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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Infermieristica ANNO ACCADEMICO 2008/2009 ELABORATO FINALE CANDIDATO: CASETTI MATTEO TITOLO DELL'ELABORATO: LA PROMOZIONE DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA PAROLE CHIAVE: promozione, professione, carenza, personale, immagine, reclutamento 1

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA

FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea in Infermieristica

ANNO ACCADEMICO 2008/2009

ELABORATO FINALE

CANDIDATO: CASETTI MATTEO

TITOLO DELL'ELABORATO:

LA PROMOZIONE DELLA PROFESSIONE INFERMIERISTICA

PAROLE CHIAVE:

promozione, professione, carenza, personale, immagine, reclutamento

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Indice

Riassunto Pag. 3

Presentazione Pag. 5

Introduzione: materiali e metodi Pag. 13

Capitolo 1: perché promuovere la professione infermieristica Pag. 16

Perché promuovere la professione infermieristica:1- la carenza mondiale di infermieri Pag. 21La carenza di infermieri negli Usa Pag. 23La situazione nei Paesi poveri: infermieri in fuga, sanità al collasso Pag. 26Più medici che infermieri: il paradosso della sanità italiana Pag. 30Perché promuovere la professione infermieristica:2- migliorare l'immagine dell'infermiere nella società Pag. 38La professione vista dalla rete Pag. 38Riconoscimento sociale e legislativo Pag. 41L'immagine dell'infermiera al cinema e in tv Pag. 47

Capitolo 2: chi promuove la professione infermieristica? Pag. 59

Le campagne nell'ultimo decennio Pag. 62Il punto di vista dei Collegi provinciali Pag. 72

Bibliografia Pag. 80

Web-grafia Pag. 82

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Riassunto

Le ragioni per cui occorre promuovere la professione infermieristica possono sostanzialmente

essere ridotte a due, tra loro collegate:

1) la carenza a livello mondiale di personale infermieristico, che comporta ulteriori gravi

conseguenze dovute alla migrazione di infermieri dai paesi poveri verso quelli più ricchi, e

che nella particolarità del caso italiano si associa alla presenza di personale medico ben oltre

la media degli altri paesi;

2) l'immagine degli infermieri nella società, ancora fortemente influenzata da vecchi stereotipi

e che, nonostante il riconoscimento legislativo avvenuto nel corso degli anni '90, fatica ad

adeguarsi al nuovo ruolo connesso alla professione.

Concentrandoci sulla situazione italiana, nel nostro paese chi si occupa di promozione della

professione infermieristica in modo programmatico è la Federazione nazionale dei Collegi

Provinciali (Ipasvi) tramite:

– pubblicazioni (la rivista L'infermiere);

– un sito internet, http://www.ipasvi.it/;

– campagne pubblicitarie volte ad avvicinare i giovani alla professione (come nel caso del

2007 con Infermiere. Protagonista nella vita vera);

– convegni dedicati ad alcuni aspetti della tematica.

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Si è cercato di approfondire uno per uno gli strumenti qui elencati ripercorrendo il lavoro intrapreso

nell'ultimo decennio non solo dagli infermieri, ma anche da giornalisti, storici, antropologi e

sociologi. Si è quindi provato a contattare direttamente i collegi provinciali Ipasvi e, tramite un

questionario, interpellarne gli associati per comprendere il grado di soddisfazione circa le politiche

della Federazione in tema di promozione nell'ultimo decennio: se pare diffusa una certa

consapevolezza circa il proprio ruolo, in relazione al riconoscimento professionale, dall'altra parte

occorre tuttavia evidenziare come l'immagine degli infermieri nella società venga ancora percepita

come riduttiva, inadeguata al ruolo e falsata da stereotipi. Se sono stati registrati passi avanti in

termini di reclutamento (gli iscritti al test d'ingresso per il Corso di Laurea in Infermieristica sono in

costante aumento da alcuni anni), molto resta ancora da fare per migliorare l'immagine della

professione nella società, dove non appaiono tutt'ora chiari ruolo e competenze degli infermieri.

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Presentazione

L'idea di un elaborato che si occupasse della promozione della professione infermieristica mi venne

in mente lo scorso 12 maggio quando, durante una delle ultime lezioni del corso, fu letta in classe

una lettera apparsa il giorno stesso sulla Gazzetta di Parma.

Lettera ai Cittadini

Oggi è un giorno di festa per celebrare insieme ai cittadini i valori della professione infermieristica

e il ruolo degli infermieri nel prendersi cura del singolo, della famiglia, della comunità, nel rispetto

dei valori deontologici.

Grazie alla Giornata Internazionale dell'Infermiere, i professionisti iscritti al Collegio Infermieri di

Parma, si presentano alla comunità locale per descrivere i valori e i principi guida della

professione.

Lo slogan di quest'anno è: Noi infermieri con i nostri valori, dalla vostra parte. Sempre.

I valori sono una componente fondamentale di una professione, anzi si può dire che le professioni, in

quanto tali, nascono e si sviluppano a partire dai valori assunti a riferimento. Sono questi che

muovono le azioni, le scelte, le decisioni di qualsiasi individuo.

Il Codice Deontologico, di cui l'ultimo approvato nel gennaio 2009 dalla Federazione Nazionale

Collegi Ipasvi, è il manifesto dichiarativo dei valori di una professione: fissa le norme dell'agire

professionale e definisce i principi guida che strutturano il sistema etico in cui si svolge la relazione

con la persona-assistito.

Relazione che si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura

intellettuale tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa.

I termini utilizzati per definire gli interventi assistenziali contengono le chiavi interpretative e della

natura dell'atto infermieristico che ricerca e persegue, nelle diverse fasi del percorso assistenziale,

appropriatezza e pertinenza nell'interesse primario della persona.

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“Specifici” sta per “propri”, ossia interni alla professione in quanto patrimonio di peculiari

competenze ed esperienze infermieristiche.

“Autonomi” sta per “di decisione propria” rispetto ad altre figure professionali.

“Natura intellettuale, tecnico-scientifica, gestionale, relazionale ed educativa” sta per saperi

disciplinari che sostengono le diverse funzioni infermieristiche e per l'irrinunciabilità della

relazione, dell'educazione e dell'informazione.

Anche la responsabilità, collegata all'autonomia è intesa come un principio guida dell'agire

professionale. L'assunzione di responsabilità pone l'infermiere in una condizione di costante

impegno: quando assiste, quando cura e si prende cura della persona nel rispetto della vita, della

salute, della libertà e della dignità dell'individuo.

I valori della nostra professione sono stati precursori di quello che la società moderna sta

realizzando e richiedendo: il rispetto della persona assistita, la sua espressione e libera scelta verso

i trattamenti sanitari, il suo coinvolgimento nel percorso di trattamento.

La tutela della professione, dell'esercizio professionale, e la vigilanza affinché siano rispettate le

norme deontologiche, sono in capo al Collegio Infermieri.

In questa accezione il Collegio non è solo uno strumento di disciplina ma è soprattutto uno

strumento di difesa della salute dei cittadini e degli interessi della categoria professionale.

[…] Nel congedarsi dai lettori, gli infermieri colgono l'occasione della GIORNATA

INTERNAZIONALE, per rinnovare il loro impegno sociale e professionale nel promuovere azioni a

favore del benessere e della qualità della vita di tutti i cittadini.

Firmato

Il Presidente e il Consiglio Direttivo del Collegio di Parma

Dopo averla letta, il professore chiese a noi studenti un commento a riguardo. Anziché soffermarmi

sul suo contenuto in quanto futuro professionista (e da questo punto di vista il messaggio è chiaro:

gli infermieri si presentano e prendono la parte dei cittadini perché la tutela della salute è un valore

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connesso alla natura stessa dell'essere infermiere), provai a mettere in pratica una di quelle

attenzioni che durante il corso ci è stato più volte raccomandato di fare nel nostro agire quotidiano,

ossia cercare sempre di mettersi nei panni di chi si ha di fronte. Ecco, in quella situazione ho

provato ad indossare i panni del lettore tipo del quotidiano locale, ad immaginare la sua reazione di

fronte alla pagina intera occupata dalla lettera di fianco ad uno dei manifesti per la Giornata

dell'Infermiere. E mi sono chiesto in quanti avrebbero iniziato a leggerla, in quanti sarebbero

riusciti a terminare la lettura prima di voltare pagina, e ancora se sarebbe rimasto qualcosa, e che

tipo di messaggio, in chi fosse riuscito a finire di leggerla. Ovvio che non vi sarebbe stato modo

alcuno di verificare quella che fu solo una mia percezione: il lettore medio della Gazzetta di Parma

(e non me ne vogliano gli abituali lettori del quotidiano più vecchio d'Italia, ma avrei azzardato la

stessa ipotesi per qualsiasi altro giornale) avrebbe letto al massimo qualche riga della lettera, per poi

voltar pagina e passare ad altro. E non me ne vogliano neppure il Presidente e il Consiglio Direttivo

del Collegio Ipasvi di Parma, la cui iniziativa nasce sì con un intento lodevole, quello di avvicinare i

cittadini alla professione (e di simili iniziative, è evidente, nel Collegio ne avvertono continuamente

il bisogno, potendo “misurare” ogni giorno la distanza tra infermieri e gente comune), ma a mio

avviso lo fa con modalità inadeguate ed usando un linguaggio fin troppo tecnico (anche se, va

ammesso, le parole sono “pesate” e addirittura spiegate nel loro specifico significato all'interno del

contesto di cui sopra) per riuscire a catturare e coinvolgere nella lettura il fruitore abituale del

quotidiano. È vero, il 12 maggio è una data che è anche occasione di festa per gli infermieri, tuttavia

non posso fare a meno di chiedermi come avrebbe potuto essere “sfruttata” altrimenti quella pagina

di giornale, con tutti i problemi connessi alla professione, dalla difficoltà ad attrarre i giovani, alla

mancanza di peso degli infermieri nelle politiche sulla salute, fino alla mancata conoscenza, tra i

non addetti ai lavori in ambito sanitario, di ciò che realmente loro compete: evidenziare (ancora una

volta) questi ed altri problemi davanti agli occhi dei cittadini avrebbe sicuramente reso meno

leggero il tono rispetto a quello che forse la ricorrenza festosa imponeva.

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Un'occasione mancata dunque? Non credo tuttavia che snocciolare cifre a supporto di quanto detto

appena sopra sarebbe servito ad ingraziarsi i cittadini, né il render loro consci una volta di più di

quali siano le “nostre” battaglie quotidiane avrebbe contribuito a farseli alleati. Anzi, avrebbe forse

costituito un'inopportuna caduta di stile, avrebbe chissà banalizzato la nostra professione e confuso

ancor di più quella pagina tra le altre del giornale, tra l'indifferenza.

Mi sono addentrato fin troppo nelle ipotesi che ancora oggi non sono sicuro di quello che avrei fatto

o scritto io al posto della lettera: probabilmente avrei lasciato perdere il quotidiano per concentrarmi

su mezzi comunicativi più adatti ad un altro target. Ma non voglio soffermarmi oltre su quella

lettera, che nel bene e nel male è stata comunque il punto d'avvio della mia riflessione e del

seguente lavoro.

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Durante la stesura dell'elaborato, proprio mentre scrivevo circa l'immagine dell'infermiere nella

società, mi sono imbattuto in alcune situazioni che hanno confermato le mie sensazioni (avvertite

prima di me da diversi autori citati nelle pagine seguenti) di trovarci in un periodo transitorio, di

anni di cambiamenti per la professione, alcuni già attuati e ben visibili, altri in corso, altri ancora a

venire. Di fronte alla città tappezzata di manifesti in occasione dell'inaugurazione del nuovo pronto

soccorso, non ho potuto far altro che sorridere compiaciuto nel vedere l'immagine di infermieri veri,

donne e uomini, in divisa, scelti per testimoniare alla cittadinanza questo evento. Un immagine che

ritengo acquisti un valore simbolico notevole, silenziosa ma sempre lì, come gli infermieri,

soprattutto si considera all'opposto la ridondanza e al tempo stesso la vacuità di mille e più parole

(verba volant) spese da politici e politicanti per farsi belli una volta di più di fronte alle televisioni

locali. Ora che il nuovo pronto soccorso è stato inaugurato, resta silenziosa la presenza degli

infermieri ad accogliere i cittadini bisognosi.

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A riportarmi con i piedi per terra, confermandomi che certi stereotipi sono duri a morire e che per

gli infermieri ci sarà ancora molto da lavorare per promuovere una nuova immagine della

professione, ci ha pensato la campagna pubblicitaria per la nuova linea di abbigliamento di Matteo

Cambi (l'ex di Guru, delle cui vicende personali non intendo trattare in questa sede).

Una camera d'ospedale con il bianco che domina, una figura femminile in un camice (?) che

evidenzia le curve quanto basta ed ecco servito in una nuova veste un piatto oramai cotto in tutte le

salse: il vecchio stereotipo dell'infermiera sexy, più svestita che vestita, e in questo caso pure con

un'aria un po' maledetta (pupazzo, tatuaggi e allusioni varie fanno il resto). Di fronte a questa

immagine mi sono dapprima chiesto come si potesse pubblicizzare in questo modo una nuova linea

di capi d'abbigliamento; poi, non trovando immediatamente una risposta e concludendo che le vie

della pubblicità, come quelle del Signore, sono probabilmente infinite, mi sono reso conto una volta

di più che è ancora lunga la strada che gli infermieri devono compiere per un pieno riconoscimento

sociale, del proprio ruolo, della propria figura, della professione in generale. Con questo lavoro

spero di poter dare il mio piccolo contributo alla causa.

Per chiudere tuttavia con una nota positiva, mi pare significativo segnalare un paio di iniziative a

favore della professione. La prima viene da un ospedale della Liguria, dove è stato introdotto un

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sistema a divise di colore diverso per ogni figura operante all'interno di una nuova struttura

sanitaria. Cartelli/legenda come quello che riproponiamo sono stati collocati all'ingresso e nei punti

strategici dell'edificio in questione.

L'argomento della ''facile'' identificazione di quale ruolo ricopre il dipendente è stato spesso sollevato

come un reale problema nelle strutture sanitarie, e naturalmente lo è. In non molte realtà del Paese

esiste già una simile impostazione, mentre nella maggior parte delle realtà (pubbliche e private)

persiste una certa noncuranza, ne' regole al riguardo. Questo comporta attribuzioni scorrette di

responsabilità, confusione, scarsa chiarezza, che -in certe circostanze particolari- possono arrivare a

favorire perfino l'errore assistenziale. Ma, soprattutto, l'assenza di regole sulle divise di lavoro

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alimenta confusione e percezioni sbagliate nel pubblico, quel meccanismo che fa chiamare,

impropriamente, tutti a rispondere della qualifica di ''Infermiere', quando è evidente che non è così1.

La seconda ci conferma il riconoscimento, da parte delle istituzioni, dell'importanza del ruolo

ricoperto dagli infermieri nella società.

Un francobollo sarà dedicato agli infermieri italiani: l’iniziativa promossa dal Ministro dello

Sviluppo economico, On. Claudio Scajola, attesta la volontà di manifestare in modo evidente il

riconoscimento del Paese per la funzione sociale svolta da questa professione. L’importanza della

scelta è ulteriormente sottolineata dal fatto che è la prima volta che un francobollo della serie

filatelica “Istituzioni” verrà dedicato ad una professione, quella infermieristica.

La presentazione del francobollo avrà significativamente luogo il 12 maggio 2010, in occasione della

prossima Giornata internazionale dell’Infermiere. Contestualmente dovrebbero svolgersi, secondo il

programma in via di definizione con il Ministero dello Sviluppo economico, una serie di

manifestazioni volte a sollecitare l’attenzione dell’opinione pubblica sull’evento, anche attraverso il

coinvolgimento dei media2.

Proprio a proposito di quanto affermato in chiusura del breve brano di cui sopra, sarà interessante

notare come e se la vetrina del 12 maggio verrà utilizzata e se ciò riuscirà a portare qualche buona

notizia per la professione. Da questo punto di vista, come avremo modo di far notare più volte nel

corso dell'elaborato, gli ultimi anni lasciano ben sperare, sia dal punto di vista dell'immagine degli

infermieri nella società, che per quanto riguarda le politiche di reclutamento di nuovi studenti per i

corsi di laurea. Non è tuttavia tempo di sedersi sugli allori: c'è ancora molto da lavorare su entrambi

i fronti, fermarsi ora sarebbe inopportuno e controproducente.

