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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA DIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA Corso di Laurea Triennale in Fisica Tesi di Laurea in Fisica Nucleare Ricerca dell'eccitazione della risonanza PYGMY nel 68 Ni Relatore Chiara Pinto Chiar.ma Prof.ssa Francesca Rizzo M05000309 Correlatori Dott. Giuseppe Cardella Dott.ssa Nunzia Martorana Anno Accademico 2015-2016 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIADIPARTIMENTO DI FISICA E ASTRONOMIA

Corso di Laurea Triennale in Fisica

Tesi di Laurea in Fisica Nucleare

Ricerca dell'eccitazione della risonanza PYGMY nel 68Ni

Relatore Chiara PintoChiar.ma Prof.ssa Francesca Rizzo M05000309

CorrelatoriDott. Giuseppe CardellaDott.ssa Nunzia Martorana

Anno Accademico 2015-2016

1

alla mia famiglia

2

ABSTRACT

Lo scopo del presente lavoro di tesi è lo studio della Risonanza

Pygmy di Dipolo. Diverse investigazioni, sia di tipo sperimentale

sia di tipo teorico, hanno mostrato come tale risonanza sia un

moto collettivo legato all'eccesso di neutroni nei nuclei stabili ed

instabili.

In particolare, nel presente lavoro si descrive un esperimento

recentemente realizzato dalla collaborazione NEWCHIM, presso

i LNS-INFN di Catania, finalizzato allo studio della risonanza

isoscalare Pygmy nel 68Ni (nucleo esotico neutron rich), eccitata

nella collisione 68Ni+12C a Einc=33 MeV/u.

Il presente lavoro di tesi è suddiviso in tre capitoli: nel primo

capitolo si introducono le Risonanze Giganti di Dipolo (GDR) e

le Risonanze Pygmy di Dipolo (PDR), dedicando particolare

attenzione ai modelli a fluidi per tali moti di eccitazioni nucleari.

Il modello a goccia di liquido è un modello a un fluido che

descrive bene i modi vibrazionali che corrispondono ai nuclei a

simmetria sferica; tuttavia tale modello non riesce a spiegare la

presenza dei moti collettivi come le Risonanze Giganti di Dipolo

e le Risonanze Pygmy di Dipolo, le quali vengono invece

descritte dai modelli a due e a tre fluidi rispettivamente.

Nel secondo capitolo si descrive l'apparato sperimentale con il

quale è stato realizzato l'esperimento Pygmy. In particolare, si

illustrano i metodi di produzione dei fasci di frammentazione: In-

Flight Fragmentation (IFF) e Isotope Separation On-Line

(ISOL); si descrivono inoltre le principali caratteristiche dei

3

multirivelatori CHIMERA e FARCOS, operanti presso i LNS-

INFN, e le tecniche di identificazione che essi utilizzano, con

particolare riguardo alle tecniche di rivelazione ΔE-E e fast-slow.

L'ultimo paragrafo è stato dedicato alla descrizione di alcuni

esperimenti che recentemente sono stati eseguiti ai LNS-INFN,

finalizzati alla rivelazione dei raggi γ tramite i rivelatori CsI(Tl)

del multirivelatore CHIMERA.

Infine, nel terzo capitolo sono riportati i risultati preliminari

dell'esperimento Pygmy. Vengono illustrati i processi che

producono e trasportano il fascio di 68Ni fino all'ingresso della

sala sperimentale CHIMERA. Sono inoltre descritte le tecniche

di identificazione del 68Ni e degli altri nuclei prodotti nella

collisione con il multirivelatore FARCOS, e la rivelazione dei γ

sui rivelatori CsI(Tl) di CHIMERA. In particolare vengono

mostrate le tecniche impiegate per la calibrazione dei rivelatori e

per la valutazione e la sottrazione del fondo di raggi γ e di

particelle cariche che potrebbero influire sull'osservazione della

risonanza Pygmy.

4

INDICE

Abstract pag. 3

Capitolo I – La struttura nucleare e le risonanze

1.1 La struttura nucleare pag. 6

1.2 La deformazione dei nuclei pag. 13

1.3 Le Risonanze Giganti di Dipolo (GDR) pag. 16

1.4 Le Risonanze Pygmy di Dipolo (PDR) pag. 19

Capitolo II – Produzione di fasci esotici e sistemi di rivelazione ai LNS-INFN

2.1 Produzione dei fasci di frammentazione pag. 24

2.2 Rivelatori di particelle CHIMERA e FARCOS ai LNS- INFN

pag. 29

2.3 Tecniche di identificazione pag. 36

2.4 Rivelazione di raggi γ tramite il multirivelatore CHIMERA

pag. 42

Capitolo III – 68Ni+12C: Risultati sperimentali preliminari

3.1 Produzione e rivelazione del fascio di 68Ni pag. 45

3.2 Identificazione del 68Ni tramite il multirivelatore FARCOS

pag. 49

3.3 Calibrazione γ dei rivelatori CsI(Tl) di CHIMERA pag. 52

Conclusioni pag. 56

Bibliografia pag. 57

5

CAPITOLO I – La struttura nucleare e le

risonanze

1.1 La struttura nucleare

La struttura nucleare, come la conosciamo oggi, pone le sue basi

nella scoperta di Rutherford del 1909. Egli fece incidere su un

sottile foglio di oro un fascio di particelle α prodotte dal

decadimento del Polonio, e osservò che alcune di esse venivano

deflesse ad angoli maggiori di 90° [1]. Ciò portò il fisico

neozelandese ad elaborare il modello planetario dell'atomo, che si

sostituì presto al precedente modello a panettone di Thomson: la

maggior parte della materia nucleare si trovava addensata in un

nucleo centrale, di volume molto minore rispetto alle dimensioni

atomiche, mentre gli elettroni ruotavano intorno al nucleo a

“grandissime” distanze da esso. Oggi, grazie a diversi

esperimenti, sappiamo che il nucleo, composto da protoni e

neutroni, è una struttura stabile perché la repulsione coulombiana

fra i protoni è largamente compensata dall’attrazione generata

dalla forza nucleare forte. Questa attrazione viene espressa

quantitativamente dall'energia di legame, osservabile anche come

difetto di massa1.

1 La massa di un nucleo è sempre minore della somma delle masse dei singoli componenti poiché la massa viene in parte convertita in energia di legame del sistema, in accordo con

l'equazione di Einstein E=mc2.

6

1.1.1 Il modello a goccia di liquido e la formula semiempirica

delle masse

Dopo l'esperimento di Rutherford e la sua spiegazione presentata

nel 1911, furono proposti vari modelli per studiare il nucleo

atomico, tra cui il modello a goccia di liquido, il modello a gas di

Fermi e il modello a shell [2].

Il modello più intuitivo, ed infatti anche il primo ad essere

introdotto, è quello a goccia di liquido, per via delle immediate

somiglianze tra il nucleo e una goccia di liquido. Infatti, tramite

alcuni esperimenti venne notato che il potenziale dell’interazione

delle molecole di un liquido e quello dell’interazione nucleare

hanno diverse somiglianze: in entrambi i casi per distanze

piccolissime si ha una repulsione, quindi per distanze maggiori il

potenziale diventa attrattivo con un solo minimo e, infine, va a

zero all’infinito. Inoltre, così come nel caso dei liquidi il lavoro

di estrazione è costante al variare del volume (cioè l’energia che

bisogna fornire ad una goccia per estrarre una molecola non

dipende dal volume della stessa), allo stesso modo l’energia di

legame (useremo l’acronimo EB, “binding energy”) dei nucleoni

nei nuclei è proporzionale ad A (il numero di massa) e perciò il

rapporto EB/A è circa costante. Questo è dovuto al fatto che il

raggio d’azione dell’interazione nucleare è piccolo e quindi i

nucleoni interagiscono solo con i loro vicini. Di conseguenza EB

si può parametrizzare mediante la formula semiempirica delle

masse2, che per un nucleo di massa A e numero atomico Z, è

definita come [3]:

2 Conosciuta altresì come formula di Weizsacher.

7

E B(A , Z )=a v A−as A(2

3)−ac Z2 A

(−13 )

−aas(A−2Z)2 A−1

±δ (1.1.1)

in cui i coefficienti a v , a s , a c , aas hanno un valore ricavato dal

fit coi dati sperimentali, e δ è il termine di pairing3.

