dello studio come via alla santità. Nel

1909 Pio X dichiarò «che sarebbe stato lieto di elevare agli onori degli altari e di proporre a modello

un santo, un professore di università, poiché per i tempi che correvano ciò sarebbe stato un grande

esempio». Non mancarono le critiche. Padre Rosa, gesuita e influente collaboratore della Civiltà

Cattolica, ricordò le tendenze liberali e le abitudini alto-borghesi della cerchia famigliare di Ferrini,

nonché la partecipazione, anche se una volta soltanto, alle elezioni politiche in tempi di non expedit.

Il processo apostolico si concluse alla fine del 1928. L’eroicità delle virtù fu proclamata nel 1931 da

Papa Achille Ratti, il suo antico compagno di passeggiate alpine. Papa Ratti, però, non procedette

alla beatificazione, per sottrarsi a un legittimo sospetto. Il 13 aprile 1947 il Sommo Pontefice Pio

XII proclamò Beato Contardo Ferrini, con memoria comune il 17 Ottobre100.

99 X. TOSCANI, La causa di beatificazione di Contardo Ferrini: moventi e strategie, in Contardo Ferrini nel I centenario della morte, op. cit., pp. 203-225.100

Sono due i miracoli attribuiti all’intercessione di Contardo Ferrini: la guarigione istantanea e perfetta del giovane Luigi Valentini da morbo di Plott e da mielite trasversa (14 Agosto 1925) e quella di un altro ragazzo, Edoardo Granetti, dalla frattura della base cranica con commozione e contusione cerebrale (Luglio 1921), per cui rimando alle due Positiones super miraculis, Romae 1933 e novissima Romae 1941.

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