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Università Popolare di Scienze della Salute Psicologiche e Sociali (UNI.PSI) SCUOLA SUPERIORE DI COUNSELING IN NATUROPATIA E PSICOSOMATICA Tesi LA SOLITUDINE E L'ISOLAMENTO Relatore: Dott. Guido Morina Candidata: Chiara Seminatore Agosto 2014 1

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Università Popolare di Scienze della Salute

Psicologiche e Sociali (UNI.PSI)

SCUOLA SUPERIORE DI COUNSELING IN NATUROPATIA E

PSICOSOMATICA

Tesi

LA SOLITUDINE E L'ISOLAMENTO

Relatore: Dott. Guido Morina

Candidata: Chiara Seminatore

Agosto 2014

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INDICE

Introduzione 3

1. La solitudine e l'isolamento

1.1 Cosa sono? A che età si comincia ad avvertirne il bisogno? Quali possono essere le cause? 4

1.2 La Piramide dei bisogni di Maslow: da dove nascono solitudine e isolamento? 5

1.3 Solitudine (essere soli) e Isolamento (stare soli): differenze fondamentali 7

2. Solitudine: "Sentirsi soli"

2.1 Le cause della delusione 9

2.2 Gli stadi della solitudine 10

2.3 Rinchiudersi nel proprio mondo: l'illusione come cura 13

2.4 Hikikomori - 引きこも: i solitari del Giappone 14

3. Indifferenza: "Non voler cambiare" 16

4. Isolamento: "Voler stare soli"

4.1 La delusione come punto comune 18

4.2 Il profilo dell'isolato 19

4.3 Le qualità necessarie 21

4.4 La realizzazione di sé stessi 23

4.5 Eremiti: l'isolamento per ritrovare sé stessi 26

Conclusione 29

Bibliografia/Sitografia 30

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INTRODUZIONE

Questa tesi è frutto delle esperienze e delle riflessioni raccolte da me stessa nei due

anni successivi la fine della scuola superiore; qui descrivo le tre condizioni umane

oggigiorno più conosciute attraverso un'analisi introspettiva il più possibile accurata.

Ogni pagina riguardante la solitudine, l'indifferenza e l'isolamento, eccetto la

definizione della piramide di Maslow, non è frutto di ricerche scientifiche, ma solo di

riflessioni, opinioni ed esperienze rielaborate in un saggio.

Ho scelto gli argomenti solamente in base alle mie conoscenze personali e questo

perché non solo penso e spero possa essere d'aiuto per chi si trova in una delle

condizioni da me descritte, ma anche perché questo lavoro introspettivo mi ha

permesso di conoscermi e di aiutarmi a intraprendere un percorso di miglioramento.

Ho immaginato sarebbe stato più facile leggere un breve saggio e riconoscersi nelle

esperienze di una normale ventenne contemporanea, anziché in un trattato medico

scritto da un grande psicologo; inoltre, lo scopo della tesi non è solo quello di

spiegare cosa è stata per me la solitudine, quale idea ho potuto costruirmi

dell'indifferenza attraverso la conoscenza di persone estremamente egoiste o come

mi immagino sia la felicità. Lo scopo principale è aiutare le persone crollate

nell'abisso a capire che c'è sempre un modo per fuggirne, spiegare agli indifferenti

che le loro azioni possono ferire non solo chi sta intorno ad essi ma anche sé stessi e

che la felicità è possibile per chiunque, se desiderata.

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1.

LA SOLITUDINE E L'ISOLAMENTO

1.1 Descrizione e fattori scatenanti

La solitudine e l'isolamento sono condizioni umane che prevedono il distacco

dall'Altro1 e/o dalla realtà, alla ricerca del proprio Io.

Non esiste un'età specifica in cui l'essere umano comincia a percepire il bisogno di

tenersi lontano dai rapporti sociali; questo desiderio può avere inizio a tre anni come

a cinquanta e dipendere da un numero di fattori vastissimo, a partire dalla personalità

della persona fino a giungere alle influenze che la società esercita su di essa.

Un bambino estroverso, molto probabilmente, comincerà a provare questo bisogno

più tardi rispetto ad un bambino introverso, poiché il primo preferirà sin da subito un

contatto sociale più vasto rispetto al suo coetaneo più riservato e per questo meno

propenso a creare legami. Un adulto potrebbe non aver avvertito la necessità di

ritagliarsi del tempo per sé durante tutta la vita e cominciare improvvisamente a

riflettere sui veri bisogni della propria persona in un momento qualsiasi.

Nonostante sia stato detto che non esiste un'età a cui si comincia a desiderare la

solitudine o l'isolamento, anche essa è un fattore assai rilevante; l'individuo in età più

tenera ricercherà, infatti, una delle due condizioni semplicemente per poter

sviluppare le proprie capacità creative senza che esse vengano contaminate da idee

estranee alle sue. In età adulta, invece, questo bisogno verrà oltrepassato dall'analisi

interiore, necessaria all'affermazione del proprio Io o, più semplicemente, alla

comprensione della propria vita.

1 Il termine “Altro” qui viene usato per indicare tutti coloro con cui l'essere umano mantiene delle interazioni sociali.

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1.2 La Piramide dei bisogni di Maslow: da dove nascono solitudine e

isolamento?

Tra il 1943 e il 1954, lo psicologo statunitense Abraham Maslow divulgò il concetto

di Piramide dei bisogni, nella quale illustrò i cinque livelli che la persona avrebbe

dovuto superare per raggiungere l'autorealizzazione. Dai più elementari ai più

complessi, Maslow riconobbe i bisogni fisiologici (bere, mangiare, respirare, ecc.); di

sicurezza (salvezza, protezione); di appartenenza (affetto, identificazione); di stima

(prestigio, successo); di autorealizzazione (identità, posizione sociale soddisfacente).

La gerarchia scelta da Maslow diede adito a non poche critiche, poiché alla base di

essa veniva esaltata la necessità di soddisfare i bisogni materiali e poteva quindi erro-

neamente portare a pensare che questi fossero più importanti della moralità. In realtà,

l'ordine di posizione dei bisogni nella piramide era disposto in modo puramente logi-

co dato che, se tormentati dalla fame o dal freddo, gli uomini non avrebbero potuto

conseguire i livelli successivi.

Partendo dalla base della piramide, troviamo dunque il bisogno fisiologico, legato al-

l'istinto di sopravvivenza e alla conservazione della specie; inutile dire che è fonda-

mentale anche la qualità della soddisfazione ricavata dall'appagare tali bisogni. In

caso contrario, non è possibile salire al gradino successivo, quello del bisogno di si-

curezza.

