Fondamenti Etici Della Finanza Islamica

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    FONDAMENTI ETICI DELLA FINANZA ISLAMICA*

    Antonino Gatto**

    1. IntroduzioneDa pi di trentanni si sta sviluppando nei paesi di religione islamica un

    sistema finanziario originale, e supposto come alternativo a quello conven-zionale, perch fondato sulla negazione della pratica dellinteresse (riba) nel-le transazioni finanziarie e, in aggiunta, sul divieto dinvestimento in attivitsoggette ad eccesso di incertezza ed ambiguit (gharr) ed in quelle che im-plichino ricorso alla speculazione e allazzardo (maysir). Ci non significache il capitale prestato non debba percepire alcuna remunerazione; solo cheessa condizionata, in linea di principio, allassunzione da parte del prestato-re di parte del rischio dellattivit finanziata. LIslam, infatti, privilegia leforme di finanziamento associativo che prevedano lequa assunzione di ri-

    schi e benefici tra prestatore e prenditore, come era pratica corrente ai primitempi del radicamento della nuova religione. O, al pi, consente pratiche difinanziamento fortemente associate ad un assettangibile ed identificabile.

    Si tratta di regole che incuriosiscono e, a prima vista, lasciano perplessiquanti da sempre sono abituati a ragionare secondo la logica consolidatadelleconomia dominante. Proprio per questo motivo, in un momento in cuisi avverte la tendenza ad un sempre pi ampio meticciato culturale e intellet-tuale a livello globale e mentre la modernit non sembra pi riconducibile alsolo polo della cultura occidentale, appare utile e stimolante uno sforzo diconoscenza della esperienza della finanza islamica.

    Preliminarmente, come indispensabile quadro di riferimento, saranno ri-chiamati le fonti del diritto musulmano, i valori dellIslam, i principi diuneconomia islamica, di cui i fondamentali divieti di riba, gharr, maysirsono espressione. Segue una presentazione delle tecniche e della evoluzionequantitativo-spaziale della finanza islamica per discuterne, quindi, lo scartotra ideali e realt.

    Lobiettivo del lavoro, in particolare, quello di mostrare che la finanzaislamica non solo una sintesi di tecniche alternative a quelle convenzionali,

    JEL Classification: G2; N2; Z0.Parole chiave: Finanza, Islam; Economia e Religioni.* Ringrazio Mazhar Hussain e Cem Eyerci per discussioni e commenti e per lassistenza

    prestatami durante una mia visita al SESRTCIC, Statistical, Economic and Social Research andTraining Centrefor Islamic Countries di Ankara.

    ** Universit degli Studi di Messina; e-mail:[email protected].

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    spesso complicate e molto formali, avulsa dal generale sistema di valori dicui parte ed espressione, per come, spesso, rappresentata. Peraltro, daritenere che essa, per avere un senso e risultare credibile, dovrebbe rappresen-tare loriginale tassello del disegno pi complessivo di uneconomiaanchessa alternativa, secondo lo spirito dei principi dell Islam.

    La realt, per contro, rimanda limmagine di unesperienza certamente inte-ressante e meritevole di attenzione, per le suggestioni etiche e le potenziali attitu-

    dini alla stabilit che la caratterizzano, ma che ancora non sembra essere pienamen-te conseguente alle premesse che ne hanno determinato e motivato la nascita.

    Il dubbio se per qualificare come islamica una istituzione sia suffi-ciente il semplice e formale rispetto delle norme islamiche, in assenza diuna riforma della mentalit e di un cosciente e condiviso orientamento alle finali-t superiori, in uno scenario spesso fuorviante di ingiustizia e di ipocrisia. Finen-do, cos, col duplicare le istituzioni convenzionali che si intende superare, me-diante il semplice condimento di una modesta e cosmetica dose di etica islamicae, tuttavia, mantenendo il medesimo orientamento produttivistico e tecnocentri-co. Mancando, nei fatti, di mettere le tecniche al servizio di una prospettiva u-mana di sviluppo economico e sociale diversa da quella del modello conven-

    zionale e prevalente, per come i suoi primi teorici auspicavano.

    2. Le fonti del diritto islamico

    LIslam non solo una religione. anche una civilizzazione. Secondola formula delle tre D:Dn, Duniya wa Dawla, (Religione, Mondo, Stato) insieme, legge, morale, stile di vita, cultura (Balta, 1995, p.41). , dunque,una concezione integrale della vita e del destino umano; un codice generaledi condotta che regola non solo le relazioni tra uomo e Dio ma anche quellecon la natura e tra gli uomini, secondo quanto rivelato nel Corano e nellasunna (Branca, 1995; Halm, 2003).

    Il Corano, il libro sacro per i Musulmani, diviso in 114 testi (sure), o ca-pitoli, ciascuno formato da un certo numero di versetti (ayat). Si distinguonole sure della Mecca, che riguardano aspetti spirituali e principi di fede e lesure della Medina, (i capitoli rivelati alla Medina durante lesilio di Maomet-to), che riguardano aspetti attinenti al temporale, ai rapporti umani, alleco-nomia, alla giustizia sociale alla politica regolando in senso lato lorganiz-zazione della societ.

    Il Corano proclama, tuttavia, solo delle enunciazioni di carattere generaleche trovano completamento in altre fonti tra cui la sunna.

    La sunna, o tradizione del Profeta, linsieme di atti e detti (hadith) checonfermano, spiegano, completano il Corano. la seconda fonte perch il

    Profeta lesempio da seguire e la norma che ispira il comportamento indivi-

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    duale e quello sociale. Egli incarna, infatti, i valori ai quali ciascun musulma-no aspira. Vale a dire la forza, intesa come potenza della fede; la generosit,nella sua accezione di carit e di perdono; la serenit, ovvero la capacit ditrascendere il mondo terreno.

    Le due fonti rappresentano la base della giurisprudenza islamica (sharia),che la risultante dellijtihad, ovvero della interpretazione continua delladottrina religiosa effettuata dagli Ulema(dottori della legge islamica).

    Quando, infatti, un preciso problema non contemplato dalle due fontimaggiori demandata agli Ulema una interpretazione e nella misura in cui sitrova un consenso il caso far giurisprudenza (fiqh).

    La sharia comprende due categorie di leggi. Quelle che concernano icinque pilastri (comandamenti) dellIslam: la testimonianza dellunicit diDio, le cinque preghiere quotidiane, il digiuno durante il mese del Ramadan,la tassa islamica di carit (zakt), il pellegrinaggio alla Mecca. Quelle, poi,relative alle attivit politiche, economiche e sociali.

    il caso di osservare che se le fonti sono comuni, la loro interpretazione,pi o meno rigorista, soggetta a qualche dissenso. Al riguardo, si ricordanola scuola malikita, la scuola hanafita, la scuola hanbalita, la scuola Chafiita,

    dal nome dei grandi giuristi che le hanno ispirate. In ogni caso, per, le diffe-renze non riguardano le credenze e lessenziale della religione quanto, piutto-sto, le modalit delle pratiche dellIslam.

    Nel 1981 nellambito della Organization of the Islamic Conference statacreata la Islamic Fiqh Academy, con sede in Arabia saudita, unanimementericonosciuta come unimportante autorit nellinterpretazione.

    3. Ideologia e valori dellIslam

    Le fonti del diritto islamico, il Corano e la sunna in particolare, determi-nano, quindi, la cornice di valori, norme, leggi che modellano le istituzioni

    a cui sono tenuti a conformarsi i singoli musulmani. Presupposto e fonda-mento la Professione di Fede col riconoscimento della Unicit e Unitdel Creatore e della Verit del profeta Muhammad, da cui consegue laccet-tazione, in conformit ai precetti della sharia, di un agire umano sinergicorispetto ad una prospettiva (una speranza) di ricompensa futura (ultraterrena),secondo principi di uguaglianza tra gli uomini, di solidariet, di giustizia edequit, di fiducia, di armonia, di equilibrio, di responsabilit, nellobiettivodella cooperazione alla costruzione di quella che pu essere consideratauna strategia di sviluppo umano-centrica, capace di promuovere la giustiziaeconomico-sociale ed il benessere di tutte le creature di Dio: un riconosci-mento che non pu restare atto formale ma che richiede, quindi, una attiva

    risposta.

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    Lidea base che lintero universo creato da Allah e che luomo ha ilmandato di suo vice-gerente (vicario) con lobbligo di obbedienza allo spiritoe alla lettera dei suoi comandi. In tal senso, pi che altre religioni, lIslamdetta le linee guida per ogni aspetto della vita, inclusa evidentemente anchequella economico-sociale. La sfera di azione delegata alla ragione umana, ineffetti, non illimitata. Tali comandi, infatti, non sono tanto estesi ed esaustivi dacoprire in dettaglio ogni manifestazione delle attivit umane e, tuttavia, non sono

    nemmeno cos limitati ed ambigui da lasciare piena libert dazione. Tra questidue estremi, ci sono attivit e comportamenti che possono essere governatisecondo la ragione umana, ancorch nei limiti prescritti dai precetti. Altre a-ree, compresi molti aspetti dellambito economico-sociale, sono soggette, se-condo interpretazioni piuttosto radicali, a principi che hanno eterna applica-zione e che, quindi, non possono essere violati (Usnami, 2004, pp.15 e ss.).Anche se, al riguardo, si aprono promettenti prospettive di lettura innovati-va dei Testi (Ramadan,2009).

    Il discrimine, rispetto ad altre religioni, sembra proprio la maggiore co-genza nel rispetto delle linee guida definite dallIslam con la difficolt,quindi, di una netta distinzione tra sacro e profano, e la conseguente e

    particolare enfatizzazione della natura sociale e collettiva dellazione umana(Bichards e Waterbury, 2008, pp. 372-378).Sicch, in quella tradizione, non sarebbe concepibile, ad esempio, il mito

    di Robinson Crusoe caro allapproccio economico neoclassico.Luomo islamico consapevole ed accetta di avere con Allah una rela-

    zione come da servitore a signore, investito, tuttavia, della responsabilitdi sviluppare il proprio potenziale al servizio della creazione di un ordine socialegiusto, nella consapevolezza della transitoriet e della strumentalit delle coseterrene e avendo come stella di riferimento, nel proprio agire, la sua meta finale.Certo della costante presenza al suo fianco diAllah, vicino alluomo pi dellasua vena giugulare (Corano,L,16), fiducioso nella doppia ricompensa: pro-sperit qui ed oggi, salvezza domani. suo impegno, pertanto, di discernerein ogni suo atto (anche economico) la dimensione individuale da quella col-lettiva, laspetto spirituale da quello temporale, in un potenziale processo di-namico di ricomposizione dei rapporti sociali (Campanini, 2009, pp. 149-59).Nella convinzione, tuttavia, che ogni azione potenzialmente spiritualenella misura in cui conforme al sistema di valori dellIslam.

