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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SALUTE (DiSSaL) COORDINATORE Prof.ssa Loredana Sasso TITOLO TESI “IL RUOLO DELL’INFERMIERE NEL CHRONIC CARE MODEL: LA PROATTIVITÀ PER PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHERELATORE Dott.ssa Tiziana Leale STUDENTE Curcuruto Marialuisa Anno accademico 2014 2015

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA

SCUOLA DI SCIENZE MEDICHE E FARMACEUTICHE

CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA SALUTE (DiSSaL)

COORDINATORE

Prof.ssa Loredana Sasso

TITOLO TESI

“IL RUOLO DELL’INFERMIERE NEL CHRONIC CARE MODEL:

LA PROATTIVITÀ PER PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHE”

RELATORE

Dott.ssa Tiziana Leale

STUDENTE

Curcuruto Marialuisa

Anno accademico 2014 – 2015

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“In genere, i nove decimi della nostra felicità si

basano esclusivamente sulla salute. Con questa,

ogni cosa diventa fonte di godimento!”

Arthur Schopenhauer

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RINGRAZIAMENTI

Giunta alla fine di questo percorso di studi, sento il piacere di ringraziare tutti quelli che mi

sono stati vicino ed hanno creduto nelle mie potenzialità.

In primis, grazie alla Dottoressa Tiziana Leale, per la fiducia, il sostegno, i consigli ed il

supporto concessomi durante la stesura di questo mio lavoro, nonché la grande disponibilità

mostrata nei miei confronti. Ritengo preziosi i suoi innumerevoli insegnamenti e la sua

proverbiale professionalità.

Grazie alla mia famiglia, che sempre mi è stata accanto e non mi ha fatto mai mancare il suo

sostegno, permettendomi di realizzare parte dei mie molteplici sogni; senza di loro non sarei

mai diventata quella che sono. Un grazie speciale lo voglio fare a te mamma, per il tuo

esserci incondizionato, i tuoi consigli “zen” e il tuo sostegno, per aver gioito con me dei

miei successi e avermi sostenuta dopo le mie sconfitte da cui mi sono sempre rialzata più

forte di prima. Grazie a te papà, per gli insegnamenti che mi hai dato e per aver sempre

creduto nella tua piccola grande donna. Grazie a te, Antonio, uno dei regali più grandi che la

vita mi ha fatto: i tuoi occhi che parlano ai miei occhi, nel silenzio, mi hanno insegnato

tanto, perché i tuoi occhi gridano i pensieri dove le parole non riescono a trasmetterli; se

solo io riuscissi a comprenderli sempre, potresti insegnarmi cos’è veramente la vita e il suo

senso. Grazie ai miei cari nonni, Giacomo e Gina, persone semplici, umili e coraggiose, che

attraverso la loro storia e i loro principi mi hanno insegnato il valore della vita, del lavoro e

della costanza. Grazie a te mia cara Mariagrazia, per la tua costante presenza, punto di

riferimento indispensabile: mia grande maestra di vita e guida.

Grazie a te Gianni, per il tuo sostegno e aiuto attento e prezioso; sempre pronto a tendermi la

mano e sostenermi nei momenti di bisogno e ad incoraggiarmi credendo in me.

Grazie alle mie amiche di sempre: Chiara, Emanuela, Rita e Ilaria; ognuna ha preso la

propria strada, ma nonostante ciò la distanza non ci ha allontanate e so che potrò sempre

contare su di voi, come voi su di me.

Grazie alla mia grande Dottoressa Patrizia, per l’innata bontà d’animo; l’empatia è la tua più

grande dote. Grazie per la tua spalla e per il tuo affetto tra risate e lacrime.

Grazie alle mie colleghe: Nadia, Giada, Chiara, Brunilda, Nicoleta, Serena e Stefania, con le

quali ho condiviso gioie e dolori e che hanno reso indimenticabili alcuni dei momenti di

questo percorso insieme.

Un grazie speciale a te, Nadia, compagna inseparabile di questi tre anni: da quella prima

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fatidica lezione del primo anno non ci siamo più separate, unite da un grande affetto. Grazie

per tutti i momenti di vita condivisi insieme tra scoraggiamenti, sacrifici e soddisfazioni, ma

soprattutto grazie per il tuo esserci sempre.

Un grazie particolare all’insostituibile coordinatore del Polo Didattico ASL 3 Genovese, il

Dottor Fabio Bafico e alle Tutor: le Dott.sse Sonia Barbieri, Bruna Crepaldi, Manuela

Mignone e Maria Emma Musio. Grazie per avermi formato e fatto crescere sia

professionalmente sia umanamente come un vero professionista della salute e per tutti i

momenti di confronto che mi hanno arricchito umanamente.

Grazia alle due madrine del mio laborioso lavoro: a Ginevra per il suo prezioso aiuto e per il

suo raggiante sorriso ed ad Irene per il suo grande impegno e per la sua bontà d’animo.

Voglio ringraziare, inoltre, tutti gli infermieri che ho conosciuto e con cui ho lavorato

durante i miei tre anni di tirocinio clinico. Grazie sia a coloro che mi hanno insegnato cosa

vuol dire essere “Infermiere” e tutte le varie sfumature della nostra professione e sia a coloro

che non mi hanno insegnato alcunché, in quanto da loro ho imparato che tipo di infermiera

non vorrò mai essere!

Infine, voglio ringraziare tutte le persone che non ho nominato esplicitamente, ma che ho

incontrato nel mio percorso o che lo hanno attraversato; tutti sono impressi in maniera

indelebile nella mia mente ed hanno contribuito all’arricchimento della mia persona.

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INDICE

PREMESSA .......................................................................................................................... 2

INTRODUZIONE ................................................................................................................ 4

CAPITOLO I

UNA SANITÀ PER LA CRONICITÀ ................................................................................ 5

1.1. MALATTIE CRONICHE: LA NUOVA EPIDEMIA MONDIALE ............................... 5

1.2. CONTESTO EPIDEMIOLOGICO DELLE MALATTIE CRONICHE ....................... 10

1.3. LE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI MALATTIE CRONICHE ...................................... 13

1.3.1. LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI ............................................................ 14

1.3.2. LE MALATTIE RESPIRATORIE CRONICHE ................................................. 18

1.3.3. LE MALATTIE METABOLICHE ..................................................................... 21

1.3.4. I TUMORI ........................................................................................................... 26

CAPITOLO II

GLI STILI DI VITA ........................................................................................................... 30

2.1. DETERMINANTI DI SALUTE ................................................................................... 30

2.2. L' IMPORTANZA DEGLI STILI DI VITA .................................................................. 33

2.2.1. ALIMENTAZIONE ............................................................................................ 33

2.2.2. ATTIVITÀ FISICA ............................................................................................. 41

2.2.3. ALCOL................................................................................................................ 44

2.2.4. FUMO ................................................................................................................. 47

CAPITOLO III

IL RUOLO DELL'INFERMIERE NELL'AMBITO DEL CHRONIC CARE

MODEL ............................................................................................................................... 51

3.1. IL CAMBIAMENTO DI PARADIGMA: DALLA SANITÀ DI ATTESA ALLA

SANITÀ DI INIZIATIVA ............................................................................................. 51

3.2. IL CHRONIC CARE MODEL ..................................................................................... 54

3.3. LA STRATIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE PER LA

PERSONALIZZAZIONE DELLA CURA ................................................................... 57

3.4. UN APPROCCIO MULTIPROFESSIONALE PER COMBATTERE LA

CRONICITÀ ................................................................................................................. 59

3.5. L' INFERMIERE CARE MANAGER ......................................................................... 61

3.5.1. LA STRATEGIA DEL SELF-MANAGEMENT E DELL'EMPOWERMENT . 63

CAPITOLO IV

L'INDAGINE: LA COMUNITÀ CONOSCE E METTE IN PRATICA I CORRETTI

STILI DI VITA ATTI A PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHE? ....................... 67

4.1 OBIETTIVO .................................................................................................................. 67

4.2 METODOLOGIA .......................................................................................................... 67

4.2.1 IL QUESTIONARIO ........................................................................................... 68

4.3 DISCUSSIONE DEI DATI ............................................................................................ 70

4.4 SINTESI E COMMENTO DEI DATI ........................................................................... 97

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CONCLUSIONI .............................................................................................................. 100

BIBLIOGRAFIA .............................................................................................................. 102

SITOGRAFIA................................................................................................................... 109

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INDICE DELLE FIGURE

Figura 1- Principali cause di morti per gruppi di paese ........................................................ 6

Figura 2- Globalizzazione e malattie croniche ..................................................................... 7

Figura 3- Cause delle malattie croniche .............................................................................. 11

Figura 4- Cause principali di mortalità in Italia .................................................................. 13

Figura 5- Classificazione degli individui in base al BMI ................................................... 25

Figura 6- I Determinanti di Salute ...................................................................................... 31

Figura 7- La piramide alimentare giornaliera italiana ........................................................ 36

Figura 8- Chronic Care Model ............................................................................................ 56

Figura 9- Expanded Chronic Care Model ........................................................................... 57

Figura 10- Il triangolo di stratificazione del rischio ........................................................... 58

Figura 11- Sesso del campione ............................................................................................ 70

Figura 12- Fasce d'età e indice di massa corporea (BMI) ................................................... 71

Figura 13- Titolo di studio .................................................................................................. 72

Figura 14- Professione ........................................................................................................ 73

Figura 15- Per quanto tempo cammina al giorno? .............................................................. 74

Figura 16- Pratica attività fisica? ........................................................................................ 75

Figura 17- Che attività fisica svolge? ................................................................................. 76

Figura 18- Quanti giorni a settimana? ................................................................................. 77

Figura 19- Per quanto tempo? ............................................................................................. 77

Figura 20- L' importanza dell' attività fisica per la salute ................................................... 78

Figura 21- Numero di pasti al giorno .................................................................................. 79

Figura 22- Alimenti consumati durante la colazione .......................................................... 80

Figura 23- Il consumo dei diversi gruppi alimentari ........................................................... 82

Figura 24- Porzioni giornialiere .......................................................................................... 83

Figura 25- Presta attenzione al consumo di sale e di cibi salati? ........................................ 84

Figura 26- Quanti cucchiai di grassi usa per la cottura dei cibi? ........................................ 85

Figura 27- Quanti cucchiai di grassi usa per condire a crudi i cibi? ................................... 86

Figura 28- Consumo giornaliero di bevande non alcoliche ................................................ 87

Figura 29- Consumo di birra durante e fuori i pasti ............................................................ 88

Figura 30- Consumo di vino durante e fuori i pasti ............................................................ 89

Figura 31- Consumo di superalcolici .................................................................................. 89

Figura 32- Lei attualmente fuma? ....................................................................................... 90

Figura 33- Quante sigarette fuma al giorno? ...................................................................... 91

Figura 34- Ha mai cercato di smettere di fumare? .............................................................. 91

Figura 35- Se ha mai cercato di smettere di fumare, per quanto tempo? ............................ 92

Figura 36- Ha mai assunto psicofarmaci? ........................................................................... 93

Figura 37- Consumo di sostanze stupefacenti ..................................................................... 94

Figura 38- È affetto da malattie croniche/di lunga durata? ................................................. 95

Figura 39- Da quale malattia cronica è affetto/a? ............................................................... 95

Figura 40- Vorrebbe consigli da un esperto?....................................................................... 96

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INDICE DELLE TABELLE

Tabella 1- Carico globale di malattia (Daly) nel mondo ..................................................... 12

Tabella 2- Gruppi alimentari ed entità delle porzioni standard ........................................... 39

Tabella 3- Differenze sulla salute tra individui sedentari e fisicamente attivi..................... 42

Tabella 4- Quantità di alcol e apporto calorico di alcune bevande alcoliche ...................... 45

Tabella 5- Effetti benefici dell'astensione al fumo .............................................................. 50

Tabella 6- Cambiamento di paradigma ............................................................................... 51

INDICE DEGLI ALLEGATI

Allegato 1- Questionario .................................................................................................... 112

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PREMESSA

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 2014, le malattie non

trasmissibili (MNT), come cancro, diabete, malattie cardiocircolatorie o respiratorie, hanno

mietuto 38 milioni di vittime, il 68% di tutte le morti registrate nel mondo nello stesso anno.

Fra queste, 16 milioni le persone con meno di 70 anni e oltre 80%, nei paesi poveri1.

Come evidenziano i dati vi è un’importante distinzione preliminare: quella fra i numeri della

mortalità; che evidenziano che più un paese è povero, meno strumenti ha per far fronte anche

all’assistenza sanitaria più semplice; e i dati invece che rilevano i diversi stili di vita degli

abitanti del pianeta. Riguardo a questi ultimi, esistono prove scientifiche che stili di vita non

salutari, alimentazione non corretta, fumo, abuso di alcol, insufficiente attività fisica,

costituiscano fattori di rischio causali per numerose patologie croniche e spieghino quasi il 50%

delle malattie negli uomini e quasi il 25% nelle donne, nei paesi europei più sviluppati2.

Partendo da questi dati e in base alle ricerche e agli studi scientifici attuali, è importante

sottolineare che la promozione della salute e la prevenzione di numerose condizioni di

cronicità, disabilità e morte prematura, sono interconnesse alla scelta da parte della

popolazione di stili di vita sani.

In questi ultimi anni la società ha subito una serie di profonde modificazioni per quanto

riguarda la concezione e la gestione della salute. La Sanità sta apportando profondi

cambiamenti per quanto riguarda il proprio ruolo e funzione, orientandosi alla promozione,

alla protezione e al mantenimento della salute dell’individuo. La popolazione viene resa

parte attiva e integrante della Sanità, attraverso l’informazione e la comunicazione, in modo

da farla divenire sempre più consapevole della propria salute e delle condizioni che

potenzialmente la mettono a rischio.

Questi profondi cambiamenti cercano e vogliono migliorare la qualità di vita della

popolazione per evitare che si sviluppino condizioni croniche e disabilitanti o che

peggiorino le condizioni patologiche già in atto.

Si determina, quindi, un nuovo modello assistenziale per la presa in carico che consente,

attraverso un impegno professionale, individuale e di sistema, di ripensare l’accesso ai

servizi sanitari da parte dei cittadini in un’ottica di equità e di sviluppo della sanità di

1 WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global status report on noncommunicable diseases 2014” Geneva, 2015

2 WORLD HEALTH ORGANIZATION “The world health report 2002 - reducing risks, promoting healthy

life” Geneva, 2002

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iniziativa. Essa si basa su un nuovo approccio culturale orientato alla presa in carico

“proattiva” dei cittadini e su un nuovo approccio organizzativo che assume il bisogno di

salute prima dell’insorgere della malattia o prima che essa si manifesti o si aggravi e che

organizza in via preventiva risposte assistenziali adeguate; si rivolge in maniera integrata ai

percorsi ospedalieri ed a quelli di prima presa in carico del cittadino da parte del territorio;

comporta l’integrazione multidisciplinare dei professionisti del servizio socio-sanitario

regionale e la valutazione multidimensionale del bisogno3.

In questa ottica, assume una particolare valenza l’impegno del Sistema Sanitario Nazionale

(SSN) nel rafforzare e potenziare i programmi di promozione della salute in tutte le

politiche, a partire da quelle sanitarie, attraverso opportune iniziative di prevenzione

primaria fra cui, l’adozione di stili di vita salutari. Tali iniziative devono comunque essere

viste non solo come strumento di prevenzione, ma anche come indispensabile sussidio alle

terapie nella gestione della patologia cronica, nel caso di insorgenza della stessa4.

3 WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPA “Health 2020: a European policy framework supporting

action across government and society for health and well-being” WHO Regional Office for Europe,

Copenhagen, 2012 4 MINISTERO DELLA SALUTE “Piano Nazionale di Prevenzione 2014-2018” Dipartimento della Sanità

pubblica e dell’innovazione – Direzione generale Prevenzione, Roma, 2014

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INTRODUZIONE

In questa tesi si tratta uno dei principali argomenti in ambito sanitario dell’ultimo decennio: le

malattie croniche e la loro prevenzione e gestione. In questo ambito si vuole delineare il ruolo

dell’infermiere come care manager del processo educativo finalizzato ad aiutare la popolazione

a sviluppare le conoscenze, le capacità, le attitudini e il grado di consapevolezza necessari ad

assumere efficacemente le responsabilità delle decisioni attinenti la propria salute.

La tesi si articola in quattro capitoli:

1. Il primo capitolo tratta l’epidemiologia mondiale delle malattie croniche e fornisce una

panoramica sulle principali malattie non trasmissibili evitabili.

2. Il secondo capitolo illustra i determinanti di salute, delineando gli stili di vita corretti per

quanto riguarda l’alimentazione, l’attività fisica, il consumo di bevande alcoliche e del tabacco.

3. Il terzo capito esamina il passaggio da una sanità d’attesa a una sanità di iniziativa. Illustra il

Chronic Care Model e il ruolo dell’infermiere care manager come educatore alla salute

mettendo in evidenza le strategie del self- manager e dell’ empowerment.

4. Il quarto capitolo illustra l’indagine conoscitiva effettuata su una popolazione campione

relativamente agli stili di vita correlati alla prevenzione di patologie croniche.

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CAPITOLO I

UNA SANITÀ PER LA CRONICITÀ

Le malattie croniche (in particolare le malattie cardiovascolari, il diabete, il cancro e le malattie

respiratorie croniche ostruttive) sono globalmente trascurate, nonostante la crescente

consapevolezza dell’impatto sulla salute che esse provocano. Le politiche nazionali e globali

hanno fallito nel contrastarle ed in molti casi hanno contribuito a diffonderle. Esistono soluzioni

molto efficaci ed a basso costo per la prevenzione delle malattie croniche; l’incapacità di

adottarle è oggi un problema politico piuttosto che tecnico5.

1.1 MALATTIE CRONICHE: LA NUOVA EPIDEMIA MONDIALE

Nei paesi industrializzati la transizione epidemiologica è avvenuta con lenta progressione: le

malattie croniche sono cresciute mentre il peso delle malattie infettive si riduceva specularmente.

L’emergere delle patologie croniche, in particolare le malattie cardiovascolari, negli anni

Cinquanta - Sessanta fu il simbolo di un raggiunto benessere: ci si ammalava maggiormente

perché si viveva più a lungo e perché ci si iniziava ad aveva un tenore di vita più elevato6.

La storia della transizione epidemiologica nel resto del mondo, in particolare nei paesi a

medio e basso livello di reddito, è molto differente per almeno quattro ordini di motivi:

1. la crescita delle patologie croniche è avvenuta in presenza di un forte carico di malattie

infettive, cosicché molti paesi sono costretti a sopportare una doppia, contemporanea

epidemia. La Figura 1 mostra come ciò sia particolarmente evidente nei paesi più poveri

(low income countries: come gran parte dei paesi dell’Africa sub-sahariana), ma anche nei

paesi a medio-basso livello di ricchezza (lower-middle income countries: come India)7;

5 GENEAU R. et al. ”Raising the priority of preventing chronic diseases: a political process” Lancet 2010;

376: 1689–98 6 MACIOCCO G. “Lo tsunami delle malattie cardiovascolari” Dipartimento di Sanità pubblica, Università di

Firenze Redazione S.I. 2011 7 BEAGLEHOLE R et al. “Un High-Level Meeting on Non-Communicable Diseases: addressing four

questions” Lancet 2011; 378: 449–55

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Figura 1 Principali cause di morte per gruppi di paesi

Tratto da BEAGLEHOLE R et al. “Un High-Level Meeting on Non-Communicable Diseases: addressing four

questions” Lancet 2011; 378: 449–55

2. la crescita delle patologie croniche si è sviluppata con ritmi molto più rapidi ed elevati

rispetto a quanto avvenuto nei paesi dell’occidente industrializzato. In India, per esempio,

il diabete di tipo 2 ha registrato un incremento esplosivo: da una prevalenza del 2% degli

anni 70 a una del 12% agli inizi del 20008;

3. la mortalità per malattie non trasmissibili nei paesi a medio e basso livello di reddito

interessa gruppi di popolazione più giovani, infatti nei paesi più poveri la mortalità

prematura per malattie croniche è 3-4 volte superiore a quella dei paesi a più alto reddito9;

4. nei paesi a medio e basso livello di reddito, le reti di protezione sanitaria sono

generalmente molto deboli (come per la Cina) o quasi insistenti (esempio eclatante è

quello dell’ India) e vivere con una malattia cronica comporta quasi sempre il pagamento

delle prestazioni (visite, esami, farmaci, ricoveri, etc.) e di conseguenza o la rinuncia a

curarsi o l’impoverimento delle famiglie.

8 MOHAN V, PRADEEPA R. “Epidemiology of diabetes in different regions of india” Health Administrator

2009. Vol: XXII Number 1& 2 : 1- 18 9 WORLD HEALTH ORGANIZATION “Noncommunicable diseases country profiles 2011” Geneva, 2011

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La transizione epidemiologica nei paesi a medio e basso livello di reddito ha subito una forte

accelerazione a causa della globalizzazione e dell’urbanizzazione. L’irruzione del mercato del

cibo (come le catene commerciali del fast-food) e del tabacco, ha avuto l’effetto di far dilagare

stili di vita insani soprattutto tra i gruppi più poveri della popolazione, maggiore propensione

al consumo di cibi ad alto contenuto calorico – junk food – perché più economici.

Figura 2 Globalizzazione e malattie croniche

Tratto da WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global status report on noncommunicable diseases 2010”

Geneva, 2011

La Figura 2 schematizza molto efficacemente il circolo vizioso “povertà - malattie croniche -

povertà”. La povertà espone maggiormente le persone a comportamenti a rischio e alle malattie

e lo stesso fa anche l’eventuale trattamento delle malattie medesime. Un circolo vizioso che né

la sanità pubblica né tanto meno la politica sono stati finora in grado di disinnescare.

È interessante mettere in evidenza che, nella storia della lotta contro le patologie infettive, la

sanità pubblica ha potuto giovarsi di strumenti formidabili provenienti dalle scoperte scientifiche

e dall’azione delle pubbliche amministrazioni: la produzione dei vaccini, le misure di

potabilizzazione delle acque e di smaltimento dei rifiuti, il ruolo dell’istruzione, il miglioramento

delle condizioni generali di vita.

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Nella lotta contro le malattie croniche, invece, gli Stati sono spesso distanti, incapaci di

intervenire in un settore ormai dominato dal mercato dove esistono “soluzioni molto efficaci

e a basso costo”, ma si è incapaci di adottarle in modo proficuo3.

“Oggi – afferma Margaret Chan, Direttore Generale dell’OMS, durante un’iniziativa sulle

malattie croniche che si teneva a Mosca nell’aprile del 2011 – molte delle minacce che

contribuiscono alla diffusione delle malattie croniche provengono dalle compagnie

multinazionali che sono grandi, ricche e potenti, guidate da interessi commerciali e assai

poco interessate alla salute della popolazione10

”.

Su questo tema Margaret Chan è stata ancora più chiara ed esplicita nella relazione

introduttiva all’ottava Conferenza globale sulla promozione della salute tenutasi a Helsinki

nel giugno del 2013: “Le diseguaglianze nella salute, tra paesi e all’interno dei paesi, non

sono mai state così grandi nella storia recente. Noi viviamo in un mondo di paesi ricchi

pieni di gente povera e malata. La crescita delle malattie croniche minaccia di allargare

ancora di più questo gap. Gli sforzi per prevenire queste malattie vanno contro l’interesse

commerciale di operatori economici molto potenti, e questa è una delle sfide più grandi da

affrontare nella promozione della salute. […] Negli anni Ottanta, quando parlavamo di

collaborazione con il settore educativo e con quello che si occupava degli acquedotti e

fognature, i conflitti d’interesse erano una rarità. Oggi a convincere le persone a condurre

stili di vita sani e adottare comportamenti salubri ci si scontra con forze che non sono così

amiche. Anzi, non lo sono per niente. Gli sforzi per prevenire le malattie croniche vanno

contro gli interessi commerciali di potenti operatori economici, Secondo me, questa è la più

grande sfida che si trova di fronte la promozione della salute. E non si tratta solo

dell’industria del tabacco (Big Tabacco). La Sanità pubblica deve fare i conti con

l’industria del cibo (Big Food), delle bevande gassate (Big Soda) e alcoliche (Big Alcohol).

Tutte queste industrie hanno paure delle regole, e si proteggono usando le stesse, ben note,

tattiche. Queste includono gruppi di opinione, lobby, promesse di autoregolazione, cause

legali, ricerche finanziarie dall’industria che hanno lo scopo di confondere le prove e tenere

il pubblico nel dubbio. […] Usano argomenti che attribuiscono agli individui la

responsabilità per i danni alla salute e descrivono gli interventi dei governi come

un’interferenza nei confronti della libertà personale e della libera scelta. Questa è una

10

CHAN M. “The rise of chronic noncommunicable diseases: an impending disaster. Opening remarks at the

WHO Global Forum: Addressing the Challenge of Noncommunicable Diseases” Moscow, Russian

Federation, 2011.

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formidabile opposizione alla sanità pubblica. Il potere del mercato diventa poi potere

politico. Pochi governi danno priorità alla salute rispetto ai grandi affari. E come abbiamo

imparato dall’esperienza del tabacco, una compagnia potente può al pubblico proprio ogni

cosa. Lasciatemi ricordare una cosa. Non un solo paese è riuscito a invertire l’epidemia di

obesità in tutte le classi di età. Questo non è un fallimento della volontà individuale. E’ un

fallimento della volontà politica di prevalere sul grande business11

”.