Sotto il termine “sicurezza”, si raccolgono differenti significati. Alla persona occorre:

mantenere il corpo in salute e in una buona forma fisica; un riparo dalle intemperie e

al sicuro da ogni genere di pericolo che l'ambiente esterno potrebbe riservare; il

riposo e l'intimità con i propri cari. La certezza di un'occupazione ben retribuita, che

permetta di raggiungere un discreto livello di benessere economico, soddisfa appieno

i bisogni presenti in questo ambito.

I bisogni di appartenenza prevedono la conferma del legame con la famiglia e lo

sviluppo della dimensione affettiva e relazionale; l'abbandono da parte della famiglia

o la perdita di una relazione sociale, in amore o amicizia, provocano un dolore

insopportabile poiché abbiamo necessità di essere apprezzati per le nostre qualità e di

essere sostenuti quando cediamo.

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Una volta sviluppate le relazioni sociali, la persona comincia a ricercare negli altri il

riconoscimento delle sue capacità e l'apprezzamento del suo operato, così da poter

soddisfare il suo bisogno di stima; solo così può aumentare il rispetto che nutre per sé

stessa e giungere così all'ultimo livello della piramide: il bisogno

dell'autorealizzazione, per esprimere la propria unicità, le sue capacità e per lasciare

la traccia del suo passaggio, così da poter essere ricordata in futuro.

Ma perché e soprattutto a partire da dove si può analizzare la piramide dei bisogni

per ritrovare i concetti di solitudine e isolamento nella vita di ogni uomo?

I primi due livelli della piramide (bisogni fisiologici e bisogno di appartenenza)

presentano già un principio di relazione sociale, ma riguardano l'intimità familiare,

l'appartenenza ad una famiglia; nella maggior parte dei casi, l'uomo non si troverà

mai in un conflitto così serio da essere abbandonato dalla famiglia d'origine e

ritrovarsi quindi solo.

Le cause principali della solitudine e dell'isolamento sono state riconosciute

soprattutto nell'Altro, colui che è esterno alla famiglia d'origine e con cui si mantiene

un rapporto sociale privo di qualsiasi legame di sangue; in particolare, la persona

teme il suo giudizio negativo, che potrebbe compromettere il legame e pregiudicare

la stima che nutre per sé stessa. Riconosciamo perciò nel terzo livello della piramide

(il bisogno di appartenenza) un possibile catalizzatore, poiché è attraverso esso che

l'essere umano comincia ad avere contatti con l'Altro e a costruire un rapporto di

amicizia, di lavoro o d'amore.

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1.3 Solitudine e Isolamento: differenze fondamentali

Prima di cominciare ad analizzare nel dettaglio queste condizioni umane, è

necessario evidenziare le differenze presenti tra esse, in modo da non utilizzarle

erroneamente e rischiare di fraintenderle.

Entrambe prevedono il ritrovarsi soli con sé stessi, indubbiamente; che sia una o che

sia l'altro, l'uomo si trova solo con i suoi pensieri, le sue emozioni, le sue sensazioni,

la sua vita, insomma.

Ciò che crea il divario è il motivo, il perché viene scelta una delle due condizioni:

l'isolamento è volontario, dettato dal desiderio dell'essere umano di esaltare la

propria persona, la propria libertà e la propria creatività; la solitudine è un isolamento

involontario, causato dall'incapacità di sostenere il giudizio dell'Altro, oppure

dall'abbandono. Questa forma viene chiamata “solitudine passiva”, poiché è decisa

dall'Altro e non dalla persona.

Qual è il criterio che guida la scelta dell'uomo?

Immaginiamo la vita come una strada su cui spostarsi in auto; questa indica tutto il

cammino che l'individuo ha percorso fino a quel momento, sviluppando rapporti

familiari e sociali. Ad un certo punto del tragitto, la strada si immette in una rotonda

a due uscite; la prima uscita è verso Solitudine, la seconda verso Isolamento. La

rotatoria rappresenta la delusione causata dall'Altro; il suo giudizio negativo o il suo

abbandono ci portano a dover fare una scelta, a dover decidere quale delle due uscite

imboccare.

È da sottolineare che entrambi questi aspetti possono essere la causa della scelta sia

di una che dell'altra direzione, tutto dipende dalla persona. Qui entrano in gioco

diversi fattori che possono influenzare la decisione: l'esperienza, l'età, la condizione

sociale, il carattere, il sesso; tutti questi sono elementi cruciali nella vita dell'essere

umano e comportano la scelta finale.

La differenza tra chi decide di imboccare la strada per Solitudine e chi opta invece

per Isolamento è molto semplice: sta tutto nel modo in cui la persona reagisce

all'abbandono o al giudizio negativo dell'Altro.

Chi accetta la critica in modo costruttivo o capisce che la perdita di una relazione

sociale non è la fine del mondo, riesce a incanalare positivamente l'energia e a

spendere al meglio il tempo, dedicandolo a prendersi cura di sé stesso, isolandosi

parzialmente o totalmente.

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Al contrario, chi non riesce a sostenere il dolore della perdita di stima da parte di

qualcuno, o soffre nel ritrovarsi abbandonato a sé stesso per colpa sua o

“passivamente”, non riesce a vedere altro che un abisso in cui sprofondare, piangersi

addosso e perdersi.

Conclusa questa analisi, è necessario prendere in considerazione una terza uscita

dalla rotonda, a metà tra Solitudine e Isolamento: Indifferenza, la meta per coloro che

non hanno intenzione di utilizzare l'esperienza vissuta per tentare di migliorare la

propria vita e che reprimono i sentimenti per impedire a questi di trascinarli sul

fondo. Quale sia la peggiore tra Solitudine e Indifferenza è difficile dirlo.

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2.

SOLITUDINE

“SENTIRSI SOLI”

2.1 Le cause della delusione

L'uomo solitario nasce per cause di varia natura, la prima delle quali è una possibile e

naturale predisposizione alla negatività o un'eccessiva introversione, seguita poi

dall'ostilità del mondo in cui vive, la paura del giudizio delle persone che lo

circondano, il restare spesso senza punti di riferimento, la mancanza di coraggio per

esprimere le proprie idee o, molto più semplicemente, per una questione puramente

genetica; questi fattori fanno sì che la persona, incapace di reagire ad una difficoltà

che le si para davanti improvvisamente, cominci a provare una sensazione di

abbandono che presto la trascinerà nell'abisso della solitudine.

L'ambiente che circonda l'essere umano ha un ruolo fondamentale nello scatenare la

perdita di tutte le speranze: assistere a liti familiari violente, subire abusi verbali e/o

fisici, perdere un parente o un amico a cui si è molto legati a causa di una malattia,

sono tutti input negativi che possono intaccare la volontà della persona e renderla

apatica.

Non saper esprimere il proprio punto di vista, lasciare che gli altri scavalchino le sue

opinioni e soddisfare i bisogni altrui senza occuparsi dei propri, causa una perdita di

autostima non indifferente nell'uomo, che si ritrova presto a provare disgusto per sé

stesso.