    In questa visione, lIslam incoraggia il lavoro, il profitto lecito, in quantofrutto di operosit e di assunzione di rischio, ogni uso produttivo della ric-chezza; raccomanda che luomo daffari oltre che dallaspettativa di profittosia motivato anche dal desiderio di servire la sua comunit. Considera virtimportanti la moderazione, lindulgenza, la fratellanza, lamicizia sul lavoromentre biasima i comportamenti iniqui e disonesti. Singolare, al riguardo

    lesortazione allonest nei traffici: date giusta misura e giusto peso, non fro-

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    date la gente nelle loro cose (Corano, VII, 85); Guardatevi dal trasgredirelequa bilancia (LV, 8-9); guai ai frodatori sul peso (LXXXIII, 1-3).Ribadisce luguaglianza tra gli uomini, intrinsecamente identici agli occhidi Dio (Corano, II, 62 ; Cfr. Sachedina 2001, pp. 23-24).

    Altrettanto importante considerato laiutare il prossimo senza aspettarsinulla in cambio. Ai ricchi, ad esempio, lIslam prescrive esplicitamente disoccorrere chi versa in condizioni di bisogno e, forse, non un caso che i

    maggiori avversari della nuova religione siano stati, a suo tempo, i mercantidella Mecca mentre la maggioranza dei primi adepti era formata dai poveri edai pi bisognosi, compresi vedove e schiavi. Assumendo, il Corano, la densatradizione profetica che individua vedove, orfani e stranieri come paradigmadei pi deboli nella societ (Thomas, 2003, pp.1-6). Significativamente, ri-ferita, al riguardo, la concreta attuazione del principio di solidariet da partedi Maometto, a Yeshreeb, divenuta Mdina, mediante i cosiddetti patti indi-viduali di fraternit conclusi tra gli autoctoni della citt e gli immigrati pro-venienti dalla Mecca. Con tali patti i residenti, infatti, condividevano coi nuovifratelli arrivati parte delle ricchezze per consentire loro lesercizio di attiviteconomiche (Dram, 2004): una concreta attuazione del principio della destina-

    zione universale dei beni , non a caso condiviso da non pochi Padri della Chiesa(Mosso 1988, p.4); un segno del potenziale rivoluzionario del nuovo insegna-mento ed un singolare e antesignano esempio di messa in atto dei valori di frater-nit e di reciprocit, non a caso assunti, nella pi recente riflessione critica ispira-ta ai valori cristiani, come fondamento di una rifondazione delleconomia(Benedetto XVI, 2009; Zamagni e Bruni, 2004; Zamagni, 2009).

    LIslam sollecita, quindi, la solidariet, la giustizia, lequit, la trasparen-za, il primato del lavoro e dello spirito dimpresa, tutti elementi fondanti del co-dice di buona condotta di un musulmano. Rappresenta, in tal senso, un messag-gio di novit e di liberazione, soprattutto per i pi poveri (Cfr. Ahsan, 2004). scritto: Invero inviammo i Messaggeri affinch gli uomini osservasserolequit (Corano, LVII, 25) e, ancora, O voi che credete, siate testimoni sinceridavanti ad Allah secondo giustizia. Non vi spinga alliniquit per un certopopolo. Siate equi: lequit consona alla devozione (Corano, V, 8).

    Lobiettivo sempre quello di conciliare spirituale e temporale e di pro-muovere lunit e la coesione della societ, per una comunit equilibrata,economicamente sicura ed etica (Corano, II, 3). Anche perch, lignoranza, ladisoccupazione, la povert sono considerate condizioni che possono influirenegativamente sulla condotta morale dei singoli e sulla stessa preservazionedella fede (Askari e Taghvi, 2005, p. 184).

    Altro concetto-chiave che ogni profitto giustificato solo se deriva dauna attivit produttiva lecita (halal) ed conseguente ad una adeguata as-sunzione di responsabilit e di rischio. Incoraggiato , in tal senso, lo schema

    delprofit and loss sharing (PLS). Sono considerate illecite (haram) e, quindi,

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    vietate, oltre alle attivit che contengono elementi di riba, gharr, maysir,tutte quelle che comportino un degrado della dignit umana, e quelle legate algioco e allazzardo,alla produzione e distribuzione di liquore, di tabacco, diarmi,di carne di maiale.

    4. Principi economici dellIslam

    Dal riconoscimento per la comune origine della famiglia umana edallaccettazione, per il buon musulmano, del suo doveroso impegno per ilconsapevole uso dei beni, di cui solo gestore, e che, quindi, deve utilizzaree salvaguardare al meglio per il proprio benessere ma anche per quello dellacollettivit, derivano i criteri che organizzano lattivit economica, che pos-sono essere riassunti nei principi di responsabilit, di sobriet, di giustizia. Ilruolo, la posizione, la missione delluomo sono descritti as istihlaf, that isfulfilling Gods will on eart, promoting what is good, forbidding what iswrong, establishing justice (adl) and promoting beneficence (ihsan), result-ing in attaining high levels of good life (hayat al-tayyebak) both individual

    and collective (Ahmad, 2003, p. 193). In questo quadro, si segnalano i se-guenti principi economici.

    4.1. Propriet privata e ricchezza

    riconosciuta la proprietprivata ma con divieto di poterne disporre inmodo esclusivo ed assoluto, essendo linteresse individuale protetto fino ache non entra in conflitto con quello generale della comunit.

    Altrettanta consapevolezza richiesta nellimpiego della ricchezza che,come un flusso vitale, va di continuo reinvestita per il maggior benessere del-la societ. In un misto di potere ma anche di responsabilit, secondo un ap-

    proccio che oscilla tra gradualismo e pragmatismo (Baker, 2003). Di conseguen-za, lIslam scoraggiata la tesaurizzazione (Corano, IX, 34) (per incentivarelattivit imprenditoriale e la propensione al rischio). scritto, infatti: Guai adogni diffamatore maldicente, che accumula ricchezze e le conta; pensa che la suaricchezza lo render immortale? (Corano, CIV, 1-3). La sottrazione di denarodal circuito economico , quindi, ritenuta dannosa mentre auspicata la fluiditdei flussi finanziari, la liquidit del sistema, la solvibilit degli agenti. Tutti e-lementi ritenuti utili per il buon funzionamento delleconomia e, quindi, perlarricchimento della comunit dei musulmani. Ma richiesta anche sobriet.Per lIslam, infatti, sono sconvenienti lostentazione, lo spreco delle risorse,labuso della ricchezza (Saidane, 2009, pp. 38 e ss.) mentre raccomandata

    come rilevante, in particolare, lattenzione verso i poveri.

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    4.2. Zakt

    La cooperazione e la solidariet sono altrettanti aspetti costanti e caratteri-stici della dottrina islamica.

    Di esse, una ulteriore specifica espressione e uno dei comandamenti lazakt: Assolvete allorazione, pagate la decima e inchinatevi con chi si in-china (Corano, II, 43).

    Il termine, normalmente tradotto come elemosina legale ha, in verit, unsignificato pi ampio. Letteralmente sta per purificazione. Nel senso chesolo dopo aver pagato la parte che Dio impone, la ricchezza accumulata di-viene pura e lecita: Preleva sui loro beni unelemosina tramite la qualeli purifichi e li mondi e prega per loro...(Corano, IX, 103).

    Ovviamente, oltre a questa funzione di purificazione (anche dallegoismo),lazaktpermette al musulmano di contribuire al processo di solidariet e diarmonia sociale. dovuta nella misura del 2,5 per cento del valore superioread un minimo, fissato tradizionalmente come pari a quello di 85 grammidoro. Lo Stato, di fatto, pu istituire, in aggiunta, altre imposte. Lazaktpuessere distribuita sia direttamente che indirettamente. Vanno, quindi, ricordati

    gli interventi volontari di carit, attraverso organizzazioni benefiche non-profit, per fornire ai pi bisognosi beni e servizi che il mercato o lo Stato, acausa dei loro fallimenti, non sono in grado di assicurare. Infatti, secondo le as-pettative, all people should have equal opportunities, without discrimination,to benefit from environmental and public resources (Ul-Haq, 1995, p. 85).

    La carit (sadaqa) verso quanti siano in condizioni di bisogno, musulmanie non, da esercitare senza ostentazione e nota a Dio e a nessun altro. In unpassaggio, che richiama il Sermone della Montagna, il Corano insegna: Selasciate vedere le vostre elargizioni, un bene; ma ancora meglio per voi sesegretamente date ai bisognosi (2, 271).Simmetricamente, il Papa di Ro-ma ricorda: Dio il difensore dei poveri e ama ciascun uomo per quel cheegli e non per quel che possiede o per ci che egli realizza (Mounier,2010).

    importante notare che i vari enti di beneficenza godono di una autonomalegittimit per cui non necessitano di approvazione o autorizzazione pubblica.(Iqbal, 1986). Sicch, da ritenere che il terzo settore, con la sua caratteri-stica di promozione del capitale sociale, abbia le potenzialit per concorrerein modo crescente allo sviluppo socio-economico della comunit.

    Al solito, tuttavia, la declinazione dei principi in realt piuttosto varia. Inalcune situazioni lazakt esercitata su basi volontarie, in altre (Arabia Saudita,Malesia, Pakistan) amministrata dallo Stato, con tassi variabili di evasione inentrambi i casi (Richards e Waterbury, 2008, p. 375). significativo, ad esem-pio, che la comunit daffari dello Yemen abbia, nel recente passato, esercitato

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    lobbyng per labolizione dellazakt(Yemen Times, January 12, 1988).

    4.3.LavoroIl lavoro considerato unattivit elevata al pi alto rango in quanto valutato

    come espressione della stessa fede. Basti dire che per il Profeta il lavoro ado-

    razione ed il Corano menziona la parola al amal (in senso lato lavoro) in pi di360 versetti mentre un concetto analogo (al-fil) ricordato in altri 109 versi(Iqbal, p. 40). Per questa enfasi sul lavoro lIslam considerato lideologia dellapratica e la pratica dellideologia e, quindi, una religione dellazione.

    Lavorare non solo un diritto ma anche un dovere ed un obbligo. Ciascuno,pertanto, esortato a lavorare per guadagnarsi da vivere mentre condannataogni forma di pigrizia o di disoccupazione volontaria (Zamir e Miraklor, 2007, p.40). Tuttavia, quanti hanno un legittimo impedimento ad esercitare unattivitconservano un diritto su quanto la societ produce, secondo il principiodellinvariant claim to ownerschip, per cui ogni essere umano mantiene un di-ritto sulle risorse fornite daAllah a beneficio di tutti i membri della societ.

