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Università degli Studi di Torino FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Corso di Laurea Specialistica in Fisica Ambientale e Biomedica. Tesi di Laurea ANALISI DEI DATI DI UN TEST SU FASCIO DI RIVELATORI AL SILICIO 3D FBK-irst DOUBLE-SIDE DOUBLE TYPE COLUMN Relatore: Prof.sa A.M. Solano Correlatore: Dott. A. La Rosa Candidato: M. Borri Anno Accademico 2008/2009

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Università degli Studi di Torino

FACOLTÀ DI SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALICorso di Laurea Specialistica in Fisica Ambientale e Biomedica.

Tesi di Laurea

ANALISI DEI DATI DI UN TEST SU FASCIODI RIVELATORI AL SILICIO 3D FBK-irstDOUBLE-SIDE DOUBLE TYPE COLUMN

Relatore: Prof.sa A.M. Solano

Correlatore: Dott. A. La Rosa

Candidato: M. Borri

Anno Accademico 2008/2009

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Indice

1 Introduzione 5

2 Rivelatori a semiconduttore 72.1 Semiconduttori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7

2.1.1 Il silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.1.2 Cristallo intrinseco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.1.3 Semiconduttori estrinseci e drogaggio . . . . . . . . . . . 11

2.2 Rivelatori al silicio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.2.1 La giunzione p-n . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.2.2 Interazione delle particelle cariche con la materia. . . . . . 152.2.3 Funzionamento del rivelatore . . . . . . . . . . . . . . . 172.2.4 Principali tipologie di rivelatori al silicio . . . . . . . . . . 19

3 I sensori 3D al silicio 213.1 L’architettura 3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 213.2 Tipologie di sensori 3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 303.3 Le caratteristiche dei sensori 3D . . . . . . . . . . . . . . . . . . 32

3.3.1 Radiation hardness . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 333.4 I 3D FBK . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

4 Il test-beam 374.1 L’apparato sperimentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

4.1.1 Il telescopio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 404.2 I DUT . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 40

4.2.1 Il chip FE-I3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41

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INDICE

4.2.2 La parte analogica della PUC . . . . . . . . . . . . . . . 434.2.3 I sensori 3D-DTC-2 e 3D-DTC-2B . . . . . . . . . . . . 45

4.3 La presa dati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

5 Analisi dei dati 495.1 Il programma di analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 495.2 I run . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 515.3 Time-over-Threshold . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 525.4 Charge sharing . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 555.5 Residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 595.6 Efficienza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 60

6 Conclusioni 69

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CAPITOLO 1

Introduzione

I rivelatori al silicio sono utilizzati in fisica per la misura della posizione della par-ticella. Il loro utilizzo nei diversi campi applicativi, soprattutto nelle alte energie,ha portato allo sviluppo di nuove soluzioni che soddisfino richieste sperimentalisempre più esigenti.L’architettura 3D è una recente tipologia di sensori a semiconduttore sviluppatagrazie ad un progresso tecnologico nei processi di lavorazione del silicio e chepotrebbeI rivelatori al silicio a pixel sono stati sviluppati in fisica per misurare la posizio-ne delle particelle in ambienti con alta fluenza. Per soddisfare l’aumento dellefluenze e la crecente energia dei moderni acceleratori nuove tipologie di rivelatorisono attualmente studiati. L’architettura 3D è un tipo recente di sviluppo peri rivelatori in questi ambienti. In LHC i protoni saranno accelerati in un ran-ge di energie tra i 350 GeV e i 7 TeV, è intenzione del CERN incrementare laluminosità di un ordine di grandezza (da ∼ 1034 cm−2s−1 a ∼ 1035 cm−2s−1)con un conseguenzale aumento della fluenza da ∼ 1015 n/cm2 a ∼ 1016 n/cm2.I principali progetti per le attuali e future generazioni di rivelatori a pixel sonolegati agli esperimenti del Large Hadron Collider (LHC). Infatti tre dei quattroesperimenti su LHC utilizzano rivelatori a pixel per i rivelatori più prossimi alpunto di interazione.Questa fluenza elevata danneggia molti dei rivelatori attualmente utilizzati, ren-dendo necessarie nuovi studi. Questo lavoro di tesi viene dunque mostrato unostudio sui rivelatori a semiconduttore a pixel, per il rilevamento di posizione diparticelle, con geometria 3D. Questo tipo di geometria è uno dei possibili solu-zioni in via di sviluppo per la realizzazione di un riveltore in grado di affrontare

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Introduzione

l’incremento di fluenza in LHC. I rivelatori 3D inoltre sono tra i sensori candidatiper l’insertable B-layer (IBL), ovvero un rivelatore a pixel lungo un metro circae largo circa 10 cm che vuole essere inserito in ATLAS. Lo studio qui riportato èeffettuato attraverso i dati presi al test beam che svolto nella nord area di Pre-vessin (CERN). Al test beam partecipano coloro che si occupano dello sviluppodi questi rivelatori e il laboratorio RD125(??). Questo laboratorio è incaricatodella caratterizzazione di tutte le tipologie di rivelatore canditati per l’IBL ed hacome obiettivo confrontare tra loro in modo più possibile le diverse tecnologie.Nei capitoli seguenti sono spiegati i principi fisici che sono alla base del funziona-mento dei rivelatori a semiconduttori, è spiegata l’architettura 3D, è riportato ilfunzionamento dell’elettronica del rivelatore e l’apparato sperimentale utilizzato,è mostrato l’analisi svolta sui dati del test beam.

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CAPITOLO 2

Rivelatori a semiconduttore

I rivelatori al silicio sono un particolare tipo di rivelatori a semiconduttore. Modi-ficando le proprietà del silicio con appositi processi che agiscono a livello atomico,è possibile ottenere delle zone che possono essere utilizzate come aree sensibilidel rivelatore. Se una particella ionizzante passa attraverso la zona sensibile delrivelatore, essa crea delle coppie elettrone-ione che possono essere raccolte daun sistema elettronico di lettura. La conversione della perdita di energia di unaparticella in segnale elettrico permette quindi di ottenere informazioni su di essa.I rivelatori al silicio sono di grande utilità come rivelatori di posizione.

2.1 SemiconduttoriLa materia può formare aggregati con un numero molto alto di atomi e in basealle condizioni di temperatura e pressione assume stati fisici differenti: solido,liquido, gassoso. A seconda dello stato, la materia ha proprietà differenti. Inparticolare per lo stato solido, gli atomi (o le molecole) non esistono come entitàisolate ma per lo più seguono una disposizione periodica che prende il nome direticolo cristallino.In accordo col principio di esclusione di Pauli (per cui ciascun livello energeticopuò contenere solo due elettroni con spin opposto), quando il numero di atomiè molto grande la spaziatura tra i livelli energetici è molto piccola e può essereconsiderata un continuo: si forma una banda. Proprio la distribuzione dei livellienergetici degli elettroni in bande, separate da intervalli proibiti, è la principalecaratteristica elettronica dei solidi. La banda di maggiore interesse è la banda

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Rivelatori a semiconduttore

superiore: se non completa è chiamata banda di conduzione, altrimenti è chia-mata banda di valenza e la banda di conduzione sarà la banda immediatamentesuperiore. Le bande associate agli orbitali più interni sono invece piene e hannoelettroni piuttosto localizzati.Un solido, a seconda del tipo di intervallo (o gap) energetico tra banda di valenzae banda di conduzione, può essere classificato in 3 modi:

• conduttore: i metalli ed i semimetalli sono solidi conduttori. I metalli hannogli elettroni degli orbitali più esterni nella banda di conduzione, mentre neisemimetalli accade che vi sia una sovrapposizione tra la banda di valenzae quella di conduzione;

• semiconduttore: il gap energetico tra la banda di valenza e la banda diconduzione è piccolo, ∼ 1 eV. Come conseguenza, al crescere della tem-peratura si ha un aumento della probabilità che gli elettroni passino pereccitazione termica dalla banda di valenza alla banda di conduzione. Icristalli di silicio e di germanio sono esempi di solidi semiconduttori;

• isolante: il gap energetico tra la banda di valenza e la banda di conduzione è> 5 eV. L’ampiezza della zona proibita è sufficientemente grande da renderemolto difficile agli elettroni di superarla per eccitazione. Conseguentementetutti gli elettroni sono bloccati a formare i legami e non possono essereeccitati. Ne è un esempio il carbonio.

Avendo i semiconduttori un gap energetico tale da permettere il passaggio dielettroni in banda di conduzione, è possibile ottimizzare la scelta del materialein base all’ampiezza della banda proibita e in base all’applicazione desiderata [1].Per i rivelatori di posizione questa scelta è rappresentata dal silicio.

Figura 2.1: Struttura a bande del silicio.

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2.1.1 Il silicioIl silicio (dal latino silex,silicis che significa selce) venne identificato per la pri-ma volta da Antoine Lavoisier nel 1787. Esso ha numero atomico 14 ed è unelemento del gruppo IV-A e del periodo 3. È un solido reticolare covalente, ca-ratterizzato da una struttura cubica a facce centrate (FCC) in cui il lato del cubomisura 0.543 nm. Nella sua forma cristallina il silicio è un semiconduttore conun gap energetico di 1.1242 eV a T = 300 K. A 0 K ogni atomo del cristallo èunito ad altri 4 atomi di silicio, ha tutti gli elettroni legati e la banda di valenzacompletamente piena.Il silicio è il secondo elemento per abbondanza della crosta terrestre, componen-done il 25.7% del peso, è un componente di numerosi minerali ed ha un largoimpiego a livello industriale.Nella costruzione dei rivelatori di particelle è particolarmente apprezzato per duemotivi. Primo perchè si riescono a far crescere cristalli di discrete dimensioni.Secondo perchè a temperatura ambiente gli elettroni che per effetto termico pas-sano in banda di conduzione sono un numero trascurabile.Nelle tabelle 2.1 e 2.2 sono riportate le principali caratteristiche del silicio.

Simbolo SiNumero atomico 14Serie chimica Metalloidi

Gruppo IV APeriodo 3

Peso atomico 28.0855 umaRaggio atomico 110 pm

Configurazione elettronica Ne3s23p2

Punto di fusione 1687 KPunto di ebollizione 3173 K

Tabella 2.1: Principali informazioni sul silcio.

Isotopi stabili28Si 92.23%29Si 4.67%30Si 3.1%

Tabella 2.2: Isotopi del silicio.

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Rivelatori a semiconduttore

2.1.2 Cristallo intrinsecoSe un legame tra gli atomi del cristallo di silicio viene rotto per effetto dell’ener-gia termica, l’elettrone termicamente eccitato passa nella banda di conduzione,lasciando una lacuna nella banda di valenza. L’elettrone e la lacuna sono en-trambi liberi di muoversi. Il numero di tali elettroni liberi per unità di volume(ni) è legato alla temperatura assoluta dalla seguente relazione.

ni = 2(mc2KBT

2π(c)2 ) 32 e− Egap2KBT

Si può osservare che, contrariamente ai conduttori, la proprietà di condurre elet-tricità aumenta all’aumentare della temperatura. Inoltre è possibile confrontareil numero dei portatori di carica tra le due tipologie di solidi ad una temperaturafissata. Per T = 300 K il silicio ha ni ∼ 1010 cm−3 mentre nei metalli il numerodi portatori di carica per unità di volume è ∼ 1023 cm−3. Ne risulta che le carichelibere nel semiconduttore, di molto inferiori a quelle in un conduttore, creano solodeboli correnti continue in presenza di un campo elettrico, a causa del moto dideriva delle cariche.La densità di corrente che si genera è costituita da un flusso di carica negativae da un flusso di carica positiva. Il primo è dovuto al moto degli elettroni nellabanda di conduzione mentre il secondo è dovuto a quello delle lacune nella bandadi valenza:

J = Je + Jh = (−e)neve + enhvh (2.1)dove ne= concentrazione degli elettroni; nh= concentrazione delle lacune; ve=velocità di deriva degli elettroni; vh= velocità di deriva delle lacune; e= valoreassoluto della carica dell’elettrone.Evidenziando la dipendenza del modulo della velocità di deriva dei portatori dicarica dal campo elettrico, emerge un coefficiente detto mobilità:

ve = µeE

vh = µhE

dove µe= mobilità degli elettroni; µh=mobilità delle lacune.Osservando che i portatori di carica hanno cariche opposte e quindi anche ver-so della velocità di deriva opposto, è possibile esprimere la densità di correnteelettrica in funzione di una quantità detta conducibilità elettrica (σ):

J = eni(µe + µh)E = σE

Il processo di eccitazione termica fin qui descritto comporta ne = nh = ni equesta è la definizione di semiconduttore intrinseco.

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In tabella 2.3 sono riassunti i valori caratteristici del silicio intrinseco. Attraversola mobilità è possibile osservare che le due velocità di deriva saranno diverse inquanto i moti dei due tipi di carica avvengono in condizioni fisiche diverse. Infattiil moto di una lacuna è il moto di una carica nel reticolo, mentre il moto deglielettroni in banda di conduzione è paragonabile al moto di una carica libera.

