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1. Gli orientamenti e i risultati di Contardo Ferrini 1 come romanista dipendono, oltre che dall’ingegno e dalla sua formazione familiare e scolastica fra Milano e Pavia, dall’incontro profondamente interiorizzato con il mondo degli studi di Berlino. A sua volta, il soggiorno berlinese di Ferrini s’inscrive in un più complessivo in- gresso della romanistica italiana nell’orbita tedesca, che si stava allora compiendo. Questa nuova coalizione nel campo degli studi sul diritto romano, infine, non è che un aspetto – non il più eclatante, ma neanche secondario – della comples- siva acculturazione tedesca della vita intellettuale italiana nei primi cinquant’anni dello Stato unitario. Com’è noto, la crescente ammirazione per la virtù e la forza della Prussia-Germania, specialmente dopo le vittorie sull’Austria nel 1866 e sulla Francia nel 1870-1871, affievolì nel nostro Paese la contrapposizione fra germa- nesimo e elemento latino, che aveva costituito un tema fondamentale intorno a cui s’era formata la coscienza nazionale italiana nel primo Ottocento (basti ricor- dare il Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia di Manzoni), e vi sosti- tuì l’immagine imponente della grande scienza tedesca. 2 Le vittorie e l’avveni- 129 DARIO MANTOVANI Contardo Ferrini e le opere dei giuristi 1 Milano, 4 aprile 1859 – Suna (Verbania), 17 ottobre 1902. 2 Questo clima aleggia, ad esempio, nella lettera che C. Ferrini spedisce da Berlino a Paolo Mapelli (16 gennaio 1881, in Contardo Ferrini. Scritti religiosi, a cura di Carlo Pellegrini, Milano, Romolo Ghir- landa, 1911, p. 55), ove, riferendosi alla partecipazione cattolica alla messa domenicale in S. Edvige, il giovane romanista rivela i suoi pensieri: “Ho quasi pianto di consolazione, quando ho udito gio- vani ferventi cattolici cantare con entusiasmo inni patriottici. Quest’accordo di scienza e di fede, di religione e di patria, mi parve l’applicazione vivente della grande parola di Paolo. Ove la patria non è una beffarda matrigna, è amata come madre. E ciò può spiegare Sédan”. Considerazioni conver- genti, dall’opposto punto di partenza materialistico, esprimeva, ad esempio, GAETANO TREZZA, Anti- chità e modernità, in PIERO TREVES, Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1962, p. 1012 (è la Prolusione del 1868 all’insegnamento di Letteratura latina nel R. Istituto di studi

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1. Gli orientamenti e i risultati di Contardo Ferrini1 come romanista dipendono,oltre che dall’ingegno e dalla sua formazione familiare e scolastica fra Milano ePavia, dall’incontro profondamente interiorizzato con il mondo degli studi diBerlino.

A sua volta, il soggiorno berlinese di Ferrini s’inscrive in un più complessivo in-gresso della romanistica italiana nell’orbita tedesca, che si stava allora compiendo.

Questa nuova coalizione nel campo degli studi sul diritto romano, infine, nonè che un aspetto – non il più eclatante, ma neanche secondario – della comples-siva acculturazione tedesca della vita intellettuale italiana nei primi cinquant’annidello Stato unitario. Com’è noto, la crescente ammirazione per la virtù e la forzadella Prussia-Germania, specialmente dopo le vittorie sull’Austria nel 1866 e sullaFrancia nel 1870-1871, affievolì nel nostro Paese la contrapposizione fra germa-nesimo e elemento latino, che aveva costituito un tema fondamentale intorno acui s’era formata la coscienza nazionale italiana nel primo Ottocento (basti ricor-dare il Discorso sur alcuni punti della storia longobardica in Italia di Manzoni), e vi sosti-tuì l’immagine imponente della grande scienza tedesca.2 Le vittorie e l’avveni-

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DARIO MANTOVANI

Contardo Ferrini e le opere dei giuristi

1 Milano, 4 aprile 1859 – Suna (Verbania), 17 ottobre 1902.2 Questo clima aleggia, ad esempio, nella lettera che C. Ferrini spedisce da Berlino a Paolo Mapelli(16 gennaio 1881, in Contardo Ferrini. Scritti religiosi, a cura di Carlo Pellegrini, Milano, Romolo Ghir-landa, 1911, p. 55), ove, riferendosi alla partecipazione cattolica alla messa domenicale in S. Edvige,il giovane romanista rivela i suoi pensieri: “Ho quasi pianto di consolazione, quando ho udito gio-vani ferventi cattolici cantare con entusiasmo inni patriottici. Quest’accordo di scienza e di fede, direligione e di patria, mi parve l’applicazione vivente della grande parola di Paolo. Ove la patria nonè una beffarda matrigna, è amata come madre. E ciò può spiegare Sédan”. Considerazioni conver-genti, dall’opposto punto di partenza materialistico, esprimeva, ad esempio, GAETANO TREZZA, Anti-

chità e modernità, in PIERO TREVES, Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli, Ricciardi,1962, p. 1012 (è la Prolusione del 1868 all’insegnamento di Letteratura latina nel R. Istituto di studi

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mento del II Reich furono visti come il frutto di un rivolgimento letterario, scienti-fico, industriale e sociale, da prendere ad esempio per la vita del giovane Regnounitario d’Italia, che condivideva con il tedesco la condizione di Stato nazionaletardivo.

Le simpatie verso la “dotta Germania” si manifestarono in tutti i campi del sa-pere (tranne, forse, l’economia, che seguiva di preferenza le dottrine britanniche)e specialmente negli studi storici e filologici: “Metodo scientifico e metodo tede-sco divennero, nell’uso corrente, termini equivalenti e il perfezionamento in Ger-mania fu per decenni considerato indispensabile avviamento a ogni serio tipo distudi”.3

Anche nella scienza giuridica si verificò, com’è noto, uno spostamento dal mo-dello esegetico francese al metodo tedesco, cioè alla pandettistica, un sapere giu-ridico fortemente concettualizzato e depurato da riferimenti socio-economici, do-minato dall’alta ambizione di tradurre i principî romani in formule di applica-zione attuale, secondo una direttrice fondamentale del lavoro di Savigny.4

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superiori di Firenze, cui Trezza era stato chiamato da Pasquale Villari): “Fino a ieri, le sante resi-stenze al tedesco che ci contendeva la patria ravviluppavano in un odio stesso quanto ci veniva dalui; le dottrine germaniche erano accusate come complici delle nostre sventure, e lo spettro nordicopiantavasi fra la patria e la scienza, tanto che sembrava laudabile quasi il segregarsi dagli studi cheda mezzo secolo si compivano in quel gran paese; e pur oggi, anche nei men chiusi alle nuove cor-renti, rimane un falso concetto della scienza filologica”. Un’eco di questi sentimenti, per non dire diqueste parole, risuona ancora nella Prolusione pronunciata all’indomani della guerra franco-prus-siana da FILIPPO SERAFINI, Del metodo degli studi giuridici in generale e del diritto romano in particolare. Prolu-

sione al corso di diritto romano nella R. Università di Roma il dì 25 Novembre 1871, ora in ID., Opere minori, rac-colte e curate da Enrico Serafini, I, Modena, Archivio Giuridico Filippo Serafini Edit., 1901, p. 203:“Ogni fatto conferisce al nostro incremento fin da quando gli avvenimenti politici ci hanno am-maestrati a sfuggire la leggerezza e il fanatismo, spesso fatali ai popoli, per cercare invece l’abito delragionare profondo e sereno, dote precipua delle nordiche nazioni”.3 ROSARIO ROMEO, La Germania e la vita intellettuale italiana dall’Unità alla prima guerra mondiale, in ID.,Momenti e problemi di storia contemporanea, Assisi-Roma, Carucci, 1971, p. 166. Vd. anche OTTO WEISS,La “scienza tedesca” e l’Italia nell’Ottocento, in “Annali dell’istituto storico italo-germanico in Trento”, IX(1983), pp. 9 ss.; ANTONIO LA PENNA, L’influenza della filologia classica tedesca sulla filologia classica italiana

dall’unificazione d’Italia alla prima guerra mondiale, in AA.VV., Philologie und Hermeneutik im 19. Jahrhundert,a cura di M. Bollack, H. Wismann, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1983, pp. 232 ss.; GIULIO

CIANFEROTTI, Germanesimo e Università in Italia alla fine dell’800. Il caso di Camerino, in “Studi Senesi”, IIIs., XXXVIII (1988), pp. 327 ss.; ID., Università e scienza giuridica nell’Italia unita, in AA.VV., Università e

scienza nazionale, a cura di Ilaria Porciani, Napoli, Jovene, 2001, pp. 19 ss.4 PAOLO GROSSI, Scienza giuridica italiana. Un profilo storico 1860-1950, Milano, Giuffrè, 2000, p. 7. L’in-fluenza della Scuola storica aveva cominciato a diffondersi già negli Stati preunitari, pur senza im-porsi organicamente e sostituirsi al modello dell’Exegèse (che, come annota Grossi, era anche sostan-ziale “rinuncia da parte del giurista interprete … a un suo ruolo autonomo”): per un’attenta esplo-razione delle precoci testimonianze relative alla penetrazione in Italia del pensiero di Savigny e aproposito delle prospettive di studio ch’essa apriva, vd. LAURA MOSCATI, Italienische Reise. Savigny e la

scienza giuridica della Restaurazione, Roma, Viella, 2000, spec. pp. 174 ss.

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Da un punto di vista ideologico, il subentrare del metodo sistematico tedesco aquello esegetico francese (pur essendo sempre da inquadrare nella più generalesostituzione dell’influenza tedesca sulla vita intellettuale italiana postunitaria ascapito della francese) trovava, nell’animo dei giuristi italiani, un impulso specificonel convincimento che la tradizione giuridica nazionale risiedesse nel diritto ro-mano e non nei codici napoleonici, che pure improntavano la legislazione dell’I-talia unita. Nel monumento a Filippo Serafini, che si può vedere nel Cortile delleStatue dell’Università di Pavia, si avverte ancora l’eco di questa rivendicazionenazionalistica:5

A FILIPPO SERAFINI / MAESTRO DI DIRITTO ROMANO DAL 1857 AL 1868. / IL RISOR-GIMENTO DELLA PATRIA / SENTÌ E PROPUGNÒ / COME RINASCITA ITALIANA DELL’ARS BONI ET

AEQUI / ASSERTORE DELL’UNITÀ DELLE SCIENZE GIURIDICHE.6

Anche se il marmo fu collocato l’11 giugno del 1942 – celebrandosi proprio ilXL della morte di Ferrini7 – è una sintesi scolpita della prolusione tenuta a Roma

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5 Sulla strategia nazionalistica, v. dapprima FRANCESCO PAOLO CASAVOLA, Cronaca di una storia del di-

ritto romano (1959), ora in ID., Sententia legum tra mondo antico e moderno. II. Metodologia e storia della storio-

grafia, con una nota di Federico M. d’Ippolito, Napoli, Jovene, 2001, pp. 310 ss.; fondamentale, ALDO

SCHIAVONE, Un’identità perduta: la parabola del diritto romano in Italia, in AA.VV., Stato e cultura giuridica in

Italia dall’Unità alla Repubblica, a cura di Aldo Schiavone, Roma-Bari, Laterza, 1990, pp. 275 ss.; rac-coglie ora un ampio ventaglio di ideologie – fra cui quella nazionalistica – ALESSANDRO SOMMA,“Roma madre delle leggi”. L’uso politico del diritto romano, in “Materiali per una storia della cultura giuri-dica”, XXXII (2002), pp. 153 ss.6 LUISA ERBA, ALDO MORANI, Monumenti e lapidi conservati nel Palazzo Centrale dell’Università di Pavia, Pa-via, Lions Club Host Pavia, 1977, p. 200.7 Vd. Università degli Studi di Pavia. Annuario anno accademico 1942-43, Pavia, Tip. del Libro, 1943, p. 38.Il monumento dedicato al primo fra i romanisti pavesi dell’Italia unita fu l’ultimo in ordine di tempoad essere collocato nel “portico dei romanisti”, nel 1942. I primi tre furono posati per voto dei col-leghi e dei familiari poco dopo la morte, in memoria di Pietro Barinetti (post 1878), Felice Cattaneo(1908) e Contardo Ferrini (la prima menzione a me nota dell’iniziativa è nella lettera di condo-glianze inviata il 5 novembre 1902 a Rinaldo Ferrini dal preside della Facoltà di Giurisprudenza diPavia, LIVIO MINGUZZI, in AA.VV., In memoria del professore Contardo Ferrini, Milano, Cogliati, s.d. [pro-babilmente, 1903], p. 36: “A testimonianza dei suoi sentimenti e ad onore dell’Estinto, la Facoltà …ha deliberato, nella sua seduta di ieri, che è stata la prima dell’anno scolastico, di costituirsi in Co-mitato per iniziare una sottoscrizione, onde apporre un ricordo marmoreo all’illustre Collega negliatrii di questo Ateneo, invitando a parteciparvi anche i numerosi amici ed ammiratori ch’Egli avevanelle altre Università”; peraltro, si noti che il Regolamento della R. Università di Pavia del 16 aprile1889, art. 2, stabiliva che “La proposta di un monumento non potrà essere fatta se non dopo chesiano trascorsi tre anni dalla morte della persona che vuolsi onorare”). In seguito fu piuttosto il cultofascista della romanità e la posizione accademico-politica di alcuni romanisti a guidare la logicadelle ricordanze. Nel 1934, in coincidenza con la celebrazione ticinese del XIV centenario della co-dificazione giustinianea, furono inaugurati i monumenti a Luigi Moriani e a Pietro Bonfante (allacerimonia intervenne come Guardasigilli Pietro de Francisci, che era stato allievo a Pavia di Bon-

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da Serafini nel 1872 Del metodo degli studi giuridici in generale e del diritto romano in par-ticolare.8

La nuova costruzione pandettistica, essendo basata sulle fonti romane, veniva in-somma legittimata e percepita nel frangente successivo all’Unità come premessapre-positiva, in quanto scientifica e nazionale, e il diritto vigente (modellato sul fran-cese) veniva sussunto in questo sistema concettuale e valutato alla stregua di esso.9

Richiamo questo clima, perché, secondo il canone enunciato da Ferrini venti-settenne:

Mi pare che non sia completa la figura di un grande giurista, ove la si isoli da tuttol’ambiente che la circonda […] e mi pare ancora che l’apprezzamento dei veri meriti dilui venga reso assai più difficile quando manchino i termini di relazione.10

2. Si suole indicare una data precisa per il rinnovamento della scienza giuridicaitaliana, il 1880,11 prendendo a termine iniziale le prolusioni di due giovanissimi

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fante). Nel 1942 fu la volta, infine, del capostipite dei romanisti post-unitari in Pavia, Filippo Sera-fini. Come si vede, le ultime tre dediche si riferiscono a docenti che chiusero la loro carriera fuori Pa-via e la cui morte, come per Moriani (scomparso nel 1921) e soprattutto Serafini (1894), non era re-cente, segno che all’ufficio pietoso (cui avevano obbedito i primi tre monumenti), si accompagnaval’intento di recuperare una tradizione.8 SERAFINI, Del metodo degli studi giuridici in generale e del diritto romano in particolare. Prolusione: vd. supra nt.2. Il ruolo di F. Serafini (1831-1897), come primo ponte per l’ingresso della pandettistica in Italia,dipese dalla sua origine nel Trentino austriaco e dagli studi condotti a Innsbruck e Vienna, special-mente con L. Arndts (come rileva MARIO TALAMANCA, La romanistica italiana fra Otto e Novecento, in “In-dex”, XXIII [1990], pp. 160 s.; 164 s.). Come Serafini, così Francesco Schupfer (1833-1925) studiòquale suddito dell’Impero. Fra gli antesignani, invece, della “Deutsche Reise”, si segnala Nicola DeCrescenzio (1832-1895), di Terlizzi (Bari), che si laureò a Napoli e “Passò quindi in Germania, doverimase cinque anni per perfezionare la sua cultura specialmente nel diritto romano, frequentando leUniversità di Lipsia e di Heidelberg, ove fu diletto discepolo di Adolfo di Vangerow” (così ricordaval’allievo VITTORIO SCIALOJA, Nicola De Crescenzio, in ID., Studi giuridici, II, Diritto romano, 2, Roma, Ano-nima romana editoriale, 1934, p. 30). Il suo Sistema del diritto civile romano (2 voll., Napoli, Jovene, IIed. 1869) “non fu opera originale … ma fu di grande utilità, perché come molti altri lavori contem-poranei, servì a introdurre in Italia i risultati della scienza tanto progredita in Germania” (SCIALOJA,ibid., p. 31). Su De Crescenzio, vd. CASAVOLA, La romanistica a Napoli dall’Unità alla guerra (2001), orain ID., Sententia legum, II, pp. 548 s.9 Si vd. per tutti ancora SERAFINI, Del metodo degli studi giuridici in generale e del diritto romano in particolare.

Prolusione, p. 214, ove si afferma il nesso “di non interrotta unità” che “unisce e collega l’antico di-ritto di Roma col nuovo diritto d’Italia”. Per una corretta valutazione, vd. FILIPPO RANIERI, Einige Be-

merkungen zu den historischen Beziehungen zwischen deutscher Pandektistik und italienischer Zivilrechtswissenschaft:

Die Lehre des Rechtsgeschäfts zwischen 19. und 20. Jahrhundert, in Mélanges à mémoire du Prof. Alfred Rieg (Pu-blications de la Faculté à Strasbourg), Bruxelles, Bruyant, 1999, pp. 703 ss.10 Rec. a BUHL, Salvius Iulianus (1886), in Opere di Contardo Ferrini, II, Studi sulle fonti del diritto romano, acura di Emilio Albertario, Milano, Hoepli, 1929, pp. 499 s. (in seguito = Opere, II).11 GROSSI, Scienza giuridica italiana, pp. 16 ss.