I vari addendi della (1.1.1) sono calcolati a partire dai modelli

nucleari a goccia di liquido e a gas di fermioni [4].

Si può notare che per i nuclei più leggeri la EB(A,Z) ha un

massimo per A = 2Z e infatti fino al 40Ca i nuclei stabili sono

quelli che hanno N = Z. Poi l’interazione coulombiana diventa

troppo forte e per ottenere stati legati stabili si deve avere un

eccesso di neutroni. Questa formula prevede abbastanza bene il

valore dell’energia di legame per nuclei medi e pesanti, a parte

per alcuni picchi, non previsti in corrispondenza dei nuclei

magici o doppiamente magici, come si vede nel grafico in fig

1.1.1. Si nota, infatti, che nonostante alcune deviazioni, la

formula (1.1.1) riproduce bene l'energia di legame per nucleoni

con A>20, con una precisione maggiore di 0,1 MeV. Si nota,

inoltre, che la curva aumenta rapidamente all'aumentare di A,

raggiungendo il valore massimo in corrispondenza del 56Fe, per

poi diminuire lentamente man mano che i nuclei diventano più

pesanti [3].

3 In particolare, il primo termine è detto termine di volume perché proporzionale ad A ed è il termine predominante (tutti gli altri sono termini correttivi). Il secondo è il termine di superficie, che in piena analogia col caso dei liquidi, tende a diminuire l’energia di legame, ed è dovuto al fatto che i nucleoni vicino alla superficie del nucleo interagiscono più debolmente di quelli all’interno. Il terzo è il termine coulombiano, dovuto alla presenza dei protoni che tendono a respingersi. Il quarto, termine puramente quantistico, è il termine di asimmetria dovuto alle proprietà dell’interazione nucleare e al principio di Pauli. Infine

l’ultimo, il δ, anch’esso di natura quantistica, è il termine di pairing. Esso vale δ=a p

A(

12)

,

a p=12 MeV , e assume valore positivo per i nuclei pari-pari, valore negativo per i nuclei dispari-dispari, e valore nullo per i nuclei pari-dispari e dispari-pari.

8

Possiamo determinare quale sia la configurazione di Z

maggiormente stabile in termini di energia di legame, fissato A,

differenziando la (1.1.1):

∂M (A , Z )

∂ Z=0 (1.1.2)

I nuclei che realizzano tale condizione sono nuclei stabili, e si

dispongono in un grafico cartesiano (N,Z) lungo una linea che

coincide con la regione più bassa della cosiddetta valle di

stabilità, come si vede in fig.1.1.2.

In riferimento alla figura 1.1.2, essa rappresenta la carta dei

nuclidi di Segré, e costituisce un'organizzazione nel piano (N, Z)

degli isotopi conosciuti.

I nuclei stabili si trovano in corrispondenza della valle di

stabilità; man mano che ci si allontana dalla valle di stabilità gli

isotopi sono via via meno stabili e hanno tempi di vita media più

brevi. Tutti gli isotopi sono racchiusi in una regione di piano

delimitata da due linee, come si vede nella fig. 1.1.3. Le due linee

sono dette neutron drip line e proton drip line, rispettivamente a

sinistra e a destra della valle di stabilità. La fig. 1.1.3 permette di

osservare che, tanto più un isotopo si trova in prossimità delle

drip lines, tanto più esso starà instabile. I nuclei che si trovano in

prossimità di queste bande nel piano (N, Z) sono detti nuclei

esotici, per via delle loro caratteristiche singolari e bizzarre, ben

diverse da quelle dei nuclei stabili [6].

9

fig. 1.1.1 L'energia di legame nucleare per nucleone in funzione

del numero di massa A; sono rappresentati valori corrispondenti a

nuclei con A dispari compresa fra 15 e 259. I puntini pieni

rappresentano i valori previsti dalla formula semiempirica delle

masse; i puntini cavi sono i valori misurati [3].

10

fig. 1.1.2 Carta dei nuclidi. Ciascun punto individua

univocamente un isotopo nucleare di coordinate (N, Z). I nuclei

stabili sono indicati in nero nella parte centrale, e sono quelli in

corrispondenza dei quali l'energia di legame per nucleone

raggiunge un minimo; le barre evidenziano i nuclei con numeri

magici [5].

11

fig. 1.1.3 Carta di Segré contenente i tempi di vita media degli

isotopi conosciuti, in una rappresentazione nel piano (Z, N).

12

1.2 La deformazione dei nuclei

Il modello a goccia di liquido, per sua stessa natura, non dà

informazioni riguardo ad alcune importanti proprietà dei nuclei,

se non in termini molto generali [3]. Tale modello, ad esempio,

non dà informazioni sullo spin dei nuclei, cioè sul loro momento

angolare totale. Solo i termini di pairing e di asimmetria di tale

modello suggeriscono che gli spin dei nucleoni si accoppiano e

che l'effetto complessivo è uno spin totale piccolo, associato,

eventualmente, all'ultimo nucleone spaiato. Da ciò segue che lo

spin di tutti i nuclei pari-pari al ground state è zero: ed

effettivamente è ciò che accade.

Un altro limite del modello a goccia di liquido è legato al fatto

che esso non dà alcuna spiegazione riguardo ai numeri magici:

per tale motivo sono stati introdotti i modelli a gas di Fermi e

soprattutto il modello a shell. Quest'ultimo in particolare è quello

che spiega la presenza dei numeri magici nei nuclei. Tuttavia, il

modello a goccia di liquido risulta ancora utile per studiare

alcune classi di stati eccitati nucleari che corrispondono a modi

di vibrazione che una goccia di liquido potrebbe avere.

1.2.1 Eccitazioni nucleari

Il più semplice di questi stati, dal punto di vista concettuale,

corrisponde alle vibrazioni che si verificano sulla superficie dei

nuclei. Questi moti sono chiamati stati vibrazionali e sono un

tipo di moti collettivi; il fatto che siano collettivi implica che il

moto dei nucleoni costituenti il nucleo è correlato in qualche

modo alla forma della vibrazione. I nuclei non sferici possono

13

avere anche stati rotazionali, che sono un'altra forma di moto

collettivo. Inoltre, le bande vibrazionali o rotazionali dei livelli,

basate sul ground state di un nucleo, possono essere ripetute in

stati intrinsecamente eccitati.

Dunque, esistono due tipi di eccitazioni nucleari: una dovuta alla

rotazione del nucleo stesso, che genera uno spettro rotazionale, e

una dovuta alle vibrazioni della superficie nucleare intorno alla

sua posizione di equilibrio, che genera uno spettro vibrazionale.

Quest'ultimo è ben identificato nei nuclei sferici, come i nuclei

doppiamente magici, in cui non esiste spettro rotazionale [7].

Nel modello a goccia di liquido si descrive il nucleo come una

goccia di liquido di volume fissato e se ne descrive la superficie

utilizzando una funzione della distanza dal centro del nucleo [8]:

R=R0(1+∑λ=0

∑μ=−λ

λ

αλμ Y λμ∗ (θ ,ϕ)) (1.2.1)

Dove θ e φ sono gli angoli polari di un punto sulla superficie

sferica del nucleo, R0 è il raggio della sfera con lo stesso volume

del nucleo e Yλμ è l'armonica sferica. I coefficienti αλμ descrivono

le deformazioni del nucleo rispetto alla forma sferica: λ indica

infatti la multipolarità della forma nucleare.

La forma sferica corrisponde a λ=0, ed è quella di cui terremo

conto nel resto della nostra trattazione.

Il modello a goccia di liquido non può dire molto sull'esistenza

degli stati eccitati intrinseci dei nuclei. Solo i termini di

asimmetria e di pairing di questo modello a goccia di liquido

testimoniano l'esistenza della quantizzazione. Infatti è proprio

l'assenza di un adeguato approccio quantomeccanico che limita

14

ulteriori sviluppi utili di tale modello.

Dunque, come abbiamo descritto, il modello a goccia di liquido

(che è un modello a un fluido) illustra bene i modi vibrazionali

nucleari. Più avanti vedremo che ci sono altri modelli a fluidi che

illustrano il comportamento delle vibrazioni nucleari: il modello

a due fluidi descrive le Risonanze Giganti di Dipolo (GDR) e il

modello a tre fluidi le Risonanze Pygmy di Dipolo (PDR).