    4.4.Trasparenza e completezza dei mercatiParticolare rilievo, per il buon funzionamento delleconomia, riservato

    alla completezza dei contratti e alla trasparenza delle transazioni, conseguentiai prescritti valori di sincerit e fiducia:

    O voi che credete recita il versetto 282 della Sura II quando contraete undebito con scadenza precisa, mettetelo per iscritto; che uno scriba tra di voi lometta per iscritto, secondo giustizia. Lo scriba non si rifiuti di scrivere secondoquel che Allah gli ha insegnato: che scriva dunque e sia il contraente a dettare,

    temendo il suo Signore Allah e badi a non diminuire in nulla. Se il debitore de-ficiente, o minorato o incapace di dettare lui stesso, detti il suo procuratore se-condo giustizia. Chiamate a testimoni due dei vostri uomini o in mancanza di dueuomini, un uomo e due donne tra coloro di cui accettate la testimonianzaNonfatevi prendere da pigrizia nello scrivere il debito e il termine suo, sia piccolo ogrande. Ed ribadito, nel successivo versetto 283: Se siete in viaggio e nontrovate uno scriba, scambiatevi dei pegni. Se qualcuno affida qualcosa ad un al-tro, restituisca il deposito al depositario e tema Allah il suo Signore.La fiducia, che rappresenta uno degli ingredienti caratteristici del capitale

    sociale di una comunit, considerata come attitudine connaturale al cre-dente in quanto riflesso ed espressione della particolare relazione di fedeche lo lega ad Allah. Per cui lessere fedele alle promesse, ai contratti, di-viene impegno conseguente alloriginale patto tra uomo e Dio (Corano,

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    VII, 172). Lo stesso Maometto ha ribadito: Maintaining promises perfectlyis a sign of faith (Zamir e Miraklor, 2007, p. 37).

    4.5.Lo StatoAllo Stato affidato il compito di motivare il settore privato a svolgere il

    proprio ruolo senza trascurare il benessere sociale, mediante incentivi ed ap-propriate riforme politiche e istituzionali, nellintento di umanizzare ilmercato e attenuarne le iniquit. In tal senso, demandato allo Stato di o-perare in modo che siano assicurati: a) il soddisfacimento dei bisogni di baseper tutti, ivi compresi i servizi sanitari e listruzione; b) pari opportunit pertutti, mediante lefficiente funzionamento dei mercati, il contrasto della con-centrazione della ricchezza, la riduzione delle ineguaglianze nella distribu-zione del reddito e della ricchezza e vigilando che la ricchezza non diventistrumento di dominio delluomo sulluomo; c) la massima libert nel per-seguire leccellenza morale; d) il perseguimento della stabilit e dello svilup-po economico nella misura necessaria per realizzare i sopradetti obiettivi; pi

    in generale, la solidariet e la coesione sociale.Biasimando, lIslam, il tesoreggiamento e laccumulazione eccessivi, par-ticolarmente raccomandato il contrasto del monopolio per favorire la con-correnza.

    Lo Stato, quindi, pu ricorrere a forme di finanza espansiva come stru-mento di promozione della crescita economica (Askari e Taghvi, 2005, pp.189-190) anche se, in generale, sconsigliato lindebitamento eccessivo. Unprincipio, questo, che vale anche per le imprese, in quanto condizione ritenu-ta pi favorevole alla stabilit auspicata dai principi coranici.

    5. Prime considerazioni

    Il riconoscimento della propriet privata e delliniziativa economica indi-viduale, lenfasi posta sulla dignit del lavoro e la giustizia, sulla sobriet e laresponsabilit verso gli uomini e la natura; la condanna di ogni forma di ar-ricchimento non legato allesercizio di unattivit reale e, quindi, alla assun-zione di rischio; lincoraggiamento, quasi la obbligatoriet dellinvestimentoproduttivo nella prospettiva di un profitto; fanno ritenere che il sistema eco-nomico islamico riconosca la legittimit della competizione e del sistema dimercato a condizione, tuttavia, che siano esercitati sotto il vincolo del filtrodei valori morali dellIslam. Il sistema islamico, pertanto, si potrebbe confi-gurare come uneconomia socialmente responsabile, con forti connotazioni di

    novit e di liberazione, sulla base di un criterio di limite e di autolimite

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    alla libert dazione dei soggetti economici, che dovrebbero operare non solosecondo il proprio tornaconto ma preoccupati anche dellinteresse di quanticon essi interagiscono. Scrive, ad esempio, Timor Kuran:

    The primary role of the (behavioral norms of Islam) is to make the individualmember of Islamic society, homo islamicus, just, socially responsible, andaltruistic. Unlike the incorrigibly selfish and acquisitive homo economicus ofneoclassical economics, homo islamicus voluntarily foregoes temptations of

    immediate gain when by doing so he protect and promote the interests of hisfellows (Warde, 2005, p. 44).

    E B. Badie (1986, p. 97) sostiene:

    la culture islamique ne peut intgrer lutopie occidentale dun sistme de marchautonome (...), qui, suppose que lhomme nagisse quen function de son intrtindividuel et de la possession de biens conomiques. Tout a loppos, lconomiesinsre en Islam dans une rationalit qui nest ni individuelle ni possessive, maisessentiellement rgle par le besoin de sauvegarder lintgration du groupe social.

    Viene messo in discussione, pertanto, quellindividualismo autoreferen-

    ziale che rappresenta una delle premesse antropologiche del capitalismo mo-derno e una delle cause principali delloscuramento della dimensione dellasolidariet e degli obblighi di giustizia, auspicati dallIslam e comuni anchealla tradizione antropologica tomista e allinsegnamento sociale della Chiesa.(Bckenfrde e Bazoli, 2010, pp. 10-11). Una visione auspicata, a ben vede-re, pi che realizzata, del comportamento umano, non essendo stato il riorien-tamento antropologico indicato, adeguatamente supportato da coerenti inno-vazioni istituzionali e da adeguate strategie dazione. Una prospettiva, di fat-to, che richiama alcune delle istanze etiche proprie di approcci teorici alterna-tivi al paradigma neoclassico e che per alcuni versi rimanda allampio dibatti-to sulla cosiddetta responsabilit sociale dellimpresa e alla feconda prospet-tiva della economia civile (Cfr. Marzano 1998 e 2004; Bruni e Zamagni2004). Allo stesso modo Amartya Sen, Albert Hirschman, George Akerlof,Amitai Etzoni, tra gli altri, hanno evidenziato i limiti dellapproccio neoclas-sico, mettendo in discussione il principio dellindividualismo come unico cri-terio di interpretazione delle azioni e dei fenomeni economici, ed enfatizzan-do la necessit di utilizzare nei modelli teorici variabili come responsabilitindividuale, socialit o reciprocit, ad esempio, considerate dai pi estraneeal linguaggio economico (Gatto e Migliardo, 2009, p. 346; Kourilsky, 2009).

    Ovviamente, cos come per la dottrina sociale della Chiesa, anche perquella islamica, pu differire la modalit di attuazione degli obiettivi asse-gnati, secondo le interpretazioni e le sensibilit politiche prevalenti. Essendopossibili soluzioni rigide quanto modelli flessibili (Felice, 2005).

    Legiziano Sayyid Qotb, teorico dei Fratelli Musulmani (1906-1956), ad

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    esempio, nel secondo dopoguerra ha definito un programma, largamente at-tuato in epoca nasseriana, fondato su riforma agraria, espropriazioni, naziona-lizzazioni, statalizzazione delleconomia, imposta progressiva sul reddito esulla grandi fortune, in nome del bene pubblico (Carr, 1984).

    Oggi, per contro, in alcuni paesi sembra farsi strada un Islam di mercatopermeabile ai modelli occidentali, quasi figlio di una teologia della prosperi-t. Una esperienza, cio, che coniuga valori religiosi e successo economico

    in chiave prettamente individualistica, che preconizza il maturare di una so-ciet civile virtuosa, che interagisce con uno Stato minimo (privatizzato),e assegna la delega della gestione di una prevalente parte del servizio pubbli-co alle istituzioni religiose private. Secondo lo schema della faith-based ini-

    ziative cara alla Destra americana (Haenni, 2005, pp. 7-12; Hiboux, 1999).Sulla base di quella che sembra una adesione prevalentemente formale ecosmetica alla lettera dei precetti islamici che suggerirebbero, piuttosto, unapproccio etico ai problemi dello sviluppo, nellottica, da ritenere, quanto-meno di una variante critica del capitalismo caotico del nostro tempo. Incontrasto, quindi, con lipotesi di un capitalismo dal volto umano, a fronte,nella gran parte delle societ a maggioranza musulmana, di grandi sperequa-

    zioni economico-sociali e del prevalere di un codice consumistico-produttivistico proprio delleconomia che si vorrebbe superare. Di fattocondividendone gli obiettivi, anche se col parziale utilizzo di tecniche finan-ziarie ed economiche formalmente ispirate alletica islamica. In uno scenariopolitico che non sembra aver ancora maturato lidea di affrontare la sfidadella democrazia, pur nelle sue possibili declinazioni islamiche, quale ambitopropizio per meglio favorire, nellera della globalizzazione, lattuazione delleprescrizioni coraniche (Fadl 2004; Ramadan, 20009).

    6. Sharia e attivit finanziaria

    nel quadro delle idealit e delle considerazioni appena esposte che va va-lutata la finanza islamica, la cui organizzazione e il cui perimetro dazionesono scanditi non solo dal fondamentale divieto dellapplicazione dellinteresse(riba), ma anche da quelli, complementari, della interdizione dinvestimento inattivit che comportino irragionevole incertezza ed ambiguit (gharr), e dellaproibizione del ricorso alla speculazione e allazzardo (maysir).

    Tutto deriva dallidea centrale secondo cui il denaro semplice misura delvalore e mezzo per facilitare gli scambi, senza divenire esso stesso oggetto discambio, mentre pu creare valore solo se combinato al lavoro delluomo.

    6.1.Il divieto dellinteresse

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    Il Corano si occupa del divieto di riba in ben quattro capitoli: Ar-Rm(versetto 39) Ci che concedete in usura, affinch aumenti a detrimento deibeni altrui, non li aumenta affatto presso Allah.; An-Nis (versetto 161),

    Al-Imrn (versetto 130), O voi che credete, non cibatevi dellusura che au-menta di doppio in doppio eAl-Baqarah (versetti 275-281).

    Secondo alcuni, propensi a privilegiare una interpretazione legata pi allo

    spirito che alla lettera del Corano, il termine riba sarebbe da intenderesolo come usura e non manca chi considera lo stesso concetto di riba comeunidea obsoleta (Ziaul, 1995).

    Sul punto, alcuni pronunciamenti sono riferiti anche a Maometto (Mecca,ca. 570-Medina, 632), che se ne sarebbe occupato in pi circostanze (Interna-tional Institute of Islamic Economics,1999, pp. 14-19). il caso di ricordare,al riguardo, che lusura era pratica corrente allepoca e si racconta che duran-te il periodo della sua vita trascorso alla Mecca, Maometto stesso sia stato te-stimone di tecniche usuraie adottate dalla sua comunit di commercianti. Eraabituale, infatti, imporre il raddoppio del debito nel caso di difficolt a rim-borsare un prestito alla scadenza, con un meccanismo che di fatto tendeva aridurre in stato di schiavit il debitore (Martens, 2001). Tuttavia, il secondocaliffo dellIslam, Oumar Ibn El Khattab, uno dei suoi pi prossimi compa-gni, si sarebbe rammaricato per il fatto che il Profeta sia morto senza averprecisato in modo esplicito il significato di riba (Sadane, 2009, pp. 51-52).