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giuristi, Enrico Ferri (1856-1929), il fondatore della sociologia criminale,12 ed En-rico Cimbali (1855-1887), che proponeva una nuova sistemazione del diritto civileche sapesse compendiare – ben più del tradizionale ordine di Gaio – “l’organismodel diritto privato quale esso si presenta e vive svolgendosi in contatto colle muta-bili esigenze della vita sociale”.13 Due programmi rinnovatori ai quali proporrei

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12 Pronunciata il 6 dicembre 1880, a Bologna: ENRICO FERRI, I nuovi orizzonti del diritto e della proce-

dura penale, Bologna, Zanichelli, 1881, pp. 1 ss. Ai nostri fini è interessante riepilogare i presuppo-sti scientisti e ideologici del suo indirizzo (sulla sua opera tecnica, vd., per tutti, MARIO SBRICCOLI,Il diritto penale sociale, 1883-1912, in “Quaderni Fiorentini per la storia del pensiero giuridico”, III-IV [1974-75], pp. 557 ss.). La sociologia criminale restringeva i fattori del delitto a tre, antropo-logici, fisici e sociali, e negava perciò la libertà e, con essa, la responsabilità morale. Si fondava,dunque, su una riduzione del mondo dello spirito al mondo della natura, che aveva un evidentedebito (attraverso la teoria di C. Lombroso della predisposizione bioantropologica alla crimina-lità) con il positivismo evoluzionista. Ferri, che fu anche uno dei dirigenti e teorici del partito so-cialista italiano all’inizio del secolo, fu largamente influenzato dal materialismo e, nel suo ordined’idee, anche il marxismo non era che una proiezione sociologica dell’evoluzionismo di Darwin eSpencer (ad es., la lotta di classe era considerata una forma di selezione naturale): in pratica, Ferri– che, del resto, al Liceo era stato alunno di Roberto Ardigò – modellava le leggi storico-socialisulle leggi naturali. La distanza di Ferrini da queste concezioni non sarebbe potuta essere mag-giore (cfr. soprattutto FERRINI, Sul verismo, in Scritti religiosi, pp. 20 ss.; Un po’ d’Infinito, ibid., pp. 149ss.; vd. anche la Lettera a Vittorio Mapelli, 1 luglio 1884?, ove “quello sventurato – giovane e piosacerdote, un giorno – che queste vacanze ha tentato con un ridicolo libretto di demolire la figuragigante di Paolo, preferendogli Lucrezio materialista” mi sembra doversi identificare con Gae-tano Trezza).13 Pronunciata il 25 gennaio 1881, a Roma: ora in ENRICO CIMBALI, Studi di dottrina e giurisprudenza

civile, Lanciano, Carabba, 1889, pp. 3 ss. Il protagonista, che univa al generale riconoscimentoun’altrettanto forte fiducia sui, definì “trionfale” la giornata, nella Lettera al padre spedita l’indo-mani (riprodotta in ID., Epistolario [Opere, VI], Torino, Unione Tipografico-Editrice torinese, 1912,pp. 114 ss.). La prolusione dalla cattedra messinese (Le obbligazioni civili, complemento e funzione della

vita sociale, Torino, Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1887; anche di essa e del “vero suc-cesso” che riscosse, è rimasta l’eco nel diario del fratello Giuseppe pubblicato in AA.VV., La vita e

le opere di Enrico Cimbali nella critica italiana e straniera e nei ricordi di amici e discepoli, Torino, Unione Ti-pografico-Editrice Torinese, 1916, p. 393) fu, invece, pronunciata il 25 gennaio 1887, poche setti-mane prima dell’arrivo nella città dello Stretto di Ferrini (che aveva pronunciato la regola delTerz’Ordine Francescano il 6 febbraio in Milano). Di lì a poco, Cimbali fu colpito da gravissimamalattia, probabilmente tifoidea, di cui doveva morire il 25 giugno a soli 33 anni, giusto alla vigi-lia del giorno in cui s’attendeva, invece, la notizia della sua elezione a Deputato per il collegio diCatania, nelle fila del movimento di Crispi. Ferrini persuase il renitente in punto di morte a mu-nirsi dei conforti religiosi, portati dal collega di Facoltà sac. Vincenzo Lilla (l’intervento di Ferriniè riferito da CARLO PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, narrata da Mons. C. P., II ed., Torino,Società Editrice Internazionale, 1928, p. 278; vd. ora ANTONINO METRO, C. Ferrini e la cattedra a

Messina, supra, pp. 85-92, ove si può leggere anche la rievocazione di Ferrini poi stesa da Lilla). L’in-carico di sostituire Cimbali nell’insegnamento di Diritto civile fu affidato proprio a Ferrini. Nell’i-niziare il corso, ebbe inoltre dal Rettore Giuseppe Oliva il compito di “ricordare il venerato nome

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modestamente di aggiungere la prolusione camerte di Vittorio Scialoja (1856-1933) “Del diritto positivo e dell’equità”, pronunciata nel 1879 e pubblicata nel 1880,14

anche perché, a conti fatti, corrisponde maggiormente alla strada che fu poi effet-

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del povero Enrico e parlare altresì delle principali sue opere”, che per l’occasione Ferrini richiesee ottenne dalla famiglia, come si apprende da una sua lettera che compare in La vita e le opere di En-

rico Cimbali, pp. 250 s.; in tale lettera, nell’annunciare al fratello dell’estinto il rinvio della comme-morazione a dopo le vacanze natalizie, sia per potere meglio prepararsi, “sia per trovare un nu-mero più completo di studenti”, Ferrini dichiara l’intenzione di metterne il testo a “disposizionesia per la stampa, sia (eventualmente) per la ristampa”. La commemorazione ebbe luogo il 26 gen-naio 1888. Uno stralcio è riprodotto in La vita e le opere di Enrico Cimbali pp. 132 s. (e qui a cura diV. Marotta, cui ne devo la segnalazione: infra, p. 298 nt. 1); una nota avverte che il testo, che Fer-rini aveva promesso d’inviare alla famiglia per la pubblicazione, “disgraziatamente andò perduto”(un’eco della commemorazione sembra cogliersi in ISIDORO MODICA, Per una nuova edizione della

“Nuova fase del diritto civile”, ibid., p. 51, secondo cui l’opera del Cimbali fu “giudicata ed elogiata …dal Ferrini”). Dal breve stralcio si evince che Ferrini mostrò i “pregi sommi della Nuova Fase” diCimbali e sottolineò “quanto tesoro egli facesse del diritto romano e delle opere dei romanisti,colle quali aveva famigliarità non comune”. Pur attesa la sincerità dell’elogio, sembra certo, seb-bene non ne faccia il nome, che Ferrini pensi a Cimbali e al suo indirizzo (oltre che agli altri espo-nenti del movimento battezzato socialismo giuridico da Achille Loria), quando afferma: “È facilegridare che il diritto romano è egoistico, eccessivamente individualistico, che bisogna tener nel do-vuto conto l’interesse sociale e sacrificare a questo l’interesse privato, e così via. Ma non si vedeche, quando si voglia discendere al pratico, tutto ciò non può non avere per effetto una mera estin-zione od un mero indebolimento delle energie industriali, e che ciò, in definitiva, tornerebbe a si-curo detrimento della società tutta quanta. Altro è temperare alcuni istituti in armonia con i finidell’eguaglianza bene intesa e della sociale benevolenza, altro è capovolgere i criteri del diritto pri-vato. Poiché questo … non può prescindere dall’individuo e dall’elemento individuale” (Rec. a F.BUONAMICI, Di quello che debbono fare i romanisti nella moderna dottrina giuridica, in Opere di Contardo Fer-

rini, IV, Studi vari di diritto romano e moderno [sui diritti reali e di successione], a cura di Pietro Ciapessoni,Milano, Hoepli, 1930, pp. 481 s. [in seguito = Opere, IV]). Per lo sfondo, costituito dalla polemicasul grado di individualismo del diritto romano – ch’era a sua volta un risvolto dell’opposizione fragermanisti e romanisti all’interno della cultura giuridica tedesca – vd. ANTONIO MANTELLO, “Il più

perfetto codice civile italiano”. A proposito di BGB, diritto romano e questione sociale in Italia, in “SDHI”, LXII(1996), spec. pp. 375 ss. (qui, a pp. 365 s. e 378 nt. 44, è ricordata la recensione di Ferrini a Buo-namici). Un’altra recisa critica a Cimbali, ma sul piano tecnico (in tema di capacità di agire) silegge in FERRINI, v. Obbligazione [vd. nt. 71], pp. 676 ss. Per una valutazione storiografica di E. Cim-bali, vd., per tutti, MICHELE CASCAVILLA, Il socialismo giuridico italiano. Sui fondamenti del riformismo so-

ciale, Urbino, QuattroVenti, 1987, spec. pp. 113 ss., che evidenzia come il connubio fra scienzagiuridica e concezione evoluzionistica della trasformazione economico-sociale faccia sì che, nelprogetto di Cimbali, i fatti sociali, nel loro determinismo, soppiantino la giustizia sociale nel de-terminare la direzione e gli esiti del processo riformistico; adde ANTONIO MANTELLO, Tematiche pos-

sessorie e ideologie romanistiche nell’Ottocento italiano, in AA.VV., ‘Recordationes’. Riflessioni ottocentesche in

materia possessori a (Supplementum a “SDHI”, LXVI [2000]), spec. pp. 4; 74 ss., per la dipendenza dal-l’utilitarismo di John Stuart Mill e la risonanza, nel discorso tecnico sul possesso, della contingenzaeconomica italiana, specie della condizione agraria meridionale.14 Ora in ID., Studi giuridici, III, Diritto privato, 1, Roma, Anonima Romana Editoriale, 1932, pp. 1 ss.

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tivamente percorsa dalla scienza giuridica italiana, la strada della rifondazione ro-manistica, del pandettismo civilistico.15

In quel 1880, il 21 giugno, Ferrini si laurea in giurisprudenza, all’Università diPavia. La sua tesi sull’apporto alla storia del diritto criminale dei poemi omerici edesiodei (inclusi l’Aspis e le Grandi Eèe oggi ritenuti apocrifi), scritta in latino, porta isegni della formazione eccezionale ricevuta nell’adolescenza, prima a Milano,dove sotto la guida del prefetto della Biblioteca Ambrosiana, l’abate Antonio Ce-riani (1828-1907),16 Ferrini aveva studiato l’ebraico17 e il siriaco e appreso leprime nozioni di sanscrito e copto,18 poi a Pavia, dov’era stato ascoltatore fedeledi Giovanni Canna (1832-1915), ordinario dal 1876 di Letteratura Greca alla Fa-coltà di lettere e filosofia,19 uomo di profonda fede cristiana, punto di riferimento

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15 Lo riconosce anche GROSSI, Scienza giuridica italiana, pp. 39 ss., pur in un contesto che colloca alcentro della ribalta “la fiammata neoterica”, piuttosto che l’orientamento egemone di matrice ro-manistico-pandettista, che essa non fu in grado di vincere. Ibid., p. 44, la prolusione di Scialoja è de-finita “un troppo famoso e, ohimè, troppo influente saggio”, espressione che trapassa – consapevol-mente – dal piano storiografico a quello valutativo. Sulla posizione metodologica di Scialoja, vd. an-che la lettera a Serafini, Sul metodo d’insegnamento del diritto romano nelle Università italiane, riproposta e an-notata da FRANCESCO AMARELLI, in “Index”, XVIII (1990), pp. 59 ss., nonché CIANFEROTTI, Germa-

nesimo e Università in Italia alla fine dell’800, pp. 339 ss. e, con molti spunti, ID., L’Università di Siena e la

“vertenza Scialoja”. Concettualismo giuridico, giurisprudenza pratica e insegnamento del diritto in Italia alla fine del-

l’Ottocento, in Studi in memoria di Giovanni Cassandro, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali,1991, I, pp. 212 ss.16 Sulla sua vita e opera, vd. CESARE PASINI, Il Collegio dei Dottori e gli studi all’Ambrosiana sotto i prefetti

Ceriani e Ratti, in AA.VV., Storia dell’Ambrosiana, Milano, IntesaBci, 2001, pp. 77 ss.; la sua nomina aDottore dell’Ambrosiana, nel 1857 (Prefetto ne divenne dal 1870), era motivata “in vista de’ molti edistinti suoi meriti, e sopra tutto per l’ammirata sua perizia in più lingue orientali” (ibid., p. 80).17 Cfr. il lavoro giovanile (1877) Ricerche sulla capacità giuridica presso gli ebrei, in “La Scuola cattolica”,VI (1914), pp. 75 ss.18 PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, p. 47.19 Sulla condizione della Facoltà pavese, ridotta fra il 1863 e il 1879 a un biennio di “Liberi corsi difilosofia e lettere”, dopo la soppressione imposta dalla legge Casati a vantaggio dell’allora istituita Ac-cademia Scientifico-Letteraria di Milano, vd. ALBINO GARZETTI, Gli anni universitari di Contardo Ferrini,ora in Cento anni di bibliografia su Contardo Ferrini, a cura di Valerio Marotta e Giorgio G. Mellerio, Pa-via (Nuovo Bollettino Borromaico, XXXI), 2002, pp. 86 s., ove si offre anche una giusta valutazionedell’influenza di Canna, e soprattutto DOMENICO MAGNINO, La Facoltà di Lettere a Pavia fra Ottocento e No-

vecento, in AA.VV., Storia di Pavia, V, Pavia, Banca regionale europea, Banca del monte di Lombardia,2000, pp. 475 ss. Per le parallele vicende dell’Accademia milanese, vd. ENRICO DECLEVA, Una facoltà

filosofico-letteraria nella città industriale. Alla ricerca di un’identità (1861-1881), in AA.VV., Milano e l’Accade-

mia Scientifico-Letteraria. Studi in onore di Maurizio Vitale, a cura di G. Barbarisi, E. Decleva, S. Morgana,Milano, Cisalpino, 2001, pp. 3 ss. A proposito dei travagliati rapporti fra i due centri di studio, unalettera del 1875 diretta da Ausonio Franchi a Graziadio Isaia Ascoli, rivela il ruolo attivo svolto da A.Buccellati nel 1875 per procurare la chiamata a Pavia del filosofo e del glottologo, che erano fra inomi illustri dell’Accademia milanese (Lettera di Franchi ad Ascoli, 30-31 ottobre 1875, ora edita daGUIDO LUCCHINI, Graziadio Isaia Ascoli e l’Accademia Scientifico-Letteraria 1861-1880, in AA.VV., Milano e

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per un’intera generazione (fu alle lezioni dell’ottimo grecista e pedagogista che,raccogliendo il calamaio del compagno rotolato sotto la vecchia panca, Ferrinistrinse amicizia con Nino Tamassia, d’un anno più giovane).20 Si noti che il lavorocon cui Canna vinse la cattedra a Pavia, giusto l’anno precedente a quello in cuiFerrini vi entrò come matricola, verte su Le Opere e i giorni di Esiodo (cui s’aggiungeuna traduzione in endecasillabi italiani del Carme Etico e del Georgico di Esiodo),poema che costituisce una delle fonti primarie della tesi.21 E a Canna, la tesi è de-dicata da Ferrini, quando è pubblicata a stampa nel 1881.22

È perciò senz’altro giustificato scorgere nella scelta dell’argomento di tesi l’in-fluenza dello zio materno Antonio Buccellati (1831-1890), valente penalista dellaFacoltà giuridica e dunque suo professore.23 Ma resta che il taglio, l’interesse, lamolla sono squisitamente letterarî. Se si eccettua l’argomento, insomma, sul pianodel metodo non sussiste un vero collegamento con gli studi penalistici successivi.Val bene a illustrarne i moventi la dichiarazione di Ferrini, che, ricordando di es-sere appena uscito dall’adolescenza (adulescentiam enim vix praetergressi ),24 così giusti-fica la scelta della tesi: “Non enim absurdum videtur, cum horum carminum lectione mire de-lectemur, aliqua etiam ad nostrum excerpere documentum”:25 l’uso dei poemi come docu-

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l’Accademia Scientifico-Letteraria, pp. 933 ss., nr. 50). Sull’apprezzamento, anche teologico, di Ferrini perCristoforo Bonavino, cfr. la Lettera a Paolo Mapelli, 22 novembre 1889, in Scritti religiosi, p. 121: èl’anno, si noti, in cui il gesuita, che nel 1849 aveva abbandonato l’abito sacerdotale assumendo lopseudonimo di Ausonio Franchi (cioè Italiano Libero), era tornato alla fede e al sacerdozio.20 Sui “discepoli … passati davanti a Giovanni Canna” che “può considerarsi l’artefice, se non solo,né, forse, unico, ma certo efficacissimo di alti ardimenti e di concepimenti generosi, non pure neigiovanili, ma anche nei più maturi anni della vita”, vd. GIOVANNI VIDARI, Un maestro di umanità, Gio-

vanni Canna, Casale Monferrato, Stab. Arti Grafiche già F.lli Torelli, 1931, p. 15: il nome di ContardoFerrini apre l’elenco, nel quale figura anche Pietro Ciapessoni (1881-1943). Nella testimonianza diTamassia riferita da PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, p. 107 (“Egli [scil.: Ferrini] era di unanno più avanti di me, ma percorrevamo insieme il corso di diritto greco”), la dicitura del corso sem-bra erronea, poiché il diritto greco non risulta fra quelli tenuti come titolare o supplente dal Canna,salvo che il teste si riferisca piuttosto all’argomento che all’intitolazione. Il conservatore Tamassia fupoi, com’è noto, storico del diritto italiano a Padova.21 Vd. GIOVANNI CANNA, Scritti letterari, Casale M., Cassone, 1919, pp. 17 ss. (ivi, pp. 22 ss., una note-vole presa di posizione a favore dei metodi della filologia germanica).22 L’incontro di Ferrini con Canna “incisivo e sul piano scientifico e sul piano spirituale” è ap-profondito da FERDINANDO BONA, Contardo Ferrini tra storia e sistematica giuridica (1982), ora in Cento anni

di bibliografia su Contardo Ferrini, pp. 103 s.23 Su di lui, il saggio più analitico è di ETTORE DEZZA, Tra scuola classica e scuola positiva: Antonio Buc-

cellati e le “Istituzioni di diritto e procedura penale” (1984), in ID., Saggi di storia del diritto penale moderno, Mi-lano, Led, 1992, pp. 391 ss.24 Quid conferat ad iuris criminalis historiam homericorum hesiodeorum poematum studium (1880-1881), ora inOpere di Contardo Ferrini, V, Studi vari di diritto romano e moderno (sul diritto pubblico, penale etc.), a cura di Vin-cenzo Arangio-Ruiz, Milano, Hoepli, 1930, p. 50 (in seguito = Opere, V).25 Opere, V, p. 2.

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mento storico-giuridico è incidentale e secondario rispetto alla loro fruizione let-teraria.

Il 1880 (e dintorni) delle prolusioni di Scialoja, Ferri e Cimbali e della lau-rea di Ferrini è anche l’anno in cui a Berlino s’inaugura la nuova serie dellaZeitschrift für Rechtsgeschichte, divenuta ora finalmente Zeitschrift der Savigny Stiftung,sotto la guida di Bruns, Bekker e Pernice, ossia dell’ala storicista della scuolache si rifaceva al Savigny, e a stretto contatto con l’Accademia delle Scienze do-minata dal Mommsen.

E a Berlino – capitale del Reich dal 1870, come Roma dell’Italia26 – al cenacolodella Zeitschrift, si dirige Ferrini, nel dicembre del 1880. Il suo principale intentoera di incontrare proprio K.G. Bruns, cui fra gli altri s’era rivolto già Biagio Brugi(1855-1934). “Pur troppo appena giunto” Ferrini ebbe “la triste nuova della morterecente e quasi subitanea” del professore “per cui in ispecial modo era qui ve-nuto”.27 Perché Ferrini cercasse proprio Bruns non è dato a sapere: tuttavia, si puònotare che proprio nel 1880, Bruns (che il 2 luglio di quell’anno era stato eletto so-cio corrispondente dell’Accademia dei Lincei, nella novella classe di scienze mo-rali, istituita nel 1875) aveva pubblicato con Sachau l’edizione del “Libro Siro-ro-mano di diritto”, che dovette allettare subito il giovane che conosceva il siriaco,per averlo appreso sotto la guida di Antonio Ceriani, e che del resto all’operettarivolse un’attenzione mai sopita, fino al saggio pubblicato dalla Zeitschrift nell’annodella sua morte.28

Venuto a mancare Bruns, Ferrini si dispose a frequentare per il primo semestrele istituzioni di diritto romano e le antichità del diritto romano, tenute da Hein-rich Dernburg (1829-1907), che, infatti, dichiara poi suo Maestro,29 e un corso di

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26 È interessante notare che, agli occhi di un berlinese autentico come Theodor Fontane, Berlino an-cora nel 1875 non reggeva il confronto con Milano, mentre già nel 1881 la capitale tedesca era di-ventata “bella e signorile”: vd. FRANZ J. BAUER, Roma e Berlino dopo il 1870. Percorsi diversi per due nuove

capitali, in AA.VV., La ricerca tedesca sul Risorgimento italiano: temi e prospettive. Atti del Convegno Internazio-

nale (suppl. a “Rassegna Storica del Risorgimento”, LXXXVIII), a cura di Andrea Ciampani, LutzKlinkhammer, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, 2002, p. 150 nt. 8.27 Lettera a Paolo Mapelli, 16 gennaio 1881, in Scritti religiosi, p. 52. Bruns era nato il 24 febbraio1816; morì quel 10 dicembre.28 Syrisch-römisches Rechtsbuch aus dem fünften Jahrhundert. Aus den orientalischen Quellen herausgegeben, über-

setzt und erlautert von KARL GEORG BRUNS u. EDUARD SACHAU, Leipzig, F.A. Brockhaus, 1880. Cfr. In-

stitutionum Graeca paraphrasis Theophilo antecessori vulgo tributa ad fidem librorum manu scriptorum recensuit

prolegomenis notis criticis versione latina instruxit E. C. FERRINI, I, Berolini, Calvary, 1884, pp. XII ss. (conl’ipotesi che la parafrasi e le leges saeculares si rifacessero a un katà pódas gaiano uscito dalla scuola diBerito; vd. al riguardo anche infra, § 10); cfr. ID., Beiträge zur Kenntniss des sog. römisch-syrischen Recht-

sbuches (1902), in Opere, I, pp. 397 ss., dove le fonti giurisprudenziali (dell’originale greco cui s’ap-poggiò il traduttore siriaco) sono, invece, identificate con possibili “rielaborazioni greche dei quat-tro libri singulares”.29 Opere, I, p. 2 nt. 4.

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storia del diritto romano svolto da Karl Bernstein, che, invece, ebbe più voltemodo di criticare in tema di optio legata.30 Nel secondo semestre progettava di udirele Pandette: si credeva sarebbe venuto a leggerle Jhering da Gottinga, ma la spe-ranza andò delusa.31

Non è dato a sapere da chi il giovane Ferrini sia stato indirizzato a Berlino enon sono da escludere i buoni uffici di Buccellati, che risulta fra l’altro socio dellaJuristische Gesellschaft berlinese.32 È un fatto, tuttavia, che un’opera proprio delDernburg, Le Istituzioni di Gaio. Quaderni di scuola dell’Anno 161 dell’era volgare, uscì aPavia nel 1881 in versione italiana (per la tip. Fusi), preparata da Felice Cattaneo.

Il nobiluomo bergamasco (1833-1902) era allora professore straordinario d’Isti-tuzioni di diritto romano e teneva dal 1877, anno della morte di Pietro Barinetti,anche la supplenza di Diritto romano. Il che equivale a dire che Ferrini ebbe Cat-taneo come unico professore di materie romanistiche nei quattro anni di studio.