Il modello a goccia di liquido descrive dunque i moti vibrazionali

corrispondenti a λ=0, ma non descrive né i moti di λ=1, che

corrisponde a un moto del centro di massa e che, come detto, è

descritto dal modello a due fluidi, né di λ=2 e così via per λ

crescenti.

A scopo illustrativo si riportano in fig. 1.2.1 alcuni semplici

esempi di deformazioni nucleari quadrupolari e ottupolari

rispetto alla forma sferica.

15

fig. 1.2.1 Possibili deformazioni dei nuclei rispetto alla forma di

equilibrio sferica. In figura si mostrano quattro possibili

deformazioni, dall'alto a sinistra, quadrupolare (λ=2), ottupolare

(λ=3) ed esadecupolare (λ=4) [7].

1.3 Le Risonanze Giganti di Dipolo (GDR)

Il fenomeno delle risonanze giganti di dipolo fu osservato per la

prima volta nel 1947 da Baldwin e Klaiber [9] durante

esperimenti di fotoassorbimento in cui raggi γ di energie

dell’ordine delle decine di MeV venivano fatti incidere su nuclei

di Uranio. Si osservò che tali nuclei entravano prima in uno stato

eccitato e successivamente subivano un processo di fissione.

Anche negli anni successivi si svolsero esperimenti simili usando

tecniche di fotoassorbimento e si notò che la sezione d’urto per la

deformazione di tali stati era molto grande, cioè si sviluppava

16

lungo un continuo di energie e con probabilità molto alta. Il nome

Risonanza Gigante di Dipolo deriva proprio dalle alte energie e

dall'elevata sezione d’urto. Negli anni successivi a questa

scoperta vennero proposti due modelli semiclassici che

spiegavano tali risonanze: quello proposto da Goldhaber e Teller

nel 1948, e quello proposto da Steinwedel e Jensen nel 1950.

Il primo modello [10] trattava la risonanza gigante come

un’oscillazione dei protoni contro i neutroni, assumendo che

singolarmente i protoni e i neutroni formassero una goccia sferica

di liquido incomprimibile.

Secondo il modello di Steinwedel e Jensen [11], invece, il nucleo

nel complesso era una goccia sferica incomprimibile mentre

singolarmente protoni e neutroni non lo erano: la risonanza

veniva spiegata come un moto di protoni contro neutroni

all’interno di tale struttura rigida.

In ogni caso l’elevata energia di queste risonanze viene spiegata,

in entrambi i modelli, dal fatto che tutti i protoni e tutti i neutroni

vibrano in controfase. In generale, infatti, moti con una così

spiccata collettività richiedono energie molto grandi.

In sostanza, dunque, la risonanza gigante di dipolo viene

illustrata da un modello a due fluidi: un fluido di protoni e uno di

neutroni oscillano in opposizione di fase e danno origine a tale

moto di risonanza.

L’interesse di queste oscillazioni è rimasto elevato fin dalla loro

scoperta in quanto sono molto utili per capire la struttura dei

nuclei e la loro risposta alle eccitazioni. Infatti le risonanze

possono essere indotte sia, come già detto, da fotoassorbimento,

17

sia da collisioni con altri nuclei: in tal modo, ad esempio, si può

osservare come la risposta varia al variare della causa della

sollecitazione (infatti mentre i fotoni ovviamente causano

eccitazioni di natura elettromagnetica, i nuclei producono sia

interazioni nucleari che elettromagnetiche).

La risonanza gigante di dipolo viene spiegata supponendo che

sotto l'influenza del campo elettromagnetico del fotone, i protoni

si muovono coerentemente in una direzione mentre i neutroni,

poiché il centro di massa del sistema deve rimanere

complessivamente fermo, si muovono nella direzione opposta. Il

moto dei nucleoni è invertito dalla forza nucleare, di tipo

attrattivo, che funge da forza di richiamo. Dunque si instaura

un'oscillazione che si smorza tramite l'emissione di raggi γ

caratteristici o l'emissione di particelle. Dunque la GDR è

generata dal movimento oscillatorio in opposizione di fase,

all'interno del nucleo, di protoni e neutroni, che rappresentano i

due fluidi del modello.

fig. 1.3.1 Modello a due fluidi della Risonanza Gigante di

Dipolo.

18

1.4 Le Risonanze Pygmy di Dipolo (PDR)

1.4.1 Breve introduzione al fenomeno

Molto tempo dopo la scoperta delle risonanze giganti, nel 1961

furono individuate, da Baldwin e Klaiber, alcune risonanze

dipolari ad energie molto minori (dell’ordine della decina di

MeV) e con probabilità molto minore rispetto alle GDR: le

Risonanze Pygmy di Dipolo (PDR) [12]. Tali risonanze vennero

notate anch’esse con esperimenti di fotoassorbimento, questa

volta su nuclei con N >> Z, cioè con un forte eccesso di neutroni.

Tali nuclei, noi sappiamo possono essere sia stabili (infatti la

valle di stabilità curva, per nuclei pesanti, verso nuclei con un

forte eccesso di neutroni) sia instabili. In corrispondenza dei

numeri magici abbiamo che il nucleo, stabile, ha una forma

sferica, mentre per nuclei lontani dalla valle, la loro instabilità

corrisponde ad una deformazione del nucleo. Inoltre, studiando le

sezioni d'urto si notò che, nei nuclei con eccesso di neutroni, la

densità di protoni era pressoché nulla vicino alla superficie: in

sostanza, cioè, il nucleo poteva essere pensato come un sistema

formato da un core centrale formato da protoni e neutroni, e da

uno skin (una pelle, letteralmente, o valenza) formato da soli

neutroni, che avvolgeva il core.

Nel 1971 fu proposto, in analogia con il caso delle risonanze

giganti, un modello idrodinamico per spiegare il fenomeno della

risonanza Pygmy. Tale modello semiclassico, introdotto da

Mohan, Danos e Biedenharn [13] spiegava l’oscillazione nel

modo seguente: il nucleo non era più composto, come nei

modelli delle risonanze giganti, da due fluidi incomprimibili

19

bensì da tre: i protoni, i neutroni del core e i neutroni dello skin.

Per spiegare la risonanza tale modello assumeva che i protoni e i

neutroni del core vibravano contro i neutroni dello skin.

1.4.2 Il modello a tre fluidi per i nuclei

Nel modello a tre fluidi, dunque, come già accennato, il nucleo è

formato da due regioni: quella interna, il core, formata sia da

protoni sia da neutroni, e quella esterna, lo skin, formata solo da

neutroni. Questa suddivisione è basata su evidenze sperimentali e

modelli teorici che mostrano, per nuclei con un forte eccesso di

neutroni, che la densità dei protoni vicino alla superficie del

nucleo è praticamente nulla, e quindi la zona esterna del nucleo è

popolata solo da neutroni.

1.4.3 Esperimenti su 208Pb, 132Sn, 68Ni

Negli ultimi anni sono state studiate le proprietà degli stati

collettivi dei nuclei ricchi di neutroni. In particolare, è stata

rivolta grande attenzione alla presenza della strenght di dipolo a

basse energie di eccitazione. Questa strenght è stata spesso

associata alla possibile esistenza di un nuovo modo: la Risonanza

Pygmy di Dipolo (PDR). Tale modo trasporta qualche percento di

EWSR (Energy-Weighted Sum Rule), ed è presente in isotopi

con un consistente eccesso di neutroni [14]. Per questo motivo

tale moto è più evidente nei nuclei lontani dalla linea di stabilità,

ma la sua presenza è stata notata anche per nuclei stabili come il 208Pb. Al GSI sono state eseguite misure che coinvolgono

processi di eccitazione coulombiana ad alte energie con collisioni

20

di ioni pesanti su nuclei di 132Sn [15] e di 68Ni [16]. Le PDR sono

state studiate anche per mezzo di esperimenti di fluorescenza

della risonanza nucleare (eseguiti su nuclei stabili semi magici), e

per mezzo di esperimenti che usano il metodo della coincidenza

(α, α' γ) [17]. L'importanza di tali esperimenti risiede nel fatto

che essi hanno messo in evidenza che i modi PDR sono connessi

all'eccesso di neutroni. La strenght della PDR è stata collegata

alla pelle di neutroni (skin) e alla dipendenza dalla densità

dell'energia nucleare.