L'atteggiamento negativo è un fattore scatenante molto diffuso nella società odierna;

la mancanza di certezze fa sì che diventi sempre più difficile per l'uomo riuscire a

trovare un incentivo ad impegnarsi, per modificare il suo futuro e plasmarlo a suo

piacere. Non è da escludere la negatività come caratteristica propria di una persona,

derivante da un eccessivo realismo; colui che non sa immaginare un futuro

miglioramento, vedrà sempre e solo la faccia peggiore della medaglia.

La predisposizione genetica è un fattore molto variabile, ma comunque

scientificamente provato; è stato anche dimostrato che i figli di genitori che

presentano sintomi depressivi sono più suscettibili alla patologia.

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2.2 Gli stadi della solitudine

Durante un'analisi introspettiva, sono stati riconosciuti degli stadi attraverso cui

questa condizione si evolve fino a raggiungere la sua forma cronica.

Chi comincia a sperimentare i primi pensieri negativi legati alla perdita di un

rapporto, di un lavoro o semplicemente di una certezza, tenta di dare sfogo alla sua

delusione mediante un violento getto di disprezzo verso sé stesso, ignorando l'effetto

opposto che questo comporterà. L'autodenigrazione è il primo stadio della solitudine;

la persona, già predisposta, si lascia facilmente sopraffare e reputa una sua

responsabilità ogni episodio spiacevole capitatogli nell'arco della propria esistenza.

L'accumularsi di pensieri negativi crea di un senso di oppressione che provoca

nell'essere umano la perdita di tutte le speranze; da quel momento in poi, sembra non

esistere più una soluzione e si ha l'impressione che niente e nessuno possa più

aiutare. Significative sono anche la perdita parziale o totale di interesse per le attività

quotidiane, il bisogno continuo di riposare o la mancanza totale di sonno,

l'indebolimento fisico e la diminuzione di concentrazione, il trascurare la propria

persona, gli attacchi di panico e il non riuscire a dimenticare, anche solo per un

attimo, i problemi che assillano. Tutti questi sono campanelli d'allarme per il secondo

stadio della solitudine, la depressione.

Sprofondato nell'abisso, l'uomo decide di rinchiudersi in sé stesso, convinto che a

nessuno interessi realmente del suo stato di salute; comincia perciò a delineare dei

confini, dai quali lui non vuole uscire e da cui gli altri non possono entrare. Hanno

presto inizio le crisi di pianto, solitamente tenute nascoste a chi convive con l'uomo o

giustificate con motivazioni non legate al proprio stato di salute (allergie, emozione

per un film); inizialmente più frequenti, le crisi stremano l'essere umano e acuiscono

il bisogno di riposo, fino a quando il comportamento non diviene sospetto. In tale

situazione, l'uomo comincia a reprimere le lacrime, aspettando di restare solo in casa

o cercando un luogo in cui dare sfogo al proprio dolore senza che nessuno

interferisca.

Il crollo emotivo è l'inizio della fine; ogni luce intorno alla persona si è ormai spenta

e non c'è via d'uscita dall'abisso; qualsiasi tentativo è vano e nulla ha più valore. È in

situazioni come questa che si può cominciare a percepire il bisogno di

autolesionismo, poiché il dolore fisico è più facilmente curabile rispetto a quello

psichico; l'uomo si illude di poter guarire, ad esempio immaginando il sangue come

una tossina velenosa che libera il corpo dalla sofferenza fuoriuscendo dai tagli.

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Nonostante sia esclusivamente associata ai disturbi alimentari, la bulimia può anche

essere il risultato del crollo emotivo; i bulimici credono erroneamente di sfogare il

nervoso attraverso il vomito autoindotto, che al contrario danneggia ulteriormente la

loro condizione fisica, provocando lesioni interne.

In questo stato di angoscia, l'idea di farla finita si insinua tra i pensieri dell'essere

umano; il suicidio è il metodo più rapido per raggiungere la pace.

Ma è davvero questo l'unico modo in cui può concludersi l'evoluzione della

solitudine? Rinunciare, non darsi nemmeno un'opportunità e togliersi la vita? Oppure

lo stadio del crollo emotivo ha una via di fuga che però nessuno vuole mai prendere

in considerazione? La risposta è semplice.

Giunti al penultimo stadio, ci si apre un bivio davanti: una via è il suicidio che, come

già spiegato, è la più rapida e sicura; l'altra è la ripresa, il cercare di risollevarsi, più

difficile ma indubbiamente migliore.

La ripresa può avere differenti origini, una delle quali è la paura; la paura di morire è

presente in ogni essere umano e, per quanto la si desideri, la morte è sempre

terrificante. Legata ad essa c'è la paura dell'ignoto, di cosa potrebbe accadere dopo;

nonostante tutto, chiunque decida di compiere un gesto estremo riserva sempre un

pensiero a chi troverà il suo corpo e prova una sensazione di angoscia. Potrebbe

essere un figlio, un genitore, un amico o uno sconosciuto, e quella persona potrebbe

cominciare a provare esattamente gli stessi sentimenti che hanno condotto il suicida a

compiere il gesto.

Perciò, tormentato dalla paura e dal senso di colpa, l'uomo ha dei ripensamenti,

tentenna per un po' di tempo e decide finalmente di riprendere, molto cautamente, i

contatti con la realtà; questo comporta un tentativo di ricongiungimento con l'Altro.

Starà quindi all'Altro comprendere i bisogni della persona e decidere se aiutarla;

inutile dire che, nel caso venisse negato l'aiuto, essa tornerebbe a chiudersi nel suo

mondo e, presto o tardi, si toglierebbe la vita.

La richiesta di aiuto è un grande passo nell'evoluzione della solitudine: l'uomo si

sente di nuovo pronto a vivere, ma è ancora troppo spaventato e perciò si rivolge a

qualcuno, che può essere un amico che, pur venendo ignorato, non lo ha mai

abbandonato o un medico. Dare nuovamente fiducia indica un primo segnale di

miglioramento, seguito poi dalla rinascita degli interessi perduti, il ripristino delle

facoltà fisiche e psichiche, il prendersi nuovamente cura del proprio aspetto e il

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riprendere un ritmo circadiano regolare.

È fondamentale ricordare, però, che la persona che ha sofferto queste condizioni non

potrà mai realmente considerarsi guarita; potrà tornare a vivere una vita normale, ma

peserà sempre su di essa il rischio di cadere nuovamente nella trappola della

solitudine. Sarà compito suo continuare a farsi forza, ma sarà anche necessario il

sostegno dell'Altro, poiché dal suo giudizio dipende la stima che l'uomo prova per sé

stesso.