A parte questa non trascurabile circostanza, una nebbia sembrava avvolgere enascondere i rapporti fra Felice Cattaneo e Ferrini.33 A diradarla viene uno scrittodi quest’ultimo sfuggito ai raccoglitori delle sue opere. Compare in un fascicolod’onoranze edito dal filosofo Carlo Cantoni, conservato presso la Biblioteca del-l’Ateneo ticinese. Si tratta appunto delle Parole pronunciate ai funebri (del prof. FeliceCattaneo, 26 giugno 1902) dal prof. Contardo Ferrini.34

Con intensa e profonda commozione io porgo l’ultimo saluto al mio caro maestroed al mio ottimo collega. A lui che in questo Ateneo insegnava le Istituzioni di DirittoRomano e, come supplente, le Pandette, io devo – e lo ricordo con animo riverente egrato – il primo impulso a dedicarmi agli studî che professo. La sua cultura vasta e va-

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30 Cfr. FERRINI, Studi sul “legatum optionis” (1885), in Opere, IV, pp. 269 ss. È significativo sia del legamepsicologico mantenuto con l’ambiente berlinese sia del rapporto con il Bernstein improntato a uncerto distacco – a confronto con il ricordo che nelle stesse lezioni ricorre di Pernice (vd. infra, § 4) –che della sua recente scomparsa Ferrini desse sobria notizia ai propri studenti, come attestano le Di-spense di Diritto Romano (v. infra, nt. 64), p. 51.31 Lettera a Paolo Mapelli, 16 gennaio 1881, in Scritti religiosi, p. 52: “Nel secondo studierò Pandettee si crede che verrà a leggerle Hering [sic] da Gottinga”. In effetti, R. v. Jhering dal 1872 insegnavaa Gottinga; molto meno probabile, Fr. H. Th. Vering.32 La qualifica appare negli Annuari dell’Università a partire dall’a.a. 1885-86, dunque dopo il sog-giorno tedesco del nipote.33 Vd. GARZETTI, Gli anni universitari di Contardo Ferrini, p. 75: “Desidereremmo ora sapere di più …sul manifestarsi della vocazione per il diritto romano, tanto più nella singolare situazione di questoinsegnamento in quegli anni di transizione fra il magistero di Pietro Barinetti … e quello di LuigiMoriani”. A F. Cattaneo si accenna, senza commenti, ibid., pp. 83 s.34 Il curatore annota dolente: “Il Ferrini che con tanto affetto parlava del compianto suo collega e mae-stro, pochi mesi dopo, cioè il 17 ottobre, veniva improvvisamente rapito alla nostra Università, dellaquale, benché giovane, era già una delle maggiori illustrazioni”. I monumenti che li ricordano sono af-fiancati sotto il portico occidentale del Cortile delle Statue dell’Università di Pavia (cfr. supra, nt. 7).

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ria, le sue cognizioni molteplici circa la letteratura giuridica italiana e straniera, si ap-palesavano in quelle private istruzioni, di cui era largo a chiunque fra’ giovani ne vo-lesse approfittare.35

Si rivede, in quest’epitaffio, il Ferrini che muove i primi passi. Da sottolineareè poi particolarmente l’accenno alla conoscenza della letteratura giuridica stra-niera da parte di Felice Cattaneo. D’altra parte, non è senza significato che un suosaggio sul nome di Gaio, che fu presentato all’Istituto Lombardo da Antonio Buc-cellati, sia stato positivamente recensito nel 1881 sulla Zeitschrift der SavignyStiftung,36 primo fra lavori di romanisti italiani a ricevere quest’attenzione dallanuova Rivista. Senza voler tirare somme precipitose,37 si delinea la figura di un

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35 Nell’Anniversario della morte del compianto prof. Felice Cattaneo, a cura di Carlo Cantoni, Pavia, Stab. Tip.Succ. Bizzoni, 1903, p. 15. Così prosegue l’epicedio (pp. 15-17): “Egli non fece mai inutile pompadel suo sapere, ma questo era solido e ampio; a lui bastava la gioia tranquilla dello studio e la serenacompiacenza del vero onestamente ricercato. – Fino agli ultimi tempi egli conservò vivo l’interesseper le nuove scoperte e per le nuove conquiste della nostra scienza; si procurava le migliori pubbli-cazioni e ne giudicava con acume e insieme con modesto riserbo. Al dovere suo d’insegnante non èmai venuto meno e senza una ragione ben grave non ha mai omesso di fare lezione. Al tempo degliesami io fui più volte testimonio della sua abnegazione di restare per molte e molte ore consecutiveintento al laborioso compito per dare a tutti i giovani che erano presenti la soddisfazione di soste-nere la prova per cui erano venuti. Tutta la cittadinanza ne rispettava l’integrità del carattere e labontà del cuore. L’animo indulgente, più proclive a credere il bene che il male, lodava senza pre-giudizio di scuola o di parte tutto quello che nei campi più disparati gli paresse nobile e generoso.Dei bisogni altrui fu soccorritore pronto ed efficace: più volte fu sorpresa la sua buona fede, ma ebbela consolazione di redimere chi ne era degno dalla miseria e dalla sventura e di avviarlo con prose-guiti sacrifizî pecuniarî e con instancabile benevolenza a proficua ed onorata carriera. – I lunghi col-loquî che io ho avuto spesso con lui, mi hanno sempre lasciato un senso profondo di ammirazioneper la singolare rettitudine dell’animo suo e per l’alta intonazione morale di tutti i suoi giudizî sullepersone e sulle cose, per la sete di giustizia e di verità. Chiunque ha conosciuto intimamente l’uomo,di cui piangiamo la perdita, può attestare che non vi è alcuna esagerazione in quanto ho detto e cheanzi ben di più si sarebbe potuto dire. Ed è questo il nostro miglior conforto in questa ora solenne.Egli riposa in pace”. Per i rapporti con il docente, vd. anche FERRINI, La Parafrasi di Teofilo ed i Com-

mentari di Gaio (1883), in Opere, I, p. 18 nt. 1: “L’egregio prof. Cattaneo, che ricordiamo con stima af-fettuosa e riconoscente”.36 A. SCHNEIDER, in “ZSS”, IV (1883), pp. 154 ss.; nella stessa annata (pp. 157 ss.), Pernice censuraLa exceptio doli di Milone.37 Potrebbe darsi, infatti, che la scelta di Cattaneo di tradurre l’opera di Dernburg non implicasseuna precedente conoscenza personale fra l’autore e il traduttore o che, comunque, se anche cono-scenza vi fosse, non abbia influito sulla scelta di Ferrini di recarsi a Berlino dove Dernburg inse-gnava. Non si può escludere nemmeno la spiegazione opposta, che, cioè, l’iniziativa sia partita daFerrini stesso (la traduzione appare nel 1881, ed è perciò astrattamente possibile, anche se non moltoverosimile, che sia stata intrapresa dopo l’arrivo di Ferrini in Germania) e che per suo interessa-mento sia stata procurata la recensione sulla Zeitschrift. Questo secondo modello di spiegazione, pur

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docente vicino a Ferrini, dal quale il giovane allievo può avere tratto conforto, senon addirittura sostegno fattivo, nella decisione di recarsi in Germania.38

3. Quel che occorre sottolineare al di là della vicenda individuale, proprio per cer-care di riportare la figura di Ferrini ai suoi anni, è che egli fu parte di un vero eproprio pendolarismo di giovani intellettuali dall’Italia verso la Germania. Con-sente di farsene un’opinione precisa l’elenco delle borse di studio di perfeziona-mento erogate dal Ministero dell’Istruzione Pubblica fra il 1861 e il 1894, compi-lato dieci anni fa da Ariane Dröscher.39

Il primo dato significativo è che il maggiore sforzo finanziario fu prodotto dalMinistero fra il 1877 e il 1891; inoltre la destinazione dei perfezionandi è per il71% ca. Germania e il 15% Austria, contro il 18% della Francia.40 È la riprovaquasi tangibile del fenomeno cui accennavo, il progressivo accostamento dell’Ita-lia alla cultura della Prussia-Germania iniziato dopo il 1870.

Ferrini che si reca a Berlino è, dunque, all’interno di un vero e proprio flusso(sempre per contestualizzare, si ricordi pure che è con la seconda metà del se-colo XIX che ebbe inizio la stagione del viaggiare, specialmente grazie allestrade ferrate).

Quando poi si scenda all’analisi, si vede che il diritto romano costituisce un set-tore trainante all’interno dell’area giuridica.41

Scorrendo l’elenco dei perfezionandi, si riconoscono, fra nomi di primo e se-condo piano, nove romanisti (fra parentesi il periodo di godimento della borsa e,quando sia specificata, la sede del soggiorno, secondo il sullodato elenco): Giu-seppe Leone [rectius: Leoni] (1876/77, Vienna);42 Biagio Brugi (1877/78, Berlino);Pietro Cogliolo (feb. 1883); Muzio Pampaloni (1883, Lipsia); Ferdinando Picci-

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invertendo i termini, accentuerebbe i legami fra Ferrini e il suo docente pavese. Di F. Cattaneo, se-gnalo ancora che fu membro (con Pasquale del Giudice e l’altro romanista Luigi Moriani, che stesela relazione) della commissione per il premio pavese intitolato al celebre economista Luigi Cossa,che fu attribuito nel 1887 (l’anno della partenza di Ferrini per Messina) al ghisleriano Gino Segrè(1864-1942), allievo di Ferrini, per uno studio sulla natura della comproprietà in diritto romano.38 Per questo ruolo, GARZETTI, Gli anni universitari di Contardo Ferrini, p. 287, candidava Luigi Cossa.39 ARIANE DRÖSCHER, Die Auslandsstipendien der italienischen Regierung (1861-1894), in “Annali dell’Isti-tuto storico italo-germanico in Trento”, XVIII (1992), pp. 545 ss.40 DRÖSCHER, Die Auslandsstipendien, Tab. 3, p. 551 (il totale eccede il 100%, poiché alcuni perfezio-nandi soggiornarono in più di un Paese).41 Come nota già la Dröscher, che pure è interessata al panorama generale e non alle singole disci-pline (Die Auslandsstipendien, p. 553): “Der Einfluss der Auslandsstipendiaten auf die Entwicklung derWissenschaft in Italien war von entscheidender Bedeutung, vor allem auf den Gebieten der Mathe-matik, der Botanik, der Elektrotechnik, des Römischen Rechts und des Kirchenrechts”.42 Giuseppe Leoni (Verona 1854 – Padova 1911) fu libero docente di diritto romano all’Univ. di Pa-dova e straordinario di Istituzioni all’Univ. di Macerata. Bibl. in “NNDI”, IX (1963), p. 740 sv.

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nelli (1884/85);43 Francesco Brandileone (dic. 1886, Germania);44 Alfredo Ascoli(1888/89, Lipsia e Gottinga);45 Adolfo F. Rossello (1890);46 Carlo Arnò (1894/95,Berlino e Strasburgo, allora in mano tedesca: v’insegnò Lenel).47

Sono nove romanisti, sul totale di quaranta borsisti provenienti dalle Facoltàgiuridiche italiane nella seconda metà del secolo, entro cui costituiscono la pattu-glia più numerosa (seguiti da perfezionandi in Storia del diritto ed Economia eScienza delle finanze, otto per ciascuna; i quindici restanti sono distribuiti –tranne i casi che non è stato possibile accertare – fra Diritto penale, Filosofia deldiritto, Diritto Canonico).

Il viaggio d’istruzione in Germania esercitò sui giovani giuristi che si affaccia-vano al mondo della ricerca romanistica un’attrazione anche più intensa di quantorisulti dal solo osservatorio delle borse ministeriali di perfezionamento. Lo stessoFerrini, che stette a Berlino per due anni di seguito, non compare nella lista, poichégodette di sostegni finanziari d’altra fonte: una borsa del Collegio Ghislieri di Pa-via il primo anno (il che, trattandosi d’un borromaico, è segno della razionalità delsistema pavese dei collegi) e un assegno della Cassa di Risparmio il secondo.

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43 L’assegno risulta conferito per le Finanz-wissenschaften. Prove della sua attività di romanista:Della espropriazione per causa di pubblica utilità considerata nel diritto romano (dissertazione libera, dichiarata de-

gna di stampa dalla Facoltà di giurisprudenza della R. Università di Siena), Firenze, Tip. A. Salani, 1882; Studî

e ricerche intorno alla definizione dominium est ius utendi et abutendi re sua quatenus iuris ratio patitur (1886), rist.con una nota di lettura di Luigi Capogrossi Colognesi, Napoli, Jovene, 1980; ibid., pp. XI s., altreopere.44 L’assegno risulta conferito per la Geschichte des röm. Rechts. Cfr. FRANCESCO BRANDILEONE, Il di-

ritto romano nelle leggi normanne e sveve del regno di Sicilia, con introd. di Bartolommeo Capasso, Roma,F.lli Bocca, 1884; ID., Il diritto bizantino nell’Italia meridionale dall’8. al 12. secolo, Bologna, TipografiaFava e Garagnani, 1886 (rist. con una nota di lettura di Dieter Simon, Napoli, Jovene, 1987).45 Ascoli (1863-1942) – che insegnò infine diritto civile a Pavia – subentrò a Ferrini sulla cattedra diMessina nel 1890.46 Fu poi Rettore dell’Università di Genova dal 1° novembre 1905 al 31 ottobre 1907. Fra i suoistudi romanistici: Receptum Argentariorum. Saggio di uno studio sul diritto commerciale romano, Bologna, Tip.Fava e Garagnani, 1890; Argentarii. Studio di diritto commerciale romano, I, Lanciano, Rocco CarabbaTip. Edit., 1891; Di alcuni studi ausiliari della storia del diritto romano (filologia, paleografia, epigrafia). Prolu-

sione al corso di Storia del diritto romano nella R. Università di Siena, Siena, Tip. Carlo Nava, 1893; Le elezioni

politiche nella Roma antica, Siena, Tip. Carlo Nava, 1895; Condizione giuridica dello straniero presso i Romani,Città di Castello, Stab. Tip. S. Lapi, 1901; Processi clamorosi nella Roma antica e … altrove: discorso letto

nella solenne inaugurazione …, Genova, Tip. E. Oliveri, 1906; Sulla condizione giuridica di Genova di fronte al

diritto pubblico romano e sui residui epigrafici romani, in Studi giuridici in onore di Carlo Fadda, pel 25. anno del suo

insegnamento, Napoli, L. Pierro, 1906.47 Fruisce d’una borsa a Berlino per l’a.a. 1892/93 il penalista Alfredo Frassati, destinato a distintacarriera accademica e politica; in quel periodo fu autore anche di uno studio storico: La falsità negli

atti del diritto romano, Milano, Vallardi, 1894 (Estr. da “Il Filangieri”, XVIII [1893]). Il figlio Piergior-gio è raffigurato con Ferrini e La Pira nel quadro descritto da METRO, C. Ferrini e la cattedra a Messina,supra, pp. 85-92.

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Indagini più minute consentirebbero di aggiungere altri nomi.48 Di sicuro, ne-gli stessi anni in cui vi dimorava Ferrini, erano a Berlino Silvio Perozzi (1857-1931) e Guido Fusinato (1860-1914), il quale, pagato il suo tributo alla ricerca sto-rica con uno studio sui Feziali, intraprese poi la carriera universitaria come pro-fessore di diritto internazionale e di legislazione comparata. Considerata la suaadesione alla massoneria, non sorprende che – secondo un’esplicita testimonianza– i due italiani all’estero si frequentassero poco.49 Anche Perozzi, evoluzionista cheprofessava il socialismo come “religione”, poi nazionalista, non dev’essere stato ilpiù congeniale degli interlocutori.50

Se si volesse scegliere un solo episodio che manifesti il collegamento fra l’Italiapost-risorgimentale e il mondo tedesco, non si sbaglierebbe a indicare la stipula-zione della Triplice Alleanza, Reich, Austria-Ungheria e Italia, il 20 maggio1882.51 Per una simbolica coincidenza, quel giorno sorprende l’italiano Ferriniper le strade di Berlino, mischiato alla folla che festeggia, non certo l’Intesa – la cuiesistenza, destinata a restare segreta, fu rivelata da Mancini, allora ministro degliEsteri, solo l’anno successivo – bensì l’elezione di mons. Herzog, che di Ferrini erail confessore, a Principe e Vicario capitolare della diocesi di Breslavia,52 che pro-

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48 Uno per tutti: Salvatore Riccobono (1864-1958), che si recò in Germania nel 1889 e vi stettequattro anni, a Monaco di Baviera, Lipsia, Strasburgo e Berlino.49 PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, p. 151: “Altri studenti italiani si trovavano a Berlino efrequentavano l’Università: fra essi Guido Fusinato … Il Ferrini non se la faceva molto con loro”.Attesta un “biennio postlaurea” berlinese di Fusinato, MARIO TALAMANCA, Un secolo di “Bullettino”, in“BIDR”, XCI (1988), p. XIX.50 Cfr. GIOVANNI GUALANDI, Tre ritratti accademici: Giuseppe Brini, Silvio Perozzi, Emilio Costa, in AA.VV.,Profili accademici e culturali di ‘800 e oltre (Accademia delle scienze dell’Istituto di Bologna, Classe di scienze mo-

rali), Bologna, Istituto Accademia delle scienze di Bologna, 1988, pp. 82 ss. Pur senza, con quest’os-servazione, volere confondere il piano della scienza con quello della simpatia umana, non è com-pletamente esatto quanto ebbe a dire Bonfante in occasione dell’inaugurazione del busto di Ferrininell’Università pavese (riportato poi nella Prefazione a FERRINI, Opere, I, p. VIII) e che è ricordato an-che da PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, p. 224: “Il prof. Bonfante notò a sua [di Ferrini]lode che non ebbe mai una polemica”. In realtà, si trovò contrapposto proprio al Perozzi sulla dot-trina della specificazione: cfr. la chiosa del curatore PIETRO CIAPESSONI a FERRINI, Appunti sulla dottrina

della specificazione, in Opere, IV, p. 43 nt. *: “Talune delle tesi sostenute in questo scritto diedero luogoalla nota polemica con il Perozzi”. Non mancano le espressioni pungenti: vd. FERRINI, “Materia” e

“species”, in Opere, IV, p. 105; p. 108; p. 112. È essenzialmente una critica al Perozzi anche FERRINI,Sulla “perpetua causa” nelle servitù prediali romane, in Opere, IV, pp. 145 ss. Anche nelle lezioni sui Dirittireali dell’anno 1897-98 (a pp. 589 s.: citate infra, nt. 65), l’interpretazione data da Perozzi a Pomp.30 ad Sab. D. 41.3.30.1 è criticata con una risolutezza non frequente anche in un autore, come Fer-rini, meritoriamente poco incline alle circonlocuzioni (“Contro tale argomentazione, proprio siaffollano le obbiezioni” …“Ma il Perozzi cade anche in un errore di diritto …”).51 Vd., da ultimo, HOLGER AFFLERBACH, La Triplice Alleanza tra politica di grande potenza e politica di al-

leanza, in La ricerca tedesca sul Risorgimento italiano, pp. 161 ss.52 Che aveva nella sua giurisdizione Berlino, la capitale dell’impero e la residenza dell’imperatore.

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prio il 20 maggio 1882 “lasciava Berlino per la sua residenza episcopale”. La gior-nata è rievocata dal biografo Carlo Pellegrini:

Tutto il popolo cattolico della capitale s’era riversato per le contrade e le piazzedove doveva passare il prelato; inni di giubilo che nascondevano le lacrime, salutavanoil nuovo vescovo. Il Ferrini era là, in mezzo a quell’entusiasmo di popolo, in mezzo aquella libera manifestazione di fede cattolica nella capitale del protestantesimo, men-tre continuava l’oppressione legale fatta per un momento impotente.53

È solo il caso che ci permette di fotografare Ferrini a Berlino in un giorno dinotevole importanza per le relazioni fra i due Stati. Tuttavia può aiutare a inserirein un corposo fascio di relazioni italo-tedesche anche il suo viaggio a Berlino perstudiarvi diritto romano.