Dallo studio di tali modi di dipolo si è potuto evincere che le

componenti isoscalari e isovettoriali della densità di transizione

sono strettamente collegate, come si vede in fig. 1.4.1. Da tale

figura si evince anche che le densità di transizione di neutroni e

protoni sono in fase all'interno del nucleo, mentre sulla superficie

rimane solo la componente neutronica; tale andamento può

essere considerato una sorta di definizione teorica della risonanza

Pygmy.

Inoltre, si nota come la parte isoscalare sia più pronunciata

all'interno del nucleo mentre in superficie abbiano entrambe circa

la stessa strenght. Questo suggerisce, come già descritto in

precedenza, come sia possibile studiare la risonanza Pygmy sia

utilizzando sonde isovettoriali sia utilizzando sonde isoscalari.

Dal grafico in fig. 1.4.2, invece, si evince come si distribuisce la

strenght di dipolo RPA per quattro diversi isotopi del nucleo di

Ni, nella risposta a una sonda isovettoriale e ad una isoscalare.

Tali curve sono generate dall'azione dei seguenti operatori:

21

O1mIV

=∑i=1

A

ri Y 1m( r̂l) τzi (1.4.1)

O1mIS

=∑i=1

A

ri3 Y 1m( r̂l) (1.4.2)

All'aumentare del numero di neutroni, un piccolo picco diventa

apprezzabile nella risposta isovettoriale; in particolare ciò è ben

evidente per l'isotopo 68Ni. Analogamente, i picchi nelle

distribuzioni isoscalari diventano più evidenti al crescere del

numero di neutroni, fino a diventare dominanti per il 68Ni.

Lo studio della risonanza Pygmy è di notevole importanza non

solo per comprendere la struttura nucleare, ma anche per

comprendere maggiormente la dipendenza dell'equazione di stato

della materia nucleare (EoS) dalla densità nucleare. Inoltre, la

risonanza Pygmy ha anche importanti connessioni con

l'astrofisica, potrebbe infatti essere correlata al processo r

responsabile della sintetizzazione del 50% di elementi più pesanti

del Ferro.

22

fig. 1.4.1 Densità di transizione per l'isotopo di 68Ni; sono

rappresentate le densità di transizione per i protoni (tratteggio

nero), per i neutroni (tratteggio rosso), e la risposta ad una sonda

isoscalare (puntini neri) e isovettoriale (linea continua blu) [14].

fig. 1.4.2 Distribuzione della strenght di dipolo RPA per gli

isotopi 56Ni, 60Ni, 66Ni e 68Ni, nella risposta a una sonda

isovettoriale (curve superiori in rosso) e ad una isoscalare (curve

inferiori in blu) [14].

23

Capitolo II – Produzione di fasci esotici e

sistemi di rivelazione ai LNS-INFN

2.1 Produzione dei fasci di

frammentazione

Nel paragrafo 1.1 si è accennato ai nuclei esotici, cioè a quei

nuclei che si trovano lontano dalla valle di stabilità nella carta di

Segré; lo studio di tali nuclei è oggi un tema di fondamentale

importanza nella ricerca di base, poiché si pensa che possa dare

un contributo significativo allo studio delle forze nucleari, ad

oggi non del tutto comprese. In seguito a collisioni nucleari che

coinvolgono tali tipi di nuclei si possono dedurre informazioni

quantitative sui nuclei esotici. Di recente ciò è stato reso

possibile dai progressi tecnologici nel campo della fisica degli

acceleratori e delle tecniche di trasporto e tagging dei fasci

esotici, cioè dei fasci accelerati di ioni radioattivi. Tuttavia,

realizzare esperimenti di questo tipo non è semplice, poiché

allontanandosi dalla valle di stabilità, si incontrano delle

difficoltà nella produzione dei fasci esotici dovute al fatto che gli

ioni hanno una vita media sempre più piccola e sezioni d'urto di

produzione sempre minori.

Ad oggi si sono sviluppate due tecniche di produzione di fasci

radioattivi [18]:

• tecnica IFF di frammentazione in volo (In-Flight Fragmentation);

• tecnica ISOL (Isotope Separation On-Line).

24

Entrambe le tecniche permettono la produzione e il trasporto dei

fasci radioattivi fino all'area sperimentale, in cui le loro proprietà

sono studiate mediante reazioni nucleari su bersagli fissi (si veda

la schematizzazione in fig. 2.1.1).

La tecnica ISOL utilizza tipicamente due macchine acceleratrici:

la prima serve ad accelerare ioni stabili che producono una vasta

gamma di ioni radioattivi attraverso processi di spallazione,

fissione, fusione, evaporazione e frammentazione; gli ioni

radioattivi così prodotti sono poi termalizzati in un materiale

collettore a temperature tipiche dell'ordine dei 2000°C,

successivamente sono estratti e selezionati in massa mediante dei

magneti selettori, e infine vengono accelerati dalla seconda

macchina acceleratrice. Con questa tecnica si riescono a produrre

fasci radioattivi sufficientemente collimati, in un ampio range

energetico, da qualche MeV/u a 100 MeV/u [19].

La tecnica IFF, invece, fa uso di un'unica macchina acceleratrice

per produrre reazioni nucleari in un bersaglio abbastanza sottile

da non arrestare il fascio incidente. Essa permette di selezionare

gli eventi in cui il fascio primario si frammenta in un certo

numero di ioni, e di selezionare poi le cariche e le masse degli

isotopi radioattivi di interesse, mediante dei complessi sistemi di

elementi magnetici, rivelatori di tagging e assorbitori. Con questa

tecnica si producono fasci di ioni esotici, anche con basse vite

medie (dell'ordine del μs), in un range energetico che va dalle

decine di MeV/u a 1GeV/u [20].

La tecnica IFF, dunque, presenta il vantaggio di poter essere

messa in atto con l'uso di un solo acceleratore.

25

Questa tecnica, inoltre, fa uso di un meccanismo di reazione

semiperiferica, in cui il nucleo del fascio primario subisce una

frammentazione. Tale perifericità dell'urto comporta che frazioni

dell'ordine del 90% dell'impulso iniziale rimangano a

disposizione dei prodotti della frammentazione, i quali vengono

poi selezionati con un'altissima precisione mediante elementi

magnetici. In questo modo si ottengono frammenti con velocità

simili a quella del fascio incidente, e tali frammenti risultano

subito pronti per l'utilizzo.

Il processo di frammentazione del proiettile, coinvolto nella

prima fase della produzione dei fasci di frammentazione, è, come

detto, un meccanismo di reazione periferica. Tale meccanismo

implica la rimozione di alcuni nucleoni dal nucleo proiettile,

producendo dei frammenti non molto eccitati che vengono

emessi a piccoli angoli, e che in seguito si diseccitano per

emissione isotropica di ulteriori nucleoni. La deflessione subita

dal quasi-proiettile è molto piccola, per cui i prodotti di tale

reazione sono emessi in un cono abbastanza stretto attorno alla

direzione del fascio primario, ed è proprio questa caratteristica a

favorire il trasporto di tali residui. Un processo di questo genere

può essere descritto da un modello partecipante-spettatore in cui

il volume di overlap tra i due nuclei collidenti è detta zona

partecipante, mentre ciò che resta fuori rappresenta la zona

spettatore (si veda la figura 2.1.2). Quest'ultima, restando fuori

dalla collisione, prosegue ad una velocità prossima a quella del

proiettile. Dopo l'emissione di nucleoni di evaporazione si può

ottenere un nucleo lontano dalla valle di stabilità, che è proprio il

26

nucleo esotico che si voleva produrre.

