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ANNO ACCADEMICO 2013/2014 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA DIPARTIMENTO DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FINANZA TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN Politica Economica e Integrazione Economica e Monetaria ORIGINE E STRUMENTI DELLA FINANZA ISLAMICA UN’ANALISI COMPARATA CON LA FINANZA CONVENZIONALE Relatore: Laureanda: Chiar.mo Prof. Pasquale Pazienza Dott.ssa Giuliana Palazzo Correlatore: Prof. Vincenzo Pacelli

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ANNO ACCADEMICO 2013/2014

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FOGGIA

DIPARTIMENTO DI ECONOMIA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN FINANZA

TESI DI LAUREA MAGISTRALE

IN

Politica Economica e Integrazione Economica e Monetaria

ORIGINE E STRUMENTI DELLA FINANZA ISLAMICA

UN’ANALISI COMPARATA CON LA FINANZA

CONVENZIONALE

Relatore: Laureanda:

Chiar.mo Prof. Pasquale Pazienza Dott.ssa Giuliana Palazzo

Correlatore:

Prof. Vincenzo Pacelli

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A me stessa,

come sintesi di tutte le strabilianti persone

che, nel corso di questi anni di studio, a

vario titolo e per lassi temporali foss’anche

impercettibili, hanno contribuito ad

arricchirmi e crescere, con sorrisi e

lacrime, fra la gioia e l’amarezza.

Per avermi resa ciò che sono ma,

soprattutto, per avermi fatto comprendere

appieno ciò che mai vorrò essere:

è per tutte loro che oggi

“ho voglia di esser grato”.

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INDICE

INTRODUZIONE………………………………………………………………. 7

CAPITOLO 1 – IL MODELLO ECONOMICO-FINANZIARIO ISLAMICO

1.1 Le origini della Finanza Islamica: la Sharīca………………………… 12

1.2 Divieti e doveri nell’Islamic business………………………………... 14

1.2.1 Al ribā: divieto di interesse………………………………....... 15

1.2.2 Al gharār: divieto di asimmetria informativa………………... 18

1.2.3 Al maysir: divieto di azzardo e speculazione………………… 20

1.2.4 Altri elementi proibiti residuali………………………………. 21

1.2.5 Al zakāt: obbligo di elemosina……………………………….. 22

1.3 Il ruolo della moneta nell’Islām……………………………………… 25

CAPITOLO 2 – LO SVILUPPO DELL’ISLAMIC BANKING NEL CONTESTO

OCCIDENTALE

2.1 Politica economica ed integrazione monetaria secondo l’Islām……... 28

2.1.1 Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA) ……………………. 29

2.1.2 Central Bank of Iran (CBI) …………………………………….. 31

2.2 Islamic Banking e politica monetaria europea……………………….. 34

2.3 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello globale……………………... 36

2.4 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello europeo…………………….. 38

2.5 Sviluppo dell’Islamic Banking in Italia………………………………. 41

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CAPITOLO 3 – CONTRATTI E STRUMENTI FINANZIARI ISLAMICI

3.1 I principali contratti di finanza islamica……………………………… 45

3.1.1 Musharakah: accordo di joint venture…………………………. 45

3.1.2 Mudarabah: società in accomandita semplice…………………. 47

3.1.3 Murabahah: contratto di mutuo bancario atipico……………… 49

3.1.4 Salam e Istisna’: eccezioni al divieto di gharār……………….. 50

3.1.5 Ijarah: contratto di leasing……………………………………... 53

3.1.6 Takaful: contratto di assicurazione…………………………….. 55

3.2 I principali strumenti finanziari islamici……………………………... 56

3.2.1 Sukuk: “bond” islamici…………………………………………. 56

3.2.2 Azioni, fondi comuni di investimento e derivati……………….. 60

CAPITOLO 4 – CASE STUDY: CONFRONTO DI PORTAFOGLI

FINANZIARI

4.1 Premessa……………………………………………………………… 62

4.2 Parametri di selezione e composizione dei portafogli……………….. 63

4.3 Analisi di un portafoglio finanziario islamico………………………... 65

4.4 Valutazioni conclusive……………………………………………….. 71

APPENDICE A – Dati storici dell’Islamic Portfolio………………………... 73

APPENDICE B – Dati storici del Conventional Portfolio…………………... 76

CONCLUSIONI

I. Research topics………………………………………………………… 79

II. Sintesi del lavoro di ricerca…………………………………………… 79

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III. Valutazioni in merito al case study…………………………………... 81

IV. Proposte di ricerca……………………………………………………. 82

BIBLIOGRAFIA …………………………………………………………… 84

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INTRODUZIONE

Lo scenario nel quale si collocano i principali sistemi economico-finanziari

occidentali appare, ad oggi, caratterizzato da molteplici fattori di criticità che ne

stanno mettendo a dura prova la capacità di cogliere con rapidità i cambiamenti

strutturali, nonché l’attitudine a rendere quanto più concreto possibile il passaggio

da una visione global ad una glocal, con il preciso scopo di proporre prodotti e

servizi ideati per un mercato internazionale, ma perfettamente conformi alle leggi

o alla cultura di Paesi non appartenenti all’area geografica in cui essi vengono,

poi, concretamente distribuiti.

Traslando tali considerazioni in un ambito prettamente economico-finanziario,

il comparto che indubbiamente risulta risentire maggiormente della forte necessità

di ampliare gli orizzonti del c.d. «universo investibile» è quello della consulenza

finanziaria, riconducibile – seppur in via del tutto superficiale – agli intermediari

finanziari operanti nel settore.

La forte esigenza di passare da una visione banco-centrica ad una cliente-centrica,

comprovata dalla necessità di offrire ai propri clienti prodotti finanziari (di

investimento e di finanziamento) conformi alle regole morali, etiche e culturali di

appartenenza degli stessi, ha portato alla creazione di modelli finanziari

caratterizzati da princìpi del tutto singolari, non sempre capaci di entrare

facilmente in sintonia con i tradizionali assunti di c.d. «finanza convenzionale».

In riferimento al contesto globalizzato in cui gli attuali operatori finanziari sono

tenuti a destreggiarsi, pertanto, diventa ragionevole analizzare la crescente

necessità degli stessi di creare prodotti finanziari capaci di essere in accordo con

la seconda religione al mondo per diffusione del numero di fedeli: l’Islām.

Tale necessità nasce dal particolare rilievo che essa assume non solo in campo

religioso, ma anche economico-giuridico.

L’esigenza dei fedeli di onorare i princìpi dettati dai testi sacri, ed in particolar

modo la Legge Divina (in arabo, Sharīca), sta diventando una tematica di rilevante

importanza per tutte le categorie di intermediari finanziari operanti in campo

occidentale.

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Ciò deriva, principalmente, dal bisogno di poter offrire anche a questo peculiare

target di clienti un mix di prodotti finanziari capaci di rispettare pienamente i

dogmi alla base di una religione saldamente connessa anche alla particolare sfera

economico-giuridica degli stessi.

Un’altra circostanza che ha notevolmente promosso la diffusione della finanza

islamica in campo occidentale è sicuramente l’approvazione del Patriot Act, una

legge federale promossa dal presidente George W. Bush e approvata negli Stati

Uniti d’America sull’onda emotiva dell’11 Settembre.

L’atto in questione, giudicato da molti diffamante e discriminatorio nei confronti

dei cittadini americani di religione musulmana, nonché limitativo delle libertà

individuali, prevedeva, nello specifico, controlli stringenti sui conti correnti e

sugli investimenti dei risparmiatori musulmani, considerati potenziali finanziatori

del fondamentalismo e del terrorismo islamico.

Per tale ragione, molti investitori musulmani decisero di trasferire altrove gran

parte dei propri capitali, sottoscrivendo strumenti finanziari offerti da banche

islamiche operanti in oriente, divenute improvvisamente, così, approdo ideale dei

loro ingenti capitali.

La conseguenza immediata prodotta dall’emanazione del Patriot Act, pertanto, fu

il drastico depauperamento dei capitali alla base del mercato finanziario

americano, costretto a rinunciarvi in tempi rapidissimi.

Tale perdita fu, pertanto, decisiva nello spingere le banche d’investimento

statunitensi a rivolgere maggiore attenzione ai risparmi dell’investitore medio

americano, consentendo al tempo stesso ad un numero sempre crescente di

mutuatari low profile di accendere quelli che nel linguaggio tecnico vengono

definiti mutui subprime.

La massiccia sottoscrizione di questa tipologia di strumenti di finanziamento a

medio-lungo termine si rivelò, tuttavia, letale per il comparto bancario:

l’insolvenza di molti mutuatari, in parte dovuta allo spropositato aumento dei tassi

di interesse, infatti, fece scoppiare nel 2008 la tristemente nota bolla del mercato

immobiliare americano portando sul lastrico, fra tanti, il celebre colosso

finanziario Lehman Brothers.

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La crisi, tuttavia, non rimase confinata agli Stati Uniti, poiché il crollo della Borsa

di Wall Street creò immediatamente un effetto domino sui mercati finanziari di

tutto il mondo occidentale.

In medio oriente, tuttavia, le cose andarono diversamente, poiché la tempesta

dei mutui subprime lasciò pressoché indenne le banche islamiche, strutture

portanti di un sistema finanziario del tutto peculiare, guidato dai princìpi coranici.

Appare, pertanto, quasi cruciale analizzare il sistema economico-finanziario

islamico, non solo per le sue indiscusse peculiarità, ma anche per i notevoli

risvolti che potrebbe avere la sua sempre più capillare diffusione anche nel

contesto finanziario occidentale.

Il presente lavoro di tesi, pertanto, si pone l’obiettivo primario di analizzare le

origini della sempre più diffusa pratica economico-finanziaria islamica – d’ora in

avanti denominata con la locuzione, condivisa in dottrina e a livello globale, di

«finanza islamica» – la quale trova il suo principale tratto distintivo, ma

soprattutto insolito, nel divieto di ribā, ovvero del pagamento di interessi su

qualsiasi forma di finanziamento.

Pertanto, dopo aver analizzato i tratti storici e le caratteristiche distintive alla

base di tale sistema, nel corso del primo capitolo si procederà con l’osservazione

dei principali elementi di proibizione ad esso legati – come il sopraccitato divieto

di ribā – nonché con l’approfondimento degli importanti risvolti che ha, in campo

economico, uno dei cinque pilastri della religione islamica, la zakāt, ovvero la

tassa annuale imposta a ciascun musulmano per aiutare i fedeli meno abbienti, per

poi precisare l’importanza del ruolo della moneta all’interno di questo particolare

contesto economico, analizzandone il nesso con la sfera teologica – nonché

sociale – in cui esso si sviluppa.

Nel corso del secondo capitolo, invece, si procederà con l’analisi del modello di

politica economica islamica, prendendo in esame quello dei due principali Paesi

arabi per estensione territoriale e per numero di musulmani, ovvero l’Arabia

Saudita e l’Iran.

Obiettivo di studio, inoltre, saranno le modalità con cui gli operatori finanziari

islamici stanno attualmente tentando di integrarsi nel contesto macroeconomico

europeo, vista l’altissima concentrazione di musulmani all’interno di quest’ultimo.

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Nella parte finale del capitolo, infine, si analizzeranno le sfide già affrontate dalle

Islamic Banks per affermare una loro concreta diffusione solo a livello globale,

ma anche a livello europeo, concentrando l’attenzione su tutte le aree geografiche

occidentali in cui tale sistema risulta essere già pienamente operativo.

A tal proposito, soffermando l’attenzione in campo europeo, e dopo aver

brevemente esposto le modalità con cui l’Islamic Banking può trovarsi in accordo

con le attuali direttive di politica economica dell’Eurozona, verranno analizzati i

principali organismi di finanza islamica già operanti in tale contesto geografico.

A seguito di tale focus sugli intermediari finanziari islamici, appare quindi

fondamentale porre l’attenzione sul dettaglio dei principali prodotti bancari di

investimento e di finanziamento, conformi alla legge coranica, già diffusi tra gli

organismi bancari vigenti, nonché sugli strumenti finanziari attualmente

sottoscrivibili dagli investitori sui mercati secondari regolamentati.

Fra tutti, si porrà l’accento sullo strumento obbligazionario (sukuk) che, per la

sua forte assimilabilità ai tradizionali titoli obbligazionari attualmente negoziati

nei mercati regolamentati, rappresenta lo strumento di finanza islamica

maggiormente analizzato in dottrina poiché in netto contrasto con il principio

shariatico di divieto di interesse.

Infine, si passerà all’esplicazione di un dettagliato case study volto ad

analizzare le performance registrate su un portafoglio finanziario composto

interamente sukuk islamici, utilizzando come benchmark un portafoglio

finanziario composto da titoli obbligazionari appartenenti all’area euro.

Tale studio, in particolar modo, sarà volto all’esplicitazione delle caratteristiche

che portano a differenziare maggiormente i due strumenti finanziari caratterizzanti

i portafogli, nonché ad evidenziare i possibili vantaggi proposti dai sukuk islamici,

in termini di performance, per un investitore privato non necessariamente

appartenente alla fede musulmana, e generalmente caratterizzato da un basso

profilo di rischio.

Ciò che tale elaborato intende, in particolar modo, sottolineare è come il

modello di finanza islamica, estremamente differente rispetto a quello di finanza

convenzionale, non rappresenti affatto una mera ipotesi concettuale, priva di

attuabilità.

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Bensì, l’Islamic Finance può essere vista come un’effettiva e concreta

alternativa dalla quale si potrebbe ipotizzare di ripartire per riformulare e mettere

nuovamente in discussione le regole alla base dell’attuale settore finanziario

occidentale, risultando di fondamentale importanza per garantire l’apporto di

nuovi capitali da investire in attività direttamente connesse all’economia reale, e

restituendo, così, a quest’ultima il ruolo di strumento cardine capace di

massimizzare il benessere dell’intera comunità.

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CAPITOLO 1 – IL MODELLO ECONOMICO-FINANZIARIO ISLAMICO

1.1 Le origini della Finanza Islamica: la Sharīca

Al pari di qualsiasi apparato sociale, anche il modello islamico trae origine da

fonti di diversa natura ed evoluzione.

Partendo dal Qurcàn (il Corano), fonte principale del sistema islamico, è

ragionevole spingersi fino all’analisi del forte legame che esso crea tra le

dimensioni teologico-morale ed economico-politica.

In qualità di testo sacro dell’Islām, il Corano rappresenta il messaggio destinato a

ogni uomo sulla terra e rivelato, tramite l’Arcangelo Gabriele, da Dio (in arabo

Allāh) al Profeta Muhammad nel periodo che va dal 610 al 632 d.C., anno della

morte dello stesso Maometto (Mela, 2005).

Appare oggi quasi pleonastico sottolineare quanto il Corano non solo regoli

tutta la vita del credente, ma riesca finanche a lasciare una possente impronta nelle

molteplici sfere della vita sociale che riguardano il fedele come, ad esempio,

quella morale, politica ed economica1.

L’Islām, dopotutto, non è solo una religione ma, in accordo con la formula delle

tre ‘D’: Dîn, Duniya wa Dawla, (Religione, Mondo, Stato), esso è, parallelamente,

precetto morale, stile di vita, regola culturale e legge.

Da ciò è, quindi, unanime affermare che anche il comportamento economico non

può prescindere dai dettami religiosi che, concretamente, lo governano.

Il modello economico-finanziario islamico – ad oggi meglio conosciuto con la

locuzione di «finanza islamica» – trova, difatti, la propria peculiarità nel suo

fondamento: la Sharīca, ovvero la Legge Divina, che ha come fonti principali

proprio il Corano e la Sunna2 (Islāhī, 1989).

1 Ciò trova conferma nella stessa etimologia del sostantivo Islām, derivante dalla radice del verbo

aslama (che significa “sottomettersi”) e collegato al sostantivo salām (“pace”), il che rende il

dogma religioso traducibile come: «entrare in uno stato di pace e sicurezza con Dio attraverso la

sottomissione e la resa a Lui». 2 La Sunna è la Tradizione, intesa come insieme di atti e detti del Profeta, e dei suoi seguaci, che

sono stati trasmessi, in via orale e scritta, nei vari aḥadīth (racconti o aneddoti brevi).

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I princìpi fondanti e le pratiche su cui si basa la finanza islamica risalgono,

pertanto, alla prima parte dell’VII secolo, sebbene abbiano assunto rilevanza a

livello globale soltanto in un periodo relativamente recente.

Fino all’inizio degli anni ’70, infatti, il sistema economico islamico era basato

esclusivamente sulla hawala (anche detta hundi), ovvero un sistema bancario del

tutto informale3.

L’hawala consta in un trasferimento di denaro tra Paesi con valute differenti,

senza un effettivo spostamento fisico della liquidità poiché le transazioni si

basano esclusivamente sull’onore e la fiducia tra i soggetti che vi prendono parte.

Infatti, il riferimento al cosiddetto «money transfer without money movement»

(Jost & Sandhu, 2000) rappresenta una precisa definizione di hawala che è stata

utilizzata, con successo, in diversi casi di riciclaggio di denaro relativi a questa

particolare metodologia.

L’hawala, più precisamente, prevede la partecipazione di quattro soggetti:

l’ordinante, ovvero colui che vuole trasferire i fondi;

il beneficiario, ovvero colui che riceverà in ultimo i fondi;

due operatori (gli hawaladar), che prendono una commissione per ogni

transazione portata a termine.

Figura 1.1 - Schema di funzionamento dell'hawala

Fonte: www.runtogold.com

3 Il 20 ottobre 1975 venne fondata la Islamic Development Bank (IDB) a Gedda (Arabia Saudita),

ad opera dei Paesi membri dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC), con l’intento

di «favorire lo sviluppo economico ed il progresso sociale dei paesi membri e delle comunità

musulmane, sia individualmente che congiuntamente, in conformità con i princìpi della

Sharīca».

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A seguito di un utilizzo non conforme alla legge di questa tecnica di

trasferimento di fondi, ed in accordo con le usanze indiane e pachistane, il termine

«white hawala» viene, ad oggi, utilizzato per riferirsi alle transazioni legittime,

mentre il termine «black hawala» si ricollega alle transazioni illecite, con

particolare riferimento al c.d. «hawala money laundering» (Jost & Sandhu, 2000).

Si ritiene, infatti, che tale metodologia sia stata – e venga tutt’ora – utilizzata per

rendere non tracciabili spostamenti di fondi per fini di riciclaggio di denaro, frode,

traffico di stupefacenti e come copertura per il finanziamento di atti di terrorismo

internazionale (Müller, 2006).

Il concetto di Islamic Banking, pertanto, è nato innanzitutto come miglior

soluzione – seppur rivoluzionaria per il contesto di realizzazione – all’esigenza di

mettersi al pari con l’evoluzione del sistema creditizio occidentale, in un contesto

sempre più globalizzato in cui l’assenza di un comparto bancario opportunamente

sviluppato non era più tollerabile, ma pur sempre cercando di coniugare

l’esercizio professionale dell’attività bancaria con il rispetto della Sharīca.