µe 1350 cm2/(V s)µh 500 cm2/(V s)ni 1.5× 1010 cm−3

σ 4.4 · 10−4 1/(Ω m)

Tabella 2.3: Valori di mobilità, concentrazione di portatori di carica econducibilità a T = 300 K per un cristallo di silicio intrinseco.

2.1.3 Semiconduttori estrinseci e drogaggioÈ possibile incrementare la conducibilità dei semiconduttori introducendo oppor-tune impurità nel reticolo cristallino, processo che è detto drogaggio. I semicon-duttori sottoposti a drogaggio sono detti estrinseci. Il drogaggio è effettuato condue tipi di atomi. Quello con atomi accettori aumenta il numero di lacune (p) equello con atomi donori aumenta il numero di elettroni (n) nel cristallo. La leggedell’azione di massa permette di determinare i portatori maggioritari e minoritari:

nipi = np

Nel caso del silicio, elemento del gruppo IV-A, il drogaggio si effettua con atomidel III o V gruppo:

• Elementi del III gruppo (accettori). Hanno una struttura elettronica checonsente il legame con 3 dei 4 atomi di silicio del reticolo, impedendo alquarto atomo di completare il suo ottetto. In questa situazione l’impuritàintroduce dei nuovi livelli energetici vacanti, detti livelli accettori, collocati45 meV sopra la banda di valenza. La facile eccitazione termica di elettroniad occupare questi livelli permette la formazione di lacune nella banda divalenza senza avere il corrispettivo elettrone in banda di conduzione. Ildrogaggio, aumentando il numero di portatori positivi, è detto di tipo p. Ilboro è l’elemento più usato per produrre questo effetto nel silicio. Si ha:

n << p ≈ NA ⇒ J = NAeµhE

(NA= concentrazione atomi accettori).

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.2: Differenti tipi di drogaggio.

• Elementi del V gruppo (donori). Hanno una struttura elettronica che con-sente il legame con i 4 atomi di silicio del reticolo e lascia un elettronedebolmente legato. Gli elettroni in eccesso delle impurità si collocano inuna nuova banda energetica, detta livello donore, collocata 44 meV sotto labanda di conduzione. Questo permette la facile eccitazione di elettroni inbanda di conduzione senza che vi siano le corrispettive lacune in banda divalenza. Il drogaggio, aumentando il numero di portatori negativi, è dettodi tipo n. Il fosforo è l’elemento più usato per produrre questo effetto sulsilicio. Si ha:

p << n ≈ ND ⇒ J = NDeµeE

(ND= concentrazione atomi donori).

Impurezze di un’unità ogni 106 atomi di silicio aumentano il numero di portatoridi carica a ∼ 1016 cm−3, rendendo trascurabile il valore intrinseco ni del cristallo.

2.2 Rivelatori al silicioIl funzionamento dei rivelatori al silicio si basa sulla formazione di una giunzionep-n. Essa permette di ottenere una zona priva di cariche libere, che viene utiliz-zata come zona sensibile del rivelatore. Applicando alla giunzione una tensionein modo opportuno, questa può essere usata come una camera a ionizzazione,nella quale il passaggio di una particella produce coppie elettrone-lacuna, il cuisegnale viene raccolto agli elettrodi.

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2.2.1 La giunzione p-nLa giunzione p-n consiste di due cristalli di silicio, drogati rispettivamente tipop e tipo n, posti a contatto tra loro [2][3]. Accade che la differenza di concen-trazione dei portatori di carica all’interfaccia da’ luogo a diffusione di carica. Glielettroni, la cui concentrazione è maggiore nella parte n, diffondono verso la partep e si ricombinano con le lacune, analogamente le lacune diffondono dalla partep alla parte n e si ricombinano con gli elettroni. In questo modo si forma unazona in cui il numero di portatori di carica per unità di volume scende a ∼ 102

cm−3. Tale zona può essere considerata priva di carica libera ed è detta zona disvuotamento.Tra le regioni elettricamente cariche ai due lati della superficie di contatto sigenera un potenziale Vbi (built in voltage) e un campo elettrico E, che contra-stano la diffusione. Il processo di ricombinazione si arresta quando la differenzadi potenziale assume un valore sufficiente a contrastare la diffusione. Il valoredel potenziale per una giunzione è dato dalla seguente relazione:

Vbi = KBT

eln(NAND

n2i

)

da cui si osserva la dipendenza dal drogaggio delle due zone. Le coppie elettrone-lacuna che per effetto termico si formano nello spessore svuotato migrano sottol’azione del campo elettrico.A seconda dell’uso che si vuole fare della giunzione è possibile applicare unadifferenza di potenziale esterna in due modi diversi.

• Polarizzazione diretta:

– potenziale positivo applicato alla regione p;– potenziale negativo applicato alla regione n;

In questo modo si favorisce il flusso di lacune ed elettroni attraverso lagiunzione, di fatto diminuendo la regione di svuotamento.

• Polarizzazione inversa:

– potenziale negativo applicato alla regione p;– potenziale positivo applicato alla regione n;

La polarizzazione inversa ha stessi direzione e verso di Vbi e agisce contra-stando il flusso di elettroni e lacune attraverso la giunzione, eliminando lamaggior parte dei portatori di carica liberi e quindi allargando la regione disvuotamento.

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.3: (a) regione di svuotamento, (b) spazio elettricamente carico, (c)campo elettrico e (d) voltaggio per una giunzione p-n con xn ≈ W .

Essendo il funzionamento dei rivelatori al silicio basato sull’utilizzo della regionedi svuotamento, la tensione che viene applicata alle giunzioni destinate a questouso è la polarizzazione inversa.La profondità della zona di svuotamento può essere calcolata come:

W = xn + xp =√

2ε0εSie

( 1NA

+ 1ND

)(V + Vbi) (2.2)

in cui W è lo spessore totale svuotato, xn e xp gli spessori parziali svuotati ri-spettivamente nel cristallo n e p, V il voltaggio esterno applicato ed ε0 e εSi lecostanti dielettriche del vuoto e del silicio (εSi = 12).Nei sensori al silicio le giunzioni sono solitamente realizzate con un impianto p al-tamente drogato (NA > 1018 cm−3), indicato con p+, a contatto con un volumedebolmente drogato n (ND ∼ 1012 cm−3). Il termine 1/NA nell’equazione 2.2può quindi essere trascurato e questo significa che la regione svuotata è maggiorenel lato debolmente drogato della giunzione. Inoltre il voltaggio Vbi, che si generanella regione di svuotamento senza che sia applicata una tensione esterna, ha va-lori tipici di ∼ 0.5 V, almeno un ordine di grandezza inferiore ai voltaggi applicatiper rendere operative le giunzioni nei rivelatori. È quindi possibile approssimarenel seguente modo:

W ≈ xn ≈√

2ε0εSieND

V

In figura 2.3 sono mostrati la regione di svuotamento, il potenziale e il campo elet-trico nella direzione perpendicolare alla giunzione. Il campo elettrico raggiungeil suo massimo alla superficie di contatto

Emax = 2VW≈√

2eND

ε0εSiV

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e diminuisce linearmente fino ad arrivare al valore nullo in corrispondenza dellimite della zona di svuotamento. La tensione di svuotamento è il voltaggionecessario per estendere lo svuotamento a tutto lo spessore del silicio. Esso è unodei principali parametri del sensore e definisce il minimo voltaggio di operativitàdel sensore.

2.2.2 Interazione delle particelle cariche con la materia.Se una particella carica attraversa la materia, possono verificarsi due effetti:

• perdita di energia da parte della particella;

• deviazione della sua traiettoria rispetto alla direzione incidente;

Questi effetti sono il risultato di diversi processi:

• collisioni anelastiche con gli elettroni atomici, che principalmente causanola perdita di energia;

• urti elastici coi nuclei, che causano principalmente la diffusione laterale delproiettile;

• emissione di radiazione Cerenkov;

• reazioni nucleari;

• radiazione di frenamento (bremsstrahlung), importante soprattutto per leparticelle leggere, elettroni e positroni, in quanto la perdita è proporzionaleall’inverso del quadrato della massa della particella.

Per le particelle pesanti, per cui M >> me, le collisioni anelastiche sono leprincipali responsabili della perdita di energia, che quando è sufficiente a formarecoppie elettrone-ione determina il fenomeno della ionizzazione. Il valor mediodella perdita di energia per ionizzazione, stimato per unità di percorso, è descrittodalla formula di Bethe-Bloch:

〈dEdx〉 = ρKz2Z

A

1β2 [ln 2mec

2β2γ2

I− β2 − δ(βγ)

2 − C

Z]

dove Z/A rappresenta la dipendenza dal mezzo, δ(βγ) è un coefficiente di at-tenuazione che riduce 〈dE/dx〉 per alti valori di βγ mentre il termine β2 rap-presenta la dipendenza della sezione d’urto dalla graduale diminuzione di energiadella particella in urti successivi. Il termine C/Z è associato alla schermaturadegli elettroni interni quando, a basse energie, gli elettroni atomici non possonoessere considerati liberi. Tutti i simboli sono riportati nella tabella 2.4.

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.4: Curva di Bethe-Bloch.

c velocità della luceβ = v/c, parametro relativistico della particellaγ = 1/

√1− β2, parametro relativistico della particella

me massa dell’elettronee carica elementareρ densità (2.33 g/cm3 per il silicio)re = e2/(4πε0mec

2), raggio classico dell’elettronez carica della particellaZ numero atomico del materiale attraversatoA numero di massa del materiale attraversatoI energia di ionizzazione media del materialeK = 4πr2

emec2NA = 0.307 MeV cm2/g

Tabella 2.4: Lista dei simboli usati nell’equazione di Bethe-Bloch.

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La dipendenza di 〈dE/dx〉 è mostrata in figura 2.4. Per valori di βγ < 0.007, laformula di Behte-Bloch non è più valida, il proiettile ha velocità circa uguale aquella degli elettroni atomici e tende ad assorbirli. Per 0.007 < βγ < 1 dominail fattore 1/β2, mentre nell’intervallo 1 < βγ < 4 la diminuzione è compensatadal termine logaritmico. Per 4 < βγ < 200 la perdita di energia risale comeln(βγ), infine per βγ > 200 raggiunge un valore costante, il plateau di Fermi.Per particelle relativistiche di alta energia la risalita logaritmica è ∼ 10% rispettoal valore del minimo, quindi il valore 〈dE/dx〉min è associato ad un largo rangedi βγ. Questo porta alla definizione di particella al minimo di ionizzazione (mini-mum ionizing particle, m.i.p.), che permette di misurare la risposta del rivelatoresenza riferirsi ad una particolare particella. Per una mip attraversante il silicio siha che 〈dE/dx〉/ρ = 1.664 MeV cm2/g, valore che in buona approssimazionepuò essere considerato indipendente dal materiale.

2.2.3 Funzionamento del rivelatoreUn rivelatore di particelle al silicio è generalmente costituito da un volume debol-mente drogato al quale sono affiancati due impianti fortemente drogati in mododiverso (p+ e n+). Ciò serve ad evitare che correnti parassite possano generarsiconseguentemente all’applicazione del voltaggio. Le due aree fortemente drogatesono successivamente metallizzate in superficie. Una differenza di potenziale vie-ne quindi applicata con polarizzazione inversa, così da svuotare completamente laparte di volume drogato in modo debole. Il voltaggio viene applicato collegandoad un potenziale noto una delle regioni fortemente drogate, lasciando l’altra alvalore di terra (ground); l’elettronica di lettura è collegata all’apposito elettrodoche raccoglie il segnale di carica (positivo o negativo).Una particella che incida nella regione sensibile del rivelatore, costituita dal volu-me completamente svuotato, perde energia producendo coppie elettrone-lacuna.Nel silicio l’energia per produrre una coppia è pari a 3.6 eV. I portatori di caricaliberi prodotti per ionizzazione migrano seguendo le linee del campo elettricoverso gli elettrodi di segno opposto. Gli elettroni muovono verso l’anodo, rap-presentato dall’impianto drogato fortemente n (n+); le lacune muovono verso ilcatodo, rappresentato dall’impianto drogato fortemente p (p+). Il segnale vienepoi raccolto dall’elettrodo collegato all’elettronica ed elaborato.La perdita media di energia nelle interazioni calcolata attraverso la relazioneBethe-Bloch è il valore centrale di una distribuzione gaussiana. Per spessori sottilidi materiale, che è tipicamente il caso dei rivelatori al silicio, è però di significativaimportanza l’alta probabilità di un grande trasferimento di energia agli elettroniatomici, i quali possono ulteriormente ionizzare altri atomi. Questi elettroni sonochiamati δ-elettroni e producono un’asimmetria nella gaussiana. Questo effettoè descritto con una distribuzione di Landau. In figura 2.5 è riportata la perdita

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Rivelatori a semiconduttore

Figura 2.5: Distribuzione di Landau per una mip che attraversa uno spessore di250 µm di silicio.

di energia di una mip in un rivelatore di silicio spesso 250 µm. Si può osservareche il valore medio della perdita di energia è maggiore del valore più probabile, inparticolare che il numero medio di coppie elettrone-lacuna per una mip in questorivelatore è 27 ke− mentre il più probabile è 19.4 ke−.I rivelatori al silicio, o più in generale a semiconduttore, hanno proprietà che lirendono particolarmente appropriati per il rilevamento di radiazione ionizzante:

• grande numero di portatori di carica per unità di energia persa dalla par-ticella ionizzante a causa del piccolo gap energetico, considerando chel’energia media richiesta per creare una coppia elettrone-lacuna è di unordine di grandezza inferiore rispetto all’energia di ionizzazione dei gas;

• grande perdita di energia per unità di lunghezza di materiale attraversatodalla particella ionizzante, dovuta all’alta densità del materiale. Questopermette di costruire rivelatori sottili;

• piccolo libero cammino medio associato agli elettroni δ, che previene laraccolta di energia lontano dal punto in cui è avvenuta la ionizzazioneprimaria, consentendo una precisa misura della posizione;

• alta mobilità degli elettroni e delle lacune, così che sia garantita una rapidaraccolta del segnale;

• possibilità di modificare le proprietà del rivelatore attraverso un cambia-mento di drogaggio nella struttura.