Poiché l'interazione avviene in cinematica inversa

(Mproiettile>Mbersaglio), i prodotti di reazione emergono con una

velocità prossima a quella del fascio incidente, e sono selezionati

in termini di rigidità magnetica Bρ4 attraversando un filtro

magnetico detto Fragment Recoil Separator (FRS). Tale

dispositivo può presentare anche elementi elettrici oltre che

magnetici, e in genere seleziona i prodotti di reazione mediante la

nota forza di Lorentz. Poiché però, come detto, gli ioni incidenti

hanno tutti circa la stessa velocità, ioni con lo stesso rapporto

A/Q subiscono la stessa deflessione, perciò nel processo di

separazione interviene anche un materiale degradatore di energia

tra due magneti separatori, sfruttando la dipendenza del processo

di perdita di energia in un materiale degli ioni incidenti dal

fattore (Z/v)2, di cui si parlerà più in dettaglio nel paragrafo 2.3.

Gli ioni così ottenuti e selezionati possono essere adoperati come

fasci per misure di reazioni nucleari, in quanto possiedono già

una propria energia cinetica (circa pari alla EB/A del fascio

primario).

La tecnica IFF è quella che viene utilizzata per studiare le

caratteristiche di nuclei esotici con i rivelatori CHIMERA e

FARCOS, di cui si parlerà nel prossimo paragrafo.

4 La rigidità magnetica è espressa dalla nota equazione Bρ=pq

, dove ρ è il raggio di

deflessione magnetica, chiamato raggio di Larmor, e p e q sono rispettivamente impulso e carica dello ione da selezionare.

27

fig. 2.1.1 Schematizzazione dei due metodi per la produzione di

fasci radioattivi, ISOL e IFF [21].

fig. 2.1.2 Schematizzazione di una reazione di frammentazione

del proiettile secondo il modello partecipante-spettatore. Il

proiettile interagisce con un bersaglio perdendo parte dei suoi

nucleoni; il successivo processo di evaporazione di ulteriori

nucleoni porta infine alla produzione di un nucleo esotico.

28

2.2 Rivelatori di particelle CHIMERA e

FARCOS ai LNS-INFN

L'esperimento oggetto di questa tesi, che studia l'eccitazione

della risonanza Pygmy nel 68Ni, è stato realizzato mediante

l'utilizzo combinato di due multirivelatori di particelle:

CHIMERA e FARCOS. Di seguito vengono descritte le loro

principali caratteristiche.

2.2.1 Il multirivelatore CHIMERA

Il multirivelatore CHIMERA (acronimo di Charged Heavy Ion

Mass and Energy Resolving Array) è un multirivelatore di

particelle cariche, costruito durante gli anni ’90 da un’ampia

collaborazione internazionale ed installato ai Laboratori

Nazionali del Sud di Catania [18, 22]. Nonostante tale apparato

sia stato in principio concepito per studiare le collisioni tra ioni

pesanti ad energie intermedie (10–100MeV/u), esso è stato

recentemente usato anche per lo studio delle reazioni tra ioni

leggeri ed inoltre anche per la rivelazione di particelle γ.

Il multirivelatore CHIMERA è costituito da 1192 moduli di

rivelazione distribuiti in una geometria cilindrica su un angolo

solido di circa 4π (nominalmente l'apparato copre il 94%

dell'angolo solido) [23]. Ciascun modulo è costituito da un

Telescopio, avente come primo stadio un rivelatore al Silicio, e

come secondo, un cristallo di Ioduro di Cesio attivato al Tallio

(CsI(Tl)), letto mediante un fotodiodo. L'apparato così costruito

permette di misurare gli angoli polari ed azimutali di emissione,

29

l'energia, la velocità e la carica di ogni particella rivelata.

L'elevata granularità del rivelatore, resa possibile dai 1192

Telescopi che lo compongono, permette una buona

identificazione dell'angolo di emissione delle particelle rivelate e

riduce la probabilità che più particelle colpiscano uno stesso

rivelatore (cioè che avvenga il cosiddetto multiple hit) [24].

Come illustrato in figura 2.2.1, il multirivelatore CHIMERA si

estende in lunghezza per circa 4 metri, ed è costituito

principalmente da due parti: la sfera posteriore e i nove anelli

anteriori.

La parte anteriore è costituita da 688 Telescopi, che formano un

cono di elevata granularità, concepito per la rivelazione della

maggior parte dei frammenti emessi in una collisione tra ioni

fig. 2.2.1 La geometria del multirivelatore CHIMERA. La freccia

che posteriormente punta verso il centro della sfera indica la

direzione del fascio incidente; mentre il target è posizionato al

centro della sfera [24].

30

pesanti; tali Telescopi coprono la regione di angoli polari

compresi fra 1° e 30° e l'intero angolo azimutale. Tale cono è a

sua volta formato da nove anelli, suddivisi in anelli interni ed

esterni, che sono dei supporti removibili indipendenti, posti a

distanza variabile dal bersaglio, al crescere dell'angolo polare, da

350 a 100 cm [21, 23, 24].

La parte posteriore è costituita da 504 Telescopi che compongono

una griglia sferica costituita da 17 anelli. Tale sfera ha un raggio

pari a 40 cm e sottende un angolo polare variabile da 30° a 176°.

Le targhette bersaglio sono disposte al centro della sfera su un

apposito supporto [18, 23, 24].

Gli angoli da 0° a 1° e da 176° a 180° corrispondono all'uscita e

all'entrata del fascio, mentre una cella della sfera viene usata per

l'inserimento del porta bersaglio. In figura 2.2.2 viene mostrata la

disposizione angolare delle parti in questione. Sottraendo le zone

morte dovute alla struttura di sostegno dei rivelatori e al

portabersaglio, si ottiene una copertura di circa il 94%

dell'angolo solido totale. Inoltre la parte in avanti (θ≤30°)

presenta un'efficienza relativa del 95%, dovuta alla minore

presenza di zone morte; questa caratteristica gioca un ruolo

fondamentale nello studio di reazioni in cinematica inversa, in

cui si ha un'elevata concentrazione di prodotti nella direzione di

incidenza del fascio [18].

Il multirivelatore lavora sottovuoto in un'apposita camera dotata

di un opportuno sistema di pompaggio che permette di

raggiungere una pressione pari a circa 10-6 mbar.

I 1192 Telescopi costruiti per il rivelatore CHIMERA hanno

31

forma trapezoidale, e a seconda delle zone attive di rivelazione si

distinguono in due gruppi: i rivelatori sulla sfera hanno una sola

zona attiva, mentre quelli della parte anteriore ne hanno due, che

funzionano come due rivelatori distinti. Ciascuno di questi

rivelatori, come è stato già accennato, è costituito da due stadi di

rivelazione: un rivelatore al Silicio e un rivelatore a scintillazione

CsI(Tl).

Il funzionamento dei rivelatori al Silicio è sostanzialmente quello

di un diodo a giunzione p-n 5. Gli spessori del Silicio sono pari a

300 μm nei vari anelli, e permettono una misura della perdita di

energia della particella ΔE, qualora essa riesca ad attraversarlo, o

dell'energia totale E delle particelle che si fermano all'interno del

Silicio. Le particelle rivelate in trasmissione incontrano un

secondo stadio di rivelazione costituito da un rivelatore a

scintillazione6 CsI(Tl), accoppiato otticamente con un fotodiodo

Hamamatsu di 324 mm2 di superficie. Questo tipo di scintillatore

riesce a combinare una buona capacità di rallentamento delle

5 In una lastra di Silicio, che è un semiconduttore tetravalente, vengono impiantati atomi di arsenico, che sono pentavalenti, e quindi donori di elettroni, creando un semiconduttore drogato di tipo n. Successivamente, un lato della lastra di Si viene ossidato termicamente creando uno strato di SiO2, e poi attraverso processi fotolitografici, viene ripulita, realizzando così una finestra, che costituisce la zona attiva del rivelatore. Attraverso questa finestra viene diffusa un'alta concentrazione di ioni accettori di elettroni, gli atomi di Boro, creando uno strato drogato di tipo p+. Il Silicio drogato n e lo strato p+ costituiscono un rivelatore a giunzione p-n. La differente concentrazione di cariche dei due strati, provoca un moto di cariche che all'equilibrio crea un campo elettrico. La presenza di tale campo elettrico implica una differenza di potenziale attraverso la giunzione, nota come potenziale di contatto, dell'ordine di 1 V. Per raccogliere velocemente tutte le cariche prodotte da una radiazione ionizzante che entra in questa zona, viene applicato un potenziale esterno concorde a quello di contatto, che contemporaneamente aumenta la zona di svuotamento. Per applicare la tensione di lavoro minima, basta realizzare una zona di svuotamento pari allo spessore del Silicio [22].