In ogni caso occorre precisare che l’assunto principale su cui si basa il sistema

economico islamico, «in accordo con la Sharīca», è che il denaro non è, in alcun

modo, uno strumento di guadagno.

Proprio per via della peculiarità di tale argomentazione, sarà opportuno

approfondire il dettaglio degli elementi ammessi e proibiti nel commercio

islamico, per poi passare alla definizione del ruolo della moneta all’interno di

questo particolare contesto economico, analizzandone il nesso con la sfera

teologica – nonché sociale – in cui esso si sviluppa.

1.2 Divieti e doveri nell’Islamic business

Il Corano e la Sunna, come già ampiamente esposto, rappresentano i testi alla

base della più precisa Ash-Sharīca al-Islamiyya, ovvero l’interpretazione della

conoscenza religiosa effettuata dai dottori della legge, chiamati Ulema.

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È importante notare come, non potendo considerare la Sharīca come una vera e

propria raccolta di norme codificate, tale termine viene spesso tradotto ed

interpretato anche come sinonimo di Ahkam (ovvero la legge), suddivisa dagli

Ulema in due principali unità:

la Sharīca 'Ibadat, riguardante le norme sulla devozione religiosa;

la Sharīca Mu'amalat, inerente le attività economiche, giuridiche e sociali.

Con preciso riferimento a quest’ultima, pertanto, si procederà col porre

l’accento su due delle cinque categorie di azioni umane che essa annovera – gli

haram, ovvero gli atti proibiti, e gli halāl, ovvero gli atti leciti – per concludere

con l’analisi di uno dei pilastri della religione musulmana avente particolare

rilevanza in ambito economico: la zakāt, ovvero la tassa annuale imposta a

ciascun musulmano per aiutare i poveri.

1.2.1 Al ribā: divieto di interesse

Il termine arabo ribā significa letteralmente “eccesso”, “incremento”,

“sovrappiù” ma, se analizzato all’interno del contesto economico islamico, viene

più comunemente tradotto come “usura”, in quanto rappresenta qualsiasi surplus

di denaro che un debitore è tenuto a corrispondere al proprio creditore, unitamente

all’importo prestato, come compenso volto al pagamento del prestito.

Sebbene tale ultima definizione risulti più conforme alla ben nota nozione di

interesse, appare opportuno specificare che, essendo il ribā espressamente vietato

dal Corano4, nel lessico tradizionale e nell’ambito della dottrina economica, si è

ritenuto più corretto associarlo ad una pratica avente sempre ad oggetto

l’interesse, ma illecita dal punto di vista giuridico.

Il ribā è stato classificato dai giuristi islamici in due tipologie principali:

ribā al-fadl, ovvero interessi su beni fatti in natura;

ribā al-nasi'ah, ovvero interessi su un prestito economico.

4 «Ma Allāh ha permesso il commercio e ha proibito l’usura. Chi desiste dopo che gli è giunto il

monito del suo Signore, tenga per sé quello che ha e il suo caso dipenderà da Allāh. Quanto a chi

persiste, essi saranno gente del Fuoco, nel quale rimarranno in eterno» [Corano, Sura II:275].

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La prima classificazione, pertanto, rappresenta l’interesse percepito su qualsiasi

transazione commodity-for-commodity come un prestito in grano o di riso.

A tal proposito occorre precisare che la Sunna sancisce che i prestiti fatti in beni

naturali devono essere ripagati con gli stessi beni e nella stessa misura5.

La seconda suddivisione, invece, si riferisce agli interessi applicati ad un

prestito economico e concordati al momento di concessione dello stesso.

L’interesse, pertanto, avrà lo scopo di rimborsare il creditore per il tempo in cui si

è privato del proprio denaro, rappresentando, così, una pratica assolutamente

proibita dalla legge islamica6.

L’assoluta proibizione coranica di applicare l’interesse è un imperativo che

serve a statuire un sistema economico dal quale sia bandita ogni forma di

sfruttamento, con particolare riferimento allo squilibrio esistente tra i due soggetti

che prendono parte all’operazione di prestito: il datore ed il prenditore di fondi.

Difatti, il primo avrà la garanzia di un guadagno non commisurato ad alcuno

sforzo operativo o alla condivisione di alcun rischio d’impresa7, mentre il

secondo, legato al perseguimento dei risultati attesi dell’investimento posto in

essere, non avrà, invece, alcuna certezza del suo effettivo esito positivo.

Il riferimento coranico piuttosto vago alla liceità del commercio, tuttavia, lascia

aperta ai fedeli la possibilità di ricorrere a tipologie contrattuali maggiormente

conformi alla Sharīca, la cui legittimità viene supervisionata dagli Ulema.

Il divieto alla percezione di interessi implica, pertanto, che il denaro possa

essere prestato legalmente soltanto in due casi:

per scopi caritatevoli e senza alcuna aspettativa di rientro addizionale;

con lo scopo di porre in essere affari legali, ovvero investimenti basati sul

principio di condivisione di profitti e perdite (profit and loss sharing).

5 Secondo Abu Sa‘id al-Khudri, il Profeta ha detto: «Oro in cambio di oro, argento in cambio di

argento, grano in cambio di grano, orzo in cambio di orzo, datteri in cambio di datteri e sale in

cambio di sale, misura contro misura, di medesima natura e di mano in mano. Chi paga di più o

prende di più pratica l’usura.» 6 Secondo Anas ibn Malik, il Profeta ha detto: «Se un uomo concedesse un prestito a qualcuno, non

dovrebbe accettare nessun regalo.» 7 Si fa riferimento ad operazioni non basate sul principio di profit and loss sharing (non-PLS),

ovvero di non condivisione del rischio di impresa.

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L’incremento del capitale, quindi, risulta conforme alla Sharīca esclusivamente

se inserito in un contesto produttivo reale, ovvero solo se la crescita reale genera

profitto e non la mera aspettativa di una remunerazione priva di causa, capace di

confluire nella più ampia sfera della speculazione monetaria.

Altro aspetto da non sottovalutare è la necessaria conformità dei rapporti debitori

al principio di profit and loss sharing (PLS), in assenza del quale si incorrerebbe

nella illiceità contrattuale.

Infatti, secondo la Sharīca, soltanto l’assunzione di un rischio può giustificare una

forma di ritorno economico positivo predeterminato, e non la mera attesa della

conclusione del prestito. Breve puntualizzazione, a tal proposito, va fatta in merito

al rischio di insolvenza ed al rischio di default del debitore, non considerati

realmente tali in quanto economisti e giuristi islamici sostengono che le garanzie

che accompagnano i prestiti tutelano maggiormente il creditore, mentre il debitore

rimane la controparte più debole della transazione.

Va, in ogni caso, abbattuto il tabù che porta a connotare la finanza islamica

come una tipologia di sistema finanziario che non riconosce il valore del denaro

nel tempo per il solo motivo di non legittimare il tasso d’interesse.

Infatti, nella tradizione islamica, l’accumulo di ricchezza trova legittimazione di

fronte a Dio soltanto se deriva dall’attività operosa dell’uomo, poiché solo il

lavoro legittima il profitto e l’accrescimento del capitale.

Si ponga il seguente esempio: «se partecipassi con 100 euro ad una attività

commerciale, e guadagnassi 10 euro dopo un anno, […] il 10% rappresenta senza

dubbio un tasso d’interesse, ma dal momento che non è stato stabilito ex ante e

deriva dal risultato economico, non si incorre nel ribā» (Miglietta, 2009).

Solo recentemente la dottrina musulmana ha istituito un modello economico

capace di rappresentare una valida alternativa – soprattutto per i fedeli –

all’abolizione dell’interesse, e imperniata sulla sostituzione di quest’ultimo con un

sistema di compartecipazione societaria, da parte del creditore, a profitti e rischi

dell’attività da egli finanziata.

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Un vero e proprio punto di inizio, questo, verso una propensione alla cosiddetta

customer-centric vision (ovvero una visione cliente-centrica), che rappresenterà il

maggior punto di forza degli istituti bancari islamici, rispetto a quelli occidentali,

accrescendone la capacità competitiva mediante l’elaborazione di peculiari

prodotti finanziari conformi al rispetto dei valori, dei princìpi e dei precetti etici e

giuridici dell’Islām.

1.2.2 Al gharār: divieto di asimmetria informativa

La parola araba gharār, letteralmente, è traducibile come “incertezza”,

“ambiguità”. Tuttavia, nella sua accezione più ampia, tale termine viene

ricondotto al concetto di “informazione incompleta” o, per meglio dire – in senso

prettamente economico – di asimmetria informativa8.

A differenza del ribā, il gharār non è definito con precisione né dal Corano, né

dalla Sunna, in quanto considerato di minore importanza.

La principale conseguenza di tale distinzione è che, a differenza del ribā che è

tassativamente vietato, un certo grado di gharār resta accettabile, mentre vengono

vietate solo le condizioni di completa incertezza.

Data l’assenza di una chiara definizione, il gharār è stato ampiamente studiato

nel corso degli anni, giungendo alla conclusione per cui si ha gharār quando vi è:

in primo luogo, incertezza;

in secondo luogo, inganno.

Relativamente al primo tratto connotativo, si può pensare che nella Sharīca

esiste il principio secondo il quale bisogna evitare qualsiasi incompletezza

d’informazione legata alla transazione che si intende porre in essere, sia che essa

riguardi l’oggetto di scambio9, sia che riguardi il suo prezzo, il luogo dello

scambio, o altre informazioni attinenti al contratto stesso.

8 Per “asimmetria informativa” si intende la condizione che si verifica nel mercato quando uno o

più operatori dispongono di informazioni più precise di altri. [G. NICODANO, Asimmetria

informativa, in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani, Roma, 2012]. 9 Ibn Abidin definisce il gharār come «incertezza sull’esistenza della materia di vendita»

Cfr. (Al-Saati, 2003).

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A tal proposito, appare esplicativo identificare i cosiddetti contingent claims10

(contratti contingenti), che nella finanza convenzionale vengono utilizzati in

condizioni di incertezza, come esempio di contratti gharār espressamente vietati.

In riferimento al secondo tratto distintivo del divieto di gharār, invece, si può

sottolineare come il Corano vieti chiaramente tutte le operazioni commerciali che

rappresentino causa di ingiustizia, in qualsiasi forma essa si manifesti, dove per

ingiustizia si intende eccessivo rischio o pericolo di inganno, frode o indebito

vantaggio.

Gli Ulema concordano sul fatto che solo l’eccessivo gharār sia vietato in

quanto ostacola la validità del contratto. Essi danno come esempi di cosiddetto

“eccessivo gharār” contratti aventi ad oggetto (Al-Saati, 2003):

vendita di animali non ancora nati;

vendita di frutti prima della loro raccolta;

vendita di un oggetto di identità ignota o genere sconosciuto;

differimento del prezzo ad una data futura sconosciuta.

Esempi di contratti in cui gli Ulema, invece, accettano il cosiddetto “gharār

lieve” possono essere quelli aventi ad oggetto (Al-Saati, 2003):

vendita di un cappotto foderato anche se il suo rivestimento non si vede;

vendita di una casa anche se le sue fondamenta non sono state viste;

affitto mensile di una casa, dove il mese può essere 30 giorni o 31.

Pertanto, è possibile concludere che, di norma, i contratti che si basano su

eventi futuri in cui l’oggetto ancora non esiste al momento della loro

stipulazione, non sono permessi, a meno che non vi sia la garanzia della loro

esistenza alla data stabilita per la consegna.

10 Il contingent claim rappresenta una particolare formula contrattuale in condizioni di incertezza,

con la quale ci si assicura contro un evento negativo o si scommette in favore di un evento

positivo [A. NICITA, Contingent claim, in Dizionario di Economia e Finanza, Treccani, Roma,

2012].

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1.2.3 Al maysir: divieto di azzardo e speculazione

Il termine maysir si riferisce alla speculazione, alle scommesse, e al gioco

d’azzardo. Un’attività economica conforme ai principi islamici, pertanto, non

deve contenere nessuno di questi elementi e, in via generale, nessun presupposto

che comporti un accrescimento economico derivante esclusivamente dalla fortuna

o basato su congetture astratte.

Questo terzo divieto, pertanto – come è facile desumere – assume particolare

importanza soprattutto poiché è in netta contrapposizione con i contratti

assicurativi di finanza convenzionale, basati interamente sulla probabilità che un

evento futuro si possa verificare o meno.

Tuttavia, gli strumenti di finanza convenzionale in cui vi è una chiara presenza

di maysir sono molteplici e, fra questi, in particolar modo, si può pensare ai

contratti derivati11. Infatti, contratti come swaps e futures, vengono assimilati

all’altrettanto proibito gioco d’azzardo12.

Più in generale, quindi, risulta interdetto l’esercizio di attività che implichino

informazioni asimmetriche ed eccesso di incertezza o di rischio, in piena

conformità al divieto di gharār.

Sebbene il maysir abbia elementi di gharār, non è sempre vero l’inverso.

Infatti, principale motivazione di tale affermazione è che, come già precisato

precedentemente, per il gharār sono ammesse deroghe, mentre il maysir – così

come il ribā – è sempre vietato.

11 Per contratti derivati si intendono «contratti il cui valore deriva (cioè dipende) dal prezzo di una

“attività finanziaria sottostante”, ovvero del valore di un parametro finanziario di riferimento

(indice di borsa, tasso d'interesse, cambio)» (Ferrarini, 1993). 12 «O voi che credete, in verità, il vino, il gioco d’azzardo, le pietre idolatriche, le frecce

divinatorie sono immonde opere di Satana. Evitatele perché possiate prosperare. In verità con il

vino e il gioco d’azzardo, Satana vuole seminare inimicizia e odio tra voi e allontanarvi dal

ricordo di Allāh e dalla preghiera» [Corano, Sura V:90-91].

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Figura 1.2 – Principali divieti della finanza islamica

Fonte: Borsa Italiana, Notizie e Finanza, disponibile su www.borsaitaliana.it, Dicembre 2008.

Gli strumenti finanziari negoziati in borsa, per concludere, restano ammissibili

solo se conservano un qualche legame con un’attività economica reale sottostante

(Iqbal & Mirakhor, 2007).

1.2.4 Altri elementi proibiti residuali

Gli elementi sopra elencati rappresentano i principali divieti nelle transazioni

economiche basate sui princìpi della finanza islamica.

Bisogna, però, tener presente che essi non sono i soli e, a tal proposito, si

possono segnalare – come più rilevanti – anche il darār e il dhulm.

Per darār si intende qualsiasi fonte di danno o perdita che potrebbe essere

eventualmente arrecata dall’attività che si sta intraprendendo13.

Più in particolare, costituiscono darār tutti quei fattori che influenzano

negativamente i diritti di terzi connessi con ad un contratto.

Per dhulm ci si riferisce, invece, alla “iniquità”, ossia all’ingiustizia verso un

qualunque essere vivente, consistente nell’usurpazione dei diritti altrui, e nella

non concessione di un’adeguata ricompensa in uno scambio dovuta a qualsiasi

atto illegale o coercizione.

13 Secondo Al-Nawawi, il Profeta ha detto: «Né infliggere danno, né ripagare un’ingiustizia con

un’altra.»

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Pertanto, per essere conforme alla Sharīca, un’attività economica deve anche

evitare di trattare tutto ciò che sia in contrasto con gli insegnamenti della religione

musulmana, come la pornografia, il gioco d’azzardo, l’industria delle armi e le

sostanze che la religione islamica considera impure, come carne di maiale,

bevande alcoliche e tabacco.

1.2.5 Al zakāt: obbligo di elemosina

La zakāt rappresenta uno dei cinque pilastri dell’Islām (Arkān al-Islām), ovvero

i cinque obblighi fondamentali che ogni musulmano devoto è tenuto ad osservare.

Sebbene nel linguaggio comune essa venga erroneamente percepita come

“elemosina”, il termine che maggiormente ne esprime il reale significato è

“decima”, in quanto essa consiste nel pagamento di una quota delle proprie

ricchezze, a beneficiari particolari, a titolo “purificatorio” delle medesime14.

Il ruolo principale della zakāt, infatti, è quello di evitare l’accentramento del

surplus di denaro nelle mani di pochi andando, così, ad identificarsi come

strumento utile non solo per la purificazione dei peccati del singolo fedele, ma

come vero e proprio meccanismo volto a debellare l’egoismo della società intera

attraverso l’esercizio di un’opera di altruismo e di generosità.

La zakāt si configura, quindi, come uno elemento di fondamentale importanza

per lo sviluppo armonioso della società, in cui giustizia sociale, solidarietà e

fratellanza vengono eretti a norma generale e regola di vita civile.

Attraverso questo atto “purificatorio”, infatti, l’accumulo della ricchezza da

parte delle fasce forti della società viene scoraggiato e prevenuto, così come lo

sviluppo del rancore e del risentimento sociale da parte delle fasce più deboli.

Il presupposto che è alla base della zakāt – e ne giustifica l’esistenza – è la

consapevolezza che tutti gli uomini sono solo dei servi di Dio, il quale è l’Unico

Padrone del mondo e delle ricchezze che esso contiene, decretandone, così, la loro

distribuzione nel modo che Egli ritiene maggiormente opportuno.

14 «Preleva sui loro beni un’elemosina che li purifichi e li mondi» [Corano, Sura IX:103].

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In conformità con tale affermazione, quindi, diventa ragionevole pensare che:

il ricco ha ricevuto da Dio un surplus di ricchezza solo perché egli lo

ridistribuisse, poiché non ne ha bisogno né per sopravvivere, né per

mantenere l’agiatezza derivante dalle proprie fatiche;

il povero diventa fruitore di un diritto per cui, secondo la tradizione, non

deve ringraziare, in quanto rappresenta qualcosa che Dio aveva destinato a

lui da sempre, designando colui che ha versato la zakāt come mero custode

ed amministratore della stessa fino a quel momento.

L’importanza della zakāt è sottolineata dal fatto che essa è una delle voci

maggiormente menzionate nel Corano in associazione con la salat, ossia la

preghiera rituale che ogni musulmano compie in direzione della Mecca almeno

cinque volte al giorno.

Dal punto di vista giuridico, si distinguono due tipologie di zakāt:

zakāt al-mal, ovvero la decima sulle ricchezze;

zakāt al-fitr, ovvero una quota fissa (di cibo o di equivalente in denaro) che

ciascun capo-famiglia è tenuto a pagare, per se stesso e per i membri della

propria famiglia che sono a suo carico, a conclusione del digiuno nel mese

di Ramadan.