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2.3 Rinchiudersi nel proprio mondo: l'illusione come cura

Un aspetto interessante dello stadio del crollo emotivo è il sognare ad occhi aperti;

capita spesso che l'individuo cada in uno stato di apatia, da cui difficilmente si

distoglie da solo. Questi momenti di assenza sono il risultato della separazione dalla

realtà; incapace di affrontarla, l'uomo dà sfogo alla sua frustrazione trasformandola

in un mondo parallelo nel quale potersi rifugiare ogniqualvolta fosse necessario.

Questa nuova vita inventata contiene tutti quegli eventi positivi che non hanno avuto

luogo nella realtà: la continuazione di un rapporto anziché la sua rottura,

l'ottenimento di un nuovo lavoro piuttosto che un licenziamento, l'incontro di una

persona speciale con cui portare avanti una grande amicizia, il miglioramento di

qualità dei rapporti familiari, ecc.

Questi sogni ad occhi aperti rilasciano nell'essere umano un'illusoria sensazione di

pace e un'effimera felicità; fino a quando resta chiuso nel suo mondo parallelo,

nessuna delle preoccupazioni che nella realtà lo attanagliano può intaccarlo.

Il rischio maggiore di questa attività è l'inasprimento dei sintomi della solitudine

poiché, una volta tornata alla realtà, la persona si rende conto che nulla di tutto ciò

che ha appena vissuto è vero e che, oltretutto, è altamente improbabile che si avveri

nelle condizioni in cui si trova.

Il sognare ad occhi aperti è un'attività tipica delle persone che temono il dolore

fisico; l'autolesionismo spaventa la maggior parte dei solitari che, per trovare un'altra

valvola di sfogo, ripiegano sulla creatività.

Proprio la creatività è un altro aspetto importante dell'illusione che l'essere umano si

crea; spesso, infatti, sono i periodi più bui a stimolare la vena artistica. Scrivere,

suonare, dipingere, cantare sono tutte attività che permettono di sfogare in modo

alternativo e privo di dolore fisico la frustrazione che la persona prova. Difficilmente

in questi casi viene preso in considerazione l'esercizio fisico come sfogo, dato che la

depressione impedisce al corpo di recuperare le forze necessarie privandolo del

sonno; la ginnastica è più tenuta in conto da chi sta già percorrendo il sentiero della

ripresa, perché l'individuo decide di ricominciare a prendersi cura di sé stesso.

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2.4 Hikikomori - 引引引引きこもきこもきこもきこも: i solitari del Giappone

Un esempio rilevante e preoccupante di solitudine è la pratica dell'hikikomori; nato a

metà degli anni Ottanta e diffusosi in Giappone, questo fenomeno sociale pone

l'attenzione soprattutto su soggetti in età adolescenziale e post adolescenziale, infatti

l'età media è sui 30 anni, ma stanno aumentando le reclusioni di ragazzi sui 15-16

anni.

La traduzione letterale del termine hikikomori, “ritiro”, lascia intuire in che modo gli

adolescenti esprimono il loro disagio; si tratta infatti di una vera e propria prigionia

autoindotta, nella camera da letto, dove vengono spesso sigillate ed oscurate le

finestre e a cui nessuno può avere accesso.

Gli unici contatti sociali permessi sono quelli mantenuti via Internet; il web è infatti

la sola via di comunicazione approvata dallo stile di vita di chi pratica l'hikikomori.

Silenziosa e senza pretese di incontri reali, la vita in rete fornisce all'adolescente tutto

ciò di cui, a suo parere, ha bisogno, dallo svago alla conoscenza; oltre a Internet,

libri, fumetti e videogiochi sono sempre presenti nella camera.

I bisogni fisiologici sono soddisfatti nella notte, durante la quale si svolge la vita

dell'adolescente in ritiro, oppure durante il giorno, attraverso il passaggio di cibo

dalla porta; il ritmo circadiano viene completamente ribaltato, dormendo di giorno e

vivendo di notte, così da impedire maggiormente ogni contatto possibile con la

famiglia.

La durata di questo ritiro varia a seconda della gravità dello stato mentale del

ragazzo; il periodo minimo medio, comunque, è di sei mesi.

Cosa spinge dei ragazzi a compiere un simile gesto? Perché è nato proprio in

Giappone e come ha fatto a espandersi così rapidamente?

Innanzitutto, è necessario ricordare che la cultura giapponese, ben più rigida della

nostra, si basa su un nucleo familiare di impronta patriarcale; il padre ripone nel

figlio, spesso unico, tutte le sue speranze e le sue più grandi aspettative, ma anche le

paure e le ire. La figura della madre è meno rilevante in questo ambito; solitamente

casalinga, essa si occupa della casa e dei figli come una chioccia, molto apprensiva,

quasi assillante.

Oltre alle pressioni familiari, il ragazzo deve sopportare anche quelle subite

nell'ambiente scolastico; la severità del sistema educativo scolastico giapponese è

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quasi proverbiale. Dalla scuola secondaria all'università, gli studenti si trovano

perennemente sotto esame, testati in ogni loro capacità ad un ritmo martellante; chi

non riesce a stare al passo diventa vittima non solo della sua stessa autodenigrazione,

ma anche di quella della famiglia e dei coetanei. Il bullismo è un fenomeno

purtroppo estremamente diffuso nelle scuole giapponesi; è un tema molto trattato in

anime e manga2, e spesso chi abusa verbalmente o fisicamente di un coetaneo è

qualcuno di insospettabile. Solitamente viene utilizzata la figura dello studente

modello, educato e rispettoso in classe, ma violento e spietato con i coetanei per i

corridoi o fuori dall'ambiente scolastico. Inutile sottolineare come anche il bullismo

possa essere non solo un fattore scatenante del fenomeno dell'hikikomori, ma anche

una valvola di sfogo per il nervoso, risultato delle pressioni familiari.

Lo stress accumulato può trasformarsi in una grave forma di depressione e spingere

addirittura lo studente verso il suicidio; ciò accade più spesso, però, agli studenti che

non praticano l'hikikomori. Gli autoreclusi parlano sovente di volersi togliere la vita

ma raramente accade; questo perché, ritirandosi dalla società per periodi più o meno

lunghi, riducono la pressione causatagli dall'ambiente esterno.

Essere in hikikomori non vuole necessariamente significare isolarsi per tutta la vita;

alcuni entrano ed escono dal ritiro, altri lo attuano assiduamente, altri ancora solo nei

week end.

Non è facile classificare il fenomeno come positivo o negativo; indubbiamente,

decidere di restare soli per potersi riprendere dallo stress è un atteggiamento positivo

nei propri confronti, ma nel momento in cui questo assume una forma cronica, è

davvero così benefico?

2 Cartoni animati e fumetti giapponesi.

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3. INDIFFERENZA

“NON VOLER CAMBIARE”

Esiste una categoria di individui che non subisce l'energia negativa del giudizio

dell'Altro: gli indifferenti.