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2.2.4 Principali tipologie di rivelatori al silicioLe caratteristiche sopra descritte hanno determinato negli ultimi due decenni unuso sempre più largo dei rivelatori al silicio come rivelatori di tracciamento negliapparati sperimentali di fisica delle alte energie. L’evoluzione che ha portato alloro successo può essere così riassunta:

1968 G.Charpak sviluppa i rivelatori di particelle elettronici.(Risoluzione spaziale: sotto il mm; densità dei canali elettronici di lettura:0.01 ch/cm2)

1975 Camere a drift.(Risoluzione spaziale: ∼ 100 µm; densità dei canali elettronici di lettura:0.05 ch/cm2)

1980 Rivelatori al silicio a micro-strip.(Risoluzione spaziale: ∼ 10 µm; densità dei canali elettronici di lettura:100 ch/cm2)

1990 Rivelatori al silicio a pixel.(Risoluzione spaziale: < 10 µm; densità dei canali elettronici di lettura:5000 ch/cm2)

Come si può dedurre, le principali tipologie di rivelatori al silicio utilizzate sonola configurazione a micro-strip e quella a pixel, entrambe in geometria planare.La geometria planare è costituita da elettrodi depositati sulla superficie superioreed inferiore del volume centrale (figura 2.6). Esistono tipi diversi di rivelatoriplanari che si differenziano principalmente per i drogaggi del volume centrale eper la segmentazione degli elettrodi. Le differenti tipologie di segmentazionesono mostrate in figura 2.7.I rivelatori con un singolo lato a micro-strip individuano solo una coordinata del-la particella rilevata. Se gli elettrodi sono suddivisi in strip su entrambi i lati,ad esempio con un angolo di π/2 tra le due superfici, allora è possibile averecoordinate bidimensionali del punto di passaggio della particella. L’elettronica dilettura in questo caso può essere attaccata ad una o a tutte e due le facce.L’utilizzo dei rivelatori a micro-strip ha un limite in presenza di alti flussi diparticelle. Può accadere infatti che l’incidenza di due o più particelle generiun’ambiguità nella misura della posizione. Il problema è illustrato in figura 2.8:se due particelle colpiscono entro il tempo di lettura due strip differenti, si avràun’ambiguità nella misura della posizione in quanto i punti di intersezione risulta-no quattro. Per evitare questo problema si segmenta un elettrodo in entrambe ledirezioni, ottenendo i pixel. Questo però implica diverse complicazioni tecnologi-che, quali l’elevato numero di canali di elettronica e la dipendenza dell’elettronica

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Rivelatori a semiconduttore

dalle dimensioni del pixel.Più recentemente sono stati studiati nuovi rivelatori al silicio a pixel, detti 3D, chehanno gli elettrodi posti perpendicolarmente alla superficie (figura 2.7). Questirivelatori sono descritti nel prossimo capitolo e costituiscono l’oggetto di questatesi.

Figura 2.6: Esempio di configurazione planare.

Figura 2.7: Differenti tipi rivelatori al silicio. Da sinistra verso destra: stripplanari, pixel planari, 3D.

Figura 2.8: Ambiguità nella misura della posizione.

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CAPITOLO 3

I sensori 3D al silicio

Per fattori tecnologici legati alla loro produzione i rivelatori a pixel 3D sono unaconquista recente e la geometria planare, illustrata nel capitolo 2, costituiscetuttora lo standard nei rivelatori di posizione al silicio. I rivelatori a pixel 3D sipongono come un’evoluzione rispetto alla configurazione planare e sono ad oggisoggetti a studi per ottimizzarne le proprietà.

3.1 L’architettura 3DLa prima proposta di rivelatore 3D al silicio compare nell’articolo del 1997 diS.Parker e C.Kenney, intitolato 3D-A proposed new architecture for solid-stateradiation detectors [4], dove viene esposto lo studio di una matrice di elettro-di tridimensionali penetranti nel volume del rivelatore, perpendicolarmente allasuperficie. Fino ad allora erano state utilizzate solo configurazioni con elettrodipiani disposti sulla superficie del materiale.Parker e Kenney sono stati in grado di creare questa nuova geometria utilizzandoi seguenti fattori:

• possibilità di incidere profondi fori nel silicio con reazioni ioniche (rapportoprofondità-larghezza 15 : 1);

• possibilità di riempire i fori con vapori di silicio a bassa pressione;

• possibilità di riempire i fori con gas dopanti: diborano (colonna p+) efosfano (colonna n+).

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.1: Cella 3D studiata da S.Parker.

Lo studio su questo tipo di architettura è stato sviluppato considerando una cellanella quale un elettrodo p+ passa nel centro delle facce di un parallelepipedoa base quadrata di lato 50 µm e alto 300 µm (figura 3.1). Il parallelepipedocostituisce il substrato, drogato debolmente p, e sul suo bordo sono incise 8colonne n+ di giunzione. Tutte le colonne attraversano totalmente il volume esono dette passanti.Per la costruzione della cella si sono usati i principi di architettura validi per lacostruzione dei rivelatori a semiconduttori. Ecco i principali:

• necessità di minimizzare il massimo del campo elettrico di deriva;

• utilizzo di un substrato debolmente drogato per prevenire i cambi di tipo(n↔ p) dovuti a danneggiamento per irradiazione;

• impianti per ridurre le correnti di superficie tra elettrodi opposti causatedallo strato ossidato che ricopre il sensore;

• unione di più elettrodi dello stesso tipo per ridurre il numero di collega-menti con l’elettronica di lettura o con la distibuzione delle tensioni disvuotamento.

Si deve notare che unire più elettrodi di raccolta, ovvero più celle, ha comeconseguenza un incremento della capacità e una riduzione del rapporto segnale-rumore. Inoltre il rumore (o noise) aumenta come la radice quadrata del numerodi celle.

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In figura 3.2 sono riportate per un quarto di cella le simulazioni dell’andamentodelle linee equipotenziali, delle linee di drift e delle linee raccolta di carica pertempi uguali. Lo studio sulle linee equipotenziali, primi quattro grafici in alto, èsvolto per due diversi drogaggi del substrato, 1012 cm−3 e 1013 cm−3, e diversetensioni di svuotamento, 5 V e 10 V. Nei rispettivi grafici vengono mostrate lelinee equipotenziali all’aumentare del drogaggio a parità di tensione di svuota-mento e all’aumentare della tensione di svuotamento a parità di drogaggio.Nella figura 3.2 in basso a sinistra sono riportate le linee di drift per il caso didrogaggio del substrato di 1012 cm−3 e alimentazione 5 V. Esse sono relativealle cariche positive e si osserva la presenza di zone morte in cui la raccolta dicarica è meno efficiente. Sempre nella figura 3.2 in basso a destra è riportato lostudio sulle linee di uguale tempo di drift, il cui andamento corrisponde alle lineeequipotenziali. Si osserva che il tempo di drift dal centro della cella è inferioreal ns, mentre il tempo di raccolta dal bordo è teoricamente infinito, dato che inquesta regione il campo elettrico va a zero. Per calcolare il tempo di raccolta dalbordo bisogna tenere in considerazione la diffusione della carica e la tensione Vbinella giunzione.Nei grafici in alto e in quello in basso a sinistra in figura 3.3 è riportato l’an-damento del campo elettrico in funzione della distanza tra gli elettrodi. Sonopresi in considerazione tre casi: elettrodi p+-n+ sulla stessa diagonale (in alto asinistra); elettrodi n+-n+ adiacenti (in alto a destra); elettrodi p+-n+ adiacenti(in basso a sinistra). Per ciascun caso i grafici sono ottenuti considerando unsubstrato drogato 1012 cm−3 e le curve corrispondono a 7 diverse tensioni di ali-mentazione: 50 V, 40 V, 30 V, 20 V, 10 V, 5 V, 0 V (rispettivamente dall’alto inbasso). Un valore di 5 V è sufficiente affinchè il campo elettrico si estenda a tuttolo spazio tra gli elettrodi. Questo, nel caso di polarizzazione inversa, corrispondead avere un completo svuotamento nella regione compresa tra gli elettrodi. Ilmotivo per cui ciò avviene a così basse tensioni è la vicinanza tra le colonne.Il picco del campo elettrico, inoltre, è più di un ordine di grandezza inferiore alvalore di scarica, stimato sui 105 V/cm, per tutte le tensioni di alimentazioneconsiderate.Nel grafico in basso a destra in figura 3.3 è riportato per due diversi drogaggi disubstrato, 1012 cm−3 e 1013 cm−3, l’andamento del campo elettrico nel caso p+-n+ adiacenti, per tensione di svuotamento 10 V. Si osserva che per il drogaggiomaggiore il campo elettrico ha valore di picco inferiore.In figura 3.4 è mostrato il drift delle lacune e degli elettroni prodotto da una par-ticella che ionizza 24000 coppie, incidente nel centro del quarto di cella, per undrogaggio del substrato di 1012 cm−3 e alimentazione di 10 V. Nelle figure delleprime due righe è riportata la posizione durante il moto di drift delle lacune intre istanti successivi, nella terza riga è mostrata la raccolta degli elettroni in dueistanti successivi e viene riportata, con il contorno tratteggiato nero, la posizione

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.2: Linee equipotenziali per diversi drogaggi e tensioni di svuotamento(in alto); linee di drift (in basso).

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Figura 3.3: Andamento del campo elettrico tra elettrodi.

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Figura 3.4: Drift delle cariche per una particella incidente al centro del quarto dicella.

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Figura 3.5: Formazione del segnale ai quattro elettrodi del quarto di cella, peruna particella incidente al suo centro.

allo stesso istante delle lacune. Si può osservare che per una particella equidi-stante da due elettrodi opposti, i tempi di raccolta del segnale sono compatibiliper elettroni e lacune benchè la mobilità degli elettroni sia maggiore. Ciò è illu-strato in figura 3.5. Ciascuna della quattro curve corrisponde ad uno dei quattroelettrodi presenti nella cella. Le tre curve con il massimo positivo sono relativeagli elettrodi n+. La curva associata all’elettrodo n+ con il massimo maggiore èquella ottenuta nell’elettrodo posto sulla stessa diagonale dell’elettrodo p+, comeillustrato anche in figura 3.4 (grafico terza riga a destra).Nelle figure 3.6 e 3.7 sono riportati rispettivamente i drift delle lacune e deglielettroni prodotti da una particella, che ionizza 24000 coppie, incidente nellazona morta del quarto di cella, per un drogaggio del substrato di 1012 cm−3,alimentato a 10 V. In figura 3.6 si osserva il più lento moto delle cariche positive,mentre in figura 3.7 si osserva l’instantanea raccolta degli elettroni. Il maggiortempo di raccolta delle lacune si ha principalmente perchè il moto nella zonamorta avviene inizialmente per diffusione, ma anche per la maggiore distanzadall’elettrodo di raccolta p+ e la minore mobilità delle lacune.La figura 3.8 illustra la formazione del segnale nei quattro elettrodi per il puntodi incidenza appena descritto. La curva associata all’elettrodo p+ è indicata nelgrafico, le altre curve rappresentano il segnale agli elettrodi n+. La curva con laformazione del massimo nel tempo minore rappresenta il segnale nell’elettrodon+ posto sulla diagonale rispetto a p+. Il minimo negativo nelle curve dei restantidue elettrodi n+ è dovuto al campo elettrico generato dalle lacune nella zonamorta durante il loro moto. Si osservi infine che lo spessore del substrato (coin-

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Figura 3.6: Drift delle lacune per una particella incidente nella zona morta deldispositivo.

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Figura 3.7: Drift degli elettroni per una particella incidente nella zona morta deldispositivo.

Figura 3.8: Formazione del segnale ai quattro elettrodi del quarto di cella, peruna particella incidente nella sua zona morta.