Arrestare e invertire la pandemia dilagante delle malattie non trasmissibili è una sfida

cruciale e urgente per la sanità pubblica. Per fortuna esistono già strategie adeguate, fattibili

ed efficaci. L’obiettivo globale è di ridurre del 25% la mortalità prematura per malattie non

trasmissibili nel gruppo di età tra i 30 e i 70 anni entro il 2025 e questo può essere raggiunto

attraverso interventi tempestivi e coordinati. L’Organizzazione Mondiale della Sanità

(OMS) a tale scopo ha emanato il “Global action plan for the prevention and control of

noncommunicable diseases 2013-2020”, un quadro di monitoraggio, comprendente anche 25

indicatori e un set di 9 obiettivi generali – di carattere volontario e non vincolante - da

raggiungere entro il 2025. Il Piano d’Azione 2013-2020 ha come scopo generale quello di

diminuire il carico prevenibile ed evitabile di morbilità, mortalità e disabilità dovuto alle

MNT attraverso la collaborazione e la cooperazione multisettoriale a livello nazionale,

regionale e mondiale, affinché le popolazioni raggiungano i più elevati standard possibili in

termini di salute e produttività a ogni età e tali malattie non costituiscano più un ostacolo per

il benessere o lo sviluppo socioeconomico. La finalità ultima è il mantenimento dello stato

di salute dell’individuo e della popolazione o il suo miglioramento, attraverso lo sviluppo di

competenze e la scelta consapevole (empowerment) di stili di vita salutari.

Accettare la sfida relativa al controllo e alla prevenzione delle malattie croniche, specialmente

in un contesto di priorità concorrenti, richiede coraggio e ambizione. D’altra parte, i costi che

comporta l’inazione superano di gran lunga quelli legati all’attuazione degli interventi per le

malattie non trasmissibili raccomandati in questo piano d’azione; inoltre, sprecare le

conoscenze già disponibili, sarebbe sconsiderato e metterebbe in pericolo le generazioni

future. Le cose da fare sono tante e impegnative, ma la strada da percorrere è chiara12

.

11

CHAN M. “WHO Director-General Addresses Health Promotion Conference” Opening address at the 8th

Global Conference on Health Promotion ,Helsinki, 2013 12

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global action plan for the prevention and control of

noncommunicable diseases 2013-2020.” Geneva, 2013

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10

1.2 CONTESTO EPIDEMIOLOGICO DELLE MALATTIE CRONICHE

Malattie cardiovascolari, tumori, disturbi cronici polmonari e diabete sono le quattro

malattie croniche più diffuse nella Regione europea dell’OMS, responsabili della maggior

parte del carico delle malattie (77%) e delle morti premature (86%) registrate in questi anni.

I dati disponibili inoltre, indicano un influsso negativamente sullo sviluppo economico e sul

benessere di gran parte della popolazione, soprattutto quella over 5013

.

Le malattie croniche sono certamente responsabili di molte delle disuguaglianze sanitarie

presenti nella Regione, mostrando un forte gradiente socio-economico, marcate differenze di

genere e anche tra i differenti sistemi sanitari dei vari Paesi europei. Tuttavia gradiente

sociale e distribuzione del rischio sono da analizzare in relazione al Paese osservato ed ai

diversi fattori di rischio. Recentemente, l’attenzione dei ricercatori si è inoltre focalizzata

sull’esposizione della popolazione giovane ai fattori di rischio per le malattie croniche e le

conseguenze che possono manifestarsi nei prossimi anni.

I dati indicano chiaramente che, con l’avanzare dell’età le malattie croniche diventano la

principale causa di morbilità, disabilità e mortalità e che gran parte delle cure mediche e

costi per l’assistenza, si concentrano negli ultimi anni di vita delle persone. Mediamente, in

Europa, la vita delle donne è superiore a quella degli uomini di otto anni e gran parte di

questi vengono trascorsi in condizioni di salute precarie. Appare dunque chiaro che la

presenza di una popolazione anziana ed il rischio di carico delle malattie a cui è esposta

comportano notevoli costi sociali. Per questo motivo, intervenire sulle malattie croniche e i

loro fattori di rischio, significa agire anche sul prodotto interno lordo di un Paese10

.

Le cause delle malattie croniche si possono ricondurre ai classici stili di vita non corretti in

termini di salute quali, ad esempio, un’alimentazione non sana, insufficiente attività fisica; il

fumo di tabacco, l’eccessivo uso di alcol o la dipendenza da sostanze psicotrope. Queste

cause possono condurre, come si evince dalla Figura 3, ai cosiddetti fattori di rischio

intermedi quali, tra gli altri, l’ipertensione, la glicemia elevata, l’eccesso di colesterolo e

l’obesità. A fianco agli stili di vita non corretti e ai fattori di rischio intermedi, comunque

modificabili per mezzo di strategie di prevenzione di tipo primaria o secondaria, ci sono

anche fattori che sono immodificabili, come la predisposizione genetica o l’età14

.

13

WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE“ Action Plan for implementation of the European Strategy

for the Prevention and Control of Noncommunicable Diseases 2012−2016”, WHO Regional Office for

Europe, Copenhagen, 2011 14

WORLD HEALTH ORGANIZZATION, “Chronic diseases and their common risk factors” Geneva, 2005.

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11

Figura 3 Cause delle malattie croniche

tratto da WORLD HEALTH ORGANIZZATION, “Chronic diseases and their common risk factors”

Geneva, 2005.

La promozione di stili di vita sani sembra comunque la risorsa principale da utilizzare contro

l’ascesa delle malattie croniche nel contesto globale. In effetti, l’adozione di abitudini salutari

diminuisce in modo significativo e in ogni essere umano il rischio di sviluppare queste malattie.

Va rilevato, inoltre, come le malattie non trasmissibili, possano svilupparsi anche a partire da

fattori meno espliciti o diretti, ossia aspetti più generali o ambientali e situazionali, che si

riferiscono al contesto sociale, alla condizione economica ed alla dimensione culturale di

uno specifico ambiente di vita. Questi fattori sono considerati quali “cause delle cause” ed

offrono una buona base per interventi di prevenzione primaria centrati sulla collaborazione

del sistema sanitario con altri settori della vita politica ed economico-sociale del contesto di

appartenenza sia a livello locale sia a livello nazionale. La precedente figura 3, offre una

versione generale dei fattori dei quali stiamo trattando e li definisce, nel loro complesso

livello “macro”, in termini di globalizzazione, urbanizzazione, invecchiamento progressivo

della popolazione, politiche ambientali e povertà15

.

Oltre ad essere responsabili del più alto numero di morti a livello mondiale, le malattie

croniche si legano anche a condizioni disabilitanti o invalidanti. Per esprimere

quantitativamente l’impatto di una malattia sulla salute, si utilizza una particolare unità di

misura, c.d. Daly, Disability Adjusted Life Year ossia, gli anni di vita persi a causa della

disabilità. Daly è pari alla somma degli anni di vita persi a causa di una morte prematura e di

15

MACIOCCO G, SANTOMAURO F, “La salute globale – Determinanti sociali e disuguaglianze” Carocci

Editore, Roma, 2014

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12

quelli vissuti in malattia piuttosto che in salute.

Il calcolo quantitativo dell’impatto delle malattie sulla salute è proposto nella tabella 1 che

riporta le stime del peso delle malattie croniche nei due sessi, in diverse fasce di età. Il

numero di Daly causato dalle malattie croniche è più alto fra gli adulti dai 30 ai 59 anni e

cresce con l’età. Complessivamente, il carico di malattia è lo stesso nei due sessi. Circa

l’86% del carico delle malattie croniche riguarda persone al di sotto dei 70 anni11

.

Tabella 1 Carico globale di malattia (Daly) nel mondo

tratto da WORLD HEALTH ORGANIZZATION, “Chronic diseases and their common risk factors”

Geneva, 2005.

I dati del documento del OMS “Noncommunicable diseases country profiles 2014”, come si può

evincere dalla Figura 4, mostrano come le malattie non trasmissibili siano responsabili del 92%

delle morti totali in Italia, mentre le malattie trasmissibili, le malattie materno - infantili e le

carenze nutritive, incidano per il 4%, così come anche gli incidenti. Il documento sottolinea

l’impatto delle malattie cardiovascolari, responsabili del 37% delle morti totali, con la specifica

della patologia ischemica coronarica che, causando il 12% di mortalità, si identifica come la

principale patologia killer in Italia In questa statistica, inoltre, si rileva il peso specifico del cancro

che è causa del 29% delle morti totali. La mortalità dovuta al cancro ai polmoni è, in Italia, più alta

nella popolazione maschile rispetto a quella femminile, ma mentre nella popolazione maschile il

trend è in costante diminuzione, lo stesso non si può dire per l’universo femminile16

.

16

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Noncommunicable diseases country profiles 2014” Geneva, 2014

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13

Figura 4 Cause principali di mortalità in Italia

Tratto da WORLD HEALTH ORGANIZATION “Non communicable diseases country profiles 2014” Geneva,

2014.

1.3. LE PRINCIPALI TIPOLOGIE DI MALATTIE CRONICHE

Le malattie croniche o malattie dello stile di vita, sono associate al modo in cui vive una persona o

un gruppo di persone. Queste malattie, come già detto precedentemente, si possono potenzialmente

prevenire apportando opportuni cambiamenti nell’ambiente sociale e nello stile di vita.

Le quattro principali malattie croniche sono:

le malattie cardiovascolari (cardiopatia ischemica, scompenso cardiaco, ipertensione

arteriosa, arteriopatica obliterante cronica periferica);

le malattie polmonari croniche (broncopneumopatia cronica ostruttiva, insufficienza

respiratoria, enfisema);

le malattie endocrino - metaboliche (diabete mellito, obesità);

i tumori.

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14

Ovvero, tutte quelle malattie associate ad un’alimentazione scorretta, alla sedentarietà,

all’uso di tabacco ed all’abuso di sostanze alcoliche e psicotrope.

1.3.1 LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI

Le malattie cardiovascolari sono ancora oggi tra le principali cause di morbosità, invalidità e

mortalità nel nostro paese; sono responsabili del 44% di tutti i decessi. In particolare la cardiopatia

ischemica è la prima causa di morte in Italia, rendendo conto del 28% di tutte le morti17

.

Rientrano in questo gruppo di malattie le più frequenti patologie di origine arteriosclerotica,

in particolare le cardiopatie ischemiche e le arteriopatie periferiche, oltre lo scompenso

cardiaco e l’ipertensione arteriosa. Sono di origine multifattoriale e prevenibili, poiché

dovute alla combinazione di più fattori di rischio modificabili (pressione arteriosa,

colesterolemia totale e HDL - High Density Lipoprotein, glicemia, abitudine al fumo, obesità

e diabete); chi sopravvive ad un evento acuto diventa un malato cronico con notevoli

ripercussioni sulla qualità della vita e sui costi economici e sociali; inoltre, le malattie

cardiovascolari sono fra i determinanti delle malattie legate all’invecchiamento, producendo

disabilità fisica e disturbi della capacità cognitiva18

.

Il “Global action plan for the prevention and control of noncommunicable diseases 2013-

2020” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) inserisce le malattie

cardiovascolari fra quelle da sorvegliare e da includere nelle azioni di prevenzione, in

quanto ampiamente prevenibili attraverso l’adozione di stili di vita corretti (sana

alimentazione, attività fisica regolare e abolizione del fumo di sigaretta)11

.

Già nel 2005, il Piano Nazionale della Prevenzione (PNP), fra le aree prioritarie di

intervento, ha incluso le malattie cardiovascolari, inserendo fra le azioni di prevenzione la

valutazione del rischio cardiovascolare nella popolazione generale adulta, attraverso

l’applicazione della carta del rischio dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e costituendo

l’Osservatorio del Rischio Cardiovascolare. Anche il PNP 2010-2012, prorogato al 31

dicembre 2013 e il nuovo PNP 2014-2018, confermano tra le linee di intervento la

prevenzione delle malattie cardiovascolari.

La strategia complessiva di prevenzione comprende la promozione della salute e dei corretti

17

ISTAT - ISTITUTO NAZIONALE DI STATISTICA “Principali cause di morte in Italia - Anno 2012”

Servizio Sanità, salute ed assistenza, 2014 18

MINISTERO DELLA SALUTE “Relazione sullo stato sanitario del Paese 2012-2013” Direzione generale

del sistema informativo e statistico sanitario, 2014

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15

stili di vita della popolazione e l’identificazione precoce dei soggetti in condizione di rischio19

.

La vastità e complessità delle patologie cardiovascolari, impone necessariamente una

cernita ed un estremo sunto nelle loro descrizioni. Di seguito sono indicate solo alcune

patologie che hanno un diretto interesse verso stili di vita errati.

La cardiopatia ischemica è caratterizzata dallo squilibrio tra richiesta metabolica e

apporto miocardico di ossigeno che il cuore riceve, più comunemente secondario a

ostruzione coronarica su base aterosclerotica. Tale squilibrio porta ad alterazioni nella

attività elettrica e nella capacità contrattile della zona interessata.

La cardiopatia ischemica è causata soprattutto dall’aterosclerosi, ovvero il restringimento

delle arterie che irrorano il miocardio (coronarie) dovuto alla presenza di ateromi.

L’ateroma o placca ateromatosa è una deposizione fibroadiposa che si localizza nella

parete interna delle arterie di medio e grande calibro. L’aterosclerosi è considerata una

malattia fibrotico-infiammatoria in quanto la formazione dell’ateroma è la conseguenza

di un processo patologico in cui il sistema immunitario si attiva per far fronte ad un

iniziale danno all’endotelio. L’accumulo di lipidi, detriti cellulari e materiale fibroso

(l’ateroma) determina un restringimento e un irrigidimento della parete arteriosa che col

passare del tempo causa ostruzione, di grado variabile, del flusso sanguigno (stenosi). La

placca aterosclerotica, inoltre, rappresenta un rischio per la formazione di trombi. Se

ulcerata infatti può liberare parte del materiale fibrotico da cui è formata, come collagene

e trombina, dando così origine a processi trombotici20

.

Le condizioni che predispongono allo sviluppo dell’aterosclerosi (in generale e a livello

coronarico in particolare), favoriscono lo stress ossidativo che è alla base della lesione a

carico dell’endotelio dei vasi sanguigni. I fattori di rischio modificabili, che possono

essere corretti cambiando stile di vita o mediante l’assunzione di farmaci, sono:

dislipidemia, iperglicemia, diabete (il trattamento dei fattori di rischio associati, come le

dislipidemie e l’attento controllo della glicemia, riducono le complicanze sia micro- che

macro-vascolari), fumo, ipertensione arteriosa, eccesso ponderale, sedentarietà e ridotto

consumo di vegetali e frutta. I fattori di rischio non modificabili, invece, sono: la

familiarità per malattie cardiovascolari aterosclerotiche, sesso maschile (che ha una

maggiore incidenza di cardiopatia ischemica) ed età (che rappresenta il principale fattore

19

MINISTERO DELLA SALUTE “Piano Nazionale di Prevenzione 2010-2012” Dipartimento della Sanità

pubblica e dell’innovazione – Direzione generale Prevenzione, 2010 20

HARRISON ET AL. “Principi di medicina interna” Casa Editrice Ambrosiana, Edizione: XVIII, 2012

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16

di rischio dell’aterosclerosi).

La prevenzione della cardiopatia ischemica consiste nel controllo costante dei fattori di rischio

modificabili e quindi mantenere uno stile di vita sano: avere una sana alimentazione

consumando almeno 5 porzioni di frutta e verdura, diminuire l’apporto di sale, ridurre il

consumo di alcolici, effettuare un’adeguata attività fisica in modo regolare, eliminare

l’abitudine al fumo, controllare il peso corporeo e la pressione arteriosa ed evitare lo stress21

.

Lo scompenso cardiaco è una sindrome complessa che rappresenta il punto evolutivo

finale, comune di una serie di patologie cardiache inizialmente anche molto differenti tra

loro. Si manifesta come un’alterazione della struttura e della funzione cardiaca che inficia la

corretta funzionalità di pompa (scompenso sistolico) o di riempimento (scompenso

diastolico) del cuore: gli organi e i tessuti ricevono quantità insufficienti di ossigeno per le

loro esigenze metaboliche e si genera un accumulo di liquidi (edema) a livello degli arti

inferiori, dei polmoni e in altri tessuti. Le cause più comuni sono la cardiopatia ischemica,

l’ipertensione arteriosa, le valvulopatie, le aritmie, le cardiopatie congenite e le miocarditi.

Lo scompenso cardiaco può avere un’insorgenza caratterizzata da un episodio acuto come

l’infarto miocardico, ma è di fatto una malattia cronica. Pertanto, è di fondamentale

importanza riconoscere una disfunzione del ventricolo sinistro anche quando ancora in fase

asintomatica, al fine di stabilire la corretta strategia di gestione del paziente e garantirne il

mantenimento di una buona qualità della vita migliorando la prognosi della malattia4.

E’ impossibile prevedere con certezza lo sviluppo dello scompenso cardiaco, ma la

corretta consapevolezza dei fattori di rischio ad esso associati consente di impostare una

buona strategia di prevenzione. Dal momento che lo scompenso cardiaco è strettamente

associato alla malattia coronarica, i principali fattori di rischio dell’insufficienza cardiaca

sono iperlipidemia, ipertensione, diabete, fumo, consumo eccessivo di alcol, obesità,

anomalie delle valvole cardiache e familiarità per cardiopatie.

Il controllo dei fattori di rischio è la migliore forma di prevenzione dello scompenso

cardiaco. Uno stile di vita sano aiuta ad evitare l’insorgenza di ipertensione, diabete,

obesità ed alti livelli di colesterolo. I comportamenti che sarebbe bene seguire sono:

evitare il fumo, adottare un’alimentazione equilibrata e varia, ricca di fibre, frutta e

verdura, limitare l’assunzione di caffeina, fare attività fisica regolarmente, monitorare la

pressione arteriosa (registrando le misurazioni su un diario), controllare il peso (è bene

21

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Prevention of cardiovascular disease : guidelines for assessment

and management of total cardiovascular risk” Geneva, 2007

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17

pesarsi tutte le mattine e registrare il peso su un diario, avvertendo subito il medico in

caso di improvviso aumento di peso, ad esempio 2 Kg in 2-3 giorni) e ridurlo se si è in

sovrappeso o obesi, evitare vita stressante e stress termici20

.

L’ipertensione arteriosa è un innalzamento stabile dei valori di pressione sistolica o

diastolica (>140/90 mm Hg), causato da un aumento della gittata cardiaca o da un

aumento delle resistenze periferiche.

L’ipertensione può essere primitiva (idiopatica o essenziale) o secondaria a eziologia

nota. L’ipertensione essenziale riguarda il 90-95% dei pazienti, ha un’eziologia

sconosciuta, ed è probabilmente causata dall’interazione di condizionamenti ambientali

(stress, livello di sedentarietà, obesità e componenti della dieta) e di influenze genetiche.

Questi fattori sono importanti anche nel determinarne decorso e prognosi. L’ipertensione

secondaria comprende il 5-10% dei casi, soprattutto pazienti giovani ed ha origine da una

patologia sottostante che può essere a livello renale (stenosi dell’arteria renale, malattia

parenchimale renale) oppure dalla coartazione aortica e dalle malattie endocrine.

L’ipertensione sistolica isolata (sistolica > 140 mmHg e diastolica < 90 mmHg) è comune

negli anziani ed è dovuta a una ridotta compliance vascolare22

.

Ci sono fattori di rischio genetici e comportamentali che possono portare allo sviluppo

dell’ipertensione, quali: il consumo di cibi troppo salati, l’ inadeguato consumo di frutta e

verdura, l’abuso di alcol, l’inattività fisica e vita sedentaria e la scarsa gestione dello

stress. I fattori genetici e metabolici sono importanti perché di solito sono correlati ad un

aumento di rischio di patologie cardiovascolari come l’ictus, di insufficienza renale o

altre complicanze dell’ipertensione.

Quando l’ipertensione insorge in persone con età inferiore ai 40 anni, è importante

escludere cause secondarie come malattie renali, malattie endocrine e malformazioni a

carico dei vasi sanguigni.

Il miglior modo per prevenire l’insorgenza di ipertensione è seguire uno stile di vita sano,

ovvero: seguire una dieta sana adeguata all’età, riducendo l’introduzione di sale,

mangiare almeno 5 porzioni d frutta e verdura e riducendo l’apporto di grassi saturi;

evitare l’eccessivo consumo di alcol; praticare attività fisica regolarmente; mantenere un

peso corporeo ideale: ogni 5 kg di peso persi, si riduce la pressione sistolica di 2 a 1

22

RUGARLI C ET AL. “Medicina interna sistematica” Casa Ed. Elsevier Masson, Edizione VI, 2010

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18

punti, smettere di fumare e imparare a gestire lo stress23

.

L’arteriopatia obliterante cronica periferica (AOCP) è quel processo di

danneggiamento della parete arteriosa causato da fattori esogeni o endogeni che porta alla

formazione di ateromi che, aumentano progressivamente di dimensione, vanno ad

occupare il lume arterioso e provocano una progressiva sclerosi della parete arteriosa con

conseguente deficit di flusso nei territori a valle.

L’AOCP può presentarsi in modi diversi, dall’insufficienza arteriosa asintomatica al dolore in

seguito a deambulazione (claudicatio intermittens) ed a riposo, la cui intensità è direttamente

proporzionale al grado di interessamento vasale ed allo sviluppo di circoli collaterali. Nelle

forme più gravi di AOCP, i pazienti sono colpiti da ischemia critica degli arti inferiori, con

deterioramento della loro funzionalità, tanto che talora ne può essere richiesta la

rivascolarizzazione chirurgica o, addirittura, l’amputazione. Poiché l’AOCP è quasi sempre

espressione di un processo aterosclerotico grave e diffuso, quanti ne sono colpiti presentano

un rischio elevato di complicazioni cardiache e cerebrovascolari, soprattutto se non ricevono

consigli ed indicazioni per attuare adeguati interventi di prevenzione e terapia4.

I principali fattori di rischio dell’ AOCP sono gli stessi riconosciuti per altre aree

vascolari, ovvero: età, fumo, diabete, ipertensione, iperlipidemia, iperomocisteinemia,

sesso maschile.

Caposaldo della terapia delle arteriopatie è la correzione dei fattori di rischio, ovvero:

astensione dal fumo, controllo dei valori pressori e anche dei valori glicemici (nei

pazienti diabetici), seguire una dieta sana ed equilibrata, riducendo l’apporto di grassi

saturi e del sale, raggiungere un peso corporeo adeguato, fare attività fisica riabilitativa,

evitare traumi agli arti e ai piedi che possano favorire ulcerazioni e infezioni cutanee ed

utilizzare calzature adeguate24

.

1.3.2 LE MALATTIE RESPIRATORIE CRONICHE

Le malattie respiratorie croniche interessano ampi strati della popolazione, comprese le

fasce di età più giovani; sono tra le principali cause di morbosità, disabilità e mortalità

prematura e hanno un elevato impatto socioeconomico.

23

WORLD HEALTH ORGANIZATION “A Global Brief on Hypertension: Silent Killer, Global Public Health

Crisis” World Health Day, Geneva, 2013 24

SCOTTISH INTERCOLLEGIATE GUIDELINES NETWORK “Diagnosis and Management of peripheral

arterial disease – A national clinical guideline” SIGN, Edinburgh, 2006.

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19

Quelle di maggiore interesse in termini di salute pubblica sono la broncopneumopatia

cronica ostruttiva (BPCO) e l’asma.

A causa delle frequenti riacutizzazioni, le malattie respiratorie croniche richiedono una

gestione continua dei pazienti e numerosi ricoveri, con conseguente elevata spesa sanitaria e

peggioramento della qualità della vita delle persone colpite dalla malattia. Il Piano Sanitario

Nazionale 2006-2008 e il Piano Nazionale di Prevenzione 2010-2012 hanno inserito le

malattie respiratorie croniche tra gli ambiti prioritari di intervento25

.

Al fine di affrontare in modo efficace i problemi causati dalle malattie respiratorie croniche,

nel 2004 a livello internazionale è stata creata la Global Alliance against chronic

Respiratory Diseases (GARD), un’alleanza volontaria, comprendente organizzazioni,

istituzioni ed agenzie che lavorano per il comune obiettivo di migliorare la salute

respiratoria globale. Il Ministero della salute ha aderito a tale iniziativa e ha creato nel 2009

la GARD italiana (GARD-I) con lo scopo di coordinare le attività volte a migliorare la

conoscenza, la prevenzione e la gestione delle patologie respiratorie croniche16.

L’impatto delle malattie respiratorie croniche, oltre a causare morti premature, ha importanti

effetti negativi sulla qualità della vita e sulla disabilità dei pazienti. In Italia le malattie

respiratorie, dopo le malattie cardiovascolari e neoplastiche, rappresentano la terza causa di morte

e si prevede che, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione, la prevalenza di tali

patologie sia destinata ad aumentare. Le patologie respiratorie insorgono a causa dell’azione di un

insieme di fattori di rischio che possiamo classificare in fattori di rischio individuali (genetici e

legati alla familiarità) e fattori di rischio ambientali (fumo di sigaretta, esposizione professionale,

inquinamento atmosferico outdoor e indoor, condizioni sociali, dieta ed infezioni)26

.

Tra le patologie croniche polmonari prevenibili ed intrinsecamente correlata a stili d vita

scorretti è doveroso descrivere la broncopneumopatia cronica ostruttiva.

La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia dell'apparato

respiratorio caratterizzata da un'ostruzione irreversibile delle vie aeree, di entità variabile

a seconda della gravità. La malattia (nota in inglese come COPD, Chronic obstructive

pulmonary disease) è solitamente progressiva ed è associata a uno stato di infiammazione

cronica del tessuto polmonare. La conseguenza a lungo termine è un vero e proprio

rimodellamento dei bronchi, che provoca una riduzione consistente della capacità

25

MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sanitario nazionale 2006-2008” Roma, 2006 26

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global surveillance, prevention and control of chronic respiratory

diseases : a comprehensive approach” Geneva, 2007

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20

respiratoria. Ad aggravare questo quadro clinico è l’aumento della predisposizione alle

infezioni respiratorie di origine virale, batterica o fungina.