1 Newsletter n. 83, Collegio Ipasvi di La Spezia.2 Emma Martellotti, Un francobollo dedicato agli infermieri, in L'infermiere, 5-6/2009, pag. 8.

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Introduzione: materiali e metodi

Le tematiche connesse alla promozione dell'infermieristica sono divenute oggetto di studio

sistematico solo negli ultimi anni, parallelamente all'evoluzione autonoma della disciplina e

soprattutto a partire dalla metà degli anni '90, cioè da quando questa è stata riconosciuta come

professione. Il passaggio da mansione a professione, oltre a sancire dal punto di vista legislativo

l'indipendenza dell'infermieristica dalle discipline ad essa storicamente associate (in primis la

medicina), ha anche coinciso con l'inizio di una lunga riflessione circa l'identità dell'infermiere in

quanto professionista, il suo ruolo nella sanità e nella società, i punti deboli e i punti di forza della

professione.

Altro aspetto da tenere in considerazione è, per il periodo in questione, il contemporaneo sviluppo

della rete a livello mondiale: ciò ha permesso di allargare la portata della riflessione da una

dimensione locale/nazionale ad una internazionale, e di farlo in tempi brevissimi. L'accesso

facilitato a dati di realtà tra loro fisicamente distanti consente un confronto costante, il quale non

può che fungere da stimolo al miglioramento della professione: ne è un esempio la crescita del

movimento EBN (Evidence Based Nursing), che sostiene la diffusione di pratiche cliniche fondate

su basi scientifiche, ma anche lo sviluppo della ricerca infermieristica stessa deve molto al notevole

peso specifico acquisito dalla rete negli ultimi anni.

Proprio per ciò che concerne la ricerca, la rete facilita l'accesso alle fonti, incrementa le possibilità

di contatti, amplifica la diffusione dei risultati degli studi: per una disciplina giovane come

l'infermieristica il rapporto con internet è quasi simbiotico, tanto da poter affermare che ad oggi la

rete rappresenta un passaggio obbligato, spesso e volentieri il punto di partenza di ogni indagine che

voglia prendere in considerazione questo o quell'aspetto legati alla professione.

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Così è stato anche per questo lavoro. Tramite la rete è stato possibile anzitutto farsi un'idea circa la

promozione della professione, capire che già da qualche anno gli infermieri stessi, ma non solo, si

stanno interrogando e confrontando circa la percezione della propria immagine professionale nella

società, ma anche tra di loro, supportati in questo da un numero crescente di studi da parte di

sociologi, antropologi, storici e altri professionisti ancora. Grazie alla rete si è riusciti ad accedere a

documenti, articoli di riviste, atti di convegni archiviati online e quindi facilmente reperibili da parte

di chiunque voglia approfondire una specifica tematica. E sempre in rete è stato possibile trovare i

contatti per interpellare direttamente alcuni dei professionisti che già si erano occupati di

promozione e comunicazione relativa all'infermieristica in passato. L'inevitabile conseguenza di

questo congruo ricorso alla rete è, se non un diretto incremento della web-grafia (o sitografia), in

questo caso ancora limitata, quella di avere una bibliografia formatasi per la maggior parte grazie a

riferimenti e rimandi trovati online.

Tra le fonti prese in considerazione, quelle quantitativamente più rilevanti sono gli articoli di riviste

di infermieristica e tra questi la maggior parte sono quelli pubblicati sulla rivista ufficiale

dell'Ipasvi, L'infermiere: passandoli in rassegna è stato inoltre possibile individuare quelle figure

che, all'interno della Federazione, più di altre negli ultimi anni si sono occupate di promozione e

comunicazione, ossia la Presidente Annalisa Silvestro e la Responsabile dell'Ufficio Stampa Emma

Martellotti.

Altra fonte “di peso” sono gli atti dei diversi convegni tenutisi nell'ultimo decennio ed aventi per

tema l'immagine degli infermieri nella società, la professione e la comunicazione, i media: è stato

possibile consultare la trascrizione dei diversi interventi contattando direttamente alcuni dei

professionisti coinvolti, i quali hanno gentilmente inviato via mail il materiale richiesto.

Ulteriori documenti recuperati online sono i rapporti di organizzazioni internazionali (OMS, OCSE,

UNFPA), soprattutto per quanto riguarda la carenza di personale sanitario e infermieristico in

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particolare, la migrazione di infermieri dai paesi poveri ed il loro reclutamento nei paesi più ricchi,

le stime e le previsioni del fenomeno per gli anni a venire.

Pochi sono i libri consultati, per lo più circa la realtà italiana e l'evoluzione dell'infermieristica nello

specifico degli ultimi anni, alla luce delle novità introdotte dalle leggi degli anni '90.

Si è poi voluta testare direttamente l'efficacia di alcuni canali comunicativi proposti dal sito

dell'Ipasvi, quali i link agli indirizzi e-mail dei collegi provinciali, somministrando un semplice

questionario circa la percezione della Federazione da parte delle sue componenti: di questo

tratteremo nello specifico nel secondo capitolo, dopo esserci interrogati, nel primo, circa le

motivazioni che stanno alla base della promozione della professione.

Occorre infine premettere che il presente lavoro, nonostante sia nato con le migliori intenzioni, resta

pur sempre un'opera parziale e limitata a fronte dell'ampiezza del campo che si prefigge di indagare:

diverse critiche sono giunte già in corso d'opera da parte di alcuni dei collegi contattati e non

eviterò di ometterle, ribadendo una volta di più quelle che sono le imperfezioni, pur in buona fede,

dell'elaborato. Anzi, sarebbe bene se possibile riuscire a stimolare ulteriori ricerche e discussioni, in

quanto trattasi di argomento vasto, ma a mio avviso di notevole interesse per la professione, in un

periodo dove riflettere una volta di più su chi sono gli infermieri e cosa auspicano per il proprio

futuro non costituisce, a mio avviso, tempo sprecato.

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Capitolo 1: perché promuovere la professione infermieristica?

Il verbo promuovere deriva dal latino pro- 'avanti' e movēre 'muovere', e significa letteralmente

“muovere innanzi”; in italiano assume diversi significati:

1. conferire un grado superiore nell'ambito di un ordinamento gerarchico

2. nelle scuole, ammettere, mediante scrutinio o esame, alla classe immediatamente superiore

3. in alcune locuzioni del linguaggio medico stimolare, eccitare

4. sollecitare, spingere

5. far avanzare, progredire, dare inizio, proporre

Tralasciando i primi tre punti, ci concentreremo in particolar modo sugli ultimi due significati,

quelli pertinenti a questo studio. Cosa significa dunque promuovere la professione infermieristica?

Cosa implica? E cosa vuol dire, per un infermiere, fare promozione? Rispondendo nella maniera più

immediata e diretta potremmo affermare che un infermiere fa promozione semplicemente

esercitando bene la sua professione (e si badi: non ho detto facendo bene il suo lavoro!), il che

sottende già di per sé tutta una serie di implicazioni connesse ai significati di cui sopra: alla pratica

infermieristica così come alle attività di ricerca, ad oggi legate tra loro da un filo doppio, sono

inevitabilmente connesse le proposte, l'idea di progresso e avanzamento della professione, la spinta

verso un continuo miglioramento. E quale sarebbe il metro per valutare se un infermiere è o non è

un buon professionista? Innanzitutto il rispetto delle norme che ne regolano l'operato, in primis il

Codice Deontologico nella sua versione più aggiornata ossia quella approvata dal Consiglio

nazionale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI nella seduta del 17/01/2009. Se passiamo in

rassegna i 51 articoli che lo compongono troviamo conferma della bontà di quanto sino ad ora

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sostenuto e del fatto che tocca all'infermiere stesso occuparsi in prima persona in attività di

promozione legate all'agire professionale:

art. 11 L'infermiere […] progetta, svolge e partecipa ad attività di formazione. Promuove, attiva e

partecipa alla ricerca e cura la diffusione dei risultati.

art. 16 L'infermiere si attiva per l'analisi dei dilemmi etici vissuti nell'operatività quotidiana e

promuove il ricorso alla consulenza etica, anche al fine di contribuire all'approfondimento della

riflessione bioetica.

art. 19 L'infermiere promuove stili di vita sani, la diffusione del valore della cultura della salute e

della tutela ambientale, anche attraverso l'informazione e l'educazione […].

art. 29 L'infermiere concorre a promuovere le migliori condizioni di sicurezza dell'assistito e dei

familiari e lo sviluppo della cultura dell'imparare dall'errore […].

art. 32 L'infermiere si impegna a promuovere la tutela degli assistiti che si trovano in condizioni

che ne limitano lo sviluppo o l'espressione, quando la famiglia e il contesto non siano adeguati ai

loro bisogni.

Così l'attività di promozione è strettamente collegata e pertinente all'agire professionale

dell'infermiere, il quale è dunque in prima istanza responsabile e promotore di sé stesso e di

conseguenza della professione. Più avanti in questo elaborato torneremo sulla questione e avremo

modo di rispondere in maniera più approfondita alle domande legate a CHI, nello specifico, si

occupa della promozione della professione infermieristica e COME, cioè attraverso quali strumenti;

cercheremo invece in questo capitolo di analizzare il PERCHÉ promuoverla, ossia quali sono le

ragioni a fronte delle quali la promozione risulta necessaria quando non addirittura urgente.

La revisione della letteratura sul tema permette di ridurre sostanzialmente a due i motivi che stanno

alla base della questione:

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1- la carenza di personale infermieristico

2- l'immagine sociale della professione

I due punti sono tra loro collegati e si può anche facilmente capire come: l'immagine dell'infermiere

percepita nella società è determinata in senso negativo da stereotipi, falsi miti, idee confuse o

sbagliate che minano alla base le possibilità di aumentare considerevolmente il numero di nuove

reclute, causa prima della mancanza di infermieri a livello internazionale. In questo quadro, gli

infermieri sono spesso non solo i primi a denunciare ciò che non va, ma anche i primi dopo i

pazienti a subire le conseguenze del perpetuarsi di politiche sbagliate o dell'inerzia decisionale dei

governanti.

Iniziamo col considerare il perché fare promozione a fronte di un'immagine della professione non

sempre veritiera e scegliamo come punto di partenza uno studio del Censis risalente al 1996, nel

quale la professione veniva fotografata da un punto di vista privilegiato, cioè quello degli stessi

infermieri, in un periodo per loro di grandi cambiamenti: da pochi anni era entrata in vigore la legge

502/92 che trasformava gli ospedali in aziende con immediate ripercussioni sul personale

dipendente soprattutto in termini di nuove assunzioni (o, come accadde di frequente, di blocco delle

stesse) e gestione delle risorse umane3; con la medesima legge, d'altra parte, veniva pure sancito il

definitivo passaggio alla formazione universitaria, perfezionata dalla stipula di protocolli d'intesa tra

Regioni e Università negli anni successivi4; del 1994 è invece il Decreto Ministeriale che approva

l'introduzione del Profilo Professionale dell'infermiere (che verrà successivamente completato

dall'abrogazione del mansionario del 1999). L'indagine del Censis coglie alcuni aspetti

dell'evoluzione che ha interessato la professione e che per molti versi la sta ancora toccando, aspetti

particolarmente significativi proprio perché visti con gli occhi degli stessi infermieri, anche se

3 Nerina Dirindin, Paolo Vineis, Elementi di economia sanitaria, ed. Il Mulino, 20044 http://www.ipasvi.it/formazione/content.asp?ID=27

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sarebbe ancor più significativo poter comparare le rilevazioni del 1996 con dati più recenti proprio

per poter valutare l'entità dello sviluppo della professione. Nello specifico, gli infermieri oggetto

dell'inchiesta risposero a questionari circa il proprio ruolo in ambito lavorativo, la partecipazione ai

processi decisionali, la percezione della categoria d'appartenenza e l'immagine esterna della

professione; nell'introduzione vengono anticipati alcuni risultati del lavoro

Se il generico coinvolgimento nella gestione delle attività è comunque considerato scarso o appena

sufficiente, la totale insufficienza del coinvolgimento nelle scelte di politica sanitaria e in quelle di

gestione finanziaria (relativamente al proprio ambito di lavoro) dell'infermiere è emersa chiaramente

dalle indicazioni raccolte durante l'indagine.

Non deve dunque stupire il fatto che la stragrande maggioranza degli intervistati abbia espresso

valutazioni negative circa l'adeguatezza della valorizzazione dell'infermiere nell'ambito lavorativo, e

neppure che i soggetti intervistati siano convinti che l'immagine esterna dell'infermiere – quella che

della professione infermieristica ha la gente comune – non sia quella corrispondente a ciò che è la

realtà concreta del loro lavoro.

L'influenza del contesto lavorativo su tali opinioni è comunque forte ed evidente, e contribuisce ad

indebolire l'auto-percezione del ruolo e dell'identità degli infermieri:

– il numero di infermieri è considerato insufficiente da larga parte del campione intervistato, ed è

pertanto inadeguato per rispondere alle esigenze dei pazienti;

– l'organizzazione del lavoro non favorisce l'armonizzazione delle varie professionalità presenti nelle

strutture sanitarie;

– la stessa organizzazione risponde di più ai bisogni del personale medico e amministrativo che non a

quelli degli infermieri e dei pazienti;

– l'aspetto gestionale favorisce sprechi di risorse umane e materiali.

È chiaro allora come l'auto-percezione di ruolo e la stessa definizione dell'identità professionale si

leghino inscindibilmente ai vissuti quotidiani, i quali, ovviamente, producono livelli di soddisfazione

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contenuti (pochi sono gli infermieri che si sono dichiarati pienamente soddisfatti del proprio

ambiente di lavoro)5.

Date tali premesse, le conclusioni dello studio non potevano che essere in chiaroscuro, con gli

aspetti positivi che, pur non mancando, vengono tuttavia messi in secondo piano dal persistere di

problematiche che in molti casi non dipendono dalla volontà e dalle scelte degli infermieri.

Ci sono, dunque, le premesse “interne” per una crescita e una maturazione della categoria. Quello

che ancora manca è tutto un processo di valorizzazione della specificità e delle competenze della

professione infermieristica.

Tale processo, legato inevitabilmente ad aspetti “esterni” alla categoria, (aspetti che si esplicano

infatti sul livello politico, normativo ed amministrativo), risulta quindi tanto più necessario quanto

più si capisce che un corretto ed adeguato riconoscimento della professione porterebbe con sé

indubbi correlati positivi per tutto ciò che attiene all'efficacia e all'efficienza dei servizi sanitari, alla

qualità delle prestazioni erogate, ad una razionale utilizzazione delle risorse (umane, materiali e

finanziarie) e, in definitiva, ad una crescita della stima e del riconoscimento di una professione così

determinante nell'assetto dei servizi di offerta sanitaria6.

Analizzeremo in modo più approfondito l'immagine e la percezione della professione

infermieristica nella società più avanti nel corso del capitolo; basterebbero tuttavia le diverse

opinioni degli infermieri oggetto dello studio del CENSIS a motivare importanti provvedimenti in

tema di promozione della professione.

5 Una professione allo specchio. L'evoluzione della professione infermieristica nel sistema sanitario, CENSIS – Centro Studi Investimenti Sociali, edizioni Franco Angeli, 1996, pag. 9.

6 Vedi nota precedente, pag. 12.

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Perché promuovere la professione infermieristica:

1- la carenza mondiale di infermieri

Diversi ad oggi sono gli studi che documentano come la mancanza di personale infermieristico sia

direttamente correlata alla qualità dell'assistenza, ad un'aumentato rischio di complicanze per il

paziente e per gli infermieri stessi

La carenza di personale può portare ad un aumento degli errori e portare gli infermieri a non

rispettare alcune comuni norme o non aderire agli standard di comportamento. In un ambiente di

lavoro concitato sono più frequenti le incomprensioni, la mancanza di comunicazione, le

sostituzioni di personale con altro personale magari anche qualificato, ma senza esperienza di lavoro

in quel contesto, ed al quale vengono subito affidate responsabilità, senza un periodo sufficiente di

inserimento […] La mancanza di personale può essere facilmente associata a mancanza di rispetto

di regole e prassi assistenziali che ad errori legati alla mancanza di conoscenze7.