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I sensori 3D al silicio

cidente con la lunghezza dell’elettrodo) non influisce sullo sviluppo del segnale,in quanto lo spazio di deriva nei rivelatori 3D è disaccoppiato dallo spessore delsensore, a differenza che nei rivelatori planari.Il diametro delle colonne e lo spessore del substrato sono due caratteristicheimportanti del sensore. Il primo influisce sulla capacità, sulla resistenza e sulvalore massimo del campo elettrico. Al diminuire del diametro si ha una di-minuzione della capacità, un aumento della resistenza e un aumento del valoremassimo di campo elettrico: risultato positivo quello iniziale, negativi gli altridue. La capacità inoltre è proporzionale allo spessore del substrato. Si vorrebbespessore minore possibile per diminuire la capacità, ma ciò implica una diminu-zione di carica prodotta dalla particella nel volume e va quindi cercato un giustocompromesso.

3.2 Tipologie di sensori 3DL’architettura dei sensori 3D, caratterizzata da una corta distanza di deriva dovu-ta alla disposizione degli elettrodi, permette di ottenere il completo svuotamentoa basso voltaggio, una rapida raccolta di carica e una maggiore resistenza delsensore alla radiazione.È possibile disporre gli elettrodi in modi diversi in relazione alla forma dei pixel.In figura 3.9 a sinistra sono mostrate tre possibili disposizioni di elettrodi. Per latrattazione dei rivelatori in questa tesi è di particolare importanza la seconda di-sposizione a partire dall’alto. Infatti i sensori analizzati avranno pixel rettangolari50 µm × 400 µm con gli elettrodi disposti in modo sfasato. Questo permette diannullare la zona morta tra elettrodi dello stesso tipo discussa in precedenza.

Figura 3.9: Differente disposizione degli elettrodi (a sinistra) e diverse unioni dielettrodi per pixel (a destra).

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Figura 3.10: Raccolta di carica e noise [5].

È anche possibile variare il numero di elettrodi per pixel, aumentando o diminuen-do la distanza tra gli elettrodi. In figura 3.9 a destra sono illustrate tre tipologiedi pixel rettangolari (2E, 3E, 4E), differenti per numero di elettrodi. La distan-za tra gli elettrodi influisce innanzitutto sulla raccolta di carica, poichè piccoledistanze permettono la ricombinazione ad una frazione minore di coppie prodot-te per ionizzazione, determinando un maggiore segnale raccolto. Nel grafico asinistra in figura 3.10 è riportato il segnale di carica in funzione della distanzatra gli elettrodi per le tre tipologie mostrate in figura 3.9 a destra. Le misuresono mostrate per due differenti fluenze di irraggiamento del sensore, dalle qualisi può osservare come i danni da radiazione peggiorino la raccolta del segnale.Elettrodi di uno stesso tipo possono essere uniti tra loro per garantire il correttoaccoppiamento con l’elettronica. L’unione di più elettrodi corrisponde a collegarein parallelo le capacità e quindi ad un aumento della capacità totale del sensore.La capacità del pixel influisce sul noise. Nel grafico a destra in figura 3.10 èriportato il noise (Equivalent Noise Charge - ENC) in funzione del voltaggio perle tre tipologie di elettrodi mostrate in figura 3.9 a destra. Si osserva che il noisediminuisce aumentando il voltaggio e aumenta col numero di elettrodi per pixel.Un’altra caratteristica che può essere variata nella costruzione dei sensori è laprofondità delle colonne nel substrato. In figura 3.11 è riportato un esempio disensore a colonna passante e uno con colonne non passanti.I sensori con elettrodi passanti seguono il disegno originale di S.Parker e sonofabbricati a Stanford dal 2001 e recentemente anche alla Sintef di Oslo. I sensoria colonna non passante sono progettati e costruiti dalla Fondazione Bruno Kes-sler (FBK-irst) di Trento in collaborazione con l’Università e recentemente anchedal Centro Nazionale di Microelettornica (CNM) di Barcellona.

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.11: A sinistra, sezione traversale di un sensore 3D a colonna passante;a destra, sezione di un sensore a colonne non passanti.

3.3 Le caratteristiche dei sensori 3DLa architettura 3D costituisce un’evoluzione della geometria planare (tabella 3.1),apportando alcuni importanti vantaggi:

1 Superficie degli elettrodi maggiore rispetto alla geometria planare e un valormedio di campo elettrico maggiore rispetto al valore di picco;

2 Gli elettrodi di entrambe le tipologie (p+ o n+) possono essere uniti damateriale conduttore.

3 Distanze brevi (∼ 50µm) di raccolta della carica generata per ionizzazioneda una particella che attraversa lo spessore del substrato;

4 Basse tensioni di svuotamento;

5 Tempi di raccolta del segnale di un ordine di grandezza inferiori rispettoalla struttura planare. Per tracce parallele all’elettrodo tutte le carichesono raccolte quasi simultaneamente.

6 Aumento della resistenza alla radiazione (radiation hardness);

7 Possibilità di posizionare un elettrodo nel margine laterale del rivelatore, aformare una struttura detta bordo attivo (figura 3.12). In questo modo lelinee di campo elettrico possono terminare correttamente all’elettrodo dibordo e sono garantite:

– la soppressione delle correnti di leakage create dal bordo;– la riduzione a pochi micron dell’area morta del sensore;– l’indipendenza da strutture aggiuntive tipo guard-ring.

Il principale svantaggio dei sensori 3D rispetto ai planari è invece la maggiorecapacità.

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3D PlanareDepletion voltage < 10 V 70 VEdge sensitivity < 5 µm 500 µm

Charge 1 MIP (300 mm) 24ke− 24 ke−Capacitance 30− 50fF 20 fF

Collection distance 50 µm 300 µmSpeed 1− 2 ns 10− 20 ns

Tabella 3.1: Caratteristiche delle tecnologie 3D e planare.

Figura 3.12: Bordo attivo nel sensore 3D (sinistra); bordo del sensore planare(destra).

3.3.1 Radiation hardnessUna particella interagendo col volume del rivelatore può creare dei danni. Essisono principalmente distinguibili in:

• Danni alla superficie. Sono dovuti alla ionizzazione che si verifica nellostrato di passivazione (SiO2) che ricopre il substrati di silicio. In questostrato la mobilità di elettroni e lacune è notevolmente diversa (µh << µe)e la ricombinazione delle coppie elettrone-lacuna che si vengono a crearesi ha solo in piccola parte, generando alterazioni del campo elettrico nelmateriale.

• Danni al substrato. Essi sono principalmente causati dalla componente diinterazioni non ionizzanti della particella col reticolo cristallino e in generaleprovocano dislocazioni degli atomi con creazione di atomi interstiziali evacanze.

I danni al substrato si manifestano in diversi modi. Ad esempio, con la formazio-ne di livelli energetici all’interno della banda proibita, che provocano la creazioneo ricombinazione di coppie non possibile altrimenti, oppure le cariche possonosostare per qualche tempo in nuovi livelli e dare origine al fenomeno dell’intrap-polamento. Si può inoltre verificare il cambiamento di tipo del substrato. I dannida radiazione hanno importanti conseguenze negative:

• modifiche della regione di svuotamento;

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I sensori 3D al silicio

• incremento della corrente di leakage;

• diminuzione del segnale;

• riduzione della tensione di break down, ovvero la tensione di svuotamentooltre la quale il rivelatore smette di funzionare e che se è sotto un certovalore impedisce di ottenere il completo svuotamento del substrato.

Figura 3.13: Grafico fluenza vs signal efficiency per diverse configurazioni dielettrodi [5].

L’architettura 3D, principalmente in ragione della piccola distanza tra gli elet-trodi, permette di ridurre gli effetti del danno da radiazione. La misura che vaconsiderata è l’efficienza di segnale (signal efficiency - SE) che è il rapporto trail segnale che dovrebbe generarsi nel sensore a causa del passaggio di una parti-cella ionizzante ed il segnale che realmente viene raccolto, il quale è affetto dalleconseguenze dei danni da radiazione. La SE può essere calcolata con la formula[5]:

SE = 11 + (0.6LKτ

φvd

)dove L è la distanza tra gli elettrodi; Kτ è la costante di danno per l’effettivotempo di intrappolamento; φ è la fluenza di irraggiamento e vd è la velocitàsaturata di drift degli elettroni nel silicio.In figura 3.13 si riporta la misura della signal efficiency in funzione di fluenzeequivalenti di neutroni o protoni. Sono riportate le curve per le tre configura-zioni di elettrodi 2E, 3E e 4E già introdotte. Si osserva che all’aumentare dellafluenza la signal efficiency diminuisce ma rimane più che accettabile fino a fluen-ze dell’ordine di 1016 cm−2. Questo è l’ordine di grandezza delle fluenze attese

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per i rivelatori di vertice di ATLAS e CMS dopo l’upgrade di LHC (super LargeHadron Collider - sLHC). Le misure indicano inoltre che l’efficienza di raccoltadel segnale è migliore per la configurazione con gli elettrodi più vicini (4E).

3.4 I 3D FBKTra i vari tipi di sensori, vengono qui presentati in maggiore dettaglio i sensoriFBK, che sono oggetto di questa tesi.I sensori 3D studiati al FBK-irst di Trento hanno seguito un’evoluzione legata aiprocessi produttivi. In sequenza, le due tipologie finora prodotte sono state:

• 3D-STC (Single Type Column): sensori con colonne di un solo tipo dro-gante, penetranti parzialmente il substrato da una sola faccia [6][7].

• 3D-DDTC (Double-side Double Type Column): sensori con colonne dientrambi i tipi droganti, penetranti parzialmente il substrato da entrambele facce [8].

In figura 3.14 è riportato uno schema che riassume la tipologia 3D-DDTC. Glielettrodi cilindrici, con diametro nominale di 10 µm, penetrano nel substratodrogato debolmente p da entrambe le superfici, ma senza raggiungere quellaopposta [9]. Le colonne n+ sono quelle di giunzione e le colonne p+ sono detteohmiche. Le colonne p+ sono collegate tra loro con un’unica metallizzazione,che costituisce l’elettrodo negativo attraverso il quale viene fornita al sensorela tensione di svuotamento. Le colonne di giunzione n+ sono isolate tra loroda un impianto p-spray e possono essere collegate in superficie a gruppi con lametallizazione, ottenendo il pixel.I sensori 3D-DDTC studiati in questa tesi sono stati costruiti per ATLAS, conarea del singolo pixel 50 × 400 µm2, compatibile con l’elettronica, e con 2, 3o 4 elettrodi per pixel. I rivelatori 3D utilizzati nel test col fascio descritto nelprossimo capitolo, hanno tutti tre elettrodi per pixel.

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I sensori 3D al silicio

Figura 3.14: 3D-DDTC.

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CAPITOLO 4

Il test-beam

I dati oggetto di questa tesi sono stati raccolti durante un test-beam al qualeho partecipato nel maggio 2009, che ha avuto luogo nella Nord Area del SuperPositron Sincroton (SPS) al CERN di Ginevra. In questa occasione sono statitestati rivelatori 3D candidati per essere montati nell’Insertable B-Layer (IBL)di ATLAS. I rivelatori sono a tecnologia ibrida, ovvero costituiti da sensore edelettronica prodotti come entità indipendenti e poi accoppiati. L’elettronica dilettura utilizzata è il chip FE-I3, che nell’esperimento ATLAS è quello per ilrivelatore di tracciamento a pixel.

4.1 L’apparato sperimentaleIl comportamento di alcune tipologie di rivelatori 3D è stato studiato utilizzandoil fascio di pioni carichi della linea H8 dell’SPS nella Nord Area di Prevessin(CERN) tra il 25 maggio e il 2 giugno 2009. I rivelatori erano montati all’internodi un dipolo magnetico e tra gli scopi principali del test vi era lo studio dell’effettodel campo magnetico sui rivelatori, mai testato in precedenza.L’apparato sperimentale era così costituito:

• dipolo magnetico (Magnete Morpurgo), con campo B = 1.35 T.

• 4 rivelatori a pixel (Device Under Test - DUT): 1 planare, 1 Stanford acolonna passante, 2 FBK DDTC con diversa sovrapposizione tra gli elet-trodi. In tabella 4.1 sono riportate le identità assegnate ai rivelatori neltest-beam e la tensione di svuotamento (bias).

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Il test-beam

n Nome Tipologia Identità Bias (V)1 Planar planare 160 -1502 STA-3E 3D colonna passante 164 -353 FBK-3E7 3D-DTC-2B 168 -84 FBK-3EM5 3D-DTC-2 172 -35

Tabella 4.1: DUT (Device under test) presenti nel test beam.

• telescopio (Bonn ATLAS Telescope - BAT) per la misura delle tracce,costituito da tre piani di rivelatori a micro-strip.

• sistema di trigger: 2 scintillatori e rispettivi discriminatori, 1 veto e rispet-tivo discriminatore, 1 unità di coincidenza e 1 trigger logic unit (TLU).

• sistema di acquisizione: 1 ECL-Nim-ECL, 4 TPCC, 1 TDC, 1 VME Crate,1 DAQ PC.

• cooling box.