Nel contesto della finanza islamica, pertanto, assume particolare rilevanza la

prima tipologia di zakāt, in quanto equivale ad una porzione fissa del patrimonio

del fedele eccedente un valore minimo di ricchezza – detto nisab – che è

necessario aver accumulato nel corso di un anno affinché il pagamento della zakāt

diventi obbligatorio.

Infatti, il nisab rappresenta l’ammontare del patrimonio del fedele risultante dopo

che egli abbia assolto a tutte le spese necessarie per se stesso e per la propria

famiglia.

Il nisab è calcolato in base al valore dell’oro o dell’argento – più precisamente

85 grammi d’oro o 600 grammi d’argento (Jonsson, 2006).

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Nel calcolo del nisab rientrano, quindi, tutti i beni che producono ricchezza o

derivano da attività produttive, come i depositi in denaro su conti correnti bancari,

l’oro, l’argento, le merci di scambio destinate ad attività commerciali, i capi di

bestiame ed il raccolto, mentre, tutti i beni che non producono ricchezza (come

automobili, utensili, abbigliamento, cibo, mobili, prima abitazione), non vanno

inclusi nel calcolo della zakāt.

L’importo della zakāt è pari al 2,5% del reddito netto dell’anno lunare (se si

tiene conto del calendario islamico) altrimenti 2,75 % dell’anno solare (se si fa

riferimento al calendario gregoriano).

Le somme possono affluire ad un fondo nazionale istituito per legge, alle moschee

locali, ad associazioni caritatevoli, o direttamente ai fedeli meno abbienti.

Secondo il Corano, possono beneficiare della zakāt:

poveri e bisognosi che non raggiungono una soglia minima di ricchezza

tale da poter compensare la nisab;

indigenti, ovvero fedeli che non possiedono i beni di base;

viandanti che e non hanno modo di raggiungere la propria destinazione

senza aiuto, poiché sprovvisti di sufficiente denaro;

personale addetto alla raccolta e alla distribuzione della zakāt;

gli schiavi, per essere liberati;

coloro che sono indebitati, poiché incapaci di provvedervi autonomamente;

coloro di cui bisogna «conquistare i cuori» alla causa di Dio, ovvero coloro

che si sono convertiti da poco alla religione islamica e divenuti poveri a

causa della loro decisione;

coloro che lottano sul sentiero di Dio.

L’interesse nei confronti della zakāt è diventato, nel corso degli anni, sempre

più crescente in quanto essa rappresenta, ad oggi, una vera e propria pratica

riconosciuta giuridicamente avente come principale obiettivo ridurre la povertà.

Per tale motivo, alla fine del 1980, i governi di tutto il mondo islamico hanno

dato il via alla creazione di agenzie ufficiali volte alla gestione, alla raccolta e alla

distribuzione della zakāt.

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Tale tendenza ha visto una rapida accelerazione nel corso degli ultimi 15 anni,

come mostrato dalla Figura 1.3.

Figura 1.3 – Numero di agenzie ufficiali di riscossione e gestione della zakāt dal 1970 al 2013

Fonte: (Minor, 2014)

Il notevole sviluppo che ha visto protagoniste queste peculiari agenzie

istituzionali può fornire – già a prima vista – una seppur approssimativa idea

dell’ingente entità di flussi finanziari movimentati dal zakāt, avvalorando, quindi,

la tesi che vede in questa inconsueta tipologia di strumento un elemento di

fondamentale importanza per accrescere l’assistenza, lo sviluppo ed il benessere

sociale nei Paesi islamici.

1.3 Il ruolo della moneta nell’Islām

Ci sono forti differenze tra un sistema economico di finanza islamica ed uno di

c.d. «finanza convenzionale15» e, indubbiamente, la più evidente fra tutte si

riferisce alla percezione del denaro.

In un sistema economico convenzionale, infatti, il denaro rappresenta una vera e

propria merce di scambio e, come tale, può essere oggetto di compravendita e

speculazione.

15 Per «finanza convenzionale» si intende l’insieme dei sistemi finanziari in accordo con le

tradizionali teorie macroeconomiche di politica economica non basate sulla Sharīca.

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Si può agilmente parlare, pertanto, del concetto di Time Value of Money (TVM)16

in riferimento alla prassi per cui il denaro vede modificarsi il proprio valore nel

tempo comportando, così, una remunerazione, sottoforma di interesse, dovuta a

chi presta il proprio denaro privandosene per un cerco arco temporale.

Al contrario, l’Islām vede il denaro non solo come un qualcosa che non può

essere accumulato, ma anche come un elemento che non può essere sperperato.

Alla luce di questi due limiti, pertanto, è facile notare come un modello di finanza

convenzionale risulti totalmente contrario ai precetti cardine della Sharīca, poiché

l’Islām vede il denaro semplicemente come unità di conto e mezzo di scambio per

acquistare beni, servizi o attività reali, e non come una riserva di ricchezza al fine

di farne accrescere il valore nel tempo.

Sulla base di queste discrepanze si può, pertanto, dare risalto a come la Sharīca

guardi al denaro – e più precisamente, in questo caso, alle valute – in modo

nettamente differente rispetto alle altre tipologie di materie prime comunemente

commerciate anche nei mercati finanziari regolamentati.

Le principali ragioni che motivano tale affermazione riguardano, in primo luogo,

il fatto che il denaro non rappresenta oggetto di scambio, come le altre

commodities, poiché il suo uso è limitato al suo scopo di base, ovvero all’utilizzo

come mezzo di scambio e come misura di valore.

In secondo luogo, se il denaro deve essere ceduto in cambio di altro denaro, o

necessita di essere preso in prestito per motivi eccezionali, la corresponsione da

entrambe le parti deve essere di uguale entità, in modo tale da non utilizzare il

denaro per scopi differenti rispetto a quelli di origine, già nominati in precedenza.

A questo punto, tuttavia, è lecito domandarsi come sia possibile per i fedeli

accrescere i propri capitali se il denaro viene visto solo come mezzo di scambio.

Gli Ulema si sono espressi su tale punto affermando che è possibile guardare al

denaro in ottica di capitale solo quando questo viene investito in attività reali.

16 Il TVM, ovvero il valore temporale del denaro, è una delle teorie alla base del concetto di

interesse. Tale teoria afferma che il valore del denaro oggi è maggiore rispetto ad una promessa

(seppur affidabile) di ricevere la stessa quantità di denaro in una data futura.

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Di conseguenza, se un surplus di denaro deriva da un business come conseguenza

di un prestito, questo verrà considerato come mero debito commerciale e non

come capitale da poter distribuire, mentre sarà possibile cederlo a quanti

partecipano all’attività commerciale solo se esso risulta derivante dal processo

produttivo posto in essere dalla stessa.

Per ciò che concerne i prestiti e le altre operazioni generatrici di reddito, la

filosofia che è alla base della finanza islamica è che, colui che offre denaro ad un

altro soggetto deve decidere se il denaro:

viene prestato a fini solidali;

viene prestato per scopi mutualistici;

rappresenta un utile da distribuire come partecipazione societaria.

Nel primo e nel secondo caso, il creditore non potrà percepire alcun importo

aggiuntivo al di là del capitale stesso prestatogli, in quanto l’assistenza finanziaria

è espressamente sancita dal Corano attraverso il principio della succitata zakāt, o

perché unico scopo del prestatore è di risparmiare denaro e non guadagnare alcun

reddito extra.

Tuttavia, se il creditore intende partecipare agli utili del debitore, come nel terzo

caso, egli dovrà anche condividere qualsiasi perdita conseguente all’attività posta

in essere, secondo il principio del profit and loss sharing.

In conclusione, è unanime affermare come il concetto di valore temporale del

denaro, analizzato nel contesto islamico, possa essere individuato solo come dato

ex-post, ovvero come mero rendimento di capitale derivante dalla partecipazione

in attività imprenditoriali capaci di riconoscerne un valore puro e, soprattutto,

conforme alla legge shariatica.

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CAPITOLO 2 – LO SVILUPPO DELL’ISLAMIC BANKING NEL CONTESTO

OCCIDENTALE

2.1 Politica economica ed integrazione monetaria secondo l’Islām

Sebbene il concetto di finanza islamica sia stato già ampiamente esposto nel

corso del primo capitolo, appare opportuno, ora, individuarne un’enunciazione

formale che, nella fattispecie, porta a definire tale modello come «l’insieme delle

attività finanziarie che, seppur soggette alle leggi statali di ogni singolo paese,

sono svolte senza infrangere i princìpi della Sharīca» (Alvaro, 2014).

Tuttavia, l’individuazione del perfetto incastro tra i princìpi shariatici ed il

quadro macroeconomico in cui questi necessitano di essere sviluppati ed applicati,

non sempre risulta agevole, soprattutto se si pensa al contesto occidentale.

L’outlook economico che caratterizza i Paesi arabi con maggior livello di

islamizzazione ed estensione territoriale – quali Arabia Saudita ed Iran, come

mostrato nella Figura 2.1 – risulta fortemente dipendente dagli strumenti di

politica monetaria adottati, nel caso in esame, dalla Saudi Arabian Monetary

Agency (SAMA) e dalla Central Bank of Iran (CBI).

Figura 2.1 - Sviluppo della finanza islamica per aree geografiche

Fonte: Deloitte Consulting, Finanza islamica. Niente interessi, ma grande interesse, disponibile su

www.deloitte.com, 2010.

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Proprio la SAMA e la CBI, in quanto Banche Centrali dei due principali Paesi

arabi appartenenti all’area primaria per livello di islamizzazione, meritano una,

seppur breve, analisi esplicativa, visto l’importante ruolo che attualmente giocano

nel contesto economico-finanziario islamico.

2.1.1 Saudi Arabian Monetary Agency (SAMA)

La Banca Centrale del Regno dell’Arabia Saudita è stata fondata nel 1952 con

lo specifico intento di svolgere diverse funzioni in piena conformità con le leggi

ed i regolamenti propri del Paese in cui opera.

Fra le principali attività che essa annovera è opportuno mettere in risalto:

affrontare le questioni bancarie del Governo Centrale;

coniare la moneta nazionale (il Riyal saudita), ed operare per il

rafforzamento della stessa, stabilizzandone il valore interno ed esterno;

gestire le riserve valutarie del Regno;

gestire la politica monetaria per mantenere la stabilità dei prezzi e dei tassi

di cambio;

promuovere la crescita del sistema finanziario, garantendone la solidità;

supervisionare e vigilare sull’operato di banche commerciali, compagnie di

assicurazione cooperative e società finanziarie in generale.

Per ciò che attiene alla gestione della politica monetaria, in particolar modo, è

fondamentale sottolineare come la SAMA si ponga, come principale obiettivo, al

pari della maggior parte dei sistemi occidentali, il mantenimento del livello di

stabilità dei prezzi ed il controllo del tasso di cambio del Riyal saudita nei

confronti delle altre valute.

A tal proposito, è opportuno dare risalto alla decisione, risalente al 1986, del

Regno dell’Arabia Saudita, di adottare un tasso di cambio fisso del Riyal rispetto

al dollaro americano, mentre il tasso di cambio della valuta saudita rispetto alle

altre valute cambia a seconda delle consuete dinamiche di domanda e di offerta.

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Altro obiettivo di politica monetaria della SAMA è mantenere la stabilità e lo

sviluppo del settore finanziario, fondamentali per potenziare il risparmio ed

attrarre ulteriori investimenti.

Per raggiungere gli obiettivi di politica monetaria, la SAMA utilizza diversi

strumenti che le permettono di gestire la liquidità in modo efficiente, nonché di

monitorare le posizioni del mercato monetario.

I più importanti di questi strumenti sono:

obblighi di riserva;

pronti contro termine;

contratti Foreign exchange swap (Fx swap) nel mercato dei cambi.

Il primo strumento è ulteriormente scindibile in due sottocategorie, in quanto fa

riferimento a riserve statutarie e riserve di liquidità.

Ai sensi dell’articolo 7 della Legge sul Controllo Bancario emanata con Regio

Decreto n. M/5 del 11/06/1966, le banche che operano in Arabia Saudita sono

obbligate a mantenere con la SAMA delle riserve statutarie, ovvero una

percentuale di depositi bancari.

Il rapporto delle riserve statutarie cambia a seconda degli sviluppi economici che

si verificano all’interno del Paese, ed assume particolare importanza in quanto

risulta fortemente efficace per il controllo del credito bancario, poiché interessa la

liquidità monetaria.

Oltre alla riserva legale, e sempre in conformità all’articolo 7 della Legge sul

Controllo Bancario di cui sopra, gli istituti bancari operanti in Arabia Saudita

mantengono con la SAMA una riserva di liquidità, vale a dire una certa

percentuale del totale dei depositi bancari a breve termine che possono essere

convertiti in contanti entro un mese.

Ne consegue, pertanto, che la liquidità disponibile per le banche operanti nel

Regno, che può essere utilizzata in operazioni di prestito, è rappresentata dalla

differenza tra il totale dei depositi ed il totale degli obblighi di riserva.

Per quanto attiene ai contratti di pronti contro termine su titoli di Stato, essi

rappresentano uno strumento importante a disposizione della SAMA per gestire la

liquidità interna.

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Tale strumento, difatti, può essere utilizzato con il preciso obiettivo di iniettare

liquidità nel sistema bancario o di assorbire liquidità da esso.

Infine, i contratti Fx swap e Reverse Fx swap nel mercato dei cambi, valutati

sulla base dei tassi di interesse di mercato, hanno lo scopo di influenzare i flussi di

capitali riducendo le turbolenze di politica monetaria, in quanto caratterizzati da

una maggiore flessibilità in termini sia di maturity che di volume.

In particolar modo, tali contratti vengono utilizzati quando il Riyal saudita è

esposto a pressioni speculative, fornendo al sistema bancario la liquidità

necessaria per far fronte a questi casi improvvisi.

Inoltre i contratti Fx swap vengono utilizzati in modo efficace anche dalle banche

commerciali al fine di gestire al meglio la propria liquidità e proteggere dal

rischio di cambio le proprie posizioni finanziarie già aperte sui mercati valutari.

2.1.2 Central Bank of Iran (CBI)

La “Bank Markazi Jomhouri Islami Iran” è la Banca Centrale della Repubblica

Islamica dell’Iran, più comunemente nota come Central Bank of Iran (CBI).

È stata istituita nel 1960 e, come precisato dal Monetary and Banking Act of

Iran (MBAI), la CBI è responsabile per la progettazione e l’attuazione delle

politiche monetarie e creditizie nel rispetto della politica economica generale del

Paese in cui opera.

I quattro obiettivi principali della CBI, indicati dal MBAI, sono:

mantenere stabile il valore della moneta nazionale (Riyal iraniano);

mantenere l’equilibrio della bilancia dei pagamenti;

agevolare le transazioni commerciali;

migliorare il potenziale di crescita del Paese.

Per raggiungere tali obiettivi, la CBI può svolgere le seguenti funzioni:

emettere banconote e monete;

vigilare su banche ed istituti di credito;

emanare disposizioni in merito alle operazioni di politica monetaria.

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La Banca Centrale dell’Iran può, pertanto, ricorrere direttamente alla propria

autorità o influenzare le condizioni del mercato monetario indirettamente in

qualità di emittente di denaro.

Difatti, la CBI ricorre a due differenti tipologie di strumenti di politica monetaria:

strumenti diretti (non market-oriented);

strumenti indiretti (market-oriented).

I primi comprendono:

tassi di profitto bancari;

massimali per il credito.

Entrambi sono opportunamente regolati dall’articolo 14 della Legge bancaria

antiusura iraniana la quale precisa, rispettivamente, che la determinazione dei tassi

di profitto bancari o dei tassi di rendimento attesi sui servizi bancari viene affidata

al Money and Credit Council (MCC) ma che, tuttavia, la CBI può intervenire per

determinare questi tassi, sia per progetti di investimento, sia per altri servizi

prestati dal sistema bancario in genere.

Inoltre, la CBI può supervisionare le relazioni monetarie e bancarie degli

operatori del settore precisandone, nella fattispecie, le modalità di utilizzo dei

fondi, nonché il calcolo dei massimali per investimenti e finanziamenti.

Per quanto attiene agli strumenti indiretti, invece, essi comprendono:

Reserve Requirement Ratio (RRR);

CBI Partecipation Papers;

Open Deposit Account (ODA).

Nel dettaglio, la Legge monetaria e bancaria dell’Iran stabilisce chiaramente

che le banche hanno l’obbligo di depositare una parte delle proprie passività

sottoforma di deposito presso la CBI la quale, attraverso l’aumento o la

diminuzione di tale rapporto, può contrarre o espandere il mercato monetario.

Inoltre, la Banca Centrale Iraniana è autorizzata a determinare il RRR in un range

che va dal 10 al 30 per cento, a seconda della composizione delle passività delle

banche e del loro specifico comparto di attività.

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Per quanto concerne i Partecipation Papers, occorre precisare che gran parte

delle decisioni di politica monetaria individuate dalla CBI vengono attuate

attraverso operazioni di mercato aperto.

Tuttavia, dopo l’attuazione della Legge bancaria antiusura, si è resa sempre più

necessaria la creazione di strumenti finanziari conformi alla Sharīca e volti allo

sviluppo di operazioni di mercato per una corretta gestione della liquidità.

In particolar modo, il principale problema si è riscontrato con gli strumenti

obbligazionari, poiché in netto contrasto con la Sharīca a causa della loro natura di

strumenti volti a corrispondere ai propri possessori un tasso di interesse prefissato.

Si è deciso, quindi, di ovviare a questa rilevante problematica attraverso la

promozione di partecipazioni societarie in attività economiche.

Inizialmente solo il MCC era autorizzato a rilasciare i titoli di partecipazione ma,

con l’attuazione della quarta Legge FYDP (Five-Year Development Plan),

l’emissione dei Partecipation Papers fu concessa anche alla CBI, previa

autorizzazione del Parlamento.

Una decisione, questa, che si è rivelata di fondamentale importanza in quanto, con

tale strumento, la CBI può influenzare il mercato monetario (in particolar modo,

l’aggregato M217) modificando, così, la base monetaria e tenendo sotto controllo

il tasso di inflazione.

Infine, una delle misure più innovative compresa negli strumenti indiretti di

politica monetaria è la possibilità, per le banche, di aprire un conto di deposito

speciale con la CBI.

Il regolamento relativo all’ODA è stato approvato dal MCC a cavallo tra il 1998

ed il1999 con l’obiettivo principale di adottare adeguate politiche monetarie per

controllare la liquidità attraverso l’assorbimento del surplus delle risorse bancarie

in circolazione e garantendo, alle banche che decidono di concorrere allo sviluppo

di questo strumento, un profitto depositario regolato da norme specifiche.

17 Secondo una definizione della BCE, l’aggregato M2 è un aggregato monetario “intermedio” che

comprende M1 più i depositi con durata prestabilita fino a due anni e depositi rimborsabili con

preavviso fino a tre mesi.