Più infermieri significa lavorare con meno pazienti, un rapporto numerico più vantaggioso,

migliorare la qualità dell'assistenza per ciascuno.

Stare con pochi pazienti, infatti, permette agli infermieri di conoscerli bene, di individuare

precocemente variazioni cliniche, di monitorarle, di ipotizzare problemi potenziali e di attivare

strategie efficaci. Un buon rapporto infermieri/pazienti dovrebbe aggirarsi su 1 a 5 o comunque

inferiore a 6, per ridurre il rischio di complicanze e di mortalità dei pazienti […] I rischi non

7 Gli effetti della carenza di infermieri, a cura della Redazione, in Assistenza infermieristica e ricerca, 2002, 21, 3, pag. 139-142.

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riguardano solo i pazienti: l'incremento del numero di pazienti per infermiere, infatti, aumenta il

rischio di burnout, di insoddisfazione lavorativa e di abbandono della professione8.

La stessa Presidente dell'Ipasvi Annalisa Silvestro si era espressa sul tema nel 2007, motivando le

sue posizioni con tutta una serie di dati che rendono le dimensioni del fenomeno.

Negli ospedali si registra un sovraccarico di lavoro per gli infermieri, mentre sul territorio non

possono essere sviluppati servizi essenziali quali l'assistenza domiciliare e le residenze sanitarie. È

stato dimostrato che la carenza di personale infermieristico determina l'allungamento cospicuo del

periodo di degenza e l'incremento di eventi avversi facilmente evitabili, con effetti sulla mortalità e

sulla morbilità dei pazienti. Un inadeguato rapporto pazienti/infermieri contribuisce al 24% di tutti

gli eventi sentinella che occorrono in un ospedale. Ogni paziente aggiunto per infermiere è

associato ad un incremento del 7% del tasso di mortalità a 30 giorni e ad un aumento del 7% della

probabilità di failure – to – rescue. Inoltre, un rapporto infermieri/pazienti insufficiente si riflette

negativamente sugli stessi infermieri, esposti a un rischio superiore di stress, insoddisfazione ed

esaurimento psicofisico. Fattori che a loro volta si riverberano sulla qualità dell'assistenza e sulla

salute dei pazienti.

Non tralasciando gli effetti negativi a lungo termine

Senza un adeguato numero di infermieri viene a mancare una delle basi della futura assistenza

sanitaria. [...] Di fronte a una popolazione che invecchia e che ha bisogno di cure continue e a lungo

termine, la carenza di infermieri mette a rischio la sostenibilità e l'efficienza dei servizi sanitari9.

8 Carenza di infermieri, standard assistenziali, sicurezza dei pazienti, di Alvisa Palese e Luisa Saiani, in Assistenza infermieristica e ricerca, 2006, 25, 4, pag. 202-205.

9 http://ilcorrieredelweb.blogspot.com/2007/04/ipasvi-piu-infermieripiu-salute.html

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Questo per quanto concerne gli effetti e le conseguenze della carenza di infermieri. Concentriamo

ora la nostra attenzione sull'entità del fenomeno e sulle sue dimensioni internazionali, cercando di

fornirne una seppur breve e limitata panoramica prendendo in considerazione la situazione

dapprima negli USA, quindi nei paesi poveri ed infine focalizzandoci sulle peculiarità della realtà

italiana.

La carenza di infermieri negli Usa

La mancanza di personale infermieristico negli Stati Uniti rappresenta un problema di primo piano

se lo stesso presidente Barack Obama, in una delle sue conferenze pubbliche tenuta su internet il 26

marzo 2009, ha dichiarato che “gli infermieri negli Usa sono troppo pochi, sono sottopagati e hanno

carichi di lavoro pesanti ed una cattiva qualità di vita”; ha inoltre espresso grandi apprezzamenti

verso gli infermieri, sostenendo che su di loro si dovrà puntare molto nel tentativo di rafforzare la

sanità pubblica americana. Implementare il numero degli infermieri non è tuttavia la sola priorità

del presidente:

“chi forma gli infermieri è persino peggio pagato degli infermieri stessi. Questo crea

un collo di bottiglia nel loro addestramento. Tutto ciò fa parte delle inefficienze del

nostro sistema sanitario che devono essere colmate. E più diamo importanza alla

prevenzione e alla tutela della salute, tutte cose che ci consentiranno risparmio di

denaro pubblico nel lungo periodo, più dobbiamo schierare gli infermieri in prima

linea”10.

10 Emma Martellotti, Gli infermieri sono il motore della riorganizzazione sanitaria, in L'infermiere 2/2009, pag. 26.

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Con le sue parole Obama ha toccato il nocciolo della questione: la carenza di personale coinvolge

inevitabilmente anche i docenti, con prospettive ancor più preoccupanti nel medio-lungo termine.

Uno studio italiano11 del 2006, pubblicato dalla rivista Assistenza infermieristica e ricerca, indaga la

tematica individuando quattro fattori correlati alla carenza di infermieri:

1. L'invecchiamento della popolazione infermieristica. Dagli anni '60 e '70, quando si è

registrata la maggior affluenza, il numero di infermieri è in continuo decremento: il 90% della forza

lavoro infermieristica negli Usa è costituito da donne, per le quali negli ultimi decenni le possibilità

di carriera in altri contesti lavorativi si sono moltiplicate. Di conseguenza, l'età media degli

infermieri sta aumentando, con ripercussioni anche sui docenti di infermieristica, che risulta sempre

più difficile reclutare (ed il fenomeno si registra pure in altri paesi). Allo stesso modo, cresce anche

l'età media degli studenti, che frequentano i corsi più tardi rispetto alle altre professioni o dopo aver

già conseguito un altro titolo.

2. La riduzione delle iscrizioni ai corsi di formazione. Dal 1995 al 2000 le iscrizioni ai corsi di

laurea sono diminuite del 21.1% e il numero degli infermieri laureati del 26%.

3. Il mutamento delle condizioni lavorative. Negli ultimi decenni la pratica infermieristica si

sta evolvendo in un quadro sempre più complesso verso una maggiore specializzazione che sta

comportando una diminuzione di infermieri generalisti. Questo fattore sembra giocare un ruolo

determinante nella percezione che hanno gli infermieri circa il proprio lavoro (il 50% afferma di

essere meno soddisfatto rispetto agli inizi) e la qualità dell'assistenza (il 75% dichiara che sta

diminuendo).

4. L'immagine scadente della professione infermieristica. Pur essendo negli Usa una tra le

professioni più richieste, quella dell'infermiere è spesso sottovalutata e molta incomprensione

permane su quali siano le reali attività che gli competono. A ciò contribuisce il fatto che negli Usa

11 Grazia Cengia, Beniamino Micheloni, Lorella Tessari, Oriano Tosi, La carenza di infermieri e le strategie per affrontarla, in Assistenza infermieristica e ricerca, 2006, 25, 1, pag. 14-20.

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vi sono tre diversi livelli di preparazione professionale (infermiere associato, diplomato e laureato)

e che, forse proprio per questo, gli insegnanti che si occupano di orientamento dei giovani sul futuro

lavorativo tendono a non considerare l'infermieristica come professione intellettuale.

Lo studio analizza anche alcune strategie che sono state individuate per affrontare la carenza di

personale infermieristico, tra cui:

– trattenere gli infermieri in attività (considerata tuttavia una misura efficace solo nel breve

termine);

– attuare politiche per l'inserimento di infermieri disoccupati o immigrati;

– attuare politiche di reclutamento (aprire maggiormente la professione ai maschi e agli

stranieri; attivare percorsi di studio flessibili, serali o durante i week-end; coinvolgere i giovani

delle zone meno raggiungibili; migliorare la promozione nelle scuole superiori; offrire concessioni

governative alle università per facilitare la formazione superiore o il baccalaureato in

infermieristica; sostenere economicamente gli studenti in infermieristica);

– attivare l'educazione continua, incoraggiando gli infermieri a proseguire nella formazione

con master o dottorati;

– migliorare l'immagine della professione, cui devono contribuire in primis gli infermieri

stessi, ma anche prevedendo salari differenziati;

– rendere evidente/esplicita la carenza infermieristica, documentandola e proponendo

soluzioni percorribili.

Sarà interessante valutare se la riforma sanitaria, vero e proprio cavallo di battaglia durante la

campagna elettorale del presidente Obama ed in via di approvazione nei primi mesi del 2010, sortirà

effetti sostanziali anche sul numero di infermieri negli USA; di certo, qualunque tentativo per

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garantire ed estendere l'assistenza sanitaria ad un maggior numero di cittadini americani dovrà

giocoforza prevedere un parallelo incremento del numero di infermieri in campo.

La situazione nei Paesi poveri: infermieri in fuga, sanità al collasso

Se la situazione appare problematica ed urgente per la prima potenza mondiale, la mancanza di

infermieri assume le dimensioni di un cataclisma se si prende in considerazione il quadro

dell'Africa (in special modo quella sub-sahariana) e di diversi stati di Asia, America Latina, Caraibi.

Da qui sono in molti a partire verso USA, Canada e UE, attratti da migliori condizioni di lavoro e di

vita in generale, e in questo facilitati da scelte politiche che agevolano l'inserimento di infermieri

stranieri per far fronte all'insufficiente offerta di forza lavoro infermieristica nelle realtà più ricche.

L'importazione di infermieri da altre nazioni è ormai un fenomeno conosciuto, tanto che ne

discutono anche prestigiose riviste mediche, per metterne in luce le numerose implicazioni, non

ultime quelle etiche dato che, importando infermieri (in altri contesti il fenomeno riguarda anche i

medici) da nazioni “povere”, si sottraggono risorse in quei paesi. Infatti l'emorragia di infermieri sia

dai paesi meno abbienti che da quelli in via di sviluppo, rischia di mettere in ginocchio il sistema

sanitario dei paesi “donatori” e le iniziative di salute pubblica attivate12.

Nei paesi più poveri, proprio dove sarebbe necessario concentrare maggiormente sforzi e risorse per

far fronte alle diverse emergenze di tipo sanitario, si registra invece il numero più basso di

infermieri e di personale medico e paramedico in generale in rapporto alla popolazione. Il Rapporto

sullo stato della popolazione nel mondo 2006 del Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione

(UNFPA) delinea i contorni di questo quadro per gli stati dell'Africa nera

12 Il reclutamento di infermieri dai paesi extracomunitari, a cura di Michele Piccoli, Alvisa Palese, Paola Di Giulio, in Assistenza infermieristica e ricerca, 2005, 24, 3, pag. 148-152.

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Benché oggi vacilli sotto un fardello di malattie infettive che è il più pesante del pianeta (25 per

cento), l’Africa Sub-Sahariana possiede soltanto l’1,3 per cento degli operatori sanitari del mondo.

In alcuni paesi, la disponibilità di personale infermieristico e medico è stata gravemente ridotta. Ne

sono parzialmente responsabili le aggressive politiche di reclutamento da parte dei paesi

industrializzati che cercano di risolvere così la scarsità di personale qualificato tra la propria forza

lavoro13.

Significativo è anche il dato che riguarda i Paesi maggiormente colpiti dall'HIV/AIDS, come lo

Zimbabwe e l'Uganda, dove rispettivamente il 68% ed il 26% degli operatori sanitari ha espresso il

desiderio di lasciare il proprio paese per andare a cercar lavoro all'estero. Ma anche altre ragioni

permangono alla base della decisione di partire per andare a vivere e cercarsi un lavoro altrove.

La principale spinta all’emigrazione viene tuttavia dalla mancanza di attrezzature: in molti paesi

poveri i sistemi sanitari sono al collasso, i finanziamenti su cui possono contare sono del tutto

insufficienti e sono costantemente alle prese con la mancanza di materiali e farmaci essenziali,

attrezzature e personale, il tutto esacerbato dalla fortissima pressione degli enormi bisogni sanitari

13 Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, Lo stato della popolazione del mondo 2006. In movimento verso il futuro. Donne e migrazione internazionale, pag. 7-8. Edizione italiana a cura di AIDOS – Associazione italiana donne per lo sviluppo.

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Il carico di malattia dell'Africa

75%

25%

La percentuale di professionisti sanitari mondiali presenti in Africa

98,7%

1,3%

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[…] Più ancora dei medici, sono le infermiere a costituire le “truppe di prima linea” nelle cure

sanitarie: quando levano le tende, spinte da bassi salari, cattive condizioni di lavoro e mancanza di

opportunità, sono i pazienti a soffrire e il sistema sanitario a sgretolarsi. Nel 2000, per esempio, le

infermiere che hanno lasciato il Ghana sono state il doppio dei laureati. Due anni dopo, il Ministero

della salute stimava la mancanza di personale paramedico al 57 per cento. Nel 2003, Giamaica e

Trinidad e Tobago denunciavano una mancanza di infermiere del 58 e del 53 per cento

rispettivamente. Sempre nel 2003, la percentuale di infermiere filippine occupate all’estero era

stimata intorno all’85 per cento14.

Un carico di lavoro eccessivo a fronte di una remunerazione insufficiente, le scarse opportunità di

promozione, la mancanza di supporto gestionale sono i principali fattori che spingono le infermiere

ad emigrare: il flusso migratorio del personale infermieristico è uno dei pochi che offre alle donne

opportunità di occupazione e stipendi dignitosi15. Il rovescio della medaglia, stando alle pagine del

Rapporto Unfpa, resta “una delle sfide più difficili poste oggi dalla migrazione internazionale”,

soprattutto se rapportata agli obiettivi di sviluppo delle Nazioni Unite per ridurre l'HIV, la mortalità

materna e quella infantile entro il 2015 nell'Africa sub-sahariana: per poter ottenere risultati concreti

mancano all'appello un milione di operatori sanitari, di cui 620mila infermieri.

Dati allarmanti in linea con quelli visti sopra vengono confermati, sempre per il 2006, dal rapporto

annuale sullo stato di salute del pianeta dell'Organizzazione Mondiale della Sanità: anche in questo

caso vengono presi in considerazione medici, infermieri e operatori sanitari in generale.

In tutta l'Africa sub sahariana, in India, Pakistan, Indonesia, Perù e regioni dell'istmo

centroamericano, la carenza di medici sta provocando enormi problemi. L'Oms fornisce statistiche

drammatiche: in Africa ci sono in media 2,3 operatori sanitari ogni mille abitanti, in Europa ce ne

sono quasi 19 e nelle Americhe quasi 25. Ma proprio le Americhe sopportano solo il 10 per cento del

14 Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione, Lo stato della popolazione del mondo 2006. In movimento verso il futuro. Donne e migrazione internazionale, Sintesi per la stampa, pag. 2. Edizione italiana a cura di AIDOS – Associazione italiana donne per lo sviluppo.

15 Ester Maragò, La “fuga” degli infermieri dai Paesi poveri, in L'infermiere 7/2006, pag. 7.

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carico di malattie del mondo, ma hanno il 37 per cento dei lavoratori sanitari e il 50 per cento delle

risorse finanziarie mondiali destinate alla salute. L'Africa, al contrario, sopporta il 24 per cento del

carico di malattie del mondo ma ha solo il 3 per cento dei lavoratori sanitari e meno dell'uno per

cento dei finanziamenti mondiali. Questa situazione, sostiene il rapporto, provoca un rallentamento

se non il fallimento delle grandi campagne di salute, da quelle contro le malattie infettive a quelle per

evitare i comportamenti a rischio. Proprio qualche giorno fa la stessa Organizzazione Mondiale della

Sanità spiegava che la campagna per diffondere le terapie antiretrovirali contro l'AIDS va bene

ovunque tranne che nei paesi dell'Africa sub-sahariana e dell'Asia sud orientale dove procede molto

lentamente. E così per le vaccinazioni e per altre campagne […] Questa carenza di personale

sanitario è in realtà frutto dei tagli che molti di questi paesi hanno fatto proprio negli investimenti

pubblici in istruzione e in sanità. Tagli dovuti ai deficit dei bilanci pubblici e alle indicazioni del

Fondo Monetario Internazionale. Questo ha comportato due cose. La prima, una carenza di giovani

con una laurea medica o una buona formazione da infermieri. La seconda, il mancato aggiornamento

del personale sanitario rispetto al cambiamento dei problemi sanitari. Perché spesso non solo

mancano gli operatori sanitari, ma quelli che esistono sono specializzati in malattie che sono

diventate meno importanti e non sono preparati per affrontare le nuove emergenze16.