Non esiste una cura efficace per la BPCO che consenta di ripristinare la funzionalità

respiratoria perduta. Esistono comunque tutta una serie di trattamenti per gestire la malattia e

consentire di raggiungere i seguenti obiettivi: prevenire la progressione della malattia; ridurre i

sintomi, migliorare la capacità sotto sforzo, migliorare lo stato di salute generale, prevenire e

trattare le complicanze, prevenire e trattare l'aggravarsi della malattia e ridurre la mortalità.

Esistono diversi fattori di rischio, alcuni individuali, altri di origine ambientale. Tra i

fattori individuali, ci sono molti geni che si ritiene possano essere associati all'insorgenza

della BPCO. Al momento, i dati più significativi in proposito sono quelli relativi al deficit

di alfa1-antitripsina, una condizione ereditaria piuttosto rara caratterizzata dalla carenza

di questa proteina epatica che normalmente protegge i polmoni. Ci sono poi alcune

patologie respiratorie complesse che possono contribuire allo sviluppo della malattia, in

particolare l'asma e l'ipersensibilità bronchiale4.

Tra i fattori ambientali, numerosi studi indicano che il principale fattore di rischio per lo

sviluppo della BPCO è il fumo di tabacco, in particolare quello di sigaretta, che accelera e

accentua il decadimento naturale della funzione respiratoria. Anche il fumo passivo può

contribuire parzialmente allo sviluppo della malattia, in quanto favorisce l'inalazione di gas

e particolato. Gioca un ruolo determinante anche l'esposizione a polveri, sostanze chimiche,

vapori o fumi irritanti all'interno dell'ambiente di lavoro (per esempio silice o cadmio).

Altri fattori di rischio, seppure meno influenti, associati allo sviluppo della BPCO sono

l'inquinamento dell’aria: non solo quello atmosferico causato da smog e polveri sottili,

ma anche quello presente all'interno degli ambienti chiusi (provocato dalle emissioni di

stufe, apparecchi elettrici, impianti di aria condizionata etc.). Infezioni respiratorie come

bronchiti, polmoniti e pleuriti possono predisporre infine al deterioramento dei bronchi.

Fondamentale è la prevenzione, per ridurre al minimo i fattori di rischio attraverso: la

abolizione del fumo sia attivo che passivo, una sana alimentazione associata ad un

regolare programma di attività fisica aiuta a prevenire la BPCO che va combattuta anche

minimizzando il rischio di infezioni alle vie aeree (per esempio sottoponendo i soggetti a

rischio a vaccinazione antinfluenzale)27

.

27

VESTBO J1 ET AL. “Global Strategy for the Diagnosis, Management, and Prevention of Chronic

Obstructive Pulmonary Disease” American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, Vol.187,

No.4 (2013), pp. 347-365.

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21

1.3.3 LE MALATTIE METABOLICHE

Le malattie metaboliche sono un gruppo eterogeneo di patologie che si manifestano con vari

difetti del controllo omeostatico dell’organismo.

Tra le malattie del metabolismo quelle che rivestono il maggiore interesse per la sanità

pubblica, in rapporto alla frequenza e al correlato carico di malattia, complicanze e

disabilità, sono sicuramente il diabete mellito e l’obesità.

Il diabete mellito, con le sue complicanze, rappresenta un problema sanitario per i

soggetti di tutte le età e di tutte le etnie, con un più grave coinvolgimento delle classi

economicamente e socialmente svantaggiate.

Si distinguono un diabete di tipo 1 e un diabete di tipo 2. Si tratta fondamentalmente di due

patologie distinte, in quanto i due tipi di diabete si differenziano, oltre che per la diversa

eziopatogenesi, anche per epidemiologia (circa il 90% dei casi sono di tipo 2), per differenti

età di insorgenza (bambini- adolescenti nel tipo 1, adulti nel tipo 2), sintomatologia di

esordio (acuta nel tipo 1, più sfumata e graduale nel tipo 2), strategie terapeutiche e,

soprattutto, possibilità di prevenzione primaria. Se, infatti, il diabete di tipo 2 è in parte

prevenibile modificando gli stili di vita dei soggetti a rischio, particolarmente per quel che

riguarda la nutrizione e l’attività fisica, il diabete di tipo 1 può essere difficilmente

prevenuto, in quanto sono ancora poco chiari i fattori di rischio che interagiscono con la

ben nota predisposizione genetica scatenando la reazione autoimmunitaria28

.

L’insorgenza del diabete mellito di tipo 2 è collegata, come detto, alla presenza di alcuni

fattori di rischio modificabili, in particolare il sovrappeso e la sedentarietà. Inoltre, il

prolungamento dell’aspettativa di vita dei pazienti, unito alla crescente influenza dei

cambiamenti di stili di vita, ha portato e porterà, nel corso del tempo, a un aumento dei

casi prevalenti di diabete, con una conseguente moltiplicazione del rischio di sviluppo di

complicanze a medio - lungo termine.

La qualità organizzativa e l’efficienza dell’assistenza diabetologia sono state, peraltro,

correlate con un migliore controllo della malattia, con una migliore prognosi delle

complicanze e con una minore mortalità collegata al diabete.

La lotta alla patologia diabetica deve essere quindi indirizzata, da un lato, verso un

rinnovato impegno nella prevenzione delle malattie croniche in generale, attraverso

28

AMERICAN DIABETES ASSOCIATION “Diagnosis and classification of diabetes mellitus”. Diabetes

Care 2010;33:S62-9

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22

un’azione mirata a modificare gli stili di vita della popolazione e dall’altro verso una

riorganizzazione dell’assistenza al fine di prevenire o ritardare il più possibile

l’insorgenza delle complicanze29

.

Il Ministero della salute, sin dal Piano Sanitario Nazionale (PSN) 2003-2005, ha previsto

un forte impegno del Servizio sanitario nazionale (SSN) nei confronti del diabete e, più in

generale, delle malattie croniche, confermandolo, peraltro, in tutti i successivi PSN30

. Il

SSN, quindi, in considerazione della complessità della materia, si è mosso, come di

seguito illustrato, secondo varie linee d’azione.

L’istituzione da parte del Ministero della salute, presso la Direzione Generale della

Programmazione Sanitaria e con la collaborazione della Direzione Generale della

Prevenzione, della Commissione Nazionale sulla Malattia Diabetica, incaricata, tra

l’altro, di redigere il Piano sulla Malattia Diabetica, che si connota come un documento

quadro e si propone di dare omogeneità ai provvedimenti e alle attività regionali e locali,

fornendo indicazioni per il miglioramento della qualità dell’assistenza che tengano conto

dell’evoluzione registrata in ambito scientifico e tecnologico e dei nuovi modelli

organizzativi diffusi in vaste aree del territorio31

.

L’ Attuazione dei PNP 2005-2007 (Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005), prorogato

poi fino al 2009, e 2010-2012 (Intesa Stato-Regioni 29 aprile 2010), prorogato al 2013.

Tutte le Regioni, sulla base di linee programmatiche elaborate dal Ministero della

salute/CCM (Centro di prevenzione e controllo delle malattie), hanno definito e attivato

specifici progetti all’interno di aree di intervento condivise e ritenute prioritarie18

.

Lo Sviluppo e coordinamento del programma “Guadagnare Salute – rendere facili le scelte

salutari” (DPCM 4 maggio 2007) che, attraverso l’attivazione di dinamiche intersettoriali e

la partecipazione dei diversi portatori di interessi (Ministeri, Regioni, Enti locali,

produttori, distributori etc.), mira a promuovere e favorire l’assunzione di abitudini salutari

da parte della popolazione per la prevenzione delle principali patologie croniche.

L’obiettivo è adottare una strategia volta a facilitare scelte e comportamenti adeguati

attraverso l’informazione e un’idonea impostazione delle azioni regolatorie, senza

29

QUADERNI DEL MINISTERO DELLA SALUTE “Appropriatezza clinica, strutturale, tecnologica e operativa

per la prevenzione, diagnosi e terapia dell’obesità e del diabete mellito” Ministero della Salute, 2011 30

MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sanitario nazionale 2003-2005” Roma, 2003 31

MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sulla Malattia Diabetica” DG Programmazione Sanitaria -

Commissione Nazionale Diabete, 2012

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23

condizionare direttamente le scelte individuali, ma adottando politiche di comunità32

.

Il Finanziamento da parte del CCM e attuazione da parte dell’ISS/CNESPS (Centro

Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute) del progetto IGEA

(Integrazione, Gestione e Assistenza per la malattia diabetica) che ha previsto il

coordinamento e il supporto ai progetti regionali dei PNP finalizzati, nel caso del diabete,

a prevenirne le complicanze tramite l’adozione di programmi di Gestione Integrata della

patologia. L’applicazione dei principi della Gestione Integrata alla patologia diabetica, nel

medio - lungo periodo, potrà portare a migliorare la gestione della patologia diabetica,

ridurre le complicanze a lungo termine, ottenere una maggiore appropriatezza

nell’utilizzo dei farmaci e dei presidi diagnostico terapeutici e razionalizzare la spesa

sanitaria. Il CCM ha, inoltre, finanziato vari altri progetti regionali dedicati alla

prevenzione e gestione del diabete18

.

La prevenzione e la terapia del diabete, come detto precedentemente, ha come cardine

l’attuazione di uno stile di vita adeguato a 360 gradi. L' approccio alla malattia diabetica

si basa su tre elementi fondamentali: dieta, esercizio fisico e trattamento farmacologico

(insulina o ipoglicemizzanti orali) con diversa priorità a seconda del tipo di diabete.

L’approccio nutrizionale rappresenta il trattamento di base anche in considerazione del

fatto che circa un terzo dei pazienti diabetici può essere compensato con la dieta e che,

nei pazienti in trattamento farmacologico, ciò consente il mantenimento al minimo della

terapia. Un efficace controllo del diabete, in qualunque stadio e di qualsiasi tipo, è

dunque possibile con il controllo ottimale della dieta.

Essa si propone i seguenti scopi:

1. Fornire le calorie sufficienti per raggiungere e mantenere il peso corporeo nei

limiti fisiologici;

2. Fornire un’alimentazione razionalmente ottimale dal punto di vista qualitativo;

3. Consentire la migliore regolazione dei valori glicemici durante le 24 h mediante la

più opportuna scelta degli orari dei pasti;

4. Contribuire a prevenire le complicanze acute del diabete insulino-dipendente e

quelle croniche del diabete in genere, come la nefropatia, l’ipertensione e le

malattie cardiovascolari.

A conferma dell’importanza della dieta nel trattamento del diabete, diversi studi hanno

32

DPCM 4 maggio 2007 “Guadagnare Salute – rendere facili le scelte salutari” Gazzetta Ufficiale della

Repubblica Italiana, Roma, 22 maggio 2007

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24

dimostrato che il programma di trattamento del diabete deve mirare al raggiungimento

dell’euglicemia per ritardare la comparsa o rallentare la progressione delle complicanze,

suggerendo che la nutrizione può essere considerata l’elemento critico, fondamentale,

nel trattamento del diabete, ai fini del raggiungimento di un efficace controllo della

glicemia nei pazienti.

L’American Diabetes Association ha proposto, nel corso degli anni, diverse linee guida

sulla nutrizione, in cui inizialmente era prevista una percentuale di carboidrati intorno al

40%, poi aumentata fino al 55-60%, le proteine erano fissate in quantità pari a 0,8 g/kg e i

grassi erano inferiori al 30%; nel 1994 è stato proposto un nuovo schema basato su una

percentuale fissa di proteine (10-20%) e una variabile di grassi (con meno del 10% di grassi

saturi) e carboidrati da valutare in base allo stato nutrizionale del paziente. Sono stati

inoltre inclusi saccarosio ed altri zuccheri semplici nel piano alimentare del diabetico33

.

L’obesità è una condizione caratterizzata da un eccessivo accumulo di grasso corporeo,

condizione che determina gravi danni alla salute. E’ causata nella maggior parte dei casi

da stili di vita scorretti: da una parte, un’alimentazione scorretta ipercalorica e dall’altra

un ridotto dispendio energetico a causa di inattività fisica34

. L’obesità è quindi una

condizione ampiamente prevenibile e rappresenta uno dei principali problemi di salute

pubblica a livello mondiale sia perché la sua prevalenza è in costante e preoccupante

aumento non solo nei Paesi occidentali ma anche in quelli a basso-medio reddito sia

perché è un importante fattore di rischio per varie malattie croniche, quali diabete mellito

di tipo 2, malattie cardiovascolari e tumori35

.

Si stima che il 44% dei casi di diabete tipo 2, il 23% dei casi di cardiopatia ischemica e

fino al 41% di alcuni tumori sono attribuibili all’obesità/sovrappeso. In totale, sovrappeso

e obesità rappresentano il quinto più importante fattore di rischio per mortalità globale e i

decessi attribuibili all’obesità sono almeno 2,8 milioni/anno nel mondo36

.L’indice di

massa corporea IMC (Body Mass Index BMI) è l’indice per definire le condizioni di

33

AMERICAN DIABETES ASSOCIATION “Nutrition rocommendations and principles for people diabetes

mellitus” Diabetes Care, 1995; 18(Suppl 1): 16-19 34

WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE “The challenge of obesity in the WHO European Region

and the strategies for response. Summary” WHO Regional Office for Europe, Copenhagen 2007 35

WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE. “Nutrition, physical activity and prevention of obesity:

recent policy developments in the WHO European Region” WHO Regional Office for Europe, Copenhagen.

2006 36

NG M. FLEMING T. ET AL. “Global, regional, and national prevalence of overweight and obesity in

children and adults during 1980–2013: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2013”

Lancet. 2014 Aug 30;384(9945):746

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25

sovrappeso(25 ≤ IMC ≤ 29,99) – obesità (ICM ≥ 30) più ampiamente utilizzato, anche se

dà un’informazione incompleta, in quanto non dà informazioni sulla distribuzione del

grasso nell’organismo e non distingue tra massa grassa e massa magra (Figura 5)32

.

Figura 5 Classificazione degli individui sottopeso, sovrappeso ed obesi in base al BMI

Tratto da WORLD HEALTH ORGANIZATION “BMI classification”

Secondo dati dell’OMS, la prevalenza dell’obesità a livello globale è raddoppiata dal 1980

ad oggi; nel 2008 si contavano oltre 1,4 miliardi di adulti in sovrappeso (il 35% della

popolazione mondiale); di questi oltre 200 milioni di uomini e oltre 300 milioni di donne

erano obesi (l’11% della popolazione mondiale). Nel frattempo, il problema ha ormai

iniziato ad interessare anche le fasce più giovani della popolazione: si stima che nel 2011 ci

fossero nel mondo oltre 40 milioni di bambini al di sotto dei 5 anni in sovrappeso35

.

In Italia, il sistema di monitoraggio “OKkio alla Salute” del Centro nazionale di

prevenzione e controllo delle malattie (Ccm) del Ministero della Salute (raccolta dati

antropometrici e sugli stili di vita, dei bambini delle terza classe primaria 8-9 anni di età)

ha riportato che il 22,9% dei bambini in questa fascia di età è in sovrappeso e l’11,1% in

condizioni di obesità37

.

37

SPINELLI A ET AL “Sistema di sorveglianza OKkio alla SALUTE: risultati 2010” ISTAT – Istituto

Superiore Sanità, 2012, xii, 139 p. Rapporti ISTISAN 12/14

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26

Secondo i dati raccolti nel 2010 dal sistema di sorveglianza “Passi”, in Italia il 32% degli

adulti è sovrappeso, mentre l’11% è obeso. In totale, oltre quattro adulti su dieci (42%)

sono cioè in eccesso ponderale in Italia.

"Passi d’argento", il sistema sperimentale (avviato in 7 Regioni italiane) di sorveglianza

della salute della popolazione anziana, infine indica che nella popolazione tra i 65 e i 75

anni di età sono in sovrappeso/obesi il 60% degli individui; tra i 75 e gli 84 anni le

persone in sovrappeso/obesità sono il 53% e tra gli ultra 85enni il 42%.

Si può fare molto per prevenire sovrappeso e obesità, ovvero:

1. limitare il consumo di grassi e zuccheri, molto abbondanti soprattutto nei cibi

confezionati e nei soft drink;

2. aumentare il consumo di verdure, legumi, cereali integrali e, in generale cibi freschi,

non processati;

3. seguire una dieta variata, riducendo le porzioni, nel caso in cui si voglia perdere peso;

4. limitare l’alcol, che oltre ad essere nocivo alla salute degli organi, è anche

un’importante fonte di calorie, senza apportare nessun vantaggio nutrizionale;

5. dare ai bambini un buon esempio in materia di alimentazione; i figli di genitori obesi

tendono a loro volta ad avere problemi di peso;

6. fare una regolare attività fisica: gli adulti dovrebbero fare almeno 30 minuti/giorno per

5 volte/settimana di attività fisica aerobica di intensità moderata (camminare a passo

veloce, andare in bicicletta, nuotare, ballare); i bambini almeno 60 minuti/giorno; nel

caso in cui si desideri perdere peso, il livello di attività fisica dovrà essere

gradualmente incrementato32

.

1.3.4 I TUMORI

Nel corso della vita circa un uomo su 2 e una donna su 3 hanno la probabilità di ammalarsi di

tumore. Questa probabilità riguarda un uomo su 28 e una donna su 17 fra 0 e 49 anni, 1 su 5 e

una su 7 fra 50 e 69 anni e uno su 3 ed una su 5 fra 70 e 84 anni.

Considerando l’intera popolazione, escludendo i carcinomi della cute, il tumore in assoluto

più frequente è quello del colon retto (14%), seguito dal tumore della mammella (13%), della

prostata (11% solo nel sesso maschile) e del polmone (11%)38

.

Con i termini “cancro”, “neoplasia” o il più generico “tumore” ci si riferisce ad un insieme

38

AIOM, AIRTUM “I numeri del cancro in Italia, 2014” Intermedia Editore, 2014

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molto eterogeneo di circa 200 malattie caratterizzate da una crescita cellulare svincolata dai

normali meccanismi di controllo dell’organismo, a partenza da un’unica cellula progenitrice e

da numerose anomalie genetiche, funzionali e morfologiche. Alla fase iniziale del processo

carcinogenetico segue una fase di progressione, in cui le cellule anomale sono in grado di

moltiplicarsi e di allontanarsi ulteriormente, dal punto di vista della differenziazione e

funzione, dalle cellule originarie. Possono così generarsi masse e aggregati cellulari in grado

di interferire con l’organo e l’apparato in cui risiedono, eventualmente anche migrando verso

organi a distanza (disseminazione, metastasi) fino a minacciare la vita dell’intero organismo.

Il cancro ha, tra le sue cause, una combinazione di diversi fattori: interni (propri delle cellule

dell’organismo, in alcuni casi trasmissibili alla progenie) quali mutazioni genetiche, ormoni,

funzionalità dell’apparato immunitario, e fattori esterni, legati sia all’ambiente (agenti

infettivi, prodotti chimici, radiazioni) sia allo stile di vita del soggetto (ad esempio:

alimentazione, livello di attività fisica, fumo).

Si tratta di un processo comunque lento e progressivo, combattuto nella gran maggioranza

dei casi con successo dai sistemi di difesa dell’organismo (meccanismi di riparazione del

genoma e di difesa immunitaria). È un processo che dal suo inizio biologico impiega molto

tempo a manifestarsi, anche nell’ordine di decine di anni, prima di dare luogo alla diagnosi

di malattia conclamata.

Questo processo di iniziazione e progressione tumorale può quindi portare a diversi tipi di

lesioni finali: alcune di queste sono riconosciute con il termine talora equivoco di benigne,

cioè meno aggressive, destinate a rimanere localizzate nell’organo di origine e incapaci di

dare metastasi.

Con il termine di lesioni maligne, alle quali viene riferito più propriamente il termine di

cancro, sono invece identificate lesioni in grado di invadere e distruggere le strutture

adiacenti e diffondere a distanza, colonizzando altri organi e apparati fino a determinare, se

non efficacemente contrastate, anomalie dell’organismo incompatibili con la vita.

In molti casi, e oggi sempre più spesso, il percorso della malattia non è destinato a

progredire. Per le diverse lesioni che compongono il variegato quadro della patologia

neoplastica conosciuta come “cancro”, la medicina ha via via individuato armi e percorsi

sempre più efficaci e mirati alla specificità dei diversi casi. Tali percorsi vanno dalla

prevenzione, alla diagnosi precoce, alla terapia, con lo scopo di migliorare la prognosi di

ogni paziente in termini di durata e qualità della vita.

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28

Sulla base delle conoscenze attuali, si stima che circa l’80% dei tumori possa essere

prevenuto. La maggior parte dei tumori causati dal fumo di sigarette, da errata alimentazione,

dall’abuso di alcool, dall’obesità e dall’inattività fisica, potrebbero essere prevenuti. Altri

tumori correlati ad agenti infettivi, quali il virus dell’epatite B (HBV), il virus dell’epatite C

(HCV), il virus del papilloma umano (HPV), il virus dell’immunodeficienza (HIV), il batterio

Helicobacter pylori (H. pylori), potrebbero essere prevenuti cambiando stile di vita e

debellando l’agente infettivo tramite vaccini o antibiotici. Inoltre per molti tumori la

partecipazione ai programmi di screening di riconosciuta efficacia rende possibile la diagnosi

e la rimozione di lesioni invasive in stadio precoce o in fase premaligna35

.

È quasi impossibile dimostrare ciò che ha causato un tumore in un singolo individuo, in

quanto la maggior parte presentano più cause possibili. Per esempio, se una persona accanita

fumatrice sviluppa un tumore ai polmoni, si può dire che sia stato molto probabilmente

questo comportamento la sua causa, ma non con assoluta certezza, poiché ogni individuo ha

una piccola probabilità di sviluppare quel tumore a causa di altri fattori.

La patogenesi delle neoplasie è riconducibile a mutazioni del DNA che incidono sulla

crescita cellulare e sull'eventuale sviluppo di metastasi. Le sostanze che causano mutazioni

del DNA sono conosciute come mutagene; tali sostanze che causano tumori sono noti come

agenti cancerogeni. Sostanze particolari sono stati collegati a specifici tipi di tumore. Il fumo

è associato a molte forme di cancro e causa il 90% dei tumori del polmone39

.

Molti mutageni sono anche cancerogeni, ma alcuni agenti cancerogeni non sono mutageni.

L'alcol è un esempio di un cancerogeno chimico che non è un agente mutageno. In Europa

occidentale il 10% dei casi di cancro nei maschi e il 3% dei tumori nelle femmine sono

attribuibili all'alcol40

.

Decenni di ricerche hanno dimostrato il legame tra il fumo e le neoplasie del polmone, della

laringe, della testa, del collo, dello stomaco, della vescica, dei reni, dell'esofago e del

pancreas41

. Una sigaretta contiene più di 50 sostanze riconosciute come cancerogene, tra cui

nitrosammine e di idrocarburi policiclici aromatici. Il fumo è responsabile di circa un terzo

di tutte le morti per cancro nei paesi sviluppati e circa uno su cinque in tutto il mondo.

39

BIESALSKI HK ET AL. “European Consensus Statement on Lung Cancer: risk factors and prevention.

Lung Cancer Panel” CA Cancer J Clin. 1998 May-Jun;48(3):167-76; discussion 164-6. 40

SCHÜTZE M ET AL “Alcohol attributable burden of incidence of cancer in eight European countries based

on results from prospective cohort study” BMJ. 2011 Apr 7;342:d1584. 41

KUPER H ET AL “Tobacco use and cancer causation: association by tumour type” J Intern Med. 2002

Sep;252(3):206-24.

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29

Tuttavia, il numero dei fumatori in tutto il mondo continua ad aumentare, portando a quella

che alcune organizzazioni hanno descritto come l'epidemia del fumo42

.

Si ritiene che il cancro correlato alla propria professione lavorativa, rappresenti tra il 2% e il

20% di tutti i casi. Ogni anno, almeno 200.000 persone muoiono di cancro in tutto il mondo,

probabilmente sviluppato a causa del proprio lavoro; la maggior parte dei decessi per cancro

correlabile a fattori di rischio professionali, si verificano nel mondo sviluppato.

La scorretta alimentazione, l'inattività fisica e l'obesità sono correlabili a circa il 30-35% dei

decessi per tumore. L'eccesso di peso corporeo è associabile con lo sviluppo di molti tipi di

cancro ed è un fattore presente in un valore compreso tra il 14% e il 20 % in tutte le morti

per cancro negli Stati Uniti. L'inattività fisica è ritenuta di contribuire al rischio di sviluppare

tumori, non solo attraverso i suoi effetti sul peso corporeo, ma anche attraverso gli effetti

negativi sul sistema immunitario e sul sistema endocrino43

.

Le diete a basso contenuto di verdura, frutta e cereali integrali e ad alto contenuto di carne

trasformate o rosse, sono collegabili con una serie di tumori. Una dieta ricca di sale è legata

al cancro dello stomaco. Ciò può in parte spiegare le differenze nell'incidenza del cancro in

diversi paesi, per esempio il cancro allo stomaco è più comune in Giappone, per via della

loro dieta ricca di sale, mentre il tumore del colon è più comune negli Stati Uniti. Gli

immigrati sviluppano il rischio in base al nuovo paese in cui si trasferiscono, spesso

all'interno di una generazione, suggerendo un legame sostanziale tra dieta e neoplasia44

.

Lo stile di vita ha una significativa influenza sul rischio di contrarre il cancro. Secondo

alcuni studi se tutti adottassero uno stile di vita corretto il numero dei tumori si ridurrebbe di

1/3. La dieta, l'inattività fisica, e l'obesità sono collegate approssimativamente al 30–35%

delle morti per cancro. Il fumo in qualsiasi quantità come l'alcol al di sopra di valori modici

aumentano significativamente il rischio di ammalarsi di tumore (oltre che di contrarre

malattie cardiovascolari), così come il consumo eccessivo di carne rossa. Sono a rischio tutti

i prodotti animali conservati mediante nitrati o nitriti39

.