6 I rivelatori a scintillazione producono luce quando sono colpiti da una radiazione ionizzante. Questa luce, se opportunamente convogliata su un fotodiodo, che è un rivelatore al Silicio, viene convertita in un impulso elettrico. Essi hanno una buona resistenza al danneggiamento da radiazioni e da fattori esterni, e una buona resa in luce se accoppiati a un fotodiodo. La non linearità e la dipendenza dal tipo di particella della resa in luce in funzione dell'energia richiedono delicate procedure nelle operazioni di calibrazione [23].

32

particelle con la possibilità di identificare i vari isotopi di

particelle leggere. La forma dei cristalli utilizzati è quella di un

tronco di piramide retta a base trapezoidale. Le dimensioni dei

vari cristalli dipendono dalla necessità di arrestare le particelle

più o meno energetiche.

fig 2.2.2 Vista in sezione del rivelatore CHIMERA. Sono indicati

gli angoli polari dei vari anelli e della sfera [18].

2.2.2 Il multirivelatore FARCOS

Per studiare in maggior dettaglio le proprietà spettroscopiche dei

nuclei esotici, l'apparato sperimentale CHIMERA viene

accoppiato con rivelatori mobili di elevata segmentazione che

permettono la costruzione di correlazioni particella-particella. In

questo contesto si colloca il progetto FARCOS (acronimo di

Femtoscope Array for Correlation and Spectroscopy), che

consiste nella realizzazione di Telescopi ad elevata risoluzione

angolare ed energetica, concepiti per la misura di correlazioni

particella-particella e la ricostruzione della spettroscopia dei

nuclei emettitori, nel più ampio contesto di esperimenti di fisica

nucleare. FARCOS nasce per l'utilizzo ai LNS di Catania, ma

33

non si esclude l'idea di utilizzarlo anche altrove, in

accoppiamento ad altri multirivelatori esistenti.

Una delle principali caratteristiche dell'array di Telescopi di

FARCOS è la portabilità, dovuta alla modularità dei Telescopi di

cui è composto il sistema. Ciascuno di essi è, infatti, un modulo

indipendente, e tali moduli possono essere assemblati a formare

array di Telescopi in modo molto versatile, a seconda delle

esigenze geometriche dell'esperimento.

Come si vede in figura 2.2.3, un Telescopio FARCOS è costituito

da tre stadi di rivelazione: i primi due sono rappresentati da

rivelatori DSSSD (acronimo di Double Sided Silicon Strip

Detector), mentre il terzo è costituito da rivelatori a scintillazione

CsI(Tl).

I rivelatori DSSSD, di cui si parlerà nel terzo capitolo, sono

fig. 2.2.3 Disegno 3D non in scala di un Telescopio del rivelatore

FARCOS. I primi due stadi di rivelazione sono rappresentati da

rivelatori DSSSD, mentre il terzo stadio è costituito da quattro

scintillatori CsI(Tl).

34

anche utilizzati per il tagging dei fasci esotici che arrivano nella

sala sperimentale, permettendo di discriminare, particella per

particella, gli isotopi che compongono il cocktail di fasci

radioattivi che vengono inviati sul rivelatore [28].

I rivelatori di FARCOS sono formati da 32 strip verticali nel lato

posteriore e 32 strip orizzontali nel lato anteriore. I due DSSSD

hanno spessori diversi (il primo ha uno spessore di 300 μm

mentre il secondo di 1500 μm), ed hanno superfici attive uguali,

pari a 64x64 mm2, ed entrambi sono sorretti da supporti plastici.

Il rivelatore a scintillazione del terzo stadio di rivelazione è a sua

volta costituito da 4 cristalli di CsI(Tl), accoppiati ad altrettanti

fotodiodi.

FARCOS permette la rivelazione di particelle in un range

energetico molto ampio, dal MeV al GeV; inoltre, le basse soglie

di identificazione delle particelle permettono di ottenere buone

risoluzioni energetiche anche per particelle di bassa energia.

Attualmente il multirivelatore FARCOS è costituito da 4

Telescopi aventi le caratteristiche descritte precedentemente per

il singolo Telescopio; nella sua configurazione finale FARCOS

consisterà di 20 Telescopi.

La configurazione geometrica di tali Telescopi, come verrà

descritto nel terzo capitolo, permette un'accurata rivelazione del 68Ni e degli altri nuclei esotici.

Descriviamo di seguito quali sono le tecniche di identificazione

di cui fanno uso i rivelatori CHIMERA e FARCOS.

35

2.3 Tecniche di identificazione

L'apparato di rivelazione CHIMERA offre la possibilità di

utilizzare varie tecniche di rivelazione ed identificazione per le

particelle che interagiscono con esso:

• Identificazione ΔE-E: permette di identificare in carica le

particelle più energetiche che attraversano il rivelatore al Silicio e

si fermano nel cristallo. Per Z≤9 questo metodo consente anche

l'identificazione in massa. L'identificazione sfrutta la

correlazione tra l'energia persa in trasmissione nel primo stadio di

rivelazione (ΔE) e l'energia totale (E) della particella misurata nel

secondo stadio di rivelazione [25].

• Identificazione ΔE-TOF: permette l'identificazione in

massa e la misura della velocità delle particelle che si fermano

nel rivelatore al Silicio, attraverso le correlazioni tra l'energia

persa nel Si (ΔE) e il tempo di volo (TOF – Time Of Flight) dello

stesso; essa viene tipicamente adoperata per particelle per cui

l'identificazione attraverso la tecnica ΔE-E non può essere

effettuata.

• Discriminazione fast-slow: sfrutta la ripartizione della luce

tra le componenti veloci e lente, dovuta all'arresto delle particelle

che attraversano gli scintillatori al CsI(Tl). A parità di energia

rilasciata nel rivelatore, infatti, la ripartizione della luce nelle due

componenti dipende dalla carica e dalla massa della particella

che lo attraversa. La differenza fra le due componenti consiste

nei tempi tipici di emissione della stessa, e genera dei segnali

elettrici dalla forma caratteristica, la cui analisi in forma permette

36

di distinguere i raggi γ e le particelle cariche leggere tra loro [27].

• Discriminazione Pulse Shape (PSD) nel rivelatore al Si:

permette di identificare in carica gli ioni pesanti che hanno

rilasciato tutta la propria energia nel rivelatore al Silicio,

studiando i tempi di salita del segnale prodotto.

Riportiamo ora qualche dettaglio in più sulle tecniche di

rivelazione ΔE-E e fast-slow.

37

2.3.1 Metodo ΔE-E

Una buona identificazione in carica, massa ed energia può essere

ottenuta mediante l'utilizzo di un Telescopio, cioè di un sistema

di due rivelatori accoppiati, che nel nostro caso è costituito dal Si

e dal CsI(Tl), come si vede in figura 2.3.1. Tale metodo consiste

nel misurare contemporaneamente l'energia ΔE che una particella

perde attraversando il rivelatore al Silicio, e l'energia residua Eres

che la stessa rilascia nel secondo rivelatore, il cristallo di CsI(Tl),

e correlare infine la perdita di energia ΔE con l'energia totale E

(data dalla somma dell'energia residua e del ΔE) [25].

Quando una particella ionizzante attraversa un materiale perde

energia attraverso collisioni inelastiche con gli elettroni atomici o

ionizzazioni con i nuclei targhetta. Queste collisioni sono di

natura statistica e avvengono con una certa probabilità descritta

dalla meccanica quantistica. Tuttavia, poiché il numero di

collisioni per unità di percorso è molto elevato, le fluttuazioni

fig. 2.3.1 Schema semplificato di un Telescopio utilizzato per la

tecnica ΔE-E in CHIMERA: esso fa uso dell'accoppiamento di un

modulo di Si e di uno di CsI(Tl).