4. Dall’8 maggio, cioè da due settimane prima di quel bagno di folla, Ferrini avevaincominciato a frequentare il corso di Mommsen.54 Ma non è da Mommsen, delresto ascoltato ormai agli sgoccioli della lunga permanenza berlinese, che ricevetteun’impronta decisiva. In questo senso, è da ridimensionare il collegamento chespesso si stabilisce fra i due, dovuto (oltre alla vis attractiva del grande tedesco) so-prattutto al parallelismo che Mommsen avrebbe instaurato fra Savigny e Ferrini,che fu peraltro reso pubblico da una terza persona (Bartolomeo Nogara).55 Anchela circostanza che il fascicolo del 1903 della Zeitschrift der Savigny Stiftung si apra con

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53 PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, p. 168; qui, p. 168 ntt. 1 e 2, i riferimenti alla corri-spondenza di Ferrini sono per errore invertiti, come risulta dal confronto con le lettere pubblicatenegli Scritti religiosi, pp. 85 ss. Notizie sulla vita ecclesiale in Berlino e sulla partecipazione ad essa diFerrini sono fornite da ALFRED HEYDER, Professor Contardo Ferrinis Studienaufenthalt in Berlin 1880-1882,in “Wichmann Jahrbuch für Kirchengeschichte in Bistum Berlin”, XIII-XIV (1959-60), pp. 112 ss.(di cui ha avuto copia per cortesia dei dott. Marino e Giampiera Riva).54 Il giorno precedente l’inizio delle lezioni di Mommsen, Ferrini intraprese la versione in italianodi canti popolari cattolici tedeschi: Scritti religiosi, pp. 299 s. Sull’anticattolicesimo di Mommsen(“homo minime ecclesiasticus”), vd. ora STEFAN REBENICH, Theodor Mommsen. Eine Biographie, Mün-chen, Verlag C. H. Beck, 2002, pp. 102 s.; per lo scarso trasporto per le lezioni, specialmente nel-l’ultimo periodo (in cui lo ascoltò Ferrini), ivi, pp. 132 ss.55 Valuta esattamente il rapporto PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, pp. 161 s. Ibid., pp. 464s., si può leggere un estratto della deposizione giurata del Nogara, che riferisce d’un colloquio avutoa Berlino nell’agosto del 1902 con Mommsen, il quale “parlando a lungo del Ferrini, ne fece il mas-simo elogio, dicendo che, come il secolo decimonono per gli studi romanistici s’intitolava dal Savi-gny, così il ventesimo si sarebbe intitolato dal Ferrini”. Sull’etruscologo Nogara, vd. ora MARIA BON-GHI JOVINO, Bartolomeo Nogara: dall’Accademia alla Direzione Generale dei Musei e delle Gallerie Pontificie, inAA.VV., Milano e l’Accademia Scientifico-Letteraria, pp. 775 ss. Nogara è menzionato da Ferrini nellaLettera del 27 agosto 1899 a Paolo Olivi, in Scritti religiosi, p. 145, a proposito di una comune escur-sione alpina.

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i necrologi di Mommsen e di Ferrini,56 se è un segno indubbio della fama che l’ita-liano aveva raggiunto in Germania (si tratta della prima necrologia d’un nostrocompatriota apparsa sulla Rivista)57 e dell’impressione che la sua morte prematuraaveva suscitato, non è, quanto al collegamento fra i due, più che una coincidenza.

Anche il rapporto con lo Zachariae von Lingenthal), sebbene importante, fu aconti fatti secondario. Del resto, è ben noto che lo Zachariae non insegnava al-l’Università e Ferrini dovette avere rare occasioni di contatti personali con il set-tantenne bizantinista felicemente insediato nella sua tenuta di Grosskmehlenpresso Ortrand in Sassonia, per quanto la distanza da Berlino non fosse incolma-bile (fra l’altro, il sito Internet del borgo dichiara che proprio Zachariae vi fondòuna linea ferroviaria).58 Voglio sottolineare un solo punto al riguardo, che, cioè,l’iniziazione agli studi di diritto bizantino gli venne da Alfred Pernice: fu lui a sug-gerirgli di dedicarsi alla Parafrasi di Teofilo, la cui edizione gli è del resto dedicata(insieme a Antonio Buccellati).59 Ed è altrettanto significativo, ancorché spesso di-menticato, che la recensione di Zachariae al primo volume dell’edizione della Pa-rafrasi, uscito nel 1884, contenga più d’una tagliente critica.60

Il vero maestro di Ferrini fu Alfred Pernice (1841-1901),61 che Ferrini udì pro-babilmente nel I Semestre del 1881/82, dunque nel primo corso tenuto dal qua-rantenne professore a Berlino, dov’era stato provvidenzialmente chiamato giustoin quell’anno accademico.62

Alle già note, ripetute manifestazioni dell’attaccamento di Ferrini alla figura ealle idee di Pernice,63 si può aggiungere una nuova testimonianza, quasi dalla viva

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56 “ZSS”, XXIV (1903), risp. pp. V s.; VII s.57 Nel 1896, peraltro, A. Pernice aveva dato alla recensione delle Opere di Ilario Alibrandi il taglio diuna rievocazione ammirata della sua vita di studioso: “ZSS”, XVIII (1897), pp. 227 ss.58 “1845 erwarb Dr. jur. Karl Eduard Zachariae von Lingenthal den alten Teil des Ritterguts. Erschuf eine landwirtschaftliche Versuchsstation, wurde auch der Begründer der Cottbus-Großenhai-ner Eisenbahn. Er ist als herausragende Persönlichkeit in die Geschichte eingegangen. Er war einerder bedeutendsten deutschen Rechtshistoriker, obwohl sein Ruhm ob dem bizarren Gegenstand sei-ner Studien unverdient begrenzt geblieben ist, denn er widmete sich des Studiums der byzantini-schen Rechtsgeschichte” (http://www.niederlausitzer-kreisel.de/ort-grosskmehlen.htm).59 FERRINI, Alfredo Pernice (1901), in Opere, V, p. 415: “Fu allora che io intrapresi, incoraggiato da lui,gli studi per la pubblicazione della Parafrasi di Teofilo (in quel tempo la chiamavo anch’io così contutti i galantuomini)”.60 “ZSS”, V (1885), pp. 271 ss.61 “I tedeschi pronunciano il nome suo, come quello di Savigny, con l’accento sulla terzultima”:Opere, V, p. 413.62 Vd. ERNST IMMANUEL BEKKER, Alfred Pernice (1841-1901), in “ZSS”, XXII (1902), p. XIX.63 A parte i giudizi espressi nel necrologio, in Opere, V, pp. 413 ss., è significativa la costante, imme-diata attenzione che Ferrini dedicò alla produzione scientifica del maestro: si vd. in particolare le re-censioni in Opere, II, pp. 530 s. (Ulpian als Schriftsteller); Opere, V, pp. 445 ss. (Parerga II); ibid., pp. 447 s.(Volksrechtliches und amtsrechtliches Verfahren); ibid., pp. 449 s. (Labeo III,1).

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voce. Ho, infatti, reperito tre dispense litografate, che riproducono l’insegna-mento orale di Ferrini. La prima contiene il prim’anno di un corso di Diritto ro-mano sulle Obbligazioni;64 la seconda il second’anno di un corso sui Dirittireali,65 la terza un corso di Storia del diritto romano.66

Il valore dei tre corsi e specialmente dei due privatistici, è dato dal loro stileanalitico, che li avvicina a trattati scientifici. Ferrini tiene lezioni dal taglio dog-matico, sostenute da numerosi approfondimenti esegetici e innervate – secondoun modo di procedere riconoscibilissimo anche in molti dei suoi saggi editi ver-tenti su temi di diritto privato – dalla discussione critica della letteratura fonda-mentale (in genere, rintracciata nel seno della Scuola storica tedesca) e di quellarecentissima, con particolare attenzione alla italiana. Da questo punto di vista,le sue pagine compongono una galleria della produzione scientifica nelle nostreUniversità di fine Ottocento, nella quale autori destinati a chiara fama, comeSerafini, Scialoja, Perozzi, Bonfante, compaiono a lato di nomi oggi quasi di-menticati.

Non è questo il luogo per una complessiva utilizzazione dei corsi ferriniani,ma è utile una breve descrizione (con la speranza di ricevere comunicazione dialtri corsi eventualmente depositati in biblioteche pubbliche o private). Il corsosui Diritti reali si segnala perché, nonostante il titolo generale, offre un’esposi-zione analitica dei modi d’acquisto della proprietà a titolo derivativo e soprat-tutto un ampio trattato sull’usucapio, a un capitolo del quale Ferrini stesso fecepiù tardi rinvio come a una propria pubblicazione (il che è sintomatico del contonel quale l’autore teneva questo genere letterario semi-ufficiale o, se si preferi-sce, semi-clandestino).67 Per collegare l’opera alla biografia, fu mentre tenevaquesto corso, il 7 marzo 1898, che Edoardo Gemelli “irruppe con una frotta di

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64 Regia Università di Pavia, Diritto Romano, 1894-95, Pavia, Lit. Bruni, s.d., 411 pp. (esemplare della Bi-blioteca della Facoltà di Giurisprudenza di Milano, Diritto Romano XIII 18 – con vecchia segna-tura V C 11 e timbro di appartenenza: Ercole Rossi). Rinnovo il vivo ringraziamento alla collegaMarcella Balestri per avermi facilitato la consultazione.65 Lezioni di diritto romano del Prof. C. Ferrini raccolte dallo studente C. Vitali. Anno 1897-98, Pavia, Stab.Tipo-Litogr. Succ. Marelli, s.d., 632 pp. (esemplare privato messomi cortesemente a disposizionedall’Avv. Stefano Barbati, che ancora ringrazio). Qui, p. 261 nt. 2; 568 nt. 1; 569 nt. 1, si menziona,con preciso riferimento a pagine, un Corso di Diritto Romano (dei Diritti Reali) Anno 1896-97, che non hovisto.66 R. Università di Pavia, Lezioni di storia del diritto romano raccolte per cura dello studente F. Cortese dietro auto-

rizzazione del Chiar. Prof. C. Ferrini. Anno 1898-99, Pavia, Litografia E. Bruni, s.d., p. 624 (esemplare ap-partenuto a Pietro Ciapessoni – il curatore del V volume delle Opere ferriniane – Rettore del Colle-gio Ghislieri e titolare di Diritto romano dell’Università di Milano; il volume è stato legato, comel’intera sua magnifica biblioteca, alla Biblioteca del Collegio Ghislieri di Pavia: B II 18).67 CONTARDO FERRINI, Manuale di Pandette3, Milano, Società Editrice Libraria, 1908, p. 411 nt. 4, intema di reversio ad dominum della res furtiva, discussione condotta in rapporto ai lavori di ENRICO GAN-DOLFO e GIUSEPPE BORGNA.

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compagni nell’aula dove Contardo Ferrini insegnava Diritto Romano, e, più in-diavolato degli altri, impose la fine delle lezioni, perché era morto in duello Fe-lice Cavallotti”.68

L’interesse della dispensa di Storia del diritto romano è notevole per un altroverso, perché è, a mia notizia, l’unico documento della riflessione di Ferrini sullastoria della costituzione romana e contiene anche un’estesa trattazione specialedel processo privato o meglio delle azioni, sulla falsariga del IV libro di Gaio.

A differenza degli altri, il volume litografato sulle Obbligazioni è anonimo (ecome tale è attualmente catalogato nella biblioteca in cui si conserva),69 ma chedebba riferirsi a Ferrini sembra sicuro. A parte l’attribuzione, sul frontespizio, alcorso di Diritto romano nell’Università di Pavia nell’anno accademico 1894/95,che era impartito solo da Ferrini – si tratta perciò del primo corso da lui tenuto alritorno sulla cattedra in questa Università70 – la menzione del suo nome è ricor-rente e lascia chiaramente intendere che sia egli il docente. In particolare, a p. 249si legge: “Contro il Salkowski ha scritto il nostro professore Signor Ferrini”.

A parte questi dati formali – e l’assoluta omogeneità stilistica con il corso suiDiritti reali, che balza all’occhio come il sigillo di una personalità spiccata – il con-fronto condotto con le opere a stampa di argomento simile consente di indivi-duare coincidenze così larghe che il giudizio è irrefutabile. Si tratta, con tutta evi-denza, del resoconto di un’esposizione orale in cui il professore rifonde, ad uso de-gli studenti, le trattazioni monografiche dedicate a vari aspetti della teoria delleobbligazioni e che confluiranno nella continuazione della voce enciclopedica Ob-bligazione di Nicola De Crescenzio.71

Fra l’altro, sfogliando i suoi corsi, si ha conferma di quel che Ferrini dichia-rava nella prefazione al Manuale di Pandette: “Mi sono astenuto affatto dai raffronticol diritto moderno, che pure sogliono abbondare nelle mie lezioni orali”.72 Le

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68 MARIA STICCO, Padre Gemelli. Appunti per la biografia di un uomo difficile, Milano, Edizioni O.R., 1974, p. 17.69 Vd. supra, nt. 64.70 Il corso di diritto romano era biennale e la sequenza dei corsi consente perciò di ricostruire i temiaffrontati nel primo quadriennio pavese. Nel 1894-95 argomento fu la teoria generale delle obbliga-zioni, cui dovette fare seguito una trattazione speciale; nel 1896-97 (vd. nt. 65) iniziò l’esposizionedei Diritti reali, che toccava, come risulta dal breve riassunto premesso al corso dell’anno successivo,la nozione di cosa e il concetto di diritto reale, con particolare riguardo alla proprietà, indi i modid’acquisto originari; nel 1897-98, come detto, il corso verte sui modi di acquisto della proprietà a ti-tolo derivativo e sull’usucapione, eccettuata dall’anno precedente.71 Obbligazione già Enciclopedia giuridica italiana. Esposizione ordinata e completa dello stato e degli ultimi pro-

gressi della scienza, della legislazione e della giurisprudenza … sotto la direzione di Pasquale Stanislao Mancini, Mi-lano, Società, 1900, XII, 1, 919 pp. In attesa di un più analitico confronto, vd. già, in tema di moradel debitore, Regia Università di Pavia, Diritto Romano, 1894-95 [nt. 64], pp. 313 ss. in rapporto a v. Ob-

bligazione, pp. 601 ss. e, in tema di luogo della prestazione, Regia Università, pp. 356 ss. in rapporto av. Obbligazione, pp. 593 ss.72 Manuale di Pandette3, pp. VIII s. Conformemente all’indirizzo professato nel Manuale, anche il corso

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dispense privatistiche sono effettivamente ricche di raffronti fra il diritto romano,il Codice Civile del 1865 e pure il Codice francese e il diritto tedesco; il tutto rav-vivato da una vivace casistica.

Proprio in uno di questi squarci, si trova un’esemplificazione che, già da sola,basterebbe a fare decidere per la paternità ferriniana del corso anonimo sulle Ob-bligazioni. Si accenna al fatto che le corti francesi seguivano la teoria di Jhering,secondo cui la prestazione in obbligazione può corrispondere anche ad un inte-resse non patrimoniale del creditore:

La giurisprudenza francese tende all’esagerazione, l’italiana è un po’ troppo ad-dietro. Facciamo un’ipotesi: un ammalato si fa promettere da un vicino di casa che du-rante la malattia non suoni il piano forte. È valida quest’obbligazione giuridicamente?L’interesse è rispettabile – Un tribunale italiano esiterebbe: un tribunale francese no –Io mi faccio promettere dal vicino di non suonare quando studio – Anche qui il dirittopotrebbe intervenire – Ma far intervenire il ministero del Diritto, come fa qualche sen-tenza francese, a tutela di frivolezze, come per una festa da ballo ecc. è una esagera-zione. L’ubi consistam in questi casi è difficilissimo.73

È un punto in cui il giurista avvezzo ai casi sembra lasciare il posto al casistadella teologia morale.

Com’era Ferrini docente?74 Ora è possibile farsene un’idea e confrontarla con

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monografico è – benché non lo si dica espressamente – di diritto giustinianeo. Anzi Ferrini – a pro-posito di una innovazione giustinianea poco felice (CI. 7.47.1) che limita l’ammontare del risarci-mento per la prestazione non eseguita al doppio del valore della prestazione originaria – non mancadi notare che tale disposizione “vige ancora in paesi retti a diritto comune” (Regia Università di Pavia,

Diritto Romano, 1894-95, p. 117; ancora sul “diritto comune moderno”, con un’argomentazione voltaa dimostrare in esso la vigenza dei principi romani, ibid., pp. 219 s.).73 Regia Università di Pavia, Diritto Romano, 1894-95, p. 29. Cfr. l’elogio “della donzella che sprezza lagoffa leggerezza di una società beffarda, insulsa e maligna” (Un po’ d’Infinito, in Scritti religiosi, p. 180) eancora questa prosa: “E a chi mi rimproverasse di sciupio di tempo, io direi che per l’efficacia conso-latrice della preghiera, io non ne perdo nei teatri, nei caffè, nelle mille inutilità di una vita dissipata,che la preghiera mi fa amare il raccoglimento, la solitudine e il lavoro; risponderei che se tutti pre-gassero a modo, non solo le condizioni sociali, ma le materiali altresì si avvantaggerebbero di molto”(ibid., p. 185). Una minuziosa e sapiente analisi dello stile del carteggio e degli scritti religiosi di Fer-rini, delle fonti cristiane della sua ispirazione letteraria (S. Paolo, soprattutto, e il Vecchio Testamento,in particolare Rut, Salmi, Sapienza e il Cantico de’ Cantici) e della natura del suo misticismo è com-piuta da PIETRO PULIATTI, L’idillio mistico di Contardo Ferrini e Messina, in “Archivio Storico Messinese”,3° s., III (1950-51) estr., pp. 1-12.74 Al quesito dà una risposta negativa, in questo volume, ANTONIO GUARINO, Contardo Ferrini e gli stu-

denti, supra, pp. 93-96; l’insigne studioso napoletano ritiene che l’assorbimento nelle pratiche devoteabbia impedito a Ferrini di dedicarsi con piena disponibilità al proprio magistero, limitando quelcontatto con gli studenti che non si arresta alla lezione ex cathedra. La tesi non mi sembra condivisi-bile, per ragioni di principio e di fatto. In linea di principio, mi permetto di osservare che, se esseremaestro è dare un esempio anche al di là della materia che si professa, alto esempio dava Ferrini di

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la descrizione lasciata da Pietro Bonfante (che pure non dev’essere stata di primamano):

Egli perseguiva un ideale di chiarezza diafana nell’esposizione, sapeva porgere equasi spezzare il pane della scienza in modo da rendere accessibile a qualunque intel-letto la comprensione delle dottrine più ardue e, come era alieno nella scienza da ognispirito polemico …, così non ne portava sulla cattedra. Ciò vuol dire che il suo inse-gnamento riscaldava dolcemente, ma non infiammava: gli difettavano tutti quegli ec-citamenti che nascono dal mistero e dalla battaglia, dal desiderio di tentare la solu-

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coerenza, fra gli austeri principi della morale cristiana che egli abbracciava e la condotta integer-rima di vita: questa coerenza, anche per chi non condivida gli stessi principi, è una lezione e cometale, infatti, veniva percepita dagli allievi (“Era così informato ai principii assoluti di morale e di re-ligione che il concetto del dovere, per lui immutabile, splendeva sempre al suo intelletto. Di qui unacostante uniformità nel sistema della sua condotta, tanto che essa fu tutta assorta nello studio, nellapietà e nella lieta pratica del bene. Lo sanno i suoi scolari, conquisi dal suo ingegno e dalla suabontà, e dall’entusiasmo, che lo trasfigurava non appena saliva la cattedra”: Avv. DEGLI OCCHI, inAA.VV., In memoria del professore Contardo Ferrini, Milano, Cogliati, s.d., [ma 1903], p. 79). La dedizionedi Ferrini alla sua fede, per toccare un argomento avanzato da Guarino, non sembra confrontabile– nel valore umano che l’informa e che trasmette –, alla dedizione di un docente alla professione pri-vata. Lo stesso Ferrini diede una risposta a riserve simili: “Ci vuol altro – questa è l’obiezione che sifigura Ferrini – in questa feconda e operosa mondanità di vita, che piegar le ginocchia e sciupartempo in esercizi ascetici, che sono la rovina della dignità umana. La superstizione cattolica colle suefeste e i suoi riti, colle sue novene e i suoi rosari strappa il popolo da quella continua attività, che è ilprecipuo coefficiente della grandezza nazionale … Così si sente spesso predicare … E a chi mi rim-proverasse di spirito timido e pusillo, io direi che solo nella preghiera attingo forza e dignità, che seho un inizio di carattere e certo molto più di tutti i liberali passati e presenti e futuri, lo devo alla pre-ghiera, che se i miei studi approdarono a qualche cosa, lo devo alle benedizioni della preghiera” (Un

po’ di Infinito, in Scritti religiosi, pp. 184 s.; vd. anche nt. prec.). Al di là di questa premessa di principio,che riconosco possa essere influenzata dal mio credo, vi sono esplicite testimonianze della costanzae dell’efficacia del magistero di Ferrini, che valgono a dare una risposta al quesito sul piano storico(altre, convergenti testimonianze adduceva già PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, pp. 317 ss.).In particolare, è un resoconto di grande valore la raccolta di biglietti di condoglianze inviati alla fa-miglia e di necrologi fatta stampare a Milano dal padre Rinaldo in occasione del primo anniversa-rio della morte del figlio (si tratta del citato libro non in commercio In memoria del professore Contardo

Ferrini). Fra i molti attestati di studenti, se ne riportano due. Il primo è di un allievo pavese degli ul-timi anni, EMILIO ZANZI (ibid. p. 71; corsivo originale): “Nelle quasi famigliari conversazioni e nellediscussioni che amava suscitare nelle lezioni del corso libero di Esegesi delle Istituzioni di Giusti-niano, insieme con la sapienza e la scienza, il compianto Maestro manifestava ai discepoli costantialla sua scuola, squisita gentilezza dell’animo e la indulgente bontà del cuore. Queste lezioni eranoper Lui – lo diceva spesso – un conforto vero, e rammaricandosi con chi scrive perché le vedevatroppo poco frequentate, considerava queste esercitazioni come ‘una buona palestra delle intelligenze’ ecome ‘un mezzo per conoscerci’ – professori e studenti. Sempre pronto al suo dovere ed infaticabile, ol-tre ai corsi di Diritto Romano e di Esegesi delle Istituzioni di Giustiniano, si era assunto – essendosiritirato per la malattia che lo condusse alla tomba, il vecchio prof. Felice Cattaneo – anche l’inse-