42

KUPER H ET AL. “Tobacco use, cancer causation and public health impact” J Intern Med. 2002

Jun;251(6):455-66. 43

ANAND P ET AL“Cancer is a Preventable Disease that Requires Major Lifestyle Changes” Pharm Res.

2008 Sep; 25(9): 2097–2116. 44

KUSHI LH et al. “American Cancer Society Guidelines on nutrition and physical activity for cancer

prevention: reducing the risk of cancer with healthy food choices and physical activity” CA Cancer J Clin.

2012 Jan-Feb;62(1):30-67. doi: 10.3322/caac.20140.

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30

CAPITOLO II

GLI STILI DI VITA

La salute costituisce un aspetto fondamentale della qualità della vita degli individui, ma

anche un bene essenziale per lo sviluppo sociale ed economico. I fattori politici, economici,

sociali, culturali, ambientali, comportamentali e biologici, possono favorirla così come

possono lederla.

Per questo gli individui e le comunità possono diventare soggetti attivi nel perseguimento di

uno stato di buona salute, quando sono in grado di identificare e realizzare le proprie

aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di modificare l’ambiente o di adattarvisi.

In questa logica, la promozione della salute non è responsabilità esclusiva del settore sanitario,

ma è opportuno che coinvolga anche i settori che influiscono sulla salute stessa con un

approccio “intersettoriale” che preveda, cioè, l’intervento, la collaborazione e il coordinamento

di settori diversi dalla sanità (istruzione, cultura, sport, agricoltura, trasporti, turismo, etc.) per

realizzare progetti in grado di migliorare lo stato di salute della popolazione.

Accreditati studi internazionali, hanno effettuato una stima quantitativa dell’impatto di alcuni

fattori sulla longevità delle comunità utilizzata come indicatore indiretto della salute. I fattori

socio-economici e gli stili di vita contribuiscono per il 50%, le condizioni dell’ambiente per il

20%, l’eredità genetica per un altro 20% ed i servizi sanitari per il 10%45

.

2.1 I DETERMINANTI SOCIALI DELLA SALUTE

Seguendo l’ottica bio-psico-sociale si giunge a riconoscere la salute come un insieme

dinamico di elementi biologici e comportamentali determinati da diversi fattori. Alla base ci

sono le scelte dell’individuo tra le diverse alternative a sua disposizione; scelte che

conducono alla solidificazione delle abitudini e all’adozione di specifici stili di vita. In tal

senso, lo stile di vita è uno dei determinanti della salute che rappresenta, a sua volta, un

fattore influenzato da altri determinanti di livello “macro”46

.

I determinanti della salute sono i fattori che influenzano lo stato di salute di un individuo e,

più estesamente, di una comunità o di una popolazione15

.

45

MACIOCCO G.“I determinanti della salute. Una nuova, originale cornice concettuale” Redazione Salute

Internazionale, 2009 46

ENGEL G. L. “The need for a new medical model: a challenge for biomedicine” Science, 1977

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31

Figura 6 I Determinanti di Salute

Tratto da DAHLGREN G. WHITEHEAD M. “Policies and strategies to promote social equity in health”

Stockholm: Institute of Futures Studies, 1991.

Nella Figura 6 viene espresso il modello concettuale dei determinanti di salute in una serie

di semicerchi concentrici, corrispondenti ciascuno a differenti livelli di influenza.

Al centro c’è l’individuo, con le sue caratteristiche biologiche: il genere, l’età, il patrimonio

genetico: ovvero i determinanti non modificabili della salute.

Lo strato successivo riguarda il comportamento, lo stile di vita degli individui, che include

fattori come l’abitudine al fumo e all’alcol, i comportamenti alimentari e sessuali, l’attività

fisica, i quali possono promuovere o danneggiare la salute. Queste scelte possono essere

libere o condizionate.

Il terzo livello riguarda le reti sociali e di comunità, in quanto l’individuo non esiste da solo:

interagisce con i familiari, gli amici, la comunità circostante. Così, la qualità degli affetti e

delle relazioni sociali, influenza la qualità della vita delle singole persone e può determinare

un diverso stato di salute sia attraverso meccanismi psicologici (la depressione e l’ansia) che

attraverso condizioni materiali favorevoli o avverse (es.: la presenza o l’assenza di una rete

di supporto familiare o sociale).

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32

Il quarto livello concerne un insieme complesso che riguarda le condizioni di vita e lavorative,

ovvero: l’alimentazione, l’istruzione, l’ambiente di lavoro, il reddito, l’abitazione, le condizioni

igieniche, i trasporti e il traffico, i servizi sanitari sociali.

Lo strato più esterno si riferisce alle condizioni generali: politiche, sociali, culturali, economiche,

ambientali, in cui gli individui e le comunità vivono47

.

Di questa serie di determinanti, alcuni – le caratteristiche biologiche dell’individuo (il sesso,

l’età, il patrimonio genetico) – sono immodificabili, mentre tutti gli altri sono suscettibili di

essere trasformati o corretti.

Il destino di salute di una persona, di una comunità o di una popolazione dipende quindi da una

molteplicità di situazioni e di livelli di responsabilità:

la responsabilità individuale circa i comportamenti e gli stili di vita;

la responsabilità familiare o di gruppo circa le relazioni affettive e sociali;

la responsabilità di una comunità o un governo locale o nazionale circa le politiche sociali,

del lavoro e dell’assetto del territorio (da cui dipende la disponibilità e accessibilità dei

servizi sanitari, sociali ed educativi, l’occupazione, la fruibilità delle infrastrutture);

la responsabilità, infine, dei soggetti sovranazionali: Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale

della Sanità, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del

Commercio etc. che hanno il potere di regolare i rapporti tra gli stati, tra gli stati e le imprese

economiche e finanziarie multinazionali e di influenzare i meccanismi macroeconomici che sono

alla base della ricchezza e dello sviluppo di alcuni e della povertà e del sottosviluppo di altri48

.

Tutto questo può essere visto come una piramide di responsabilità molto schematica e semplificata;

nella realtà, i vari livelli di influenza sullo stato di salute sono strettamente correlati e interagiscono

tra loro; ad esempio, gli stili di vita sono fortemente legati al contesto familiare e sociale che a sua

volta è condizionato dalle circostanze di vita e di lavoro. Per questo motivo è impossibile

individuare un unico fattore in grado di condizionare lo stato di salute di una persona o di una

comunità: il diverso destino riguardo alla morbilità e alla mortalità degli individui e delle comunità,

è il prodotto di un insieme di fattori strettamente correlati tra loro, quali istruzione, assistenza

sanitaria, reddito, occupazione, tipologia dell’abitazione, situazione familiare, stili di vita49

.

47

DAHLGREN G. WHITEHEAD M. “Policies and strategies to promote social equity in health” Stockholm:

Institute of Futures Studies, 1991. 48

WHITEHEAD M. DAHLGREN G. ”Concepts and principles for tackling social inequities in health” WHO

Europe, Copenhagen, 2006 49

OSSERVATORIO ITALIANO SULLA SALUTE GLOBALE “A caro prezzo Le diseguaglianze nella

salute” 2° Rapporto, Edizioni ETS, Pisa, 2006

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33

2.2 L’ IMPORTANZA DEGLI STILI DI VITA

Come si evince dai dati riportati nel capitolo precedente, le malattie cardiovascolari, i

tumori, i disturbi cronici polmonari ed il diabete sono le principali cause di morti registrate

in questi anni10

. Questi dati conducono verso iniziative volte a diminuire l’impatto dei

principali fattori di rischio e degli stili di vita non corretti, quali ad esempio le strategie di

prevenzione o le varie azioni informative ed educative.

Nella promozione della salute è ormai un dato accertato la necessità di lavorare al fine di

supportare l’acquisizione di stili di vita sani. Secondo l’OMS “lo stile di vita è un modo di

vivere basato su profili identificabili di comportamento che sono determinati

dall’interconnessione tra caratteristiche individuali, interazioni sociali e condizioni

socioeconomiche e ambientali. Se si deve migliorare la salute delle persone attraverso il

cambiamento dei loro stili di vita, gli interventi devono essere diretti non solo verso gli

individui stessi ma anche alle condizioni sociali e all’ambiente di vita quotidiano che

interagiscono nel produrre e mantenere questi profili di comportamento50

”.

Sviluppare questo approccio significa evidenziare lo stretto legame che le ricerche evidence

based riportano tra condurre stili di vita sani (alimentazione, attività fisica, consumo di

alcol, fumo e sostanze psicotrope) e la prevenzione di malattie cronico degenerative.

2.2.1 ALIMENTAZIONE

Nutrirsi è fondamentale tanto che, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS),

nutrizione adeguata e salute sono da considerarsi diritti umani fondamentali, molto correlati

l’uno all’altro. Lo stato di salute delle popolazioni del pianeta, sia ricche che povere, è

fortemente influenzato dal livello e dalla qualità della nutrizione. Una dieta corretta è un

validissimo strumento di prevenzione per molte malattie, di gestione e trattamento in molte

altre. Secondo l’OMS, ad esempio, sono quasi tre milioni le vite che si potrebbero salvare

ogni anno nel mondo grazie ad un consumo sufficiente di frutta e verdura fresca51

.

La proporzione dei tipi di alimenti e la qualità dei cibi che mangiamo sono alla base di uno

sviluppo umano completo, sia fisico che mentale. D’altra parte, una alimentazione squilibrata o

scorretta può generare condizioni di disordine o vere e proprie patologie che risultano, in molti

50

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Who Health Promotion Glossary” Genevra, 1998 51

WORLD HEALTH ORGANIZATION AND FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE

UNITED NATION “Fruit and vegetables for health - Report of a Joint FAO/WHO Workshop, 1-3

September, 2004, Kobe, Japan” Geneva, 2005

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casi, addirittura mortali. Inoltre, anche cibi di cattiva qualità, contaminati o non conservati

correttamente possono costituire fattori di rischio consistenti e sono causa di malattia e morte per

milioni di persone ogni anno.

Al concetto di sicurezza alimentare, intesa come diritto ad una quantità equa di alimenti per

ciascun essere umano, si aggiunge quindi una sicurezza intesa come preservazione della

qualità organolettica e microbiologica degli alimenti, oltre che della loro tipicità e tradizione52

.

Lo sviluppo di uno stile alimentare sano è caratterizzato dalla contemporanea presenza di

conoscenze e consapevolezze legate al “mangiare”. Nello specifico, esso si basa sulla

conoscenza delle qualità organiche dei cibi; sul sapere cosa, come e quanto mangiare. Quello

alimentare è forse il più complesso e particolare tra gli stili di vita essendo direttamente

correlato ad aspetti di tipo culturale, sociale e motivazionale. In tal senso, l’educazione

alimentare rappresenta un fattore centrale nell’orientare verso un’adeguata nutrizione ed anche

l’età in cui hanno inizio i programmi di educazione alimentare riveste una particolare

importanza laddove, iniziando prima, si potranno raggiungere maggiori risultati. Prima di

porsi obiettivi legati al cambiamento delle abitudini alimentari, bisognerebbe comunque

fornire informazioni specifiche e relative alla qualità ed alle caratteristiche organiche del cibo,

al fine di sviluppare le giuste conoscenze nutrizionali53

.

La sana dieta alimentare, ovvero una corretta alimentazione, è l'insieme dei comportamenti e

dei rapporti nei confronti del cibo che permettono il mantenimento della propria salute nel

rispetto dell'ambiente e degli altri. E' opportuno ricordare che il termine "dieta" indica una

selezione ragionata di alimenti e non necessariamente un regime alimentare finalizzato ad

ottenere una perdita di peso ovvero una dieta ipocalorica.

L'assunzione errata di alimenti, sia nella quantità che nella qualità, può essere uno dei fattori

principali nella determinazione di stati patologici quali ipertensione, malattie dell'apparato

cardiocircolatorio, obesità, diabete ed alcune forme di tumori.

Il rischio di obesità, in particolare, è determinato sia da un eccesso di calorie introdotte rispetto

a quelle consumate, ma soprattutto da stili di vita sedentari, spesso omologati dal contesto socio

famigliare in cui si vive.

Considerando che a ciò si devono aggiungere fattori di rischio di tipo ambientale e genetici, la

complessità degli elementi in gioco fa comprendere che è necessario intervenire, ove possibile,

52

LAIRON D. “Biodiversity and sustainable nutrition in a food-­based approach” FAO, 2010 53

ROLLNICK S., MASON P., BUTLER C. “Cambiare stili di vita non salutari” Erickson, Trento 2003

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35

in maniera precoce54

.

In numerosi Paesi del mondo, istituzioni pubbliche e organismi scientifici hanno provveduto

ad elaborare apposite linee guida con l'intento di fornire indicazioni su come alimentarsi in

modo sano, per proteggere la salute. In Italia, al fine di orientare la popolazione verso

comportamenti alimentari più salutari, il Ministero della Salute ha affidato ad un Gruppo di

esperti (D.M. del 1.09.2003) il compito di elaborare un modello di dieta di riferimento

coerente sia con lo stile di vita attuale che con la tradizione alimentare del nostro Paese.

Nasce così la piramide settimanale dello stile di vita italiano che si basa sulla definizione di

Quantità Benessere (QB) riferita sia al cibo che all’attività fisica. Se vengono rispettate le

porzioni consigliate saremo anche in armonia con la tradizione alimentare mediterranea

riconosciuta come la più salubre. Un eccessivo consumo di un solo alimento o

un’alimentazione basata sull’uso di pochi alimenti comporta quasi sempre squilibri

nutrizionali che portano alla malnutrizione per difetto o per eccesso55

.

Una porzione è compatibile con il benessere se contiene l’appropriata quantità di cibo;

l’insieme delle porzioni consumate in un giorno deve avere un contenuto energetico di circa

2000 kcal per sostenere le attività vitali e l’esercizio fisico di una persona adulta che

conduca uno stile di vita standard per la sua età. È importante fare cinque pasti al giorno,

dividendo opportunamente le calorie di cui abbiamo bisogno nel corso della giornata.

Sarebbe corretto che le calorie assunte fossero ripartite per il 20% a colazione, per il 5% a

metà mattina, per il 40% a pranzo, per il 5% a metà pomeriggio, per il 30% a cena.

Oltre al cibo che apporta energia, è importante assumere ogni giorno un quantitativo di

acqua per compensare le perdite dovute alla traspirazione attraverso la pelle e le mucose e

alla produzione di urina e di feci. Nel complesso, il fabbisogno giornaliero di acqua è di 1

ml/kcal di energia consumata; pertanto, l’apporto giornaliero consigliato è di circa 2 litri al

giorno da soddisfare con i cibi e le bevande. Se si considera che una parte di acqua viene

introdotta con gli alimenti (600-800 ml) la rimanente parte deve essere assunta bevendo

acqua (almeno 1.500 ml al giorno).

È importante assumere acqua e non sostituirla con le bevande gassate e/o zuccherate, di cui

è opportuno ridurre il consumo per non superare la quantità di zuccheri consentita (nei limiti

54

WORLD HEALTH ORGANIZATION - FOOD AND AGRICULTURE ORGANIZATION OF THE

UNITED NATIONS: “Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases” WHO Technical Report

Series 916, Geneva 2003. 55

WILLETT WC, SACKS F, ET AL. “Mediterranean diet pyramid: a cultural model for healthy eating.” Am

J Clin Nutr. 1995 Jun;61(6 Suppl):1402S-1406S.

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36

del 5% dell’apporto calorico giornaliero )56

.

Il concetto di quantità benessere (QB) serve a portare la nostra attenzione sulle porzione di

cibo, come quantità in grammi, compatibile con il benessere del nostro organismo; pertanto non

esistono cibi buoni e/o cattivi, ma il loro effetto dipende dalla quantità consumata giornalmente;

la scelta di un adeguato numero di porzioni di cibo deve riguardare tutti i gruppi di alimenti

presenti nella piramide giornaliera per essere sicuri di assumere tutti i nutrienti57

.

Figura 7 La piramide alimentare giornaliera italiana

Tratto da DIPARTIMENTO DI FISIOPATOLOGIA MEDICA SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA /

CIISCAM “Piramide alimentare italiana” Roma, 2005

Come si può vedere dalla Figura 7, la piramide alimentare italiana giornaliera si articola in 6

piani in cui sono disposti, in modo scalare, i vari gruppi di alimenti indicati con colori

diversi per sottolineare che ciascuno è caratterizzato da un differente contenuto di nutrienti e

56

POPKIN BM, NIELSEN SJ. “The Sweetening of the World’s Diet. Obesity Research” 2003; 11(11):1325-1332. 57

ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE – INRAN “Linee guida

per una sana alimentazione italiana” Roma, 2003

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richiede un differente consumo di porzioni. All’interno dello stesso gruppo è importante

variare la scelta allo scopo di ottenere un’alimentazione completa.

Gli alimenti alla base della piramide sono quelli il cui apporto giornaliero non deve mai

mancare, mentre, al vertice della piramide, si trovano gli alimenti il cui consumo è molto

limitato od occasionale. La piramide alimentare italiana si caratterizza innanzitutto per avere alla

base frutta ed ortaggi, tra gli alimenti caratteristici della dieta mediterranea, che dovrebbero

essere presenti in buona quantità (5-6 porzioni al giorno) per una sana alimentazione.

Le parole chiave della piramide alimentare sono:

varietà, poiché in nessun gruppo di alimenti sono contenuti tutti i nutrienti essenziali per

una crescita ottimale e per il mantenimento dello stato di salute. La varietà delle scelte

nell’ambito di ciascun gruppo alimentare permette di coprire i fabbisogni nutrizionali nel

modo più corretto. Tale indicazione, evidenziata dai differenti colori di ciascuna sezione

della piramide, è coerente con quanto definito nelle Linee guida dell’Istituto Nazionale di

Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN).

moderazione, in quanto salendo dal basso verso l’alto della piramide troviamo i cibi a più

alto contenuto energetico, cioè quelli che vanno consumati con attenzione; la

moderazione nelle quantità, che devono essere adeguate alla fascia di età ed al profilo di

attività fisica, è indispensabile.

equilibrio, poiché nella nostra alimentazione giornaliera possono entrare tutti i cibi, ma le

quantità che si possono consumare sono diverse per ogni alimento. La piramide

suggerisce la quantità dei cibi da poter consumare, indicando il numero di porzioni

raccomandato per ciascun gruppo di alimenti; la variabilità (esempio 5-6 porzioni al

giorno) dipende dal fabbisogno energetico individuale58

.

I principali gruppi alimentari devono essere presenti nella dieta in modo proporzionato,

poiché una alimentazione equilibrata è data non solo da un corretto apporto calorico, ma

anche da un’adeguata ripartizione dei gruppi alimentari. È fondamentale un equilibrato e

moderato impiego delle varie categorie di alimenti a nostra disposizione come detto

precedentemente per la piramide alimentare.

La classificazione degli alimenti più largamente diffusa, riunisce gli alimenti stessi in cinque

gruppi:

58

DIPARTIMENTO DI FISIOPATOLOGIA MEDICA SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA / CIISCAM

“Piramide alimentare italiana” Roma, 2005

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1. il gruppo cereali, loro derivati e tuberi (carboidrati) comprendente: pane, pasta, riso, altri

cereali minori (quali mais, avena, orzo, farro, etc.) oltre che patate. I cereali e derivati, in

particolare, apportano buone quantità di vitamine del complesso B nonché di proteine che,

pur essendo di scarsa qualità, possono, se unite a quelle dei legumi, dare origine a una

miscela proteica di valore biologico paragonabile a quello delle proteine animali. Fra gli

alimenti di questo gruppo è opportuno utilizzare spesso anche quelli integrali, in quanto più

ricchi di fibra in maniera naturale;

2. il gruppo frutta e ortaggi, comprendente anche legumi freschi - rappresenta una fonte

importantissima di fibra, di ß-carotene (presente soprattutto in carote, peperoni,

pomodori, albicocche, meloni, etc.), di vitamina C (presente soprattutto in agrumi,

fragole, kiwi, pomodori, peperoni, etc.), di altre vitamine e dei più diversi minerali (di

particolare importanza il potassio). Da sottolineare anche la rilevante presenza, in questo

gruppo, di quei componenti minori quali gli antiossidanti, che svolgono una preziosa

azione protettiva. Gli alimenti di questo gruppo, grazie alla loro grande varietà, con

sentono le più ampie possibilità di scelta in ogni stagione, ed è opportuno che siano

sempre consumati almeno cinque porzioni al giorno, a cominciare anche dalla prima

colazione ed eventualmente come fuori pasto o merenda;

3. il gruppo latte e derivati, in cui rientrano: latte, yogurt, latticini e formaggi. La funzione

principale del gruppo è quella di fornire calcio, in forma altamente biodisponibile, ossia

facilmente assorbibile e utilizzabile. Gli alimenti di questo gruppo contengono inoltre

proteine di ottima qualità biologica ed alcune vitamine (soprattutto B2 e A). Nell'ambito del

gruppo sono da preferire il latte parzialmente scremato, i latticini e i formaggi meno grassi;

4. il gruppo carne, pesce e uova, la cui funzione principale è fornire proteine di elevata

qualità e oligoelementi (in particolare zinco, rame e ferro altamente biodisponibile, ossia

facilmente assorbibile e utilizzabile) ed inoltre vitamine del complesso B (in particolare

vitamina B12). Nell'ambito del gruppo sono da preferire le carni magre (siano esse

bovine, avicole, suine, etc.) e il pesce. Va invece moderato, per quanto riguarda la

quantità, il consumo di prodotti a maggiore tenore in grassi, quali certi tipi di carne e di

insaccati. Per le uova, infine, un consumo accettabile per soggetti sani è quello di un uovo

2-4 volte alla settimana. In questo gruppo è conveniente - da un punto di vista

nutrizionale - includere i legumi secchi (fagioli, ceci, piselli, lenticchie, etc.), ampliando

così la possibilità di scelte e di alternative. Ciò perché i legumi - oltre a rilevanti quantità

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di amido e di fibra - forniscono anch'essi quei nutrienti essenziali che sono caratteristici

della carne, del pesce e delle uova, come ferro, altri oligoelementi e notevoli quantità di

proteine di buona qualità biologica;

5. il gruppo dei grassi da condimento comprende tanto i grassi di origine vegetale quanto

quelli di origine animale. Il loro consumo deve essere contenuto, perché i grassi

costituiscono una fonte concentrata di energia. Va comunque tenuto presente il loro ruolo

nell'esaltare il sapore dei cibi e nell'apportare gli acidi grassi essenziali e le vitamine

liposolubili (vitamine A, D, E e K), delle quali favoriscono anche l'assorbimento. Sono da

preferire quelli di origine vegetale (in particolare l'olio extra vergine d'oliva) rispetto a

quelli di origine animale (come burro, panna, lardo, strutto, etc.

Tabella 2 Gruppi alimentari ed entità delle porzioni standard

Tratto da ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE – INRAN

“Linee guida per una sana alimentazione italiana” Roma 2003

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La Tabella 2 riporta i gruppi alimentari e per ciascuno il peso netto in grammi delle varie

porzioni (talvolta espresse anche in termini di misure casalinghe, quali un cucchiaio, una

fetta, etc.) dei cibi più diffusi e normalmente consumati nel nostro Paese.

Oltre alle precedenti indicazioni, per una corretta alimentazione è fondamentale ridurre

quanto più possibile il consumo di sale, di zucchero e di dolci.

Nella nostra alimentazione le fonti di sodio sono molte: ne troviamo negli alimenti allo stato

naturale (ad esempio in acqua, frutta, verdura, carne, etc.), nel sale aggiunto ai piatti cucinati di

tutti i giorni, ma anche nei prodotti trasformati (ad esempio pane, prodotti da forno, olive,

formaggi, cereali per la colazione, etc.), in cui il sale è molto di più di quello che possiamo

immaginare. In realtà, il sale naturalmente contenuto negli alimenti è già sufficiente per le

nostre necessità. Aggiungendo sale a quello che mangiamo e scegliendo spesso alimenti

trasformati ricchi di altro sale, arriviamo ad assumere molto più sodio del necessario.

Secondo le nuove linee guida emanate dall'OMS gli adulti dovrebbero consumare meno di

2.000 mg di sodio o 5 grammi di sale, se la nostra alimentazione è troppo ricca di sodio,

aumenta il rischio di ipertensione arteriosa, ma anche di malattie del cuore, dei vasi sanguigni

e dei reni59

. Anche se abbiamo sempre mangiato salato, ridurre la quantità di sale che si

consuma giornalmente non è difficile, soprattutto se la riduzione avviene gradualmente. Infatti

il nostro palato si adatta facilmente ed è quindi possibile rieducarlo a cibi meno salati. Entro

pochi mesi o addirittura settimane, gli stessi cibi appariranno saporiti al punto giusto, mentre

sembreranno troppo salati quelli conditi nel modo precedente. Le spezie e le erbe aromatiche

possono sostituire il sale o almeno permettere di utilizzarne una quantità decisamente minore,

conferendo uno specifico aroma al cibo e migliorandone le qualità organolettiche. Il succo di

limone e l’aceto permettono di dimezzare l’aggiunta di sale e di ottenere cibi ugualmente

saporiti, agendo come esaltatori di sapidità. Limitare, invece, per rende i cibi più saporiti l’uso

di dadi da brodo, senape, salsa di soia e ketchup, che sono ricchi di sale60

.