In figura 4.1 viene illustrato lo schema dell’apparato sperimentale. Il telescopioed i DUT erano all’interno del magnete e inoltre i DUT erano messi all’internodi una cooling box.Il fascio di pioni carichi aveva energia 180 GeV. I pioni sono particelle pesantiche permettono di trascurare la deviazione dalla direzione incidente dovuta alladiffusione multipla nello spessore di silicio e in aria. In assenza di campo magne-tico è possibile considerare la direzione di propagazione dei pioni rettilinea.Il fascio attraversando l’apparato sperimentale incontrava lungo il tragitto: i duescintillatori, il primo piano del telescopio, i DUT nell’ordine indicato in tabella4.1, il secondo ed il terzo piano del telescopio ed il veto. Il veto è uno scintillatorecon un foro circolare nel centro (figura 4.2). Mettendo in coincidenza tra loro isegnali provenienti dagli scintillatori e in anticoincidenza il segnale del veto erapossibile selezionare le particelle del fascio. Se la particella interagiva con i duescintillatori e non interagiva col veto (cioè è passata nel suo buco) allora un’unitàdi coincidenza inviava un segnale ad una unità logica di trigger e l’evento venivaselezionato.L’acquisizione dei dati era affidata ad un sistema detto Turbo DAQ [11], cheacquisiva da ciascun piano del telescopio e da ciascun DUT i dati presenti all’i-stante del segnale di trigger.L’uso di due scintillatori in coincidenza elimina il problema di selezionare raggicosmici e l’aggiunta del veto garantisce che le particelle per cui si genera il segna-le abbiano una traiettoria rettilinea. Poichè l’accensione del magnete determina

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una curvatura nella traiettoria del fascio dovuta alla forza di Lorentz, era neces-sario riallineare il veto perchè il fascio altrimenti non sarebbe più stato centratonel suo foro.

Figura 4.1: Apparato sperimentale utilizzato per il test su fascio.

Figura 4.2: Veto e apparato sperimentale all’interno del magnete.

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4.1.1 Il telescopioI rivelatori del telescopio (BAT) [10] fornivano la posizione della particella incorrispondenza dei piani, rendendo possibile la ricostruzione della sua traiettoriacon una risoluzione di 5.5 µm. Utilizzando il telescopio è stato possibile effettuaremisure di efficienza e risoluzione spaziale di un DUT, estrapolando la traccia sulpiano del rivelatore.I piani del BAT sono tre. Ciascun piano è formato da un rivelatore a micro-stripdi silicio, di passo 50 µm, segmentato su entrambe le facce, e dalla relativaelettronica di front-end. Il rivelatore ha un’area di 3.2× 3.2 cm2 per un totale di640 strip su ciascuna faccia. Le strip sulle due facce formano un angolo di π/2.L’elettronica di front-end è costituita da un circuito integrato di 128 canali, dotatidi preamplificatori di carica, shaper e strutture circuitali per la lettura analogicaseriale e per operazioni di calibrazione. Per ciascun rivelatore sono necessarie 10schede di lettura. Ciascun modulo acquisisce, digitalizza e processa gli eventi inmodo autonomo e ha un proprio alimentatore.Quando il segnale dell’unità di coincidenza arrivava alla TLU, un segnale di triggerera inviato ai piani del telescopio. Gli eventi venivano immagazzinati in unamemoria interna e quando ne era stato accumulato un certo numero, il modulosegnalava al sistema di acquisizione di leggere l’intero contenuto della memoria,azzerandola successivamente.

4.2 I DUTI rivelatori esaminati in questa tesi sono rivelatori a pixel a tecnologia ibrida.È chiamato a tecnologia ibrida un rivelatore costituito da sensore ed elettronicacostruiti come entità indipendenti e successivamente uniti. In questa tecnologia ilsensore è la parte del rivelatore in cui ha luogo l’interazione con la radiazione. Lìsi genera il segnale che verrà elaborato successivamente dall’elettronica in modoche possa essere acquisito. La tecnologia ibrida presenta i seguenti vantaggi:

• essendo il sensore ed il chip separati, materiali diversi dal silicio possonoessere usati per il sensore;

• permette di controllare i componenti durante l’assemblaggio attraversopassaggi intermedi;

• il chip, il sensore e le tecnologie di interconnessione tra i due sono ingenerale processati a livello industriale, o possono essere industrializzati.

La tecnologia utilizzata per unire il sensore all’elettronica è il bump-bonding(figura 4.3). Questa tecnica permette di creare un’alta densità di connessioni(∼ 5000 cm−2) e consiste nei seguenti passaggi:

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Figura 4.3: Tecnologia ibrida creata mediante bump-bonding.

• deposito di gocce di metallo nella connessione di input (output) dell’elet-tronica (sensore);

• l’accoppiamento del sensore con l’elettronica in modo che ciascun canaledi elettronica corrisponda al corrispettivo pixel del sensore.

L’accoppiamento dei pixel del sensore con il corrispettivo canale di elettronicarende necessario che la geometria dei due dispositivi sia la stessa. I rivelatoriibridi analizzati in questa tesi sono quattro, come riassunto in tabella 4.1. Si notiche tutti i rivelatori 3D testati hanno tre elettrodi collegati per pixel. I quattroDUT differiscono per il tipo di sensore ma utilizzano tutti la stessa elettronica:il chip FE-I3.

4.2.1 Il chip FE-I3L’elettronica di lettura (readout) è un elemento fondamentale del rivelatore. Essainfluisce in modo cruciale sulle prestazioni, tanto quanto il sensore.La filosofia del readout, i circuiti analogici, i diversi blocchi costruttivi e le lorocaratteristiche sono comuni alla maggior parte dei disegni costruttivi dei chip.Il chip FE-I3 segue quindi le linee generali di progettazione per questo tipo dielettronica. Il chip può essere diviso in due parti:

• area attiva: contiene una matrice di celle unitarie per pixel (PUC). Ciascunadi queste serve un pixel del sensore attraverso connessioni bump-bond;

• periferia del chip: vi sono collocate le funzioni comuni ai vari pixel e visono memorizzati i dati.

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Figura 4.4: Periferia e area attiva del chip.

Nella periferia sono presenti i controlli responsabili delle comunicazione del chipcol mondo esterno. Sempre nella periferia è importante segnalare la presenza diun generatore di impulsi analogico per testare il chip attraverso l’iniezione di unacarica conosciuta.L’area attiva ed il sensore hanno la stessa dimensione, così che sia garantito ilcorretto accoppiamento per bump-bonding. Il chip FE-I3 è costituito da 2880PUC disposte in 18 colonne e 160 righe. Le colonne sono raggruppate in coppieche condividono un unico bus di segnale. Ciascuna PUC ha dimensioni 50× 400µm2 e l’area attiva è quindi pari a 7.2× 10.8 mm2.La PUC è costituita da una parte analogica ed una digitale.La PUC che ha effettuato una lettura, ovvero ha raccolto un segnale provenientedal sensore attraverso il bump-bond, abilita un flag. Un’unità di controllo logico(Column Control Logic), comune a tutti i pixel della doppia colonna, acquisisce idati delle PUC con flag attivata, in base all’ordine temporale con cui sono stateattivate, e li salva nel registro chiamato End-of-Column (EoC). Acquisiti i datidalla PUC, essa viene azzerata.I dati rimangono nel registro EoC per un periodo di latenza regolabile, una voltatrascorso il quale, viene confrontato l’istante in cui è avvenuto il rilevamento con

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il tempo a cui lo si sarebbe aspettato (sotto forma di trigger lv1). Se il confrontoè favorevole, il dato viene trasferito in un registro seriale dal quale infine vieneacquisito.Il chip utilizza nelle operazioni elencate 3 differenti segnali esterni:

• clock a 40 MHz;

• trigger lv1;

• sincronizzazione per svuotare i registri interni.

Il consumo per canale deve minimizzare il calore dissipato nell’area attiva e nelcaso del chip FE-I3 vale 40 µW.

4.2.2 La parte analogica della PUCLa parte analogica amplifica il segnale di carica proveniente dal sensore, deter-mina l’istante in cui è avvenuto il rilevamento e misura il valore dell’ampiezzadel segnale. Per questi motivi essa è particolarmente influente per le prestazionidel rivelatore. Essendo la parte analogica l’elemento più importante della PUC,si riportano gli elementi costituenti ed il suo funzionamento.La carica depositata nel sensore entra nel circuito attraverso la connessione bump-bond. Un amplificatore invertente con una capacità di feedback (Cf ' 6.5 fF)trasforma la carica in input in un voltaggio. La scelta del valore della capacità difeedback è un compromesso tra: guadagno di carica, impedenza in input, velo-cità, stabilità e uniformità dei canali (matching). La salita del segnale in outputdal preamplificatore, per un segnale istantaneo di carica, dipende dal guadagno(gain) prodotto rispetto all’ampiezza della banda degli input. Un circuito di feed-back è necessario per definire l’operatività del preamplificatore. La capacità difeedback è scaricata da una corrente costante in modo da ottenere un impulsotriangolare, detto a dente di sega, con una lunghezza proporzionale alla carica diinput (figura 4.6).Segnali di output dall’amplificatore di carica entrano in ingresso in un compa-ratore. Il comparatore confronta la tensione in ingresso con un valore di soglia.Il tempo di risposta del discriminatore è una caratteristica importante nelle ap-plicazioni in cui il tempo di arrivo del segnale deve essere determinato con altaprecisione (es. LHC).Un’ulteriore componente della parte analogica è un circuito di compensazione.Esso serve per eliminare tutta o una parte della corrente di leakage. La correntedi leakage è la corrente che fluisce nel sensore in assenza di particelle ionizzanti.Il circuito di compensazione sottrae un valore fisso di corrente, determinato mi-surando la corrente di leakage.

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Figura 4.5: Parte analogica del PUC.

Per verificare il funzionamento dei singoli canali, sono inserite nella parte inizialedella catena elettronica delle capacità ben definite. Iniettando una carica nota sicontrolla la risposta del circuito.Per ottenere una risposta uniforme da ciascuna PUC occorre che corrente difeedback e tensione di soglia siano impostate correttamente. Variazioni casualinell’area attiva rendono necessario inserire regolazioni fini in ogni canale: i trim.Esse agiscono in modo fine su valori globali.I valori globali a loro volta devono essere impostati in modo corretto. La correntedi feedback deve evitare saturazione del preamplificatore e contemporaneamentenon essere veloce: il condensatore inizierebbe a svuotarsi prima che sia stato cari-cato completamente. La tensione di soglia deve essere molto maggiore del noisedel preamplificatore e contemporaneamente molto minore dei valori dei segnalirilevabili. Per i rivelatori in esame la soglia è impostata ad un valore di 3200e− per un noise di ∼ 200 e− e una carica di 20 ke− prodotta da una mip nelrivelatore.Conseguenza dell’elettronica descritta è la proporzionalità tra la lunghezza delsegnale in uscita dal discriminatore e la carica generata da particelle ionizzantinel sensore. Questo segnale è chiamato Time-over-Threshold (ToT), essendo iltempo per il quale il segnale permane al di sopra della soglia del discriminato-re, ed è misurato in unità di clock del bunch-crossing (25 ns). Siccome il ToTdipende dalla forma del segnale a dente di sega, è possibile calibrarlo per unopportuno segnale di carica. Scegliendo valori opportuni di corrente di feedbacksi influisce sulla rampa di discesa, mentre i valori della soglia del discriminatoreinfluiscono sul valore minimo di segnale rivelabile. La rampa di salita del segnale,

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Figura 4.6: Segnale di output del preamplificatore (in alto) e del disrciminatore(in basso).

che dipende dalla rapidità del preamplificatore, non è un parametro regolabile.Per i rivelatori in esame l’elettronica è stata calibrata in modo che 60 ToT cor-rispondano ai 20 ke− prodotti da una mip nel sensore.Per il tempo di durata del segnale la PUC rimane inattiva: questo intervallo èdetto tempo morto. Esso definisce il maximum hit rate, ovvero il numero mas-simo di hit processabili per unità di tempo. Al LHC, nonostante si abbia un’altafluenza di particelle, la probabilità di avere un’interazione in un pixel per bunch-crossing è di 10−4. La bassa probabilità rende accettabile il valore scelto di 60ToT.

4.2.3 I sensori 3D-DTC-2 e 3D-DTC-2BI rivelatori considerati nell’analisi presentata in questa tesi sono i sensori 3D-DDTC prodotti alla FBK-irst di Trento. I due sensori appartengono a partitedi produzione differenti. Nella prima (luglio 2008) è stato costruito il 3D-DTC-2 e nella seconda (aprile 2009) il 3D-DTC-2B [9]. I due sensori differisconoper lo spessore di sovrapposizione delle colonne. In tabella 4.2 sono riportate lecaratteristiche costruttive. Essendo le colonne incise tramite corrosione del silicio,non se ne conosce l’esatta profondità. Entrambi i sensori hanno tre elettrodi perpixel.