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zione di problemi oscuri, oppure di entrare in lizza e di risolvere conflitti di uomini edi idee.75

Questa descrizione può forse valere per il corso di Storia del diritto romano, do-cumentato dalla terza delle dispense ritrovate. Non vale, invece, per i due corsi di Di-ritto romano, che, come s’è detto, sono in molti punti proprio una serrata rassegnadi “conflitti di uomini e di idee”, nei quali il Ferrini non esita a “entrare in lizza”.76

Se la discussione della letteratura costituisce anzi il movente forse principaledell’esposizione in entrambi i corsi privatistici (che hanno in questo, semmai, il

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gnamento delle Istituzioni di Diritto romano, insegnamento che terminò con generale soddisfa-zione, essendo sempre numeroso ed attento l’uditorio … Chi scrive, … in Contardo Ferrini ebbepure una guida amorosa e sicura in sull’inizio degli studi universitari, ed ebbe – con molti altri com-pagni – conforto continuo e cortese di schiarimenti e di consiglio”. Una seconda testimonianza suFerrini docente è resa da MICHELE CRISAFULLI, che lo ebbe professore a Messina e racconta (ibid., p.91): “Intimamente pio e severo con sé stesso, era cogli altri indulgentissimo, né rifuggiva da onesteriunioni, in cui era preveniente, amabilissimo e simpaticamente faceto”. L’immagine che ne esce èlontana da quella di un docente – quale teme Guarino – distante e poco disposto al dialogo con i di-scenti, in quanto assorbito dalle pratiche della propria fede. Al contrario, risulta che Ferrini s’attennealla precisa regola che s’era imposto: “Insegnerò con pazienza e zelo, procurando di giovare alleanime, almeno con interne aspirazioni, il che farò sempre avendo a trattare cogli altri” (Regolamento

di vita del prof. Contardo Ferrini, in Scritti religiosi, p. 206). Concludo queste brevi considerazioni, susci-tate dalla riflessione di A. Guarino – utile proprio perché induce a non dare per scontato nessunaspetto della figura di Ferrini, bensì a sottoporlo al giusto vaglio storiografico –, rilevando come lascelta di insegnare fosse di per sé stessa, negli anni della questione romana (si pensi alla vicenda diIlario Alibrandi), una scelta difficile per un cattolico di stretta obbedienza papale. Ne nota, infatti, ilvalore G[IUSEPPE] GALLAVRESI, curatore dell’epistolario manzoniano (ibid., p. 61): “Poiché aveva po-sto il suo orgoglio nel dedicare le sue forze all’insegnamento negli istituti d’istruzione ufficiali rettidal governo nazionale, una logica coscienziosa gli additava retta la sua via per ogni congiuntura. Elo vedemmo sedere in Roma in molte commissioni governative, votare nelle elezioni politiche, senzala menoma intenzione di mancare con ciò all’ossequio verso le somme autorità della sua chiesa”.Come s’è avuto modo di osservare, Ferrini si accollò anche tre corsi in un anno. Insomma, come sen-tenziò VITTORIO SCIALOJA (ibid., p. 97): “Le cure della cattedra … il Ferrini non neglesse giammai”.75 BONFANTE, Prefazione a FERRINI, Opere, I, pp. VIII s., che segue da vicino una pagina del maestroSCIALOJA, in AA.VV., In memoria del professore Contardo Ferrini, p. 97: “A me non fu mai dato di potereudire le sue lezioni: ma tutti a una voce e discepoli e colleghi delle Università, alle quali egli appar-tenne, le lodaron sempre come modelli di chiarezza elegante, sicché anche le più ardue questioni ap-parivano semplici e piane attraverso il lucido cristallo della sua esposizione. Forse anche (mi sia le-cito ripetere qui un mio vecchio paradosso didattico) la chiarezza del suo insegnamento poteva dirsisoverchia, perché talvolta l’oscurità riesce suggestiva, e, quando non proviene artificialmente dal vi-zio di chi parla, ma naturalmente dalla difficoltà stessa delle cose, giova ad eccitare il curioso inge-gno dei più forti”.76 In questo senso, aveva intuito il giusto FRANCESCO PAOLO CASAVOLA, Cronaca di una storia del diritto

romano (1959), ora in ID., Sententia legum tra mondo antico e moderno, II, p. 307, sospettando che Bonfante,quando attribuiva alle lezioni di Ferrini “chiarezza diafana”, più che ritrarre Ferrini descriveva percontrasto se stesso irruente suscitatore d’idee.

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loro limite), più colorita nei riferimenti a maestri e colleghi è, delle due, la dispensaanonima sulle Obbligazioni, forse anche per la minore sorveglianza nella rielabo-razione scritta. Questa caratteristica – per tornare al punto da cui s’è diramata lanostra rassegna dei corsi universitari – rende particolarmente preziosa la dispensasulle Obbligazioni quale viva testimonianza delle relazioni scientifiche di Ferrini.

Fra i molti, il nome di Pernice ritorna di continuo e lodato come maestro, anzi“maestro dell’illustre professore Contardo Ferrini” e “magistrale” è il 3° volumedel suo Marcus Antistius Labeo.77

Insomma, come Felice Cattaneo esce dall’ombra di Ceriani, Buccellati,Canna, così Pernice, se non ci fermiamo ai nomi di Mommsen e Zachariae, ci ap-pare, a uno sguardo più ravvicinato, il vero interlocutore berlinese di Ferrini. S’ègià osservato che fu lui a indirizzare verso Teofilo il giovane italiano tanto coltonel greco da aver dedicato la tesi ai poemi di Omero ed Esiodo. Ma è soprattuttocon il suo metodo, che dosava astrazione dogmatica e attenzione all’individualenella storia, a imporsi come modello per Ferrini.

A rappresentare esattamente il ruolo di Pernice nell’orizzonte contemporaneoriporto le parole di un compagno di studi di Ferrini, Perozzi, che visse, con la suapur diversa sensibilità, la medesima esperienza a Berlino nei medesimi anni:

Quand’io cominciai ad insegnare v’era un edificio dottrinale che andava sotto ilnome di diritto romano: era la pandettistica tedesca. Questa era un corpo perfetto nonsolo di dati, ma di questioni, ma di metodo. Un tipo nuovo di ricerca era posto solo dalmio grande maestro Alfredo Pernice, datosi a fare la storia del pensiero dogmatico ro-mano.Venne poi il metodo interpolazionistico. La pandettistica allora cadde e la ri-cerca della storia dei dogmi si perdette nella più vasta impresa di ricostruire la storiadel diritto privato romano.78

Non si potrebbero trovare parole più appropriate per attribuire alla figura diPernice la giusta importanza, e tanto più se si completa la frase di Perozzi con unadi Ferrini:

Si può anzi dire che fu la tendenza inaugurata dal Pernice che spinse all’uso ed alperfezionamento del metodo [interpolazionistico] stesso, che ne è una conseguenzanaturale.79

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77 Regia Università di Pavia, Diritto Romano, 1894-95, p. 16. Vd., anche la dispensa sui Diritti reali: Le-

zioni di diritto romano del Prof. C. Ferrini raccolte dallo studente C. Vitali. Anno 1897-98, ad es. pp. 230; 294;344; 347 s.; 355.78 “Qualche danno doveva produrre e produsse il nuovo metodo rispetto all’educazione strettamentegiuridica. Ma il danno era largamente compensato dalle conquiste che per esso compivamo nel campostorico e per quelle che ci prometteva”: Risposta del Perozzi ai discorsi rivoltigli in occasione delle onoranze

(1925), ora in SILVIO PEROZZI, Scritti giuridici, a cura di Ugo Brasiello, III, Milano, Giuffrè, 1948, p. 729.79 Opere, V, p. 414. Vd. anche infra, § 8.

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5. I lavori di Pernice da cui Ferrini restò affascinato sono l’opera di una vita, il La-beo,80 e il saggio su “Ulpiano come scrittore”.

Com’è noto ai romanisti, i tre volumi del Labeo contengono un’esposizione si-stematica del diritto privato romano, grosso modo nell’arco di tempo che va dalgiurista augusteo fino a Giuliano, anche se il punto di partenza sono spesso le XIITavole e quello di arrivo Giustiniano. La materia è distribuita, con alcuni aggiu-stamenti, secondo l’ordine e le categorie pandettistiche, con una parte generale susoggetti, beni e vicende dei rapporti giuridici, quindi attraverso l’esame speciale,rimasto incompiuto, dei diritti reali, famiglia e successione, azioni e obbligazioni.

La novità, rispetto ai coevi trattati di Pandette, sta innanzitutto nella scelta sin-cronica dell’oggetto: non il diritto giustinianeo, bensì il diritto classico, anzi un’e-poca abbastanza conchiusa di esso. Poi, l’intento di Pernice è di movimentare latrattazione, sottolineando che il diritto romano non fu ratio scripta, sviluppo conse-quenziale e quasi necessario di idee giuridiche metastoriche, bensì il frutto con-creto anche della “sociale Anschauung” dei giuristi e, più in generale, la risultanted’una serie di vincoli positivi, sia giuridici sia ambientali.

Quanto al saggio su Ulpiano, si tratta di “un’analisi letteraria del commenta-rio all’editto, onde stabilire quali ne fossero le fonti e quali il metodo nell’adope-rarle, quali fossero le parti originali e quale merito loro competa … e finalmentequale giudizio debba portarsi di esso”.81 Giudizio, come si sa, molto negativo,dato che, secondo Pernice, dove Ulpiano cita, è raro che lo faccia di prima manoe anche quando parla in prima persona, ordinariamente copia, prelevando perlunghissimi tratti da un solo autore.82

Recensendo immediatamente con entusiasmo questo saggio del proprio mae-stro d’adozione, Ferrini formulava “il voto che altri si accinga con pari dottrina econ pari indipendenza di criterii severi allo studio analitico degli scritti a noi per-venuti degli altri precipui prudenti romani. È soltanto per questa via che è datogiungere a risultati sicuri, i quali gioveranno non solo a rettificare molte idee sto-riche, ma daranno un solido fondamento all’esegesi delle fonti e alle stesse investi-gazioni dogmatiche”.83

Formulando questo voto, Ferrini sta evidentemente riferendosi a sé stesso. È il1885; in quell’anno appaiono i primi Saggi intorno ad alcuni giureconsulti romani, chemettono in pratica quel canone di metodo: esegesi, storia, dogmatica; contempo-

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80 Pubblicato in tre volumi nel 1873; 1878; 1892; II ed. del 2° volume 1895 e 1900.81 Così, recensendo il saggio, FERRINI, Opere, II, pp. 530 s.82 La requisitoria di Pernice fu, com’è noto, combattuta efficacemente da PAUL JÖRS, sv. Domitius, in“PWRE”, V (1903), cc. 1435 ss., spec. 1455 ss. Sul nesso fra quest’aspetto tecnico e la (s)valutazionedell’opera di Ulpiano, altri spunti in EMANUELE STOLFI, Studi sui libri ad edictum di Pomponio, I, Trasmis-

sione e fonti, Napoli, Jovene, 2002, p. 25.83 Opere, II, p. 531.

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raneamente esce il manualetto Storia delle fonti del diritto romano e della giurisprudenzaromana.84

6. Le indagini di Ferrini sui giuristi85 si possono dividere in tre fasi, abbastanza di-stinte per tempi e modi.

La più antica è compresa nel breve spazio di tre anni, appunto dal 1885 al1887. Sono gli anni nei quali Ferrini, tornato da Berlino, tenne a Pavia il corso diEsegesi delle fonti del diritto romano, iniziato venticinquenne nel 188486 e con-cluso con la partenza per Messina nel marzo 1887.87 Appartengono a questo pe-riodo gli studi su Cascellio, Tuberone, Mela, Atilicino, Plauzio, Fulcinio, Viviano,Ottaveno, Pedio.88 Sono giuristi compresi in un arco che s’estende dagli allievi diServio all’epoca di Traiano, come a dire i comprimari del Labeo di Pernice.

Pur essendo distribuite in sedi diverse, sono indagini assolutamente omogeneenel procedimento.

Accertano, in primo luogo, le modalità di trasmissione dei testi, ossia in qualicondizioni il pensiero del giurista esaminato sia giunto a noi al termine della tra-versata delle scritture. Ferrini si concentra, infatti, su opere non utilizzate diretta-mente dai compilatori, bensì citate in frammenti d’altri, per le quali si pone per-ciò il problema di stabilire in che modo il giurista più recente, che funge per noida testimone, si sia servito del predecessore. Poiché per lo più, ovviamente, il tra-

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84 Milano, Ulrico Hoepli, 1885, 151 pp. Va notato, come esempio quasi contemporaneo della rice-zione della lezione di Pernice, ANTONIO LONGO, Titus Aristo. Contributo alla storia della giurisprudenza ro-

mana nell’età traianea, in “Antologia giuridica”, II, 2 (1887), pp. 1 ss. (estr.); la dedica – a Enrico Sera-fini – è datata München 1887. È una valutazione preziosa del decennio che vede la ricezione (e poiil declino) del nuovo metodo la nota di BIAGIO BRUGI, Di una recente opera su Papiniano e delle odierne ten-

denze nella storia della giurisprudenza romana, in “Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti”,t. 7., s. 7. (1895-1896), Venezia, Tip. Ferrari, 1896, pp. 528 ss.85 Si intendono qui come tali le indagini che assumono un giurista o un’opera come oggetto princi-pale. Si escludono le trattazioni in cui l’attenzione è rivolta a una dottrina o un istituto, quand’an-che i frammenti di uno o più giuristi ne costituiscano il documento.86 Ferrini è libero docente di Diritto Penale Romano, abilitato all’insegnamento il 29 dicembre1883. Nell’a.a. 1884/85 copre come Straordinario la cattedra di Esegesi delle fonti del Diritto ro-mano (nell’orario delle lezioni con l’aggiunta: “con speciale riguardo al diritto bizantino”), istituitaappositamente dal locale Consorzio Universitario (dati rilevati dalla dott.ssa Angela De Luca, nel-l’ambito di una ricerca di Ateneo sulla “Prosopografia dei docenti dell’Università di Pavia dall’Unitàal 1861”, coordinata da Elisa Signori, Paolo Mazzarello e da chi scrive).87 Vd. supra, nt. 13.88 Saggi intorno ad alcuni giureconsulti romani (1885), in Opere, II, pp. 11 ss. (Mela; Plauzio; Tuberone); Se-

sto Pedio (1886), ibid., pp. 39 ss.; Aulo Cascellio e i suoi responsi (1886), ibid., pp. 53 ss.; Viviano – Prisco Ful-

cinio (1886), ibid., pp. 71 ss.; Atilicinus (1886), ibid., pp. 87 ss.; Ottaveno e le sue dottrine (1887), ibid., pp.113 ss. Omogeneo, per epoca di redazione e soprattutto per metodo, sia pur condizionato dall’es-sere un piccolo sondaggio rispetto all’opera ulpianea, Postille esegetiche ai frammenti del commentario di Ul-

piano alle formule edittali ad legem Aquiliam, ibid., pp. 95 ss.

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mite è Ulpiano, una premessa costante di questi saggi è l’accettazione della tesi diPernice, che nemmeno Ulpiano avesse letto di prima mano questi giuristi.89

Poi, viene identificato il genere letterario (Ferrini preferisce dire “la natura del-l’opera”), ad esempio raccolta di responsa o commento all’editto.

A questo punto, vengono passati in rivista i contenuti. Ferrini non è interessato amettere in risalto le forme dell’argomentazione, gli schemi logici della motiva-zione.90 Gli interessa, invece, cogliere ciò che spesso egli chiama la “dottrina” (pa-rola che campeggia nel titolo del saggio su Ottaveno e che potrebbe designarli tutti)oppure la “teoria” o “teorica”91 o anche il “dogma”. Ad esempio, di Tuberone Fer-rini mette in risalto la teoria secondo cui “non bisogna porre tanto mente alle parolequanto alla volontà del defunto” e addita “il colpo decisivo – inferto da Pedio – alvecchio formalismo per cui la volontà venne a considerarsi in ogni negozio giuridicocome l’elemento precipuo, e la forma solo come un mezzo più o meno indispensa-bile alla sua manifestazione”.92 Scendendo a dogmi di minore portata, ricorda chea Mela “si fa risalire la dottrina, che il mandatario non possa rinunziare intempesti-vamente”, mentre ancora Pedio “fece trionfare la dottrina doversi il prezzo dellecose considerare obbiettivamente e non ex affectione nec utilitate singulorum”.93

Ha detto eleganter Arangio-Ruiz: Ferrini fu “giurista veramente congeniale diGiuliano e Papiniano nel sentire egualmente la gioia del colpo d’ala con cui si co-glie un principio fecondo d’infinite applicazioni e quella del cimentare la validitàdei principii in una sempre rinnovata euristica”.94

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89 Vd., ad es., Opere, II, p. 90: “Niemand, der sich mit Ulpian’s Fragmenten kritisch beschäftigt hat,und der die jüngst erschienen Untersuchungen von Pernice kennt, wird daran zweifeln, dass er Ati-licinus nicht direkt benutzt hat”. Sulla caducità della premessa, vd. supra, nt. 82.90 Si vd., ad esempio, come distingue fra gli argomenti analogici addotti (“poco felicemente”) da Pe-dio in Paul. 72 ed. D. 45.1.83.5 e la “vera motivazione” che “dipende in ultima analisi dall’alta im-portanza data da Pedio all’elemento subiettivo”: cioè “l’obbligazione, dato il consenso delle parti ela forma richiesta, sussiste in astratto ancorché pel momento inattuabile, col mutarsi delle circo-stanze di fatto diventa esigibile diventando attuabile” (Opere, II, p. 48).91 Che l’uso di “teorica” sia caratteristico della lingua giuridica fra Otto e Novecento, è stato recen-temente registrato anche da MANTELLO, Tematiche possessorie, pp. 15 ss.; 57, dove, attraverso una rico-gnizione lessicale, si individua l’intensione in senso ordinante e sistematico (che condivide con “teo-ria” e “sistema”). Nel contesto, l’uso ferriniano, pur conservando il riferimento a principi generali, ètuttavia compatibile con la designazione (ad un livello inferiore d’astrazione rispetto a quello su cuirichiama l’attenzione Mantello) di regole di decisione aventi una portata topica, secondo le moda-lità d’operare dei giuristi romani.92 Risp. Opere, II, p. 32; 46. Si veda, ancora, nell’esame delle dottrine di Ottaveno (Opere, II, pp. 120ss.) l’ampio squarcio sul concorso di persone nel reato, che i Romani risolvevano nella pluralità direati (nel delitto consumato da più coautori vedevano plura facta).93 Risp. Opere, II, pp. 18; 48 s.94 VINCENZO ARANGIO-RUIZ, Contardo Ferrini. Commemorazione tenuta nella Università di Modena il 15 giu-

gno 1948, Nicola Zanichelli Editore, Bologna 1948, p. 9.

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È opportuno dare risalto alla prospettiva adottata da Ferrini perché, per varieragioni, che vanno dalla riscoperta della topica a metà del XX secolo al desideriodi servirsi del Digesto come se fosse un deposito di forme argomentative da reim-piegare al di fuori del contesto originario, sovente oggi si valorizza più l’argumen-tum che la ratio iuris (lo schema logico piuttosto che la scelta normativa), con il ri-sultato di sminuzzare il discorso dei giuristi e di ridurre la giurisprudenza a campod’esercitazione logico-retorica, invece che a istituzione sociale.