Quello delineato dai rapporti di UNFPA e OMS è un quadro che impone decisioni immediate, scelte

ad ampio raggio d'azione, coinvolgimento di governi sia dei paesi poveri che di quelli

industrializzati; ma mentre gli organismi internazionali studiano un piano d'azione e riflettono sul

cosa fare e su come farlo, ci si accorge che gli obiettivi per la salute fissati solo una decina di anni

fa appaiono, man mano che la loro scadenza si avvicina, sempre più irraggiungibili e lontani nel

tempo. Forse la prima cosa buona da fare da parte dei rappresentanti di suddetti organismi sarebbe

semplicemente ammettere di aver elaborato previsioni troppo ottimistiche basandosi su dati che non

rispecchiavano la reale entità del problema.

16 portale.fnomceo.it/Jcmsfnomceo/cmsfile/attach_2465.pdf

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Più medici che infermieri: il paradosso della sanità italiana

Concentriamo ora la nostra attenzione sulla realtà italiana, dove la carenza di infermieri costituisce

un problema di lunga data, con le rappresentanze del Collegio Ipasvi in più occasioni impegnate a

sottolineare la necessità di concreti interventi su più livelli da parte degli organi istituzionali. In

primis la Presidente nazionale della Federazione Annalisa Silvestro, che puntualmente negli ultimi

anni è tornata a più riprese sul tema, avvertito evidentemente come prioritario da più parti: ecco

come delineava le dimensioni della questione in un'intervista apparsa sul Corriere del Web il 24

aprile 2007

In Italia oggi le persone che svolgono la professione di infermiere sono circa 340 mila: ciò equivale

a un rapporto di circa 5,4 infermieri per mille abitanti, contro i 9,8 della Germania, i 12,8

dell'Olanda o, addirittura, i 14,8 dell'Irlanda. Sulla base dei parametri dell'OCSE, per soddisfare le

esigenze dell'assistenza sanitaria italiana ne occorrono almeno altri 60mila. Un fabbisogno che non

si riesce a colmare né con l'ingresso nella professione dei giovani laureati, né con l'immissione di

infermieri provenienti da paesi extracomunitari. È un problema, non solo italiano, che deve essere

affrontato alla radice. Non ci può essere buona assistenza se non ci sono gli infermieri che la

garantiscono. O, per dirla con un nostro slogan, "più infermieri" significa "più salute"17.

Analizzando in seguito le cause del fenomeno ci si accorge tuttavia che sono diversi i fronti sui

quali occorre intervenire come diversi sono gli attori coinvolti

La ragione fondamentale sta nel ridotto numero di giovani che scelgono di fare questa professione e

che si traduce in una incompleta copertura dei posti disponibili per il corso di laurea. Cosa che

avviene soprattutto al Nord e al Centro. Va detto, però, che gli accessi ai corsi sarebbero

17 http://ilcorrieredelweb.blogspot.com/2007/04/ipasvi-piu-infermieripiu-salute.html

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insufficienti a garantire il fabbisogno anche qualora venissero coperti al 100 per cento. Ogni anno

sono previste circa 13 mila immatricolazioni, mentre secondo noi ce ne vorrebbero oltre 18 mila.

Abbiamo quindi due problemi: da un lato, incentivare i giovani a iscriversi al corso di laurea,

dall'altro aumentare il numero dei posti disponibili. Decisione, quest'ultima, che spetta al Ministero

dell'Università di concerto con le Regioni.

La questione non è di poco conto: difficile che i Governi Statale e Regionale intervengano

potenziando strutture e risorse in dotazione agli Atenei senza che si sia registrata per lo meno

un'inversione di tendenza, quindi un maggior numero di iscritti al test di ammissione rispetto ai

posti effettivamente disponibili nei Corsi di Laurea, cosa che metterebbe gli amministratori di fronte

ad un dato di fatto che renderebbe così il loro intervento improcrastinabile. Da questo punto di vista

però forse qualcosa sta cambiando, ma ritorneremo sull'argomento più avanti.

Che la questione stia a cuore all'Ipasvi quanto al suo Presidente lo si evince pure dai diversi

editoriali de L'infermiere, rivista ufficiale della Federazione, attraverso i quali la Silvestro è a più

riprese tornata sulla questione più scottante: Carenza di infermieri. Chiediamo risposte vere,

titolava l'articolo di apertura al numero 3 del 2007. L'occasione coincideva con l'arrivo dell'estate,

periodo di riposo e vacanze, che per alcuni infermieri vuol dire al contrario straordinari o doppi

turni: situazioni in cui, stando alle parole della Presidente Silvestro, la mancanza di infermieri, già

evidente agli occhi di tutti, si manifesta come concreta emergenza, per poi essere nuovamente

accantonata al rientrare dell'emergenza stessa senza che siano stati presi provvedimenti per il

medio/lungo termine18.

Poche pagine più avanti ecco un esempio calzante di quanto detto sopra: infermieri costretti a

straordinari e turni massacranti perché in numero insufficiente rispetto alle effettive esigenze dei

reparti in cui lavorano.

18 Annalisa Silvestro, Carenza di infermieri. Chiediamo risposte vere, in L'infermiere, 3/2007, pag. 3.

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Nelle 384 Unità di terapia intensiva cardiologica (Utic) degli ospedali italiani lavorano più di 7.000

infermieri. Ma ne servono almeno 1.000 in più. In quasi la metà delle Utic c’è carenza di organico e

solo 2 strutture su 10 hanno personale esclusivamente dedicato. Intanto, le Utic vanno avanti a

straordinari, grazie anche alla grande volontà e professionalità degli infermieri che attualmente vi

lavorano19.

Questi i risultati che emergono dal primo censimento nazionale delle Unità di terapia intensiva

cardiologica italiane, promosso dall'Associazione nazionale dei medici cardiologi ospedalieri

(Anmco) e presentati nel corso del Congresso nazionale svolto a Firenze dal 3 al 5 giugno 2007.

Tornando agli interventi della Presidente Silvestro, in un'editoriale successivo il tono cambia

leggermente e si fa più diplomatico: è l'autunno 2008, periodo di incontri tra i rappresentanti del

Governo e la Federazione Ipasvi. L'agenda è fitta di impegni sui diversi temi legati al mondo

sanitario e tra questi la carenza di infermieri a fronte di una sempre maggiore richiesta è ancora in

primo piano, assieme all'insufficiente offerta formativa delle diverse sedi universitarie, alla

valorizzazione del ruolo e delle funzioni infermieristiche, alla formazione continua e

all'innovazione dei modelli assistenziali territoriali e ospedalieri20. Che qualcosa stia cambiando lo

si può dedurre confrontando le righe di chiusura di questo editoriale con quello dell'estate 2007: se

prima si chiedevano “scelte rapide e fatti concreti” perché “sarebbe grave si si spostasse ancora

l'analisi risolutoria dei problemi, magari fino alla prossima inevitabile emergenza”, ora si pone

invece l'accento sulla centralità della rivista come “momento di informazione, riflessione e

aggiornamento e luogo di incontro e scambio di tutti gli infermieri italiani al di là delle loro

diversificazioni territoriali, formative e professionali”, concludendo infine con un cauto ottimismo

(la Presidente Silvestro prende commiato con le seguenti parole: “anche questo è un modo per

19 Infermieri del “cuore”: 7000 ma non bastano, in L'infermiere, 3/2007, pag. 16.20 Annalisa Silvestro, Un nuovo anno per promuovere l'Infermieristica, in L'infermiere, 5/2008, pag. 3.

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guardare avanti, comunque, con fiducia”) che non traspariva neppure lontanamente tra le righe del

precedente intervento.

Cosa sta cambiando? Perché di cambiamento, in corso, si tratta: pare che anche chi non è infermiere

si stia rendendo conto che se mancano i professionisti dell'assistenza la sanità rischia di non poter

più garantire gli attuali standard qualitativi. Il Ministro del Welfare Maurizio Sacconi, in

un'intervista apparsa nel 2008 sempre su L'infermiere dal titolo emblematico Il Governo si impegna

a valorizzare gli infermieri, descrive un quadro di ideale evoluzione della professione

nell'immediato futuro, partendo da un confronto con la situazione negli altri Paesi dell'UE

L’infermiere italiano non ha un ruolo di minor prestigio di quello dei suoi colleghi dell’UE, e

dell’importanza della sua funzione nell’ambito del sistema salute italiano è ben conscio il

legislatore. Basti pensare agli importanti interventi normativi che, nel corso degli anni, hanno

riguardato la professione, con l’obiettivo di migliorare gli standard formativi e di assegnare a questa

figura compiti operativi di responsabilità. Per quanto riguarda nello specifico le funzioni

dirigenziali, ritengo che l’Accordo Stato-Regioni del novembre 2007 sulla dirigenza delle

professioni sanitarie, reso esecutivo nel gennaio 2008, superi una fase transitoria durata troppo a

lungo, e sia un punto fermo di grandissima rilevanza proprio nell’ottica di consentire agli infermieri

l’accesso ad una dirigenza di ruolo e non più connotata dalla temporaneità dell’incarico.

Ovviamente si tratta di una tappa, un passaggio importante che va visto non già come un traguardo

bensì come uno strumento per la crescita professionale, e che comunque dimostra come l’intento sia

quello di assegnare all’infermiere un ruolo qualificato, che potrà esprimersi nelle nuove forme di

organizzazione dei servizi ospedalieri e territoriali. Penso, ad esempio, agli ospedali per intensità di

cura e alle proposte in campo per la riforma dell’assistenza primaria21.

In questo caso è quindi un rappresentante del Governo a promuovere una professione che nel nostro

Paese ha bisogno di crescere e per la quale prospetta un futuro con maggiori competenze e

21 Il Governo si impegna a valorizzare gli infermieri, in L'infermiere 6/2008, pag. 4-5.

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responsabilità. Tuttavia solo poche pagine oltre sempre nello stesso numero della rivista si parla

ancora di “emergenza infermieri”: in questo caso l'Ipasvi si spinge pure oltre, poiché essa stessa si

fa promotrice di uno studio osservazionale multicentrico “per definire il fabbisogno di infermieri e

di operatori socio sanitari basato sulla valutazione della complessità assistenziale del ricoverato”.

MAP, ossia Metodo Assistenziale Professionalizzante, è il nome dello studio che coinvolge 120

Aziende sanitarie e ospedaliere distribuite su tutto il territorio nazionale, messo a punto da tre

dottori magistrali in scienze infermieristiche, un metodologo, uno statistico e un informatico,

promosso anche dalle parole della Presidente Silvestro

La carenza di infermieri è una delle questioni aperte per il Servizio sanitario nazionale e potrebbe

anche essere collegato a modalità non omogenee e non razionali di definire il fabbisogno. Spesso si

rilevano un’assegnazione e una distribuzione inadeguata delle risorse e anche questo può

costringere gli infermieri a un surplus di lavoro, con il ricorso a straordinari e doppi turni e produrre

un abbassamento dei livelli di assistenza. Quello del fabbisogno di infermieri è un tema complesso,

che richiede criteri oggettivi di computo e metodi razionali per la distribuzione e redistribuzione

delle risorse professionali: con questo metodo proponiamo un approccio scientifico, basato sulla

centralità del paziente e sulle sue effettive esigenze.

Ma in pratica come funziona il MAP? Quali sono i parametri che prende in considerazione?

Per capire che tipo di impegno richiede un paziente non basta individuare le prestazioni da erogare,

ma è necessario anche incrociare una serie di elementi che tengano conto di altri fattori tra cui

l’autonomia del paziente, il suo grado di coscienza, la sua capacità di orientare le scelte del team

assistenziale e la sua cooperazione. In tutto sono oltre 60 le dimensioni della persona assistita

considerate nel metodo di calcolo Ipasvi. Immettendo, con un impegno temporale minimale, i dati

in un software, gli infermieri potranno definire quanto “pesa” in termini di complessità assistenziale

ogni singolo ricoverato e i loro dirigenti potranno evidenziare l’impegno richiesto – anche in

termini di tempo – e quindi computare oggettivamente quanti infermieri sono necessari in ogni

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struttura. Grazie al metodo MAP le strutture sanitarie potranno monitorare giorno per giorno, e

anche ora per ora, le effettive necessità assistenziali di ogni struttura. Questo permetterà di

assegnare più infermieri laddove c’è maggiore necessità; e, se adottato su larga scala, il metodo

potrà dare un’indicazione precisa, su base statistica, di quanti infermieri effettivamente occorrono al

Servizio sanitario nazionale22.

Dunque uno studio all'avanguardia per capire esattamente di quanti infermieri c'è bisogno, ma

anche uno strumento in grado di ottimizzare al meglio le risorse umane a disposizione. Restando in

tema di risorse umane, non serve invece uno studio per capire quella che costituisce una peculiarità

rilevante (per non dire una vera e propria anomalia) del nostro Paese: rispetto al resto del mondo

sviluppato l'Italia vanta una maggiore disponibilità di medici a fronte di un minor numero di

infermieri. Nel 2003 l'Italia aveva una media di 5,9 medici ogni 1000 abitanti, praticamente il

doppio della media dei 25 paesi OCSE (3 ogni 1000 abitanti) e seconda solo al Portogallo: un dato

che stride soprattutto se raffrontato con quelli relativi alla minore disponibilità di personale

infermieristico e paramedico in genere.

Nel corso degli anni, il sistema sanitario sembra aver assecondato le richieste del crescente numero

di laureati desiderosi di esercitare la professione medica; la forza politico-sindacale delle

associazioni professionali e l'ampia possibilità di nuovi interventi hanno favorito l'impiego di

medici in misura verosimilmente superiore a quanto sarebbe potuto accadere in un mercato

concorrenziale23.

Due anni più tardi l'Italia soffriva ancora di un eccesso di medici (4,1 per 1.000 abitanti, contro i 3,4

di Francia e Germania, i 3,2 della Spagna e i 2,2 del Regno Unito) e una carenza di infermieri (5,4

22 Emma Martellotti, MAP: l'indagine “made in Italy” per quantificare la carenza di infermieri, in L'infermiere, 6/2008, pag. 21.

23 Nerina Dirindin, Paolo Vineis, Elementi di economia sanitaria, ed. Il Mulino, 2004, pag. 158. Fonte: OECD, Health Data, 2003.

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per 1.000 abitanti, contro i 7,3 della Francia, i 7,5 della Spagna, i 9,1 della Germania e i 9,7 del

Regno Unito24.

Eppure, come già anticipato sopra, qualcosa negli ultimi anni sta cambiando: nel 2006 un articolo di

Emma Martellotti fa il punto della situazione circa le iscrizioni al test di ingresso ai Corsi di Laurea

in Infermieristica, prendendo anche in considerazione le cifre del rapporto OCSE relative al 2005.

Nell’A.A. 2006-2007 per la prima volta le domande per accedere al corso di laurea in

Infermieristica sono state il doppio rispetto ai posti disponibili: 26.373 domande su 13.423 posti. Si

sta così affermando un trend positivo, di cui alcuni segnali si erano già avvertiti negli anni

precedenti25.

L'articolo evidenzia come il nostro Paese sia ancora una volta spaccato in due: lo squilibrio nella

distribuzione territoriale dei posti assegnati agli atenei vede ancora una volta penalizzate le regioni

del Sud, dove è invece molto alto il numero delle domande rispetto all'offerta di posti (3,9 a 1). Ma

ci sono anche buone notizie.

La prima conseguenza determinata dall’incremento delle domande sta nella possibilità di operare

una fisiologica selezione dei candidati, piuttosto che accettarli indipendentemente dai risultati della

prova che dovrebbe valutarne capacità e attitudini. Indubbiamente si tratta di un passaggio

significativo per la crescita del livello qualitativo dei futuri professionisti e, quindi, per un migliore

funzionamento dell’intero sistema sanitario. E si tratta di un primo risultato da consolidare nel

tempo.