Infine, gli zuccheri sono una fonte di energia molto importante, ma come i dolcificanti,

dovrebbero essere usati il più limitatamente possibile. Le attuali linee guida raccomandano

che gli zuccheri siano inferiori al 5% delle calorie assunte giornalmente, l’equivalente, per

un adulto con un normale indice di massa corporea, a circa 25 grammi di zucchero al giorno,

pari a cinque cucchiaini. Assumiamo infatti dalla frutta, dal latte e da altri alimenti lo

59

BEAGLEHOLE R, BONITA R, HORTON R, ADAMS C, ALLEYNE G, ASARIA P, ET AL. “Priority

actions for the non-communicable disease crisis” Lancet 2011;377:1438-47 60

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Guideline: Sodium intake for adults and children” Geneva, 2012

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zucchero di cui abbiamo bisogno e a volte anche di più, soprattutto se si consumano spesso

bevande zuccherate e dolci. Nell’ambito del consumo sempre limitato di dolci, è più salutare

veicolare la scelta verso prodotti da forno senza creme (biscotti, fette biscottate, etc.) che

hanno meno zucchero e più amido e fibra. Anche le marmellate (le creme, il miele, etc.)

contengono molto zucchero e bisogna consumarne piccole quantità e occasionalmente,

proprio come le caramelle e tutti i dolci, compresi quelli dolcificati con edulcoranti. Il loro

uso, come più volte sottolineato, va comunque attentamente controllato nel quadro della

dieta complessiva giornaliera, tenendo conto del loro apporto calorico e nutritivo.

Importante sottolineare che, il consumo dei sostituti dello zucchero (cioè i dolcificanti in

polvere, liquidi o in pasticche) è indispensabile solo per chi ha il diabete, mentre per tutti gli

altri individui non lo è, nemmeno quando si sta seguendo una dieta ipocalorica per perdere

peso. L'uso di questi edulcoranti non permette, infatti, di ridurre il peso corporeo se non si

diminuisce la quantità totale di calorie e non si aumenta l'attività fisica61

.

2.2.2 ATTIVITÀ FISICA

L'organismo umano non è nato per l'inattività: il movimento gli è connaturato e una regolare

attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare tutti gli aspetti della

qualità della vita. Ad ogni età, una regolare attività fisica, anche moderata, contribuisce a

migliorare la qualità della vita in quanto influisce positivamente sia sullo stato di salute,

aiutando a prevenire e ad alleviare molte delle patologie croniche (diabete di tipo 2, malattie

cardiocircolatori e tumori) sia sul grado di soddisfazione personale (contribuendo a sviluppare

dei rapporti sociali e aiutando il benessere psichico). L’esercizio fisico, infatti, riduce la

pressione arteriosa, controlla il livello di glicemia, modula positivamente il colesterolo nel

sangue, aiuta a prevenire le malattie metaboliche, cardiovascolari, neoplastiche, le artrosi e

riduce il tessuto adiposo in eccesso. Inoltre, riduce i sintomi di ansia, stress, depressione e

solitudine e comporta benefici evidenti per l’apparato muscolare e scheletrico.

L’attività fisica, quindi, contribuisce a ridurre i rischi derivanti dalle possibili patologie

collegate all’inattività fisica; ma certamente i suoi benefici effetti vanno ben oltre, perché si

riflettono su tutte le funzioni del nostro organismo e sulla maggiore efficacia degli apparati.

Il nostro corpo, infatti, si caratterizza per le sue capacità di adattamento: in caso di

prolungata inattività si determina un deterioramento di tutta una serie di funzioni, mentre un

61

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Guideline: sugars intake for adults and children” Geneva, 2015

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42

movimento regolare attiva meccanismi tali da svilupparne sempre più le capacità di tutti gli

apparati (Tabella 3).

Tabella 3 - Differenze sulla salute tra individui sedentari e fisicamente attivi

Tratto da MIUR-FEDERALIMENTARE “Linee guida per un corretto stile di vita”, 2005

L'esercizio fisico, preferibilmente di tipo aerobico, deve essere di intensità non eccessiva e

protratto nel tempo, come camminare a ritmo sostenuto, correre, pedalare o nuotare. Questi

vanno integrati 2–3 volte alla settimana con esercizi di potenza, cioè più limitati nel tempo ma

più energici, per allenare la forza muscolare e rafforzare le ossa. L’attività fisica, infatti, è

definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come “qualsiasi movimento corporeo

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prodotto dai muscoli scheletrici che richiede un dispendio energetico”.

Anche se l’intensità e le diverse forme di esercizio fisico possono variare tra i vari individui, nel

2010 l’OMS ha pubblicato le “Global recommendations on Physical activity for Health”, in cui

definisce i livelli di attività fisica raccomandata per la salute, distinguendo tre gruppi di età:

bambini e ragazzi (5-17 anni): almeno 60 minuti al giorno di attività moderata–vigorosa,

includendo almeno 3 volte alla settimana esercizi per la forza che possono consistere in

giochi di movimento o attività sportive. (Per i ragazzi, oltre agli effetti benefici generali

sulla salute, l’attività fisica aiuta l’apprendimento, rappresenta una valvola di sfogo alla

vivacità tipica della giovane età, stimola la socializzazione e abitua alla gestione dei

diversi impegni quotidiani);

adulti (18-64 anni): almeno 150 minuti alla settimana di attività moderata o 75 di attività

vigorosa (o combinazioni equivalenti delle due) in sessioni di almeno 10 minuti per volta,

con rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari da svolgere almeno 2 volte alla settimana;

anziani (dai 65 anni in poi): le indicazioni sono le stesse degli adulti, con l’avvertenza di

svolgere anche attività orientate all’equilibrio per prevenire le cadute. Chi fosse impossibilitato

a seguire in pieno le raccomandazioni deve fare attività fisica almeno 3 volte alla settimana e

adottare uno stile di vita attivo adeguato alle proprie condizioni. Per gli anziani, l’evidence

dimostra che svolgere attività sportive aiuta a invecchiare bene. Aumentano le resistenze

dell’organismo, rallenta l’involuzione dell’apparato muscolare, scheletrico e cardiovascolare e

ne traggono giovamento anche le capacità psico-intellettuali62

.

Queste raccomandazioni vanno intese come un limite minimo e chi riesce a superarle ottiene

ulteriori benefici per la propria salute; ma se si parte da una generale condizione di sedentarietà,

non bisogna scoraggiarsi: cercando di sfruttare ogni momento della giornata si può cominciare

ad essere fisicamente attivi e raggiungere più facilmente i livelli raccomandati.

Avere uno stile di vita attivo è un’abitudine influenzata da una serie complessa di variabili

sociali e individuali ed è sempre più evidente come la sedentarietà, spesso associata a

un’alimentazione quantitativamente e qualitativamente non corretta, stia diventando un

problema di salute pubblica, con un elevato carico di malattia e relativi costi sociali63

.

62

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global recommendations on physical activity for health” Geneva,

2010 63

WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE “Physical Activity and health in Europe: evidence for

action” WHO Regional Office for Europe Copenhagen, 2006

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44

2.2.3 ALCOL

Le bevande alcoliche sono costituite per la maggior parte da acqua e per la restante parte da alcol

etilico (o etanolo); una quota di entità minima è rappresentata da altre sostanze sia naturalmente

presenti che aggiunte: composti aromatici, coloranti, antiossidanti, vitamine, etc.

Acqua a parte, il costituente fondamentale e caratteristico di ogni bevanda alcolica è

l’etanolo, sostanza estranea all’organismo e non essenziale, anzi per molti versi tossica48

. Il

corpo umano è per lo più in grado di sopportare l’etanolo senza evidenti danni, a patto che si

rimanga entro i limiti di quello che si intende oggi come consumo moderato, vale a dire non

più di due Unità Alcoliche (U.A.) al giorno per l’uomo, non più di una per la donna e non

più di una per gli anziani64

.

Pur non essendo un nutriente, l’etanolo apporta una cospicua quantità di calorie che si

sommano a quelle apportate dagli alimenti e possono quindi contribuire all’aumento di peso.

L’etanolo viene assorbito già nelle prime porzioni del tratto gastrointestinale e in modeste

proporzioni persino nella bocca. Alcuni fattori modificano i tempi di assorbimento: la

presenza di cibo li rallenta, mentre la presenza di anidride carbonica (soda, spumanti e altre

bevande frizzanti) li accelera.

Una volta assorbito, l’etanolo entra nel sangue e da lì va in tutti i liquidi corporei; questo

tipo di distribuzione è uno dei meccanismi fondamentali della diversa tolleranza all’alcol nei

diversi individui, nei diversi sessi e nelle diverse condizioni.

Non esistendo possibilità di deposito per l’alcol nell’organismo, esso deve essere

rapidamente metabolizzato. Questa trasformazione dell’etanolo avviene, ad opera di enzimi

specifici, a livello gastrico e soprattutto epatico e le loro capacità di trasformazione

dell’etanolo sono limitate.

La concentrazione dell’etanolo nel sangue dipende quindi da vari fattori: dalla quota ingerita,

dalle modalità di assunzione (a digiuno o a pasto), dalla composizione corporea, dal peso, dal

sesso, da fattori genetici, dalla quantità di acqua corporea, dalla capacità individuale di

metabolizzare l’alcol, dall’abitudine all’alcol. Le donne, avendo un peso minore, minori quantità

di acqua corporea e minore efficienza dei meccanismi di metabolizzazione dell’alcol, sono più

vulnerabili ai suoi effetti e, a parità di consumo, presentano un’alcolemia più elevata65

.

64

EMANUELE SCAFATO ET AL. “Nuove linee guida del consumo di alcol: evidenze e tendenze” ISS -

Osservatorio Nazionale Alcol –CNESPS - Reparto Salute della Popolazione e suoi Determinanti, Roma,

2013 65

BATTAGLIA E., NOÈ D. “Elementi di fisiologia e scienze dell’alimentazione” Mc Graw Hill, 2008

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45

Gli individui sani, non in sovrappeso e che desiderino concedersi il piacere del consumo di

bevande alcoliche, devono usare l’accortezza di farlo durante i pasti ed in misura moderata,

tenendo presente il contenuto in alcol e l’apporto calorico delle varie bevande e attenendosi

ai seguenti criteri.

La dose quotidiana di alcol che una persona in buona salute può concedersi senza incorrere

in gravi danni, non può essere stabilita da rigide norme, poiché le variabili individuali sono

davvero tante: quella che è considerata una dose moderata per un individuo può essere

eccessiva invece per un altro. Un consumo moderato può essere indicato entro il limite di 2

U.A. al giorno (pari a 2 bicchieri di vino) per l’uomo e di 1 U.A. per la donna. Tale

quantità, da assumersi durante i pasti, deve essere intesa come limite massimo oltre il quale

gli effetti negativi cominciano a prevalere su quelli positivi66

.

Nei casi in cui non si consumi solo vino, bisogna imparare a tener conto di tutte le

occasioni di ingestione di altre bevande alcoliche che si presentano nel corso della

giornata (birra, aperitivi, digestivi e superalcolici nelle varie forme) e calcolare il numero

di U.A. introdotte (Tabella 4).

Tabella 4 Quantità di alcol e apporto calorico delle bevande alcoliche

Tratto da ISTITUTO NAZIONALE DI RICERCA PER GLI ALIMENTI E LA NUTRIZIONE – INRAN

“Linee guida per una sana alimentazione italiana” Roma 2003

66

WORLD HEALTH ORGANIZATION “Global status report on alcohol and heal” Geneva, 2014

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46

Bisogna fare in modo che non siano superate le capacità del fegato di metabolizzare

l’alcol. Tali capacità, in un uomo di 70 chilogrammi di peso, non superano i 6 grammi

l’ora (i grammi di alcol presenti in 100 ml si ottengono moltiplicando il grado alcolico

per 0,8). Ciò vuol dire, ad esempio, che per smaltire l’alcol contenuto in 1 bicchiere di

vino (12 grammi di alcol) sono necessarie circa 2 ore (vedi Tabella 2). Bere con

moderazione, quindi, certamente significa bere poco, ma anche evitare di bere in maniera

troppo ravvicinata, così da permettere al nostro organismo di smaltire meglio l’etanolo.

Le bevande alcoliche ad alta gradazione (grappa, whisky, vodka, etc.), che, per

caratteristiche e consuetudini, vengono assunte fuori pasto, devono essere considerate con

la massima attenzione oppure evitate del tutto, specialmente se a stomaco vuoto. Bisogna

anche evitare di consumare bevande alcoliche in maniera concentrata nel fine settimana,

abitudine invece diffusa in molti Paesi occidentali.

È opportuno, inoltre, usare particolare cautela in certe ben identificate fasi della vita e in

certi gruppi di popolazione a rischio. Nell’infanzia e nell’adolescenza occorre evitare del

tutto l’uso di bevande alcoliche sia per una non perfetta capacità di trasformare l’alcol sia

per il fatto che, più precoce è il primo contatto con l’alcol, maggiore è il rischio di abuso.

Le donne in gravidanza e in allattamento dovrebbero astenersi completamente dal

consumo di alcolici; l’alcol, infatti, si distribuisce in tutti i fluidi e le secrezioni e quindi

arriva al feto, attraversando la barriera placentare e al bambino, tramite il latte, rischiando

di provocare seri danni. Nell’anziano, l’efficienza dei sistemi di metabolizzazione

dell’etanolo diminuisce in maniera rilevante e il contenuto totale di acqua corporea è più

basso; è perciò consigliabile limitare il consumo di alcolici ad 1 U.A. al giorno. Gli

alcolisti in trattamento e gli ex alcolisti, devono assolutamente astenersi dal consumo di

qualsiasi bevanda alcolica.

Estrema attenzione deve essere posta al problema delle interazioni tra alcol e farmaci. Chi

segue una qualsiasi terapia farmacologia deve consigliarsi con il proprio medico curante

sull’opportunità di bere alcolici. Identica attenzione deve essere rivolta anche ai comuni

farmaci da banco, per molti dei quali è da suggerire l’astensione dal consumo

concomitante di alcolici48

.

E’ stato evidenziato, di recente, che per alcune patologie (come ad esempio la cardiopatia

coronarica, il diabete di tipo II, etc.) i pochi effetti positivi sono persi se - anche

occasionalmente - si perde la connotazione del bere moderato, indulgendo in situazioni di

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47

consumo eccessivo episodico come ad esempio avviene consumando in un tempo ristretto

più di 5-6 bicchieri di bevande alcoliche, fenomeno non raro tra gli adulti e fin troppo noto

tra i giovani che praticano il binge drinking. Le più recenti evidenze della International

Agency for Research on Cancer (IARC) mostrano che per molte patologie, tra cui il cancro,

è difficile definire un livello di consumo privo di rischio. Non sono identificabili pertanto

“dosi-soglia” sotto le quali non si corrano rischi per la salute, poiché il rischio cresce

progressivamente con le quantità consumate di bevanda alcolica e indipendentemente dal

tipo di bevanda alcolica, rispettando l’unica regola secondo cui maggiore è la quantità

ingerita, tanto più alto il rischio54

.

2.2.4 FUMO

L’abitudine al fumo (tabagismo) rappresenta in tutto il mondo uno dei più grandi problemi di

sanità pubblica ed è uno dei maggiori fattori di rischio per lo sviluppo di patologie

neoplastiche, cardiovascolari e respiratorie. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale

della Sanità (OMS), entro il 2030, il fumo causerà 8 milioni di decessi l’anno67

.

In generale va considerato che la qualità di vita del fumatore è seriamente compromessa a

causa della maggiore frequenza di patologie respiratorie (tosse, catarro, bronchiti ricorrenti e

asma) e cardiache (ipertensione, ictus e infarto).

Gli effetti del fumo sulla salute si riscontrano sia sui consumatori di tabacco e sia sui non

tabagisti. Il fumo inalato attivamente o passivamente è un complesso miscuglio gassoso,

contenente oltre 4.000 molecole, la maggior parte dannose per l'organismo umano68

. Fra le

sostanze dannose contenute nel fumo prendiamo in considerazione le più importanti: il

monossido di carbonio, la nicotina, i prodotti irritanti, il catrame ed i suoi derivati. Il

monossido di carbonio si lega con estrema facilità all’emoglobina formando la

carbossiemoglobina che nei fumatori può arrivare in circolo al 10-15%: ciò provoca

diminuzione della capacità respiratoria e di conseguenza minore tendenza ad affrontare

sforzi fisici. Infatti, è proprio durante uno sforzo che il nostro organismo ha bisogno di un

maggiore apporto di ossigeno, sia per il lavoro dei muscoli sia per il funzionamento dei vari

organi. Fumare è pericoloso anche per i cardiopatici, per i quali una diminuzione della

67

WORLD HEALTH ORGANIZATION EUROPE “WHO European strategy for smoking cessation policy”

European tobacco control policy serie, WHO Regional Office for Europe, Copenhagen, 2004 68

PIERGIORGIO ZUCCATO ET AL. “Smettere di fumare. Guida pratica da leggere,compilare e

personalizzare”, Istituto Superiore di Sanità, Osservatorio Fumo, Alcol e Droga. Roma, 2007

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48

quantità di ossigeno è molto rischiosa. La nicotina è una sostanza molto tossica a cui si

devono l'aroma e il sapore del tabacco, ma è un potente veleno sia per il sistema nervoso

centrale sia per i centri nervosi che controllano l'apparato circolatorio69

.

Nei fumatori abituali, la nicotina agisce fondamentalmente come un eccitante, ma tale

azione è temporanea e cessa nel momento in cui si finisce di fumare. Questo porta il

fumatore a ricercare lo stimolo accendendo un'altra sigaretta. È quindi la nicotina la

responsabile della dipendenza dal tabagismo, che spinge il fumatore a continuare a fumare.

La dipendenza alla nicotina contenuta nelle sigarette costituisce l’ostacolo principale per

smettere di fumare, tuttavia giocano un ruolo importante anche fattori di natura psicologica e

sociale70

. Per questo motivo non esiste un metodo valido per tutti.

Smettere di fumare da soli è possibile. I più recenti dati ISTAT indicano, infatti, che il 90%

degli ex fumatori ha smesso senza bisogno di aiuto. Se un fumatore decide di provare da solo a

smettere è bene metterlo a conoscenza che le prime 24 ore dall’ultima sigaretta sono le più

difficili e i primi 4 giorni sono più intensi i sintomi dell’astinenza che tendono ad attenuarsi

dalla prima settimana al primo mese, mentre sensazioni di malessere (affaticabilità, irritabilità,

difficoltà di concentrazione, aumento dell’appetito, etc.) possono persistere anche per alcuni

mesi. È importante spiegare che il desiderio impellente di una sigaretta dura solo pochi minuti;

dopo diventa nettamente inferiore e non è difficile adottare strategie per distogliere il pensiero:

bere un bicchiere d’acqua a piccoli sorsi, lentamente, tenendo l’acqua in bocca per un attimo

prima di deglutire in quanto questo aiuta a “spegnere” il desiderio, fare attività fisica e distarsi.

La nicotina è un anoressizzante: quindi, smettendo di fumare, è possibile un aumento di peso

non superiore ai due o tre chili. Non tutti comunque ingrassano, ma è importante dare

l’indicazione che è sufficiente cambiare gradualmente le proprie abitudini alimentari, riducendo

la quantità di cibo per pasto, preferire 4-5 pasti leggeri piuttosto che due abbondanti, bere molti

liquidi, ridurre il consumo di alcolici, scegliere frutta e verdura quando si sente la necessità di

mangiare qualcosa fra i pasti e, infine, aumentare l’attività fisica. Una sana alimentazione aiuta

anche nel superare la stipsi dovuta avvolte all’astinenza dal fumo.

Si definisce “craving” il desiderio, la necessità impellente di fumare. A volte il paziente

avverte la sensazione di non poter superare i momenti in cui il “craving” si presenta. E’

69

HUGHES JR “Effects of abstinence from tobacco: valid symptoms and time course” Nicotine Tob Res, vol.

9, n. 3, 2007 70

CHRISTAKIS NA, FOWLER JH. “The collective dynamics of smoking in a large social network” N Engl J

Med 2008

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49

anche bene ricordare che può capitare di ricominciare a fumare e ciò può servire a

riconoscere e ad affrontare meglio i momenti critici; le ricadute fanno parte del percorso di

cambiamento e non devono scoraggiare, ma possono essere utili per conoscere ed affrontare meglio

i momenti critici e continuare nel proprio percorso di disassuefazione con autodeterminazione.

Se il fumatore non riesce a smettere da solo, la cosa migliore da fare è contattare il proprio

medico di famiglia e decidere insieme un percorso terapeutico multidisciplinare integrato tra

diverse figure professionali (medico, infermiere, psicologico, etc.) incrementando così,

l’efficacia della disassuefazione. La scienza ha dimostrato che maggiore è il supporto che si

riceve, più alta è la probabilità di smettere di fumare in modo definitivo71

. Le strategie per

smettere di fumare oggi comprendono:

Terapie farmacologiche: la terapia con i sostitutivi della Nicotina (NRT) e il Bupropione

aiutano i fumatori ad astenersi e ad alleviare i sintomi dell’astinenza; inoltre, si stanno

studiando nuovi farmaci, specificatamente per fumatori, che diminuiscano il piacere

associato al fumo72

.

Terapie alternative: l'agopuntura e l’auricoloterapia provocano il rilascio di endorfine

(antidolorifici naturali) permettendo al corpo di rilassarsi; sono un valido aiuto per

smettere di fumare e nella gestione dei sintomi di astinenza dal fumo73

.

Il sostegno psicologico di operatori specializzati, sia vis à vis che telefonico, facilita la

decisione al cambiamento, aiuta a rafforzare le motivazioni; le terapie di gruppo

aggiungono alle strategie cognitive e comportamentali la condivisione dei problemi e

delle motivazioni con altri fumatori72

.

Quando si smette di fumare, i benefici per il corpo si fanno sentire in breve tempo per poi

aumentare negli anni fino ad una scomparsa quasi totale dei danni causati dal tabagismo

(Tabella 5)74

.

71

SCHONBERGER, R., FAGERSTROM, K.O., KUNZE, M. “Psycological and physiological dependence in

smokers and there effect on motivation for smoking cessation”. Wien. Med. Wochenschr., 1995 72

MINISTERO DELLA SALUTE – ISTITUTO SUPERIORE SANITÀ - OSSERVATORIO FUMO, ALCOL

E DROGA “Linee guida cliniche per promuovere la cessazione dell’abitudine al fumo” Roma, 2008 73

ROTOLO G, PICOZZI G “Acudetox” Collana Terapie Naturali, Franco Cerati Ed., Milano 1997 74

MAHMUD A, FEELY J. “Effect of smoking on arterial stiffness and pulse pressure amplification”

Hypertension. 2003

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50

20 minuti

Pressione e polso ritornano normali.

Migliora la circolazione dei piedi e delle mani, normalizzando anche la

temperatura.

8 ore I livelli di ossigeno nel sangue ritornano normali.

La probabilità di infarto iniziano a ridursi.

24 ore Il monossido di carbonio viene eliminato dall’organismo.

Muco e altri detriti iniziano a essere rimossi dal polmone.

48 ore La nicotina non è più rintracciabile nell’organismo.

Migliorano l’olfatto e il gusto.

72 ore La respirazione migliora per la dilatazione delle vie bronchiali.

Aumentano le energie.

2 settimane Migliora la circolazione dell’organismo, rendendo meno faticoso camminare.

3 mesi

I problemi respiratori quali tosse, mancanza di fiato e respiro sibilante

mostrano miglioramenti.

La funzione respiratoria migliora.

5 anni Il rischio di infarto è circa dimezzato rispetto a un fumatore.

Tabella 5 Effetti benefici dell'astensione al fumo

Tratto da American Cancer Society “When smokers quit – what are the benefits over time?” 2014

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CAPITOLO III

IL RUOLO DELL'INFERMIERE NELL'AMBITO DEL CHRONIC

CARE MODEL

Scrutando gli scenari futuri, si scopre che il modello tradizionale di assistenza sanitaria

(biomedico, paternalista, basato sull’attesa e focalizzato sull’assistenza alle patologie acute) è

sempre meno in grado di affrontare con successo le sfide di una realtà in rapido cambiamento.

Lo status quo non è più sostenibile: se si vuole soddisfare il bisogno di salute degli utenti negli

anni a venire, bisogna produrre un cambiamento radicale nella qualità, nell’organizzazione e

nell’erogazione dei servizi75

.

3.1 IL CAMBIAMENTO DI PARADIGMA: DALLA SANITÀ DI ATTESA ALLA

SANITÀ DI INIZIATIVA

Le strategie per affrontare adeguatamente le malattie croniche sono ben diverse da quelle attuate

per la malattie acute: richiedono un diverso ruolo delle cure primarie basato sulla medicina

d’iniziativa ed un’attenzione del tutto particolare nei confronti dei determinanti sociali della salute.

Il paradigma dell’attesa è quello tipico delle malattie acute: attesa di un evento su cui intervenire,

su cui mobilitarsi per risolvere il problema.

SANITÀ D’ATTESA SANITÀ D’INIZIATIVA

Centrata sulla malattia Centrata sulla persona

Basata sull’ospedale e sulle attività

specialistiche Basata sulle cure primarie

Focus sugli individui Focus sui bisogni della comunità

Reattiva, guidata dai sintomi Proattiva, pianificata

Focalizzata sulla terapia Focalizzata sulla prevenzione

Tabella 6 Cambiamento di paradigma Tratto da PAN AMERICAN HEALTH ORGANIZATION “Innovative care for chronic conditions” 2013

75

FEDERAZIONE ITALIANA MEDICI DI MEDICINA GENERALE “La Ri-Fondazione della Medicina

Generale” Consiglio Nazionale FIMMG, Roma, 2007

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Applicare alle malattie croniche il paradigma assistenziale delle malattie acute, provoca danni

incalcolabili. Ciò significa che il sistema si mobilita davvero solo quando il paziente cronico si

aggrava, si scompensa, diventa finalmente un paziente acuto; significa, inoltre, rinunciare non

solo alla prevenzione, alla rimozione dei fattori di rischio, ma anche al trattamento adeguato

della malattia cronica di base (Tabella 6).

L’attesa è il paradigma classico del modello biomedico di sanità, quello su cui si fonda il sistema

sanitario; e non deve stupire che sia il paradigma dominante anche nell’ambito della sanità

distrettuale.