    In effetti riba significa sia usura che interesse, ma anche guadagno illecitoo sfruttamento economico (El-Ashker e Rodney, 2006). Il concetto si presta,dunque, a differenti interpretazioni.

    Secondo alcuni esegeti il versetto 130 della Sura Al-Imrn, che denuncialusura per moltiplicazione smisurata del capitale, e quello della citata Sura

    Al-Baqarah, dove viene chiesta la rinuncia alleccesso dellinteresse usu-raio, sembrerebbero giustificare la limitazione del termine riba al solo casodellusura (Saadallah 2004b). Il riferimento alla ricordata usanza pre-

    islamica di raddoppiare il debito quando non fosse stato estinto alla scadenza,facendo del debitore uno schiavo (Corano, 3, 130) o alla consuetudine deiprestiti capestro concessi ai poveri bisognosi e desiderosi di soddisfare ta-luni bisogni di base (Shepard, 1996, p. 46).

    Per altri, per lo pi della corrente zahirita di tradizione sunnita, il divietodi riba sarebbe quello praticato nel commercio delle sole sei merci indicate inun noto passo attribuito a Maometto, per come riferito da El Boukhari:

    oro in cambio doro, in polvere o in moneta, argento in cambio dargento, inpolvere o in moneta, grano in cambio di grano, misura contro misura, di mano inmano, orzo in cambio di orzo, misura contro misura, datteri in cambio di datteri,misura contro misura, sale in cambio di sale, misura contro misura. Chi aumentao moltiplica, pratica lusura. (Sadane, 2009, p. 52). Non riguarderebbe, quindi,

    le moderne transazioni effettuate con lausilio della moneta (Warde, 2000, p. 68).

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    La maggioranza delle scuole coraniche, tuttavia, concorda sul divieto ge-neralizzato di ogni forma di interesse. Ci, sulla base della pi generale di-mensione etica dellIslam, che riconosce la moneta solo come mezzo di scambioma non come oggetto di scambio mentre, per converso, esalta la funzione delcapitale al servizio della societ e incoraggia lo spirito dimpresa contro i per-versi effetti della speculazione. Implicitamente condannando larricchimento

    senza sforzo.La illiceit del riba poggerebbe soprattutto sul fatto che rappresenta un in-cremento di capitale non giustificato dallassunzione di un rischio, quindi unarendita da transazione, deconnessa da una sottostante attivit reale. Confi-gurandosi, di conseguenza, come esito di uno scambio ineguale e frutto diuna pura attivit finanziaria, come un vantaggio senza equivalente di un ser-vizio reso secondo la prospettiva islamica della giustizia sociale ed econo-mica (Sadane, 2009, p. 46).

    Riba, pertanto, sarebbe ogni incremento di ricchezza che non abbia comebase, e quindi non derivi, da unazione produttiva (Piccinelli, 1996, pp. 22-26). Nel caso dellinteresse, in sostanza, non vi sarebbe equivalenza tra laremunerazione percepita dal creditore e il costo opportunit sopportato a causadel prestito accordato. Trattandosi di remunerazione relativamente certa, ga-rantita e di ammontare noto mentre, per il prestatore, il sacrificio del rendi-mento delleventuale investimento che egli avrebbe potuto effettuare con lasomma prestata soltanto probabile e, quando pure si realizzasse, il suo am-montare non noto a priori (El-Gamal, 2001). Uno dei motivi principali dellaproibizione appare, in questa prospettiva, legato ai valori di giustizia distributi-va in quanto tendente a prevenire il processo cumulativo dellarricchimento inpoche mani, siano esse rappresentate da banche o privati cittadini.

    Il bottino cheAllah concesse al Suo Inviato sugli abitanti delle citt appartie-ne adAllah e al Suo Inviato, ai (suoi) familiari, agli orfani, ai poveri e al viandan-te diseredato cosicch, non sia diviso tra i ricchi tra di voi (Corano, 59, 7).

    Non sorprende la similarit con la tesi aristotelica della sterilit deldenaro o quella del divieto di prestare denaro ad interesse teorizzato da SanTommaso. Lusuraio, infatti, farebbe fruttare un bene improduttivo ven-dendo, di fatto, il tempo intercorrente tra il momento del prestito e quello delrimborso dellinteresse. Ma il tempo appartiene soltanto a Dio. Lenormedelitto dellusura , peraltro, condannato in numerosi passi dellAntico Te-stamento: (Neemia, V, 7; il Salmo XV, 5; Ezechiele, XVIII, 8; i ProverbiXXVIII, 8; il Deuteronomio, XV, 6 e XXIII, 19; il Levitico, XXV, 36), men-tre ilNuovoTestamento ne fa cenno con le parole di Luca mutuum date, ni-hil inde sperantes (Luca, VI, 35). La proibizione dellusura, in effetti, co-

    mune a molte altre culture, dal giudaismo, al buddismo, allinduismo. Ed

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    ricorrente negli scritti di numerosi pensatori eretici non musulmani, come,ad esempio, Erza Pound (2009).

    Labolizione dellinteresse, peraltro, segna non solo il solco per limpiantodi un nuovo assetto del sistema finanziario ma anche, forse soprattutto, rap-presenta il primo e fondamentale tassello per lintera ristrutturazione di unsistema economico islamico, che voglia essere contrapposto o, comunque,diverso da quello convenzionale.

    6.2. Contratti e tipi di finanziamento

    La canonica modalit di superamento dellinteresse, cuore della filosofiadell Islamic banking, rappresentata dal finanziamento partecipativo, nellafattispecie del profit and loss sharing ovvero del profit and risk sharing , icui caratteristici contratti sono quello musharaka e quello mudaraba. Talesistema considerato il pi autentico e il pi conforme al complesso di valoridell Islam in quanto riflette pratiche di finanziamento gi comuni al tempodella nascita dellIslam (cfr. Gatto, 2008).

    Il contratto musharaka (parola che deriva dallarabo chirika o charica,che significa associazione o societ, prevede che una banca ed eventuali altrifinanziatori costituiscano una partnership con un imprenditore per la gestionedi un dato progetto. I finanziatori hanno diritto al pieno coinvolgimento nellagestione dellaffare. I profitti sono divisi secondo quote pattuite tra le parti.Le perdite, invece, sono partecipate proporzionalmente alla quota di capitaleconferito dai soci. Limprenditore oltre a prestare le sue capacit organizzati-ve finanzia in parte limpresa e partecipa, di conseguenza, non solo alla ripar-tizione degli utili ma anche delle perdite. Si tratta di una forma di contratto inparticolare impiegata per transazioni di lungo termine, comprese operazionidiproject financing.

    Laltra speciale forma di partnership, pi utilizzata per finanziamenti abreve di tipo commerciale, rappresentata dal contratto mudaraba : un finan-ziamento fiduciario che associa in un affare un agente (moudarib) e un fi-nanziatore (rab-el-mal). La banca, in questo caso, finanzia interamentelimpresa lasciandone la piena gestione allimprenditore-lavoratore. Il riferi-mento storico al contratto di commenda operante nei porti italiani nel deci-mo secolo e che ha rappresentato il motore del commercio nel Medio Evo(Renaud, 2003, p. 5).

    La banca partecipa al relativo eventuale risultato utile con una percentualecontrattualmente definita. Anche limprenditore compensato solo con lapartecipazione agli utili, non potendo percepire una remunerazione per la suaattivit manageriale. Le eventuali perdite sono sopportate solo dallente fi-

    nanziatore a meno che non siano accertate negligenze o condotte improprie

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    da parte dellimprenditore. Di fatto, limprenditore gestisce risorse altrui co-me se fossero proprie, e in pi non risponde di eventuali perdite di gestione, ilche implica un alto grado di fiducia che deve legare tutti i protagonistidelloperazione.

    I due detti contratti configurano, quindi, la banca islamica come una sortadi operatore diprivate equity.

    Malgrado, tuttavia, rappresentino il pi originale metodo di finanziamento

    alternativo rispetto a quello convenzionale, i contratti mudaraba e musha-raka costituiscono una parte molto circoscritta dellinsieme delle attivit del-la banche islamiche. Il che pone degli interrogativi sulla sostanza e sullaforma dellIslamic Banking.

    In pratica, le forme di finanziamento prevalente sono rappresentate dallavendita a credito, basata sul criterio del mark- up, inteso come costo di inter-mediazione, che pesa, a seconda delle fonti, tra l80 e il 95 per cento del tota-le dei finanziamenti delle istituzioni finanziarie islamiche (Warde, 2000, p.133; Haron e Ahmad, 2000, pp. 3-9; Alfano e Fioroni, 2005, p. 175; Richardse Waterbury, 2008, p. 376). Con questa modalit, lacquirente, conoscendo ilprezzo del bene oggetto di finanziamento, d mandato dacquisto per suo

    conto alla banca, o altro ente finanziatore, a cui riconosce, per il servizio, unmargine di profitto.Nel caso classico del contratto del tipo murabaha, che si configura come

    una doppia vendita con differimento del pagamento, la banca acquista a nomeproprio ma per conto terzi beni che poi loro rivende a un prezzo pari a quellodi acquisto maggiorato di un mark-up fissato in anticipo (al bayou bi righimaloum).

    Il contratto prevede che la vendita sia preceduta da una promessadacquisto da parte di chi chiede il finanziamento. Ci per evitare che la ban-ca si trasformi in qualche modo in un attore commerciale e anche per ridurreil suo contatto con la merce al minimo richiesto per il rispetto delle esigen-ze della sharia. La banca autorizza il pi delle volte il cliente a negoziare di-rettamente col fornitore le condizioni dacquisto della merce. Il pagamento possibile anche in forma rateale.

    Per poco che possa essere coinvolta rispetto alloperazione commerciale,la banca, per il tempo per il quale il bene acquistato rimane di sua propriet,si ritiene che sopporti un rischio operativo che consente di annoverare il con-tratto di tipo murabaha tra le operazioni conformi allo spirito della leggeislamica. Inoltre, a fronte della similarit del mark-up col tasso di interesseconvenzionale, si fa notare che nel primo caso c alla base una vendita il cuiprezzo subisce un sovrappi per differimento; linteresse, invece, rappresentaincremento di un debito differito. E, tuttavia, la vendita a credito consen-tita come forma di finanziamento, in quanto, malgrado lapparente similarit,

    Allah ha permesso il commercio e proibito lusura (Corano, II, 275).