Un risultato da consolidare proprio perché le stime OCSE 2005 parlano chiaro: l'Italia è ancora

lontana dallo standard europeo auspicato di 6,9 infermieri per 1000 abitanti e nel Paese mancano

24 OCSE. Sanità italiana: buon rapporto qualità/prezzo, www.societasalutediritti.comwww.societasalutediritti.com/documenti/20070403OCSE.htm

25 Emma Martellotti, Sempre più giovani vogliono diventare infermieri, in L'infermiere, 7/2006, pag. 4-6.

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circa 68mila infermieri. I neolaureati non bastano neppure a ricoprire il turn over professionale,

stimato intorno alle 13-15mila unità.

Anno 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005N. laureati 2430 2590 3250 4700 5700 6250 6700 9839

Fonte: Ipasvi

Il problema, come già ribadito, è internazionale, anche se più evidente in Italia rispetto ad altri

Paesi: l'OMS invita i Governi a mettere in atto politiche tese a valorizzare il personale sanitario e, in

particolare, quello infermieristico, considerato “lo strumento principale per migliorare speranza e

qualità di vita delle popolazioni in tutto il mondo”; aggiunge inoltre un monito affinché non si

ricorra al reclutamento di infermieri dall'estero “poiché i flussi migratori di personale sanitario

qualificato continuano a impoverire di risorse proprio i Paesi che ne hanno bisogno in maniera

drammatica” (vedi sopra). Andrebbero quindi incoraggiati e sostenuti anche economicamente gli

Atenei che implementano il numero di posti destinati al Corso di Laurea in Infermieristica, ed in

questo senso c'è ancora molto da lavorare nonostante negli ultimi anni si registri anche qui un trend

positivo: nel 2008 i posti sono cresciuti del 3,1% rispetto all'anno precedente, ma per l'Ipasvi non

bastano. La Federazione ne chiede quasi 22mila e le Regioni oltre 18mila a fronte dei 14635

effettivi stabiliti dal decreto del MIUR (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca)26:

se si pensa che nel 2006 le differenza tra gli iscritti Ipasvi e lo standard OCSE atteso era di 12800

unità per la sola Lombardia si può non solo fare un'ulteriore stima del fenomeno e ravvisarne la

drammaticità qualora ce ne fosse ancora bisogno, ma anche comprendere perché l'Ipasvi, in linea

con l'OMS, chieda un significativo aumento dei posti disponibili per l'accesso ai corsi di laurea.

26 Pochi posti per diventare infermieri, in L'infermiere, 4/2008, pag. 7.

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Perché promuovere la professione infermieristica:

2- migliorare l'immagine dell'infermiere nella società

Abbiamo già visto come, stando allo studio del CENSIS del 1996, gli infermieri italiani siano

convinti che l'immagine esterna della loro professione non corrisponda alla realtà dei fatti, così

come negli USA, dove pure la professionalità degli infermieri è sancita ormai da decenni dalla

formazione universitaria, persistano confusione e incomprensione circa il loro ruolo e le loro

effettive competenze. Quali sono dunque i fattori che hanno contribuito e contribuiscono alla

diffusione di un'idea discrepante della professione nella società? Come si sono diffusi stereotipi e

falsi miti sugli infermieri? Quali mezzi contribuiscono maggiormente alla disinformazione in questo

campo e quali invece riescono a rendere loro giustizia?

Addentrarsi nel mondo dei media può rivelarsi un'impresa delicata quanto rischiosa, ma può anche

riservare sorprese inaspettate. Cercheremo nelle pagine seguenti di cogliere l'immagine

dell'infermiere così come viene diffusa attraverso internet, cinema e televisione, di capire come i

media influenzino la percezione sociale della professione e come gli infermieri affrontino la

questione prendendo delle contromisure.

La professione vista dalla rete

Sul numero 3 del 2008 della rivista Nursing Oggi è stato pubblicato un interessante articolo di

Giorgio Giuliano dal titolo La professione e i nuovi media: l'infermieristica sul web27. Lo studio si

propone di valutare la percezione sociale dell'infermiere attraverso i nuovi canali di comunicazione,

27 Giorgio Giuliano, La professione e i nuovi media: l'infermieristica sul web, in Nursing Oggi, 3, 2008, pag. 16-19.

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soffermandosi in particolare su YouTube, tra i più importanti e conosciuti servizi di condivisione di

file video del web: l'autore ha immesso le parole chiave infermiere, infermiera, infermieristica,

infermieristico nel motore di ricerca e analizzato i risultati, suddividendo i video collegati in

categorie a valore positivo e negativo. Dopo una scrematura iniziale dei video ritenuti non

pertinenti, dei 155 filmati presi in considerazione 47 (il 30%) propongono contenuti positivi sulla

percezione sociale della professione e ben 108 (il 70%) hanno invece un valore negativo. Questi

dati risultano ancor più significativi se si considera il totale delle visualizzazioni: una media di 59 a

settimana per i primi contro le 844 dei secondi, che significa una sola visualizzazione di filmati a

contenuto positivo ogni 14 di filmati a contenuto negativo. A fronte di questi risultati, Giuliano

giunge alla seguente conclusione.

I file caricati sul sito di condivisione Youtube possono influire sulla percezione sociale della

professione infermieristica, in relazione alla quantità e al numero di visualizzazioni di filmati a

contenuto negativo per i professionisti. Tali contenuti si trovano spesso nelle trasmissioni televisive e

vengono amplificati da questo nuovo mezzo di informazione e intrattenimento: non è dunque il

mezzo che di per se è sfavorevole per la percezione sociale della professione, bensì lo stereotipo

sociale – riduttivo, svalorizzante e maschilista – che continua ad essere attuale e quindi riproposto dai

media con vantaggi in termini di audience.

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Classificazione dei filmati per tipo di messaggio (valore positivo o negativo)

30%

70%

Positivo (47)Negativo (108)

Numero medio di visualizzazioni settimanali per video con valore positivo o negativo

positivo - 59 negativo - 844

0

100

200

300

400

500

600

700

800

900

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Tipo e numero di visualizzazioni dei filmati a valore positivo

Filmati a valore positivo Numero video Numero medio di visualizzazioni settimanali

Attività di volontariato, in associazioni umanitarie e non-profit

12 59

Discussione di Tesi di Laurea 12 50

Procedure infermieristiche 8 52

Clip registrati da trasmissioni televisive 6 27

Video di promozione dell'immagine dell'infermiere 4 21

Clip tratti da film 3 570

Clip con contenuti positivi vari 2 115

Totale 47 59

Tipo e numero di visualizzazioni dei filmati a valore negativo

Filmati a valore negativo Numero video Numero medio di visualizzazioni settimanali

Canzoni riproposte amatorialmente con tema offensivo per la professione

34 64

Clip registrati da trasmissioni televisive 15 2143

Video amatoriali, scenette comiche amatoriali o da teatro 15 168

Clip tratti da film 14 3516

Spot pubblicitario offensivo per la professione 9 54

Video amatoriali con infermieri in divisa 8 58

Video di studenti di infermieristica in atteggiamenti sconvenienti

8 58

Feste in costume o ragazze immagine in discoteca 5 23

Totale 108 844

Dopo aver letto l'articolo di cui sopra, ho voluto provare in prima persona un analogo esperimento,

inserendo nel motore di ricerca Google/Immagini la parola infermiera anche tradotta in inglese,

francese e spagnolo, limitandomi poi ad analizzare la sola prima pagina dei risultati28. Dati gli esiti

28 Simile fu l'esperimento provato alcuni anni or sono dall'antropologo Roberto Lionetti “Del resto, una rapida ricognizione su internet, utilizzando, come parole-chiave per la ricerca, infermiera e immagine, hanno fatto comparire sullo schermo del mio computer fotografie e fumetti raffiguranti giovani donne bianco(s)vestite (alcune di queste immagini sono utilizzate per pubblicizzare la vendita on line di tutto ciò che occorre per tattoo e piercing, e mi sono imbattuto in un sito specializzato in biancheria intima che offre addirittura, a 174.812 lire, il “costume sexy dell’infermiera”). E “Il Piccolo”, quotidiano di Trieste, dava anni fa (16 luglio 1987) una curiosa notizia: sotto il titolo In bikini o licenziata, il giornale riferiva di una giovane cameriera che all’alternativa datale dal proprietario di un sexy-bar di servire in bikini o essere licenziata, aveva fatto come controproposta quella di servire ai tavoli vestita, appunto, con la divisa infermieristica”. Roberto Lionetti, L'immagine dell'infermiere tra stereotipi e folklore. Miti e simboli di una professione moderna, in L'immagine sociale dell'infermiere, Atti del convegno, pag. 5.

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dello studio su youtube mi sarei aspettato di trovare numerose immagini di infermiere sexy e

provocanti, cosa che puntualmente si è verificata, anche se non nella maggioranza dei casi. Ciò che

però mi ha maggiormente stupito è il fatto che se per la ricerca in italiano le immagini di infermiere

in abiti succinti erano 3 su 21 (il 14%), il numero di esse aumentava digitando la parola chiave nelle

altre lingue: in inglese (nurse, 8 su 21, il 38%), in spagnolo (enfermera, 7 su 21, il 33%) e infine in

francese (infirmière 11 su 21, il 52%). Ciò a testimonianza che certi stereotipi non sono esclusivi

della società italiana, ma sono presenti anche oltre i confini nazionali, interessando pure quei paesi,

e mi riferisco in particolar modo alle aree di cultura anglo-sassone, dove la professione è già da

tempo riconosciuta come tale anche perché, ormai da decenni, associata ad una formazione di tipo

universitario.

Riconoscimento sociale e legislativo

Al tema della percezione del ruolo infermieristico il Collegio Ipasvi di Trieste dedicò nel 2002 un

convegno dal titolo L'immagine sociale dell'infermiere, con relazioni ed interventi non limitati ai

soli professionisti sanitari, ma aperti anche a discipline quali la sociologia, l'antropologia e la storia

del cinema. Punto di partenza è il riconoscimento sociale ancora parziale raggiunto dalla

professione, in quanto ancora collegata a stereotipi e luoghi comuni che piccolo e grande schermo

contribuiscono a diffondere anziché limitare; con una prima considerazione.

La professione, pur reclamizzata parecchio, non è attraente perché tuttora poco valorizzata nelle

strutture sanitarie in rapporto al notevole spessore di contenuti teorico-pratici acquisiti durante il

percorso formativo e che trovano scarsa rispondenza nell'organizzazione e nei livelli retributivi29.

29 Daniela Samassa e Lorella Bucci, Presentazione, in L'immagine sociale dell'infermiere, Atti del convegno, pag. 1.

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Le prime pagine dei risultati visualizzati col motore di ricerca Google-immagini alle parole chiave

infirmière (sopra) e enfermera (sotto).

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Se da un lato certi stereotipi legati agli infermieri (e soprattutto alle infermiere) sono duri a morire,

dall'altro si riconosce che tuttavia notevoli passi in avanti sono stati fatti negli ultimi anni dal punto

di vista del riconoscimento legislativo.

La Federazione dei Collegi Ipasvi, in questi anni, ha concentrato le proprie energie per incidere

sull'emanazione ed attuazione di norme di valorizzazione delle funzioni infermieristiche ai vari livelli

organizzativi e assistenziali del servizio sanitario nazionale. I risultati notevoli ottenuti in tal senso e

nell'arco di pochi anni non solo agiscono positivamente sull'immagine sociale dell'infermiere, ma

testimoniano il fatto che questa immagine è già migliorata poiché il legislatore traduce in norma le

istanze sociali emergenti […] Oggi il legislatore ci riconosce un'elevata professionalità e notevoli

responsabilità. L'infermiere si assume in prima persona la responsabilità degli atti e delle risposte ai

bisogni del cittadino, della qualità dell'assistenza erogata e dell'uso delle risorse. Per l'assistenza

infermieristica si apre a tutti gli effetti la stagione del pieno riconoscimento dei propri ambiti di

autonomia e responsabilità30.

Le tappe di questo riconoscimento normativo vengono individuate dapprima nel profilo

professionale del 1994, che “inizia a parlare di responsabilità ed avvia i primi veri cambiamenti

qualitativi che interessano la professione legittimando il processo di nursing”; poi nel codice

deontologico, che regola l'esercizio professionale guidando “nell'agire quotidiano e nei momenti in

cui la scelta di comportamento da adottare risulta complessa”; quindi nella legge n. 42 del 26

febbraio 1999 con la quale fu abrogato il mansionario, sostanziando definitivamente il passaggio dal

concetto di mansione a quello di responsabilità; infine con la legge 251 del 10 agosto 2000, che

“riconosce la possibilità di una progressione di carriera ed apre l'accesso ai più alti livelli di

istruzione, unitamente alla possibilità di organizzare e gestire autonomamente l'assistenza”.

30 Mario Schiavon, Il ruolo della Federazione Ipasvi, in L'immagine sociale dell'infermiere, Atti del convegno, pag. 2-4.

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Secondo Mario Schiavon, Presidente del Collegio Ipasvi di Gorizia e coordinatore dei Collegi

Ipasvi del Friuli Venezia Giulia, autore dell'intervento in questione,

sotto la spinta della Federazione dei Collegi Ipasvi, il Legislatore italiano ha dunque posto le

premesse affinché l'immagine sociale dell'infermiere possa rapidamente emanciparsi da vecchi

stereotipi; serve ora sostenere le norme esercitando un buon livello di responsabilità individuale e di

gruppo nelle nostre azioni quotidiane31.

Sei anni più tardi, alla luce dello studio di Giuliano circa la percezione dell'infermiere su Youtube,

le parole di Schiavon suonano un po' troppo ottimistiche nonostante i passi in avanti fatti dalla

professione.

Il punto della situazione sul tema venne fatto anche a margine del XIV Congresso Nazionale Ipasvi

del 2005 con un incontro dal titolo Percezione, immagine, aspettative sociali: l'infermiere nella

società contemporanea, alla presenza, tra gli altri, di Luciano Onder, vicedirettore del Tg2 e

moderatore della tavola rotonda; Sandro Spinsanti, bioetico e direttore dell’Istituto Giano di Roma;

Annalisa Silvestro e Gennaro Rocco, presidente e vicepresidente della Federazione dei Collegi

Ipasvi. Il cuore degli interventi è stato raccolto da Lucia Conti in un articolo pubblicato su

L'infermiere dal titolo emblematico Ma la gente comune sa davvero cos'è un infermiere? nel quale,

sebbene emergano da più parti apprezzamenti per gli sforzi fatti ed i risultati ottenuti, in molti

sembrano essere concordi sul fatto che occorre ancora lavorare parecchio per superare i vecchi

stereotipi e diffondere tra la gente una nuova immagine dell'infermiere in sintonia con la

professionalità e le responsabilità che al giorno d'oggi gli competono.

Onder ha sottolineato la necessità che gli infermieri stessi si facciano promotori di una nuova

immagine della loro professione nei confronti delle istituzioni e dell’opinione pubblica. “Avete

31 Vedi nota precedente.

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raggiunto negli ultimi anno grandi risultati – ha affermato il vicedirettore del Tg2 – e con la stessa

forza è il momento di chiedere più visibilità dei mass media per mostrare come si è evoluta la vostra

professione”. Per superare i pregiudizi, secondo Onder, è inoltre necessario che le istituzioni

mostrino una reale volontà di valorizzare le capacità degli infermieri32.

Che manchi consapevolezza (e non solo tra la gente comune, ma a quanto pare anche tra i lavoratori

in ambito sanitario) circa il ruolo effettivo degli infermieri viene confermato da un intervento

successivo.

Per Spinsanti c’è tra gli italiani una certa confusione tra “infermiere buono e buon infermiere.