Il paradigma dell’iniziativa è quello che meglio si adatta alla gestione delle malattie croniche

perché i suoi attributi sono:

La valutazione dei bisogni della comunità e l’attenzione ai determinanti della salute

(anche quelli cosiddetti “distali”, ovvero quelli socioeconomici, che sono alla base delle

crescenti diseguaglianze nella salute, anche sul versante dell’utilizzazione e qualità dei

servizi, nei portatori di malattie croniche);

La propensione agli interventi di prevenzione, all’utilizzo di sistemi informativi ed alla

costruzione di database, alle attività programmate ed agli interventi proattivi (es. costruzione

di registri di patologia, stratificazione del rischio, richiamo programmato dei pazienti, etc.)

Il coinvolgimento e la motivazione degli utenti, l’attività di counselling individuale e di

gruppo, l’interazione con le risorse della comunità (associazioni di volontariato, gruppi di

auto aiuto, etc.)76

.

La sanità d’iniziativa, con le caratteristiche sopra descritte, è quella che meglio si adatta alla

gestione della sanità distrettuale in generale e delle malattie croniche in particolare, dove

l’assistenza è per la gran parte “estensiva” e caratterizzata dalla presa in carico a lungo

termine, dove il valore aggiunto dei processi di cura è rappresentato dalla capacità di

presidiare la continuità delle cure e dalla qualità delle relazioni che si stabiliscono tra

servizio e utenti, tra professionista della salute e paziente77

.

Lo sviluppo della sanità di iniziativa si basa: su un nuovo modello assistenziale per la presa

in carico “proattiva” dei cittadini e su un nuovo approccio organizzativo che assume il

bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia, o prima che essa si manifesti o si

76

DAVIS K, SCHOENBAUM SC, AUDET AM “A 2020 vision of patient-centered primary care” Journal of

General Internal Medicine, Vol.20, 2005 77

DE MAESENEER J, WILLEMS S, DE SUTTER A, VAN DE GEUCHTE I, BILLINGS M. “Primary health

care as a strategy for achieving equitable care: a literature review commissioned by the Health Systems

Knowledge Network”. Health Systems Knowledge Network – WHO, 2007

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aggravi, prevedendo ed organizzando le risposte assistenziali adeguate.

Tale processo riguarda in maniera integrata i percorsi ospedalieri, la presa in carico del

cittadino da parte del territorio, la integrazione multidisciplinare dei professionisti e la

valutazione multidimensionale del bisogno.

Pertanto, l’obiettivo strategico consiste in: un nuovo approccio organizzativo che assume il

bisogno di salute prima dell’insorgere della malattia e che organizza un sistema che

accompagna il cittadino, favorendo lo sviluppo di condizioni che permettono di mantenere il

livello di salute il più alto possibile; un sistema capace di gestire, rallentandone il decorso, le

patologie croniche ed anche di affrontare con efficacia l’insorgenza di patologie acute.

Risulta determinante, dunque, ripensare i modelli organizzativi, puntando a definire

contenuti assistenziali integrati in un contesto organico di ruoli e funzioni, rimuovendo gli

ostacoli all’integrazione dei professionisti78

.

In questa ottica assume una particolare valenza la capacità del sistema di farsi carico della

promozione della salute attraverso opportune iniziative di prevenzione primaria, quali

l’adozione di corretti stili di vita ed in particolare l’attenzione all’esercizio della attività fisica,

di corrette abitudini alimentari e di eliminare il consumo di tabacco che debbono comunque

essere viste non solo come strumento di prevenzione, ma anche come indispensabile sussidio

alle terapie nella gestione della patologia nel caso di insorgenza della stessa.

Nella filosofia di adozione del modello, la prevenzione secondaria e gli screening in particolare,

dovranno avere un ruolo primario nella diagnosi precoce di molte patologie croniche79

.

78

STARFIELD B, SHI L, MACINKO J. “Contribution of primary health care to health systems and health”

Milbank Q. 2005 79

MINISTERO DELLA SALUTE “Piano sanitario nazionale 2011-2013” Roma, 2010

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3.2 IL CRONICAL CARE MODEL

La gestione dell’incremento della prevalenza di cronicità rappresenta uno dei problemi

sanitari e sociali più rilevanti che le società così dette evolute debbono affrontare; con

l’aumento della speranza di vita della popolazione, la diffusione e la presenza delle malattie

croniche sono in continuo aumento.

Attualmente i 4/5 delle prestazioni sanitarie sono richieste per il trattamento della cronicità

ed i 2/3 dei ricoveri sono ad esse attribuibili; alcuni studi predittivi stimano che nel 2020

circa il 60% della popolazione sarà affetto da patologie croniche.

La sanità di iniziativa, intesa come modello assistenziale per la presa in carico, nell’ambito delle

malattie croniche costituisce un nuovo approccio organizzativo che affida alle cure primarie

l’ambizioso compito di programmare e coordinare gli interventi a favore dei malati cronici15

.

Il capostipite dei modelli innovati di assistenza è il Chronic Care Model (CCM), sviluppato

dai ricercatori del MacColl Institute for Healthcare Innovation, guidati da E.H.Wagner. Il

modello fu testato in vari setting assistenziali e venne quindi sviluppato attraverso un

programma nazionale: "Improving Chronic Illness Care" (ICIC).

Il Chronic Care Model individua in modo puntuale le variabili fondamentali che rendono

possibile un approccio sistemico alle malattie croniche; sistemico in quanto muove tutte le leve

organizzative ed operative per promuovere un approccio appropriato da parte degli operatori.

Il presupposto di questo modello è che, per essere efficaci, efficienti ed attenti ai bisogni globali

dei pazienti, è necessario anche l’impegno di tutto il sistema organizzativo; infatti, il disegno del

CCM pone, in un unico quadro d’insieme, tutti quei fattori organizzativi ed operativi del sistema

sanitario e della comunità che risultano predisponenti per l’azione efficace delle persone (gli

operatori ed i pazienti) dalle cui attività scaturiscono i risultati attesi80

.

Per garantire una buona assistenza al paziente cronico, questo modello deve essere fondato

su sei elementi fondamentali:

1. Le risorse della comunità. Per migliorare l’assistenza ai pazienti cronici le organizzazioni

sanitarie devono stabilire solidi collegamenti con le risorse della comunità: gruppi di

volontariato, gruppi di auto aiuto, centri per anziani autogestiti.

2. Le organizzazioni sanitarie. Una nuova gestione delle malattie croniche dovrebbe entrare

a far parte delle priorità degli erogatori e dei finanziatori dell’assistenza sanitaria. Se ciò

80

WAGNER EH. “Chronic disease management: what will it take to improve care for chronic illness?” Eff.

Clin. Pract. 1998

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non avviene, difficilmente saranno introdotte innovazioni nei processi assistenziali e

ancora più difficilmente sarà premiata la qualità dell’assistenza.

3. Il supporto all’auto-cura. Nelle malattie croniche il paziente diventa protagonista attivo dei

processi assistenziali. Il paziente vive con la sua malattia per molti anni; la gestione di

queste malattie può essere insegnata alla maggior parte dei pazienti e un rilevante segmento

di questa gestione – la dieta, l’esercizio fisico, il monitoraggio (della pressione, del glucosio,

del peso corporeo, etc.), l’uso dei farmaci – può essere trasferito sotto il loro diretto

controllo. Il supporto all’auto-cura significa aiutare i pazienti e le loro famiglie ad acquisire

abilità e fiducia nella gestione della malattia, procurando gli strumenti necessari e valutando

regolarmente i risultati e i problemi.

4. L’organizzazione del team. La struttura del team assistenziale (medici di famiglia,

infermieri, educatori) deve essere profondamente modificata, introducendo una chiara

divisione del lavoro e separando l’assistenza ai pazienti acuti dalla gestione programmata ai

pazienti cronici. I medici trattano i pazienti acuti, intervengono nei casi cronici difficili e

complicati e formano il personale del team. Il personale non medico è formato per

supportare l’auto-cura dei pazienti, per svolgere alcune specifiche funzioni (test di

laboratorio per i pazienti diabetici, esame del piede, etc.) e assicurare la programmazione e

lo svolgimento del follow-up dei pazienti. Le visite programmate sono uno degli aspetti più

significativi del nuovo disegno organizzativo del team.

5. Il supporto alle decisioni. L’adozione di linee-guida basate sull’evidenza forniscono al team

gli standard per fornire un’assistenza ottimale ai pazienti cronici. Le linee-guida sono

rinforzate da un’attività di sessioni di aggiornamento per tutti i componenti del team.

6. I sistemi informativi. I sistemi informativi computerizzati svolgono tre importanti funzioni: come

sistema di allerta che aiuta i team delle cure primarie ad attenersi alle linee-guida; come

feedback per i medici, mostrando i loro livelli di performance nei confronti degli indicatori delle

malattie croniche, come i livelli di emoglobina A1c e di lipidi; come registri di patologia per

pianificare la cura individuale dei pazienti e per amministrare un’assistenza “population-based”.

I registri di patologia – una delle caratteristiche centrali del Chronic Care Model – sono liste di

tutti i pazienti con una determinata condizione cronica in carico a un team di cure primarie81

.

81

BODENHEIMER T, WAGNER EH, GRUMBACH K. “Improving primary care for patients with chronic

illness” Journal of the American Medical Association, 2002

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56

Figura 8 Chronic Care Model

Tratto da WAGNER EH. “Chronic disease management: what will it take to improve care for chronic illness?”

Eff. Clin. Pract. 1998

Le sei componenti del Chronic Care Model sono interdipendenti, costruite l’una sull’altra

(Figura 8). Le risorse della comunità aiutano i pazienti ad acquisire abilità nell’auto-gestione. La

divisione del lavoro all’interno del team favorisce lo sviluppo delle capacità di addestramento

dei pazienti all’auto-cura da parte degli infermieri. L’adozione di linee-guida non sarebbe

attuabile senza un potente sistema informativo che funziona da allerta e da feedback dei dati.

Come obiettivo finale, il Chronic Care Model (CCM) vede un paziente informato che

interagisce con un team preparato e proattivo, con lo scopo di ottenere cure primarie di alta

qualità, un’utenza soddisfatta e miglioramenti nello stato di salute della popolazione.

Il CCM è stato adottato dall’OMS e largamente introdotto nelle strategie d’intervento dei sistemi

sanitari di diversi paesi, dal Canada all’Olanda, dalla Germania al Regno Unito82

.

Un gruppo di ricercatori canadesi ha proposto una versione Expanded del Chronic Care Model,

in cui gli aspetti clinici sono integrati da quelli di sanità pubblica, quali la prevenzione primaria

82

MACIOCCO G. “Assistere le persone con condizioni croniche” Redazione Salute Internazionale, 2011

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collettiva e l’attenzione ai determinanti della salute; gli outcome non riguardano solo i pazienti,

ma le comunità e l’intera popolazione (Figura 9)83

.

Figura 9 Expanded Chronic Care Model

Tratto da BARR VJ ET AL. “The expanded chronic care model: An integration of concepts and strategies from

Population Health Promotion and the Chronic Care Model” Healthcare Quarterly 2003

3.3 LA STRATIFICAZIONE DELLA POPOLAZIONE PER LA

PERSONALIZZAZIONE DELLA CURA

La personalizzazione della cura, considerata sia nei suoi aspetti clinici (la cura più

appropriata nel paziente giusto) sia nei suoi aspetti personali (persona portatrice di bisogni

globali, non solo clinici), è un aspetto fondamentale per la gestione dei pazienti con

patologie a lungo termine.

Kaiser Permanente, organizzazione sanitaria integrata no profit in numerose regioni degli

Stati Uniti, ha integrato il modello del Chronic Care Model di Ed Wagner con una

particolare attenzione alla stratificazione del rischio ed una differenziazione delle strategie

83

BARR VJ, ROBINSON S, MARIN-LINK B, UNDERHILL L, DOTTS A, RAVENSDALE D, SALIVARAS

S. “The expanded chronic care model: An integration of concepts and strategies from Population Health

Promotion and the Chronic Care Model” Healthcare Quarterly, 2003

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58

d’intervento in relazione ai differenti livelli di rischio. La stratificazione dei rischi, delineata

nella Figura 10, permette di inquadrare la stadiazione (il grado di avanzamento e di

compenso) della patologia cronica e di delineare il percorso di cura più appropriato per il

singolo paziente.

Figura 10 Il triangolo di stratificazione del rischio

Tratto da MACIOCCO G. “Assistere le persone con condizioni croniche” Redazione Salute Internazionale, 2011

Per la stratificazione è opportuno che si utilizzino non solo i parametri tipici dei processi di

stadiazione clinica (disease staging), ma anche metodi per valutare le potenzialità del

paziente di acquisire e utilizzare strumenti di autogestione della propria patologia e della

propria cura. La promozione della salute posta alla base del Triangolo di stratificazione del

rischio dovrebbe, quindi, essere vista come uno strumento non solo di prevenzione primaria,

ma di supporto alla cura dei pazienti cronici a qualsiasi stadio evolutivo di malattia.

Nella stratificazione da utilizzare per i programmi di governo clinico, quindi, vi è la

necessità di contemplare sia variabili cliniche sia variabili non-cliniche di complessità.

Si considerino, ad esempio, alcune problematiche socio-familiari che possono aggravare il quadro

di complessità assistenziale, malgrado uno stadio non molto avanzato di malattia. Secondo un tale

approccio, la decisione sul grado di complessità dovrebbe essere il risultato di una somma

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59

ponderata di fattori concorrenti, clinici (stadio della malattia) e non clinici (rete di supporto socio-

familiare, potenzialità effettive del paziente nei programmi di self care). Il risultato di un tale

processo sarà un piano di cura effettivamente personalizzato rispetto ai fabbisogni assistenziali e

alle caratteristiche e potenzialità del paziente e della sua rete di sostegno84

.

La stadiazione della patologia rappresenta in ogni caso una funzione indispensabile per tutti

quegli interventi di sanità pubblica e di rifunzionalizzazione dei servizi che si prefiggano di

rivedere il funzionamento dell’organizzazione complessiva dell’assistenza all’interno del

sistema relativamente all’appropriatezza del percorso assistenziale nei suoi aspetti clinici e nei

suoi aspetti organizzativi. La suddivisione dei pazienti in sub-popolazioni (sub-target)

omogenee per fabbisogno assistenziale permette, infatti, di poter delineare percorsi

assistenziali mirati e personalizzati85

.

3.4 UN APPROCCIO MULTIPROFESSIONALE PER COMBATTERE LA

CRONICITÀ

I pazienti cronici necessitano di un livello di supporto molto elevato all'interno della loro

comunità per mantenere al meglio il proprio stato di salute ed i livelli di funzionalità quanto

più a lungo possibile. Necessitano di abilità di auto-cura per gestire i problemi a domicilio,

unitamente ad un'assistenza proattiva, integrata, progettata e gestita in modo da anticipare i

loro bisogni, cosicché qualsiasi cambiamento o deterioramento delle loro condizioni possa

essere rapidamente affrontato prima che si trasformi in una situazione acuta.

Nel modello del Chronic Care Model la gestione delle patologie croniche è affidata ad un team

multiprofessionale costituito da Medici di Medicina Generale, Infermieri e altri professionisti

della salute, che opera in maniera integrata sulla base delle proprie specifiche competenze.

L’attuale sistema italiano delle cure primarie presenta una serie di criticità che impediscono

una risposta effettiva a tale esigenza, sia a livello clinico gestionale (presa di contatto tardiva

con i pazienti quasi sempre per il trattamento di disturbi acuti, scarsa attenzione alla

prevenzione, poca abitudine alla programmazione delle cure e affidamento delle stesse al

solo medico, disarticolazione dei sistemi di raccolta delle informazioni) sia a livello di

follow-up (scarsa attenzione al coordinamento delle attività ed alla comunicazione interna)

sia a livello di empowerment del paziente (il paziente non è abbastanza informato sulla

84

NOTO G. RASCHETTI R. MAGGINI M. “Gestione integrata e percorsi assistenziali” Il Pensiero

Scientifico Editore. Roma, 2011 85

PAN AMERICAN HEALTH ORGANIZATION “Innovative care for chronic conditions” Washington, DC. 2013

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60

propria patologia per poter orientare consapevolmente il proprio comportamento e

condividere il percorso di cura)86

.

L’evoluzione organizzativa prospetta, dunque, il superamento delle suddette criticità tramite

modalità innovative di lavoro che prevedono l’adozione di cartelle cliniche informatizzate e

condivise, la pianificazione individuale delle cure, l’educazione dei pazienti al self

management e la condivisione dei percorsi di cura, lo sviluppo di competenze gestionali e

l’utilizzo continuo dell’audit nell’ambito del team, senza dimenticare l’opportunità della

disponibilità di adeguate risorse ambientali.

L’utilizzo di tali strumenti consente al team assistenziale di disporre di informazioni complete

sui pazienti, ma anche di sistemi di supporto decisionale e di risorse (umane e tecnologiche)

per poter adottare i necessari interventi di assistenza e prevenzione, pianificare ed effettuare

prestazioni secondo la migliore pratica clinica, offrire servizi di case management e supporto

all’auto-cura tramite personale appositamente formato, assicurare il follow-up ed il

coordinamento delle cure, definendo a tal fine la distribuzione dei compiti al proprio interno87

.

La supervisione sulle attività spetta al MMG, quale figura che, pur nell’ambito di un team

assistenziale incaricato di attuare un innovativo modello di gestione della cronicità,

mantiene comunque un’evidente centralità connessa al rapporto di fiducia e di libera scelta

che intrattiene con il cittadino utente ed al servizio di diagnosi, cura e relazione col paziente

che egli continua ad esercitare88

.

Se da un lato, dunque, il MMG mantiene il ruolo di responsabile clinico del team e del

paziente, dall’altro lo svolgimento delle articolate attività previste dai percorsi assistenziali,

per il livello di specificità e l’impegno richiesto, presuppone la valorizzazione delle

competenze dei professionisti sanitari dell’assistenza e della riabilitazione ed il pieno

coinvolgimento degli operatori socio sanitari nell’ambito del team. In particolare, l’infermiere

viene ad assumere autonomia e responsabilità per funzioni specifiche attinenti alla gestione

assistenziale del paziente (sulla base di protocolli condivisi e coerenti con i percorsi

assistenziali designati). Spetta a tutti i professionisti coinvolti la responsabilità dei risultati

complessivi dell’attività clinica e assistenziale del team sul quale è tenuto ad intervenire

qualora si evidenzino criticità nel rapporto con il cittadino. Peraltro, una volta ridefinito il

86

MACIOCCO G. “Cure Primarie: storia e prospettive”, Prospettive sociali e sanitarie n.3, 2008. 87

QUADERNI DEL MINISTERO DELLA SALUTE “Criteri di appropriatezza clinica, tecnologica e

strutturale nell’assistenza del paziente complesso” Ministero della Salute, Roma, 2013 88

IANIRO G. BARASSI L. “La gestione del paziente cronico nel setting della continuità assistenziale” 2012

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ruolo dell’infermiere e di tutti i professionisti impegnati nei percorsi assistenziali, occorre

comunque considerare la necessità di garantire le funzioni di assistenza alla persona nei casi di

non autosufficienza o laddove risulti comunque necessario89

.

Nella logica di un modello assistenziale che guarda al paziente come parte di una comunità e

nella conseguente necessità di associare una prospettiva di sanità pubblica a quella clinica

del MMG, il team assistenziale viene ad essere affiancato e valutato dal medico di comunità

quale figura deputata all’organizzazione dei servizi alla collettività attraverso l’analisi dei

bisogni di salute, l’attivazione della rete dei professionisti, la costruzione di alleanze con le

istituzioni, il monitoraggio dei risultati e la valutazione delle risorse necessarie, in una veste

di vero e proprio manager del sistema, ovvero community manager.

La sinergia tra gli strumenti del team e l’organizzazione di una rete assistenziale intorno al

cittadino da parte del community manager, dà come risultato un paziente informato e

consapevole del proprio ruolo di self-manager, in grado di condividere il proprio percorso di

cura con il team assistenziale, di identificare ed affrontare responsabilmente eventuali

ostacoli, ma anche di non isolarsi e di avvalersi di risorse disponibili a livello di comunità

per il mantenimento o il miglioramento del proprio stato di salute90

.

3.5. L'INFERMIERE CARE MANAGER

Elemento centrale del Chronic Care Model è il focus su pazienti, famiglie e comunità informati,

motivati e supportati da un team altrettanto bene informato, motivato e collaborativo. Gli

infermieri si trovano in prima linea nella teoria e nella pratica per quanto riguarda informare ed

educare i pazienti; costruire relazioni con loro, con i caregiver e con le comunità; garantire la

continuità assistenziale; utilizzare la tecnologia per far progredire l'assistenza91

; supportare

l'aderenza nelle terapie a lungo termine; promuovere la pratica collaborativa92

.

Qualsiasi sia il modello assistenziale utilizzato, gli infermieri sono l'elemento chiave e

devono possedere le conoscenze, le capacità e gli attributi necessari per dare appieno il

proprio contributo.

89

INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES “Delivering Quality, Serving Communities: Nurses Leading

Chronic Care” Geneva, 2010 90

GIUSTINI SAFFI E. “La sanità d’iniziativa nel Chronic Care Chronic Care Model - Un approccio

multidisciplinare e multiprofessionale per combattere le cronicità” Istituto Superiore Sanità, 2013 91

INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES. “International Competencies for Telenursing” Geneva, 2007 92

INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES. “Collaborative Practice in the 21st Century” Geneva, 2004

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Sono necessari programmi di formazione e addestramento che dotino gli infermieri e le altre

figure sanitarie degli strumenti adatti per affrontare il cambiamento del peso della malattia.

Il tipo di formazione e di addestramento richiesto porta da sé ad un approccio multidisciplinare

ed interdisciplinare. Per garantire a tutti coloro che sono colpiti da patologie croniche la

disponibilità di un'assistenza completa e l'accesso a cure specialistiche quando necessario93

.

Il documento “Nursing Care Continuum Framework and Competencies” si basa sul quadro

di riferimento dell’ Internetional Council of Nurses (ICN) delle competenze dell’ infermiere

e rappresenta un solido riferimento per garantire che lungo il continuum assistenziale si

sviluppino conoscenze, abilità, attributi e competenze adeguati82

. La sfida, come sempre, è

di determinare gli elementi comuni all'assistenza ed alla gestione della cronicità che devono

essere applicati attraverso la continuità assistenziale e le specifiche conoscenze

specialistiche richieste per le comorbilità e le situazioni complesse. I confini sono tracciati in

termini di pratica specialistica, saranno determinati a livello locale e nazionale al fine di

utilizzare al meglio le risorse disponibili per soddisfare i bisogni sanitari delle popolazioni

locali. ICN fornisce un quadro di riferimento delle competenze per gli infermieri che

lavorano anche in ruoli di specialità clinica94

Le competenze richieste agli infermieri care manager per prevenire e gestire le patologie

croniche comprendono:

La partecipazione ad attività collegate al miglioramento dell'accesso alla gamma di

servizi richiesti ad una sanità efficiente.

Il rispetto del diritto del cliente all'informazione, alla scelta ed all'autodeterminazione

nell'assistenza infermieristica e sanitaria.

Il dimostrare integrità professionale, correttezza e condotta etica in risposta alle strategie

di mercato.

L'agire come risorsa di informazione e formazione per i clienti che cercano di migliorare

il proprio stile di vita, adottare attività di prevenzione della malattia/danno e di

accettazione e adattamento al cambiamento di salute, alla disabilità e alla morte .

93

INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES “Nursing Care Continuum Framework and Competencies”

Geneva, 2008 94

INTERNATIONAL COUNCIL OF NURSES “Framework of Competencies for the Nurse Specialist”

Geneva, 2009

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Il riconoscere le opportunità per fornire una guida/educazione ai singoli, alle famiglie ed

alle comunità per incoraggiarli ad adottare attività di prevenzione della malattia e di

mantenimento di stili di vita sani.

Lo scegliere strategie di insegnamento/apprendimento adeguati ai bisogni e alle

caratteristiche dell'individuo o del gruppo.

Il cooperare con altri professionisti, con la comunità e con gruppi di interesse

specialistico ad attività per ridurre la malattia e promuovere stili di vita ed ambienti sani

in aree importanti per la pratica specialistica.

L’inserire nella pratica una prospettiva che tenga conto dei molteplici determinanti della

salute.

Il lavorare collaborativamente con altri professionisti dell'assistenza per favorire l'accesso

ai servizi - infermieristici e non - da parte dei clienti.

Gli infermieri care manager assumono il ruolo di guida nella gestione della cronicità96

.

3.5.1. LA STRATEGIA DELL'EMPOWERMENT E DEL SELF-MANAGMENT

Empowerment significa: incaricato; qualificato. In ambito medico è appropriata la

definizione di Feste ed Anderson che lo spiegano come un processo educativo finalizzato ad

aiutare gli utenti a sviluppare le conoscenze, le capacità, le attitudini e il grado di

consapevolezza necessari ad assumere efficacemente le responsabilità delle decisioni

attinenti la propria salute95

.

Come si deduce dalla definizione si tratta di un approccio alla gestione delle cure

prettamente educativo, nel quale il paziente è soggetto di conoscenza e di azione

responsabile riguardo alle proprie problematiche di salute.

L’ empowerment, come approccio ai problemi di salute, ha dimostrato di essere un efficace

strategia per la cura delle patologie croniche in quanto coinvolge il paziente nelle decisioni

riguardanti la propria salute e nella gestione delle proprie condizioni.

Il concetto di empowerment trae la sua origine dall’elaborazione del pedagogista Paulo

Freire. Egli distingue due approcci fondamentali all’educazione: l’approccio depositario e

quello problematizzante. Nel primo, il docente deposita un corpo definito ti conoscenze

nella mente del discente ignorante. Nel secondo, i discenti sono rispettati come uguali e,

partendo dalla loro esperienza, gli educatori devono principalmente fornire gli strumenti per

95

FESTE C. ANDERSON R.M. “Empowerment:from Philosophy to Practice. Patient Education Counselling” 1995

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aiutarli ad analizzare la loro situazione e a definire un loro proprio piano d’azione96

. Quando

una persona ha coscienza di un problema, agisce in accordo con quanto ha compreso;

quando il problema è identificato e inteso, il soggetto accetta la sfida di formulare un’ipotesi

sulle possibili cause; considera diverse soluzioni e prende una decisione su come agire.