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    da rilevare, ad ogni modo, che non risulta sempre chiaro il metodo diapplicazione dellammontare del mark-up, restando il dubbio che possa trat-tarsi, il pi delle volte, di un costo definito sulla base del tasso di interesseprevalente nel sistema bancario convenzionale.

    La vendita, salam, invece, una sorta di credito allinverso. La banca pa-ga in anticipo al produttore beni, di solito di tipo stagionale, che saranno con-segnati ad una data successiva. In questo caso la banca che effettua subito la

    sua prestazione mentre il cliente vi fa fronte alla scadenza. Di fatto, il vendi-tore si propone di offrire un dato bene ad un acquirente ad una data futuracontro un pagamento immediato.

    Un terzo tipo di finanziamento rappresentato dalloperazione di leasing(ijarah ojar),che si basa sullo stesso principio di quello convenzionale.Il tipico contratto listin, col quale oggetto della transazione un bene nonancora esistente. Come nel caso di chi promette di produrre un dato bene daconsegnare in futuro in una certa quantit. Il prezzo fissato in anticipo manon di fatto pagato al momento della stipula del contratto. Listin, pertanto,non rappresenta necessariamente un mezzo di finanziamento, dato che il pa-gamento pu essere differito fino al momento della consegna del bene pro-

    dotto. Lo diventa quando, ad esempio, la banca interviene nellordinare laproduzione del bene anticipandone limporto. Si tratta di una tecnica moltosimile alla vendita salam. La differenza che nel caso dellistin non dobbligo fissare la data di consegna.

    Pu essere la stessa banca a produrre il bene, come nel caso di una auto-strada, accettando che il relativo pagamento sia differito. Non necessariamen-te, tuttavia, la banca provvede direttamente alla produzione del bene pattuito.Pu, infatti, far ricorso a terzi, utilizzando un contratto distin parallelo. Labanca quindi, funge da intermediaria. Finanziando la costruzione o produzione,ad opera di terzi, del bene domandato dal proprio cliente, al quale viene vendu-to al tempo stabilito. un sistema adatto al finanziamento di grandi opere.

    L ijara , invece, un tipico contratto di trasferimento dellusufrutto.In o-rigine il termine ijara indicava la prestazione di un servizio da parte di unapersona (ajir) a beneficio di un altra (moustajir).

    Una seconda forma di ijara riguarda lusufrutto di un bene o di una pro-priet contro pagamento di una rendita.

    con riferimento a questa seconda accezione che l ijara pu essere con-siderata come un mezzo di finanziamento sotto forma di leasing finanziario.Nel qual caso, una istituzione finanziaria acquista un bene (unattrezzatura,un impianto) e lo affitta a un cliente che ne fa richiesta, ricevendo per il ser-vizio una commissione non commisurata al tempo. Il bene resta di proprietdella istituzione finanziaria essendone trasferito al cliente solo luso. In alcu-ni casi il contratto prevede il riscatto del bene da parte del cliente.

    Lijara, a differenza della murabaha, prevede che, in prevalenza, il loca-

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    tore resti proprietario del bene affittato, sopportando per questo il rischio dideterioramento del bene.

    Secondo una recente tendenza sono stati adottati, da alcune istituzioni i-slamiche, prodotti finanziari vietati o molto discutibili dal punto di vistadelletica dellIslam (Nasser, 2007).

    La tecnica bai-al-Einah bai-al-Dayn il comune sconto di un titolo di credi-to. Ma per letica islamica ogni vendita di debito (bai-al-dayn) e ogni trasferi-

    mento di debito (shahada-al-dyn) deve avvenire alla pari. Ci significa che nonvi pu essere differenza tra quanto la banca esborsa per il titolo portato allo scon-to e quanto essa incassa allo scadere dello stesso. Leventuale differenza ha lanatura di riba. Malgrado il chiaro divieto, alcune banche praticano lo sconto dititoli di credito, trattando il debito alla stregua delle attivit reali.

    La tecnica tawarruq un altro classico stratagemma per aggirare il divietodi riba. consentito, tuttavia, nel rispetto di alcune condizioni. un mezzodi finanziamento che combina due transazioni separate di vendita e di acqui-sto. Il cliente si rivolge alla banca per un finanziamento, la banca acquista daun commerciante il bene X per un valore equivalente al fabbisogno del clien-te al prezzo P. Vende, quindi, X al suo cliente con consegna differita al prez-

    zo P+I. Infine la banca, come agente del cliente, vende in contanti al com-merciante al prezzo P*.Quel che viene richiesto, per lammissibilit della tecnica, almeno un

    gap temporale tra le operazioni di acquisto e di vendita che sottoponga le par-ti almeno ad un minimo di rischio di prezzo. In modo che i guadagni che nederivano siano configurabili come compenso per il rischio, e quindi esenti daelementi di riba Unaltra condizione che non vi sia un preaccordo tra le treparti che intervengono nel contratto.

    Sono, ovviamente, previsti anche conti correnti (wadia), con capitale ga-rantito ma non produttivi di interesse.

    Per clienti in situazione di precariet possibile per le banche accordaredei prestiti senza interesse, di solito assistiti da garanzia, detti prestiti di be-

    nevolenza (Qard al-hassan). Si tratta di interventi per superare momentaneee impreviste necessit, particolarmente incoraggiati dal Corano (CVII, 11).

    Laspetto rilevante delle forme di finanziamento considerate che, in tuttii casi, a parte quelli pi controversi, si realizzerebbe un sostanziale sincroni-smo tra sfera reale e sfera monetaria delleconomia. Riducendosi, cos, lespinte allinstabilit connesse ai prestiti a interesse, nella misura in cui essialimentano la speculazione basata sul principio dellacquistare senza pagaree del vendere senza possedere. Non a caso, in relazione alla recente crisi fi-nanziaria internazionale, alcuni commentatori hanno evocato il possibile con-tributo dei principi della finanza islamica alla rifondazione di quella occi-dentale. Significativa, al riguardo, lattenzione per la finanza islamica mani-

    festata dalla Commissione di esperti sulla riforma del sistema monetario e fi-

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    nanziario internazionale presso le Nazioni Unite, espressa per bocca del suopresidente, Joseph Stiglitz. In una conferenza stampa del 26 marzo 2009, in-fatti, il premio Nobel ha ricordato come, a suo tempo, Malesia e Paesi delSud Est Asiatico abbiano saputo gestire meglio, ed in modo etico, la crisi fi-nanziaria asiatica. (N.U., 09; cfr. Napoleoni e Serge, 2009, pp. 25-33). Comenota anche Edward Fennel (The Times, 2008),

    if all the sub-prime deals in the US had been governed by Sharia there wouldhave been no massive defaults and the credit crunch would never have loomedover our shopping expeditions. Instead, Islamic laws requirements for prudentlending, the sharing of risk and a ban on the earning of interest would haveinsulated the borrowers and the world economy at large from the debacle of thepast six months. And for that even the Archbishop of Canterburys harshest criticsmight have been a mite grateful.

    In effetti, la finanza islamica, per i principi su cui basata, tende a sco-raggiare alcuni eccessi tipici della finanziarizzazione delleconomia come laspeculazione o la deconnessione dellattivitfinanziaria da quella reale.

    Quel che preme ribadire, comunque, che il divieto di riba, alla luce di

    quanto fin qui detto, non va considerato come una misura isolata ma daritenere parte integrante dellordine socio-economico; espressione del com-plesso dei valori islamici e della relativa enfasi sulla giustizia e lequit nellaproduzione e nella distribuzione del reddito e della ricchezza. Per cui, daritenere, anche la finanza islamica ha senso nella misura in cui sia assuntacome parte di un pi complessivo disegno istituzionale e di politica economi-ca conforme alletica dellIslam.

    6.3.La raccolta del risparmioAlla diversit nelle tecniche di finanziamento fa riscontro, nel sistema isla-

    mico, la particolarit delle modalit di raccolta del risparmio. Rispetto alle ban-che convenzionali, quelle islamiche offrono tre tipi di conto (Gatto, 2008).

    I conti non-profit, assimilabili ai conti correnti delle banche conven-zionali, non rendono alcun tipo di remunerazione, assolvendo sostanzialmen-te ad un ruolo di custodia dei fondi risparmiati. La banca ha la possibilit diutilizzare i relativi depositi con limpegno, per, che le somme depositate so-no prelevabili senza preavviso, direttamente o mediante i tradizionali strumentidellassegno, del bonifico bancario, lutilizzo di carte di debito. Non di carte dicredito, che sono proibite in quanto non compatibili con la legge islamica.

    I conti di risparmio, su cui vengono depositate somme consistenti e sonosoggetti a pi stringenti condizioni per il prelievo. Sebbene non rendano un

    interesse fisso molte banche, a loro discrezione, offrono un qualche tipo di

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    remunerazione sulla base dei risultati desercizio.I conti di investimento sono relazionati agli investimenti mudaraba della

    banca e rappresentano la fonte principale di mobilizzazione di fondi dellabanca. Il depositante partecipa agli utili o alle perdite delle operazioni finan-ziate. Ne risulta che il capitale depositato non garantito essendo soggetta lasua consistenza ai risultati delle operazioni che ha concorso a finanziare.

    I conti di investimento prevedono una soglia minima dingresso e le

    somme depositate possono essere prelevate solo periodicamente e con con-gruo avviso.

    Si tratta di conti che, per loro natura, possono comportare un conflitto diinteressi tra i depositanti e gli azionisti della banca nella misura in cui una pialta remunerazione delle azioni avvenga a scapito del riparto degli utili desti-nati ai titolari di conti mudaraba. Inoltre, gli stessi titolari di conti di investi-mento potrebbero essere caricati di rischi impropri, non avendo alcuna possi-bilit di controllo dei rischi assunti dalla banca.

    da ritenere, tuttavia, che nella prospettiva del lungo periodo, tali conflittisiano contenuti e governati per evitare la fuga dei clienti e preservare,quindi, il potenziale di crescita della banca stessa.

    Alcune banche offrono particolari conti di deposito coi quali la sommadepositata, con lautorizzazione del depositante, impiegata nel finanzia-mento di una singola impresa. In tal caso la banca, che trattiene una commis-sione, agisce come agente del depositante, che partecipa direttamente alla di-stribuzione dellutile dellimpresa finanziata.

    Abitualmente le banche attingono dai conti di risparmio per i finanzia-menti di natura commerciale e a quelli dinvestimento per i finanziamenti alungo termine. Levidenza, tuttavia, mostra che limpegno delle banche si di-spiega in prevalenza nei finanziamenti del primo tipo.

    Oltre allinteresse generalmente considerata contraria alla legge coranicaanche ogni forma di assicurazione sui depositi. Nel qual caso, ovviamente, ildepositante vedrebbe annullata la sua condivisione del rischio.