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2.2 Islamic Banking e politica monetaria europea

Lasciando temporaneamente da parte le soluzioni di politica monetaria adottate

negli Stati con economie completamente islamizzate, nei contesti convenzionali

occidentali si è posto il problema di come sia possibile armonizzare il rispetto dei

principi religiosi della Sharīca con le esigenze di gestione della liquidità comuni a

tutti gli intermediari bancari, e quindi anche a quelli islamici.

Identificando – a mero titolo esemplificativo – il sistema finanziario europeo

come peculiare modello di finanza convenzionale occidentale oggetto di analisi,

risulta importante individuare come, a livello di Eurosistema, si possano

concretamente conciliare le esigenze legislative imposte dai Regolamenti BCE

con le peculiari necessità che il modello islamico richiede.

In diretto riferimento agli strumenti di politica monetaria previsti dalla Banca

Centrale Europea (BCE), appare opportuno ricordare come la gestione operativa

della European monetary policy si basi generalmente su tre strumenti:

gestione delle riserve bancarie presso la Banca Centrale Europea;

operazioni di mercato aperto;

standing facilities, ovvero operazioni su iniziativa delle controparti18.

Ciascuno di questi strumenti è rivolto, seppur con contributi differenti, al

perseguimento dell’obiettivo principale di politica monetaria – fissato nel Trattato

sul funzionamento dell’Unione europea19, prima, e concretamente definito dal

Consiglio direttivo della BCE il 13 ottobre 1998, poi – di stabilità dei prezzi.

Il riferimento della finanza convenzionale europea a strumenti di politica

monetaria interest-based, pertanto, porta ad un’inevitabile incompatibilità con la

proibizione, sancita dai precetti islamici, del ribā, ovvero della corresponsione di

interessi, fissi o pre-fissabili, su fondi prestati ma non legati ad un’attività

economica reale.

18 Sono operazioni attivate dalle istituzioni creditizie abilitate ad operare con il SEBC.

Comprendono le operazioni di deposito overnight e le operazioni di rifinanziamento marginale. 19 art. 127 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), ex articolo 105 del Trattato

che istituisce la Comunità Europea (TCE).

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Tale problematica, infatti, determina non poche criticità nella gestione della

banca islamica, che corre sovente il rischio di trovarsi di fronte al problema della

difficoltà di procacciarsi liquidità e di mantenere elevati livelli prudenziali di

riserve in eccesso.

Nella fattispecie, la disposizione del Regolamento BCE/2003/9 di prevedere, al

pari della Saudi Arabian Monetary Agency, un regime di riserva obbligatoria

presso la Banca Centrale, con remunerazione al tasso ufficiale della BCE, trova la

sua peculiarità nella possibilità, riservata alla BCE stessa, di esentare delle

istituzioni, in via eccezionale e residuale, o di detenere la riserva obbligatoria

presso la Banca Centrale in via indiretta, tramite un intermediario.

Alla luce di tale previsione, appare subito evidente come tale disposizione sia del

tutto in contrasto con il suddetto divieto di ribā, in quanto viene espressamente

prevista una remunerazione ad un tasso di interesse prefissato.

Pertanto, vista l’impossibilità, per gli intermediari islamici, di usufruire

dell’esenzione dettata dal suddetto Regolamento BCE per assenza di opportuni e

specifici requisiti, risulta vincolante la necessità di adempiere all’obbligo di

costituire la riserva obbligatoria da parte di questi soggetti per via diretta, o per il

tramite di un intermediario, con esplicita rinuncia alla remunerazione della stessa.

Per quanto riguarda, invece, gli altri strumenti di politica monetaria, ed in

particolare le operazioni di rifinanziamento principale e di mercato aperto – per le

quali è richiesto il requisito dell’adesione al regime della riserva – anch’esse

risulterebbero in contrasto con il divieto di ribā, ma la conseguenza di tale

conflitto apparirebbe ancora più preoccupante.

Infatti, la non fruibilità di tale specifico strumento di politica monetaria

comporterebbe, per le banche islamiche operanti nell’Eurozona, da un lato

maggiori criticità in relazione al rischio liquidità, ma tuttavia non sarebbe

impedito loro di operare nello Spazio Economico Europeo al pari degli istituti

finanziari appartenenti ai Paesi membri dell’Unione (Miraglia, 2013).

Stesso vale per le standing facilities e le lending o deposit facilities, tutte sempre

basate su tassi di interesse calcolati applicando uno spread al tasso ufficiale.

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Ne risulta, pertanto, che le banche islamiche possono arginare tale problematica

ricorrendo a meccanismi di business-combination con banche occidentali

tradizionali per far fronte ad improvvise crisi di liquidità o bisogni di cassa.

In tal caso, infatti, spetterebbe alla holding contrastare le impreviste esigenze di

disponibilità immediate delle partecipate.

Altra modalità molto diffusa nella pratica, commerciale e finanziaria, per il

reperimento di fonti è il ricorso a contratti di finanziamento, Sharīca-compliant,

dei quali si parlerà più dettagliatamente nel corso del terzo capitolo dedicato ai

prodotti ed agli strumenti finanziari islamici.

2.3 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello globale

Ad oggi, nel mondo, il numero di musulmani si aggira intorno a 2,04 miliardi,

cioè circa il 28,3% della popolazione globale (Cfr. Tabella 2.1).

A livello finanziario, invece, è possibile contare più di 350 Islamic Financial

Institutions (IFI) in circa 50 paesi nel mondo, con asset stimati per il 2010 pari a

1000 miliardi di dollari, ed asset potenziali stimati per il 2020 pari a 5000 miliardi

di dollari (Deloitte Consulting, 2010).

La finanza islamica, dopo essersi sviluppata in Asia – con particolare

riferimento ai Paesi del Gulf Cooperation Council (GCC)20 e alla Malesia – sta

trovando sempre maggiore diffusione in altre aree del mondo come il Nord

Africa, gli Stati Uniti d’America, l’Australia ed il Canada, oltre che in Europa

dove molti Paesi, come è stato già visto, stanno trovando valide soluzioni per

recepire tale operatività, e dei quali si parlerà con maggior cura nel corso del

successivo paragrafo.

Dove la presenza di immigrati di religione islamica è più rilevante, le banche

occidentali si stanno, quindi, attrezzando per raggiungere direttamente la clientela

musulmana, eliminando il passaggio attraverso intermediari bancari islamici

operanti nei Paesi musulmani e meritando, così, una più accurata osservazione.

20 Il Consiglio per la Cooperazione nel Golfo è stato istituito nel maggio del 1981 dai Paesi

arabi facenti parte del Golfo Persico (con eccezione dello Yemen), quali Arabia Saudita,

Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman e Qatar.

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Tabella 2.1 - Popolazione musulmana nel mondo (2014)

CONTINENTE POPOLAZIONE TOTALE

(MILIONI)

NUMERO DI MUSULMANI

(MILIONI) % MUSULMANI

Africa 1096,60 581,58 53,04

Asia 4319,96 1389,50 32,16

Europa 739,31 56,18 7,60

Nordamerica 469,10 8,04 1,80

Sudamerica 488,50 2,07 0,42

Oceania 38,04 1,77 0,67

TOTALE 7151,51 2038,04 28,26

Fonte: www.muslimpopulation.com

Secondi solo all’Europa per numero di popolazione musulmana, gli Stati Uniti

d’America hanno notevolmente ridimensionato l’esigenza di un approccio al

sistema finanziario islamico a seguito degli eventi dell’11 settembre 2001 in

quanto, incoraggiati dai pareri dei media, molti americani hanno spesso assimilato

tale pratica operativa ad un vero e proprio sistema volto al finanziamento del

terrorismo internazionale (Hassan & Lewis, 2007).

Ciononostante, anche negli Stati Uniti sono presenti realtà finanziarie legate al

mondo islamico e, fra tutte, merita una particolare menzione LARIBA, ovvero la

più antica istituzione finanziaria islamica negli Stati Uniti.

LARIBA, a dispetto di quanto sia facile pensare, è l’acronimo di Los Angeles

Reliable Investment Bankers Association, e rappresenta la più antica American

Finance House fondata da un gruppo di musulmani americani nel 1987 a

Pasadena, una piccola comunità a nord di Los Angeles.

Anche se inizialmente aveva la possibilità di operare solo in California, nel

2005 LARIBA ha ottenuto la licenza di condurre i propri affari in ogni Stato

americano, fatta eccezione per il territorio di New York.

Assieme ad essa, anche la Devon Bank di Chicago e la Guidance Financial

Group della Virginia, forniscono al proprio bacino di clientela strumenti finanziari

islamici, nonché servizi legati principalmente all’home finance ed al vehicle

finance, volti a soddisfare le esigenze di clienti sia retail che corporate.

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Tuttavia, per quanto attiene le altre aree geografiche appartenenti al territorio

occidentale, non si rilevano attualmente forti sviluppi della pratica bancaria

islamica a causa, per lo più, della scarsa diffusione di un ragguardevole indice di

cultura finanziaria tra gli investitori non musulmani, nonché dell’esiguo livello di

popolazione dei fedeli islamici nelle suddette aree.

Di particolare valore, invece, appare l’analisi del territorio europeo che, vista

l’alta concentrazione di popolazione musulmana presente al suo interno,

rappresenta la zona occidentale ospitante il maggior numero di istituti finanziari

islamici, frutto di importanti esperimenti di globalizzazione che hanno ottenuto un

esito positivo, e capaci di rappresentare un valido esempio per il resto del mondo.

2.4 Sviluppo dell’Islamic Banking a livello europeo

L’Europa rappresenta, già da diversi anni, il territorio appartenente all’area

occidentale caratterizzato dal maggior numero di casi di istituzione di operatori

finanziari islamici con più ampio bacino di clientela.

Nel territorio europeo si evidenzia, tra l’altro, un crescente interesse per i

prodotti finanziari islamici anche da parte della popolazione non musulmana, vista

la sicurezza che i prodotti shariatici promettono di offrire sia in termini etici che

di crescita e sviluppo dell’economia reale.

I principali player europei per grado di sviluppo della finanza islamica sono il

Regno Unito, la Germania, la Francia, il Lussemburgo, l’Irlanda, la Svizzera, la

Spagna e Malta, sebbene anche la Francia e l’Italia stiano muovendo, seppur

piccoli, passi positivi verso l’adozione di questo particolare modello bancario.

Sicuramente, comunque, spetta al Regno Unito il primato europeo in tema di

avanguardia nei confronti dell’istituzione di intermediari bancari islamici, con ben

cinque Islamic Banks (1 retail e 4 wholesale) che operano in Gran Bretagna con la

stessa licenza bancaria delle banche convenzionali (Deloitte Consulting, 2010).

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La nascita, nel 2004, della Islamic Bank of Britain (IBB)21, ad opera di un gruppo

di investitori del Golfo, ha rappresentato un cruciale punto di svolta per una vera e

propria operazione pioneristica che ha dato avvio alla diffusione della finanza

islamica in territorio europeo.

L’iniziativa, partita nel 2002 e concretizzatasi nell’agosto del 2004 con

l’autorizzazione della Financial Services Authority (FSA), ovvero l’autorità di

vigilanza anglosassone, vede come fruitore principale dei propri servizi la

comunità britannica musulmana ma, sicuramente degno di nota, è anche l’insieme

di tutti i non-islamic custostomers che essa accoglie positivamente al suo interno.

La Islamic Bank of Britain attualmente offre la più ampia gamma di prodotti

Sharīca-compliant rivolti a clienti retail del Regno Unito.

Fra questi sono compresi strumenti basilari come conti correnti e conti di deposito

a risparmio, senza trascurare prodotti più complessi volti a soddisfare le molteplici

esigenze di finanziamento della clientela.

Ciò che rende particolarmente importante la IBB è il fatto di essere stata la prima

banca del Regno Unito ad introdurre un tipo di attività incentrata sui precetti

islamici e, per tale motivo, attualmente rappresenta un punto di riferimento per

un’ampia gamma di consumatori, sia a livello privato che istituzionale.

Un’altra realtà britannica degna di menzione è quella della HSBC Bank, la quale

ha avuto come principale punto di forza la presenza, dal 1998 al 2012, di una

divisione dedicata prettamente alla finanza islamica: la HSBC Amanah.

La scelta di revisione strategica, come si può apprendere dal sito internet del

Gruppo bancario, ha comportato «l’impossibilità di offrire prodotti e servizi

conformi alla Sharīca in Paesi come Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Bahrain,

Bangladesh, Indonesia, Singapore e Mauritius, restando attiva solo in Malesia ed

in Arabia Saudita».

Ciò nonostante, come si evince da un articolo del Financial Times risalente alla

chiusura delle suddette sedi di HSBC Amanah, la banca rimane – secondo i dati

Bloomberg – uno dei più grandi player dell’Islamic corporate and investment

banking, soprattutto in termini di emissione di sukuk, ossia i bond islamici dei

quali si parlerà meglio nel corso del prossimo capitolo (Jenkins & Hall, 2012). 21 Il 23 ottobre 2014 la Islamic Bank of Britain ha annunciato la decisione di cambiare il suo nome

in Al Rayan Bank PLC. La modifica sarà completata nel dicembre 2014.

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Passando alla Germania, la quale opera esclusivamente con Islamic Windows22,

è opportuno sottolineare come essa sia stata il primo Paese in Europa ad emettere,

nel 2004, un bond islamico governativo con valuta europea.

Nel 2009, la Federal Financial Supervisory Authority (BaFin) tedesca ha

accettato la richiesta, avanzata da un’istituzione finanziaria straniera, di effettuare

operazioni bancarie all’interno del Paese europeo in accordo con i princìpi

islamici. Tuttavia, senza una licenza bancaria completa, la gamma di prodotti

offerti è rimasta decisamente limitata (di Mauro, 2013).

Le prospettive di sviluppo della finanza islamica in Germania sono piuttosto

solide per diverse motivazioni.

In primo luogo, la Germania è la più grande economia europea e, anche per tale

motivazione, rappresenta un territorio in cui il mercato islamico potrebbe avere

una valida prospettiva di crescita sebbene non vanti una delle più grandi

percentuali di popolazione islamica (4,03 milioni di musulmani, contro i 6,13

milioni della Francia e 2,95 milioni del Regno Unito)23.

In secondo luogo, gli investitori tedeschi potrebbero utilizzare le istituzioni che

offrono soluzioni di finanza islamica come fonti alternative di finanziamento e,

quindi, migliorare e diversificare ulteriormente il proprio profilo di rischio.

Infine, appare opportuno sottolineare come i prodotti islamici abbiano come

principale vantaggio quello di rafforzare i legami commerciali con Paesi come la

Turchia, partner commerciale attivamente impegnato con la Germania e

caratterizzato da un mercato finanziario islamico in forte sviluppo.

Spostando l’attenzione verso la Francia, invece, si può rilevare come lo

sviluppo della finance islamique sia dovuto principalmente al forte sostegno che

le autorità francesi hanno dato a questo particolare segmento in evoluzione,

creando un ambiente adeguato ed accogliente volto al suo sviluppo in questo

Paese europeo.

22 L’Islamic Window è il reparto di una banca tradizionale che offre servizi finanziari islamici. 23 Fonte dei dati: www.islamicpopulation.com

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Nel 2010, un accordo tra Paris Europlace e l’AAOIFI24 ha sancito un punto di

partenza volto allo sviluppo dell’Islamic banking in Francia, vista anche la

precedente istituzione, nel dicembre 2009, dell’Institut français de finance

islamique, un’organizzazione che ha lo scopo di promuovere e sostenere lo

sviluppo della finanza islamica in Francia e nel mondo.

Tuttavia, rispetto agli altri Stati membri dell’Eurozona, la Francia si colloca

ancora in una fase embrionale per lo sviluppo di tale pratica finanziaria.

Negli ultimi anni, ciò nonostante, le autorità di regolamentazione francesi hanno

adottato una serie di misure, soprattutto fiscali, volte a promuovere il

finanziamento islamico nel Paese, anche per mezzo della contrattazione di

strumenti finanziari islamici sui mercati regolamentati.

Nel giugno del 2011, la Francia ha assistito all’introduzione del primo sistema di

deposito islamico gestito da una banca tradizionale, il quale è stato accolto in

maniera nettamente positiva da parte dei clienti retail francesi (di Mauro, 2013).

Col passare degli anni, in ogni caso, la finanza islamica sembra avere un buon

potenziale di crescita nel territorio francese.

Infine, sicuramente degna di nota è la situazione italiana che, seppur dai tratti

incerti, vanta già diverse realtà finanziarie shariatiche che promettono un concreto

ed imminente sviluppo del fiorente mercato islamico capace di distinguersi

verosimilmente finanche a livello europeo.

2.5 Sviluppo dell’Islamic Banking in Italia

Il recente Turin Islamic Economic Forum, tenutosi nel capoluogo Piemontese il

17 e 18 novembre 2014, ha confermato la concreta volontà, da parte del mercato

economico italiano, di aprire i propri orizzonti a realtà finanziarie differenti da

quelle convenzionali.

L’iniziativa, organizzata dal Comune di Torino, dimostra, infatti, che il tema è

di saliente importanza non soltanto nel mondo accademico, vista l’alta affluenza

di rappresentanti di aziende ed istituzioni bancarie già operanti in tale direzione.

24 L’Accounting & Auditing Organization for Islamic Financial Institutions (AAOIFI) è un

organismo non-profit con la funzione di elaborare ed emettere standard contabili, etici e di

governance societaria relativi alle attività svolte dalle istituzioni finanziarie islamiche.

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Come evidenziano le parole di Maurizio Tamagnini – CEO del Fondo

Strategico Italiano (FSI) nonché Presidente della IQ Made in Italy Investment

Company, recente Joint Venture tra Fondo Strategico Italiano e Qatar Holding:

«L’asse tra finanza islamica e Made in Italy è funzionale ai nostri interessi e

complementare ai loro obiettivi» (Ferrando, 2014).

Inoltre, la crescente nascita di web magazines in lingua italiana dedicati alla

finanza islamica, nonché di centri di ricerca accademici e di corsi volti ad

approfondire tale tematica, testimoniano il forte interesse verso questo nuovo

modello economico-finanziario che sta prendendo sempre più piede nel contesto

italiano viste, soprattutto, le prospettive di sviluppo che esso può generare.

Afferma, infatti, Paolo Biancone – direttore del Centro di Ricerca Osservatorio

sulla Finanza Islamica all’Università degli Studi di Torino, nonché Editor in

Chief dello European Journal of Islamic Finance: «Conoscere la finanza islamica

è un presupposto fondamentale per essere competitivi e produttori di ricchezza»

(Habibeddine, 2014).

Un dato, questo, che può trovare conferma nell’evidente presenza di una forte

concentrazione, già nel 2010, della popolazione musulmana nelle regioni italiane.