38

dell'energia persa sono piccole e si può lavorare con l'energia

media persa per unità di percorso. Questa viene detta stopping

power (potere frenante), e fu ricavata prima classicamente da

Bohr e poi da Bethe-Bloch quantisticamente [25]:

−dEdx

=4π N e r e2 me c2 Z 2

β2 (ln2me c2

β2γ

2

I−β2−

δ(γ)2 ) (2.3.1)

dove la dipendenza dall'energia è inglobata nel termine β2; γ è il

fattore di Lorentz, β è il rapporto tra la velocità della particella e

quella della luce c, Ne la densità elettronica del bersaglio, I il

potenziale di ionizzazione del bersaglio, re ed me rispettivamente

il raggio e la massa dell'elettrone e Ze la carica delle particelle

della radiazione. Quindi la dipendenza dell'energia, trascurando

le costanti, e con le opportune approssimazioni, è del tipo:

−dEdx

∝AZ 2

E(2.3.2)

dove A e Z corrispondono rispettivamente al peso atomico e alla

carica della particella incidente.

La (2.3.2) rappresenta la nota dipendenza iperbolica della

correlazione ΔE-E, come si vede in figura 2.3.2, in cui ciascuna

iperbole è relativa ad un certo valore AZ2 che identifica il nucleo

che ha interagito col Telescopio. Una tale dipendenza da A e Z

implica che la separazione sia più marcata in Z che in A nelle

iperboli.

La tecnica di identificazione ΔE-E è stata utilizzata

nell'esperimento Pygmy sia per il rivelatore CHIMERA sia per il

rivelatore FARCOS.

39

fig.2.3.2 Grafico di una matrice di correlazione ΔE-E realizzata

con il rivelatore CHIMERA nella reazione 48Ca+48Ca a 25

MeV/u.

2.3.2 Discriminazione fast-slow

Il metodo di discriminazione fast-slow utilizza il segnale dello

scintillatore CsI(Tl) prodotto dalle particelle che si arrestano al

suo interno. Quando una radiazione ionizzante attraversa uno

scintillatore eccita gli atomi e le molecole che lo compongono,

che ne assorbono l'energia; la diseccitazione di questi comporta

l'emissione di luce che viene convogliata verso il fotodiodo

accoppiato agli scintillatori CsI(Tl), che la trasforma in impulso

elettrico. L'emissione in luce è caratterizzata da due componenti,

40

fast e slow, le cui costanti di decadimento sono rispettivamente

τf≈3,2 μs e τs≈0,4-0,7 μs. L'evoluzione temporale del processo di

emissione può essere descritta attraverso una legge di

decadimento esponenziale [27]:

N =Ae−tτ f +B e

tτ s 2.3.3

essendo N il numero di fotoni emessi al tempo t, e A e B delle

costanti che dipendono dal materiale. La relazione tra le due

componenti è mostrata in figura 2.3.3. La componente veloce

domina durante il tempo di salita, mentre quella lenta determina

la coda del segnale. L'ampiezza della componente veloce dipende

da massa, carica ed energia della particella rivelata, quindi cresce

al diminuire della densità di ionizzazione dE/dx; l'ampiezza della

componente lenta, invece, è meno sensibile al tipo di particella e

alla sua energia [29].

fig. 2.3.3 Le componenti fast e slow della luce di scintillazione.

La linea continua rappresenta la curva della luce totale emessa.

41

2.4 Rivelazione di raggi γ tramite il

multirivelatore CHIMERA

Recentemente ai LNS di Catania sono stati eseguiti una serie di

esperimenti finalizzati alla rivelazione di raggi γ per mezzo del

multirivelatore CHIMERA.

In particolare sono state realizzate misure di coincidenza di p-γ

che vengono emessi nella collisione 12C (p, p' γ) 12C, a energie

Ep=12, 15, 18 MeV; inoltre sono state studiate le distribuzioni

angolari dei raggi γ rivelati, utilizzando i rivelatori CsI(Tl) della

sfera di CHIMERA (come si vede in figura 2.4.1) [31].

È stata misurata la funzione di risposta dei CsI(Tl) ai raggi γ,

rivelando la radiazione γ di 4,44 MeV, emessa dal decadimento

del primo livello eccitato del 12C. Tale stato è infatti facilmente

eccitato usando lo scattering di protoni. In questo tipo di reazioni

si può cercare di rivelare i raggi γ triggerando l'evento con il

protone scatterato in modo inelastico. In figura 2.4.2 si mostra lo

spettro acquisito in un anello della sfera di CHIMERA, in

coincidenza con tali eventi di scattering inelastico (spettro

vuoto); il background si può studiare raccogliendo lo stesso

numero di eventi, triggerati dal rivelamento di protoni

provenienti da scattering elastico (spettro pieno).

È stato inoltre verificato che si può estrarre la distribuzione

angolare da questi eventi. Ciò è molto utile per capire la

multipolarità dei raggi γ emessi, e quindi per valutare lo spin

delle risonanze osservate. Quest'ultimo aspetto sarà discusso nel

terzo capitolo, poiché è stato utilizzato nell'esperimento Pygmy

42

per valutare il fondo dei γ rivelati.

fig. 2.4.1 Distribuzioni angolari dei raggi γ di 4,44 MeV nel

sistema di riferimento del centro di massa del 12C rinculato, nelle

reazioni con protoni di energie 12 MeV (a), 15 MeV (b), 18 MeV

(c), e col fascio di 16O (d). In (e) ed (f) sono plottate le

distribuzioni angolari ottenute integrando gli spettri dei raggi γ

nei range energetici inferiori (2-2,5 MeV) e superiori (6-7 MeV)

rispetto al picco di 4,44 MeV.

43

fig. 2.4.2 Spettro di raggi γ rivelati sui rivelatori CsI(Tl) di

CHIMERA in coincidenza con gli eventi di scattering elastico dei

protoni sul bersaglio di carbonio (spettro pieno), e in coincidenza

con gli eventi di scattering inelastico dei protoni che provengono

dal carbonio eccitato a 4,44 MeV (spettro vuoto) [31].

44

Capitolo III – 68Ni+12C: Risultati

sperimentali preliminari

In questo capitolo, che conclude la tesi, si descrive in dettaglio

l'esperimento Pygmy, recentemente realizzato ai LNS-INFN dalla

collaborazione NEWCHIM, e si riportano i risultati preliminari

ottenuti.

3.1 Produzione e rivelazione del fascio di 68Ni

L'esperimento Pygmy ha lo scopo di studiare l'eccitazione

isoscalare della risonanza Pygmy nel 68Ni, che è un nucleo

fortemente neutronico. Infatti, come già detto precedentemente,

si è dimostrato che i modi PDR sono connessi all'eccesso di

neutroni all'interno dei nuclei [15, 16], e si possono studiare sia

per mezzo di sonde isovettoriali, sia per mezzo di sonde

isoscalari. Inoltre, come è stato già descritto, i rivelatori CsI(Tl)

del multirivelatore CHIMERA sono particolarmente adatti alla

rivelazione dei raggi γ.

Illustriamo adesso quali sono i processi che producono e

trasportano il fascio di 68Ni, prima di collidere sul target di 12C.

Il fascio di 68Ni (insieme al cosiddetto cocktail di fasci esotici)

viene prodotto mediante reazioni di frammentazione IFF,

utilizzando un fascio primario di 70Zn accelerato, tramite il

Ciclotrone Superconduttore (CS), ad un'energia di 40 MeV/u.

All'uscita dal CS il fascio di 70Zn collide sul target di 9Be, il cui

45

spessore è stato scelto per ottimizzare la produzione di 68Ni.

Di seguito si trovano due magneti inclinati a 45° rispetto alla

direzione del fascio, che hanno una rigidità magnetica di

Bρ=2,0334 Tm, e che, insieme ad altri magneti, trasportano il

fascio di frammentazione verso il sistema di tagging.

In figura 3.1.1 si ha una piantina dei LNS-INFN in cui è possibile

notare il Ciclotrone Superconduttore, i vari rivelatori ai LNS, e il

percorso effettuato dal fascio prima di raggiungere la sala

sperimentale CHIMERA.

fig. 3.1.1 Piantina dei LNS-INFN di Catania, in cui si mostrano

il CS e il complesso sistema che produce e trasporta il fascio di 68Ni sul multirivelatore CHIMERA.

46

Come accennato precedentemente, è di notevole importanza

etichettare il cocktail di fasci incidenti prodotti con il metodo IFF

mediante un apposito sistema di tagging. Per il sistema di

tagging dei fasci esotici ai LNS-INFN di Catania, si utilizzano un

rivelatore DSSSD e un rivelatore MCP (Micro Channel Plate).