Tornando ai saggi di Ferrini: la rivista dei contenuti culmina nella caratteriz-zazione complessiva del giurista esaminato. Si va così dal giudizio restrittivo suAulo Cascellio (“quasi isolato da tutto il movimento scientifico del tempo suo; …mentre la scienza aveva già con sufficiente esattezza determinato alcuni concetti,egli punto non ave[va] conosciuto tali dottrine o, almeno, non ave[va] voluto ade-rirvi”),95 a quello positivo su Mela e Viviano (“Se l’opera di Viviano era anzituttocercata e letta per i materiali in essa contenuti, non si vuol negare che pur molteidee originali di lui ebbero pregio ed autorità e si diffusero nella giurisprudenzaromana”),96 fino agli elogi rivolti a Atilicino, Fulcinio Prisco97 e Ottaveno e, inmassimo grado, a Quinto Elio Tuberone e a Sesto Pedio, proprio in grazia dellaloro creatività dottrinale.98

Questi bozzetti di giureconsulti tratteggiati da Ferrini sono fra i pochi che si

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95 Opere, II, p. 64.96 Opere, II, p. 74. Non mi sento perciò di condividere l’affermazione di CARMELA RUSSO RUGGERI,Viviano giurista minore?, Milano, Giuffrè, 1997, spec. pp. 4 ss., 60 ss. – da cui discende l’interrogativoche dà il titolo all’interessante e approfondita ricerca – secondo la quale “Viviano sarebbe stato …per il Ferrini … solo un diligente raccoglitore di opinioni altrui” (p. 6): questa – come si ricava dallacitazione riportata in testo – è, in effetti, solo la prima parte del giudizio di Ferrini. È poi da aggiun-gere che Ferrini attribuiva notevole pregio anche alle pagine in cui il giurista riordinava risultati al-trui. Così, a proposito dell’animus dominum relinquendi per determinare chi sia fuggitivo, criterio già in-dividuato da altri giuristi prima di Viviano, ma da lui sagacemente applicato, osserva: “Se, dunque,questa dottrina non offre un esempio delle indagini originali di Viviano, offre, però, un bellissimo edopportuno saggio dell’opera sua e del pregio di questa: coordinare ed illustrare le opinioni sparse deigiureconsulti migliori, ricavarne dottrine più generali e respingere gli inetti tentativi dei giuristi chefacevan consistere tutta l’arte loro nell’empirismo (“imprudentes”) ed andavano perciò in cerca diformule facili e stereotipe: ecco lo scopo manifesto e degno del nostro giureconsulto” (ibid., p. 79).97 A lode di quest’ultimo gli è attribuito anche afflato morale: “Non è possibile assolutamenteastrarre dall’elemento etico, quando si tratta del diritto matrimoniale, il quale ha con la morale rap-porti così stretti e numerosi” (Opere, II, p. 83).98 Solo di Plauzio, fra i giuristi che danno il nome ai saggi di questo gruppo, Ferrini non offre unavera e propria caratterizzazione, poiché vuole piuttosto stabilire quale fosse la natura dello scrittoplauziano. In questo senso, il saggio relativo si stacca da quelli coevi e prelude alla seconda stagione,più orientata – per varie ragioni, non ultima l’influenza della Palingenesia di Lenel – verso la ricercadell’ordine espositivo, tant’è che – in dibattito con Lenel – Ferrini tornerà nove anni più tardi pro-prio sui libri ad Plautium di Paolo.

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vanno ad aggiungere a quelli che ci sono pervenuti dall’antichità, specialmente airitratti di giuristi dipinti da Cicerone e, visti da più lontano, da Pomponio.99

Questa capacità di cogliere i limiti e i meriti di uno scrittore è precisamente ciòin cui credo debba principalmente consistere lo studio dell’individualità dei giuristi.

Un punto va, tuttavia, evidenziato: si cercherebbe invano, nei ritratti di giure-consulti ferriniani, il tentativo di porre in relazione il pensiero giuridico, la sua vi-cenda e le forme espressive in cui si manifesta, con altri sottosistemi sociali coevi,con l’ambiente politico, culturale o economico. È un racconto per vie interne, inisolamento, che diventa storia se e in quanto appunto riesce a personalizzare, astabilire quel nesso inconfondibile fra autore e dottrine, che permette di ricono-scere uno scrittore e di staccarlo dal fondo omogeneo della giurisprudenza coeva.

Naturalmente, abdicherebbe al compito di mettere in prospettiva il lavoro diFerrini chi non vedesse che anche questo metodo di classificazione è storica-mente condizionato. È un metodo consono, infatti, ai canoni applicati dalla cri-tica romantica alle opere letterarie, che, superando la nozione di poetica comecomplesso di regole, esaltavano l’originalità dello scrittore, in quanto fondatoredi una sua personale poetica. I giudizi di Ferrini risentono anche dell’habitus ot-tocentesco che postula una progressiva identificazione del critico con l’autore, at-traverso l’acquisizione della sua “realtà individuale” iscritta nei tratti salientidella sua opera. Alla fine – si pensi a Saint-Beuve – si doveva ottenere un ritratto

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99 Avanguardia su questa pista fu il berlinese Heinrich Eberhard Dirksen (1790-1868). Nello studioDer Rechtsgelehrte Aulus Cascellius, ein Zeitgenosse Cicero’s (1858), in ID., Hinterlassene Schriften zur Kritik und

Auslegung der Quellen Römischer Rechtsgeschichte und Alterthumskunde, hrsg. von Friedrich Daniel Sanio, II,Leipzig, Teubner, 1871, rist. 1973, p. 435, Dirksen addita la terza sezione dell’enchiridion di Pompo-nio come il “Musterbild … für sämtliche Bearbeitung der Geschichte römischer Rechtswissen-schaft”, rimproverando al giurista adrianeo di non avere sentito l’esigenza di compiere una “innereGeschichte” e di avere perciò dato un cattivo esempio agli storici moderni. Altrove, in Ueber die sch-

riftstellerische Bedeutsamkeit des römischen Rechtsgelehrten Aemil. Papinianus, ibid., p. 450, afferma: “Der Ver-such zur Anbahnung einer i n n e r n Geschichte der römischen Rechtswissenschaft gehört zur Zeitnoch zu den unerfüllt verbliebenen frommen Wünschen der Freunde des Studiums römischer Re-chtsgeschichte”, e contrappone quest’intento alle ricerche, diversamente orientate, di Cuiacio, il cuicommento alle reliquie di giuristi „hat es lediglich mit dem stofflichen Inhalt dieser Fragmente zuschaffen“. Questa pagina dev’essere stata presente a Ferrini (Rec. a BUHL, Salvius Iulianus, in Opere, II,pp. 499 s.): “Ai nostri giorni soltanto fu dato applicare a quest’ordine di ricerche quei metodi severi,che la critica ha già sperimentato fruttuosi nello studio degli altri scrittori antichi. La differenza in-tima fra gli studi antichi e recenti si manifesta tosto a chi si faccia a confrontare, per es., il Labeo diPernice e le note cuiaciane ai frammenti dei singoli giuristi. Il grande francese è più che altro intesoa ricavare le dottrine giuridiche da quei frammenti che egli viene interpretando con sì larga dottrinae con sì grande acume: mentre l’odierno alemanno mira innanzitutto a cogliere l’individualità del-l’autore che egli studia, a scernere con sicura minuta analisi il patrimonio che la scienza aveva primadi esso e quello che per opera sua venne acquistando, l’influenza che egli ebbe nel foro e nella scuola,la potenzialità di svolgimento ch’ebbero gl’insegnamenti di lui”.

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vivo dell’uomo, e non soltanto dell’artista, in modo da cogliere le sue caratteri-stiche spirituali.100

A questa modalità della critica, che era quella dei suoi tempi, Ferrini dovevadel resto essere incoraggiato dalla natura stessa delle opere giurisprudenziali che,non mirando a trasmettere contenuti emotivi e artistici, bensì a divulgare la scien-tia iuris, la conoscenza del diritto, si schiudono di preferenza a un lettore dispostoa immedesimarsi nel ruolo di giurista101 (era perciò innanzitutto congeniale a que-sto modo d’essere della letteratura giuridica romana – e quindi efficace – il pro-getto di Savigny, che poneva come scopo dello studio del diritto romano il com-prendere e appropriarsi di quel fare dei giuristi romani, così diverso dal nostro eper ciò indicava “una sola via: dobbiamo leggere e meditare da noi stessi gli scrittidegli antichi giureconsulti”).102

Nel cogliere l’abilità di Ferrini – e magari nel cercare di seguirlo, accettando ocriticando i suoi giudizi – occorre perciò avvertire che anche il suo modo di fareuna storia letteraria della giurisprudenza è storicamente condizionato: adottarel’originalità come metro di giudizio e tentare di calarsi nell’autore e nella suaumanità (scil.: nella sua figura scientifica) corrisponde, come s’è detto, a postulatidella critica romantica. Che poi questa modalità di lettura sia anche condizionatada alcune caratteristiche strutturali delle opere esaminate, può essere semmai unmotivo di riflessione circa i limiti di questo modo di fare storia.

7. Trascorso il 1887, l’anno della cattedra di Messina, gli studi di questo tipo ces-sano. Quando compaiono nuove indagini sulla giurisprudenza, non sono più inti-tolate a nomi di giuristi, bensì a opere: nel 1891 (quand’è chiamato a Modena) iDigesta di Alfeno, nel 1894 (riguadagnata Pavia) i libri ad Plautium e i libri ad Nera-tium di Paolo, nel 1901 i commentarii di Terenzio Clemente, Gaio, Ulpiano e Paoload legem Iuliam et Papiam.103

Con il titolo, il taglio è mutato: i saggi di questa nuova serie si concentrano

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100 Vd., con riguardo specialmente a Saint-Beuve e alla critica militante, ALBERTO CASADEI, La critica

letteraria del Novecento, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 15.101 Sul rapporto delle opere giurisprudenziali romane con il pubblico immaginato e sulle possibilitàdi lettura moderne, che da quel rapporto sono largamente condizionate, mi permetto di rinviare aDARIO MANTOVANI, La letteratura giurisprudenziale e le fonti giuridiche, in EMILIO GABBA, Storia e letteratura

antica, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 107 ss.102 FEDERICO CARLO DI SAVIGNY, Sistema del diritto romano attuale, trad. di Vittorio Scialoja, I, Torino,Unione Tipografico-Editrice Torinese, 1886, p. 14.103 Risp. Intorno ai Digesti di Alfeno Varo, in Opere, II, pp. 169 ss.; I libri ad Plautium di Paolo, ibid., pp.204 ss.; I libri di Paolo ad Neratium, ibid., pp. 229 ss.; I commentarii di Terenzio Clemente e di Gaio “ad le-

gem Iuliam et Papiam”, ibid., pp. 251 ss.; I commentarii di Ulpiano e di Paolo “ad legem Iuliam et Papiam”,ibid., pp. 237 ss.

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quasi esclusivamente sull’ordine dei frammenti e non mirano più a una caratte-rizzazione del giurista. La causa prima di questo spostamento del tiro è facile daindicare: è la comparsa, nel 1888-89, della Palingenesia iuris civilis di Lenel, al cui la-voro di ricostruttore Ferrini da tempo guardava con ammirazione.104 I lavori cheegli compie sulle opere giurisprudenziali nel decennio 1891-1901 muovono espli-citamente da opinioni di Lenel, per confermarle o criticarle, magari precisandoidee espresse in precedenza.

Sotto questo profilo, è esemplare la discussione sui libri ad Plautium, ai quali Fer-rini torna a distanza di nove anni dalla prima visita, proprio per ribadire un’opi-nione allora espressa e non accolta (almeno non per omnia) nella Palingenesia; a suoavviso, l’opera commentata da Paolo era unica (e non un collage di scritti plauziani,come voleva Lenel) e l’ordine del commento paolino è fino al libro XIV quelloedittale, con un’appendice a zibaldone nei libri XV-XVIII.105 La rivisitazione dà

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104 A Lenel – “fortunatissimo restitutore dell’editto”, come altrove lo chiama: Opere, II, p. 164 – eragià dedicato il volume sulla Storia delle fonti del 1885. A questa prima tappa dell’opera di Lenel s’ag-gancia l’importante contributo di FERRINI, Sull’esistenza della formula proibitoria nell’albo pretorio (1888),in Opere, II, pp. 145 ss. che, ben al di là del titolo, sfrutta l’Indice del Digesto di Stefano per la rico-struzione delle formulae; vd. anche Intorno all’ordinamento dell’Editto pretorio prima di Salvio Giuliano (1891),ibid., pp. 163 ss., che mette a frutto anche la Palingenesia.105 LENEL, Pal., I, col. 1147 nt. 1, aveva, invece, affermato che i libri I-X seguono senz’alcun dubbiolo schema dell’editto, mentre nessun ordine sarebbe riconoscibile nei seguenti; proprio per questo,aveva concluso “non unum, sed complura Plautii opera a Paulo esse excerpta” (e la conclusione gli parevarafforzata dal ravvisare che il commento di Paolo e quelli di Giavoleno e Pomponio non seguono unmedesimo ordine; cfr. Pal., II, col. 13 nt .1). A parte alcune considerazioni di carattere generale (benaccolte da F.P. BREMER, Iurispr. Antehadr., II, 2, p. 223), la replica di Ferrini (che muove – è bene se-gnalarlo – dalla proba accettazione dell’opinione di Lenel circa l’ordinamento edittale dei primi li-bri, che Ferrini aveva, invece, in precedenza accostato ai Pithana di Labeone, piccolo esempio delprogresso che fece segnare la comparsa della Palingenesia) verte sul possibile nesso palingenetico deifr. contenuti nei libri XI e XII. Se è consentito abbandonare momentaneamente il piano della sto-ria degli studi, che fin qui s’è provato a percorrere, per scendere a quello del fatto storico, dirò che inessi stabiliti da Ferrini fra frammenti e rubriche edittali non si impongono con la desiderabile evi-denza. Se, infatti, può reggere il collegamento di Paul. 9 ad Plautium D. 50.17.175, Paul. 1182 Lenel,con EP XXXI De liberali causa, non altrettanto sembra valere per il frammento dello stesso libro D.30.85, Paul. 1181 L., a proposito della rivendica di un fundus legato coniunctim a due soggetti (né illu-mina il riferimento a D. 40.12.8 effettuato da FERRINI, Opere, II, p. 208). I fr. del libro XII – che Le-nel poneva sotto una rubrica generica e non edittale, de testamentis et legatis – sarebbero, poi, per FER-RINI, Opere, II, p. 209, da riallacciare agli interdetti quorum bonorum e quod legatorum, ossia alle primeformulae del titolo EP XLIII. Ora, a parte che una simile soluzione aprirebbe comunque il problemadel perché Plauzio (o Paolo) abbia saltato a pie’ pari la porzione dell’editto compresa fra EP XXXI(toccato secondo Ferrini al l. XI) e EP XLIII (l. XII), fra i problemi affrontati nei frammenti in que-stione (Paul. 1183-1188 L.) e gli interdetti – ai quali fra l’altro non si fa mai cenno – non si trova co-mune denominatore maggiore che il mero riferimento alla materia successoria: quest’assenza di ad-dentellati specifici al processo interdittale balza all’occhio, per differentiam, dal confronto con i fr.

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anche modo a Ferrini di rettificare il proprio giudizio sul genere letterario cui ap-partiene l’opera di Plauzio, che ora non qualifica più, come d’acchito, una colle-zione di responsa, bensì di quaestiones.106

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1189-1192 L., tratti dal successivo libro XIII, che di precisi agganci agli interdetti sono disseminati(e che, non a caso, Lenel stesso riconduce ad una rubrica de interdictis). Poiché, poi, Ferrini concordacon la Palingenesia nel senso che i libri XV-XVIII “ci si presentano a mo’ di coniectanea o supplemento”(Opere, II, p. 210), la differenza rispetto a Lenel si riduce all’ipotesi che i libri XI e XII seguano ru-briche edittali (sia pure divise da un largo iato), la quale consente di enfatizzare la coincidenza (giàriconosciuta da Lenel) fra materie esaminate nei libri XIII-XIV (interdetti, exceptiones, stipulationes) ela parte finale dell’editto. Anche ad ammettere le rettifiche di Ferrini, a prescindere cioè dalla già ri-levata labilità dei collegamenti, non verrebbe eliminata la sensazione della caoticità della secondaporzione del commento paolino – su cui Lenel fondava l’ipotesi che Paolo commentasse più d’un’o-pera di Plauzio –, dovuta sia al disordine concordemente ammesso dei libri finali sia alla lacuna che,anche seguendo l’opinione di Ferrini, s’aprirebbe nella sequenza edittale.106 Al di là dell’aspetto nominalistico (è problema su cui ancora si discute, se i due termini possano as-sumersi discretivi sul piano del genere letterario: vd., in senso nettamente affermativo, PAOLO FREZZA,Responsa e quaestiones. Studio e politica del diritto dagli Antonini ai Severi [1977], ora in ID., Scritti, a cura diFrancesco Amarelli e Emilio Germino, Roma, Pont. Univ. Lateranensis – Mursia, 2000, spec. pp. 212s.; con più nuances, MARIO BRETONE, Storia del diritto romano, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. 274 ss.), Fer-rini, decidendosi infine per una raccolta di quaestiones, intendeva caratterizzare l’opera di Plauzio noncome una pura collezione di responsi in senso tecnico, cioè resi al pubblico (per lo più senza motiva-zione) dai giuristi muniti di ius respondendi – quale gli era parsa in un primo tempo – bensì come quella“in cui molti problemi giuridici venivano esaminati e svolti, adducendosi le varie opinioni e i vari re-sponsi, spesso da questi ultimi prendendosi anzi l’occasione e il tema. Lo scopo teoretico predomina”.Al proposito, senza volere precorrere una più approfondita riflessione, siano consentite brevi osserva-zioni. Qualsiasi tentativo di ricuperare la natura dell’opera (o delle opere) di Plauzio riusate da Paolo(e, prima di lui da Giavoleno, in cinque libri, da Nerazio e da Pomponio, in sette, dei cui rifacimenti cisono giunte, tuttavia, testimonianze meno numerose e, almeno a prima vista, non altrettanto signifi-cative) deve muovere dalle sei reliquie in cui si è conservato l’aspetto originario, segnalato da appositadidascalia (sono riunite da LENEL, Pal., II, coll. 13 s., frr. 1, 5-9; cfr. analogamente BREMER, Iurispr. An-

tehadr., II, 2, p. 221). Ciò che in questi brani sicuramente plauziani sembra mancare, rispetto alle mo-dalità di discussione che possiamo – per comodità – ricondurre al modello della quaestio, è proprio l’an-damento problematico. Nell’assoluta maggioranza dei casi, infatti, non c’è dissenso fra i giuristi – o ad-dirittura v’è dichiarata unanimità – né Plauzio lascia intendere di voler incrinare il ius receptum. Si trattadei brani in cui compare, senza commento critico alcuno, la sententia d’un singolo autore (D. 34.2.8,Plaut. 5 L.: Cassius ait) oppure Plauzio segnala identità di vedute fra i giuristi, nominandoli o meno (es.D. 3.3.61, Plaut. 1 L.: omnibus placuit; D. 35.1.43 pr., Plaut. 6 L.: Proculus Cassius … aiunt; D. 39.2.22.1,Plaut. 9 L.: constitit). Oltre a questi passi, in cui manca la ragione stessa del contendere, è molto signi-ficativo che nell’unico caso in cui si enunciano opinioni discordi – di Atilicino, Nerva e Sabino, da unaparte, e di Cassio, dall’altra – manchi una presa di posizione da parte di Plauzio (D. 35.2.49 pr., Plaut.8 L., a proposito delle modalità di computo della quarta Falcidia nel caso del servo legato cui sia statolegato anche un fondo; sebbene non sia da escludere, non sarebbe facile sostenere l’implicita prefe-renza di Plauzio per l’ultima opinione citata). Quest’assenza di presa di posizione, in un caso in cuiv’era dissenso, è in stridente contrasto con la natura di quaestiones che Ferrini ascrive ai brani (a menodi volere assegnare eccessivo valore alla frequente presenza di una motivazione, atteso ch’essa non do-

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La facilità che la Palingenesia di Lenel offrì di esaminare in ordine le reliquiedelle opere giurisprudenziali, insieme all’auctoritas che subito circondò quell’or-dine, inibì, insomma, la prosecuzione dello studio delle individualità, attraendopiuttosto l’attenzione verso i profili strutturali.

Oltre al confronto con l’opera di Lenel, a determinare il cambio di rotta do-vettero concorrere nuove sensibilità, relative, da un lato, ai contenuti giuridici,dall’altro, alla forma linguistica e stilistica.

Innanzitutto, l’esegesi venne da Ferrini indirizzata, invece che per giurecon-sulti, per istituti. Si assiste, insomma, ad uno spostamento del problema storiogra-fico, ciò che d’ogni indagine costituisce – o dovrebbe costituire – il centro di gra-vità. Invece che essere aggregati intorno alla figura di un giurista, i risultati esege-tici furono sempre più spesso versati in ricostruzioni di istituti. Del resto, questaera una potenzialità insita fin dal principio nel canone.107 Per Ferrini, lo studio

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veva per forza mancare nei responsa, soprattutto se ci si attendeva che trovassero accoglienza nella teo-ria e nella prassi). In essi (con la sola, parziale, eccezione di D. 35.1.44.10, Plaut. 7 L., dove peraltro ilcaso d’esordio è assolutamente banale e, nella sua seconda variante ‘si heres ex parte ita institutus esset, si

heredibus decem dedisset’, la soluzione ‘non aliter esset heres, quam si tota decem coheredibus dedisset’ è data appog-giandosi a un’opinione su un caso analogo che era, ancora una volta, unanime: constitit) non si può rav-visare altro che la pura relazione di sententiae di giureconsulti coevi a Plauzio (che doveva essere dellamedesima generazione di Celio Sabino: vd. WOLFGANG KUNKEL, Herkunft und soziale Stellung der römischer

Juristen2, Graz-Wien-Köln, Böhlaus, 1967, p. 134). Il quadro sommariamente tracciato, che si ricavadai sei passi nominativamente attribuiti a Plauzio, non è smentito, ma anzi confermato dagli altriframmenti nei quali, pur essendo privi di didascalia, è rimasta impressa la facies originaria (v., con elen-chi parzialmente diversi, LENEL, Pal., II, col. 13 nt. 1; FERRINI, Opere, II, pp. 221-223; BREMER, Iurispr.