Figura 2.2 - Musulmani per regione su totale musulmani in Italia

Fonte: Deloitte Consulting (2010), Finanza islamica. Niente interessi, ma grande interesse, disponibile su

www.deloitte.com.

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Indubbio è che ad oggi l’Italia, sebbene non ospiti istituti finanziari islamici

indipendenti rispetto agli attuali operatori convenzionali, pone sempre più

l’attenzione verso il mondo finanziario islamico, in quanto interessata ad

espandere tale segmento dell’economia al proprio interno soprattutto sotto tre

differenti profili (Alvaro, 2014):

offerta di prodotti e servizi finanziari islamici;

raccolta di capitali da soggetti islamici mediante l’utilizzo di prodotti di

finanza convenzionale capaci di rispettare le regole di finanza islamica;

investimenti effettuati in Italia da soggetti appartenenti al mondo islamico,

nel rispetto delle regole di finanza convenzionale, senza vincoli islamici.

Ciò nonostante, il principale settore in cui la finanza islamica al momento

risulta particolarmente sviluppata nel contesto italiano è sicuramente quello dei

mercati mobiliari, vista la presenza delle italiane Diasorin, Luxottica, Moncler,

Parlmalat, Recordati, Salvatore Ferragamo e Tod’s nel Dow Jones Islamic Index,

ovvero l’indice mondiale delle 2510 società capaci di rientrare nei canoni halāl

fissati dalla finanza islamica (Massaro, 2014).

Il team di appena trenta dottori, considerati fra i più autorevoli sul tema a livello

internazionale, ha emesso il proprio parare legale positivo nei confronti delle

suddette società italiane, il quale vale come vera e propria garanzia per gli

investitori musulmani.

Ma il Dow Jones Islamic Index non rappresenta l’unica realtà finanziaria in cui

sono presenti delle società italiane.

Infatti, spostando l’attenzione sul Ftse Shariah All World è possibile trovare ben

tredici società italiane conformi ai princìpi della Sharīca, quali Buzzi Unicem,

Enel, Enel Green Power, Eni, Exor, Fiat, Luxottica, Parmalat, Pirelli, Prysmian,

Saipem, STMicroelectronics e Tenaris (Massaro, 2014).

Come è facile evincere dalla Figura 2.3, a dispetto di quanto accaduto ai mercati

mobiliari a seguito dello scoppio della bolla finanziaria del settembre 2008, il

settore della finanza islamica ha sempre proseguito il suo trend positivo, con

performance finanche superiori rispetto a quelle del mercato tradizionale.

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Figura 2.3 – Confronto tra il DJIM ed il GDOW

Fonte: MASSARO F. (2014), La Consob studia la finanza islamica. Ecco la lista dei titoli italiani

certificati, Corriere della Sera, 20 Luglio 2014.

Di conseguenza, vista la situazione attuale nel contesto italiano, risulta

sicuramente encomiabile la persistente presenza di alcune delle principali società

italiane a maggiore capitalizzazione in indici di finanza islamica ma, ciò

nonostante, il superamento delle difficoltà normative riguardanti il sistema

bancario italiano risulta sempre più necessario ed auspicabile, non solo per attrarre

nuovi investimenti, ma soprattutto per apportare maggiore liquidità al sistema

economico con la conseguente riduzione del costo del capitale per le aziende.

Un’intesa, quella tra economia italiana e finanza islamica, che si prospetta essere

un vero e proprio punto di svolta per la rinascita dell’economia reale del Paese.

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CAPITOLO 3 – CONTRATTI E STRUMENTI FINANZIARI ISLAMICI

3.1 I principali contratti di finanza islamica

Gli istituti bancari islamici operanti nel mercato finanziario internazionale sono

parte integrante, ad oggi, di una vasta gamma di accordi giuridici, conformi alla

Sharīca, architettati sulla base di alcune delle più note forme contrattuali tipiche

della finanza islamica, che verranno qui di seguito esaminate dettagliatamente.

3.1.1 Musharakah: accordo di joint venture

Il termine arabo musharakah è letteralmente traducibile in lingua italiana come

“associazione” e, per questo motivo, è riconducibile ad una delle basilari forme

contrattuali pienamente conformi al principio coranico del profit and loss sharing

(PLS), di cui si è già detto nel corso del primo capitolo.

In termini economici, questa particolare tipologia contrattuale può essere

ricondotta alla partecipazione societaria in cui due o più soggetti apportano il

proprio capitale di rischio, finalizzato alla realizzazione di un’attività, affidandone

la gestione al prenditore di fondi, così come evidenziato dalla Figura 3.1.

Figura 3.1 – Schema di funzionamento del contratto di musharakah

Fonte: www.deloitte.com.

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La principale particolarità di questo contratto è che i profitti derivanti da tale

compartecipazione vengono distribuiti in base ad un accordo, mentre le perdite

sono ripartite secondo quanto conferito dai soggetti che vi prendono parte, motivo

per cui il musharakah è considerato un contratto a partecipazione di parità.

Altro importante vantaggio legato al contratto di musharakah è rappresentato

dal fatto che il soggetto finanziatore che apporta il proprio capitale può contribuire

all’investimento non solo mediante versamenti in denaro, ma anche con il proprio

lavoro, attraverso la locazione di macchinari o attrezzature, oppure direttamente

con beni conferiti in natura.

Identificati i principali tratti distintivi di tale contratto è, quindi, facile

identificare la banca come principale entità capace di destinare la quota capitale

necessaria a finanziare l’attività dando vita, così, ad una vera e propria

partnership con l’imprenditore.

È opportuno precisare, tuttavia, che nel musharakah la banca potrebbe non essere

la sola finanziatrice del progetto, come invece avviene in altre tipologie

contrattuali delle quali si parlerà a breve.

Il contratto, inoltre, può prevedere un potere di esercizio di voto, nonché di

partecipazione alla gestione, da parte dei soggetti finanziatori, determinato sulla

base delle quote detenute dagli stessi, motivo per cui il musharakah viene più

comunemente assimilato ad un accordo di joint venture o di project financing.

Un tipico esempio di contratto musharakah può essere quello in cui «la banca

mette a disposizione di un contadino un certo patrimonio di base, come aratri,

trattori, pompe di irrigazione, e così via, nonché una parte di capitale d’avvio

sottoforma di carburante, sementi, pesticidi e fertilizzanti. Il capitale del contadino

è limitato alla fornitura della terra, del proprio lavoro e della gestione. Trattandosi

di un contratto di associazione, non vi è bisogno di collaterals o di altre garanzie

oltre a quelle personali. I profitti vengono divisi tra il contadino e la banca, in

modo tale che l’agricoltore venga pagato dapprima col 30% del profitto netto per

la sua gestione, mentre il restante 70% viene diviso tra la banca e il contadino con

una rateizzazione basata sulla ripartizione dell’equity» (Ahmad, 1993).

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3.1.2 Mudarabah: società in accomandita semplice

Anche il mudarabah si configura come un contratto basato sul principio

coranico del profit and loss sharing (PLS) e, per tale motivo, come si vedrà a

breve, presenterà molti tratti in comune con il contratto di musharakah.

Il mudarabah coinvolge due soggetti:

il Rabb-ul-Maal, ovvero il finanziatore, proprietario del capitale;

il Mudarib, ossia l’imprenditore, cui è affidata la gestione.

Il finanziatore fornisce il capitale per intero, mentre l’imprenditore apporta la

propria esperienza e capacità operativa, idonee per investire il capitale in un

progetto economico volto all’ottenimento di un ritorno redditizio, senza

pretendere alcun compenso per la concreta gestione dell’operazione.

Figura 3.2 – Schema di funzionamento del contratto di mudarabah

Fonte: www.deloitte.com.

Gli utili realizzati vengono ripartiti tra il finanziatore e l’imprenditore secondo

una proporzione stabilita ex ante, nel momento della stipulazione del contratto.

Tuttavia è opportuno precisare che, in caso di profitto, viene condivisa tra i due

soggetti solo una percentuale del margine di utile, e non l’intera somma.

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In caso di perdita, invece, di distinguono due casi:

se questa è legata alla normale incertezza presente nelle operazioni di

investimento, il Rabb-ul-Maal perde tutto il capitale apportato, mentre

l’imprenditore subisce una perdita in termini di tempo e sforzi impiegati;

se la perdita è causa di una comprovata negligenza o cattiva gestione del

Mudarib, questo può essere ritenuto responsabile del danno economico e,

pertanto, identificato come unico responsabile tenuto a ricompensare il

finanziatore delle perdite subite.

Per tale motivo, i contratti mudarabah sono considerati ad alto rischio e,

dunque, oltre ad essere assimilati ad un più convenzionale schema di società in

accomandita semplice, vengono spesso ricondotti, da molti studiosi, ad accordi

volti alla gestione finanziaria di fondi comuni di investimento.

Essendo mudarabah e musharakah basati sul principio di PLS, è opportuno

sottolinearne alcune differenze, così come esposto nella Tabella 3.1:

Tabella 3.1 – Principali differenze tra mudarabah e musharaka

MUSHARAKAH MUDARABAH

Investimento Effettuato da tutti i soggetti che

prendono parte al contratto Effettuato soltanto dal Rabb-ul-Maal

Gestione Possono prendervi parte tutti i

soggetti partecipanti Solo il Mudarib ha diritto di gestione

Responsabilità Illimitata per tutti i partners Limitata al finanziatore per la parte

del suo investimento

PLS

Profitti distribuiti secondo accordi

Perdite distribuite in base alle quote

di partecipazione dei partners

Rabb-ul Maal: beneficia di margini

di profitto o perde l’intero capitale

Mudarib: beneficia di margini di

profitto, ma non incorre in perdite

economiche se non per negligenza

Fonte: elaborazione propria.

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3.1.3 Murabahah: contratto di mutuo bancario atipico

Il murabahah rappresenta la principale forma di finanziamento islamico

rientrante nella categoria dei contratti non-profit and loss sharing (non-PLS).

Nella fattispecie, esso si configura come un contratto del tutto particolare in

quanto capace di eludere una delle problematiche principali affrontate dalle

Islamic banks, ovvero il divieto, stabilito dalla Sharīca, di non poter prestare

direttamente alcuna somma di denaro ricavandone un surplus economico.

Per tale motivo, la banca ovvia a tale questione acquistando direttamente il bene

che il cliente avrebbe comprato con il denaro ricevuto in prestito, per poi

rivenderlo al cliente stesso aggiungendo un margine di utile (spesso indicato come

mark-up) ad un prezzo più alto, concordato ex ante, che può essere corrisposto

anche ratealmente.

Figura 3.3 – Schema di funzionamento del contratto di murabahah

Fonte: www.deloitte.com.

Questa tecnica, pertanto, risulta ammissibile in quanto la banca, acquistando il

bene oggetto del contratto, non solo sopporta un rischio legato all’acquisizione del

bene prima della concreta controproposta di vendita al cliente specifico, ma

soprattutto perché essa è vincolata a tenere un alto livello di trasparenza con i

propri clienti ai quali deve comunicare, ex ante, l’ammontare esatto del proprio

ritorno economico per accordare questo tipo di operazione.

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Nella realtà operativa, pertanto, si ricorre molto spesso a questa tipologia

contrattuale per finanziare l’acquisizione di cespiti o di investimenti relativi ad

attività imprenditoriali.

La specificità di questa forma contrattuale è legata al rispetto del principio

shariatico secondo cui, una delle condizioni più importanti per la validità di un

contratto di vendita, è che l’oggetto di scambio sia di proprietà del venditore, che

deve detenerne anche il possesso fisico, poiché la merce deve già esistere al

momento della stipula contrattuale, come fissato dal divieto di gharār del quale si

è parlato nel corso del primo capitolo.

L’elemento essenziale della transazione, pertanto, è legato alla proprietà della

merce la quale resta del finanziatore dal momento dell’acquisto del bene fino

all’atto della sua concreta rivendita al cliente specifico, con tutti i rischi annessi.

3.1.4 Salam e Istisna’: eccezioni al divieto di gharār

Nonostante il suddetto divieto di gharār, nel contesto islamico esistono due

particolari eccezioni ad esso, ovvero i contratti di salam e istisna’.

Il contratto salam consiste in una compravendita in cui il venditore si impegna a

fornire all’acquirente, ad una data futura ed in un luogo prestabiliti, dei beni

specifici in cambio di un pagamento immediato (o entro un massimo di tre giorni),

da effettuarsi in sede contrattuale.

Lo scopo di tale contratto è quello di soddisfare l’immediato bisogno di

liquidità da parte del venditore, il che collima con l’impossibilità contrattuale di

provvedere ad un pagamento rateale.

Inoltre, la merce oggetto del contratto deve essere definita puntualmente, nel

modo più dettagliato possibile, specificandone l’esatta quantità e qualità.

Questo tipo di contratto, in passato, veniva applicato soprattutto al commercio

di prodotti agricoli, in quanto offriva il duplice vantaggio di aiutare i piccoli

contadini che necessitavano di denaro per coltivare i propri terreni, oltre a fornire

la possibilità, per l’acquirente, di bloccare il prezzo del bene, proteggendolo da

futuri incrementi.

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Il contratto salam, recentemente, ha conosciuto un ulteriore sviluppo nella

pratica finanziaria con il c.d. salam parallelo, che consiste nella simultanea

applicazione di due contratti indipendenti di tipo salam riguardanti lo stesso bene.

Figura 3.4 – Schema di funzionamento del contratto di salam parallelo

Fonte: www.deloitte.com.

Nel salam parallelo la banca si impegna – con un primo contratto salam – a

ricevere, da un fornitore terzo, una merce la cui descrizione è identica a quella dei

beni che devono essere acquistati – mediante un secondo contratto salam,

indipendente dal primo – dall’acquirente finale con cui si è stipulato il secondo

contratto.

Pertanto, quando l’acquirente principale necessita di finanziamenti, ricorre ad

un istituto bancario che stipula con esso un contratto in cui si impegna a

procurarsi, e a consegnare, una determinata merce all’acquirente, a fronte di un

pagamento immediato in loco.

Successivamente, con un altro contratto indipendente dal primo, la banca, in

qualità di acquirente, si rivolge al produttore della merce oggetto del primo

contratto, ordinandone la consegna, ad una data stabilita, a fronte di un pagamento

immediato in un’unica soluzione.

Essendo formato in due transazioni commerciali complete ed indipendenti, il

salam parallelo rende entrambi gli accordi leciti dal punto di vista coranico.

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Il prezzo pagato dall’acquirente principale è superiore rispetto a quello pagato

dall’ente finanziario nel secondo contratto e, pertanto, la differenza tra i due

importi rappresenta il compenso di quest’ultimo per il servizio reso.

Il contratto istisna’, invece, consta in un accordo di vendita in cui la merce

viene negoziata prima che essa esista fisicamente.

Pertanto l’acquirente commissiona ad un fornitore la produzione di un

determinato bene, fissandone le caratteristiche, il prezzo e le modalità di

pagamento, dal momento che non è richiesto in via anticipata.

Altra differenza con il contratto salam è che la consegna non deve essere fissata

nel momento in cui viene stipulato il contratto, ma si può prevedere una durata

massima entro la quale essa deve avvenire, e finanche una penale in caso di

ritardo di quest’ultima.

Ciascuna parte gode del diritto di recedere dal contratto prima che inizino i

lavori di produzione mentre, sul produttore, vige l’obbligo morale di fornire il

bene come da preciso accordo, utilizzando materiali di sua specifica proprietà in

quanto, se appartenessero all’acquirente, si configurerebbe un’altra tipologia

contrattuale (Ijarah), della quale si parlerà a breve.

I contratti istisna’ si adattano, pertanto, molto bene al finanziamento di lavori in

corso su ordinazione legati, per esempio, allo sviluppo di progetti infrastrutturali.

Anche in questo caso è possibile individuare una particolare forma contrattuale

di c.d. istisna’ parallelo – progettata secondo lo stesso schema, modificato solo

per tipologia contrattuale, analizzato nella Figura 3.4 – in quanto il soggetto

finanziatore è generalmente rappresentato da una banca, la quale ricorrerà ad un

costruttore esperto poiché priva di specifiche competenze tecniche volte alla

costruzione di un bene o di un immobile.

Anche in questo caso, tuttavia, elemento essenziale per la liceità contrattuale è

l’indipendenza tra i due contratti istisna’ condotti in parallelo.

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3.1.5 Ijarah: contratto di leasing

Il contratto ijarah rappresenta una particolare forma di istituto giuridico

islamico suscettibile di una duplice interpretazione. Si distingue, infatti, in:

Ijarah tul-amal, ovvero un contratto di lavoro;

Ijarah tul-ain, ovvero un contratto di leasing.

Nella sua prima accezione, l’ijarah si riferisce all’accordo relativo alla

prestazione di un servizio professionale, opportunamente ricompensato, statuìto

due soggetti:

il musta’jir, ovvero il datore di lavoro;

l’ajir, ovvero il lavoratore.

In tale configurazione, pertanto, l’ijarah può essere agevolmente imputato a

qualsiasi accordo nel quale si ricorre al servizio di un professionista come, ad

esempio, un avvocato o un medico.

Nella sua seconda accezione, invece, l’ijarah viene ricondotto ad un accordo di

usufrutto su beni e proprietà, mobili o immobili, caratterizzato dalla presenza di

tre elementi essenziali ed un elemento accessorio:

il mu’jir, ovvero il proprietario del bene;

il mustajir, ovvero il beneficiario del bene;

l’ujra, ovvero il canone periodico che il beneficiario del bene deve

corrispondere al proprietario dello stesso;

l’eventuale presenza di un intermediario che regoli i rapporti tra il

proprietario ed il beneficiario del bene.

Nel caso in cui il contratto preveda esclusivamente la presenza dei primi tre

elementi, esso verrà ricondotto ad un mero contratto di leasing diretto mentre,

qualora vi sia la presenza accessoria di un intermediario finanziario, volta a

regolare il rapporto, esso potrà essere assimilato ad un contratto di leasing

finanziario, osservante lo schema di funzionamento mostrato nella Figura 3.5.

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Figura 3.5 – Schema di funzionamento del contratto di ijarah tul-ain

Fonte: www.deloitte.com.

In ultimo, appare di basilare importanza sottolineare l’esistenza, nella pratica

finanziaria, di una terza figura di tale istituto giuridico, ovvero l’Ijarah wa Iqtina.

Questo tipo di ijarah coincide con la possibilità, accordata al beneficiario del

bene, di riscattare la proprietà dello stesso al termine del periodo di locazione.

La validità di tale accordo, tuttavia, è subordinata al rispetto di tre condizioni:

la locazione ed il trasferimento del diritto di proprietà del bene, od il suo

possesso, devono essere registrati in documenti separati;

i contratti di leasing e di trasferimento del diritto di proprietà devono essere

indipendenti l’uno dall’altro, ovvero l’accordo relativo al trasferimento

finale della proprietà del bene non deve rappresentare una condizione

preliminare per la firma del contratto di leasing;

l’accordo relativo al trasferimento finale della proprietà del bene dovrebbe

essere unilaterale e vincolante soltanto per il locatore.