Il sistema di tagging permette di discriminare particella per

particella i nuclei radioattivi che sono stati prodotti nella

frammentazione [28]. Questi elementi sono installati sulla linea

del fascio: il MCP è posto a circa 13 m dal DSSSD, che è posto

all'ingresso della camera da vuoto di CHIMERA.

La produzione e il trasporto dei fasci di frammentazione

forniscono all'ingresso della sala sperimentale un cocktail di fasci

radioattivi distinti, aventi diverse energie e direzioni di volo, oltre

che naturalmente diverse carica e massa. Inoltre, a causa

dell'accettanza geometrica non nulla del separatore magnetico di

cui si fa uso in tali esperimenti, il fascio selezionato non risulta

monocromatico, ragion per cui si ha una certa indeterminazione

energetica su ogni isotopo trasportato.

L'utilizzo combinato del MCP e del DSSSD permette di

etichettare il fascio cocktail, mediante il metodo ΔE-TOF. Infatti,

mentre il MCP dà il segnale di start, il DSSSD dà il segnale di

stop e misura la perdita di energia del fascio.

Una prima parte dell'analisi sperimentale è stata dedicata alla

calibrazione del sistema di tagging. Un esempio di matrice ΔE-

TOF, che viene realizzata per etichettare il fascio, si può

osservare in figura 3.1.2. In tale figura è possibile notare i diversi

isotopi prodotti, in particolare quello di 68Ni.

47

Il fascio di frammentazione, dopo aver perso parte della propria

energia nel rivelatore DSSSD del sistema di tagging, entra in

CHIMERA ed interagisce con il target di 12C che si trova al

centro della sfera di CHIMERA, su un apposito supporto; in

seguito a tale reazione il 68Ni si eccita ed emette radiazioni γ.

La rivelazione dei γ avviene nei rivelatori CsI(Tl) di CHIMERA,

mentre il 68Ni e gli altri nuclei vengono rivelati ed identificati con

il multirivelatore FARCOS.

fig. 3.1.2 Matrice di calibrazione del sistema di tagging. Gli

addensamenti corrispondono agli isotopi indicati in figura.

48

3.2 Identificazione del 68Ni tramite il

multirivelatore FARCOS

All'interno della sfera di CHIMERA (vedi figura 3.2.1), dunque,

si trova il target di 12C, di uno spessore di 75 μm; il 68Ni che vi

incide sopra, si eccita, ed emette γ. Tali radiazioni γ vengono

rivelate dai CsI(Tl) della sfera di CHIMERA con un'efficienza

del 33%. Il 68Ni e gli altri nuclei, invece, vengono rivelati ed

identificati in FARCOS. Nei due stadi di Silicio di FARCOS il 68Ni e gli altri frammenti perdono la maggior parte della loro

energia e si fermano. Tali frammenti devono essere identificati in

massa, per assicurarsi che i γ rivelati siano effettivamente legati

alla diseccitazione del 68Ni. A tale scopo si fanno delle

correlazioni ΔE-ΔE per le varie strip di FARCOS, che

permettono di identificare i vari elementi prodotti. In figura 3.2.2

viene mostrato un esempio di tale matrice di correlazione,

relativa alla strip 0 del Front 300 μm e alla strip 31 del Front

1500 μm del Telescopio 1 di FARCOS.

Inoltre, è possibile osservare in figura 3.2.3 una matrice che

riporta gli angoli θ-φ del rivelatore FARCOS colpiti dal fascio di

frammentazione. Le informazioni sugli angoli colpiti, insieme

all'uso di un ulteriore rivelatore (PPAC – Parallel Plate

Avalanche Counter) posto subito prima della sfera di CHIMERA,

permetteranno di ottenere informazioni sull'esatta direzione del

fascio. Tali informazioni saranno di notevole importanza anche

per effettuare delle accurate calibrazioni energetiche del

rivelatore FARCOS.

49

fig. 3.2.1 Fotografia della sfera di CHIMERA.

50

fig. 3.2.2 Matrice di correlazione ΔE-ΔE relativa alla strip 0 del

Front 300 μm e alla strip 31 del Front 1500 μm del Telescopio 1

di FARCOS.

fig. 3.2.3 Calibrazione θ-φ dei 4 telescopi del rivelatore

FARCOS; gli angoli sono riportati in radianti.

51

3.3 Calibrazione γ dei rivelatori CsI(Tl) di

CHIMERA

Con i rivelatori CsI(Tl) di CHIMERA vengono rivelati i γ che

provengono da varie reazioni. Per distinguere i γ relativi al

decadimento della risonanza Pygmy del 68Ni nella collisione 68Ni+12C, da quelli che provengono dalle reazioni di p+12C o di 70Zn+12C, è necessario valutare il fondo e calibrare il rivelatore.

L'efficienza di rivelazione e la qualità degli spettri sono state

provate misurando il decadimento γ dei livelli eccitati del 12C

nella collisione con un fascio di protoni a 24 MeV [14].

In figura 3.3.1 viene mostrato lo spettro in Q-valore della

reazione p+12C a diverse energie.

Nella figura 3.3.2 è mostrato come al picco a 4,44 MeV (in giallo

nella figura) viene sottratto il fondo (in verde): ne risulta un picco

molto netto che è mostrato nel riquadro in alto della figura.

In questo modo si può calibrare il rivelatore per la rivelazione dei

raggi γ; si nota inoltre come il fondo dovuto ai γ spuri sia

abbastanza trascurabile rispetto al picco a 4,44 MeV.

52

fig. 3.3.1 Spettro in Q-valore della reazione p+12C.

fig. 3.3.2 Sottrazione del fondo dal picco dei γ a 4,44 MeV. Al

picco giallo (γ a 4,44 MeV) si sottrae il fondo in verde e si

ottiene il picco in giallo del riquadro in alto a destra.

53

È stato inoltre verificato che si può facilmente estrarre la

distribuzione angolare da tali eventi; ciò risulta molto utile per

capire la multipolarità delle radiazioni γ emesse, e quindi per

ottenere informazioni riguardo allo spin delle risonanze

osservate.

In figura 3.3.3 si mostra, a tal proposito, la distribuzione angolare

dei γ rivelati.

fig. 3.3.3 Distribuzione angolare dei γ a 4,44 MeV nel sistema di

riferimento del centro di massa del 12C rinculato.

Questi risultati preliminari servono, come già descritto in

precedenza, per calibrare i rivelatori e per poter valutare il fondo

di raggi γ e di particelle cariche che potrebbe inficiare

l'osservazione della risonanza Pygmy.

Avendo osservato che il fondo sul picco di 4,44 MeV è

54

trascurabile, si deve procedere in modo da poter osservare i γ a 9

MeV. Tali γ, infatti, sono della stessa energia dei γ prodotti dal

decadimento Pygmy, ed è quindi di notevole importanza la loro

rivelazione.

Per tale ragione, si stanno effettuando anche delle identificazioni

utilizzando le matrici fast-slow dei rivelatori CsI(Tl) di

CHIMERA, come mostrato in figura 3.3.4.

fig. 3.3.4 Correlazione fast-slow del Telescopio 692 CsI(Tl) di

CHIMERA.

55

Conclusioni

Nel presente lavoro di tesi si è presentato l'esperimento Pygmy,

recentemente realizzato ai LNS-INFN di Catania dalla

collaborazione NEWCHIM; tale esperimento studia l'eccitazione

isoscalare della Risonanza Pygmy di Dipolo nel nucleo di 68Ni.

Tale risonanza è di notevole importanza non solo per studiare la

struttura nucleare, ma anche per comprendere maggiormente la

dipendenza dell'equazione di stato della materia nucleare dalla

densità nucleare. Inoltre, la risonanza Pygmy mostra importanti

connessioni con l'astrofisica, poiché potrebbe essere correlata al

processo r responsabile della sintetizzazione del 50% degli

elementi più pesanti del Fe.

Lo studio di tale risonanza è ancora in fieri ai LNS-INFN, per cui

i risultati fin qui esposti sono preliminari. Tali risultati

preliminari hanno permesso finora di calibrare i rivelatori e di

valutare il fondo di raggi γ e di particelle cariche che potrebbero

inficiare l'osservazione della risonanza Pygmy.

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