4.3 La presa datiIl sistema di acquisizione utilizzato per la presa dati è stato il sistema TurboDAQ,sviluppato dalla collaborazione ATLAS specificatamente per i test.Sono stati acquisiti ∼ 700 run, in quattro diverse configurazioni, ciascuno dicirca 10000 trigger per avere una buona statistica di traiettorie ricostruibili. Il

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Parametri 3D-DTC-2 3D-DTC-2BSpessore del substrato µm 220 200

Spessore della colonna di giunzione (n+) µm 110− 120 140− 170Spessore della colonna ohmica (p+) µm 200− 210 180− 190

Sovrapposizione delle colonne µm 100− 110 110− 150Concentrazione del drogaggio nel substrato cm−3 1× 1012 7 × 1011

Tensione di svuotamento totale (Vdepl) V 12 3− 4Corrente di leakage per Vdepl pA/colonna < 1 < 1

Tensione di break down V > 70 > 70

Tabella 4.2: Principali caratteristiche costruttive.

tempo di acquisizione di un run era variabile, dipendendo dall’intensità del fa-scio, ed aveva un valore minimo dovuto dal maximum hit rate dell’elettronica diacquisizione, stimato sui 60 Hz. Essendo la durata dell’erogazione di protoni dalSPS di circa 10 s (corrispondenti a ∼ 500 trigger acquisiti) e il ciclo utile di 42s, il tempo di acquisizione di un run era di circa 15 minuti.Di tutti gli eventi triggerati, solo quelli in cui la particella interagiva con tuttie tre i piani del telescopio sono stati utilizzati. Per gli eventi selezionati venivaricostruita la traiettoria della particella con un fit per i tre punti dei piani deltelescopio.L’acquisizione era costantemente monitorata attaraverso il Data Quality Monitor(DQM) on-line, in particolare per tenere sotto controllo la perdita di sincroniz-zazione tra i piani del telescopio e i DUT. A questo fine veniva controlata lacorrelazione tra due dei 7 possibili dispositivi, 3 piani del telescopio e 4 rivelatori.La corretta sincronizzazione tra i due dispostivi A e B si osservava con il plot inreal-time di figura 4.7. Nella figura di sinistra sull’asse delle ascisse è riportata lacoordinata x dell’hit nel rivelatore A e nell’asse delle ordinate la coordinata x incui si è rivelato l’hit nel rivelatore B. Nella figura di destra invece sugli assi sonoriportate le coordinate y. La correlazione, e quindi la sincronizzazione tra i duepiani, era visualizzata da una retta.La presa dati è avvenuta con quattro diverse configurazioni, in cui è stato variatol’angolo di inclinazione dei rivelatori rispetto al fascio e attivato o meno il campomagnetico. Le differenti configurazioni sono riportate in tabella 4.3. L’inclina-zione dei rivelatori rispetto al fascio lungo il lato corto del pixel (figura 4.8) èstata scelta per simulare la condizione nella quale saranno montati i dispositivisul Insertable B-layer (IBL).

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Figura 4.7: Grafici per il controllo della correlazione.

Campo magnetico AngoloOFF 0ON 0ON π/12OFF π/12

Tabella 4.3: Differenti configurazioni di presa dati.

Figura 4.8: Inclinazione dei DUT rispetto al fascio.

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CAPITOLO 5

Analisi dei dati

I rivelatori analizzati in questa tesi sono quelli che montano i sensori 3D-DTC-2e 3D-DTC-2B. (Benchè i rivelatori siano a tecnologia ibrida, in questo capitoloi termini sensore e rivelatore verranno utilizzati come sinonimo). Obiettivo del-l’analisi è lo studio delle prestazioni dei rivelatori nelle diverse configurazioni, pervalutare in particolare l’effetto del campo magnetico e dell’inclinazione rispettoal fascio. L’analisi ha riguardato in particolare: il Time-over-Threshold, ovverolo studio della carica raccolta nel pixel; il charge sharing, cioè la suddivisione dicarica tra i pixel; i residui; l’efficienza. Nell’analisi non è stata considerata laregione di bordo dei sensori, priva comunque per i sensori in esame dell’impiantodetto bordo attivo. Rispetto alla matrice completa di 160 righe × 18 colonne, èstata studiata la regione tra le righe 2− 152 e le colonne 2− 16, tutte con pixelstandard di 50× 400 µm2

I dati raccolti dal sistema di acquisizione sono stati dapprima processati col pro-gramma di ricostruzione e sottoposti alle procedure di allineamento, ottenendofile .root per ciascun run, contenenti le tracce ricostruite. A partire dai file .rootè stata poi effettuata l’analisi presentata in questo capitolo.

5.1 Il programma di analisiL’analisi dati è stata svolta con un codice object-oriented implementato in ROOT.Il programma prende in input l’intervallo di run che si desidera analizzare e at-traverso una serie di loop con appropriate subroutine viene effettuata l’analisi.Ciascuna subroutine rappresenta un aspetto del sensore che si desidera indagare

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Analisi dei dati

Figura 5.1: File .root ottenuto dal programma di ricostruzione.

ed estende da una classe madre. In questo modo in ciascuna subroutine si ha unastruttura comune che viene specializzata in base alle esigenze. Questo permettela creazione di un array di subroutine che può essere iterato sui dati.I file utilizzati nell’analisi sono in formato .root, uno per ciascun run, e contengo-no le tracce ricostruite. In figura 5.1 è riportato l’albero che mostra la strutturadel file e in tabella 5.1 sono elencate le principali variabili utilizzate nell’analisi.A ciascun oggetto Track è associato il numero di trigger (trig) e il χ2 (ct).nPllHit è il vettore che contiene tutti i dati dei pixel (pllHit) che hanno ef-fettuato una lettura all’istante di trigger. La variabile pllHit.iden rappresental’identità del rivelatore a cui il pixel appartiene, la variabile pllHit.tot è ilToT registrato dal pixel, pllHit.col e pllHit.row sono le coordinate del pixelnella matrice. L’array nTrackParams contiene i valori dei punti di intersezionedella traccia con i DUT (trackParams). trackPrams.params[5] è un arraycontenente:

x, y, dxdz,dy

dz,Q

dove le variabili x e y sono le coordinate di intersezione delle tracce col pianodel DUT, dx/dz e dy/dz definiscono l’inclinazione delle tracce rispetto all’assedi propagazione del fascio e Q raggio di curvatura.

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trig numero di trigger associato alla tracciaiden numero di identificazione associato al DUTct χ2 associato alla traccia

nPllHit array contenente i pixel del DUT illuminati al momento del hitnTrackParams array delle coordinate del punto di intersezione traccia-DUT

pllHit oggetto contenente le informazioni sul pixel colpito (ToT, col, row...)trackParams oggetto contenente le coordinate del punto di intersezione traccia-DUT

Tabella 5.1: Principali variabili del file .root .

5.2 I run

La presa dati è suddivisa in run di circa 10000 trigger ciascuno, ma solo i triggerassociati a particelle che hanno interagito con tutti i piani del telescopio sonoutilizzati per la ricostruzione della traccia. Inoltre, di tutte le tracce ricostruite,solo quelle che passano attraverso l’area dei DUT sono utilizzabili per l’analisidati.È importante definire l’accettanza per verificare il numero di tracce effettivamenteutilizzabili. Essa è definita come:

Acceptance = Tracks− inside− the− sensor − areaReconstructed− tracks

(5.1)

In tabella 5.2 e 5.3 sono riportati i run associati alle diverse configurazioni di presadati e le accettanze dei rivelatori. Come esempio, per la sola configurazione B=offA=0, in figura 5.2 sono mostrate le coordinate, estrapolate al piano del DTUT3D-DTC-2, delle tracce ricostruite coi piani del telescopio, che permettono diindividuare la posizione del rilevatore rispetto al fascio e di valutarne l’accettanza.

3D-DTC-2Configuration Run range Acceptance TracksB=off ; A=0 600÷ 802 19.3% ∼ 4.30× 105

B=off ; A=15 1241÷ 1306 38.5% ∼ 1.99× 105

B=on ; A=0 803÷ 997 33.2% ∼ 3.28× 105

B=on ; A=15 1000÷ 1203 39.8% ∼ 5.41× 105

Tabella 5.2: Intervalli di run associati alle diverse configurazioni di presa dati eaccettanze del rivelatore 3D-DTC-2.

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Analisi dei dati

3D-DTC-2BConfiguration Run range Acceptance TracksB=off ; A=0 600÷ 802 19.4% ∼ 3.25× 105

B=off ; A=15 1241÷ 1306 31.3% ∼ 1.82× 105

B=on ; A=0 803÷ 997 35.2% ∼ 3.48× 105

B=on ; A=15 1000÷ 1203 41.0% ∼ 5.57 × 105

Tabella 5.3: Intervalli di run associati alle diverse configurazioni di presa dati eaccettanze del rivelatore 3D-DTC-2B.

X (micron)-6000 -4000 -2000 0 2000 4000 6000 8000

Y (

mic

ron

)

-5000

0

5000

10000

15000

20000

beamPosition2D

Figura 5.2: Posizione del fascio rispetto al rivelatore 3D-DTC-2, per alcuni rundella configurazione B=off A=0.

5.3 Time-over-ThresholdIl Time-over-Threshold (ToT) costituisce la quantità fondamentale ottenuta dal-l’elettronica di acquisizione ed il suo valore è dato in unità di 25 ns, che è l’inter-vallo di bunch-crossing del LHC. Il ToT fornisce una misura della carica prodottadalla particella ionizzante nel sensore. La sua dipendenza dalla carica è un aspet-to importante da conoscere se si vuole indagare la ionizzazione prodotta dallaparticella nel sensore. Per ottenere il valore di carica raccolto nel sensore occorrepartire dal valore di calibrazione dell’elettronica, che si ricorda essere 60 ToT peruna mip che produce 20 ke−. Questo non è sufficiente a consentire l’accurataconversione del segnale da ToT in carica. A questo fine è stata eseguita pertutti i pixel una completa procedura di calibrazione inettando nell’elettronica unacarica nota e misurando il ToT corrispondente. La dipendenza può considerarsicon buona approssimazione lineare nell’intervallo di valori di ToT di interesse.

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versione 7

3D-DTC-2 3D-DTC-2BSpessore (µm) 220 200

Valore atteso (ToT) 47 43

Tabella 5.4: ToT attesi per la configurazione B=off A=0.

Una particella quando interagisce col sensore produce della carica che può esse-re raccolta su più pixel. Per conoscere la totalità della carica prodotta occorresommare il valore del ToT di tutti i pixel coinvolti nella raccolta (illuminati):sumTot. Nella figura 5.3 è mostrata, per le quattro configurazioni di presa dati,la distribuzione di sumTot per il rivelatore 3D-DDTC-2, mentre nella figura 5.4sono riportati gli istogrammi relativi al sensore 3D-DTC-2B. Alle distribuzioni èsovrapposto, sul 90% dell’area partendo da destra, un fit a una distribuzione diLandau. Per confronto in tabella 5.4 sono riportati i valori di aspettazione diToT calcolati tramite la proporzione:

d

180 = ToTexp60

dove d è lo spessore del sensore, 180 lo spessore in micron del DUT planare, 60il ToT di calibrazione e ToTexp il valore di aspettazione, è calcolato rispetto alsensore planare in quanto è il riferimento.Considerando inizialmente la configurazione B=off A=0, si può osservare che ilvalore più probabile di ToT misurato per il rivelatore 3D-DTC-2, MPV=46.7,è ben compatibile con quello atteso mentre il valore misurato per il rivelatore3D-DTC-2B, MPV=35.5, risulta molto più basso, sia rispetto a quello atteso siarispetto al 3D-DTC-2. In parte, come indicato dai valori attesi, il minor MPV èdovuto al minor spessore del sensore ma la differenza di più di 10 ToT non puòessere imputata solo a questa causa. Bisogna invece ricordare che al sensore 3D-DTC-2B era applicata una tensione di bias di soli -8 V perchè, per ragioni ancorasotto indagine, la sua tensione di break-down dopo il bump-bonding si è ridotta acirca -10 V. Questi valori vanno confrontati con quelli del 3D-DTC-2, alimentatoa -35 V avendo una tensione di break-down oltre i -70 V. -8 V è un valoresufficiente a svuotare completamente il sensore 3D-DTC-2B ma evidentementenon permette una raccolta completa della carica.Considerando ora le diverse configurazioni di run per il rivelatore 3D-DTC-2, sipuò osservare che l’inclinazione del sensore rispetto al fascio fa diminuire il va-lore di MPV mentre l’attivazione del campo magnetico lo incrementa. Ciò èprincipalmente in relazione al diverso percorso all’interno del sensore della parti-cella interagente. La configurazione B=on A=π/12 determina un valore di MPVmolto prossimo a quello del caso B=off A=0, ad indicare che un’opportuna incli-nazione del sensore è in grado di compensare la riduzione della raccolta di carica

53

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Analisi dei dati

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

Fit paramsConstant 1.49e+04MPV 4.41e+01Sigma 3.75e+00

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

sumTot Fit paramsConstant 1.40e+04MPV 4.67e+01Sigma 4.60e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

sumTot Fit paramsConstant 4.52e+04MPV 4.81e+01Sigma 4.83e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

4500

sumTot Fit paramsConstant 2.46e+04MPV 4.51e+01Sigma 5.36e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

sumTot Fit paramsConstant 6.51e+04MPV 4.66e+01Sigma 5.13e+00

sumTot

Figura 5.3: Distribuzioni del ToT per il rivelatore 3D-DTC-2, per le configurazio-ni: B=off A=0 (in alto a sinistra); B=on A=0 (in alto a destra); B=off A=π/12(in basso a sinistra); B=on A=π/12 (in basso a destra).