Sembrano essere immuni alle critiche ricevute quotidianamente e pare che le

opinioni che li circondano abbiano poco valore per loro; esiste un solo giudizio

importante, ed è quello che danno a sé stessi.

Una caratteristica tipica della persona indifferente è l'egocentrismo; è infatti certa di

sapere cos'è meglio per essa ed il suo pensiero è il solo che conta. Qualsiasi cosa

faccia, per quanto considerata strana o sbagliata dalle persone, la reputa migliore di

qualunque altra opzione e non esita ad ignorare critiche ed opinioni ad essa rivolte.

Questo atteggiamento porta l'uomo a credere che i suoi comportamenti irregolari non

siano affare altrui; ad esempio, l'indifferente è spesso sciatto e poco propenso al

dialogo, non per paura del giudizio, ma per evitare il fastidio dei commenti. Per

questo motivo, si circonda di soggetti simili a lui, così da dimostrare agli altri che le

sue azioni non sono sbagliate.

Nonostante tutte le critiche che riceverà nel corso della vita, l'indifferente non

cambierà mai per qualcun altro, ma solo per sé stesso e solo in caso di estrema

necessità.

Il difetto maggiore dell'indifferente è che non pensa al futuro e non prende in

considerazione gli effetti che le sue azioni avranno col passare del tempo; iniziare a

fumare e non dare peso agli avvertimenti lo farà pagare con la salute, oppure

trascurare il proprio aspetto potrebbe facilmente fargli perdere delle occasioni (di

lavoro, di relazione).

Si potrebbe pensare che l'indifferenza sia usata come scudo contro il giudizio

negativo dell'Altro e che, in realtà, egli subisca come chiunque altro la pressione

delle critiche ricevute ma riuscendo a mascherare i sentimenti feriti; nessuno nega,

però, che questo atteggiamento possa voler semplicemente dire che la persona sia

davvero poco o nulla interessata alle opinioni altrui.

Indubbiamente, l'indifferenza permette di non soffrire nel momento in cui si ricevono

critiche più o meno severe, poiché queste si schiantano contro il muro che l'individuo

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si è costruito da solo; è però da prendere in considerazione un aspetto molto rischioso

cioè, come accennato precedentemente, il contornarsi di soggetti simili. Questa

abitudine potrebbe risultare dannosa nel momento in cui uno dei membri si dovesse

rendere conto della situazione di stallo e dovesse decidere che è il momento di

cambiare; un simile evento scatenerebbe una reazione a catena, provocando la

perdita di un consistente numero di soggetti, ma lasciandone due o tre “fissi”, come

dei pilastri da cui far nascere una nuova civiltà ogni volta che la precedente crolla.

In conclusione, l'indifferenza potrebbe anche apparire come una scelta positiva per la

propria vita ma, in realtà, questo fossilizzarsi sulle proprie opinioni, senza permettere

agli altri di dare consigli che potrebbero anche migliorarne la qualità, non può

portare ad altro che al proseguimento di un'esistenza squallida, se non al suo

inasprimento.

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4.

ISOLAMENTO

“VOLER STARE SOLI”

4.1 La delusione come punto comune

Nella metafora della rotonda, il giudizio negativo e l'abbandono da parte dell'Altro

possono scatenare differenti emozioni; sta alla persona che le subisce decidere quale

strada prendere e, solitamente, chi non regge il colpo, imbocca la via della solitudine.

Colui che sceglie l'isolamento, invece, accoglie critiche di ogni natura: che queste

siano state scatenate da un gesto proprio che ha deluso l'Altro e lo ha portato a

giudicarlo negativamente o ad abbandonarlo, che siano provocate dalla delusione

provata verso di sé per un fallimento o che sia stato proprio l'Altro a deluderlo e a

fargli prendere la decisione di troncare i rapporti, la persona che si isola non si lascia

sopraffare.

Essendo cosciente delle proprie capacità, accetta le opinioni e le trasforma in una

sfida contro sé stesso al fine di migliorarsi.

Mentre deludere l'Altro è un punto in comune con la solitudine, deludere sé stessi e

diventare colui che giudica sono due condizioni completamente nuove.

Durante il corso della vita, capita a chiunque di compiere un gesto o fare una scelta

che porta a rimpiangere le proprie azioni; questo scatena un'autocritica piuttosto

severa che, però, viene accettata in maniera costruttiva e utilizzata come incentivo al

miglioramento. Il fatto di aver sbagliato non deve per forza segnare l'esistenza; gli

errori sono correggibili e così anche le scelte errate; questo modo di pensare permette

alla persona di riprendersi e perfezionarsi.

Una prerogativa fondamentale di chi sceglie l'isolamento è il saper accorgersi in

tempo delle persone che, in maniera velata e subdola, cominciano a nuocere alla sua

salute e ai suoi rapporti sociali. L'isolato, infatti, tende a troncare i rapporti con chi lo

ha deluso, questo perché gli preme più il suo benessere che la compagnia di gente

che non arricchisce in alcun modo la sua vita.

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4.2 Il profilo dell'isolato

Una caratteristica primaria per intraprendere la via dell'isolamento è indubbiamente

l'umiltà nei confronti di sé stessi; solo chi sa ammettere le proprie debolezze, infatti,

può accettarle e contrastarle al fine di migliorarsi. È importante notare, invece, che

essere umili nei confronti dell'Altro causa un senso di sottomissione che può

degenerare in un crollo; per questa ragione, è necessaria un'altra qualità, la forza

d'animo. Essere fragili e sottomessi porterebbe ad una perdita di stima nei propri

confronti e quindi ad un principio di solitudine; saper contrastare il giudizio negativo,

per impedirgli di scalfire la propria stima, ma saperlo comunque usare al fine di

maturare è la differenza maggiore tra l'isolato e il solitario.

È possibile provare a tracciare un profilo della figura dell'isolato, basandosi sui

fattori sociologici che potrebbero favorirne lo sviluppo.

Dovendo analizzare le condizioni sociali più favorevoli, è molto probabile che l'idea

di isolamento sia presa in considerazione da persone in età già adulta; questo perché

un bambino o un adolescente mancherebbero facilmente di interesse, di esperienza e

di tempo libero da spendere per sé stessi, poiché ancora vincolati dall'istruzione

obbligatoria e più interessati a svolgere attività di gruppo. Allo stesso modo, un

anziano, costretto a letto da qualche malattia invalidante o semplicemente poco

motivato per via dell'età, raramente tenterebbe un'impresa così faticosa.

Si potrebbe ipotizzare, perciò, un intervallo di tempo nella vita di ognuno,

approssimativamente tra i 25 e i 55 anni, in cui può risultare più facile prendere in

considerazione l'idea dell'isolamento; questo perché l'età della scuola dell'obbligo è

già stata superata, l'università è opzionale e il lavoro, se non oppressivo, permette di

ritagliare dei momenti per sé.