    Ora, mentre in qualche paese di religione islamica sembra che il credo re-ligioso sia uno dei fattori determinanti nella crescita dei depositi presso lebanche ad orientamento etico, altre osservazioni suggeriscono pi spesso chesia piuttosto un calcolo di convenienza a condizionare le scelte di portafoglio.Ci spiegherebbe, nei casi di coabitazione tra banche islamiche e bancheconvenzionali, una tendenza allallineamento del rendimento delle attivit fi-nanziarie islamiche con i tassi di interesse di mercato.

    Alcuni studi, ad esempio (Richards e Watebury, 2008, pp.375-378), met-tendo a confronto i tassi di interessematurati su depositi a risparmio e i ren-dimenti ex-post delle attivit delle banche islamiche finanziate, conseguential criterio delprofit and loss sharing, hanno mostrato un sostanziale analogo

    livello ed una alta correlazione nelle variazioni. Come se il riba, uscito dalla

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    porta, sia stato fatto rientrare dalla finestra.In effetti, da ritenere che possa essere la stessa politica delle banche i-

    slamiche ad avere come obiettivo un rendimento medio dei depositi prossimoal tasso di interesse praticato dalle banche convenzionali concorrenti. Avendocura di mantenere un fondo di riserva dal quale possano attingere in periodidi bassi profitti per incrementare il rendimento dei depositi: una tecnica con-siderata da alcuni esegeti non del tutto ortodossa. Dal punto di vista legale, tut-

    tavia, le banche distribuirebbero, tuttavia, profitti accumulati. Di fatto, il rischiodi perdita in conto capitale per i depositanti attenuato dalla costituzione, ingenerale, di due tipi di riserve volontarie: lInvestment Risk Riserve, per fron-teggiare eventuali perdite e il Profit Equalization Reserve, per attenuare glisbalzi di rendimento durante il ciclo (Alfano e Fioroni, 2005, pp. 161- 190).

    6.4. Il divieto di Gharr e di Maysir

    Oltre alla interdizione del riba vanno ricordati anche gli altri due fonda-mentali e complementari divieti di gharr e di maysir, che rispondonoallintento di scoraggiare le speculazioni puramente finanziarie, secondo il

    principio che non si pu vendere ci che non si possiede.Per rendere lidea di gharrsi pensi alla vendita di pesce non ancora pe-scato: Do not buy fish in the sea, for it is gharr (Warde, 2000, p.60), comemetafora di ogni transazione il cui oggetto non sia in possesso di una delleparti o il cui possesso sia soggetto ad eccessiva incertezza al momento dellatransazione. Secondo una corrente definizione:

    Gharr is the sale of probable items whose existence or characteristics are notcertain, due to the risky nature which makes the trade similar to gambling (El-Gamal, 2000, pp. 6-7).

    Come spiega Frank Vogel,

    A possible interpretation of the gharr hadiths is that they bar only risksaffecting the existence of the object as to which the parties transact, rather than

    just its price. In the hadiths, such risks arise either 1) because of the parties lackof knowledge (jahl, ignorance) about that object; 2) because the object does notnow exist, or 3) because the object evades the parties control. Therefore thescholars might use one of these three characteristics to identify transactionsinfected by the type of risk condemned as gharar. (Warde, 2000, p. 60).

    Si pu pensare che si tratti, per questa via, di indurre le parti a maggior di-ligenza nel concludere i contratti. Peraltro, considerando il gharrcome ri-schio, ne risulta anche vietato il commercio del rischio e, quindi, il trasfe-rimento di rischi da un soggetto allaltro, caratteristico di molti prodotti

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    dellodierno mercato finanziario legati ad elevati elementi di incertezza e dispeculazione (swaps, futures, ad esempio), che vengono assimilati allaltret-tanto proibito gioco dazzardo. Ne risulta vietata, di conseguenza, la puraspeculazione. Pi in generale, interdetto lesercizio di attivit che implichi-no informazioni asimmetriche ed eccesso di incertezza e di rischio. Al ri-guardo, si posto il problema della ammissibilit del commercio dei titolidi borsa, che stato risolto in senso positivo in quanto si ritiene che, in ogni

    caso, quei titoli conservano sempre un qualche legame con una attivit eco-nomica reale sottostante (Zamir e Miraklor, 2007, p.68). Altrettanto coinvolto il settore assicurativo dato che lassicurazione e la sicurezza, per gli ele-menti di rischio e di incertezza ad esse connesse, non possono essere oggettodi vendita.

    Il divieto di maysirsi riferisce pi propriamente al gioco dazzardo e allaspeculazione, a tutto ci che intacca la lucidit e distrae dal reale (Corano,V, 90-91) e dal tangibile: In verit col vino e il gioco dazzardo, Satana vuo-le seminare inimicizia e odio tra di voi.. (Corano, II, 219). alla base, quin-di, anche della critica di molte pratiche finanziarie convenzionali, gi ricorda-te, come la speculazione, lassicurazione, i derivati.

    In tal senso il maysirha elementi di gharar, anche se non sempre il gha-rar maysir. Tuttavia, mentre nel caso del primo divieto ammessa qualchederoga, il maysir sempre vietato.

    7. Aspetti evolutivi delle banche islamiche

    In conformit ai suddetti principi, a partire dagli anni settanta del secoloscorso, gli economisti musulmani si sono impegnati nella costruzione di un si-stema finanziario compatibile con letica del divieto della pratica dellinteresse.

    I primi studi seminali e qualche tentativo di sperimentare forme di creditoispirate ai dettami coranici sono riconducibili agli anni 40. La prima banca

    islamica, tuttavia, stata la Ghamr Savings Bank, istituita in Egitto nel1963, per iniziativa delleconomista Ahmad al-Najjar.

    Specializzatosi in Germania in economia sociale, una corrente di pensieroispirata, come noto, ad una sintesi di principi socialisti e cristiani e, quindi,fortemente influenzato dallesperienza tedesca delle Casse Rurali, leconomistaegiziano tornando in patria, turbato dalla condizione di povert e di bisognodei contadini del suo piccolo villaggio di Zefta/Mit Ghamar, nel Delta del Nilo,si ingegn di sovvenire alle loro necessit di base costituendo, per lappunto,la Ghamr Savings Bank(Cassa Rurale di Risparmio), recuperando gli antichicontratti di mudaraba e di musharaka, tipici della tradizione, per renderecompatibile lesercizio del credito con i valori islamici (Abdul-Rahman, 2010, p.

    192): una iniziativa motivata da un forte impegno etico, ispirata allidea del

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    servire al meglio la comunit, quasi ad affermare quel diritto fondamentaleallaccesso al credito divenuto poi manifesto del Nobel per la Pace M. Yunus,linnovatore della Grameen Bank (Bruni, 2009, p. 127). Di fatto, risparmiato-ri e prenditori di fondi erano soci della banca mentre uno sharia boardvigi-lava sulla conformit delle operazioni ai principi religiosi.

    La Ghamr Savings Bank, attraverso, in particolare, operazioni di micro-credito, favor la promozione sociale e il nascere di una nutrita schiera di pic-

    coli imprenditori agricoli. Il crescente successo della Banca, tuttavia, segnalAhmad al-Najjar come un possibile avversario politico di Nasser, lautori-tario presidente egiziano. Per cui, per motivi in ogni caso non del tutto chiari,la Ghamr Savings Bank fu costretta alla chiusura e successivamente, nel1971, riaperta dal nuovo presidente Sadat e rinominata Nasser Social Bank,con analoga ragione sociale ma priva dei simboli religiosi. (Warde, 2000, p.74; Hamauti e Mauri, 2009, pp. 50-51).

    Limpegno sociale di Ahmad al-Najjar comprende anche la istituzione, alCairo, dell Institute of Islamic Banking Training, per la formazione di unanuova generazione di banchieri islamici, poi trasferito a Cipro dove eviden-temente poteva godere di maggior libert di iniziativa. In et avanzata, vale la

    pena di ricordare,he became very critical of the direction taken by Islamic Banking industry at thattime, because it concentrated more on form and less on substance and because itabandoned its social responsibility of assisting and building the local communitiesthat needed urgent help and instead focused on serving the rich(Abdul-Rahman,2010, p. 193).

    in quel periodo che il processo di diffusione registra unaccelerazione,auspici il nascente pan-arabismo e la relativa adozione della tradizionale in-terpretazione del riba e, successivamente, lo shock petrolifero conseguentealla guerra del 1973 che ha inondato di petrodollari i paesi del Golfo(Siagh, 2003, pp. 24 e ss.).

    Un primo impulso per una modifica di atteggiamento nei confronti del farbanca all occidentale, in effetti, gi databile intorno al 1930 in Egittoquando il Movimento del Fratelli Musulmani cominci a criticare il sistemabancario fondato sullinteresse, introdotto dalle Potenze coloniali, rivendi-cando il diritto dei musulmani a regolare i vari aspetti della vita, compresiquelli economici, secondo i dettami del Corano. Un richiamo in tal senso ,successivamente, riscontrabile nella lettera che Hasan al Banna, fondatore delMovimento, indirizz nel 1947 ai Capi di Stato Arabi, sollecitandoli ad adot-tare misure di riorganizzazione del sistema bancario on an interest-free basis(Saeed, 1996).

    Nel 1970 creata l Organizzazione per la Conferenza Islamica che nel

    Summit di Lahore, nel 1975, decide di istituire a Jeddah la Banca Islamica di

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    Sviluppo, col compito di rispondere ai bisogni di sviluppo economico deipaesi musulmani e di mantenere lequilibrio nella loro bilancia dei pagamentiseguendo i principi generali dellIslam e con lobiettivo di incentivare ipaesi musulmani a sviluppare e indirizzare le loro ricchezze naturali verso ilprogresso sociale secondo i principi islamici.

    Seguono, sempre nel 1975, la Dubai Islamic Bank, la prima vera banca i-slamica moderna e non governativa; nel 1977 la Kuwait Finance House, la

    Faisal Islamic Bank of Egypt, laIslamic Bank of Sudan, nel 1978 la Jordan Islamic Bank for Finance and Investmente la Bahrain Islamic Bank; nel1980 laInternational Islamic Bank for Investment and DevelopmentinEgitto(Warde, 2000, pp. 75 e ss.). Nel 1981 creata su iniziativa di unassociazionedi investitori musulmani laDar El Mal Islami, con sede a Ginevra: una fasenascente, caratterizzata da fervore ideale ma, a volte, anche da carenze e dif-ficolt tecnico-professionali che hanno fatto registrare pi di una delusione.

    Lesperienza si estende, quindi, anche al Sud-Est asiatico toccando Filip-pine, Malesia e Indonesia, mentre alcuni paesi si spingono oltre, islamizzandolintero settore bancario. il caso del Pakistan, nel 1979, seguito nel 1983 dalSudan e, poi, dallIran.