L’immagine dell’infermiere buono, ancora predominante, è piena di tanta retorica sui buoni

sentimenti e sull’umanizzazione, ma resta un contenitore vuoto. Chi deve farsi curare non vuole un

professionista buono, ma un buon professionista, e questo vale anche per gli infermieri. E il buon

infermiere è un professionista che conosce la teoria e la pratica del nursing, che certamente

comprende anche la gestione degli ambiti emozionali, che è però ben diverso dalla compassione e il

buonismo. Ciò che deve essere insegnato agli infermieri è relazionarsi con le persone e con le

emozioni in maniera qualificata, per aiutare le persone a comprendere cosa accade al proprio corpo,

gestire la malattia e accettare anche i limiti della medicina”. Tuttavia Spinsanti ha voluto esporre

qualche perplessità e preoccupazione. “La formazione che ricevete adesso nelle università – ha

chiesto – è quella che farà di voi dei buoni infermieri? Io ho dei dubbi, a partire dal fatto che in

qualche università l’insegnamento del nursing è affidato ai medici. Le competenze sono diverse e

diversi devono essere gli insegnanti e gli insegnamenti”.

L'ultimo punto toccato da Spinsanti è particolarmente caro agli infermieri, che negli ultimi anni da

più parti sono tornati in diverse occasioni sulla questione dell'insegnamento per ribadire, così come

in ambito lavorativo, l'indipendenza della disciplina infermieristica dalla medicina. La chiusura

32 Lucia Conti, Ma la gente comune sa davvero cos'è un infermiere? in L'infermiere, 9, 2005, pag. 4.

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dell'incontro tocca ai rappresentanti degli infermieri con la presidente della Federazione Ipasvi

Silvestro

“Sappiamo di essere noi i primi comunicatori di quello che facciamo e di chi siamo 33, ma in Italia

l’opinione pubblica ha ancora una percezione inadeguata del ruolo e dell’attività degli infermieri, e

questi sono luoghi comuni difficili da scardinare”. Per questo Silvestro ha chiesto la collaborazione

dei mass media, affinché promuovano un’informazione veritiera sulla professione infermieristica.

A tal proposito, tornando al Convegno di Trieste del 2002, ci accorgiamo che la collaborazione dei

mass media, invocata in Italia, è invece una realtà oltreoceano, dove esistono organi preposti alla

sorveglianza e alla tutela dell'immagine della professione

Le associazioni professionali che raggruppano gli infermieri americani, confrontate con analoghi

problemi di immagine pubblica, hanno costituito in questi ultimi decenni gruppi di studio e

commissioni di vigilanza incaricate di monitorare l’immagine che della loro professione offrono i

diversi mezzi della comunicazione di massa. A queste commissioni è demandato spesso anche il

compito di intervenire presso i mass media, denunciando quelle rappresentazioni e quel modo di

fornire le notizie che possono ledere gravemente all’immagine pubblica dell’infermiere34.

33 Le parole della presidente Silvestro vengono confermate dal Codice Deontologico dell'Infermiere, approvato dal Consiglio nazionale della Federazione Nazionale Collegi IPASVI nella seduta del 17/01/2009, in particolare nell'articolo 47 “L'infermiere, ai diversi livelli di responsabilità, contribuisce ad orientare le politiche e lo sviluppo del sistema sanitario, al fine di garantire il rispetto degli assistiti, l'utilizzo equo ed appropriato delle risorse e la valorizzazione del ruolo professionale”.

34 Roberto Lionetti, L'immagine dell'infermiere tra stereotipi e folklore. Miti e simboli di una professione moderna , in L'immagine sociale dell'infermiere, Atti del convegno, pag. 5.

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L'immagine dell'infermiera al cinema e in tv

Il quadro della situazione italiana che invece emerge dall'analisi di Emma Martellotti, durante il suo

intervento al Congresso Nazionale del 2005, sembra essere ancora lontano dai provvedimenti a

tutela della professione che le associazioni infermieristiche hanno messo in atto negli Usa. La

responsabile dell'Ufficio stampa dell'Ipasvi punta il dito contro cinema e televisione, responsabili

della diffusione di un'immagine dell'infermiere approssimativa, lontana dalla realtà e poco

edificante

L’opinione pubblica italiana ha ancora una percezione inadeguata del ruolo e dell’attività degli

infermieri. Sulla professione pesa un fardello di stereotipi e di luoghi comuni che, nonostante la

costante crescita del gruppo professionale, si ripropone come un’eredità tanto anacronistica quanto

difficile da scardinare. Un certo tipo di produzione cinematografica e televisiva presenta la figura

dell’infermiere in modo addirittura offensivo, associandola all’erotismo e al sesso. Neppure la fiction

rende giustizia agli infermieri: i protagonisti del mondo sanitario continuano ad essere i medici, ai

quali vengono affidati sempre i ruoli di maggior spessore. Gli infermieri invece, nel migliore dei

casi, vengono rappresentati come persone dal grande cuore, ma mai come professionisti con

responsabilità e competenze.

Ma perché i media propongono al pubblico un’immagine così lontana dalla realtà? In termini di

audience è più facile assecondare quella che si ritiene l’opinione corrente. Ma riproporre stereotipi

negativi non fa che alimentare una percezione penalizzante per il mondo infermieristico. Non c’è da

meravigliarsi, quindi, se alcuni giovani sono poco propensi ad intraprendere questa scelta

professionale! Sui nostri schermi continuano ad apparire personaggi che interpretano infermieri

subordinati al medico, infermieri che per curare i pazienti usano tutto tranne che competenze e

conoscenze professionali, infermieri frustrati, infelici e che prendono con leggerezza la loro

professione.

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Un tema, quello dell'immagine dell'infermiere proposta dai mass media, che già era stato affrontato

anche dalla Presidente Silvestro nell'introduzione di Diventare infermieri. Una professione

emergente tra assistenza e management del 2002. Il testo si propone lo scopo di “fotografare” la

professione alla luce dei cambiamenti normativi degli anni '90, prendendo in considerazione

l'offerta formativa universitaria, i diversi sbocchi professionali che si prospettano ai neolaureati,

l'ambito legislativo che definisce il contesto operativo. Un'opera che non solo fa il punto della

situazione di una professione in rapida evoluzione, ma cerca essa stessa, a scanso di equivoci, di

promuovere un'immagine dell'infermiere nuova e più ricca di sfaccettature, in linea con l'aumentata

complessità dell'ambito sociale e lavorativo. Date queste premesse, non sorprende ritrovare tra gli

autori la stessa Emma Martellotti, a conferma del suo impegno su più fronti e in più momenti dello

scorso decennio per rendere e diffondere un'immagine professionale più equa e corrispondente

quanto più possibile alla realtà. Come già riscontrato per altri studi, anche in questo caso il punto di

partenza dell'introduzione della Silvestro è dato dalla carenza di personale infermieristico: siamo

ancora negli anni in cui le domande per iscriversi ai test di ammissione non superano i posti

effettivamente disponibili nei Corsi di Laurea e la Presidente dell'Ipasvi prova a formulare una sua

ipotesi a riguardo

Per quali motivi, allora, i giovani non sembrano attratti dalla professione infermieristica? Forse

perché non la conoscono bene o ne hanno un'idea approssimativa o distorta: “angeli” o “gendarmi”

della corsia, figure ausiliarie del medico, “tuttofare” del reparto ecc. Nell'immaginario comune non si

pensa mai agli infermieri come a professionisti a tutto tondo, con competenze complesse e

responsabilità importanti a livello clinico e organizzativo. Qualche fortunata trasmissione televisiva

ne restituisce oggi un'immagine più accattivante rispetto al passato, ma in genere si tratta di

produzioni americane. I telefilm “nostrani” continuano invece a propinarci personaggi anacronistici:

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infermieri un po' rozzi, nel migliore dei casi dal “cuore d'oro”, o belle ragazze impegnate più in affari

di cuore che di servizio35.

La Silvestro e la Martellotti sono dunque concordi nel ritenere che l'immagine professionale diffusa

dai mass media sia il più delle volte fuorviante e incida negativamente sulla percezione sociale della

stessa, in primis sui giovani che in questo modo vengono allontanati dalla professione anziché

esserne attratti. E di fronte allo strapotere comunicativo quanto spesso arbitrario dei media, in

mancanza di organismi di tutela del buon nome della professione come in America, agli infermieri

resta solo la nuda e “silenziosa” realtà dei fatti a render loro giustizia

Da noi molte persone riescono a capire ciò che gli infermieri sono, fanno e conoscono, solo nel

momento in cui li incontrano sul loro cammino. Si rendono allora conto che in una corsia d'ospedale

la qualità di vita del paziente dipende in larga misura da questi professionisti dell'assistenza,

scoprono l'importanza del ruolo dello “strumentista” di sala operatoria, apprezzano il sostegno di chi

li aiuta ad affrontare una gravidanza difficile e a prendersi cura di un bambino o di un anziano,

capiscono che in una situazione di emergenza la vita stessa di una persona è legata alle capacità di

chi presta il primo soccorso e che proprio quando la medicina è costretta ad arrendersi diventano

fondamentali l'assistenza, il controllo del dolore, il sostegno psicologico, elementi che costituiscono

nel loro insieme l'essenza dell'essere infermieri.

Ma di tutto ciò non vi è traccia sui giornali, sempre a caccia di “colpevoli” e di notizie sensazionali,

magari di “malasanità”. Quando questi casi si verificano vanno denunciati con forza, ma non

pensiamo che sia giusto fare generalizzazioni, anche perché l'Italia è tra i Paesi che registrano

un'incidenza molto bassa di errori nelle prestazioni sanitarie e un indice contenuto di comportamenti

scorretti nei confronti dei pazienti36.

35 Emma Martellotti, Danilo Massai, Loredana Sasso, Diventare infermieri. Una professione emergente tra assistenza e management, Carocci Faber 2002, pag. 10.

36 Vedi nota precedente, pag. 10-11.

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Sulla stessa lunghezza d'onda si pone il teorico e storico della comunicazione Salvatore Gelsi con il

suo studio dal titolo Lo schermo in camice bianco, presentato anch'esso al convegno di Trieste del

2002. Tentando di evidenziare il ruolo che il grande ed il piccolo schermo rivestono nella creazione

o nel rafforzamento dell'immaginario collettivo popolare, l'autore ha preso in considerazione un

secolo di storia del cinema e della televisione passando in rassegna tutte quelle pellicole e serie tv in

cui il personaggio dell'infermiera (più che dell'infermiere) riveste un ruolo di un certo rilievo ai fini

della narrazione filmica; quindi ha analizzato e suddiviso le diverse tipologie di figure

raggruppandole poi in quattro categorie.

1) Il primo modello di infermiera cinematografica ad essere indagata è quello denominato “angelo

bianco, eterno consolatore”:

Lo scenario è quello della guerra, il topos, la pausa-ferita che permette di ricostruire il dramma

esteriore, quello che si svolge in trincea o sulla prima linea del fronte, in quello interiore che si

stanzia nell'ospedale o nelle retrovie.

Se il cinema ebbe un ruolo decisivo nella guerra totale, cioè nel rendere la Grande guerra un evento

bellico combattuto nelle retrovie attraverso i cinegiornali e la propaganda, ecco che la donna del

soldato non poteva che essere l'infermiera37.

Tutta la storia del cinema hollywoodiano è percorsa da figure femminili che hanno nell'infermiera

inglese Catherine Barkley di Addio alle armi di Hemingway il loro capostipite letterario, ma che

simbolizzano al tempo stesso il nuovo ruolo della donna all'interno della società in cui la guerra

accelerò i processi di mutamento in atto.

37 Salvatore Gelsi, Lo schermo in camice bianco, in L'immagine sociale dell'infermiere, Atti del convegno, pag. 11.

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La mobilizzazione dell'intera società civile, sia come sostituzione (donne e bambine, contadine e

operaie al posto del loro mariti nei campi e nelle fabbriche) sia come assistenza, coniò la figura

dell'angelo consolatore. Già le giovani della media e grande borghesia avevano una loro funzione

sociale nelle attività socio-assistenziali, in quelle società di beneficenza che gli permettevano di

ottenere uno spazio e una visibilità-identità sessuale in un mondo professionale al maschile. Così la

pratica infermieristica e assistenziale ne fu l'immediata conseguenza a conflitto scoppiato. Dal punto

di vista dell'immagine avrebbe sostituito quella della ballerina o della femme fatale, non più

moralmente visibili in un simile contesto visto che la Belle Époque era definitivamente tramontata38.

I film dove è possibile trovare protagoniste femminili con simili caratteristiche attraversano tutta la

storia del cinema americano (soprattutto, ma non solo) a partire dalla fine degli anni '20, con un

picco nelle produzioni degli anni '40 e '50: L'angelo bianco (1936), Le bianche scogliere di Dover

(1944), Stringimi forte tra le tue braccia (1951), la stessa trasposizione su grande schermo di Addio

alle armi (nelle due versioni del 1932 e del 1951), Essi vivranno (1953), Da qui all'eternità (1953),

fino ai più recenti Tornando a casa (1978), Il paziente inglese (1996) e Pearl Harbor (2001) sono i

titoli più famosi di una serie di pellicole di guerra con inevitabili risvolti sentimental-amorosi tra il

soldato (spesso ufficiale e altrettanto spesso ferito) e la giovane amante infermiera.

Da sinistra: le locandine di Addio alle armi (1951) e Il paziente inglese (1997); Kate Beckinsale interpreta

l'infermiera Evelyn Johnson in Pearl Harbor (2001).

38 Vedi nota precedente, pag. 11.

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Eccole, sorridenti e disponibili, tra la sofferenza di quei soldati feriti o mutilati, lontane da mamme,

mogli, sorelle o fidanzate a patire il dolore. Ruoli sintetizzati dal camice bianco e

dall'accondiscendente premura. E che fa l'eroe, sospeso nel tempo, lontano dalla battaglia? Le ama,

le guarda sotto il camice, le spoglia per ritrovare in unico corpo l'intero universo femminile39.

2) Il secondo modello vede l'infermiera come un oggetto sessuale deviato:

Tema chiave della commedia all'italiana, del soft e del porno che da sempre hanno evocato la figura

della disinibita infermiera pronta a ogni cura-prestazione sessuale, in grado di far resuscitare l'inerzia

dell'indolenza maschile […] Non più sorella, madre, fidanzata o moglie, cioè la dimensione della

normalità relazionale, ma su di lei scattano fantasie morbose: sotto il camice spuntano giarrettiere e

calze bianche, indumenti intimi che oggettivizzano una dimensione puramente sessuale e per di più

sfrenata. Facile e ingorda la fantasia sessuale del paziente mostra tutta la sua impazienza. Ovvio, la

sublimazione è una perversione che rimuove e svela il pericolo della castrazione. Il ruolo e il

travestimento sembrano fare il resto40.

Trattasi dello stereotipo che più degli altri ha fatto breccia nell'immaginario collettivo (per lo meno

maschile) potendo contare di volta in volta sulle grazie dell'attrice di turno, facilitato pure da un

contesto narrativo che è ben lontano dal poter essere definito drammatico o serioso. In Italia l'età

d'oro della commedia sexy coincide con gli anni '70 e nel nostro caso non si limita a coinvolgere

loro malgrado le infermiere, ma investe anche la figura (cinematograficamente) affine della

dottoressa. Il fatto che spesso e volentieri il termine infermiera (o dottoressa) compaia nei titoli

delle pellicole in questione rafforza e rende ancor più indelebile un'immagine che le curve di Gloria

Guida, Nadia Cassini, Edwice Fenech (qualora ce ne fosse stato bisogno), ammiccando dalle

39 Vedi nota precedente, pag. 11.40 Vedi nota precedente, pag. 12.

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locandine, avevano già loro malgrado consegnata ai posteri. Ma chi pensa che si tratti di un

fenomeno esclusivamente italiano si sbaglia: prima delle “infermiere” nostrane sui grandi schermi

americani era apparsa “Bollore” (interpretata da Sally Kellermann), capo infermiera e attrazione

erotica niente meno che in MASH, cult movie di Robert Altman del 1970. Uno stereotipo il cui

successo ha superato i confini del genere, trovando terreno fertile sia nel porno41, sia nei fumetti

(soprattutto i Manga giapponesi42), sia su internet dove, come già dimostrato in precedenza,

imbattersi in immagini di infermiere sexy è altrettanto facile che reperire informazioni veritiere ed

attendibili circa la professione infermieristica.