Antehadr., II, 2, pp. 223-237). Quest’immagine trova, infine, una notevole conferma ab extrinseco nelmodo in cui l’opera è ricordata da Paolo (5 ad Plaut. D. 20.4.13, Plaut. 3 L.: apud Plautium placuit) e Ul-piano (17 ad Sab. Fr. Vat. 77 = D. 7.2.1.3, Plaut. 2 L.: omnes auctores apud Plautium consenserunt). È note-vole, infatti, che l’opera non sia ricordata per l’opinione di Plauzio, bensì come contenitore di opinionidi giuristi, forse anche con riferimento a un numero chiuso di autori, approntato proprio nel momentoin cui le dissensiones fra le due sectae richiedevano un censimento dei responsa, il che spiegherebbe pure ilfatto che Plauzio si astenesse da commenti (l’importanza di questi brani era vista da FERRINI, Opere, II,p. 214, senza trarne tutte le conseguenze; più prudente, BREMER, Iurispr. Antehadr., II, 2, p. 223).107 L’autore stesso dichiara che origine del volume sui legati e i fedecommessi, del 1889, furono leesercitazioni esegetiche sui libri 30° e seguenti del Digesto tenute all’Università di Pavia nel periodo1885-1887, cioè quelle stesse lezioni da cui scaturirono gli studi della prim’ora sui giuristi (Teoria ge-

nerale dei legati e dei fedecommessi secondo il diritto romano con riguardo all’attuale giurisprudenza, Milano, Hoe-pli, 1889, p. XIII); questa genesi non mancò di dare appiglio al rimprovero che il volume fosse carentedi “nesso sistematico”, avanzato nella relazione del concorso in cui gli fu preferito Giuseppe Briniper la cattedra di Bologna (riprodotta per stralcio in PELLEGRINI, La vita del Prof. Contardo Ferrini, p. 297nt. 1). Anche la scelta delle Obbligazioni come tema per il corso di Pandette del 1894, di cui restanole dispense (supra, nt. 64), è giustificata da Ferrini ai suoi studenti “perché si tratta d’una parte del di-ritto più svolta e perfezionata dai giureconsulti romani. Nelle Obbligazioni infatti materia oggi vivae palpitante nella mente dei cultori del Diritto Romano, si ammira la sottigliezza dell’analisi” (Regia

Università di Pavia, Diritto Romano, 1894-95, p. 1).

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delle opere dei giuristi possiede, infatti, una duplice finalità: da una parte mira atratteggiare la “figura scientifica”108 dei giuristi (a questa finalità rispondono isaggi sui giuristi compiuti nel primo periodo, dal 1885 al 1887); dall’altra, ha peresito una “miglior conoscenza dei dogmi giuridici studiati nella loro funzione e nelloro sviluppo”.109

Che, nei vent’anni della sua operosità, Ferrini abbia manifestato una progres-siva inclinazione su questo secondo lato, verso la sistemazione o si dica pure lapandettizzazione del diritto classico, è innegabile. Egli stesso lo constata confron-tando retrospettivamente la propria produzione con quella di Pernice.110 E certoall’ambizione di ridurre a sistema non solo il diritto giustinianeo, ma anche il clas-sico, fece da sprone il metodo interpolazionistico, che permetteva di eliminare glispigoli del ius controversum.111 Sul metodo critico conviene perciò brevemente sof-fermarsi, come altro fattore che contribuì a stornare l’attenzione di Ferrini dallostudio delle individualità dei giuristi.

8. La questione dell’atteggiamento di Ferrini verso la nascente critica interpola-zionista è un punto nevralgico nella valutazione della sua figura scientifica.112

Benché durante il periodo di maggiore intensità critica l’atteggiamento di Ferrinisia potuto sembrare prudente – ancorché ci si richiamasse a lui come a un padrenobile del nuovo indirizzo – non c’è dubbio che egli salutò l’opera di Gra-denwitz, in una recensione, come quella capace di porre l’esegesi “su basi sicure”al punto di liberarla “dai miseri artifici e dai poco serii conati, che dalla Glossa ainostri giorni l’hanno offuscata”.113 Più cauta appare, al confronto, la recensionedi Scialoja.114

Valga poi a misurare l’adesione di Ferrini al nuovo orientamento una sua espli-cita dichiarazione: “Io non sarò certo sospetto di soverchia renitenza ad ammet-tere interpolazioni”, che è già, anche nella scelta delle parole, indicatrice di un

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108 L’espressione è in Opere, II, p. 224.109 Opere, II, p. 41.110 Nel necrologio in Opere, V, p. 416.111 “A me [afferma Ferrini in opposizione all’indirizzo prevalentemente critico ed analitico di Per-nice] pareva spesso di scorgere nei ruderi le tracce dell’antica architettura e di poter ripristinare leantiche armonie. Di qui i nostri contrasti … Negli ultimi tempi, quando la ricerca delle interpola-zioni ebbe il risultato di togliere molte credute incongruenze e contraddizioni nelle dottrine dei giu-reconsulti classici, [Pernice] si convinse che l’opera sintetica e coordinatrice di questi era molto mag-giore di quanto prima fosse disposto a concedere” (Opere, V, p. 416).112 Così già BONA, Contardo Ferrini tra storia e sistematica giuridica, pp. 100 ss.113 Rec. a OTTO GRADENWITZ, Interpolationen in den Pandekten (1888), in Opere, II, pp. 525 s.114 Interpolazioni nelle Pandette, di OTTO GRADENWITZ (1888), in VITTORIO SCIALOJA, ID., Studi giuridici,

I, Diritto romano, 1, Roma, Anonima romana editoriale, 1933, pp. 379 ss.

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clima che si andava creando.115 Del resto, il volumetto sul Digesto, che è del 1893,è nella sua terza parte una sistematica rassegna – destinata a notevole fortunacome capitolo della manualistica116 – dei criteri che, pur in assenza di confronticoi testi originarii “ci guidano a riconoscere (spesso non meno sicuramente) l’av-venuta interpolazione”:117 un repertorio ritenuto ormai parte integrante di unacompiuta teoria dell’interpretazione del Digesto.

D’altra parte, la radice del metodo affondava in un terreno che Ferrini sentiva si-curamente proprio, il terreno preparato (a parte le anticipazioni di Ilario Alibrandi)dall’edizione critica del Digesto prodotta da Mommsen, su cui si innestò, sempreper iniziativa di Mommsen, la redazione di un Index di tutte le parole ivi contenute,quello che divenne poi il Vocabularium Iurisprudentiae Romanae, il cui primo volumecomparve nel 1894, al termine di una travagliata gestazione, affidata prima al vonder Leye e poi al Gradenwitz e ai due filologi Schulze e Kübler. È in parallelo a que-st’impresa che fiorisce, ad opera in primis di Otto Gradenwitz, sotto la guida propriodi Pernice e per così dire sotto gli occhi di Ferrini,118 lo studio delle interpolazioniche, nel caso di Gradenwitz, sono, non per caso, largamente basate su considera-zioni lessicali e sintattiche.119 Fu semmai l’aspra contrapposizione di questi con ilfondatore della sintassi storica della lingua latina, Eduard Wölfflin (1831-1908), nel1888, proprio a margine del nuovo vocabolario della giurisprudenza romana, a de-terminare l’abbandono del campo da parte della filologia (causa non ultima delladebolezza e, infine, della sconfitta dello schieramento interpolazionista).120

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115 Teoria generale dei “pacta” (1892), in Opere di Contardo Ferrini, III, Studi vari di diritto romano e moderno

(sulle Obbligazioni, sul Negozio giuridico, sulle Presunzioni), a cura di Emilio Albertario, Milano, Hoepli,1929, p. 251; la dichiarazione, premessa a respingere l’ipotesi di alterazione di Ulp. 4 ed. D. 2.14.1,è seguita peraltro da meritorie cautele eziologiche: “A quale scopo l’interpolazione, o, diremo più ingenerale, l’alterazione sarebbe avvenuta? Quella distinzione [scil.: fra pactum e conventum], se fossedavvero esistita, non avrebbe avuto ragione di essere pur in diritto giustinianeo? Sono forse mutatein questo le linee generali dell’antico sistema contrattuale? Davvero non si vedrebbe il perché di cosìcapricciosa alterazione”.116 Essa ricompare anche nelle dispense litografate, R. Università di Pavia, Lezioni di storia del diritto ro-

mano raccolte per cura dello studente F. Cortese dietro autorizzazione del Chiar. Prof. C. Ferrini. Anno 1898-99, pp.366 ss.117 Il Digesto, Milano, Hoepli, 1893, p. 54: la scoperta delle alterazioni è ancora vista come mezzo enon fine, come strumento atto a ricuperare il Digesto quale “documento per lo studio della giuri-sprudenza classica”.118 A Pernice è dedicato Interpolationen in den Pandekten. Kritische Studien, Berlin, Weidmannsche Buch-handlung, 1887 (per il diretto contributo di Pernice alla ricerca, vd. anche ibid., p. 31); coetaneo diFerrini, Gradenwitz (1860-1935) era a Berlino durante la permanenza di quest’ultimo.119 Immediatamente VITTORIO SCIALOJA, Vocabularium Iurisprudentiae Romanae di Gradenwitz, Kuebler e

Schulze, ora in ID., Studi giuridici, II, Diritto romano, 2, p. 60, definisce il VIR “mezzo potentissimo per leindagini” volte alla scoperta delle interpolazioni.120 Cfr. EDUARD WÖLFFLIN, Zum Wörterbuche der klassischen Rechtswissenschaft, in “ZSS”, IX (1888),

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Il dominio del latino e del greco dovettero preservare Ferrini da usi avventu-rosi. Tuttavia, un suo saggio postumo è, com’è stato notato,121 una Wortmono-graphie, sulla correlazione “licet … attamen”.122

In linea di massima, sono dell’avviso che con i saggi interpolazionisti è meglionon discutere, perché traggono gran parte della loro energia dagli sforzi di confu-tarli (essendo per loro natura, di regola, non suscettibili di falsificazione). Tuttavia,trovandosi in sede di storia degli studi, non si può omettere una pur rapida valu-tazione, al fine di determinare l’attitudine di Ferrini verso il nuovo metodo.

La prima osservazione è che l’esempio è indubbiamente ben scelto, tanto cheancora di recente il costrutto è stato adottato come emblema d’interpolazione,esattamente come l’aveva segnalato Ferrini.123 Si tratta, è bene notarlo, non di unsemplice fatto lessicale, bensì anche sintattico, il che consente a chi se ne serva disvolgere l’analisi del testo a più d’un livello (tenendo conto, ad es., anche della sin-tassi dei modi verbali): in questo senso, s’avverte anche in quest’indagine il pregiodella padronanza linguistica dell’autore, che non lo mette del tutto al riparo, tut-tavia, da conclusioni poco persuasive.

Il punto di partenza è, per Ferrini, l’assoluta assenza della correlazione “licet …attamen …” dal latino aureo e argenteo: “La congiunzione concessiva licet non èmai nel latino classico seguita nell’apodosi dalla particella composta attamen”.124

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pp. 1 ss., con la replica di OTTO GRADENWITZ, Zu Wölfflin Aufsatze über das Wörterbuche der klassischen

Rechtswissenschaft, ibid., pp. 98 ss.; l’intervento di Wölfflin mette già a nudo il punto critico dell’imposta-zione interpolazionista, ossia la commisurazione della scrittura dei giuristi (specialmente di tardo II-IIIsec.) allo stile ciceroniano, che il linguista non fatica a confutare sul piano della storia della lingua, pe-raltro con un tono sprezzante che certo non ha favorito l’equanime ascolto da parte dei giuristi.121 Da TALAMANCA, La romanistica italiana fra Otto e Novecento, p. 169, che formula inoltre il pronosticoche, quand’anche non fosse prematuramente scomparso, Ferrini difficilmente “avrebbe potuto rap-presentare presso di noi un valido momento antagonista al dilagare anche presso i migliori di quellamoda”.122 “Licet … attamen …”. Nota critica ed esegetica (1902), in Opere, V, pp. 229 ss.123 Da TONY HONORÉ, The autorship of interpolations in the Digest: a study of “licet … attamen”, in AA.VV.,Studies in Roman Law in memory of A. Arthur Schiller, ed. R.S. Bagnall and W. V. Harris, Leiden, Brill,1986, pp. 97 ss.124 Opere, V, p. 229; per converso, la costruzione, spesso con l’indicativo nella protasi, è impegnatapiù volte da Giustiniano nelle sue costituzioni e di preferenza con l’indicativo a seguire la concessivalicet (elenco ibid., p. 230). In questo punto di partenza, che taglia lingua e stile a blocchi, s’esprime ov-viamente quel “Purismus” che costituisce un postulato della critica interpolazionista e in cui s’è datempo individuato il suo tallone d’Achille (cfr. supra, nt. 120 e v., per tutti, FRANZ WIEACKER, Zur ge-

genwärtigen Lage der romanistischen Textkritik, in AA.VV., La critica del testo. Atti del II congr. Int. della Soc. it.

storia del diritto, Firenze, Olschki, 1971, spec. pp. 1105 ss.; per una riflessione sulla tendenza – ormaisuperata – a ridurre a ideale, astorica unità l’ampia gamma delle varietà del latino inveratesi nellaprassi linguistica e letteraria, vd. PAOLO POCCETTI, in P. POCCETTI ET AL., Una storia della lingua latina.

Formazione, usi, comunicazione, Roma, Carocci, 1999, pp. 9 ss., ove si osserva che è questa tendenza adavere alimentato la pervicace tradizione delle categorie normative del “corretto” e “scorretto”).

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In realtà, già il Thesaurus Linguae Latinae – di cui Ferrini purtroppo non disponeva,dovendosi contentare del Forcellini – e più speditamente l’information retrival125 per-mettono di stabilire che la correlazione è già impiegata nella prosa del II secolo,da Apuleio, nell’Asino d’oro (4.9): un’occorrenza significativa anche per il genereletterario in cui compare, non lontano, per stile, dalla prosa coeva dei giuristi.126

Inoltre, il costrutto occorre in una costituzione di Severo e Caracalla conservatanel Codex (CI. 5.18.2), che Ferrini non menziona; ed è notevole riscontro che licet …attamen sia attribuito proprio ai medesimi imperatori anche in un passo delle Istitu-zioni di Giustiniano (2.17.8), derivato, a detta dello stesso Ferrini, da Marciano.127

Uno dei frammenti del Digesto che contengono la costruzione su cui grava il so-spetto di interpolazione, tratto dal l.s. regularum di Pomponio (D. 28.1.16 pr.), è inol-tre ribadito in tradizione parallela dalle Istituzioni (2.19.4 i.f.), con varianti tali, tut-tavia, da avere fatto pensare che le due commissioni si siano servite di esemplari au-tonomi: se l’ipotesi fosse esatta, i due esemplari dell’opera classica in mano ai giu-stinianei avrebbero perciò già contenuto entrambi il costrutto.128

Viene minata, dunque, la premessa, che, cioè, la correlazione licet … attamennon abbia riscontri nella latinità “corretta” e nei testi giuridici d’età classica fuoridel Digesto.129

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125 “TLL”, II, sv. at, spec. col. 1011, 45 ss.; cfr. Bibliotheca Teubneriana Latina.126 La iunctura occorre anche in Hier. epist. 18.17: pius licet, attamen coarguendos error e nel celebre titoloche accompagnava la statua in onore del poeta Claudiano, fatto iscrivere da Arcadio e Onorio, in“CIL”, VI, 1710: licet carmina sufficiant, adtamen statuam erigi iusserunt; cfr. ancora Theod. Prisc. Log. 32;35; 111.127 Opere, V, p. 230 nt. 1: “Nel passo di Marciano, Inst. 2.17.8 (7), attamen fu trascritto per tamen.Vedi l’analoga locuzione in CI. 6.23.3”. In realtà, la costruzione di CI. 6.23.3, di Severo Alessandro,è differente, perché nihil vi precede tamen e lo rafforza. Si deve poi riconoscere che la congettura del-l’errore di trascrizione, con la quale Ferrini si libera del passo, se estesa su più larga scala, finirebbeper eliminare anche il problema.128 Sull’ipotesi che D. 28.1.16 pr. = Iust. 2.19.4 i.f. (in cui la protasi con licet è al modo indicativo)siano verosimilmente lezioni “zweier justinianischer Exemplare”, vd. FRANZ WIEACKER, Textstufen

klassischer Juristen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1975, p. 219. In tal caso, per mantenere l’i-dea dell’intervento giustinianeo, la coincidenza dovrebbe spiegarsi con la doppia interpolazione, chepresuppone, tuttavia, quella collazione con il Digesto da parte della commissione per le Istituzioni,che l’ipotesi dell’impiego di due esemplari distinti tende invece ad allontanare. Il fatto della tradi-zione parallela non è rilevato da Ferrini (cfr., in altra prospettiva, Sulle fonti delle Istituzioni di Giustiniano

[1901], in Opere, II, p. 371): si deve tenere conto, a giustificare la sua posizione, che egli era molto re-stio ad ammettere l’uso di esemplari autonomi da parte della commissione che compose le Istitu-zioni imperiali, la quale, a suo parere, avrebbe – fuori delle opere istituzionali in senso stretto, di cuidisponeva – attinto di norma dal Digesto (il principio è elaborato nel saggio Intorno ai passi comuni ai

Digesti ed alle Istituzioni [1889], in Opere, II, pp. 189 ss.; vd. anche infra, nt. 139).129 Ciò, appunto, per mantenersi nell’ambito delle premesse assunte da Ferrini, a prescindere dallaquestione più generale che investe l’idealizzazione del modello linguistico di riferimento.

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Inoltre, quando si volge a esaminare i passi del Digesto in cui la locuzione ri-corre, in vari casi Ferrini non è in grado di individuare il rimaneggiamento di cuiessa sarebbe la spia.130

A consuntivo, la dimostrazione non tiene nella premessa né nell’applicazione.Segno della difficoltà che da subito, anche in personalità così formate, il metodointerpolazionistico rivelò.