L’azione corrispondente al livello di coscienza ed al tipo di comprensione; se la

comprensione dei fatti è critica, anche l’azione sarà critica e consapevole97

.

Inoltre Freire sottolinea che l’educazione orientata alla formazione della coscienza critica

esige ascolto e dialogo paritario poiché l’obiettivo non è soltanto quello di fornire

informazioni, ma di mettere l’individuo nelle condizioni di definire i problemi, trovare le

soluzioni ed affrontare efficacemente l’impatto del cambiamento. Ciò presuppone la

reciprocità dell’atto fiduciario tra utente e professionista della salute.

L’affermazione di Freire “non c’è dialogo senza umiltà” evidenzia che la partnership richiede

che sia l’educatore che il discente interagiscano tra di loro come uguali, che l’atto fiduciario

sia reciproco e non unidirezionale: da una parte, nella capacità di formare del professionista

esperto, dall’altra, nella capacità di comprendere consapevolmente e di agire del discente.

L’esperto-discente, quindi, non ha soltanto il compito di trasferire informazioni, ma anche di

favorire l’organizzazione di una struttura della conoscenza capace di mettere in condizione il

paziente-discente d’identificare i propri obiettivi, intraprendere le proprie azioni e

sperimentare il proprio potere.

L’educazione all’ empowerment è disegnata per promuovere l’autogestione, richiede che il

punto di vista dell’utente, i suoi obiettivi, le sue aspettative e i suoi bisogni siano tenuti in

considerazione quando vengono stabiliti gli obiettivi del trattamento.

Un approccio per l’educazione dei pazienti orientata all’empowerment ha tre caratteristiche

distintive:

1. Affrontare sia gli effetti fisiologici che le conseguenze emotive della malattia cronica;

2. Indirizzare le abilità e la fiducia del paziente ad assumere un ruolo attivo nella

individuazione delle soluzioni ai problemi e nell’agire, piuttosto che nell’aderenza alle

prescrizioni;

96

FREIRE P. “Educazione come pratica di libertà” Mondadori - Milano 1967 97

WERNER D. SAUNDERS D. “Questioning the Solution: the politics of primary health care and child

survival” Health Wrights Paperback, 1997

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3. Mettere pazienti e professionisti della salute in una relazione di partnership continuativa

per tutto il corso della malattia e della vita, basato sulla fiducia e sul dialogo98

.

Pertanto, se i sistemi sanitari vogliono incoraggiare i pazienti ad assumere un ruolo attivo di

autogestione, sarà necessario adottare nuovi modelli delle cure che siano più attenti alla

responsabilizzazione dell’utente99

.

Il modello del self-management richiede che i pazienti siano visti come i veri esperti della loro

condizione ed i responsabili finali delle azioni rivolte alla salute. Solo il paziente può

conoscere l’impatto che la malattia ha sulla sua vita.

L’obiettivo dell’educazione al self-management – aiutare il paziente nel padroneggiare sia le

capacità che la fiducia necessarie a gestire la propria salute – può essere adattato ai problemi

del singolo paziente in tutte le fasi di cura e della prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

Dato che la malattia cronica cambia nel tempo solo l’utente che la vive ogni giorno può

valutare i suoi effetti e gli effetti dei trattamenti essendo essi non solo variabili ma anche

strettamente individuali. Mentre l’educazione tradizionale offre informazioni e abilità

tecniche, l’educazione all’autogestione insegna abilità nel problem-solving con approccio

centrato sulla persona100

.

Affinché l’educazione al self-management sia efficace, le cure per il paziente devono essere

coordinate tra i membri del team multiprofessionale del quale il paziente deve essere membro

attivo, avendo la maggiore responsabilità nell’autogestione quotidiana della propria condizione101

.

Le collaborative care rappresentano dunque, a fianco al self-management, l’altra

caratteristica fondamentale dell’approccio tra il team multiprofessionale e l’utente,

finalizzato allo sviluppo di un piano d’azione individuale102

. Ciascun piano d’azione deve

essere adattato all’individuo tenendo in considerazione la cultura, l’età, lo stato di salute e le

aspirazioni personali103

. Sia la ricerca che la pratica dell’ empowerment si giovano

dell’approccio narrativo che unisce la pratica al processo e presta attenzione all’opinione

degli utenti. La sfida di aiutare i pazienti a sviluppare piani di cura individualizzati. è

98

LORING K. “Patient education, a practical approach” Ed. Sage Publications Inc. 2001 99

FUNNEL M. “Helping patient take charge of their chronic illness” Family Practice Management, 2000 100

BODENHEIMER T. LORIG K. HOLMA H. GRUMBACK K. “Patient self-management of chronic

diseases, in primary care” Jam vol. 288. 2002 101

WAGNER E. “The role of patients care teams in chronic disease management” British Medical Journal

vol. 320. 2000 102

M. VON KORFF, J. GRUMAN, J.K. SCHAEFER, S.J. CURRY, E.H. WAGNER, "Collaborative

management of chronic illness", Annals of Internal Medicine 127: 1097-1102. 1997 103

FUNNEL M. “Overcoming obstacles: collaboration for change” European Journal of Endocrinology n.151.

2004

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attribuita all’intero team professionale, in particolare all’infermiere care manager, con il

paziente che ne rappresenta il membro più importante, quello che compirà le azioni104

.

104

RAPPAPORT J. “Empowerment meets narrative: listening to stories and creating settings” Am J

Community Psychol. Vol. 23, n. 5. 1995

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CAPITOLO IV

L’INDAGINE: LA COMUNITÀ CONOSCE E METTE IN PRATICA I

CORRETTI STILI DI VITA ATTI A PREVENIRE LE MALATTIE

CRONICHE?

4.1. OBIETTIVO

Indagare gli stili di vita e le abitudini in una popolazione campione nel territorio

genovese.

4.2. METODOLOGIA

L’indagine è stata preceduta da alcuni step fondamentali.

Si è identificato il territorio del DSS 12 della ASL 3 Genovese in quanto rappresentativo

sia dell’area centrale che periferica, al fine di rendere maggiormente significativo lo

studio rispetto alla popolazione residente. Nel DSS 12 vi sono 147.000 cittadini residenti.

Successivamente sono stati selezionati quattro studi medici associati.

I medici che hanno aderito sono stati 15 su un totale di 124 presenti nel DSS 12.

La popolazione che rappresenta il campione è stata selezionata casualmente durante i tre

mesi dell’indagine tra i pazienti che afferivano agli studi medici con età compresa tra i 25 e i

65 anni. La popolazione campione di riferimento coinvolta è risultata essere di 400 cittadini.

I MMG sono stati contattati singolarmente ed è stata chiesta loro la possibilità di un

colloquio per poter illustrare il lavoro ed ottenere l’autorizzazione.

L’autorizzazione richiedeva la possibilità di somministrare il questionario (Allegato 1) dal

titolo “La comunità conosce e mette in pratica i corretti stili di vita atti a prevenire le

malattie croniche?” ai pazienti che attendevano nelle sale d’aspetto degli studi con la

presenza del rilevatore.

L’attività si è svolta nel periodo dal 4 maggio al 24 luglio 2015, durante gli orari di presenza

negli studi dei medici che ne hanno autorizzato l’indagine per un totale di 350 ore. La

rilevazione è stata effettuata in 55 giornate dal lunedì al venerdì. È stata privilegiata la fascia

oraria pomeridiana in quanto vi era la presenza di un maggior numero di utenti che

rientravano nei criteri del campione (dai 25 ai 65 anni).

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Ad ogni cittadino eleggibile, secondo i criteri sopra citati, si è chiesta l’autorizzazione allo

somministrazione del questionario anonimo e si è provveduto ad illustrargli lo strumento.

La presenza del rilevatore durante la somministrazione del questionario, ha portato notevoli

vantaggi: gli utenti avevano infatti la possibilità di chiedere chiarimenti in caso di dubbi durante

la compilazione ed in molti hanno colto l’occasione per chiedere informazioni in merito alle

corrette abitudini in quanto stimolati a riflettere dalle domande a cui stavano rispondendo.

Nel totale, i questionari consegnati sono stati 400 con una adesione del 100%.

4.2.1 IL QUESTIONARIO

L’indagine è stata effettuata attraverso l’utilizzo del questionario standardizzato (Allegato 1)

dal titolo “La comunità conosce e mette in pratica i corretti stili di vita atti a prevenire le

malattie croniche?”.

Le domande sono state selezionate dai seguenti questionari validati, per poter avere uno

strumento specifico per gli obiettivi dell’ indagine e la popolazione di riferimento:

Istat - Sistema Statistico Nazionale “Indagine statistica multiscopo sulle famiglie –

Aspetti della vita quotidiana”;

PASSI – Progressi delle Aziende Sanitarie della Salute in Italia “Questionario PASSI 2014”;

ISS – Osservatorio Fumo, Alcol e Droghe – OSSFAD “Questionario di valutazione degli

stili di vita”;

Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Fisiologia Clinica “ESPAD-Italia 2014 -

The European School Survey Project on Alcohol and Other Drugs”.

Lo strumento, completamente anonimo ed in cui non vengono trattati dati sensibili, è

composto da 36 domande formulate con risposte auto-ancoranti, a risposta dicotomica e a

risposta multipla.

Il questionario è diviso in sezioni che trattano diverse aree tematiche utili a rilevare le

informazioni fondamentali relative alla vita quotidiana ed alle abitudini degli individui.

I principali contenuti informativi dello strumento sono:

Sezione Dati Generali (5 items: 1, 2, 3, 4, 5) - si hanno informazioni in merito al sesso,

età, titolo di studio, professione, peso ed altezza;

Sezione 1 - Movimento ed attività fisica (8 items: 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13) - si ottengono

notizie in merito al tipo e al tempo che viene dedicato al movimento ed all’attività fisica;

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Sezione 2 - Stili alimentari (8 items: 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21) - vengono raccolte

informazioni in merito al tipo di alimentazione che viene seguita, al numero di pasti ed ai

gruppi alimentari consumati oltre al quantitativo di grassi che viene usato per il

condimento a crudo o per la cottura dei cibi;

Sezione 3 - Consumo bevande (5 items: 22, 23, 24, 25, 26) - è evidenziato il consumo di

bevande non alcoliche (acqua, bevande gassate e bevande zuccherate) e di bevande

alcoliche (birra, vino e superalcolici) durante e fuori i pasti;

Sezione 4 - Consumo di tabacco (4 items: 27, 28, 29, 30) - si selezionano le persone

fumatrici, il quantitativo medio di sigarette fumate nell’arco della giornata, se hanno mai

cercato di smettere di fumare e per quanto tempo;

Sezione 5 - Uso di sostanze psicotrope (2 items: 31, 32) - si indaga il tempo di assunzione

dei psicofarmaci se utilizzati e il numero di occasioni in cui si è fatto uso di sostanze

stupefacenti, suddividendole per tipo (cannabis, allucinogene, psicostimolanti, cocaina e/o

crack ed eroina);

Sezione 6 - Salute (4 items: 33, 34, 35, 36) - si raccolgono informazioni in merito alla

condizioni di salute della persona intervista, da quali eventuali malattie croniche è affetta

e se sente la necessità di avere consigli in merito ai corretti stili di vita.

Il questionario è formulato con un linguaggio volutamente non specialistico, in modo da

essere di facile compressione per tutti gli utenti e riuscire a descrivere gli stili di vita del

soggetto con particolare riferimento alle abitudini che possono influire negativamente sulle

condizioni di salute, ovvero sedentarietà, cattiva alimentazione, consumo di bevande

alcoliche e tabacco ed uso di sostanze psicotrope.

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4.3 DISCUSSIONE DEI DATI

Il campione si presenta fondamentalmente omogeneo: dei 400 soggetti intervistati, 203 sono

di sesso maschile mentre 197 sono donne (Figura 11).

Figura 11 Sesso del campione

Relativamente all’età (Figura 12), si nota che i giovani costituiscono le fasce meno

rappresentative del collettivo esaminato: complessivamente, infatti, gli individui tra i 25 e i

45 anni (suddivisi in due sottogruppi: 25-35 e 35-45) non raggiungono nemmeno un terzo

delle osservazioni totali (32% circa), mentre gli altri due terzi e oltre del campione (68%)

riguardano soggetti di età superiore ai 45 anni, con una maggior concentrazione nella classe

55-65 (161 su 400).

I valori del BMI (Body Mass Index - Indice di Massa Corporea) appaiono invece più

omogenei, con differenze minime tra le varie classi di età: si va infatti da un punteggio

minimo di 23.7 (25-35 anni) a un massimo di 24.6 (35-45 anni); mediamente, pertanto,

l’intero campione è formato da soggetti il cui peso rientra nel range della normalità, con rari

casi di individui obesi, che tuttavia risultano essere soprattutto donne.

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Figura 12 Fasce d'età e indice di massa corporea (BMI)

Il grado di istruzione si attesta, globalmente, su livelli intermedi: circa la metà delle unità

statistiche esaminate possiede un diploma (precisamente il 46% dei casi), ma le persone con

licenza media o addirittura soltanto elementare raggiungono, insieme, un significativo 35%,

mentre i laureati costituiscono, a malapena, circa un quinto del totale (19%): tale

distribuzione dei diversi titoli di studio può essere in parte correlata alla già sottolineata

prevalenza, all’interno del campione, di individui con età compresa tra i 55 ed i 65 anni

(Figura 13).

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Figura 13 Titolo di studio

Per quanto riguarda l’ambito lavorativo, la classe più rappresentata è quella impiegatizia

(29%); circoscritte le professioni maggiormente qualificate (dirigenti e liberi professionisti,

peraltro presenti nel campione in ugual misura) che, tuttavia, contribuiscono per un 12%

complessivo. A fronte di una ridotta quota di disoccupati e di un 14% di pensionati (dati che

confermano nuovamente un’età media spostata verso l’alto), si può pertanto sottolineare

come i lavori di natura intellettuale prevalgano nel complesso su quelli manuali e di maggior

dispendio fisico, costituiti in misura del 16% da operai (Figura 14).

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Figura 14 Professione

Il tempo giornalmente dedicato al movimento appare relativamente limitato nella gran

maggioranza dei casi: addirittura tre quarti delle persone intervistate dichiara

complessivamente, infatti, di camminare al massimo un’ora al dì, ma un terzo esatto di

questi lo fa in realtà per meno di mezz’ora. Soltanto uno scarso 25% di essi dedica più di

un’ora alle passeggiate quotidiane (Figura 15).

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Figura 15 Per quanto tempo cammina al giorno?

Anche per ciò che concerne l’attività fisica, i dati non sono affatto incoraggianti: a

effettuarla con regolarità è un esiguo 13% dei soggetti totali, valore sicuramente

preoccupante soprattutto se ad esso si aggiunge che circa la metà del campione afferma di

non svolgerla mai e il restante 38% la pratica in maniera saltuaria (Figura 16).

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Figura 16 Pratica attività fisica?

L’attività fisica di gran lunga più diffusa tra i 206 individui effettivamente attivi è

rappresentata dalle passeggiate all’aria aperta (134 casi); meno frequenti, ma comunque

praticate da un buon numero di soggetti, sono la corsa (70) e la palestra (62). In coda, con

valori pressoché identici, gli sport di squadra (36) e il nuoto (35) (Figura 17). Per quanto

riguarda la frequenza settimanale con cui tali attività vengono effettuate, molto pochi sono

coloro che fanno sport ogni giorno (un marginale 8% del campione); la quota di chi

concentra lo svolgimento di attività fisiche nel fine settimana supera di poco un quarto del

collettivo totale (27%), mentre la maggior parte dei soggetti intervistati (65%) la distribuisce

durante tutta la settimana, presumibilmente in giorni alternati e spesso per conciliare gli altri

impegni (situazione tipica di pratiche sportive quali la corsa, gli allenamenti in palestra, la

piscina e le partite a calcetto) (Figura 18). La durata giornaliera, invece, è compresa

prevalentemente tra un’ora e due ore (88% cumulativo); solo in rari casi essa è inferiore

all’ora (5%) o superiore alle due (7%) (Figura 19). I dati ottenuti rispecchiano, peraltro,

quella che è la valutazione complessiva degli intervistati sui benefici che l’attività fisica ha

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sulla propria salute: il 42% di essi la reputa indispensabile, ma più della metà (55%) la

ritiene relativamente importante per il benessere psicofisico generale, e alcuni soggetti

(seppur in misura trascurabile pari al 3%) pensano che essa sia addirittura inutile (Figura

20).

Figura 17 Che attività fisica svolge?

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Figura 18 Quanti giorni a settimana?

Figura 19 Per quanto tempo?

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Figura 20 Importanza attività fisica per la salute

Successivamente, l’indagine si è spostata sulle abitudini alimentari degli intervistati,

chiedendo loro, innanzitutto, quanti pasti consumassero quotidianamente: la maggior parte di

essi (43%) ha affermato di non mangiare al di fuori dei 3 pasti di base (colazione, pranzo e

cena), mentre il 31% vi aggiunge uno spuntino e il 14% anche la merenda, arrivando a 5 pasti

al giorno e alimentandosi, quindi, con maggior frequenza durante l’arco delle 24 ore, fattore

molto importante per mantenere più attivo il proprio metabolismo. Infine, l’errata abitudine di

saltare la prima colazione si presenta nel 12% dei casi, rappresentati da coloro che, o per scelta

o per la mancanza di tempo legata ai ritmi e ai turni lavorativi, consumano solamente 2 pasti al

giorno (pranzo e cena), rimanendo pertanto per molte ore a digiuno (Figura 21).

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Figura 21 Numero di pasti al giorno

Sempre per quanto riguarda la colazione, caffè e cornetto rappresentano le due opzioni

preferite, con netta prevalenza del caffè rispetto al cappuccino (299 casi a fronte di 130),

confermando quelle che sono le principali scelte per il primo pasto della giornata, soprattutto

per chi lo consuma fuori casa; sulla tavola dei soggetti intervistati, tuttavia, non mancano

alimenti tradizionali quali latte, biscotti o fette biscottate e cereali. In sostituzione di caffè o

latte si tende a preferire il succo di frutta piuttosto che il tè (103 casi contro 72), mentre più

raro è il consumo di yogurt (50 preferenze) e pane (38) (Figura 22).

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Figura 22 Alimenti consumati durante la colazione

Analizzando invece nel complesso il consumo dei vari gruppi alimentari durante i diversi

pasti della giornata, si notano alcuni aspetti indicativi delle abitudini che i soggetti

intervistati hanno a tavola:

pane, pasta e riso vengono consumati prevalentemente una o più volte al giorno (soprattutto

il pane), in linea con i dettami della dieta mediterranea; quasi nessuno vi rinuncia;

per quanto riguarda la carne, quella bianca (pollo, tacchino, coniglio) è consumata più

spesso rispetto alla rossa (bovini) e a quella di maiale; indipendentemente dal tipo,

tuttavia, pochissimi sono coloro che la mangiano ad entrambi i pasti;

in merito al consumo di pesce, i soggetti che seguono le indicazioni espresse nelle linee

guida dell’INRAN (secondo cui è consigliabile consumare alla settimana 2-3 porzioni di

pesce, sia fresco che surgelato) non raggiungono la metà dei soggetti totali esaminati: il

46% di essi (185 soggetti), infatti, mangia pesce qualche volta alla settimana, ma coloro

che lo consumano meno di una volta alla settimana rappresentano il 34% del campione

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(137 soggetti), e i casi di consumo addirittura nullo riguardano il 9% del collettivo (37

individui), dato peraltro curiosamente identico a quello riguardante i consumatori

quotidiani;

latte e yogurt vengono consumati mediamente una volta al giorno dalla maggior parte

degli intervistati, mentre i formaggi e gli altri latticini sono meno frequenti nei pasti

quotidiani (167 soggetti sui 400 totali li mangiano solo qualche volta a settimana);

relativamente consistente il consumo globale di verdure, ortaggi e patate, in particolar

modo dei primi due gruppi, in misura di una o più porzioni al giorno per la maggioranza

dei soggetti, sebbene vi sia una quota non trascurabile di essi che non ne mangia a

sufficienza; inferiore il consumo di legumi secchi (qualche volta a settimana o meno per

il 76% del campione);

si mangia più frutta fresca che secca. La prima viene consumata una o più volte al dì nel

65% dei casi, molto meno la seconda, maggiormente calorica, (solo 16 soggetti la

mangiano almeno quotidianamente, mentre ben 247 lo fanno qualche volta a settimana o

addirittura meno); soltanto 15 soggetti non consumano mai frutta fresca a fronte di 137

che evitano totalmente quella secca;

si ha un maggior consumo complessivo, in termini di quantità totale, per i dolci

casalinghi rispetto a quelli industriali, sebbene i secondi prevalgano in termini di

frequenza giornaliera o settimanale (Figura 23).

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Figura 23 Il consumo dei diversi gruppi alimentari

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Focalizzando l’attenzione su frutta e verdura, si osserva che la gran parte dei soggetti in

esame ne consuma una o due porzioni al giorno, mentre quasi nessuno supera le tre e vi è

anche una quota (seppur limitata) di individui che rivelano la non buona abitudine di non

consumarne mai, soprattutto frutta (Figura 24).

Figura 24 Porzioni Giornaliere

L’attenzione all’uso del sale nel condire gli alimenti non raggiunge ancora livelli

soddisfacenti, considerando soprattutto la potenziale pericolosità del consumo di cibi troppo

salati per la salute (ipertensione, malattie cardiovascolari, problemi a carico dei reni): solo

un ridotto 21% sostiene di averlo sempre usato con parsimonia, mentre circa la metà dei

soggetti (49%) afferma di aver imparato nel tempo a ridurre le dosi e il restante 30% non se

ne cura affatto (Figura 25).

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Figura 25 Presta attenzione al consumo di sale e di cibi salati?

Nel condimento dei cibi cotti, prevale decisamente l’uso dell’olio d’oliva: solo 5 soggetti

non lo utilizzano, a fronte dei 118 per i grassi e gli altri olii vegetali, dei 149 per il burro e

addirittura dei 331 per lo strutto, e ben 108 persone ne consumano 3 o 4 cucchiai; se ci si

limita a un cucchiaio, tuttavia, gli altri grassi e olii vegetali (200) e il burro (196) tendono ad

essere preferiti all’olio (109) (Figura 26). Per i cibi crudi la situazione di fatto non cambia:

l’olio si conferma nettamente la prima opzione rispetto agli altri condimenti, e il suo uso

oscilla nella quasi totalità dei casi (384 su 400) tra i 10 e i 30 ml (1-3 cucchiai) (Figura 27).

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Figura 26 Quanti cucchiai di grassi usa per la cottura dei cibi?

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Figura 27 Quanti cucchiai di grassi usa per condire a crudo i cibi?

Relativamente alle bevande non alcoliche, innanzitutto il consumo di acqua non rispetta

quelle che sono le necessità quotidiane dell’organismo: 219 soggetti ne bevono una quantità

compresa tra un minimo di mezzo litro e un massimo di 1 litro, soltanto 157 soggetti bevono

una quantità d’acqua compresa tra 1 litro e mezzo e 2 litri, che rispetta il quantitativo

d’acqua da assumere nell’arco della giornata. Sono un numero esiguo, invece, i soggetti che

consumano un quantitativo estremamente inadeguato per le necessità dell’organismo,

ovvero, 23 soggetti ne consumano 1 o 2 bicchieri (quantitativo assolutamente insufficiente)

e un individuo isolato risponde di berne raramente un bicchiere al giorno (dato difficilmente

attendibile ma decisamente preoccupante se reale). Globalmente contenuto il consumo di

bevande gassate (quasi un terzo dei soggetti totali non ne beve mai, sebbene 25 di essi ne

consumi 1 litro o più al giorno), mentre decisamente maggiore è quello di bevande

zuccherate, considerando che soltanto una persona non ne beve mai e ben 105 ne consumano

quotidianamente 2 litri o più (Figura 28).

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Figura 28 Consumo giornaliero di bevande non alcoliche

In merito al consumo di bevande alcoliche, birra e vino sono state messe a confronto durante

e lontano dai pasti, mentre i superalcolici soltanto fuori pasto e ne è emerso quanto segue:

70 soggetti non bevono mai alcolici a digiuno;

in entrambi i casi si consuma più vino che birra, prevalentemente 1 o 2 bicchieri a pasto

(sebbene quasi un quarto dei soggetti ne bevano raramente 1 bicchiere); si rilevano,

tuttavia, alcuni valori preoccupanti, soprattutto nelle abitudini fuori pasto: circa il 15% del

campione totale consuma da 3 a 5 bottiglie di birra, mentre il 34% si attesta tra il mezzo

litro e i 2 litri e oltre, configurando situazioni di vero e proprio abuso (Figura 29 - 30);

il consumo di superalcolici (liquori, amari, aperitivi e cocktails) rientra complessivamente

nella norma: più della metà dei soggetti totali ne beve al massimo un bicchiere, e di questi

119 li evitano del tutto. Circoscritti ma comunque degni di considerazione i casi in cui si

eccede nel consumo (44 persone ne bevono tra i 4 e i 6 bicchieri) (Figura 31).

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Figura 29 Consumo di birra durante e fuori i pasti

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Figura 30 Consumo di vino durante e fuori i pasti

Figura 31 Consumo di superalcolici

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Il consumo di tabacco resta un’abitudine tanto nociva quanto radicata: il 70% dei soggetti

fuma o ha fumato in passato, e di costoro il 43% lo fa tutt’oggi, mentre solo il 30% ha

affermato di non averlo mai fatto (Figura 32). Tra i 109 fumatori attuali, il numero di

sigarette giornaliere che prevale si attesta tra le 16 e le 20, talvolta anche superandole (16%

dei casi); i fumatori occasionali (meno di 5 sigarette quotidiane) sono il 14% (Figura 33).