    Pi di recente si registra una presenza della finanza islamica soprattutto inGran Bretagna, in particolare con laIslamic Bank of Britain, e negli USA do-ve hanno sede laBank of America Finance House e lAmana Fund. Nel polofinanziario inglese sono altres presenti succursali di banche convenzionali,come Deutsche Bank, Citibank, HSBC Amanah, ad esempio, che fornisconoservizi conformi alla legge coranica. Altri insediamenti in Europa sono previ-sti, avendo la European Investment Bankottenuto nel 2006 la licenza di eser-cizio delle sue attivit nei vari paesi europei. IlBaraka Banking Group sta, adesempio, effettuando uno studio di fattibilit per creare una banca in Francia,mentre la finanza islamica gi presente in Cina e si sviluppa il Russia(http://ribh.wordpress.com). In Italia, siamo ancora, alle fasi preliminari di stu-dio e di fattibilit malgrado la firma, gi nel settembre 2007, di un memoran-dum dintesa tra lUnione delle Banche Arabe e lAssociazione Bancaria Ita-liana per lapertura in Italia entro lanno successivo di uno sportello islamico.

    Sul piano organizzativo, a fronte della possibilit di differenti interpretazio-ni della Legge, e ai fini dellarmonizzazione delle pratiche bancarie islami-che sono stati istituiti alcuni organismi internazionali (Brach, 2007).

    Si tratta dellAccounting & Auditing Organization of Islamic FinancialInstitution (AAOIFI) che ha per missione larmonizzazione delle regole con-tabili delle banche islamiche; dellIslamic Financial Services Board(IFSB),costituito per facilitare lintegrazione tra finanza islamica e finanza interna-zionale; dellInternational Islamic Financial Market(IIFM) con lobiettivo didefinire nuovi meccanismi e strumenti di mercato compatibili con la sharia e

    con uno sviluppo rapido della banca islamica (Chapra e Khan, 2001, pp. 40-43).

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    A livello di singola banca , invece, operativo, come nel caso della GhamrSavings Bankun comitato di sharia, composto da esperti di giurisprudenzaislamica col compito di supervisori per la verifica della conformit delle atti-vit della banca ai principi della sharia.

    8. La finanza di mercato

    A fronte del tentativo di creare un sistema bancario libero dallinteresse,caratterizzato da pratiche e tecniche abbastanza evolute, pi problematico statoil percorso di definizione di strumenti finanziari rispettosi dei principi della sha-ria, anche se su alcuni problemi la ricerca ha proposto soluzioni largamente con-divise (Acadmie du Fiqh de lOCI, 1992 G; Ayub, 2007; Gatto, 2008).

    Lazione, in quanto titolo di propriet di una parte dellattivo netto diunimpresa, ammessa ed scambiabile non in s ma per gli elementidellattivo che rappresenta. Gli azionisti hanno responsabilit limitata. Lavendita di azioni sul mercato libera, salve tutte le condizioni di trasparenzae di completa informazione ai potenziali acquirenti circa le effettive condi-

    zioni della societ di cui sono espressione, per evitare ogni forma di gharar.Analoghi principi governano la gestione dei fondi azionari.Le obbligazioni convenzionali, in quanto titoli fondati sullinteresse, non

    sono consentite. Il loro sostituto islamico stato individuato nei cosiddettiSukuk(plurale di Sak, o Sanadat, che sta per certificato di investimento, untermine gi noto nella tradizione della giurisprudenza islamica). Vale a diretitoli che conferiscono al possessore la propriet pro-quota di specifiche atti-vit, per un tempo definito, con diritto di partecipazione proporzionale ai pro-fitti e alle eventuali perdite derivanti dalla loro gestione. A differenza dellaobbligazione convenzionale, che conferisce al suo possessore il diritto finan-ziario ad un flusso di cassa predeterminato e indipendente dallandamentodelle attivit finanziate, lobbligazione islamica rappresentativa, invece,di un diritto di propriet, con una remunerazione legata, perci, ai risultatidegli asset sottostanti e diretta partecipazione finale ai proventi di realizzodellassetstesso. Ne segue che, tecnicamente, una emissione di certificati diinvestimento islamici molto prossima a una operazione di cartolarizzazioneconvenzionale: identificato, infatti, un certo asset libero da ipoteche, si creauna apposita struttura munita di propria autonomia giuridica (Special purposevehicle, Spv). Ad essa, il proprietario che necessita di un finanziamento(Sponsor), vi conferisce per un prezzo predeterminato dacquisto lassetdacartolarizzare, di norma un bene tangibile, come un aeroporto, unautostrada.LSpv emette, quindi, dei certificati (sukuk notes) di importo pari al prezzoconcordato di acquisto dellasset, utilizzando i fondi dei sottoscrittori per pa-

    gare il proprietario originario, col quale stipula un contratto islamico, in una

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    delle tipologie note anche per il finanziamento bancario.Una accelerazione nella diffusione di tali strumenti, non a caso, si deve

    agli avvenimenti dell11 settembre 2001. Essi, infatti, hanno determinato unprecipitoso rientro di capitali dagli Stati Uniti verso i Paesi del Golfo, in cer-ca di riallocazione.

    Il primo sukuk, ad esempio, stato emesso dal gruppo finanziario sudane-seDallah Albaraaknel 1998 (Ruimy, 2008, pp. 122 e ss). Ma solo a partire

    dal 2002, auspice anche lincremento di liquidit conseguente allaumentodel prezzo del petrolio, che diversi paesi si sono dotati dei mezzi per drenaree dinamizzare la nuova e abbondante dotazione di risparmio.

    Nel giugno 2002 laMalaysia Global Sukuk, una emanazione del Ministe-ro delle Finanze della Malesia, ha emesso i Malaysia Al-Ijara Certificates acinque anni per un ammontare di 600 milioni di dollari, per finanziarelacquisto di quattro lotti di terreno. Hanno fatto seguito, quindi, le emissionidel Qatar nel settembre 2003 per 700 milioni di dollari, del Bahrein nellotto-bre dello stesso anno per 380 milioni di dollari, dei membri della Banca Isla-mica di Sviluppo, sempre nel 2003 per 400 milioni di dollari, di Dubai, no-vembre 2004, per un miliardo di dollari.

    Allo stesso strumento hanno fatto ricorso anche grandi imprese degli Emi-rati Arabi Uniti (Dubai Ports World) o americane (Loehmann, East CameronPartners), cos come banche (Banca Mondiale, Mitsubishi UFJ). Il primo su-kukeuropeo stato emesso dal Land tedesco della Sassonia-Anhalt nel 2004per un ammontare di 100 milioni di euro con scadenza quinquennale e nel2007 il Giappone ha annunciato il lancio della prima tranche di un sukuk so-vrano nei paesi del G7. Tra le recenti innovazioni in tema di prodotti finan-ziari vanno anche ricordati i fondi dacquisto di beni (Commodity Fund) e ifondi misti. Di recente (2006), ad esempio, sono state sperimentate delle ob-bligazioni convertibili in azioni emesse dal porto di Dubai, a testimonianzadello sforzo di innovazione compatibile della finanza islamica.

    Nellarco di poco pi di un trentennio lindustria finanziaria islamica, pre-sente in almeno 65 paesi e con una gestione di fondi intorno agli 800 miliardi didollari, operati da quasi 600 istituzioni del settore in pi di 50 paesi (Draghi,2009, p. 1), da fenomeno periferico si , quindi, trasformata in unattivit con-sistente e rispettata, ancorch non del tutto assestata e bisognosa di arricchire lapropria curva di apprendimento rispetto allesperienza della finanza conven-zionale ma anche, probabilmente, di riaffermare la sua vocazione.

    9. Tra ideali e realt

    Come nel caso dellazaktva, tuttavia, registrato un ampio scarto tra prin-

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    cipi e pratica, essendosi rivelato il criterio principe delprofit and risk sharingun obiettivo piuttosto difficile da perseguire. Ed, infatti, la forma di contrattoprevalente praticato dalle banche islamiche quello di tipo murabaha, assi-milabile a quello delle banche convenzionali, in quanto operazione di profit-to a basso tasso di rischio basata sul criterio del mark-up. Pi circoscritto eminimale, per contro, stato il ricorso ai contratti del tipo musharaka-mudaraba, pi corformi al criterio delprofit and risk sharing.

    Rispetto ai contratti basati su tecniche del tipo mark-up, quelli partecipati-vi, come evidente, sono pi complicati. Richiedono una rigorosa defini-zione dei diritti di propriet, sono soggetti a possibile alta conflittualit eaccentuano i costi di transazione e i noti problemi di agenzia. Risultandopiuttosto difficile per la banca, ad esempio, controllare gli eventuali errori,le negligenze, il livello di impegno profuso dallimprenditore che gestiscelimpresa finanziata dalla banca, e problematico verificare quanto, eventual-mente, il profitto dichiarato si discosti da quello effettivo, malgrado lauspi-cio delletica islamica ad una eguale, adeguata e accurata informazione nelmercato. La circostanza, ad esempio, che in caso di fallimento lintera perditasia sopportata dalla banca pu risultare un incentivo ad una condotta del-

    limprenditore contraria allinteresse della banca stessa. Allo stesso modo,nei casi di coabitazione delle banche islamiche con quelle interest-basedpossibile che si verifichino analoghi fenomeni di selezione avversa, se gliimprenditori con pi alte aspettative di profitto preferiscono rivolgersi allebanche convenzionali mentre quelli con prospettive meno allettanti preferi-ranno le banche islamiche per scaricare su di esse parte del rischio e delle e-ventuali perdite. Col paradosso, peraltro, che anche in caso di successo dellabanca in un eventuale controversia giudiziaria, la stessa, magari dopo anni,pu rientrare in possesso solo delloriginario capitale prestato e non anchemaggiorato, per via del divieto dell applicazione dellinteresse.

    Questi motivi e quelli pi generali legati ad un ambiente istituzionale an-cora opaco, accentuano, probabilmente, la percezione di maggior rischioper le banche islamiche delle forme di impiego di tipo profit and loss sharinge concorrono a spiegare il maggior ricorso a tecniche nella sostanza moltoprossime a quelle di tipo convenzionale.

    Va detto, comunque, che nel caso di prestiti di tipo murabaha o ijarah,bench il risultato possa non essere materialmente diverso da quello delleforme di finanziamento basate sullinteresse, la similarit attenuata, nellamisura, almeno, in cui le due operazioni siano condotte con appropriato spiri-to ed adeguate modalit, mantenendo un qualche legame tra strumento finan-ziario e attivit sottostante.