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

Fit paramsConstant 3.67e+04MPV 3.34e+01Sigma 3.17e+00

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

sumTot Fit paramsConstant 3.68e+04MPV 3.55e+01Sigma 3.89e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

20000

sumTot Fit paramsConstant 1.13e+05MPV 3.54e+01Sigma 3.81e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

9000

Fit paramsConstant 4.82e+04MPV 2.38e+01Sigma 3.40e+00

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

sumTot Fit paramsConstant 6.17e+04MPV 3.37e+01Sigma 3.96e+00

sumTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

20000

22000

hitTot

*25ns0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

entr

y

0

5000

10000

15000

20000

25000

30000

35000

sumTot Fit paramsConstant 1.91e+05MPV 3.39e+01Sigma 3.92e+00

sumTot

Figura 5.4: Distribuzioni del ToT per il rivelatore 3D-DTC-2B, per le configu-razioni: B=off A=0 (in alto a sinistra); B=on A=0 (in alto a destra); B=offA=π/12 (in basso a sinistra); B=on A=π/12 (in basso a destra).

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versione 7

dovuta alla presenza del campo magnetico.Per il sensore 3D-DTC-2B si può osservare che tutte le configurazioni di rundeterminano una riduzione del valore di MPV rispetto al caso B=off A=0 maquanto detto sopra impedisce di trarre ulteriori considerazioni.

5.4 Charge sharingIl charge sharing è la suddivisione della carica prodotta dalla particella ionizzantetra più pixel. Può essere dovuto al passaggio della particella all’interno di piùpixel oppure alla modifica del drift della carica ionizzata a causa dell’angolo diLorentz prodotto da un campo magnetico.Gli effetti di charge sharing per una particella che incide con una direzione nor-male al pixel sono dovuti al suo passaggio sul bordo del pixel, poichè, essendo ilbordo una regione di confine, esso risente del campo elettrico generato dai pixeladiacenti. Questo ha come effetto la raccolta della carica su più pixel.Per una particella che incide non perpendicolarmente alla superfice del DUT, ilcharge sharing è dovuto al passaggio della stessa attraverso più pixel. Nel per-corso all’interno del sensore non solo viene attraversato uno spessore maggiore disubstrato rispetto ad una particella normale alla superficie, ma l’attraversamentodiagonale dello spessore implica che la traccia non sia contenuta interamente inun pixel.Mettere un sensore all’interno di un campo magnetico implica che la carica pro-dotta per ionizzazione dalla particella sia soggetta ad una forza di Lorentz cheinfluisce sul suo percorso. Questo può modificare la raccolta di carica in un pixel,favorendo il passaggio di una frazione sostanziale di carica nei pixel adiacenti.Il charge sharing ha come conseguenza che il passaggio di una particella all’in-terno del sensore genera un segnale di ToT in più pixel (cluster). Questo è uneffetto di cui si deve tenere conto soprattutto nei rivelatori di posizione, infattiin presenza di charge sharing non è possibile associare ad una traccia un unicopixel.L’istogramma che mostra i cluster di pixel illuminati, intitolato Cluster with firedpixel, è ottenuto contando per ogni hit nel DUT quanti pixel hanno un ToT di-verso da zero. L’istogramma bidimensionale di charge sharing mappato sul pixel,intitolato Charge sharing pixel map, mostra invece la frazione sul totale di caricaionizzata dalla particella che è raccolta all’esterno del pixel alla cui superficie hainteragito la particella, in funzione del punto di impatto sul pixel. A tale scoposi è utilizzata la seguente formula:

QShare = sumToT − hitToTsumToT

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Analisi dei dati

dove sumToT è la somma di tutti i ToT del cluster di pixel associati al hit ehitToT è il ToT corrispondente al pixel di impatto della particella.In figura 5.5 sono riportati gli istogrammi di cluster del sensore 3D-DTC-2 nellediverse configurazioni, mentre in figura 5.7 sono mostrati quelli del sensore 3D-DTC-2B.Il rivelatore 3D-DTC-2 nella configurazione B=off A=0 ha una prevalenza dicluster costituiti da un solo pixel, prevalenza che si mantiene anche dopo l’ac-censione del campo magnetico. Questo significa che i pixel hanno una raccoltadi carica che rende pressochè ininfluente l’effetto della forza di Lorentz dovutaal campo magnetico sulle cariche ionizzate. Ruotando il sensore, a campo ma-gnetico spento, si osserva che il cluster dominante è quello costituito da duepixel. Le particelle, infatti, non incidendo perpendicolarmente alla superficie delDUT hanno traiettorie che non sono contenute tutte all’interno di un singolopixel ma prevalentamentente in due. Anche nella configurazione B=on A=π/12è possibile osservare la prevalenza di cluster di due pixel, ad ulteriore confermadella non influenza del campo magnetico sul charge sharing.Il rivelatore 3D-DTC-2B si comporta in modo analogo al 3D-DTC-2, ma la mino-re alimentazione di bias implica una raccolta di carica meno efficace. È possibileinfatti notare una minore prevalenza dei cluster a due pixel quando il sensore èruotato.I cluster con tre o quattro pixel sono in generale relativi a quelle tracce che inci-dono sui verici dei rivelatori.In figura 5.6 sono riportati gli istogrammi di charge sharing mappato sul pixelper il sensore 3D-DTC-2 nelle diverse configurazioni, mentre in figura 5.8 sonomostrati quelli per il sensore 3D-DTC-2B.Il rivelatore 3D-DTC-2 nella configurazione B=off A=0 presenta una regione abasso valore di charge sharing ampia e le aree di maggiore charge sharing si os-servano solo in corrispondenza dei bordi. Un eccezione si ha sul margine sinistroe ciò è dovuto fatto che nel bordo sinistro non sono presenti gli elettrodi ohmi-ci che favoriscono il charge sharing. In presenza di campo magnetico il monorcharge sharing si presenta invece sul bordo destro, effetto causato dall’angolo diLorentz a cui sono soggette le particelle. La rotazione del sensore, sia a campomagnetico acceso che spento,detrmina una diminuzione dell’area centrale a bas-so charge sharing. Le particelle, infatti, non incidendo perpendicolarmente allasuperficie del DUT hanno traiettorie che non sono contenute tutte all’interno diun singolo pixel.Il sensore 3D-DTC-2B mostra lo stesso comportamento del sensore 3D-DTC-2.

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versione 7

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

Figura 5.5: Cluster di pixel illuminati per il sensore 3D-DTC-2, per le configu-razioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra), B=offA=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12.

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

0.18

0.2

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

0.5

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

Figura 5.6: Charge sharing mappato sul pixel per il sensore 3D-DTC-2, per leconfigurazioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra),B=off A=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12.

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Analisi dei dati

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

cluster0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

entr

y

1

10

210

310

410

510

Cluster with fired pixels.Cluster with fired pixels.

Figura 5.7: Cluster di pixel illuminati per il sensore 3D-DTC-2B, per le confi-gurazioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra), B=offA=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12.

0.02

0.04

0.06

0.08

0.1

0.12

0.14

0.16

0.18

0.2

0.22

0.24

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

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Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

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micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

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0

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Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

0.05

0.1

0.15

0.2

0.25

0.3

0.35

0.4

0.45

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

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15

20

25

30

35

40

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50

Charge sharing pixel map.Charge sharing pixel map.

Figura 5.8: Charge sharing mappato sul pixel per il sensore 3D-DTC-2B, per leconfigurazioni: B=off A=0 (in alto a sinistra), B=on A=0 (in alto a destra),B=off A=π/12 (in basso a sinistra), B=on A=π/12.

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versione 7

5.5 ResiduiLa misura dei residui è un fattore chiave per la definizione della risoluzione spazia-le del rivelatore. La risoluzione spaziale dipende principalmente dalle dimensionidei pixel, che sono 400× 50 µm2, conseguenza della grande precisione richiestain ATLAS alla coordinata misurabile col lato corto. Se si volesse migliorare larisoluzione spaziale diminuendo le dimensioni del pixel si incontrebbe l’ostacolotecnologico legato alla possibilità di creare pixel ancora più piccoli, garantendoneal tempo stesso il corretto accoppiamento con l’elettronica. Per migliorare larisoluzione finale del rivelatore si usano soluzioni legate alla modalità di readout,all’algoritmo di ricostruzione del hit ed al charge sharing tra i pixel.Se l’elettronica associata al pixel fosse costituita solo da una parte digitale, im-postando la soglia di discriminazione per la rivelazione dell’evento ad un valoresufficientemente alto in modo che qualsiasi hit illumini al più un pixel, sarebbegarantito un errore associato alla posizione della particella pari p/

√12, dove p è

il passo di una dimensione del pixel. Abbassando il valore di soglia in modo cheanche i cluster con due particelle possano essere rivelati, si potrebbe migliorare larisoluzione, identificando lo spessore della regione vicino al bordo per cui avvienela lettura su due pixel (s). In questo modo l’errore associato ai cluster di duepixel si ridurrebbe a s/

√12 e quello associato ai cluster di un solo pixel sarebbe

(p− s)/√

12.Nel caso del chip FE-I3 la lettura avviene in modo analogico e poi digitale. Que-sta scelta permette di misurare in ciascun pixel del cluster il valore della caricadepositata, sotto forma di ToT, così da migliorare la risoluzione per i cluster conun numero di pixel maggiore di uno. Ad essi è possibile applicare algoritmi diricostruzione della posizione che individuano il baricentro del cluster utilizzandola posizione dei pixel pesata sulla carica rilasciata al suo interno. Questi algoritmigarantiscono un precisione molto elevata. Per i cluster con un solo pixel colpi-to, ai quali non è possibile applicare gli algoritmi, la risoluzione spaziale rimane(p− s)/

√12. Per questa ragione si prova ad espandere la regione in cui avviene

il charge sharing (s), inclinando il sensore e utilizzando campi magnetici.I residui mostrati in questa sezione sono ottenuti come la differenza tra il puntoin cui è passata la traccia ricostruita e il centro del pixel in cui si misurato ilToT massimo. Al momento non sono stati applicati algoritmi di ricostruzionedel baricentro del cluster, nè è stato considerato l’effetto del charge sharing.Le distribuzioni ottenute sono interpolate con una curva del seguente modo:

ysfitA = 0.5(1 + Erf(x− width− x0√2σ

)) (5.2)

ysfitB = 0.5(1 + Erf(x+ width− x0√2σ

)) (5.3)

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Analisi dei dati

ybox = 0.5(1 + αk(x− x0)AysfitA − ysfitB

width) (5.4)

dove A è l’area sotto la curva, width il passo di una dimensione del pixel, Erf(x)è la error function, σ è la deviazione standard della error function, il termine αkè il coefficiente angolare della retta che interpola la parte piatta e x0 è un coeffi-ciente associato alla retta. Il termine αk(x−x0) permette di interpolare il profilodella curva nella parte piana tenendo in cosiderazione la non uniformità del profilodel fascio.Questo fit da’ un buon risultato sia nella parte piatta che nei bordi, dove unprofilo gaussiano è necessario poichè i bordi risentono degli effetti dovuti allarisoluzione del telescopio.In figura 5.9 sono mostrati i residui in x e in y del rivelatore 3D-DTC-2 per tuttele configurazioni.Per il rivelatore 3D-DTC-2 i residui in x presentano una forma a ’box’ delle di-mensioni del pixel che si mantiene in tutte le configurazioni. I residui in y hannoinvece un profilo gaussiano più accentuato a causa del maggiore charge sharinglungo questa dimensione. La presenza del campo magnetico non influisce sul-la forma dell’istogramma ma solo sui valori centrali. La rotazione del sensore,in particolare per la coordinata y, accentua ulteriormente il profilo gaussiano, acausa del maggior charge sharing.In figura 5.10 sono mostrati i residui in x e in y del rivelatore 3D-DTC-2B pertutte le configurazioni e valgono le stesse considerazioni fatte per il rivelatore3D-DTC-2.Si noti inoltre che solo nei residui in x relativi alla configurazione B=off A=0si ha una forte pendenza della parte piana della curva. Questo è dovuto adun’erogazione di particelle da parte del SPS con un profilo del fascio particolar-mente non uniforme. Si riportano in figura 5.11 gli istogrammi in cui si mostranotutte le tracce ricostruite incidenti sul piano in cui è posto il rivelatore 3D-DTC-2. Nell’istogramma bidimensionale in alto a sinistra è possibile osservare la nonuniformità del fascio nella configurazione B=off A=0.