Per chi vive in una situazione economica difficoltosa o poco agiata, prendere in

considerazione l'idea dell'isolamento può essere reputato un lusso irraggiungibile o

comunque ancora troppo lontano per essere realizzato. Nel momento in cui una parte

dello stipendio avanza, dopo aver coperto le spese necessarie alla sopravvivenza, la

persona può pensare di concedersi un po' di svago, che può essere un semplice libro

o un viaggio desiderato a lungo. Da ciò si può intuire che la condizione economica è

abbastanza rilevante come fattore sociologico; allo stesso modo lo sono la

formazione culturale e l'educazione ricevute.

L'apertura mentale è data dall'unione degli insegnamenti ricevuti sin dall'infanzia,

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stando con la famiglia, con quelli appresi in seguito nel percorso di studi; solo così la

persona può sviluppare una maturità mentale abbastanza elevata da poter

comprendere la vera importanza del prendersi del tempo per sé stessi. Non tutti,

infatti, riconoscono l'isolamento come una fonte di benessere; è molto frequente

incontrare persone che lo reputano solamente una perdita di tempo prezioso e questo

perché sono culturalmente povere e molto più interessate ai beni materiali piuttosto

che spirituali. Molti non si rendono conto di quanto un'attività da loro reputata

inutile, come leggere un libro, possa aprire gli occhi e ispirare e quanto invece un

oggetto che interagisce con loro, come un computer o uno smartphone, possa

annebbiare la mente. Questo non significa che la tecnologia sia assolutamente da

evitare per poter trascorrere del tempo di qualità con sé stessi; semplicemente, come

qualsiasi altro strumento, deve essere utilizzata per uno scopo benefico, ad esempio

per scrivere il romanzo che si è sempre sognato di pubblicare.

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4.3 Le qualità necessarie per intraprendere il cammino

Tracciato un profilo che potrebbe essere adatto allo sviluppo dell'idea di isolamento,

si possono cominciare ad elencare quei tratti indispensabili affinché l'idea maturi.

Come già accennato, un aspetto della figura dell'isolato è l'umiltà verso sé stessi;

questa consiste nel riconoscere le abilità in cui si eccelle, senza mai vantarsi di esse,

e ammettere senza alcun timore i propri errori e limiti. Ricevere le critiche, infatti,

non crea nell'isolato un senso di tristezza, ma solo di delusione nei confronti di sé

stesso; questa condizione lo spinge a chiedersi dove ha sbagliato, ma invece di

denigrarsi e rinunciare, egli riconosce l'errore e si mette d'impegno per riparare ad

esso. Il processo di correzione ha come scopo il perfezionamento dell'abilità e,

principalmente, della propria persona; questo percorso interiore permette alla persona

di non deludere più l'Altro e, allo stesso tempo, di utilizzare le conseguenze delle

proprie azioni come nuovi punti di forza, e non come eventi irreparabili che

disturbano la sua psiche.

L'arricchire il proprio Io mediante un procedimento di autocritica, stimolato o meno

da agenti esterni, è strettamente legato ad un'altra caratteristica tipica della figura

dell'isolato: la forza. Solo grazie ad essa è possibile trasformare in lezioni

innumerevoli critiche e giudizi negativi, impedendo loro di scalfire l'autostima della

persona e stimolandone, anzi, il cammino verso la maturità.

È importante per l'isolato trascorrere del tempo da solo, così da poter occuparsi dei

propri interessi e dell'analisi introspettiva necessaria al perfezionamento della propria

persona; per questa ragione, egli sviluppa la capacità di mantenere un equilibrio

costante tra le relazioni sociali e il tempo per sé stesso. L'isolato, infatti, riconosce

appieno il limite umano del bisogno di socialità e per questo non lo soffoca, ma lo

soddisfa in parte, intrattenendo la giusta quantità di rapporti con amici e familiari,

basata sul suo livello di sopportazione. Non appena questo viene superato, egli

percepisce il bisogno di isolarsi e di coltivare le sue passioni.

Si può quindi ipotizzare una sorta di continuum dei bisogni dell'essere umano, alla

base del principio di isolamento. Gli estremi di questo segmento rappresentano le

forme croniche, opposte, del rapporto sociale: la dipendenza dagli altri ed il totale

isolamento sociale, i due antipodi in cui può restare imprigionato l'essere umano.

L'isolato ha la caratteristica fondamentale di saper creare un punto d'incontro tra i

due poli; dopo un'accurata selezione, infatti, forma intorno a lui una cerchia ristretta

di amici e confidenti. Essi devono accettare e rispettare pienamente, quando

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incombe, il suo bisogno di stare in compagnia di sé stesso; chi non comprende questa

necessità dimostra non solo di non essere tollerante nei confronti di persone che

conducono stili di vita diversi dai suoi e, quindi, una scarsa apertura mentale, ma

anche di non essere una delle persone che l'isolato sta cercando.

Dato che l'isolamento è parziale, potrebbe capitare di avvertire il “voler stare soli

insieme”, cioè il desiderio di trascorrere il tempo dedicato a sé stessi con un amico in

particolare, senza sentirsi costretti al dialogo, semplicemente svolgendo ognuno le

attività che preferisce, ma avvertendo la presenza fisica dell'altro. Questa attività è

più frequente in una coppia, più ancora se convivente o sposata; con il trascorrere

degli anni, si impara a rispettare le scelte e le necessità del partner ed infine ad

apprezzarle, poiché spesso il dialogo in un rapporto diviene difficoltoso o persino

assente. Coltivare ognuno le proprie passioni in compagnia dell'altro può anche far

ritrovare il piacere di stare insieme e risvegliare una relazione caduta preda della

monotonia.

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4.4 La realizzazione di sé stessi

L'isolamento non è semplicemente una conseguenza del bisogno di tempo per sé

stessi, ma una scelta di vita che dà inizio a qualcosa di grande, il primo passo di un

cammino interiore destinato a concludersi con la realizzazione del proprio Io; con

questa espressione, l'essere umano indica, solitamente, il conseguimento della

felicità.

Questo argomento ricorre da secoli ed è il concetto chiave delle principali culture

orientali; tramite la meditazione ed altre tecniche spirituali, si ritiene possibile

raggiungere l'ambito traguardo.

Che cos'è la felicità? Al giorno d'oggi è ancora piuttosto difficile riuscire a trovare

qualcuno che sappia rispondere in maniera concisa ad una domanda così complicata

e questo perché la felicità ha sfaccettature differenti per ogni essere umano; la

risposta varia in base ad un'infinità di fattori e non è facile trovare due opinioni

uguali o almeno vagamente simili.

Ma come può l'essere umano conseguire l'obiettivo finale, la realizzazione di sé

stesso, se non ne esiste una definizione precisa? La risposta è semplice: non può.