I soggetti che fumano si dividono quasi equamente tra chi ha provato a smettere e chi invece

non ha intenzione di farlo, con una lieve prevalenza dei primi (57 soggetti, pari al 52% del

totale) sui secondi (Figura 34); i tentativi sono tutti relativamente recenti: il 37% dei fumatori

ha intrapreso questa strada da meno di dodici mesi, mentre i rimanenti sono tutti compresi in

un arco temporale che va da un minimo di un anno (la maggior parte di essi) ad un massimo di

tre; nessuna delle persone interrogate sta tentando di smettere da più di tre anni (Figura 35).

Figura 32 Lei attualmente fuma?

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Figura 33 Quante sigarette fuma al giorno?

Figura 34 Ha mai cercato di smettere di fumare?

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Figura 35 Se ha cercato di smettere di fumare, per quanto tempo?

Il ricorso a psicofarmaci (ansiolitici, ipnotici, antidepressivi) è una realtà globalmente meno

circoscritta di quanto si vorrebbe, ed evidenzia la diffusione di disturbi cognitivo-

comportamentali o di psicopatologie più gravi nella popolazione: la percentuale di soggetti

che hanno ammesso di farne o di averne fatto uso supera la metà (57% complessivo); di

questi, il 23% li utilizza in maniera occasionale, mentre il 29% segue o ha seguito terapie di

durata pari a tre settimane o superiore (Figura 36).

Il consumo di altre sostanze psicotrope quali i vari tipi di droghe, invece, appare molto

limitato: sono pochissimi, infatti, coloro che hanno ammesso di aver provato sostanze

allucinogene o psicostimolanti piuttosto che cocaina, crack o eroina (tra queste nessuna

viene consumata da una quota di soggetti complessivamente superiore al 13%,

indipendentemente dal numero di volte); soltanto l’uso di cannabis fa rilevare valori

lievemente più significativi: 124 soggetti l’hanno fumata almeno una volta nella propria vita,

e tra questi 16 ne fanno presumibilmente un uso continuativo. Ad ogni modo, è difficile

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valutare efficacemente questi dati, poiché si teme che vi sia stato un certo grado di

autocensura da parte degli intervistati, data la delicatezza del quesito: il rischio, pertanto, è

che le risposte relative al consumo globale di droghe siano state solo in parte sincere e

soggette ad omissioni, e quindi poco attendibili (Figura 37).

Figura 36 Ha mai assunto psicofarmaci?

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Figura 37 Consumo di sostanze stupefacenti

Indagando approfonditamente sullo stato di salute dei vari soggetti, è emerso che il numero

di affetti da patologie croniche o di lunga durata supera la metà del collettivo totale (Figura

38): tra le varie malattie prevalgono l’ipertensione arteriosa e il diabete (connesse a fattori

eziologici quali stress, cattiva alimentazione, sedentarietà e invecchiamento, tutti non a caso

rilevati dall’analisi dei dati ottenuti), più circoscritta la presenza di tumori e di disturbi a

carico dell’apparato respiratorio, mentre solo 15 individui su 400 risultano obesi, nonostante

gli stili alimentari non sempre corretti (Figura 39).

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Figura 38 È affetto da malattie croniche/di lunga durata?

Figura 39 Da quale malattia cronica è affetto/a?

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L’ultimo aspetto analizzato riguarda l’effettiva domanda di informazione, da parte degli

individui intervistati: essi prestano molta attenzione a tematiche quali l’alimentazione e

l’attività fisica, mentre sono meno interessati a ricevere consigli in merito al consumo di

alcol, al fumo ed all’uso di sostanze psicotrope (Figura 40).

Figura 40 Vorrebbe consigli da un esperto?

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4.4. SINTESI E COMMENTO DEI DATI

I dati in esame riassumono gli aspetti legati alle abitudini e alle scelte adottate dalla

popolazione campione di riferimento del territorio genovese del DSS 12. Le variabili

evidenziano la tendenza del campione ad adottare stili di vita che si discostano, in parte,

dalle raccomandazioni fornite dall’OMS e dalle indicazioni suggerite dalle varie campagne

nazionali a favore di stili di vita sani e all'uso di beni salutari.

Dall’analisi dei dati si desume che, nel collettivo studiato, gli individui di età compresa tra i

45 ed i 65 anni costituiscono le fasce d’età più rappresentative, questo rispecchia l’età di

cittadini che accedano agli studi medici.

La maggioranza del campione ha la consuetudine di camminare continuativamente durante

la giornata per al massimo un ora, ma un terzo esatto di questi lo fa, in realtà, per meno di

un ora. Questi dati vanno affiancati a quelli sull’attività fisica, che non sono affatto

incoraggianti, in quanto circa la metà del campione dichiara di non svolgere nessuna

attività fisica e il 38% non la pratica comunque regolarmente: ne emerge un quadro

complessivamente negativo, dal quale si desume che questi comportamenti errati sono

dovuti soprattutto ai ritmi incalzanti e spesso frammentari della quotidianità, che portano

ad uno stile di vita prevalentemente sedentario, in parte dovuto anche alle abitudini

imposte dalla nostra società consumistica. Inoltre, i dati ottenuti dalla valutazione

complessiva degli intervistati sui benefici dell’attività fisica sono significativi, in quanto

circa la metà dei soggetti la ritiene relativamente poco importante per il benessere

psicofisico generale: da questo si deduce che le indicazioni e raccomandazioni suggerite

dalle varie campagne non sono state recepite a pieno dalla popolazione, presumibilmente

dovuti sia a stili di comunicazione non del tutto efficaci e immediati o accattivanti, sia

all’effettivo disinteresse da parte dei soggetti potenzialmente destinatari di essa.

Relativamente all’alimentazione, risulta che i l 4 3 % degli intervistati consuma

quotidianamente tre pasti (colazione, pranzo e cena) e che il 31%, invece, ne fa quattro al

giorno. Solo una percentuale molto esigua di popolazione dichiara di consumarne cinque,

alimentandosi così in modo da mantenere il metabolismo attivo in maniera ottimale, in

quanto le calorie assunte vengono ripartite correttamente nell’arco della giornata.

Dai risultati dell’indagine relativi al consumo dei gruppi alimentari si desume che, nel

complesso, le abitudini degli intervistati a tavola sono tendenzialmente in linea con i dettami

della dieta mediterranea. È importante evidenziare che:

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la maggior parte dei soggetti consuma una o due porzioni di frutta e verdura, decisamente

troppo poche se confrontate con le 5-6 indicate nella base della piramide alimentare;

il consumo di pesce non è appropriato per 174 soggetti sul totale degli esaminati, in

quanto consumano pesce meno di una volta alla settimana (137 soggetti) o addirittura mai

(37 soggetti). Le linee guida dell’INRAN fissano come appropriato il consumo di 2-3

porzioni di pesce alla settimana, quindi i consumi sono lontani dalle indicazioni date;

l’attenzione all’uso del sale nel condire gli alimenti non raggiunge ancora livelli

soddisfacenti, considerando soprattutto la potenziale pericolosità del consumo di cibi

troppo salati per la salute;

il consumo di acqua non rispecchia quelle che sono le reali necessità quotidiane

dell’organismo, in quanto più della metà dei soggetti beve una quantità compresa tra un

minimo di mezzo litro e un massimo di 1 litro;

il consumo di bevande zuccherate è elevato, se si considera che solo un individuo non ne

beve mai e circa un quarto ne consumano quotidianamente 2 litri o più al giorno: da

questo si desume che non vengono considerati gli zuccheri assunti e che vi sia un’errata

tendenza a sostituire la quantità di acqua giornaliera con queste bevande;

relativamente al consumo di bevande alcoliche, si rilevano valori preoccupanti

soprattutto per quanto riguarda le abitudini fuori pasto: circa il 15% del campione

consuma da 3 a 5 bottiglie di birra, mentre il 34% di questi si attesta tra il mezzo litro e i

2 litri e oltre di vino, configurando una situazione di vero e proprio abuso.

Significativa e per nulla trascurabile è la percentuale dei soggetti che ha dichiarato di

fumare: il 70% fuma o ha fumato in passato, mentre il 43% lo fa tutt’oggi. Si rileva che i

tentativi di smettere di fumare sono tutti relativamente recenti, infatti nessuna delle persone

intervistate sta tentando di smettere da più di tre anni; questo sottolinea che, pur nella

consapevolezza generale che il consumo di tabacco sia un’abitudine nociva, esso rimane

ancora radicato. Se si pensa, tuttavia, alle continue campagne e pubblicità contro il fumo e

alla diffusa trattazione dei suoi principali effetti nocivi, non si può non riconoscere la loro

relativa inefficacia, con la conseguente necessità di sviluppare una maggiore sensibilità

sull’argomento e, forse, di individuare canali di comunicazione più incisivi.

Rilevante è il dato riferito al consumo di sostanze psicotrope, in quanto si evidenzia la

diffusione di disturbi cognitivo-comportamentali o di psicopatologie più gravi nella

popolazione: la percentuale di soggetti che ha dichiarato di farne uso supera la metà del

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totale. I dati relativi all’uso di sostanze stupefacenti, invece, non possono essere giudicati

attendibili, in quanto si crede che, vista la delicatezza dell’argomento, vi sia stato un certo

grado di autocensura da parte degli intervistati, pur compilando un questionario anonimo. In

merito a questo aspetto, pertanto, la ricerca condotta non apporta particolari risultati.

I soggetti intervistati dichiarano di volere informazioni da un esperto, principalmente

riguardo all’alimentazione e all’attività fisica e sono meno interessati alle altre tematiche,

anche se sicuramente sarebbe necessario avere conoscenze generali su tutte le tematiche

trattate, sia per se stessi che verso gli altri.

In conclusione, dai risultati si deduce che, nonostante l’accesso ad informazioni sulle

conseguenze di stili di vita errati e alle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale

della Sanità (OMS), bisogna maggiormente sensibilizzare e intervenire con progetti mirati

per favorire l’aderenza della popolazione a tali dettami.

La presenza del rilevatore durante la somministrazione dei questionari presso gli studi

medici, che ha potuto osservare le impressioni e i dubbi dei soggetti, ha condotto

all’elaborazione di un poster informativo, dove sono state illustrate, brevemente ma in

modo incisivo, le indicazioni salienti sui corretti stili da adottare, con la speranza che

puntare su uno stile comunicativo più immediato e semplice sia la strategia giusta per

continuare ad avvicinare la popolazione alle più salutari abitudini di vita quotidiana.

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100

CONCLUSIONI

La promozione della salute va considerata come un processo dinamico in evoluzione,

strettamente correlato alla maturità culturale e organizzativa del contesto. Essa è quindi definibile

come un processo mirato al progressivo consolidarsi di una prassi di gestione condivisa tra la rete

dei professionisti che entrano in gioco nell’ educazione alla salute e la popolazione.

Molto importante è, in una logica di ampia integrazione, il contributo del contesto

socioeconomico in cui vive l’individuo, come ampiamente dimostrato in letteratura, ha una

centralità non solo decisionale ma anche gestionale rispetto alla scelte.

La promozione e l’educazione ad adottare stili di vita sani, come è stato ampiamente

specificato precedentemente, ha un ruolo fondamentale nella prevenzione e gestione delle

patologie croniche degenerative. Una sana alimentazione, l’attività fisica, il consumo limitato

di bevande alcoliche e l’astenersi dal consumo di tabacco costituiscono scelte fondamentali

per il mantenimento della salute. La società deve puntare a creare un ambiente favorevole alla

prevenzione con interventi mirati a favorire l’abbandono di abitudini che possono predisporre

allo sviluppo delle malattie croniche ed incentivando il consumo di prodotti salutari.

Introdurre modifiche permanenti negli stili di vita della popolazione è l’ obiettivo che si pone

la sanità e in particolare l’infermiere, professionista della salute, che, attraverso

l’informazione e l’educazione, rende più consapevoli i cittadini favorendo l’aderenza, la

sostenibilità e quindi il consolidamento di scelte salutari con finalità preventiva ed in alcuni

casi curativa/riabilitativa.

La figura dell’infermiere gioca un ruolo fondamentale nella prevenzione e nella riabilitazione

del paziente affetto da malattie croniche. E’ importante sottolineare come il personale

infermieristico sia oggi prevalentemente concentrato sul trattamento della condizione acuta

del paziente e non sulla prevenzione dei fattori di rischio modificabili, in quanto il sistema

stesso, ha gettato solo le basi e deve ancora svilupparsi in tal senso. Bisognerà, per questo,

invertire la tendenza culturale che lascia oggi in secondo piano la promozione e la

prevenzione. L’infermiere e gli altri professionisti delle salute, devono sollecitare azioni e

strategie di sensibilizzazione e realizzare interventi mirati ad identificare precocemente le

persone a rischio più elevato.

Modelli organizzativi ed assistenziali, come il Chronic Care Model e l’infermiere care

manager, evidenziano l’importanza del ruolo dell’infermiere nella gestione dei pazienti in

condizioni croniche e come, con strategie di empowerment, self-management ed un’accurata

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educazione sanitaria dinamica e continua nel tempo, sia possibile prevenire e intervenire

precocemente.

Promuovere e garantire la salute, prevenendo le conseguenze derivanti da scorretti stili di

vita può fare la differenza per migliorare la qualità della vita e favorire un buon

invecchiamento attivo.

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BIBLIOGRAFIA

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QUESTIONARIO ANONIMO

LA COMUNITÀ CONOSCE E METTE IN PRATICA

I CORRETTI STILI DI VITA ATTI A PREVENIRE LE MALATTIE CRONICHE?

DATI GENERALI

1) Sesso

Maschio [ ]

Femmina [ ]

2) Età …………………

3) Titolo di studio

Laurea [ ]

Diploma scuola media superiore [ ]

Licenza scuola media inferiore [ ]

Licenza elementare [ ]

4) Professione

Dirigente [ ]

Impiegato [ ]

Operaio [ ]

Libero professionista [ ]

Pensionato [ ]

Disoccupato [ ]

Altro (……….…………….........) [ ]

5) Può indicare il suo peso e statura attuali?

Peso ………… Kg Altezza ………... cm

SEZIONE 1

MOVIMENTO ED ATTIVITA’ FISICA

6) Considerando tutti i suoi spostamenti a piedi, per quanto tempo ritiene di camminare

continuativamente al giorno?

Meno di 30 minuti [ ]

Dai 30 ai 60 minuti [ ]

Più di 60 minuti [ ]

7) Lei ritiene di fare sufficiente movimento durante il giorno?

[ ] Si [ ] No

8) Pratica attività fisica?

Sì, regolarmente [ ]

Sì, ma non regolarmente [ ]

No, non pratico attività fisica [ ] (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 12)

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9) Che tipo di attività fisica svolge? (è possibile dare più di una risposta)

[ ] Corsa [ ] Passeggiate all’aria aperta [ ] Piscina

[ ] Calcio, pallavolo, basket, ecc [ ] Palestra [ ] Bicicletta

[ ] Altro (specificare……………………………………………………………………….............................)

10) Se pratica attività fisica, quanti giorni a settimana?

Tutti i giorni della settimana [ ]

Alcuni giorni (indicare il numero ............) [ ]

Solo il fine settimana [ ]

11) Se svolge attività fisica, per quanto tempo la pratica?

[ ] Meno di un’ora [ ] 2 ore

[ ] 1 ora [ ] più di 2 ore

12) Quanto ritiene sia importante il ruolo che l’attività fisica assume nei confronti della salute?

per niente [ ]

moderatamente [ ]

enormemente [ ]

13) Considera la sua attività fisica adeguata?

[ ] Si [ ] No

SEZIONE 2

STILI ALIMENTARI

14) Quanti pasti consuma al giorno?

[ ] 2 pasti (pranzo, cena) [ ] 4 pasti (colazione, pranzo, spuntino, cena)

[ ] 3 pasti (colazione, pranzo e cena) [ ] 5 pasti (colazione, merenda, pranzo, spuntino, cena)

15) Cosa consuma più frequentemente durante la colazione? (è possibile dare più di una risposta)

[ ] Caffè [ ] Cornetto [ ] Pane

[ ] Latte [ ] Biscotti [ ] Succo di frutta

[ ] Cappuccino [ ] Cerali [ ] Yogurt

[ ] Tè [ ] Fette biscottate [ ] Non faccio colazione

[ ] Altro (specificare)………….………………………………………………………………………………

1

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16) Con quale frequenza consuma i seguenti gruppi di alimenti? (una risposta per ogni riga)

GRUPPI

ALIMENTARI

Più di una

volta al

giorno

Una volta

al giorno

Qualche

volta a

settimana

Meno di

una volta a

settimana

Mai

Pasta, riso [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Pane [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Cereali (farro, orzo, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Polenta (mais, gallette, pasta mais) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Patate [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Carne di pollo, tacchino, coniglio [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Carni bovine (manzo, vitellone, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Carne di maiale [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Salumi [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Pesce [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Uova [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Latte, yogurt [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Formaggi e latticini [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Verdure (insalate, spinaci, bieta, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Ortaggi (pomodori, melanzane,

zucchine, fagiolini, piselli, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Legumi secchi (lenticchie, fagioli, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Frutta fresca [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Frutta secca (noci, mandorle, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Snack salati (patatine, salatini, etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Dolci fatti in casa [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Dolci industriali (torte farcite,

merendine, gelati etc.) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

17) Dei seguenti alimenti, quante porzioni consuma al giorno? (una risposta per ogni riga)

Alimenti Numero di porzioni al giorno

Insalata oppure ortaggi e/o verdura

(1 porzione = 1 piatto medio pieno, ossia una quantità che ricopre

il fondo del piatto)

0 [ ] 1 [ ] 2 [ ] 3 [ ] 4 [ ] 5 [ ]

Frutta

(1 porzione = 1 mela, 1 pera, 2 mandarini, 2 prugne, etc.) 0 [ ] 1 [ ] 2 [ ] 3 [ ] 4 [ ] 5 [ ]

18) Presta attenzione alla quantità di sale e/o al consumo di cibi salati?

No, non presto attenzione [ ]

Si, ne ho ridotto l’uso nel tempo [ ]

Si, ho da sempre fatto attenzione [ ]

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19) Nell’arco della giornata, quali dei seguenti grassi usa più frequentemente per la cottura dei cibi e in

che quantità? (una risposta per ogni riga)

1 cucchiaio

(10 ml)

2 cucchiai

(20 ml)

3 cucchiai

(30 ml)

4 cucchiai

(40 ml)

5 cucchiai

(50 ml)

Più di 5

cucchiai Mai

Olio d’oliva [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Altri grassi e olii

vegetali (olii di semi,

margarina, etc.)

[ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Burro [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Strutto [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

20) Nell’arco della giornata, quali dei seguenti grassi usa più frequentemente per il condimento a crudo

dei cibi e in che quantità? (una risposta per ogni riga)

1 cucchiaio

(10 ml)

2 cucchiai

(20 ml)

3 cucchiai

(30 ml)

4 cucchiai

(40 ml)

5 cucchiai

(50 ml)

Più di 5

cucchiai Mai

Olio d’oliva [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Altri grassi e olii

vegetali (olii di

semi, etc.)

[ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Altro [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

21) Considera la sua alimentazione corretta?

[ ] Si [ ] No

SEZIONE 3

CONSUMO BEVANDE

22) In quale quantità, abitualmente, consuma le seguenti bevande durante l’intera giornata?

(una risposta per ogni colonna)

Acqua Bevande gassate

(cola, aranciata, etc.)

Bevande zuccherate non gassate

(succhi di frutta, the, etc.)

[ ] 1 bicchiere (125 ml) [ ] 1 bicchiere (125 ml) [ ] 1 bicchiere (125 ml)

[ ] 2 bicchieri (250 ml) [ ] 2 bicchieri (250 ml) [ ] 2 bicchieri (250 ml)

[ ] 4 bicchieri (500 ml) [ ] 4 bicchieri (500 ml) [ ] 4 bicchieri (500 ml)

[ ] 1 litro [ ] 1 litro [ ] 1 litro

[ ] 1 litro e mezzo [ ] 1 litro e mezzo [ ] 1 litro e mezzo

[ ] 2 litri o più [ ] 2 litri o più [ ] 2 litri o più

[ ] raramente 1 bicchiere [ ] raramente 1 bicchiere [ ] raramente 1 bicchiere

[ ] mai [ ] mai [ ] mai

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23) In che quantità abitualmente consuma le seguenti bevande alcoliche durante i pasti (pranzo+cena)?

(una risposta per ogni colonna)

Birra (bottiglia 33 cl) Vino (bicchiere 125ml)

[ ] 1 bicchiere (125 ml = 12,5 cl) [ ] 1 bicchiere (125 ml)

[ ] 2 bicchiere (250 ml = 25 cl) [ ] 2 bicchieri (250 ml)

[ ] 1 bottiglia (33 cl) [ ] 3 bicchieri (375 ml)

[ ] 2 bottiglie (66 cl) [ ] 4 bicchieri (500 ml)

[ ] 3 bottiglie (99 cl) [ ] 1 litro

[ ] 4 bottiglie (132 cl) [ ] 1 litro e mezzo

[ ] 5 bottiglie (165 cl) o più [ ] 2 litri o più

[ ] raramente 1 bottiglia [ ] raramente 1 bicchiere

[ ] mai [ ] mai

24) Le capita di bere birra, vino o superalcolici (liquore, amaro, aperitivo, cocktail, etc.) fuori dai pasti?

[ ] Tutti i giorni [ ] Raramente

[ ] Qualche volta alla settimana [ ] Mai (passare direttamente alla domanda 26)

25) Complessivamente, in una settimana, qual è la quantità di birra, vino o superalcolici che consuma

abitualmente fuori dai pasti? (una risposta per ogni colonna)

Birra (bottiglia 33 cl) Vino (bicchiere 125ml) Superalcolico (bicchiere 40 ml)

[ ] 1 bicchiere (125 ml = 12,5 cl) [ ] 1 bicchiere (125 ml) [ ] 1 bicchiere (40 ml)

[ ] 2 bicchiere (250 ml = 25 cl) [ ] 2 bicchieri (250 ml) [ ] 2 bicchieri (80 ml)

[ ] 1 bottiglia (33 cl) [ ] 3 bicchieri (375 ml) [ ] 3 bicchieri (120 ml)

[ ] 2 bottiglie (66 cl) [ ] 4 bicchieri (500 ml) [ ] 4 bicchieri (160 ml)

[ ] 3 bottiglie (99 cl) [ ] 1 litro [ ] 5 bicchieri (200 ml)

[ ] 4 bottiglie (132 cl) [ ] 1 litro e mezzo [ ] 6 bicchieri (240 ml)

[ ] 5 bottiglie (165 cl) o più [ ] 2 litri o più [ ] 7 bicchieri (280 ml) o più

[ ] raramente 1 bottiglia [ ] raramente 1 bicchiere [ ] raramente 1 bicchiere

[ ] mai [ ] mai [ ] mai

26) Pensa che il suo consumo di bevande alcoliche sia appropriato?

[ ] Si [ ] No

1

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SEZIONE 4

CONSUMO DI TABACCO

27) Lei attualmente fuma?

Sì [ ]

No, ma ho fumato in passato [ ]

No, non ho mai fumato [ ] (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 31)

28) Quante sigarette fuma in media al giorno?

Meno di 5 sigarette al giorno [ ]

Da 5 a10 sigarette al giorno [ ]

Da 11 a 15 sigarette al giorno [ ]

Da 16 a 20 sigarette al giorno [ ]

20 sigarette al giorno o più [ ]

29) Ha mai cercato di smettere di fumare?

[ ] Si [ ] No (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 31)

30) Se ha cercato di smettere di fumare, per quanto tempo ?

[ ] Meno di un anno [ ] Due anni [ ] Quattro anni

[ ] Un anno [ ] Tre anni [ ] Cinque o più anni

SEZIONE 5

USO DI SOSTANZE PSICOTROPE

31) Nella sua vita, ha mai assunto psicofarmaci (talvolta prescritti dai medici per aiutare le persone a

calmarsi, a prendere sonno o a rilassarsi)?

[ ]Si, occasionalmente [ ] Si, per tre settimane o più

[ ] Si, per meno di tre settimane [ ] No

32) Nella sua vita, le è mai capitato di fare uso di una o più delle seguente sostanze e in quante

occasioni? (una risposta per ogni riga)

Numero di occasioni

0 1-2 3-5 6-9 10-19 20-29 30 o più

Cannabis [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Sostanze allucinogene

(LSD, funghi allucinogeni, ketamina, ecc) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Sostanze psicostimolanti

(amfetamine, ecstasy, ecc) [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Cocaina e/o crack [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

Eroina [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]

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SEZIONE 6

SALUTE

33) Come reputa in questo momento la sua salute?

Molto bene [ ]

Bene [ ]

Discretamente [ ]

Male [ ]

Molto male [ ]

34) È affetto da malattie croniche o problemi di salute di lunga durata?

(Il termine “lunga durata” si riferisce a malattie o problemi di salute che durano da almeno 6 mesi

o si prevede che durino per almeno 6 mesi).

[ ] Si [ ] No (se la risposta è No passare direttamente alla domanda 36)

35) Se sì, da quale/i malattia/e cronica è affetto? (è possibile dare più di una risposta)

[ ] Diabete [ ] Scompenso cardiaco

[ ] Obesità [ ] BPCO, enfisema, insufficienza respiratoria

[ ] Ipertensione arteriosa (pressione alta) [ ] Problemi oncologici

[ ] Altro (specificare) ………………………………………………………………

36) Vorrebbe ricevere dei consigli da un esperto riguardo a …

(una risposta per ogni riga)

SI NO

MOVIMENTO ED ATTIVITA FISICA [ ] [ ]

ALIMENTAZIONE [ ] [ ]

ALCOOL [ ] [ ]

FUMO [ ] [ ]

SOSTANZE PSICOTROPE [ ] [ ]

Grazie per la Sua collaborazione.

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