5.6 EfficienzaL’efficienza di un rivelatore (ε) è il rapporto tra il numero di particelle registratee il numero di particelle entrate nel volume del rivelatore:

ε = ]particelle− registrate]particelle− entrate− nel − volume

(5.5)

Essa è interpretabile come la probabilità che una particella venga rivelata dalrivelatore quando lo attraversa. L’efficienza dipende dalla probabilità che unaparticella:

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200

400

600

800

1000

1200

1400

Fit paramssigma 9.15e+00area 5.61e+05x0 -5.55e+00width 2.00e+02angCoeff -2.63e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

1800

2000

2200

Fit paramssigma 7.80e+00area 1.09e+05x0 1.55e-01width 2.50e+01angCoeff -7.71e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

Fit paramssigma 9.29e+00area 1.88e+06x0 3.30e+01width 2.00e+02angCoeff -1.09e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

Fit paramssigma 7.24e+00area 3.64e+05x0 -8.16e-01width 2.50e+01angCoeff -1.74e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

500

1000

1500

2000

2500

3000

Fit paramssigma 1.27e+01area 1.11e+06x0 -1.28e+00width 2.00e+02angCoeff -9.75e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

Fit paramssigma 1.26e+01area 2.14e+05x0 -1.34e+00width 2.50e+01angCoeff 1.67e-03

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

Fit paramssigma 1.12e+01area 3.00e+06x0 1.93e-01width 2.00e+02angCoeff -1.03e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

2000

4000

6000

8000

10000

Fit paramssigma 1.13e+01area 5.79e+05x0 -1.09e+00width 2.50e+01angCoeff -3.85e-03

Figura 5.9: Residui del sensore 3D-DTC-2 in ciascuna delle due dimensioni e perle quattro configurazioni. Nella colonna a sinistra sono riportati i residui in x, inquella a destra i residui in y. Dall’alto in basso le configurazioni: B=off A=0,B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12.

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Analisi dei dati

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

200

400

600

800

1000

1200

1400

1600

Fit paramssigma 7.58e+00area 6.01e+05x0 -1.00e+01width 2.00e+02angCoeff -1.11e-04

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

500

1000

1500

2000

2500

Fit paramssigma 7.30e+00area 1.18e+05x0 7.80e-02width 2.50e+01angCoeff -1.47e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

Fit paramssigma 8.94e+00area 1.82e+06x0 2.18e+01width 2.00e+02angCoeff -3.39e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

1000

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6000

7000

Fit paramssigma 7.01e+00area 3.57e+05x0 -2.59e-01width 2.50e+01angCoeff -1.44e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

500

1000

1500

2000

2500

Fit paramssigma 9.23e+00area 1.03e+06x0 -6.98e+00width 2.00e+02angCoeff -4.41e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

Fit paramssigma 9.23e+00area 2.00e+05x0 -7.20e-01width 2.50e+01angCoeff 2.07e-04

-400 -300 -200 -100 0 100 200 300 4000

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

8000

Fit paramssigma 8.18e+00area 3.15e+06x0 1.07e+01width 2.00e+02angCoeff -4.78e-05

-80 -60 -40 -20 0 20 40 60 800

2000

4000

6000

8000

10000

12000

Fit paramssigma 8.14e+00area 6.19e+05x0 -8.51e-01width 2.50e+01angCoeff -1.11e-03

Figura 5.10: Residui del sensore 3D-DTC-2B in ciascuna delle due dimensioni eper le quattro configurazioni. Nella colonna a sinistra sono riportati i residui inx, in quella a destra i residui in y. Dall’alto in basso le configurazioni: B=offA=0, B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12.

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versione 7

0

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micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

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-10000

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0

5000

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Track PositionTrack Position

0

200

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micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

ron

-20000

-15000

-10000

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0

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Track PositionTrack Position

0

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micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

ron

-20000

-15000

-10000

-5000

0

5000

10000

15000

20000

Track PositionTrack Position

0

200

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2200

micron-20000 -15000 -10000 -5000 0 5000 10000 15000 20000

mic

ron

-20000

-15000

-10000

-5000

0

5000

10000

15000

20000

Track PositionTrack Position

Figura 5.11: Posizione delle tracce ricostruite sul piano del rivelatore 3D-DTC-2per le diverse configurazioni. In sensro orario da in alto a sinistra: B=off A=0,B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12.

• incida sulla superficie del rivelatore penetrando nel volume sensibile;

• generi un segnale nel volume sensibile;

• abbia registrato il segnale generato.

Agendo sui parametri del rivelatore quali tensione di svuotamento del sensore,soglia del discriminatore, corrente di feedback e tempo morto dell’elettronica,l’effcienza può essere modificata.L’efficienza dei sensori è misurata come il rapporto tra le tracce a cui è associatoun cluster nel DUT e il numero totale di tracce ricostruite dal telescopio cheintersecano il un DUT:

ε = tracce− con− associato− un− clustertracce

(5.6)

Emerge che nella misura di ε è importante definire il criterio col quale si selezio-nano le tracce da utilizzare ed anche il criterio con cui è definito il cluster.L’ampiezza del cluster scelta per determinare se una particella è rivelata è unparametro che influisce sull’efficienza. Il fenomeno del charge sharing rende in-fatti possibile la raccolta della carica al di fuori del pixel in cui la particella èpassata. L’ampiezze del cluster nelle due dimensioni è fissata rispetto al centro

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Analisi dei dati

del pixel. In tabella 5.5 sono riportati i valori delle efficienze misurate al variaredel cluster di accettazione per il 3D-DTC-2 nella configurazione B=off A=0. Intabella 5.6 sono riportati i valori delle efficienze misurate al variare del cluster diaccettazione per il 3D-DTC-2B, sempre nella configurazione B=off A=0. Si puòosservare la dipendenza dell’efficienza dall’ampiezza del cluster.

3D-DTC-2Cluster

∆x ∆y ε(µm) (µm)±200 ±25 0.880±200 ±50 0.952±200 ±75 0.954±200 ±100 0.956±400 ±50 0.967±600 ±50 0.967

Tabella 5.5: Tabella delle efficenze al variare dell’ampiezza del cluster per laconfigurazione B=off A=0.

3D-DTC-2BCluster

∆x ∆y ε(µm) (µm)±200 ±25 0.893±200 ±50 0.950±200 ±75 0.955±200 ±100 0.956±400 ±50 0.974±600 ±50 0.974

Tabella 5.6: Tabella delle efficenze al variare dell’ampiezza del cluster per laconfigurazione B=off A=0.

Nelle figure 5.13 sono riportate le efficienze mappate sul pixel per quattro diffe-renti ampiezze di cluster. Esse si riferiscono al 3D-DTC-2 nella configurazioneB=off A=0 e sono qui elencate:

• (∆x = ±200 µm, ∆y = ±25 µm) in alto in figura 5.13. È possibileosservare che il pixel ha un’alta efficienza nella regione centrale ed unabassa efficienza in corrispondenza dei margini superiore, inferiore e destro;

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versione 7

• (∆x = 200 µm, ∆y = 50 µm) in basso in figura 5.13. L’area ad altaefficienza si estende ai margini superiore ed inferiore ed è possibile osservarela comparsa degli elettrodi ohmici sotto forma di due macchie gialle. Laregione a destra rimane ancora poco efficiente;

• (∆x = ±200 µm, ∆y = ±75 µm) in alto in figura 5.13. Ampliandoulteriormente l’ampiezza di cluster a 75 µm la situazione rimane invariata.Infatti il charge sharing in y avviene solo con la metà più vicina del pixelcontiguo;

• (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50 µm) in basso in figura 5.13. Ampliando ilcluster nella dimensione x, l’area vicino al margine destro diventa efficientecome il resto del pixel. Si osserva inoltre la comparsa degli elettrodi ohmiciin corrispondenza del vertice destro superiore ed inferiore.

Il cluster scelto per la misura finale dell’effcienza è quello con ampiezza (∆x =±400 µm, ∆y = ±50 µm).In figura 5.14 è mostrata l’efficienza mappata sul pixel per il sensore 3D-DTC-2Bnella configurazione B=off A=0 e per l’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm,∆y = ±50 µm). Si può osservare che in questo caso, oltre agli elettrodi ohmici,sono visibili i tre elettrodi di giunzione. Si ricorda che per questo dispositivola profondità degli elettrodi (140 − 170 µm) è maggiore rispetto al 3D-DTC-2(110 − 120 µm). In generale, le particelle che passano nelle colonne, ionizzanouna quantità di carica inferiore rendendo poco efficiente il sensore in quell’area.Minore è la profondità della colonna, minore è il percorso della particella al suointerno e maggiore è la probabilità che essa possa essere rilevata.Per la misura finale dell’efficienza è anche importante definie un criterio di qualitàper le tracce utilizzate. La selezione delle tracce è effettuata sul parametro χ2.Il valore massimo di χ2 oltre il quale le tracce vengono rigettate è fissato a20. In figura 5.12 è riportata la distribuzione del χ2 delle tracce ricostruite epassanti all’interno del DUT 3D-DTC-2, nelle diverse configurazioni; distribuzionianaloghe si ottengono per il 3D-DTC-2B.In tabella 5.7 sono riportate le efficienze per i due DUT nelle diverse configurazioniper la selezione di tracce e cluster discussi.Si osservi che la condizione aggiuntiva sulla qualità delle tracce permette di mi-gliorare ulteriormente i valori di efficienza rispetto a quelli indicati nelle tabelle5.5 e 5.6.Per entrambi i sensori la configurazione in cui si ha efficienza massima è quellacorrispondente a B=on A=π/12, ovvero la presenza di un campo magnetico,unita ad un’opportuna rotazione dei sensori, contribuisce a migliorare le presta-zioni del rivelatore.

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Analisi dei dati

Chi20 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

En

try

1

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Chi2.Chi2.

Chi20 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

En

try

1

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Chi2.Chi2.

Chi20 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

En

try

1

10

210

310

410

Chi2.Chi2.

Chi20 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200

En

try

1

10

210

310

410

510

Chi2.Chi2.

Figura 5.12: Distribuzione del χ2 della tracce ricostruite passanti all’interno DUT3D-DTC-2 per le diverse configurazioni. In senso orario partendo dell’alto asinistra: B=off A=0, B=on A=0, B=off A=π/12, B=on A=π/12 .

Configurazione 3D-DTC-2 3D-DTC-2BB A ε εoff 0 0.975 0.982on 0 0.977 0.984off π/12 0.976 0.979on π/12 0.990 0.993

Tabella 5.7: Tabella delle efficienze per le differenti configurazioni.

Il sensore 3D-DTC-2B ha efficienza migliore del 3D-DTC-2 in tutte le configu-razioni allestite. Questo porta a pensare che una sovrapposizione minore tra lecolonne sfavorisce la raccolta della carica.Nelle figure 5.15 e 5.16 sono riportate le efficienze mappate sull’intero DUT, ri-spettivamente per il rivelatore 3D-DTC-2 e 3D-DTC-2B. Entrambi i grafici sonoottenuti per la configurazione B=off A=0 utilizzando la selezione di traccia e ilcluster discussi. Nel dispositivo 3D-DTC-2 è possibile osservare un’area a bassaefficienza compresa tra le righe 100 e 140. Nell’analisi presentata in questa tesil’area danneggiata è stata scartata e sono in corso studi per capire quale sia statala causa del ridotto funzionamento.

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0.2

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0.5

0.6

0.7

0.8

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1

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

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Efficiency pixel area.Efficiency pixel area.

0.2

0.3

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0.5

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0.8

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1

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Efficiency pixel area.Efficiency pixel area.

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Efficiency pixel area.Efficiency pixel area.

0.6

0.65

0.7

0.75

0.8

0.85

0.9

0.95

1

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

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35

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50

Efficiency pixel area.Efficiency pixel area.

Figura 5.13: Efficienza mappata sul pixel per il rivelatore 3D-DTC-2 nella con-figurazione B=off A=0 per diverse configurazioni di cluster. In alto a sinistra(∆x = ±200, ∆y = ±25); in alto a destra (∆x = 200, ∆y = 50);in basso asinistra (∆x = ±200 µm, ∆y = ±75 µm); in basso a destra (∆x = ±400 µm,∆y = ±50 µm).

0.8

0.85

0.9

0.95

1

micron0 50 100 150 200 250 300 350 400

mic

ron

0

5

10

15

20

25

30

35

40

45

50

Efficiency pixel area.Efficiency pixel area.

Figura 5.14: fficienza mappata sul pixel per il rivelatore 3D-DTC-2B nella confi-gurazione B=off A=0 per un’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50µm).

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Analisi dei dati

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

0.8

0.9

1

column0 5 10 15 20

row

-20

0

20

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60

80

100

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140

160

180

Efficiency DUT area.Efficiency DUT area.

Figura 5.15: fficienza mappata sul DUT 3D-DTC-2 nella configurazione B=offA=0 per un’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50 µm) e opportunaselezione di tracce.

0

0.1

0.2

0.3

0.4

0.5

0.6

0.7

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0.9

1

column0 5 10 15 20

row

-20

0

20

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Efficiency DUT area.Efficiency DUT area.

Figura 5.16: fficienza mappata sul pixel per il rivelatore 3D-DTC-2B nella confi-gurazione B=off A=0 per un’ampiezza di cluster (∆x = ±400 µm, ∆y = ±50µm) e opportuna selezione di tracce.

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CAPITOLO 6

Conclusioni

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Conclusioni

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