Sarebbe sbagliato affermare che non è in grado di conseguire la felicità perché essa

non esiste, ma è doveroso ammettere che difficilmente si può ottenere qualcosa di

indefinito, per il semplice fatto che l'essere umano non sarebbe in grado di

riconoscerlo qualora dovesse conquistarlo.

Volendo analizzare un ulteriore ostacolo alla realizzazione di sé, si potrebbe

considerare la finitezza dell'essere umano contro l'infinità delle diverse definizioni di

felicità; se esistesse un solo “tipo” di felicità, all'uomo potrebbe bastare il tempo di

una vita per conseguirla e godersela, ma l'esistenza di più “tipi”, dovuta alle

innumerevoli e differenti concezioni umane, complica enormemente le cose. Non è

facile per un essere finito aspirare a qualcosa di così immenso; il cammino che lo

attende è infinito e la consapevolezza della caducità umana spinge l'uomo a

rinunciare presto alla felicità totale, accontentandosi di conseguire solamente i livelli

più primitivi di essa cosi da avvicinarvisi semplicemente.

La piramide è la forma più adatta a descrivere il cammino verso la felicità; costituita

da infiniti livelli, essa ricorda molto quella dei bisogni di Maslow, l'unica differenza è

che Maslow la dipinse come un percorso breve e finito, esattamente l'opposto del

viaggio verso la felicità.

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Questo non significa che l'uomo è destinato all'infelicità, ma che difficilmente

riuscirà a percorrere appieno il cammino; la speranza di potersi avvicinare alla più

completa forma di felicità, raggiungibile dall'essere umano durante la sua esistenza

finita, è ancora viva.

Quindi può l'uomo realizzarsi completamente? Dipende; esistono esseri umani

convinti che il possesso e l'accumulo di beni materiali e/o denaro sia l'apoteosi della

felicità. Ciò che non sanno è che il materialismo è il livello infimo della piramide;

ovviamente non si vuole negare la necessità di determinati oggetti o del denaro, ma

l'eccesso di essi non può essere considerato il culmine della felicità. Questo per due

motivi: primo, l'essere umano ha bisogno di realizzare il suo spirito e la sola

soddisfazione materiale non può colmare la sua richiesta di amore, stima e felicità

(non veri, almeno). Secondo, come detto poco fa, denaro e possedimenti sono alla

base e quindi ben lontani dall'avvicinarsi il più possibile alla realizzazione di sé.

Detto ciò, la risposta più plausibile è la seguente: l'uomo può realizzarsi

parzialmente, raggiungendo gli obiettivi che si è posto nel corso della sua vita e

correggere gli errori commessi nel frattempo, in modo da aumentare la propria

sicurezza interiore, riconoscendo ed apprezzando le sue capacità; è importante perciò

imparare a capire chi si è realmente, se la persona che si mostra all'Altro è conforme

allo spirito e, soprattutto, se l'apparenza data è quella desiderata. Manifestare una

personalità che non ci soddisfa può creare una sensazione di disagio per l'essere

umano e di delusione per l'Altro; questo andrebbe ad intaccare l'elemento principale

dell'autostima, costruito attraverso le esperienze della vita e la sintesi di esse tramite

l'analisi introspettiva: l'ego.

Nonostante sia spesso catalogato come un aspetto negativo della personalità umana,

l'ego dipende esclusivamente dallo stile di vita scelto; esso si costruisce in base

all'opinione che l'uomo ha dell'Altro.

L'ego negativo è quello dell'indifferente, convinto che le sue azioni e i suoi pensieri

siano sempre migliori; si basa su azioni svolte al fine di giovare solo a sé stesso,

senza alcuna buona intenzione rivolta verso l'Altro. Il difetto maggiore

dell'indifferente è che non crede di provocare delusione, ma peggio ancora è che non

gli interessa comunque riparare all'errore nel momento in cui scopre di averne

indotta.

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Difficilmente un simile comportamento procura benessere all'essere umano, per

quanto a questo possa non interessare; presto o tardi, gli errori si ritorcono contro la

sua persona. Qui entra in gioco la forza, caratteristica fondamentale dell'isolato; se

l'indifferente è abbastanza forte da poter accettare la sconfitta e diventare umile nei

propri confronti, le possibilità di ricostruire un pensiero positivo e una personalità

migliore aumentano. In caso contrario, se l'indifferente non sa difendersi dalle

conseguenze dei suoi gesti egoistici, la sua autostima è pronta a crollare e la

solitudine incombe.

L'ego positivo è quello dell'isolato, soddisfatto delle sue capacità di autocritica e

accettazione, della sua umiltà e della sua forza, ma mai superbo o desideroso di

vantarsi di queste qualità. L'autocompiacimento che avviene nella persona è intimo,

mai messo in mostra o raramente confermato nel momento in cui l'Altro esprime un

giudizio positivo a riguardo.

I risultati ottenuti dal percorso di miglioramento, stimolato dall'aver causato

delusione in sé stesso o nell'Altro, sono le fondamenta dell'ego positivo; da essi nasce

la forza di continuare il cammino in modo da costruire ciò che di più vicino esiste

alla felicità: la totale stima di sé stessi.

Sebbene si sia sottolineato spesso quanto sia importante non provocare delusione

dell'Altro, è necessario analizzare un effetto particolare che questo ha sull'ego

positivo; come già detto, deludere qualcuno e ispirargli un giudizio negativo causa un

calo di stima nella persona, ma cosa succede se questa decide di non ascoltare

l'opinione dell'Altro, continuare sulla strada decisa e scoprire non solo di aver fatto la

scelta giusta, ma anche che seguire il consiglio altrui avrebbe portato a conseguenze

negative per suo il benessere?

Questo svolgimento dei fatti regala alla persona una doppia soddisfazione: scoprire

che nella sua vita esiste qualcuno pronto a nuocerle le permette, infatti, di

liberarsene, in modo da non subire danni al proprio benessere; inoltre, l'aver fatto una

scelta che si è rivelata giusta non fa altro che aumentare la propria stima e può anche

portare alla creazione di un nuovo rapporto sociale, d'amicizia o d'amore che sia.

Perciò, non solo ci si libera di qualcuno di dannoso, ma si incontra anche una nuova

figura benefica per la propria vita.

Tutto ciò permette all'ego positivo di raggiungere la sua apoteosi e la persona può

finalmente affermare, nella sua finitezza, di aver scoperto cos'è la felicità.

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4.5 Eremiti: l'isolamento per ritrovare sé stessi

L'eremitaggio nacque in Oriente intorno al quinto secolo avanti Cristo; questa

pratica, rigorosamente religiosa, prevede un volontario distacco dalla società, con lo

scopo di portare avanti un'esistenza basata sulla meditazione. Il fine ultimo di una

vita passata in eremo è, secondo Induismo, Taoismo e Buddismo, l'avvicinamento

alla divinità; in seguito, dopo la nascita dell'eremitaggio cristiano, lodare Dio e

amarlo attraverso la preghiera e la penitenza per giovare all'umanità è divenuto il

nuovo scopo della vita eremitica.