Da sinistra: le locandine di L'infermiera nella corsia dei militari (1979) e L'infermiera di notte (1979); Sally

Kellermann interpreta Bollore (Hot lips nella versione originale) in MASH (1970).

3) La figura dell'angelo della morte, sadica e assassina, all'opposto rispetto all'angelo bianco, eterno

consolatore.

41 “Scivolando verso il porno, dall'ormai storico Gola profonda (1972) di G. Damiano che rappresentò l'uscita dalla clandestinità del genere, fin dai suoi primi passi ecco apparire in quel niente che c'è di narrazione o di contesto, cliniche del sesso con procaci, insaziabili, vogliose infermiere per una lunghissima filmografia.” Vedi nota precedente, pag. 13.

42 Gelsi fa riferimento soprattutto alla fortunata serie del dottor Sawaru Ogekuri ed alla figura della formosa infermiera Ruko Tatase.

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Sotto il camice immacolato si può nascondere o mascherare una spietata dark lady. Il possesso come

immagine del potere pare essere il suo obiettivo. Un potere rappresentato come un grande delirio di

onnipotenza che rivela frustrazione e rigidità, quando non uno sdoppiamento della personalità di

carattere psicotico43.

Sono sicuramente minori dal punto di vista quantitativo gli esempi cinematografici riconducibili a

questo stereotipo, ma alcune di queste figure sono entrate di diritto nella storia del cinema poiché

rivestono un ruolo di notevole impatto ed esercitano una forte presa sull'immaginario evocativo

dello spettatore: esempio cardine di infermiera sadica è il personaggio di Annie Wilkis

(magistralmente interpretato da Kathy Bates, che per questo ruolo vinse anche un Oscar) in Misery

non deve morire (1990), tratto dall'omonimo romanzo di Stephen King. E come non citare

l'indimenticabile Elle Driver (una formidabile Daryl Hannah) di Kill Bill, che fa la sua comparsa

nella saga tra le corsie di un ospedale, vestita da impeccabile infermiera con tanto di benda da

crocerossina sull'occhio mancante, fischiettando un celebre motivetto preludio ai suoi intenti

assassini? Gelsi non la nomina solo perché il suo saggio è di un anno precedente l'uscita del film (il

Vol. I, primo episodio della saga diretta da Quentin Tarantino, risale al 2003), ma se avesse potuto

l'avrebbe di sicuro annoverata tra gli esempi più significativi di questa categoria.

A sinistra: la locandina di Misery non deve morire (1991); a destra: Daryl Hannah, Elle Driver in Kill Bill, vol.I

(2003).

43 Salvatore Gelsi, Lo schermo... , pag. 14.

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4) La figura di mediatrice terrena, che si prende cura dei bisognosi

Ancora angelo, ma questa volta caduto in terra e abituato a lottare con il compito di vegliare (come il

custode alato) e prendersi cura di chi non lo può fare da solo: uomini, donne, bambini, anziani.

Ipotenusa di un triangolo, inscindibile storicamente nel delinearsi della sua stessa professionalità, che

ha come cateti l'ospedale e la figura del medico. Base, quindi, su cui ha poggiato l'esercizio della

salute nella pratica della cura dell'ultimo secolo e mezzo44.

Indubbiamente, tra tutte quelle presentate fin'ora è la categoria che meglio sembra rappresentare da

un punto di vista fedelmente realistico la professione sul grande schermo, ma forse (e proprio per

questo) di gran lunga anche quella meno presa in considerazione nelle varie pellicole.

Immagine che fatica ad essere polo d'attrazione dei media, perché lo stereotipo del messaggio

mediatico se può riconoscere con facilità questa incontrovertibile realtà, la ritiene scarsamente

interessante, poco rappresentabile dentro i confini del proprio mondo visivo e narrativo45.

Da sinistra: la locandina di Persona (1966) e quella di Betty love (2001).

44 Vedi nota precedente, pag. 14.45 Vedi nota precedente, pag. 15.

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Pochi sono dunque i film nei quali è possibile ritrovare personaggi di infermiere rappresentati con

tratti ben più vicini alla realtà delle cose di quanto non lo siano quelli appartenenti alle precedenti

categorie trattate: qualche pellicola hollywoodiana degli anni '40, Persona di Ingmar Bergman del

1966 (la giovane infermiera Alma che assiste un'attrice chiusasi in un improvviso silenzio è

interpretata da Bibi Andersson), e in tempi più recenti Betty Love del 2001 (titolo originale Nurse

Betty, solo per rimarcare come anche la traduzione possa a volte sfalsare la percezione stessa di una

pellicola46), con l'attrice Renée Zellwegger nel ruolo di Betty, cameriera in un fast food che coltiva

il sogno di diventare infermiera.

Con questa figura simpatica e sognatrice si chiude la panoramica di Gelsi intorno alle infermiere sul

grande schermo. Resta a mio avviso da aggiungere ancora qualche riga circa il saggio dello storico

del cinema: le figure prese in considerazione nello studio presentato al convegno di Trieste del 2002

sono esclusivamente femminili, a testimonianza del fatto che nel mondo del cinema (quasi come

nella realtà) i personaggi di infermiere rappresentanti del gentil sesso detengono un monopolio

pressoché totale del ruolo sullo schermo. Con qualche eccezione, che potremmo raggruppare in

un'ulteriore categoria, quella degli infermieri maldestri nel filone delle commedie demenziali. In Ti

presento i miei (2000) e nel seguito Mi presenti i tuoi? (2004) Ben Stiller interpreta l'infermiere

Greg Fotter che fa conoscenza dei genitori della fidanzata, tra cui Robert De Niro nei panni di Jack

Byrnes, convinto che il futuro genero lavori nella sanità solo per poter avere facilmente accesso a

sostanze psicotrope. In Italia troviamo Renato Pozzetto e Paolo Villaggio, due infermieri disastrosi

e arroganti in un episodio de Le comiche 2 (1991) alle prese con un soccorso in ambulanza tanto

complicato quanto improbabile.

46 A tal proposito mi pare pertinente ricordare come la fortunata serie televisiva americana E.R. (che sta per Emergency room) in Italia sia uscita corredata di un sottotitolo (Medici in prima linea) inesistente nella versione originale USA: l'argomento è stato oggetto di discussione informale con diversi infermieri, i quali lamentano come nessun film o serie tv annoverino tra le loro fila degli “infermieri in prima linea”, quasi a rimarcare che sullo schermo a loro toccano solo le retrovie, pur sapendo che nella realtà le cose vanno spesso diversamente.

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A sinistra: Robert De Niro e Ben Stiller in Ti presento i miei (2000); a destra: Paolo Villaggio e Renato Pozzetto in

Le comiche 2 (1991).

Passando al piccolo schermo, Gelsi sceglie di elencare velocemente le figure infermieristiche che si

sono succedute in telefilm, sit-com e sceneggiati senza addentrarsi in un'analisi dettagliata; optando

per le medesima scelta date la notevole mole di materiale che andrebbe visionato, posso affermare

di essere con lui concorde circa alcune sue considerazioni. Innanzitutto la constatazione di un dato

di fatto, ossia che dopo il genere poliziesco-investigativo la fiction che ricorre più frequentemente

in tv è quella d'ambito medico-ospedaliero. Detto questo, va tuttavia rimarcato come nelle suddette

trasmissioni la figura dell'infermiere sia praticamente sempre in secondo piano rispetto a quella del

medico di turno, che ne rimane il protagonista indiscusso: non mi pare dunque un'eresia affermare

che fino ad ora le produzioni televisive, e tra queste quelle italiane ancor più di quelle

d'oltreoceano, abbiano riservato ai personaggi infermieristici solo ruoli da comprimari, quando non

da mera comparsa. La chiave di lettura del fenomeno sta, secondo Gelsi, nella natura stessa della

fiction televisiva e nei meccanismi che le permettono di riscuotere successo e consenso.

Un telefilm per diventare serie, dopo le prime puntate pilota, deve ottenere immediatamente

consenso. Inevitabile, allora, che i telefilm agiscano per luoghi comuni, per situazioni accettate,

diffondendo modelli e comportamenti già diffusi, e che ci presentino aspetti della realtà di secondo

grado, proprio quella che può in particolare soddisfare in anticipo le attese dello spettatore47.

47 Salvatore Gelsi, Lo schermo... , pag. 16.

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Infine mi trovo d'accordo ancora una volta con Gelsi quando afferma che occorrerebbe una

riflessione più approfondita, anche perché, va aggiunto, dalla pubblicazione del suo studio nel 2002

ad oggi le fiction e serie tv ambientate negli ospedali di produzione italiana così come americana,

si sono ulteriormente moltiplicate, andando ad allungare una lista già di per sé alquanto folta.

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Capitolo 2: chi promuove la professione infermieristica?

All'inizio del precedente capitolo si è accennato al fatto che sono gli infermieri stessi i primi a

promuovere la loro professione nella società. Potremmo precisare questa affermazione specificando

che tale attività di promozione avviene secondo due modalità distinte:

1. implicitamente (e spesso inconsapevolmente), esercitando la professione nel rispetto delle

norme che ne regolano l'operato (di questo già si era trattato all'inizio del capitolo 1);

2. in modo esplicito, attraverso l'organismo di rappresentanza degli infermieri, la Federazione

nazionale dei Collegi IPASVI.

Appare evidente che, delle due modalità, solo la seconda può divenire oggetto di studio, attraverso:

a) una rassegna degli strumenti di cui si serve l'IPASVI per far conoscere la professione

e la figura dell'infermiere;

b) l'analisi delle precedenti campagne pubblicitarie della professione;

c) il punto di vista e le opinioni di chi, all'interno della Federazione, si occupa

specificamente dell'ambito promozionale e del settore comunicazione.

Nelle pagine seguenti cercheremo di approfondire questi aspetti soffermandoci dapprima su quelli

che nell'ultimo decennio hanno maggiormente contribuito allo sviluppo e alla crescita della

professione per poi considerare il quadro di una possibile evoluzione dell'attuale situazione e le

prospettive future nel medio e lungo termine.

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Procediamo con ordine: supponiamo di essere utenti di internet in cerca di informazioni e digitiamo

la parola infermiere nel nostro motore di ricerca. Il sito dell'IPASVI è, con la pagina di Wikipedia

contenente la voce dedicata, tra i primi ad apparire nell'elenco dei risultati.

La home page del sito dell'IPASVI http://www.ipasvi.it/

La pagina di apertura si propone con una veste grafica che ricorda un'agenda, la quale presenta a

sinistra differenti segnalibri colorati che fungono da link per le rispettive macrosezioni all'interno

del sito.

CHI SIAMO si spiega che la Federazione è l'organo di rappresentanza degli infermieri italiani e che

coordina i Collegi provinciali; vengono elencati i diversi organi che ne fanno parte e le funzioni di

ciascuno, a livello centrale e provinciale; si definiscono i meccanismi di iscrizione, cancellazione e

trasferimento; nella sezione dedicata agli iscritti è possibile risalire agli infermieri che ne hanno

fatto parte dal 1956 (due anni dopo la costituzione dei primi collegi) ad oggi; c'è poi un'archivio con

foto e immagini degli eventi più significativi per la storia degli infermieri italiani.

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ATTUALITÀ è il “segnalibro” riservato alle ultime notizie significative per la professione, che

spesso coincidono con provvedimenti normativi che la riguardano direttamente.

PROFESSIONE contiene i link per le versioni integrali del Codice Deontologico e del Patto

Infermiere-Cittadino, oltre a quelli per leggi che hanno avuto notevole importanza per la

professione, come il Dm 739/94 e il Dm 70/97 e altre disposizioni pertinenti. Vi sono inoltre parti

dedicate al sistema ECM, al tariffario professionale e all'assicurazione.

FORMAZIONE viene spiegato come sono articolati i corsi di laurea di base e specialistica, i master,

e quali sono i provvedimenti legislativi alla base dell'attuale organizzazione ad essi relativa.

Vengono inoltre elencate le diverse sedi universitarie per i corsi.

PUBBLICAZIONI è la sezione contenente la versione online della rivista dell'IPASVI,

L'infermiere48, oltre ad una serie di riflessioni confluite nei Quaderni, ad un elenco di link per

accedere ai siti più utili per fare ricerca (EBN, Medline e altri ancora) e visionare articoli di

interesse infermieristico ed alle norme editoriali per poter inviare articoli da pubblicare.

Qualsiasi finestra venga aperta, restano sempre sullo schermo i link per la home page, quelli per la

redazione, l'ufficio stampa e la mappa del sito, che è inoltre possibile visitare anche nella sua

versione in inglese. Possiamo affermare che la veste grafica semplice e intuitiva facilita la

navigazione al suo interno; sono state volutamente tralasciate immagini “accattivanti” (se si

eccettua quella grande con un'infermiera sorridente presente nella home page) per far posto a

contenuti che riguardano la professione a 360°, ed in effetti pare che nessun aspetto ad essa

collegato sia stato trascurato. Sempre dalla pagina principale si può accedere alla rassegna stampa

degli articoli di interesse infermieristico apparsi sui quotidiani, così come alla sezione dedicata alle

news relative ai Collegi provinciali. Dal link dello Spazio Giovani si può infine visionare un filmato

promozionale realizzato in occasione della campagna Infermiere protagonista nella vita vera del

48 Dal sito si può accedere ad un archivio online della rivista e scaricare gratuitamente articoli apparsi sui numeri a partire dal 2005.

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2007, della quale ci occuperemo in seguito. Il video, che è stato realizzato dall'Ipasvi con il

patrocinio del Ministero della Salute e del Ministero dell'Università e della Ricerca, propone

spezzoni di vita lavorativa di tre infermieri ed una tirocinante, i quali ribadiscono in più occasioni

quali siano le ragioni alla base della loro scelta: responsabilità, professionalità, autonomia sono le

parole che vengono messe maggiormente in risalto nel loro pur breve racconto. Il video infatti ha il

pregio di essere sintetico e durare solo pochi minuti: esso rappresenta di sicuro uno dei mezzi più

diretti per parlare ai giovani e cercare di avvicinarli alla professione (“scegli il corso di laurea in

infermieristica” è l'invito che appare in una delle schermate finali); personalmente, tuttavia, da

questo punto di vista cercherei di far leva pure su elementi che invece non vengono presi in

considerazione. Mi riferisco in particolare al rendere evidente la situazione attuale della professione

in Italia, condizionata dalla carenza di personale, ma anche con gli aspetti positivi connessi a ciò,

come quello di poter ottenere presto un impiego dopo la laurea rispetto ad altre professioni49,

nonché l'offerta assai diversificata di opportunità lavorative. Basterebbe a mio avviso dedicare

qualche riga introduttiva della questione all'interno dello Spazio Giovani (che risulta invece

limitato al solo link per visionare il video promozionale) per perfezionare un sito comunque già di

per sé abbastanza completo ed esauriente.

Le campagne nell'ultimo decennio

Negli ultimi anni gli sforzi compiuti dall'Ipasvi per sensibilizzare i giovani ed incoraggiarli ad

intraprendere la professione infermieristica si sono concretizzati principalmente in occasione della

già citata campagna nazionale di comunicazione Infermiere. Protagonista nella vita vera, promossa

49 “L'attesa di un giovane diplomato infermiere per ottenere una collocazione lavorativa soddisfacente attualmente non supera i sei mesi: un vero record per l'Italia, che registra per altre professioni tempi d'inserimento molto più lunghi. Un medico, per esempio, deve aspettare almeno 4 o 5 anni per riuscire ad avere un posto fisso.” A. Silvestro, in Diventare infermieri. Una professione emergente tra assistenza e management, di E. Martellotti, D. Massai, L. Sasso, ed. Carocci Faber, 2002, pag. 10.

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nella primavera del 2007 con il ministero della Salute e con la partnership del ministero

dell’Università e la collaborazione del ministero della Pubblica Istruzione. Così veniva presentata

su “L'infermiere”.

L’obiettivo dell’iniziativa è quello di incentivare i giovani a iscriversi al corso di Laurea in

Infermieristica sulla base di una informazione corretta sul ruolo attuale della professione

infermieristica, sui percorsi formativi, sugli sbocchi lavorativi e anche sulle nuove opportunità che

oggi offre in termini di carriera.