Ai nostri fini, interessa soprattutto che in Ferrini la ricaduta fu l’abbandono de-gli studi sulla personalità dei giuristi.131 A determinare quest’esito, contribuironoanche nuove consapevolezze nel campo linguistico e stilistico, maturate grazie alrigoglio in cui proprio allora si trovava tale genere di indagini. Il saggio su Alfeno,ad esempio, contiene un’analisi stilistica che dichiaratamente s’inserisce, per ap-profondirlo, nel solco tracciato da Kalb giusto un anno prima, nei Roms Juristennach ihrer Sprache dargestellt.132 Anche a questo riguardo Ferrini fu sensibilissimo ri-

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130 In particolare, egli ammette, con varie sfumature, di non potere stabilire l’interpolazione perGai. D. 50.16.58 pr. (Opere, V, p. 233), Flor. D. 16.3.17 pr. (ibid.); Pap. D. 39.5.29.1 (Opere, V, p. 234);Ulp. D. 4.8.15; D. 4.8.23 pr. (ibid.; a proposito di entrambi i passi si ricorre, come per il luogo delleIstituzioni citato supra in nt. 127, all’ipotesi di una mera sostituzione di attamen a tamen da parte delloscriba); Paul. D. 3.2.7; D. 31.82.2 (Opere, V, p. 237). È indicativo, fra gli altri, il trattamento relativo aMarcian. D. 1.22.2 (infames autem licet non prohibeantur legibus adsidere, attamen arbitror … non posse officio

adsessoris fungi): “Il passo, che nella sostanza non dà luogo ad obbiezioni, può facilmente ripristinarsinella sua probabile forma genuina: “infames non prohibentur legibus adsidere, attamen arbitror … etc.”. Icompilatori hanno forse voluto attenuare con la costruzione loro prediletta l’impressione della cate-gorica asseverazione che nessuna legge si oppone all’assessorato di una persona infame” (Opere, V,pp. 237 s.). A parte la sottigliezza stilistica attribuita per l’occasione ai compilatori, si presupponecosì che essi rispettassero la costruzione di licet con il congiuntivo, mentre altrove – ed è il merito pre-cipuo della indagine di Ferrini – si assume come sintomo della loro mano l’uso dell’indicativo. Suquesti passi, vd. anche HONORÉ, The autorship of interpolations in the Digest, spec. pp. 102 ss., che re-stringe ulteriormente il novero di quelli in cui, a parte il costrutto licet … attamen, vi sarebbero sin-tomi di interpolazione.131 È una preziosa reazione coeva quella di BRUGI, Di una recente opera su Papiniano e delle odierne tendenze

nella storia della giurisprudenza romana, p. 530, il quale, facendo un confronto con lo stato delle fonti let-terarie, annotava: “V’è per noi qualche cosa di peggio nei frammenti dei classici raccolti nel Dige-sto. A giuristi del secolo II e III di Cristo fu fatto parlare di ciò che non videro e che conveniva in-vece al diritto vigente nel VI” e ne traeva la conclusione del “pericolo” in cui versava lo “studio deisingoli giureconsulti” cui, lodevolmente, si volgeva in quegli anni la nuova tendenza “della storiadella giurisprudenza classica” volta “a descrivere le forze degl’individui e dei collegi che faticosa-mente e lentamente le detter vita”.132 Leipzig, Teubner, 1890, pp. 35 ss. Cfr. FERRINI, Opere, II, pp. 169 ss.: lo studio serve principal-mente a confermare l’opinione di LENEL, Pal., I, col. 37 nt. 1, che sia stato usato dai compilatori nonl’originale di Alfeno, ma un compendio anonimo (oltre all’epitome di Paolo). Le osservazioni lin-guistiche e stilistiche dimostrano che “l’Epitome anonima rispetta la forma del testo originale” (ibid.,p. 171); confronti di forma e sostanza provano che “la massima parte” dei Digesti di Alfeno “consi-ste nella riproduzione di pareri e responsi sulpiciani” (ibid., p. 175). Quanto alla fruttuosità delle os-

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cettore della cultura contemporanea, in cui volle consapevolmente inserirsi daprotagonista.133 L’attenzione per i fatti di lingua e di stile era all’ordine del giornoe gli interlocutori di Ferrini sono gli allievi di Wölfflin, come appunto Kalb, op-pure di Wilhelm Studemund, come il Grupe e il Brokate.134

La rivelazione delle nuances linguistiche e stilistiche, che avrebbe moltiplicatol’onere di chi volesse impadronirsi della cifra segreta di ciascun autore e, d’altro

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servazioni di lingua e di stile per stabilire la parte di Servio in Alfeno, Ferrini trova modo di scher-mirsi con brio: “È un campo, in cui io riconosco la potestà dei filologi, e m’inoltro cautamente te-mendo sempre che mi si dica ‘ius non esse N° eundi per fundum C. invito A°’ ”, che ricorda il mot-teggio di Lelio rivolto a M’. Manilio in Cic. De rep. 1.20. All’opera di Kalb, che non viene nominato,è indirizzato il giudizio piuttosto tranchant che si legge in Il Digesto, p. 64.133 Si è già notato a proposito delle dispense universitarie che il movente delle indagini di Ferrini èspesso la discussione di lavori recenti; altrettanto si è visto per i saggi che seguono la Palingenesia. L’os-servazione si può estendere a molta parte della sua opera.134 Vd. la bibl. ricordata da MARIO VARVARO, Lo stile di Triboniano e la compilazione delle Institutiones di

Giustiniano, in “SDHI”, LXVIII (2002), p. 319 nt. 1, che a sua volta propone un’interessante e acutaapplicazione del metodo, individuando come marca stilistica l’iperbato verbale, la figura che si haquando il predicato verbale separa l’aggettivo dal sostantivo (es.: nostra processit decisio). Questa marca,presente sia nelle costituzioni di Giustiniano sia nei brani delle Institutiones imperiali che riferisconole novità introdotte dalla legislazione più recente, contribuirebbe a confermare l’ipotesi (ripropostacon nuovi argomenti di recente da Falcone: vd. infra nt. 149) che Triboniano sia stato autore e dellecostituzioni e dei luoghi delle Istituzioni dedicati agli aggiornamenti legislativi. La suggestiva con-clusione sembra, tuttavia, indebolita da due problemi, di metodo e di fatto. Il primo, di metodo, è ladisparità dei campioni testuali fra cui viene operato il confronto stilistico. Infatti, solo per Tribo-niano, e non per gli altri due commissari al lavoro sulle Istituzioni, Doroteo e Teofilo, possediamoun corpus di testi latini che consenta il confronto (a prescindere dalle riserve che si debbono nutriresulla diretta riferibilità delle costituzioni imperiali alla mano di uno specifico autore, nel nostro casoa Triboniano: troppo poco è noto delle modalità del lavoro condotto nella cancelleria per potere farepieno affidamento su testi che portano la firma di Giustiniano come campioni dello stile del suoquaestor s.p.); data la disparità rispetto ai due altri concorrenti, il corpus (pseudo)tribonianeo esercitauna forza attrattiva a priori vincente. Il secondo inconveniente – questa volta di fatto – è che la figuradell’iperbato verbale, come constata lealmente lo stesso Varvaro (op. cit., pp. 370 ss.), compare anchein costituzioni emanate nel periodo in cui Triboniano (nel 532-535) non fu quaestor sacri palatii e, so-prattutto, nelle costituzioni di un altro imperatore, Giustino I. Questa duplice occorrenza fa eviden-temente vacillare la possibilità di attribuire l’iperbato verbale a Triboniano. Consapevole dell’im-portanza della questione, della prima difficoltà – la presenza della figura nelle leggi 532-535 – l’A. silibera con l’ipotesi che Triboniano abbia “redatto anche le costituzioni emesse nei periodi in cui nonrivestiva la carica di quaestor sacri palatii” (p. 371); la presenza dello stilema nelle costituzioni di Giu-stino (solo o con il nipote: p. 396 nt. 314) viene invece neutralizzata con l’ipotesi che “tali stilemi nonfossero presenti nei provvedimenti originali, ma siano frutto, piuttosto, di interpolazioni apportateproprio da Triboniano durante i lavori di compilazione del primo Codice” (p. 397). A voler seguirel’A. su questa linea, verrebbe da domandarsi perché, se davvero Triboniano ha introdotto il suomarchio, lo abbia fatto solo in queste costituzioni e non nelle altre. La ricorrenza dell’iperbato in co-stituzioni del VI secolo, tanto prima che dopo la questura di Triboniano, trova, invece, la spiega-zione più semplice non attribuendola alla sua mano, ma al fatto che fosse una caratteristica della lin-gua di quel periodo.

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canto, la minor fiducia nella genuinità dei testi, dovette disgregare, agli occhi diFerrini, quel “nocciolo più strettamente dottrinario e specialistico-giuridico”135

intorno a cui aveva costruito i suoi ritratti dei singoli giureconsulti.136

9. I metodi e le sollecitazioni della filologia sono fin dall’inizio presenti nel terzo eultimo filone di studi sulle opere dei giuristi, quello sulle fonti delle Istituzioni diGiustiniano, i cui primi sondaggi appaiono nel 1885,137 anche se il lavoro impe-gnerà Ferrini per un quindicennio, fino alla vigilia della scomparsa, come a direche questa rotta si mostrò la più adeguata alle condizioni che andavano rapida-mente mutando e, anzi, trasse vantaggio dal nuovo clima.

L’approdo, gli Studi sulle fonti delle Istituzioni di Giustiniano,138 è forse il saggio piùnoto di Ferrini, cui ancora si torna come a opera di consultazione e che si additacome modello di acribia scientifica, compiuto pressoché senza l’ausilio di voca-bolari, per non parlare dell’informatica. Lo stesso Wieacker vi riconosceva addi-rittura precoci applicazioni della Textstufenforschung.139 Di quest’impresa è statodetto tutto il bene possibile, anche da parte di Ferdinando Bona,140 e non è ne-

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135 Tolgo l’espressione dal bel saggio di ALDO SCHIAVONE, sv. Diritto romano, in “Enc. Dir.”, VI agg.(2002), p. 1159.136 È notevole la seguente osservazione, nell’opuscolo Il Digesto, p. 66 (che cade appunto quandoFerrini aveva di fatto abbandonato gli studi sull’individualità dei giuristi): “Tra le abbreviazioni …ne occorre una, che non si saprebbe mai abbastanza lamentare e che pure, giudicando in base aipossibili confronti diretti, deve essere avvenuta con singolare frequenza. Essa è la soppressione dimolte relazioni di controversie fra’ giuristi. I compilatori qui, abbreviando, non sono stati moltoscrupolosi e hanno talora, senz’avvedersene, attribuito a un giurista l’opinione di un altro. Il che in-segna a essere sommamente guardinghi quando si voglia parlare delle opinioni dei singoli giurecon-sulti, in base ai frammenti dei Digesti”. La soppressione del ius controversum (più ancora che l’altera-zione del tenore dei testi) dev’essere stata avvertita come un limite gravissimo da uno studioso cheaveva costruito sulle rispettive opinioni la figura scientifica dei singoli giuristi.137 La prima prova sul tema (una recensione al Grupe, apparsa nel 1885) fu rifusa l’anno seguentenel saggio Delle origini della Parafrasi greca delle Istituzioni, in Opere, I, pp. 120 ss. (Capo V. La questione sulle

origini del testo latino delle Istituzioni nei suoi rapporti con la presente).138 In Opere, II, pp. 307 ss.139 Si vd. in particolare WIEACKER, Textstufen, pp. 221 ss. L’apprezzamento (“ganz im Sinne neurerTextstufenforschung”: ibid., p. 224) si riferisce in particolare all’ipotesi avanzata da Ferrini (Opere, II,p. 311) che in alcuni casi i passi di opere non istituzionali siano stati desunti non dal Digesto, bensì daesemplari autonomi “forse dove i compilatori [scil.: delle Istituzioni] vi erano condotti da qualche sco-lio aggiunto ai commentatori di Gaio”. Quest’osservazione, peraltro, non sembra resa esattamentedall’insigne studioso tedesco, quando asserisce che – per Ferrini – la commissione preposta alle Isti-tuzioni “hätte den Originaltext einem Randscholion oder gar einem Scholienapparat zu einemGaiusexemplar entnommen”. Ferrini ipotizza rinvii a opere della giurisprudenza contenuti nell’ap-parato a un commento greco a Gaio e sviluppati dai commissari con un riscontro su edizioni da loropossedute dell’opera menzionata, mentre Wieacker sembra ipotizzare che l’apparato contenesse unatrascrizione del testo cui si faceva rinvio e che a questa attingessero i commissari giustinianei.140 Contardo Ferrini tra storia e sistematica giuridica, p. 103.

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cessario perciò ripetere; ci si può limitare, nella prospettiva di quest’indagine, arievocarne la genesi.

La missione di risalire ai brani che compongono il mosaico del manuale giu-stinianeo gli fu proposta da Zachariae. Lo apprendiamo da Scialoja, il quale,commemorando l’amico, ammette che il bizantinista aveva suggerito il tema adentrambi, ma solo il Ferrini era stato in grado di svolgerlo

L’indagine sulle fonti delle Institutiones è abbastanza eterogenea rispetto agli al-tri studi sui giuristi (sia a quelli della prima fase, sia a quelli che ne sono l’epilogo).Qui il problema è letterario e il metodo è abbastanza simile a quella “ricerca dellefonti” che, da qualche decennio, la filologia esercitava sugli storici latini e greci,come ad esempio il Nissen sull’uso di Polibio in Livio.

A parte il suggerimento dello Zachariae, l’occasione dell’indagine142 fu of-ferta a Ferrini da una nuova fiammata degli studi sul metodo e sulla ripartizionedei lavori fra i commissari giustinianei, problema che – in anni in cui era vival’eco della scoperta bluhmiana – era stato posto per primo da Eduard Huschke(1801-1886), in connessione con la sua edizione delle Institutiones data allestampe nel 1868.143 Nel 1884 il tema fu ripreso da Eduard Grupe (1857-1935),un filologo pressoché coetaneo di Ferrini, già allievo dello Studemund a Stra-sburgo in mano tedesca e che pubblicherà nel 1902 il secondo volume delVIR.144 Grupe arricchì gli strumenti di Huschke con le nuove acquisizioni dellaglottologia e della stilistica, cercando di riconoscere la mano di Teofilo e quelladi Doroteo.145

L’indagine si collega, inoltre, allo studio sulla paternità della Parafrasi di Teo-filo.146

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141 VITTORIO SCIALOJA, Contardo Ferrini (1928), ora in ID., Studi Giuridici, Diritto romano, II, 2, p. 296.142 Sulla cui prima versione, del 1890, intervennero nell’immediatezza Appleton (1891) e Kalb(1893).143 Huschke, com’è noto, avanzò l’ipotesi che, restando a Triboniano la suprema direzione dei la-vori, l’effettiva compilazione fosse stata compiuta da Teofilo e Doroteo, ciascuno dei quali avrebbecomposto due libri, uno i due primi, l’altro i restanti (escluso il tit. 18 del l. IV). Triboniano sarebberimasto au dessous de la mêlée.144 De Iustiniani Institutionum compositione, Argentorati, apud C.I. Trübner, 1884. Cfr. ID., Zur Frage nach

den Verfassern der Institutionen Justinians, in Commentationes in honorem Guilelmi Studemund, Argentorati,Heitz, 1889, pp. 175 ss. Grupe, dopo una carriera nell’insegnamento superiore, fu professore ono-rario di diritto romano a Heidelberg, dal 1920 alla morte.145 Approfondendo il solco tracciato da Huschke, attribuì a Teofilo la composizione dei due ultimilibri (salvo il titolo di coda).146 Vd. anche infra, nt. seg. Il tema era stato posto da Ferrini – che, com’è ben noto, la disconoscevaall’antecessor costantinopolitano – e ripreso criticamente nel 1886 da Brokate, allievo anch’egli ar-gentoratense di Studemund (cui rispose, oltre a Ferrini, il di lui allievo Segrè).

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10. Proprio da questi studi, a cavallo fra le Istituzioni di Giustiniano e la loro pa-rafrasi greca, scaturisce la più straordinaria creatura di Ferrini, il kata podas delleIstituzioni di Gaio.

Fin dal 1883 Ferrini asserì che l’autore della Parafrasi greca delle Istituzioni sifosse appoggiato a una versione greca pedissequa delle Istituzioni di Gaio, nataforse nell’ambito della scuola di Berito, di cui racchiudeva la lunga tradizione sco-lastica, in rapporti continui con altre linee d’insegnamento, non escluse le tradi-zioni delle scuole occidentali. Quest’idea fu mantenuta fino all’ultimo, con piccolerettifiche com’era suo uso.147

Ferrini dimostrò fuori d’ogni dubbio – svolgendo metodicamente un’intui-zione avuta e poi lasciata cadere da Dirksen – che in molti punti nei quali la Pa-rafrasi greca non ha il suo riscontro nelle Istituzioni di Giustiniano, il parafrasteattinse da Gaio (il fenomeno era ovviamente divenuto visibile dopo la scoperta delcodice Veronese). Per fare un esempio, nel cap. 1.5 della Parafrasi, al § 3, si trovauna precisa illustrazione del contenuto della lex Aelia Sentia, che manca nel corri-spondente luogo delle Istituzioni imperiali, stante l’abolizione da parte di Giusti-niano della categoria dei liberti dediticii. Queste informazioni, e altre del mede-simo genere, il parafraste senza dubbio le ha attinte in ultima analisi da Gaio.148

L’idea di Ferrini è, tuttavia, più ardita: che Teofilo (continuiamo qui per co-modità a servirci del suo nome) avesse sotto gli occhi non Gaio latino, ma una ver-sione greca con apparato di paragrafi. È questa operetta greca la creatura di Fer-rini, cui ha arriso grande fortuna.149

Ad essa Teofilo avrebbe fatto ricorso non solo per ricuperare informazioni as-senti nelle Istituzioni di Giustiniano – come nell’esempio della lex Aelia Sentia – mapure per agevolarsi il compito di volgere in greco i brani delle Istituzioni di Giusti-niano presi da Gaio, che trovava già tradotti nel kata podas gaiano antegiustinianeo.

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147 Cfr. specialmente La parafrasi di Teofilo ed i Commentari di Gaio (1883), in Opere, I, pp. 15 ss. con Icommentarii di Gaio e l’indice greco delle Istituzioni (1897), in Opere, I, pp. 81 ss.; fra le notazioni extravagan-

tes, vd. in particolar modo Ad Gai. 2, 51 (1888), in Opere, II, p. 183. A parte l’oscillazione sulla naturadi quest’opuscolo (che, infine, gli parve essere quella di una traduzione annotata, provvista “de’ te-sori che la tradizione scolastica aveva radunato intorno a Gaio”: La Glossa torinese delle Istituzioni e la

Parafrasi dello Pseudo-Teofilo [1884], in Opere, I, p. 44), era incerto anche sulla provenienza: in primabattuta l’attribuiva a Teofilo stesso – quand’ancora riteneva Teofilo padre della Parafrasi –, poi al-l’ambiente scolastico di Berito.148 Per quanto riguarda la lex Aelia Sentia, da Gai. 1.13 ss.149 Vd. la bibl. citata da GIUSEPPE FALCONE, Il metodo di compilazione delle Institutiones di Giustiniano, in“Annali del Seminario Giuridico dell’Università di Palermo”, XLVI (1998), p. 306 nt. 236. Adde

BONA, Contardo Ferrini tra storia e sistematica giuridica, pp. 98 s., che sottolineava l’importanza di quest’i-potesi nel quadro più ampio della “continuità di una tradizione scolastica che legava idealmente ematerialmente la produzione didattico-giuridica bizantina immediatamente postgiustinianea equella scolastica precodificatoria”.

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Non nascondo la sensazione che, soprattutto dopo l’attenta analisi di Nel-son,150 si sia perso di vista il sottile crinale su cui camminava Ferrini: non è nei lar-ghi inserti che mancano nelle Istituzioni che si può cercare la traccia del kata podasgreco di Gaio, ma là dove uno scarto dal testo delle Istituzioni imperiali fa sup-porre che Teofilo si stesse adagiando su una traduzione preconfezionata. OsservaFerrini: “non possiamo … credere che Teofilo abbandonasse il suo testo per ri-correre a Gaio. … Non sarebbe egli stato per un parafraste un procedere somma-mente arbitrario e inopportuno?”. Ma se noi pensiamo che Teofilo avesse a di-sposizione già una versione greca di Gaio, un kata podas “e che poteva ricorrere aquesto come a un lavoro già fatto, senza pensare a quelle mutazioni che furono in-trodotte o trascurandole, come di nessun momento per la sostanza delle coseesposte, non avremo noi una facile spiegazione?”.151

La questione meriterebbe d’essere ripresa: l’impressione, ma l’ultima parolaspetta ai bizantinisti, è che un tale riesame si possa giovare delle nuove acquisi-zioni sulla natura della Parafrasi, che non è, come invece sono per lo più le Istitu-zioni di Giustiniano, un patchwork di brani preesistenti, bensì una rielaborazionesecondo il metodo didattico degli antecessores bizantini. In molti titoli si riconosce,infatti, un duplice strato, l’index e le paragraphai, cioè la traduzione del testo latinoe un apparato di commento.152 Questa duplice struttura corrisponde alle due mo-dalità fondamentali dell’insegnamento degli scholastikoi bizantini.

La genesi del testo che per convenzione chiamiamo Parafrasi greca delle Isti-tuzioni di Giustiniano rende operazione molto delicata rintracciare eventualiprecedenti seguiti dal suo autore. Occorre, in primo luogo, isolare i diversi strati,ciò che corrisponde a una traduzione e ciò che è, invece, commento. Così isolato,il commento, la paragraphe, non può poi confrontarsi puramente e semplicementecon scritti precedenti, perché non è calco fedele, ma tutt’al più può avere presospunto da testi della giurisprudenza classica, Gaio in testa. Quanto all’index, sa-ranno lì da cercarsi, se ne ha lasciate, le impronte d’una eventuale precedenteversione di Gaio.

11. Per concludere. Ogni indagine di Ferrini ci sollecita a proseguirla. Che la per-sistente vitalità di questa porzione della sua opera, dedicata alle opere dei giuristi,dipenda dalla stretta aderenza alle fonti è innegabile. Ma non tanto dei risultati siè voluto parlare. Proiettando l’opera di Ferrini nel prisma della sua vita si è cer-

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150 HEIN LEOPOLD WILLHELMUS NELSON, Uberlieferung, Aufbau und Stil von Gai Institutiones, unterMitwirkung von M. David, Leiden, E. J. Brill, 1981, pp. 267 ss.151 Opere, I, pp. 23 s.152 Vd., per tutti, PETER E. PIELER, in HERBERT HUNGER, Die hochsprachliche profane Literatur der Byzan-

tiner. 2: Philologie, Profandichtung, Musik, Mathematik und Astronomie, Naturwissenschaften, Medizin, Kriegswis-

senschaft, Rechtsliteratur, München, Beck, 1978, pp. 405 s.; 419 s.

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cato piuttosto di scomporre lo spettro della sua formazione, dei suoi rapportiscientifici, insomma si è cercato di rendere visibili le componenti della sua cultura.A noi tutti, chiamati in questi anni a discutere di metodi e di orientamenti, non re-sta che constatare quanto fosse complessa e ampia la cultura romanistica che haconsentito di raggiungere risultati che oggi ci appaiono così vitali.

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