In relazione a quanto appena esposto, l’Ijarah wa Iqtina rappresenta la tipologia

contrattuale maggiormente utilizzata, ad oggi, nella pratica finanziaria in quanto

combina i benefici di finanziamento alla possibilità di acquisizione della proprietà

del bene oggetto del contratto.

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3.1.6 Takaful: contratto di assicurazione

Il contratto takaful rappresenta, probabilmente, uno degli accordi più insoliti

all’interno del contesto economico-finanziario islamico in quanto, essendo

assimilabile al tradizionale contratto assicurativo, sorge spontaneo chiedersi come

esso riesca ad eludere i rigorosi divieti coranici di gharār, maysir e ribā, già

precisati nel corso del primo capitolo.

Il termine arabo takaful deriva dalla parola araba kafala, la quale significa

“garanzia”, il che giustifica tale tipologia contrattuale poiché relativa a contratti

assicurativi strutturati secondo i seguenti princìpi di mutua assicurazione:

Cooperazione: gli assicurati cooperano per il loro bene comune;

Protezione: ogni assicurato versa la propria donazione per aiutare coloro

che hanno bisogno di assistenza per un evento dannoso che ha colpito la

propria salute o il proprio patrimonio;

Responsabilità: non si beneficia di alcun vantaggio a scapito degli altri;

PLS: le perdite subite vengono condivise tra gli assicurati.

Per queste motivazioni, contrariamente alle assicurazioni convenzionali, il

takaful non contiene alcun elemento proibito dalla legge islamica, in quanto

garantisce il pieno rispetto dei tre elementi che rendono le assicurazioni

tradizionali proibite (gharār, maysir e ribā,) poiché ha ad oggetto libere donazioni

che non vengono investite in strumenti finanziari basati sull’applicazione dei tassi

di interesse.

Nella realtà operativa islamica, così come in quella tradizionale, si distinguono

due tipologie di contratti takaful:

family takaful, ovvero assicurazione vita;

general takaful, ovvero assicurazione danni.

Infine, appare utile sottolineare la possibilità, da parte delle compagnie

cooperative di assicurazione, di poter usufruire anche di contratti di

riassicurazione (retakaful), ovvero di strumenti con cui queste possono assicurarsi

a loro volta per poter disporre dei mezzi necessari per indennizzare gli assicurati

contro eventi dannosi legati a calamità di grandi dimensioni e portata.

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3.2 I principali strumenti finanziari islamici

L’attuale configurazione dei mercati mobiliari internazionali vede affacciarsi, al

proprio interno, sempre maggiori strumenti finanziari basati sui precetti islamici

sebbene questi ultimi siano fortemente limitati, in particolar modo, dal divieto di

gharār che è in netto contrasto con la sempre più diffusa pratica di short selling25.

In particolar modo, il debutto di importanti colossi bancari convenzionali nel

mercato dei prodotti finanziari Sharīca-compliant26, dimostra quanto il settore

della finanza islamica stia muovendo, sempre più, importanti passi positivi verso

una sua affermazione a livello internazionale.

Appare, dunque, necessario porre l’attenzione sul dettaglio dei principali

strumenti finanziari islamici attualmente scambiati nei mercati regolamentati.

3.2.1 Sukuk: “bond” islamici

Ancor più rispetto ai prodotti assicurativi islamici citati in precedenza, i sukuk

rappresentano, senza ombra di dubbio, lo strumento di finanza islamica

maggiormente diffuso, conosciuto ed analizzato in dottrina dato il suo enigmatico

compromesso tra la corresponsione di un interesse prefissato ed il principale

divieto coranico del ribā il quale proibisce, per l’appunto, tale pratica finanziaria.

Nella realtà finanziaria, essi vengono spesso assimilati ai bond islamici, per

quanto tale paragone sia tecnicamente scorretto.

Infatti, sebbene i sukuk abbiano l’obiettivo di reperire liquidità per i possessori

mediante la sottoscrizione di strumenti finanziari, è opportuno tener presente

l’assunto per cui, nella pratica islamica, è del tutto inesistente una forma di

finanziamento elargita sottoforma di debito, in quanto l’unica ritenuta lecita è

relativa al prestito benevolo senza corresponsione di interessi.

I sukuk, pertanto, si configurano precisamente come certificati di investimento.

25 Con il termine short selling (o vendita allo scoperto) si intende un’operazione che prevede il

prestito di un certo numero di strumenti finanziari venduti sul mercato senza averne, di fatto, la

proprietà. I titoli vengono chiesti in prestito solitamente al proprio broker poiché l’investitore

ritiene che la quotazione degli stessi possa scendere nell’immediato futuro (Fontanills, 2009). 26 Risale, infatti, a settembre 2014 l’ultimo approccio della finanza convenzionale al mercato

islamico mediante l’emissione, da parte di Goldman Sachs, di sukuk quinquennali per $ 500mln.

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In particolar modo, è possibile enunciare una definizione formale per cui i

sukuk sono «certificati di pari valore rappresentanti quote indivisibili di proprietà

di beni materiali, usufrutti e servizi, od il possesso di risorse relative a progetti

specifici o particolari attività di investimento» (AAOIFI, 2008).

I sukuk sono, di conseguenza, certificati di comproprietà che forniscono ai

possessori il diritto di partecipare al finanziamento di un progetto finanziario

specifico – purché esso abbia una ricaduta tangibile positiva sull’economia reale –

ed di incassarne gli utili, senza far ricorso ad alcuna struttura interest-based.

Per tale motivazione, i sukuk rappresentano uno strumento finanziario del tutto

atipico in quanto, sebbene operino esattamente come i tradizionali titoli

obbligazionari occidentali, sono capaci di arginare il divieto di interesse mediante

l’adozione di una variabile da cui dipenderà il loro prezzo (c.d. underlying o

sottostante) rappresentata da un contratto islamico (come, ad esempio, l’ijarah).

Non essendo, quindi, il sottostante un’attività finanziaria ma un contratto

giuridico, il sukuk resta principalmente assimilabile ad un’obbligazione e non ad

uno strumento derivato27.

Una delle caratteristiche principali che differenzia i sukuk dalle convenzionali

obbligazioni è l’obbligo di trasparenza con i possessori rispetto al bene o al

patrimonio che il certificato di debito va a finanziare.

Difatti, contrariamente ai tradizionali bond, i sukuk non possono essere utilizzati

per finanziare attività generiche o non specificate dell’emittente, vista anche la

necessità di distribuire unicamente le risorse generate dall’attività finanziata,

senza ricorrere a patrimoni esterni.

Ciò rende i sukuk non concretamente assimilabili agli strumenti obbligazionari in

quanto non presentano una garanzia di ritorno del capitale investito stabilita ex

ante, ma bensì si impegnano esclusivamente a rispettare il principio di PLS al pari

della maggior parte dei contratti islamici precedentemente analizzati.

In particolar modo, è possibile riassumere brevemente i principali benefici che

colpiscono sia le Islamic Financial Institutions (IFI) e le aziende emittenti di tali

strumenti, sia gli investitori che decidono di aderirvi con il proprio capitale, così

come evidenziato nella Tabella 3.2. 27 I derivati sono strumenti finanziari il cui valore dipende da un altro bene (azioni, indici, valute,

tassi o materie prime).

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Tabella 3.2 – Benefici dei sukuk per gli emittenti e per gli investitori

ISLAMIC FINANCIAL INSTITUTIONS (IFI)

ED AZIENDE INVESTITORI

Liquidity Management

Attività finanziarie Sharīca-compliant

Fundraising

Securitisation

Negoziabilità

Gestione patrimoniale

Fonte: elaborazione propria.

Innanzitutto si registra l’indubbio vantaggio per le IFI e per le aziende di poter

gestire al meglio la propria liquidità attraverso l’emissione di tali prodotti che,

rappresentando un utile strumento di raccolta fondi, presentano il principale

beneficio di attenuare lo squilibrio presente nelle scadenze della raccolta e degli

impieghi, rispettivamente, sempre più ridotte e maggiormente dilazionate.

Inoltre, il ricorso a tecniche di cartolarizzazione per la negoziazione dei crediti sui

mercati finanziari permette di ridurre la presenza di possibili deficit finanziari,

nonché di ricorrere ad un più corretto approccio verso una gestione patrimoniale

capace di rispondere alle molteplici esigenze aziendali in continuo mutamento.

Per quanto attiene gli investitori, invece, l’alto grado di negoziabilità che

caratterizza i sukuk, nonché la loro perfetta conformità ai princìpi coranici e alla

Sharīca, rende tali prodotti altamente appetibili per molteplici fasce di finanziatori,

tenuta conto la loro appartenenza ad una asset class del tutto particolare, capace di

garantire un apprezzabile ritorno economico legato a progetti di finanziamento

etici volti al raggiungimento di aiuti concreti per lo sviluppo dell’economia reale.

Osservando il progetto che vanno a finanziare, si distinguono due tipi di sukuk:

asset-based sukuk;

asset-backed sukuk.

Negli asset-based sukuk l’emittente trasferisce solo la proprietà effettiva del

bene al titolare del sukuk, mentre ne trattiene la proprietà legale, il che è

confermato dalla permanenza del sottostante del sukuk all’interno del bilancio

dell’emittente.

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In altre parole, dal punto di vista giuridico, non si configura un’effettiva vendita, il

che comporta che i titolari del sukuk non possono vendere a loro volta il

sottostante ad un soggetto terzo, ma possono solo ricorrere all’emittente.

L’asset-backed sukuk, invece, può essere definito come un titolo emesso in

virtù di un’operazione di securitisation (Securities Commission Malaysia, 2004).

Sulla base di tale definizione, pertanto, appare chiaro come l’operazione di

cartolarizzazione rappresenti la caratteristica più importante di tale strumento.

A differenza dell’asset-based sukuk, questa differente struttura prevede una

vera e propria vendita comportante il trasferimento della proprietà legale del

sottostante legato al sukuk.

In altre parole, i titolari dei sukuk basano i propri profitti esclusivamente sulle

performance dell’attività sottostante, in quanto essa non risulta più di proprietà

dell’emittente.

Tabella 3.3 – Principali differenze tra asset-based sukuk e asset-backed sukuk

ASSET-BASED ASSET-BACKED

Fonte del pagamento Liquidità dell’emittente Entrate generate dal sottostante

Collocazione degli assets Bilancio dell’emittente Non presente nel bilancio

dell’emittente

Proprietà da parte dei

detentori del sukuk

Usufrutto senza diritto di

disposizione del bene

Proprietà legale con diritto di

disporre del bene

Ricorso All’emittente All’underlying asset

Fonte: elaborazione propria.

In generale, dunque, è pacifico constatare come gli asset-based sukuk

forniscono meno garanzie agli investitori rispetto agli asset-backed sukuk

rappresentando, così, uno strumento caratterizzato da un più alto profilo di rischio.

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3.2.2 Azioni, fondi comuni di investimento e derivati

Come ultima analisi degli strumenti finanziari islamici da esaminare, appare

indispensabile porre brevemente l’attenzione su asset come azioni, fondi comuni

di investimento e derivati, sebbene siano di gran lunga meno diffusi sui mercati

finanziari rispetto ai sopraccitati sukuk.

Difatti, la sempre più sentita necessità di reperire capitali sui mercati borsistici,

ha coinvolto anche le istituzioni e le principali organizzazioni societarie islamiche

rendendo, così, doverosa una puntualizzazione in merito al corretto utilizzo di

forme di finanziamento capaci di ricorrere al mercato dei capitali malgrado il

pieno rispetto dei princìpi coranici.

In generale, sebbene si differenzino dalla forma contrattuale del musharakah

analizzata in precedenza, le azioni rappresentano una tipologia di ricorso al

finanziamento di terzi ormai ampiamente approvata dagli Ulema.

Tuttavia, essi sottolineano la principale diversità esistente tra una partnership di

tipo islamico, la quale richiede un’adesione ed una piena partecipazione

all’iniziativa economica, ed una partnership di tipo convenzionale, che non

presuppone alcun tipo di coinvolgimento se non economico.

Per tale motivazione, infatti, il modello finanziario islamico proibisce l’utilizzo di

azioni privilegiate e di ogni altro strumento partecipativo che possa limitare il

principio di PLS.

Per quanto attiene ai fondi comuni di investimento, invece, essi vengono

maggiormente ricondotti, dalla maggior parte degli studiosi, allo schema

contrattuale dei mudarabah, in quanto prevedono la presenza di un soggetto che

decide di affidare il proprio capitale ad un gestore, in cambio delle sue

competenze e della propria esperienza professionale volta all’ottenimento di un

profitto che andrà, poi, condiviso fra i due partecipanti al contratto.

Naturalmente, presupposto imprescindibile per la validità di tale contratto nel

contesto islamico, è la scrupolosità del gestore nell’effettuare scelte di

investimento volte a finanziare progetti ed attività halāl, ovvero leciti dal punto di

vista coranico.

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Infine, breve accenno va fatto agli strumenti derivati, in quanto rappresentano

l’unico prodotto di finanza convenzionale del tutto proibito nel contesto

finanziario islamico.

Difatti, futures, opzioni, swap e ogni altro genere di derivative rappresenta un

prodotto in netto contrasto con i divieti di gharār e maysir che, invece,

caratterizzano i suddetti prodotti all’interno di un contesto convenzionale.

Unica lieve eccezione, come nei già accennati casi di salam e istisna’, è quella

relativa al forex and commodity trading in quanto, avendo ad oggetto materie

prime e monete di scambio legate all’economia reale, rende ammissibili acquisti e

vendite28 dove il pagamento anticipato e la consegna del bene può avvenire anche

fisicamente o, come nel solo nel caso delle valute, necessariamente a pronti.

28 Si ricorda l’inammissibilità di short selling ed il ricorso a meccanismi di leva finanziaria.

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CAPITOLO 4 – CASE STUDY: CONFRONTO DI PORTAFOGLI FINANZIARI

4.1 Premessa

Il tema della consulenza finanziaria sta attraversando, da tempi piuttosto

recenti, un processo evolutivo di notevole portata innovativa volto a comprovarne

la legittimità come servizio di pianificazione e monitoraggio di obiettivi e risorse

economiche in materia di investimenti.

In ambito europeo, in particolar modo, il servizio di consulenza finanziaria ha

visto muovere i primi passi verso un riconoscimento normativo grazie

all’introduzione della direttiva MiFID (Market in Financial Instruments

Directive) la quale ha incluso ufficialmente tale attività nei servizi di investimento

enunciati all’art. 1 comma 5 del TUF29.

Da sottolineare, per di più, la scelta di affidare l’esercizio professionale di tale

attività non solo ad imprese di investimento, banche ed SGR, ma anche a persone

fisiche30, in possesso di determinati requisiti, ma svincolate da ogni tipo di

intermediario finanziario (c.d. consulenti finanziari indipendenti o “fee only”).

In ogni caso, appare opportuno rilevare come la prestazione di raccomandazioni

personalizzate risponda alla forte esigenza di fornire alla clientela una precisa ed

obiettiva indicazione in materia di investimenti basata su specifici obiettivi – non

solo di rischio e rendimento, ma anche di conformità a precetti etici e culturali –

capace di svincolarsi completamente dall’insieme dei restrittivi criteri

discrezionali utilizzati da figure professionali contrattualmente legate ad un

intermediario finanziario.

In riferimento al contesto globalizzato in cui gli attuali operatori finanziari sono

tenuti a destreggiarsi, pertanto, diventa ragionevole analizzare la crescente

necessità degli stessi di fornire un servizio di consulenza capace di rispondere alle

specifiche esigenze, analizzate nei precedenti capitoli, degli investitori islamici.

29 Il comma 5-septies del suddetto articolo, in particolar modo, ne fornisce una precisa definizione:

«Il servizio di consulenza in materia di investimenti consiste nella prestazione di

raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di

investimento riguardo una o più operazioni relative a strumenti finanziari». 30 Art. 18-bis TUF.

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Tuttavia, non essendovi vincoli, per l’insieme dei non-Muslims investors, per

procedere ad un investimento in strumenti finanziari conformi ai princìpi

shariatici, si renderà opportuno analizzare la convenienza, per tale tipologia di

investitori, a rinunciare ad un’asset allocation tradizionale in favore di una basata

su prodotti islamici.

A tal proposito, pertanto, si creeranno due differenti portafogli finanziari così

strutturati:

portafoglio finanziario composto interamente da sukuk (bond) islamici

(d’ora in avanti denominato Islamic Portfolio);

portafoglio finanziario composto interamente da obbligazioni tradizionali

(d’ora in avanti denominato Conventional Portfolio).

Obiettivo di tale studio, di conseguenza, sarà la valutazione della perfomance

dell’Islamic Portfolio – il quale avrà come benchmark il Conventional Portfolio –

al fine di quantificare il potenziale vantaggio che anche un investitore non

islamico potrebbe avere nel decidere di optare per un investimento in sukuk

anziché in tradizionali bond occidentali.

4.2 Parametri di selezione e composizione dei portafogli

La scelta di comporre entrambi i portafogli finanziari con strumenti aventi

natura creditizia è dovuta alla preponderanza dei sukuk islamici come principali

strumenti commerciati nei mercati regolamentati, nonché al loro elevato grado di

assimilabilità ai convenzionali bond occidentali per effettuare un equo confronto.

Entrambi i portafogli hanno seguito i seguenti parametri di selezione:

arco temporale di rilevamento dei dati: 23/05/2014 – 21/11/2014;

maturity dei titoli: fino a 5 anni (2019);

tasso di rendimento cedolare: non inferiore al 3,00% annuo31;

tasso cedolare: fisso;

tipologia bond: corporate o governativi.

31 Si è ipotizzato un tasso di rendimento soglia.

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Per la costruzione dell’Islamic Portfolio si è, quindi, proceduto con l’analisi dei

sukuk emessi, attualmente in circolazione nei mercati regolamentati, così come

rilevato dal web database dell’Islamic Finance Information Service (IFIS)32.

Per la selezione dei titoli obbligazionari convenzionali, invece, si sono

analizzati i bond quotati nei seguenti mercati33:

MOT;

DomesticMOT;

EuroMOT;

ExtraMOT;

EuroTLX.

La scelta finale, pertanto, ha avuto come risultato la selezione di quattro titoli

per portafoglio – così come mostrato dettagliatamente nelle Tabelle 4.1 e 4.2 –

conformi ai parametri di scelta nominati in precedenza e capaci di rappresentare,

seppur in via esemplificativa, una possibile asset allocation ottimale in sukuk ed

in titoli di obbligazionari convenzionali.