Il progetto, elaborato dall’Ipasvi e fortemente voluto dal ministro Turco, è nato dalla considerazione

che mentre l’opinione pubblica è ancora poco informata di quanto la professione infermieristica sia

cresciuta nell’ultimo decennio, i media continuano in più occasioni a riproporne un’immagine

riduttiva, ormai del tutto superata50.

La campagna ha toccato tutte le regioni italiane con oltre 250 incontri di sensibilizzazione e

orientamento, attraversando 42 città e coinvolgendo circa 18mila studenti delle scuole superiori; per

poter rispondere al meglio alle esigenze dell'iniziativa, i Collegi Ipasvi hanno predisposto la

formazione di una cinquantina di squadre (cui poi altre si sono aggiunte spontaneamente in un

secondo momento), ciascuna composta da un infermiere ed uno studente del Corso di Laurea in

Infermieristica, i quali hanno proiettato il video51 nelle scuole, commentandolo, fornendo

informazioni e rispondendo alle domande degli studenti.

Un ulteriore sostegno alla visibilità della campagna è stato offerto dalla pubblicità radiofonica: sui

network più ascoltati dai ragazzi (Radio Dee-Jay e Radio Dimensione Suono) sono stati trasmessi

oltre 300 spot ascoltati ogni giorno da oltre 4,5 milioni di persone e da circa un milione di giovani

della fascia di età 18-24 anni. La campagna ha avuto un’eco rilevante sulla stampa, in particolare

50 Emma Martellotti, A lezione di “vita vera”, in L'infermiere, 3/2007, pag. 4-6. 51 Il video è lo stesso che si può tutt'ora guardare accedendo allo Spazio Giovani all'interno del sito dell'Ipasvi.

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sulle testate locali, anche grazie all’organizzazione di 20 conferenze stampa regionali, in cui

rappresentanti dei Collegi Ipasvi, assessori alla Sanità ed esponenti del mondo universitario e

scolastico hanno avuto modo di confrontarsi con i giornalisti per promuovere attenzione e interesse

per la “questione infermieristica” e per focalizzare aspetti legati alle specificità territoriali52.

Altro punto forte della campagna è stata la creazione di un apposito sito internet

www.infermiereprotagonista.it, a mio avviso tanto semplice quanto efficace per poter meglio

rispondere alle domande dei giovani che intendono avvicinarsi alla professione. Dopo la schermata

introduttiva si accede alla home page dove, tra i volti dei 4 infermieri scelti come testimonial del

video promozionale della campagna, è possibile accedere ad 8 distinte sezioni:

– in basso scorrendo il mouse sulle scritte chi sono gli infermieri, 7 buone ragioni per

scegliere infermieristica e cosa fare per iscriversi si aprono automaticamente delle piccole

finestre di approfondimento;

– in alto

1) la tua futura professione: cerca di rispondere a quesiti di base a proposito di come

lavorano gli infermieri (nelle 4 diverse sezioni dedicate a assistenza, ricerca e qualità,

formazione e gestione), dove lavorano gli infermieri (ospedale, territorio, libera

professione, strutture non sanitarie, associazioni e missioni umanitarie), e percorsi di

carriera (esperto clinico, coordinatore, dirigente, ricercatore);

2) le sedi dei corsi di laurea fornisce una mappa, un elenco dei poli formativi e delle sedi

per ciascuno;

3) come si diventa infermieri, con la sezione dedicata al corso di laurea: al suo interno, dove

si fa riferimento alla selezione, si può provare un fac-simile del test di ammissione

verificandone i risultati; ulteriori link danno accesso alle pagine dedicate a ordinamento

52 Emma Martellotti, A lezione di “vita vera”, in L'infermiere, 3/2007, pag. 4-6.

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didattico, piano di studi, lezioni e frequenza, tirocinio e laboratori; un'altra pagina fornisce

invece informazioni circa la formazione post-laurea;

La home page del sito www.infermiereprotagonista.it

4) video, dove si può visionare in streaming il filmato già citato in più occasioni;

5) domande e risposte, un forum (ora chiuso) per rispondere a quesiti circa formazione e

professione, stimolando la discussione online tra gli utenti.

Sempre in altro troviamo i link ai siti dei tre principali attori coinvolti nella campagna

promozionale: l'Ipasvi, il Ministero della Salute ed il Ministero dell'Università e della Ricerca.

Non si tratta invece di una vera e propria campagna di reclutamento, quanto piuttosto di

un'iniziativa per celebrare il 50° anniversario dell'Ipasvi quella promossa dalla Federazione nel

2004: cinque manifesti per cinque temi diversi (assicurazione, assistenza territoriale, Ipasvi e

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giornata dell'infermiere, laurea in scienze infermieristiche e direzione infermieristica) che

rappresentano un'ulteriore occasione per avvicinare la professione ai cittadini. Anche se sono passati

alcuni anni, nella sezione del sito della Federazione ad essi dedicata permane la scritta Facciamoci

vedere! che invita ancora a diffondere il messaggio veicolato dai manifesti. Ritengo che siano

immagini che vale la pena mostrare poiché semplici e dirette, quindi colgo l'invito dell'Ipasvi

riproponendole tutte in successione nelle pagine seguenti.

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Il punto di vista dei Collegi provinciali

Ho provato a contattare le diverse sezioni provinciali dell'Ipasvi tramite l'indirizzo e-mail di

ciascuna presente nella pagina ad esse dedicata nel sito della Federazione, per conoscere il punto di

vista di chi lavora al suo interno e provare a farmi un'idea su quali siano i temi avvertiti come

priorità da chi, direttamente e più di altri colleghi, si occupa di promozione.

Così ho scritto una mail che ho inviata ad ognuno dei 101 collegi presenti nell'elenco: di questi, uno

ha un indirizzo non valido, irraggiungibile. I collegi effettivamente contattati, alcuni dopo

reindirizzo da caselle di posta dismesse, sono stati dunque 100. Nel testo, dopo aver spiegato in

breve in cosa consiste il mio studio, ho chiesto di rispondere ad alcune semplici domande con

multipla opzione di risposta rendendomi disponibile ad inviare copia dell'elaborato con i risultati a

chi ne fosse eventualmente interessato. Ho anche accennato al fatto che avrei preso in

considerazione tutte le critiche ed è quello che mi accingo a fare nelle prossime pagine. Prima

vorrei però soffermarmi su quello che forse appare come il dato più significativo del mio

“esperimento”: dei 100 collegi contattati, solo 38 mi hanno risposto nei termini previsti (10 giorni,

che ragionevolmente mi parevano più che sufficienti per risposte del tipo a crocette).

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Percentuali dei collegi che hanno/non hanno risposto alla mail.

Hanno risposto 38%

Non hanno risposto 62%

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Una domanda sorge allora immediata, non senza toni di critica: perché dal sito della Federazione si

può facilmente accedere ad indirizzi e-mail che se contattati non forniscono risposta? Sono forse

solo per esclusiva comunicazione interna? Uno studente che prova a saperne un po' di più per la sua

tesi meritava forse qualche risposta in più.

Altro dato interessante è notare quale ruolo occupino nel collegio le persone che di volta in volta mi

hanno risposto: su 38, più della metà (20) sono presidenti, 4 vicepresidenti, 4 segretari, 3 tesorieri, 7

consiglieri semplici.

Passando nello specifico delle domande inviate, alla prima, come giudica l’attività di promozione

della professione infermieristica svolta dall’Ipasvi negli ultimi anni? le risposte sono state, in

ordine di frequenza decrescente, buona (21 su 38), sufficiente (11), ottima (4), scarsa (2); nessuna

risposta per l'opzione decisamente insufficiente.

La seconda domanda si presenta in modo più articolato e in diversi hanno scelto più di un'opzione:

ad oggi, quale ritiene sia il mezzo di comunicazione più idoneo per promuovere la professione

infermieristica? Le risposte più frequenti sono state siti internet e incontri/dibattiti/seminari

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Ruolo occupato nel collegio da chi ha risposto al questionario

Presidenti 20 Vicepresidenti 4 Segretari 4 Tesorieri 3 Consiglieri semplici 7

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ciascuna col 28%, quindi video (19%)53, articoli/pubblicazioni su riviste specializzate (18%), altro

(7%).

53 In un caso è stato precisato che la risposta video era intesa come televisione: può essere annoverato tra i difetti del questionario il fatto che non sia stato specificato quale tipologia di video fosse contemplata nella risposta.

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Come giudica l’attività di promozione della professione infermieristica svolta dall’Ipasvi negli ultimi anni?

Ad oggi, quale ritiene sia il mezzo di comunicazione più idoneo per promuovere la professione infermieristica?

Siti internet 28% Incontri, dibattiti, se-minari 28%

Video 19%

Articoli/pubblicazioni su riviste specializzate 18%

Altro 7%

Buona 21 Suff. 11 Ottima 4 Scarsa 2

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Anche alla terza domanda quali ritiene siano i motivi per cui sia necessario fare promozione della

professione infermieristica?, alcuni, in mancanza di vincoli precisi da parte mia circa il numero di

scelte possibili, hanno fornito più risposte: quella che ricorre maggiormente è l’immagine della

professione è ancora influenzata da vecchi stereotipi (47%); decisamente minori sono le percentuali

per è una professione ancora poco conosciuta (9%), il numero di studenti che possono accedere ai

corsi universitari è troppo basso (7%), e mancano gli infermieri (2%). Un ulteriore 2% ha scelto la

risposta nessuna delle precedenti/altro, mentre il 33% si è espresso con l'opzione tutte le precedenti,

che risulta dunque la seconda scelta in assoluto.

La quarta domanda prevedeva solo due risposte: Per quanto concerne le scelte strategiche nella

promozione della professione, ritiene che rispetto alla Federazione nazionale i singoli Collegi

Ipasvi A) siano troppo vincolati alle decisioni della Federazione o B) siano sufficientemente

autonomi rispetto alle decisioni della Federazione. La risposta A è stata scelta nel 12% dei casi, la

B nel restante 88%.

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Quali ritiene siano i motivi per cui sia necessario fare promozione della professione infermieristica?

E una professione anco-ra poco conosciuta 9%

Mancano gli infermieri 2%

L’immagine della pro-fessione e ancora in-fluenzata da vecchi ste-reotipi 47%

Il numero di studenti che possono accedere ai corsi universitari e trop-po basso 7%

Tutte le precedenti 33% Nessuna delle pre-cedenti/altro 2%

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Più equilibrate tra loro si presentano nel complesso le risposte alla quinta e ultima domanda, ossia

Esiste nel vostro Collegio una figura che si occupa in modo specifico della comunicazione?, cui

hanno risposto sì nel 32,5% dei casi, no con la medesima percentuale e sì, più di una il 35%.

76

Per quanto concerne le scelte strategiche nella promozione della professione, ritiene che rispetto alla Federazione nazionale i

singoli Collegi Ipasvi..

Siano troppo vincolati alle decisioni della Federa-zione 12%

Siano sufficientemente au-tonomi rispetto alle deci-sioni della Federazione 88%

Esiste nel vostro Collegio una figura che si occupa in modo specifico della comunicazione?

sì 32,5% sì, più di una 35%

no 32,5%

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Non intendo addentrarmi in questa sede in analisi particolareggiate dei dati numerici o in commenti

circa le risposte pervenute: lascio ad altri stabilire se questo test abbia una valenza scientificamente

significativa oppure no. Tuttavia non ometterò di aggiungere qualche nota finale. Dei 38 collegi che

mi hanno risposto, 11 mi hanno poi chiesto una copia dell'elaborato finale ed alcuni di questi si sono

mostrati particolarmente interessati (mi auguro non sia solo una questione di circostanza) al

presente lavoro. Diversi hanno poi aggiunto precisazioni o critiche che riproporrò qui di seguito,

ovviamente in modo anonimo:

“Se posso permettermi ti sottolineo la scarsa validità ai fini analitici del tuo

questionario: le risposte sono poche e, in alcuni casi simili, una domanda è

ambivalente... non so quanto questo ti permetta di essere rigoroso e statisticamente

valido per la tua tesi.”

“Caro futuro collega, ho ricevuto la sua E mail ma, non essendomi chiari gli obiettivi

che persegue nel suo lavoro ne' il protocollo di ricerca che sta adottando, mi riservo di

risponderle.”

“Al secondo quesito ho indicato la lettera D (incontri, dibattiti, seminari) come migliore

soluzione solo perché, per esperienza diretta, i colleghi su tutto il territorio nazionale

sono fondamentalmente diffidenti nei confronti dei nuovi mezzi di comunicazione e

divulgazione che la tecnologia propone. Nel nostro Collegio Provinciale, ad esempio, è

bassissima la percentuale di utilizzo dei servizi online.”

“Non posso rispondere subito, prima Lei dovrà aiutarmi su un passaggio o due. Alla

domanda 1, ci riferiamo a quale IPASVI? Nazionale o provinciale? In sintesi,alla

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attività del collegio che risponde, o a quella federale (nazionale, cioè)? Alla 2: una

opzione comprendente TUTTE le precedenti (che è ciò che vorrei rispondere...poiché

non c'è, eventualmente risponderò 2-a/b/c/d/e (perché ho fatto anche ''altro'', tipo premi

e convenzioni, o manifestazioni nelle scuole e nelle strade).”

Più di ogni altra cosa, auspico che il questionario e questo elaborato in generale possano in qualche

modo stimolare una riflessione, una discussione all'interno della Federazione e dei singoli collegi

affinché si faccia il punto sulle scelte strategiche adottate fino ad ora in materia di promozione, per

capire quali strumenti risultino più adatti alle nuove sfide e se invece alcuni di questi si rivelino

ormai superati. In tal contesto di confronto sarebbe a mio avviso importante che il primo passo sia

fatto proprio dall'interno, ossia dalla Federazione o dai collegi provinciali singolarmente, proprio in

quanto promotori della professione in prima istanza e riferimento principale degli infermieri in

materia di organizzazione, pianificazione, programmazione.

In conclusione, dopo la panoramica sulle ragioni alla base della promozione e gli strumenti messi in

atto negli ultimi anni sotto l'impulso decisivo dell'Ipasvi, è possibile descrivere un quadro in

chiaroscuro della situazione in Italia. Dal punto di vista del reclutamento sono stati raggiunti

obiettivi importanti nell'arco di un decennio, con un numero di anno in anno crescente di iscritti al

test d'ingresso, premessa decisiva per ottenere (e questo è uno degli obiettivi primari dichiarati

dall'Ipasvi per i prossimi anni) un aumento dei posti effettivamente disponibili per il corso di laurea

in infermieristica.

C'è invece ancora molto da lavorare per migliorare l'immagine dell'infermiere nella società: occorre

a mio avviso anzitutto adoperarsi affinché tra la gente sia fatta chiarezza circa ruolo e competenze

degli infermieri, far sapere che si tratta di professionisti e che la loro qualifica è provata dal titolo di

dottore conseguito a termine di un percorso di studi universitario. Sono passati già diversi anni dai

cambiamenti che hanno interessato la professione sul finire dello scorso millennio, ma nella società

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pare che sugli infermieri permangano ambiguità, dubbi, mancanza di conoscenze; al contrario,

ancora molto diffusi e allo stato attuale delle cose difficili da sradicare sono tutta una serie di

pregiudizi, falsi miti, stereotipi che purtroppo influiscono (e, ahimè, parecchio) in negativo

sull'immagine professionale. Temo che dovranno passare diversi anni e che molte energie andranno

investite prima che gli infermieri ottengano a livello sociale quel riconoscimento che loro spetta,

nonostante i più volte citati progressi normativi degli anni passati; ci sarà però bisogno

dell'appoggio decisivo delle istituzioni fino ai gradi più alti affinché gli obiettivi possano essere

raggiunti e gli sforzi compiuti dagli infermieri e dai loro rappresentanti non vengano vanificati.

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Web-grafia

Link Data di download

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Newsletter n. 83, Collegio Ipasvi di La Spezia. 26/03/10

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portale.fnomceo.it/Jcmsfnomceo/cmsfile/attach_2465.pdf 18/01/10

www.societasalutediritti.comwww.societasalutediritti.com/documenti/

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www.infermiereprotagonista.it 01/03/10

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