Ancora oggi, dopo secoli e nonostante l'evoluzione della società, la religione resta la

principale motivazione che spinge l'essere umano verso l'isolamento; il fenomeno si

manifesta largamente in Oriente, dove i valori spirituali sono tenuti in maggiore

considerazione, ma anche nelle religioni occidentali si mantiene vivo il flusso di

fedeli che decidono di intraprendere la via dell'isolamento, con la speranza che la

rinuncia ai beni terreni conduca ad una vita eterna priva di pene e sofferenze.

A seguito dei crimini commessi contro l'umanità durante l'ultimo secolo e mezzo

(guerre, attentati, genocidi), una parte dei fedeli ha cominciato a domandare a sé

stessa dove fosse Dio in quei momenti e perché l'umanità fosse autorizzata a

compiere dei simili gesti. Il seguitare di quelle tragedie ha fatto sì che molti di quei

credenti perdessero la loro fede e tramandassero il loro ateismo alle generazioni

successive.

Esistono, perciò, degli individui che avvertono il bisogno di un totale isolamento

volontario sebbene privi di fede, e perciò apparentemente sprovvisti di una

motivazione spirituale; senza un input religioso, l'eremitaggio perde la sua funzione

primaria divenendo una filosofia di vita.

Questa nuova corrente di pensiero adopera l'isolamento come mezzo attraverso il

quale è possibile, per la persona, trovare delle certezze nella vita che possano

sostituire quelle che solitamente vengono attribuite alla divinità. In mancanza di una

figura superiore con cui confidarsi, l'essere umano cerca dentro di sé le risposte a

quelle domande che non potrà rivolgere ad altri che a sé stesso; qui entrano in gioco

le alternative alla meditazione spirituale.

La tipologia di isolamento preferita è, solitamente, il viaggio condotto in solitario;

infatti, le esperienze raccolte durante l'incontro di culture e luoghi sconosciuti e

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diversi dall'ambiente in cui la persona è nata e cresciuta possono favorire la

formazione di una nuova identità, più conforme al suo spirito. Questo accade perché

la persona non è riuscita a percorrere appieno il cammino verso la felicità

semplicemente dividendo, in modo equo, il tempo speso a relazionarsi con l'Altro da

quello trascorso coltivando le sue passioni.

La scelta del viaggio in solitario è piuttosto estrema; prevede l'abbandono,

temporaneo ma comunque lungo, della città natale, della famiglia e delle relazioni

sociali. Queste ultime sono spesso il motivo per cui la persona decide di

intraprendere una simile avventura; non essendo riuscita a trovare chi comprendesse

il suo bisogno di isolamento, decide di cercare altrove amici o esperienze che

possano dare un nuovo tono alla sua vita.

Da sempre considerati come dei vecchi saggi a cui sottoporre i dubbi sulla vita, gli

eremiti hanno sin dall'inizio ritenuto importante condividere le esperienze raccolte

durante il loro cammino verso la felicità; questo perché, come detto

precedentemente, la costruzione dell'ego positivo è una delle colonne portanti del

conseguimento della felicità e diffondere gli insegnamenti al fine di aiutare gli altri a

raggiungere il benessere è una delle basi dell'autocompiacimento.

Con l'evoluzione della società è nata una tipologia di eremita che incarna la figura

dell'antico e del nuovo, mescolando l'interesse per il benessere comune e l'amore per

il viaggio; questi nuovi individui, avendo già percorso un considerevole tratto di

cammino lungo la piramide della felicità, tentano di comprendere e soddisfare i

bisogni della società. Questi nuovi eremiti spesso prendono la decisione di partire

verso luoghi sconosciuti e pericolosi ma bisognosi di aiuti; l'attività di volontariato è

un esempio piuttosto significativo.

Partire per una terra di cui si conosce ben poco per poterne aiutare il popolo in

difficoltà è un altro modo per potenziare l'ego positivo; aiutare gli altri e vedersi

riconoscere il gesto aumenta non solo il benessere altrui, ma anche la stima per sé

stessi. Questo perché il cammino verso la felicità è basato su un interscambio di

benessere tra l'eremita e l'Altro: una volta ottenuto il necessario per poter vivere in

pace con sé stesso e essersi quindi realizzato, l'eremita trova ingiusto che questa

sensazione sia tenuta in segreto e, decidendo di condividerla, preferisce giovare a

tutti. L'altruismo è quindi un'altra grande caratteristica della figura eremitica molto

vicina all'affermazione di sé.

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Queste persone altruiste vengono definite “nuovi eremiti” perché abbandonano i

luoghi e la famiglia d'origine per occuparsi di sé stessi e degli altri; mentre l'isolato,

solo nella sua stanza, coltiva le sue passioni e migliora solo sé stesso, il nuovo

eremita passa al livello successivo e dona le sue conoscenze per migliorare la società.

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CONCLUSIONE

Al termine di questa tesi, voglio solo sperare che le mie esperienze possano essere

servite ad altri per comprendere meglio sé stessi e riuscire a intraprendere un

cammino positivo; la scelta di stare bene non è facile, ma vale la pena di tutti gli

sforzi che richiede.

Rinunciare al benessere è un crimine contro la propria persona, ma pochi ancora lo

capiscono; perciò sarebbe necessario che questo modo di pensare si espandesse e,

anche se in minima parte, spero di aver contribuito.

Non ho voluto scriverlo precedentemente e ho scelto invece di esprimerlo qui perché

potesse restare più impresso, ma un altro scopo, forse il più importante, di questa tesi

è quello di insegnare alle persone a riconoscere i segnali. Come già detto, senza

l'aiuto dell'Altro, difficilmente ci si rialza; perciò è importante riuscire a cogliere i

campanelli d'allarme, per poter intervenire ed estirpare il problema alla radice.

Ci sono ancora troppi casi di depressione, causati dai fattori più disparati, ma ancora

recuperabili; spero che, con l'aiuto di questa tesi, si possano individuare più

facilmente le avvisaglie, risolvere la situazione e conseguire finalmente ciò che ogni

essere umano desidera e merita: il benessere.

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SITOGRAFIA

1. Capitolo 1 - Paragrafo 1.2

La piramide di Maslow:

http://www.costellazionifamiliariesistemiche.it/teoria/i-bisogni-

fondamentali

2. Capitolo 2 - Paragrafo 2.1

Ricerche scientifiche sulla predisposizione genetica alla depressione:

http://www.nature.com/neuro/journal/v8/n6/abs/nn1463.html

Ricerche scientifiche sulla suscettibilità alla depressione di figli di

genitori depressi:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3819563/

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