Tabella 4.1 – Composizione dell’Islamic Portfolio

ISIN DESCRIZIONE CEDOLA PERIODICITÀ SCADENZA VALUTA UNDERLYING

XS1035007530 DIB Sukuk Limited 4,291% Semestrale 20/02/2019 USD Mudarabah

US71567RAB24 Perusahaan Penerbit

SBSN Indonesia 6,125% Semestrale 15/03/2019 USD Ijarah

XS0999501538 Ooredoo Tamweel

Limited 3,039% Semestrale 03/12/2018 USD Murabahah

XS1057852912 TF Varlik Kiralama

A.S. 5,375% Semestrale 24/04/2019 USD Murabahah

Fonte: elaborazione propria

32 Sono stati analizzati sukuk per un totale di 1885 (aventi scadenza fino al 2019), dai quali sono

stati successivamente estrapolati i titoli rientranti nei suddetti parametri di investimento e per i

quali è stato possibile rilevare uno storico delle quotazioni durante l’arco temporale indicato. 33 Sono stati analizzati bond per un totale di 3818 (aventi scadenza fino al 2019), dai quali sono

stati successivamente estrapolati i titoli rientranti nei suddetti parametri di investimento e per i

quali è stato possibile rilevare uno storico delle quotazioni durante l’arco temporale indicato.

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Tabella 4.2 – Composizione del Conventional Portfolio

ISIN DESCRIZIONE CEDOLA PERIODICITÀ SCADENZA VALUTA TIPOLOGIA

IT0004489610 BTP 1st19 4,25% 4,25% Semestrale 01/09/2019 EUR Titolo di Stato

XS0412826579 BEI Ap19 EUR 4,25 4,25% Annuale 15/04/2019 EUR Corporate

NL0009054907 RBS Ap19 Royal 5,5 5,5% Semestrale 20/04/2019 EUR Corporate

XS0367777884 UNICREDIT 6,7%

Gi18 SUB UT2EUR 6,7% Annuale 05/06/2018 EUR Corporate

Fonte: elaborazione propria

Da sottolineare, infine, la scelta di procedere con un’analisi delle performance

del portafoglio islamico rispetto al portafoglio convenzionale condotta secondo il

punto di vista del consulente-gestore, in quanto non è stato considerato alcun

profilo commissionale specifico (Pacelli, 2014).

4.3 Analisi di un portafoglio finanziario islamico

Lo studio oggetto del presente capitolo è stato condotto sulla base dei principali

indici di performance, in quanto una mera analisi del rendimento del portafoglio,

in un’ottica di “one size fits all”, sarebbe risultata riduttiva e fuorviante, poiché

non in grado di considerare l’insieme delle altre variabili capaci di giocare un

ruolo importante all’interno del processo di valutazione .

La valutazione della performance dell’Islamic Portfolio terrà in considerazione:

il rendimento lordo, misurato sul periodo di rilevazione dei dati;

il rischio, misurato dalla deviazione standard dei rendimenti semestrali;

il beta storico dell’Islamic Portfolio rispetto al Conventional Portfolio.

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Il confronto è stato condotto sul medesimo lasso temporale e con rilevazioni

omogenee, per evitare una distorsione nella valutazione.

Gli indicatori di performance analizzati sono stati i seguenti:

indice di Sharpe (IS);

indice Rap di Modigliani (RAPM);

Trekking Error (TE);

Information Ratio (IR);

Alpha di Jensen;

indice di Sortino.

Si presentano, quindi, le rilevazioni ottenute dal calcolo dei suddetti indici di

performance dell’Islamic Portfolio, in relazione al Conventional Porfolio

considerato come benchmark – così come mostrato nella Tabella 4.3 – al fine di

analizzarne successivamente, nel dettaglio, la significatività.

Tabella 4.3 – Risultati degli indici di performance

RENDIMENTO MEDIO

ISLAMIC PORTFOLIO

DEVIAZIONE STANDARD

ISLAMIC PORTFOLIO

RENDIMENTO MEDIO DEL

BENCHMARK

DEVIAZIONE STANDARD

BENCHMARK

0,007% 0,001314 0,01125% 0,002097

IS -3,23% JENSEN 0,00622

RAPM 0,00858% IR -0,0181

TE 0,23481% SORTINO -7%

Fonte: elaborazione propria

Il processo di valutazione delle performance ha avuto ad oggetto, come primo

indicatore, l’indice di Sharpe (Sharpe, 1994), in quanto rappresenta uno dei

principali indicatori di performance corretta per il rischio.

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Più tecnicamente, l’indice di Sharpe misura l’extra-rendimento, per unità di

rischio, di un portafoglio titoli rispetto al rendimento di un benchmark ritenuto

risk free (Conti, 2006).

Si ritiene, difatti, che l’investitore possa scegliere, in qualsiasi istante, se

impiegare il proprio capitale in un’attività priva di rischio oppure orientarsi su un

investimento alternativo, purché l’incremento di rischio derivante da tale scelta sia

ben compensato dall’extra-rendimento così ottenuto.

Si è potuto quindi procedere al calcolo dell’indice di Sharpe, data l’omogeneità

dei prodotti aventi rischiosità simile, attraverso la seguente formula:

Dove:

rappresenta il rendimento medio realizzato dal portafoglio;

rappresenta il rendimento dell’attività risk free;

rappresenta il rischio totale storico del portafoglio.

Nel caso in analisi, pertanto, il rilevamento di un indice di Sharpe negativo

(-3,23%) mostra l’incapacità del portafoglio islamico di battere il benchmark, il

che conduce ad individuare, per lo stesso portafoglio, rendimenti nettamente

inferiori rispetto a quelli generati dal portafoglio convenzionale indirizzando, così,

la scelta del cliente verso un investimento di tipo tradizionale.

Successivamente si è passati al calcolo dell’indice Risk-Adjusted Performance

RAP di Modigliani (Modigliani & Modigliani, 1997), che si ricollega all’indice di

Sharpe.

Difatti, l’indice RAP di Modigliani corregge il rischio del portafoglio e lo

rende uguale a quello del mercato per poi, in seguito, misurarne il rendimento.

Tale indice, pertanto, determina il rendimento che il portafoglio avrebbe

ottenuto se avesse assunto lo stesso livello di rischio del benchmark.

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La formula dell’indice RAP di Modigliani adottata per il calcolo in esame è

stata la seguente:

Dove:

rappresenta il rendimento medio realizzato dal portafoglio;

rappresenta il rendimento dell’attività risk free;

rappresenta il rischio totale storico del portafoglio;

rappresenta il rischio totale storico del benchmark.

Nel caso in analisi, pertanto, il rilevamento di un indice RAP di Modigliani

pari a 0,00858% indica la capacità del portafoglio islamico di performare con

un’accettabile misura di rendimento anche nell’ipotesi di assunzione del rischio

connesso al portafoglio convenzionale benchmark.

Si è poi giunti alla misurazione del Trekking Error in vista del successivo

calcolo dell’Information Ratio.

È da precisare, tuttavia, che sebbene il Trekking Error non risulti utile nel caso

in analisi vista la sua attitudine a confrontare un insieme di assets caratterizzati da

obiettivi di investimento differenti, ovvero da benchmark e livelli di rischio

diversi, esso è stato introdotto nella valutazione dell’Islamic Portfolio in quanto è

alla base del calcolo di un altro indicatore di performance analizzato:

l’Information Ratio.

Procedendo con ordine, è utile sottolineare come il Trekking Error sia stato

calcolato attraverso l’utilizzo della seguente formula:

Dove:

rappresenta i rendimenti in eccesso rispetto al rendimento medio del

portafoglio.

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Poiché, tecnicamente, il Trekking Error rappresenta il valore aggiunto che il

portafoglio ha prodotto rispetto al benchmark, ovvero la deviazione standard dei

rendimenti in eccesso rispetto a quello medio dell’intero periodo, calcolando la

media dei rendimenti in eccesso ed il Trekking Error, è possibile giungere alla

misura dell’Information Ratio.

In particolar modo, l’Information Ratio rappresenta un indice che ha la proprietà

di sintetizzare non solo una misura di extra-rendimento, ma anche di extra-rischio

del portafoglio rispetto al benchmark.

Per il calcolo dell’Information Ratio, pertanto, si è proceduto come segue:

Dove:

rappresenta la media dei rendimenti in eccesso;

rappresenta la deviazione standard dei rendimenti in eccesso rispetto a

quello medio dell’intero periodo, ovvero il Trekking Error .

Nel caso in analisi, quindi, il rilevamento di un Information Ratio negativo

(-1,81%) sottolinea, nuovamente, l’incapacità del portafoglio islamico in analisi di

battere il benchmark data la specificità della gestione condotta.

L’Information Ratio, inoltre, risulta strettamente legato anche ad un altro indice

di performance, ovvero l’indice di Jensen (Jensen, 1969).

La c.d. alfa di Jensen, più dettagliatamente, misura l’extra-rendimento al netto

del rischio imputabile ad un approccio gestionale del portafoglio attivo.

L’obiettivo di tale indice, pertanto, è di valutare la capacità del portafoglio

analizzato, caratterizzato da una gestione attiva, di “far meglio” rispetto al

medesimo portafoglio contraddistinto da una gestione passiva.

Tale indice deriva dal Capital Asset Pricing Model (CAPM) in quanto misura la

performance del portafoglio aggiustata per il suo livello di rischio sistematico (o

rischio di mercato), ovvero per il suo beta.

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Per il calcolo dell’alfa di Jensen è stata utilizzata la seguente formula:

Dove:

rappresenta il rendimento del portafoglio gestito attivamente;

rappresenta il beta storico del portafoglio;

rappresenta il rendimento del portafoglio gestito passivamente.

Nel caso in analisi, quindi, il rilevamento di un’alfa di Jensen maggiore di zero

(0,00622%) rappresenta la capacità del portafoglio islamico di performare meglio

con una gestione attiva rispetto ad una gestione passiva.

Infine, si è analizzato l’indice di Sortino (Sortino & Price, 1994) in quanto non

utilizza il beta come misura di rischio, bensì si avvale del c.d. Downside Risk

(DSR, detto anche volatilità negativa) in quanto esprime la possibilità che il

rendimento del portafoglio si posizioni al di sotto delle aspettative minime

accettabili dall’investitore.

Più dettagliatamente, l’indice di Sortino misura l’extra-rendimento, per unità di

rischio, rispetto al tasso di rendimento minimo accettabile dall’investitore

(Minimum Acceptable Return, MAR) per un portafoglio, ovvero la possibilità di

conseguire rendimenti non soddisfacenti al disotto del MAR capaci di essere

identificati come rischio.

L’esigenza di formulare tale indice nasce dall’idea, comune tra molti

accademici ed operatori, di ritenere carente misurare il rischio con la deviazione

standard in quanto la statistica comprende sia una buona che una cattiva volatilità.

Difatti, non è considerato un rischio realizzare un rendimento superiore alla

media, ma lo è conseguire una performance inferiore ad un rendimento minimo o

di un altro benchmark (Caparrelli & Camerini, 2004).

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Per il calcolo dell’indice di Sortino, è stata utilizzata la seguente formula:

Dove:

rappresenta il rendimento medio del portafoglio gestito;

rappresenta il rendimento medio del benchmark ritenuto risk free;

rappresenta il Downside Risk inteso come misura di rischio.

Nel caso in analisi, pertanto, il rilevamento di un indice di Sortino minore di

zero (-7%) porta nuovamente a preferire il portafoglio convenzionale al

portafoglio islamico, in quanto si conferma l’impossibilità di quest’ultimo a

registrare un rendimento superiore rispetto a quello generato dal Conventional

Portfolio, sebbene sia stata modificata la misura di rischio.

4.4 Valutazioni conclusive

Gli obiettivi di rischio-rendimento relativi ad un investitore tipo non sempre

trovano conferma nell’adozione di strumenti finanziari conformi a peculiari

esigenze etico-culturali connesse all’investitore particolare.

Non tutti gli investitori, tuttavia, si dimostrano necessariamente legati ad alcune

caratteristiche qualitative di specifici strumenti finanziari e, pertanto, per questa

categoria di clientela sorge inevitabilmente l’esigenza di optare per una scelta

ponderata capace di essere maggiormente in linea con i propri obiettivi.

Nel contesto di analisi del presente elaborato, pertanto, si è ritenuta doverosa la

valutazione delle perfomance registrate da un portafoglio finanziario composto

interamente da sukuk islamici utilizzando come benchmark un portafoglio

finanziario strutturato in titoli obbligazionari convenzionali occidentali, al fine di

valutare la possibile convenienza per l’investitore di optare per un’asset allocation

alternativa a quella tradizionale.

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Dall’analisi quantitativa condotta, tuttavia, è emerso come non sia di fatto

vantaggioso per un investitore indirizzare le proprie risorse verso strumenti

islamici – fatte salve particolari esigenze legate al contesto culturale di

appartenenza – in quanto, questi ultimi, presentano prospettive di performance

inferiori rispetto a quelle di un convenzionale investimento in bond occidentali.

Di fatto, essendo i sukuk ancora relegati ad un comparto finanziario attualmente

in fase embrionale, la stessa facilità di negoziazione degli stessi – spesso legata

anche al basso livello di cultura finanziaria degli investitori, nonché all’effettiva

possibilità dei broker di fornire questa particolare tipologia di strumenti – risulta

essere nettamente inferiore rispetto a quella dei convenzionali bond, il che

contribuisce a rendere i prodotti islamici, ad oggi, meno performanti e, quindi,

meno appetibili per il più vasto pubblico di investitori non legati alle specifiche

disposizioni imposte dalla legge islamica.

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APPENDICE A – DATI STORICI DELL’ISLAMIC PORTFOLIO

DATA DIB SUKUK LIMITED

PERUSAHAAN

PENERBIT SBSN

INDONESIA

OOREDOO TAMWEEL

LIMITED

TF VARLIK

KIRALAMA A.S.

23/05/2014 100,380 111,400 102,880 101,95

26/05/2014 100,380 111,530 102,880 101,95

27/05/2014 100,380 111,530 102,880 101,99

28/05/2014 100,380 111,530 102,880 102,26

29/05/2014 100,380 111,900 102,880 102,39

30/05/2014 100,750 111,800 103,250 102,39

02/06/2014 100,750 111,530 103,250 102,90

03/06/2014 100,750 111,530 103,250 102,78

04/06/2014 100,500 111,780 103,250 102,24

05/06/2014 100,500 111,750 103,250 102,54

06/06/2014 100,880 112,030 103,250 103,35

09/06/2014 100,880 112,150 103,250 103,57

10/06/2014 100,750 112,280 103,250 103,55

11/06/2014 100,750 112,150 103,250 103,15

12/06/2014 100,750 111,900 103,250 102,90

13/06/2014 100,750 112,150 103,250 102,65

16/06/2014 100,750 111,900 103,250 102,40

17/06/2014 100,000 111,530 103,250 101,65

18/06/2014 99,880 111,400 103,250 101,70

19/06/2014 99,630 111,650 103,250 101,78

20/06/2014 99,630 111,400 103,250 101,56

23/06/2014 99,630 111,400 102,630 101,91

24/06/2014 100,000 111,150 102,630 101,74

25/06/2014 100,000 111,030 102,630 101,78

26/06/2014 100,250 111,150 103,000 101,90

27/06/2014 100,250 111,150 103,000 101,90

30/06/2014 100,250 111,150 103,000 101,75

01/07/2014 100,380 111,150 103,000 101,15

02/07/2014 100,250 111,150 103,000 101,75

03/07/2014 100,250 111,030 103,000 101,75

04/07/2014 100,380 111,030 103,000 101,75

07/07/2014 100,380 111,030 103,000 101,75

08/07/2014 100,380 111,280 103,000 101,90

09/07/2014 100,380 111,150 103,000 101,90

10/07/2014 100,750 111,150 103,000 102,15

11/07/2014 100,500 111,030 103,000 102,05

14/07/2014 100,630 111,150 103,130 102,05

15/07/2014 100,500 111,150 103,130 102,05

16/07/2014 100,500 111,150 103,130 102,20

17/07/2014 100,630 111,150 103,130 102,20

18/07/2014 100,630 111,150 103,130 102,65

21/07/2014 101,000 111,150 103,130 102,75

22/07/2014 100,750 111,150 103,130 102,75

23/07/2014 101,000 111,280 103,130 103,25

24/07/2014 101,250 111,400 103,130 103,40

25/07/2014 101,250 111,400 103,130 103,40

28/07/2014 101,000 111,400 103,130 103,40

29/07/2014 101,250 111,400 103,130 103,40

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74

30/07/2014 101,380 111,400 103,130 103,40

31/07/2014 101,380 111,280 103,130 102,28

01/08/2014 101,380 110,780 103,130 102,65

04/08/2014 101,380 110,780 103,130 102,05

05/08/2014 101,750 110,900 103,130 102,03

06/08/2014 101,880 110,900 103,130 101,65

07/08/2014 101,880 110,650 103,130 101,65

08/08/2014 100,860 110,400 103,130 101,40

11/08/2014 101,370 110,650 103,380 101,90

12/08/2014 102,490 110,650 103,380 101,90

13/08/2014 103,130 110,650 103,380 100,40

14/08/2014 103,000 110,650 103,380 101,90

15/08/2014 103,250 110,900 103,380 102,15

18/08/2014 103,000 110,900 103,380 102,28

19/08/2014 103,250 110,900 103,380 102,28

20/08/2014 102,880 111,030 103,380 102,15

21/08/2014 102,880 111,030 103,380 102,15

22/08/2014 103,000 111,280 103,380 101,90

25/08/2014 103,000 111,400 103,380 101,90

26/08/2014 102,750 111,400 103,380 101,90

27/08/2014 102,750 111,400 103,500 102,40

28/08/2014 102,630 111,400 103,500 102,40

29/08/2014 102,630 111,400 103,750 101,90

01/09/2014 102,630 111,400 103,750 102,15

02/09/2014 102,630 111,400 103,630 102,40

03/09/2014 102,130 111,400 103,630 102,40

04/09/2014 101,730 111,650 103,630 102,40

05/09/2014 101,350 111,650 103,630 102,53

08/09/2014 101,350 111,900 103,630 102,53

09/09/2014 101,100 111,900 103,630 102,40

10/09/2014 100,850 111,650 103,630 102,40

11/09/2014 100,600 111,650 103,630 102,40

12/09/2014 100,100 111,530 103,630 102,15

15/09/2014 99,250 111,150 103,630 102,15

16/09/2014 99,000 111,150 103,630 102,40

17/09/2014 98,750 111,150 103,630 102,15

18/09/2014 99,500 111,150 103,630 102,15

19/09/2014 99,500 111,150 103,630 102,15

22/09/2014 100,500 111,150 103,630 102,40

23/09/2014 100,750 111,150 103,630 102,40

24/09/2014 100,750 110,900 103,630 102,40

25/09/2014 100,750 110,900 103,630 102,40

26/09/2014 100,750 110,650 103,630 102,28

29/09/2014 100,250 110,400 103,630 101,90

30/09/2014 100,380 110,280 103,630 101,90

01/10/2014 100,250 110,150 103,630 101,40

02/10/2014 100,250 109,900 103,630 101,15

03/10/2014 100,250 109,900 103,630 101,15

06/10/2014 100,250 110,030 103,630 101,40

07/10/2014 100,250 109,900 103,630 101,65

08/10/2014 100,250 109,900 103,630 101,65

09/10/2014 100,500 110,150 103,630 102,53

10/10/2014 100,500 110,150 103,630 102,40

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75

13/10/2014 100,250 110,030 103,630 101,90

14/10/2014 100,250 110,280 103,630 101,90

15/10/2014 100,380 110,650 103,630 102,15

16/10/2014 100,380 110,900 103,630 102,15

17/10/2014 100,380 110,830 103,630 102,40

20/10/2014 100,380 110,960 103,630 102,53

21/10/2014 100,380 110,960 103,630 102,78

22/10/2014 100,500 111,150 103,630 102,65

23/10/2014 100,500 110,960 103,630 102,65

24/10/2014 100,250 111,080 103,630 102,65

27/10/2014 100,750 111,080 103,630 102,65

28/10/2014 100,630 111,210 103,630 102,15

29/10/2014 100,630 111,460 103,630 102,40

30/10/2014 101,000 111,330 103,630 102,40

31/10/2014 101,000 111,330 103,630 102,65

03/11/2014 101,000 111,460 103,630 102,65

04/11/2014 101,000 111,460 103,630 102,65

05/11/2014 101,130 111,460 103,630 102,40

06/11/2014 101,500 111,460 103,630 102,28

07/11/2014 101,500 111,330 103,630 102,53

10/11/2014 101,630 111,460 103,630 102,65

11/11/2014 101,750 111,460 103,630 102,65

12/11/2014 101,880 111,460 103,630 103,28

13/11/2014 101,880 111,460 103,630 103,28

14/11/2014 101,750 111,530 103,630 103,28

17/11/2014 101,750 111,530 103,630 103,28

18/11/2014 101,500 111,530 103,630 103,28

19/11/2014 101,630 111,780 103,630 103,40

20/11/2014 101,630 111,530 103,630 103,40

21/11/2014 101,630 111,530 103,630 103,55

Dati di fine giornata.

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APPENDICE B – DATI STORICI DEL CONVENTIONAL PORTFOLIO

DATA BTP 1ST19 BEI AP19 RBS AP19 UNICREDIT GI18

23/05/2014 111,58 117,03 116,30 112,45

26/05/2014 111,58 117,03 116,37 113,67

27/05/2014 111,58 117,19 116,46 112,96

28/05/2014 111,58 117,26 116,45 113,16

29/05/2014 111,58 117,30 116,50 112,99

30/05/2014 111,58 117,30 116,34 112,88

02/06/2014 112,79 117,30 116,46 113,00

03/06/2014 112,55 117,11 116,32 112,92

04/06/2014 112,42 117,11 116,10 112,85

05/06/2014 112,94 117,11 116,30 112,72

06/06/2014 114,28 117,11 116,80 113,18

09/06/2014 114,56 117,60 116,51 114,00

10/06/2014 113,96 117,60 116,40 113,48

11/06/2014 113,82 117,60 116,42 113,04

12/06/2014 113,71 117,55 116,47 113,11

13/06/2014 113,98 117,55 116,52 113,73

16/06/2014 113,80 117,61 116,66 113,12

17/06/2014 113,42 117,47 116,99 113,26

18/06/2014 113,20 117,42 115,98 113,41

19/06/2014 113,46 117,42 116,08 113,43

20/06/2014 113,28 117,42 116,25 113,35

23/06/2014 113,46 117,42 116,68 113,30

24/06/2014 113,74 117,64 116,30 113,69

25/06/2014 113,86 117,67 116,14 113,37

26/06/2014 113,95 117,67 116,16 113,00

27/06/2014 113,96 117,67 116,13 112,96

30/06/2014 113,93 117,67 116,36 112,53

01/07/2014 114,05 117,77 116,35 112,88

02/07/2014 113,70 117,77 116,39 113,21

03/07/2014 113,93 117,77 116,61 113,48

04/07/2014 114,13 117,71 116,61 113,32

07/07/2014 114,20 117,71 116,73 113,44

08/07/2014 113,94 117,71 116,75 113,47

09/07/2014 113,80 117,71 116,64 113,12

10/07/2014 113,48 117,96 116,60 112,93

11/07/2014 113,64 117,85 116,69 112,74

14/07/2014 113,76 117,85 116,38 113,36

15/07/2014 113,92 117,96 116,12 113,41

16/07/2014 114,02 117,89 116,20 113,61

17/07/2014 114,17 117,89 116,25 113,45

18/07/2014 114,10 118,05 116,10 113,53

21/07/2014 114,24 118,00 116,20 113,63

22/07/2014 114,17 118,00 116,15 113,57

23/07/2014 114,25 118,00 116,23 113,61

24/07/2014 114,29 118,00 116,50 113,53

25/07/2014 114,50 118,00 116,23 113,34

28/07/2014 114,77 117,87 116,48 113,39

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77

29/07/2014 114,81 117,80 116,58 113,46

30/07/2014 114,50 117,80 116,58 113,69

31/07/2014 114,44 117,80 116,58 113,37

01/08/2014 114,32 117,79 116,58 112,99

04/08/2014 114,46 117,78 116,59 113,49

05/08/2014 114,27 117,78 116,58 113,59

06/08/2014 114,00 117,68 116,38 112,89

07/08/2014 113,77 117,68 116,59 113,32

08/08/2014 113,90 117,68 116,28 112,80

11/08/2014 114,22 117,77 116,28 112,86

12/08/2014 114,41 117,77 116,25 113,10

13/08/2014 114,37 117,77 116,50 113,10

14/08/2014 114,63 117,77 116,61 113,17

15/08/2014 114,63 117,77 116,61 113,17

18/08/2014 114,62 117,77 116,23 112,81

19/08/2014 114,85 117,77 116,25 112,95

20/08/2014 114,87 117,77 116,26 113,00

21/08/2014 114,90 117,77 116,58 112,92

22/08/2014 114,95 117,99 116,58 113,10

25/08/2014 115,55 118,23 116,74 113,61

26/08/2014 115,57 118,23 117,04 113,32

27/08/2014 115,48 118,26 116,78 113,32

28/08/2014 115,11 118,26 116,73 112,99

29/08/2014 115,06 118,26 116,73 113,37

01/09/2014 115,12 118,26 116,80 113,25

02/09/2014 114,97 118,26 118,00 113,10

03/09/2014 115,05 118,26 120,22 113,27

04/09/2014 115,58 118,26 117,33 113,26

05/09/2014 115,92 118,26 117,05 113,09

08/09/2014 115,74 118,26 117,41 113,20

09/09/2014 115,42 118,26 116,80 113,21

10/09/2014 115,22 118,24 116,80 112,89

11/09/2014 115,00 118,24 116,34 113,06

12/09/2014 114,84 118,22 116,29 112,88

15/09/2014 114,93 118,23 116,70 113,33

16/09/2014 114,97 118,23 116,76 113,08

17/09/2014 115,29 118,17 116,33 113,17

18/09/2014 115,33 118,02 116,15 113,06

19/09/2014 115,53 118,02 116,29 113,29

22/09/2014 115,48 118,02 116,71 114,05

23/09/2014 115,35 118,17 116,98 113,69

24/09/2014 115,35 118,13 116,56 113,85

25/09/2014 115,52 118,21 116,80 113,65

26/09/2014 115,40 118,21 116,75 113,49

29/09/2014 115,20 118,21 116,71 113,56

30/09/2014 115,42 118,21 116,90 113,86

01/10/2014 115,70 118,27 116,77 113,57

02/10/2014 115,49 118,27 116,98 113,58

03/10/2014 115,43 118,19 116,95 113,60

06/10/2014 115,29 118,22 116,72 113,65

07/10/2014 115,20 118,18 116,95 113,40

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78

08/10/2014 115,16 118,18 117,10 113,54

09/10/2014 115,28 118,21 117,05 113,74

10/10/2014 115,26 118,16 117,15 113,49

13/10/2014 115,22 118,12 117,47 110,25

14/10/2014 115,27 118,23 117,20 113,34

15/10/2014 114,83 118,36 117,30 112,82

16/10/2014 113,96 118,36 117,12 112,58

17/10/2014 114,35 118,36 116,87 112,61

20/10/2014 113,94 118,36 117,09 112,75

21/10/2014 114,25 118,02 117,13 112,41

22/10/2014 114,35 117,93 117,07 113,17

23/10/2014 114,23 117,93 117,07 113,28

24/10/2014 114,16 117,93 116,81 113,13

27/10/2014 114,08 117,89 117,27 108,00

28/10/2014 113,99 117,89 117,12 113,15

29/10/2014 114,04 117,81 117,58 112,77

30/10/2014 114,13 117,90 117,58 113,17

31/10/2014 114,40 117,90 117,50 113,12

03/11/2014 114,26 117,96 117,53 113,00

04/11/2014 114,40 118,08 117,71 112,99

05/11/2014 114,13 118,02 118,03 112,89

06/11/2014 114,45 118,00 117,80 113,36

07/11/2014 114,36 118,00 117,85 113,03

10/11/2014 114,46 118,05 117,74 113,04

11/11/2014 114,55 118,05 117,76 113,02

12/11/2014 114,46 118,05 117,77 113,11

13/11/2014 114,40 118,05 117,90 112,94

14/11/2014 114,47 118,05 118,09 113,18

17/11/2014 114,67 118,05 118,08 113,12

18/11/2014 114,70 117,92 118,03 112,93

19/11/2014 114,61 117,73 117,98 112,91

20/11/2014 114,65 117,77 118,00 112,96

21/11/2014 115,05 117,77 117,88 113,36

Dati di fine giornata.

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79

CONCLUSIONI

I. Reseach topics

L’attenta analisi dei princìpi alla base del modello economico-finanziario

islamico ha rilevato la presenza di nuovo sistema che, seppur ancora in fase

embrionale, sta muovendo importanti passi verso una rapida espansione.

La diffusione dei precetti religiosi alla base delle regole contrattuali islamiche

sta destando sempre più l’interesse non solo di studiosi, ma anche di investitori –

sia retail che corporate – che vedono, in questa nuova configurazione finanziaria,

un possibile rifugio dalle attanaglianti condizioni imposte dalla crisi economica,

nonché un’efficace metodologia per risollevare l’economia reale.

II. Sintesi del lavoro di ricerca

L’individuazione, nel corso del primo capitolo, dei principali elementi proibiti

individuati dalla legge islamica (Sharīca), quali il divieto di interesse (ribā), il

divieto di incertezza (gharār) ed il divieto di speculazione (maysir), non può che

porsi indubbiamente in netto contrasto con le regole alla base del funzionamento

dei tradizionali sistemi ed istituti finanziari attualmente operanti nel mercato

occidentale.

Tuttavia, l’analisi condotta sulle modalità adottate dalle Islamic Institutions per

arginare tali vincoli, ha portato a delineare un sistema non completamente avulso

da quello occidentale ma, semplicemente, di più complessa applicazione e

caratterizzato da macchinose istruttorie, volte a rendere i più tradizionali prodotti

e strumenti di finanza convenzionale interamente Sharīca-compliant.

Inoltre, la capacità delle Islamic Banks di farsi strada all’interno dei contesti

macroeconomici occidentali è stata attentamente esaminata, nel corso del secondo

capitolo, al fine di delineare non solo le principali differenze tra i sistemi di

politica monetaria caratterizzanti i due principali Paesi arabi per espansione

territoriale e popolazione musulmana – quali Arabia Saudita e Iran – e quelli

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occidentali, ma anche per individuare i possibili, e spesso già concreti, tentativi di

diffondere tali realtà nel mercato globale e, più nel dettaglio, in quello europeo.

L’individuazione del quadro europeo come territorio occidentale maggiormente

all’avanguardia in fatto di diffusione dei princìpi e delle istituzioni di finanza

islamica, in particolar modo, è stata più volte posta in rilievo data l’alta

concentrazione di popolazione musulmana residente al suo interno, rispetto agli

altri contesti territoriali occidentali.

Nel terzo capitolo, dedicato ad un’approfondita descrizione dell’architettura e

del funzionamento delle più diffuse forme contrattuali, nonché degli strumenti

finanziari islamici maggiormente negoziati – con un particolare focus sui

cosiddetti sukuk, ovvero certificati di investimento principalmente riconducibili ai

tradizionali bond occidentali – sono stati tracciati i limiti ed i vantaggi che la

clientela anche non islamica può trarre da tali prodotti.

Ciò perché non bisogna pensare alla finanza islamica come realtà economica

indirizzata esclusivamente ad un pubblico di fruitori legato alla legge coranica,

bensì tale modello può pacificamente essere rivolto anche ad una più vasta

clientela di non-Muslim investors capace di trarre benefici economici di rilevante

portata etica e morale.

Tuttavia, l’analisi quantitativa delle performance di un portafoglio finanziario

composto interamente da sukuk islamici, condotta nel corso del quarto capitolo, ha

prodotto interessanti risultati in merito a tale questione, capaci di evidenziare una

non ancora perfetta correlazione tra i benefici attesi dai prodotti islamici e le loro

effettive prestazioni.

Più precisamente, è emerso come non sia di fatto vantaggioso per un investitore

indirizzare le proprie risorse verso tali strumenti islamici – fatte salve particolari

esigenze legate al contesto culturale e religioso di appartenenza – in quanto, questi

ultimi, presentano prospettive di performance nettamente inferiori rispetto a

quelle di un convenzionale investimento in bond occidentali.

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III. Valutazioni in merito al case study

Tale rilevazione può essere principalmente attribuibile alla non puntuale

diffusione di un opportuno livello di cultura finanziaria relativamente a queste

particolari forme contrattuali, spesso sconosciute o individuate eccessivamente

complesse per l’insieme di investitori non appartenenti al contesto culturale di

riferimento in cui sono sorti.

Da ciò deriva, pertanto, una comprovata difficoltà nella negoziazione di tali

strumenti, i quali risultano notevolmente meno liquidi rispetto ai corrispettivi titoli

obbligazionari tradizionalmente intesi nel contesto occidentale, implicandone la

comprovata difficoltà di individuazione di trend ben delineati derivanti da forti

variazioni di prezzo, volumi di compravendita e performance.

Dall’indagine svolta, pertanto, è possibile far emergere alcune importanti

considerazioni.

In primo luogo, si è indubbiamente rilevato il netto contrasto dei precetti

islamici con i tradizionali assunti di finanza convenzionale, con particolare

riferimento ai divieti di interesse e speculazione, attualmente principali

responsabili, nel contesto occidentale, dei forti movimenti di prezzo che

caratterizzano i mercati mobiliari.

Tuttavia, le notevoli difficoltà affrontate dagli enti creditizi mondiali

nell’attuare processi di ricerca per nuove soluzioni di sviluppo delle attuali

tecniche non possono passare inosservate in quanto sono notevoli ed, in alcuni

casi, del tutto pioneristiche, poiché volte a superare l’ostacolo della scarsa

conoscenza del settore da parte degli investitori e delle istituzioni convenzionali.

In particolar modo, l’atteggiamento ricco di pregiudizi da parte degli investitori

occidentali nei confronti dell’Islamic Banking, dato il forte connubio che negli

ultimi anni si è instaurato tra i concetti di Islām e terrorismo internazionale, tende

molto a limitare la concreta diffusione di tale metodologia finanziaria, causandone

una limitazione di valore non trascurabile.

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IV. Proposte di ricerca

Ciò nonostante, pensare alla finanza islamica come ad una particolare forma di

finanza etica34 – soprattutto nel contesto italiano in cui sono particolarmente

diffuse banche con caratteristiche di mutua cooperazione aventi lo scopo di

sviluppare ed affiancare gli operatori economici nella la crescita di specifici

progetti o territori – può essere indubbiamente un utile punto di partenza per

promuovere la validità e la concreta efficacia di tale comparto finanziario.

Anche il settore bancario, convenzionalmente identificato come volto

esclusivamente a registrare introiti slegati dagli obiettivi di profitto e dalle

opportunità di crescita economica dei singoli clienti, sicuramente potrebbe,

attraverso la finanza islamica, puntare a far sì che l’obiettivo primario ritorni ad

essere l’attenzione al cliente ed al territorio, mettendo in secondo piano

l’ideologia capitalistica di creare valore soprattutto per i soci ed il management.

Infatti, il modello islamico, basato sull’economia reale, destina anche

all’attività bancaria la volontà di creare nuovo valore tangibile, dedicando

notevole attenzione sia al cliente, sia ai benefici che nuove idee progettuali

possono apportare all’intera comunità.

Naturalmente, non si vuole affermare che le tecniche dell’Islamic Banking

portino alla scoperta di un nuovo El Dorado, ma si vuole porre l’attenzione sulla

possibilità di sfruttare le conoscenze pregresse dell’economia tradizionale,

cercando di cogliere i lati migliori di questo nuovo modello economico, in modo

tale da poter ritornare ad avere un’economia territoriale rosea e prolifica.

Pertanto, resta indubbia la notevole affidabilità che gli strumenti finanziari ed i

contratti islamici possono garantire, non essendo legati a forti movimenti di

speculazione, poiché espressamente vietata dalla legge shariatica, nonché la

concreta alternativa che essi rappresentano per garantire l’apporto di nuovi

capitali da investire in attività direttamente connesse all’economia reale.

34 Per finanza etica si intendono quei processi economici finalizzati allo sviluppo di progetti in cui

si riflettono i valori di riferimento di imprese e soggetti che si fanno carico di obiettivi etici

socialmente rilevati.

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Il modello economico-finanziario islamico, pertanto, lascia indubbiamente

aperti molteplici percorsi di ulteriore approfondimento volti, in particolar modo,

allo studio del confronto di tale modello bancario con il comparto della finanza

etica, nonché all’analisi dei possibili punti di incontro tra l’insieme delle

normative presenti nei sistemi giuridici occidentali volte a contenere il fenomeno

dell’usura e del money laundering con i precetti shariatici già demandati a tale

scopo.

Un progetto, pertanto, quello dell’Islamic Banking, che sicuramente necessita di

essere esaminato più a fondo al fine di consentirne una maggiore espansione

anche a livello occidentale, volta a diffonderne i possibili benefici ad esso

connessi nonostante il forte legame con il contesto teologico-culturale di

riferimento, il quale andrebbe inteso come acceleratore, anziché freno, di un

rivoluzionario progetto di rinascita e cooperazione che vede come attori principali

l’insieme dei sistemi economici mondiali.

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