    Diverso il caso del ricorso a tali contratti per aggirare deliberatamentela prescrizione islamica, come quando una banca usa il contratto murabaha

    per finanziare, ad esempio, il pagamento dei salari di un cliente: una opera-

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    zione proibita in quanto non basata sullacquisto di un bene reale da partedella banca. Altro caso frequente, nellambito dello stesso contratto, quellodellincremento del prezzo in casi di ritardato pagamento. Trattandosi, infatti,di una particolare specie di vendita, stabilito il principio di sharia che ilprezzo debba essere determinato al momento della vendita stessa. Su questascia, qualche osservatore (Usmani, 2004, pp. 244 e ss.) rammenta il principio diconnessione tra transazioni commerciali e obiettivi morali della societ, per os-

    servare che solo poche banche islamiche vi si siano conformate. Auspica, pertan-to, uno sforzo di innovazione di politiche di finanziamento e di sperimentazionedi nuovi canali di investimento per incoraggiare e supportare soprattutto lo svi-luppo della piccola imprenditoria e il miglioramento dello standard di vita dellapopolazione in generale, segnalando che Islamic obligations of workship aswell as the ethical norms must be prominent in the whole atmosphere of aninstitution which claims to be Islamic (p. 245). Non deve sorprendere, per-tanto, che alcuni possano parlare anche di finzione della finanza islamica edi marginalizzazione della sua dimensione etica (Ruimy, 2008, p.149).

    il caso di rilevare, ancora, che la finanza partecipativa, secondo alcu-ne fonti, (Henry, 2004) sarebbe stata utilizzata in prevalenza a supporto dioperazioni di import-export o per una variet di transazioni di breve termine,

    mancando, di fatto, di assecondare laltro obiettivo delle banche islamicheche quello di contribuire, con gli impieghi a pi lungo periodo, allo svilup-po economico e sociale dei paesi musulmani. In tal senso, c anche chi a-vanza lipotesi che lIslam banking abbia potuto incentivare la fuga di capi-tali dalla regione di maggiore sua diffusione verso alcune piazze pi sicuredei paesi occidentali (Wilson, 2004).

    Nellinsieme, pertanto, la banca islamica non sembra essere ancora riusci-ta a dar vita ad un compiuto sistema di venture capital secondo il dichiara-to auspicio.

    Unaltra difficolt sua propria quella legata alla problematica della ge-stione della liquidit. Le banche convenzionali hanno facilit di impiego dellapropria liquidit e altrettanta passibilit di trovarne quando ne hanno bisogno.Per le banche islamiche le difficolt sono maggiori. Le loro operazioni, infat-ti, non pi basate sullinteresse, richiedono tempi pi lunghi e proporzionalialla complessit dei progetti finanziati. Il che spiega lasfissia del mercato in-terbancario e la necessit per le banche di immobilizzare a fini precauzionaliun eccesso di riserve in bilancio. Per la ricerca di soluzioni adeguate allopera ilLiquidity Management Center(Bahrein). Non vanno, poi, sottova-lutati i costi per la banca, associati allattivit istruttoria per la scelta dei pro-getti da finanziare e, successivamente, allattivit di controllo gestionale econtabile dellattivit finanziata, che spesso richiede il ricorso ad esperti. Unulteriore fattore ambientale sfavorevole pu essere rappresentato dalla nonperfetta standardizzazione dei prodotti offerti a causa delle differenti interpre-

    tazioni della sharia

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    Peraltro, lo sviluppo della finanza islamica e la sua integrazione nella fi-nanza internazionale richiedono in gran parte una adeguata evoluzione dellastruttura, della organizzazione e dellattivit delle banche stesse, per dare a-deguata soluzione ai problemi di trasparenza, governance, gestione dei rischie compatibilit contabile di cui ancora soffre (Brack, 2007, pp. 41-44).

    In prospettiva, al riguardo, una prima sfida concerne il necessario proces-so di accorpamento e di fusione richiesto dal gran numero di banche a bassa

    capitalizzazione, per ottimizzarne la dimensione e i livelli di efficienza rispet-to alle concorrenti banche convenzionali. Andrebbero, quindi (1) miglioratii livelli di formazione e di apprendimento, a fronte della complessit tecnicadei prodotti conformi ai principi islamici, (2) rafforzate le misure di controllointerno ed esterno, (3) meglio coordinate le attivit dei singoli comitati disharia, per ridurre le difformit interpretative (Wahab, 2005, pp. 487 e ss.).

    Laltra sfida fa riferimento alla capacit del sistema di proporre prodottifinanziari a medio e lungo termine basati sullo schema della partecipazionealle perdite e ai profitti. Lesperienza corrente, infatti, come gi accennato,conferma un orientamento prevalente ai finanziamenti di breve termine attra-verso contratti di tipo murabaha.

    Al dunque, tuttavia, a parte i possibili e ricordati problemi tecnici, quel

    che lascia perplesso losservatore la percezione di una tendenza al formali-smo dell Islamic Banking, col ricorso delle banche alluso di strumenti dimurabaha e ijara, e risultati sostanzialmente non dissimili da quelli dellebanche convenzionali. Non che non sia rintracciabile, come gi ricordato, unaqualche differenza tra quei due tipi di contratto e quelli caratteristici dellabanca che utilizza linteresse, specialmente se opportunamente implementati.Nondimeno, la sensazione che si tratti di strumenti che consentono di per-seguire gli stessi affari con nomi diversi e, comunque, non si pu negare chetrattasi di tipologie non originali di finanziamento islamico. A parte il fattoche le banche islamiche operano transazioni anche sui mercati occidentali edepositano, se necessario, il loro denaro in banche non islamiche che fannoricorso allimpiego del tasso di interesse (Benmansour, 1994, pp. 278 ss).

    Motivo per cui la loro contabilit, spesso, occulta i conti finanziari per rende-re difficile la individuazione della provenienza delle loro entrate. da ritenere che luso di strumenti quali murabaha e ijara sia stato con-

    sentito dagli sharia scholars solo in quei settori dove il ricorso al contrattomusharaka risulti di difficile applicazione e sempre sotto osservanza di certecondizioni. Ma ci non dovrebbe rappresentare un alibi permanente per elu-dere la caratteristica rilevante e distintiva del finanziamento di tipo islamico.Anche la tendenza alla ricerca di un rendimento delle transazioni delle ban-che islamiche sostanzialmente analogoa quello delle banche convenzionali,ed una certa deriva tecnicistica, appena schermata da una osservanza ritualee formale dei dettami del Corano, rappresentano un ulteriore elemento discetticismo da parte di molti sulla specificit e sulla pertinenza dellattuale

    sistema finanziario islamico.

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    Tutti i ricordati motivi, pertanto, rendono plausibile lidea che, malgrado irilevanti sforzi di ancoraggio di ogni transazione finanziaria ad un assettan-gibile ed identificabile e nonostante i pur ragguardevoli traguardi raggiunti, lafinanza islamica non rappresenti, ancora, un esempio compiuto di reale alter-nativa al sistema convenzionale.

    Islamic Banking stato scritto is a good example of a field where basically

    the Western system has been partially Islamized, but in many aspects Islamicnames have been given to various transactions that do not truly reflect the goals orvision of Islam. The result of this frame of mind is called al-hiyal al shari yah,shariaa tricks, where forms, terms, and words are changed rather than the substancewhen the need is really for a new vision (Abdul-Rahman, 2010 pp. 237-38).

    Ma sarebbe riduttivo assegnare alla finanza islamica il solo obiettivo del su-peramento del finanziamento basato sullinteresse. A ben considerare le forticonnotazioni di novit del messaggio e dei valori dellIslam, il suo ulteriorecompito dovrebbe essere anche quello di divenire strumento al servizio di un di-segno pi complessivo per la promozione di uno sviluppo economico e socialeresponsabile ed antropocentrico. Obiettivo evidentemente mancato se si osser-va lo scenario largamente dominato da inaccettabili disuguaglianze, distorsioni,povert, speculazioni, corruzione, e fortemente connotato da uno stile di vita dis-sipatorio delle classi dominanti, che caratterizza la maggioranza dei paesi dimaggior diffusione della finanza islamica (Ramadan, 2009, p. 294).

    Quel che sembra di poter ribadire che il compito della finanza islamicanon pu essere circoscritto alla semplice offerta di alternative microeconomi-che conformi ai dettami del Corano. La sua vocazione, piuttosto, dovrebbeessere anche quella di rappresentare una opportunit per una nuova visionemacroeconomica globale fonde sur la valorisation du travail au lieu de laspculation oisive, la stimulation dune croissance relle et durable au lieu debulles financires sans rapport avec la sphre conomique concrte, la justiceet la moralit qui font tant dfaut au monde de la finance daujourdhui, se-

    condo le parole di un autorevole operatore del settore (Nasser, 2007, p.70).

    10. Conlusioni

    Non retrograda (Schart,1964), n moderna (Balle, 2005, p. 222). Pi pro-priamente, la finanza islamica pu essere considerata problematica.

    Figlia di una interpretazione piuttosto letterale dei dettami coranici intema di riba, gharr, maysir, in unepoca caratterizzata da una forte esigenzadi affermazione dellorgoglio musulmano, ed espressione pi generale deiprincipi etici dellIslam, la finanza islamica non sembra ancora essere riuscitaad esprimere compiutamente la sua supposta alterit rispetto alla finanza

    convenzionale. N sembra, ancora, essere divenuta, nella sostanza, parte atti-

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    va di un disegno di sviluppo sostenibile ed antropo-centrico coerente con iprincipi delletica islamica, in un ambiente sostanzialmente cannotato da sot-tosviluppo, povert, disuguaglianze, speculazioni. Pur dovendo riconoscere leattenuanti della sua giovane et e le difficolt, spesso, di operare in concor-renza con la ben pi matura finanza convenzionale ed in ambiti istituzionalinon sempre consoni al suo affermarsi; malgrado, anche, i ragguardevoli risultatispazio-quantitativi raggiunti e le sue congeniali attitudini alla stabilit del sistema

    finanziario. Da questultimo punto di vista, anzi, la finanza islamica pu essereletta come una storia di successo. Non fossaaltro per linteresse che suscita e lafacilit con cui le istituzioni islamiche vengono autorizzate ed accolte fuori dalloro ambiente naturale e per linteresse col quale molte banche convenzionali a-prono finestre islamiche per offrire ai clienti musulmani prodotti pi consonialla loro religione. Ma anche per il potenziale di stabilit insito nel sistemafinanziario islamico, coerente col suo forte richiamo ai valori etici e con lamanifesta aspirazione ad un ancoraggio reale della finanza

    Al contempo, tuttavia, la finanza islamica non riuscita a centrare lobiettivodi essere del tutto una realt originale ed innovativa, almeno nella misura in cui ilprincipio della condivisione del rischio (secondo la logica no risk, no gain),che sembrava laspetto qualificante e maggiormente giustificativo della nascita

    della nuova esperienza, in quanto principio di base della sharia, ha trovato soloapplicazione marginale, rispetto ai metodi di finanziamento basati sul criterio delmark-up o su transazioni sostanzialmente neutre dal punto di vista etico.

    Altrettanto, ha mancato, nei fatti, di rappresentare il braccio operativo diun economia orientata agli imperativi morali dellIslam e alla riconosciutanatura sociale e collettiva dellazione umana. Non avendo, se non in qualchemisura, saputo contribuire al miglioramento delle condizioni di vita della ge-neralit degli individui ed in particolare dei poveri dei suoi bacini di utenzaprevalenti (Ahsan, 2004, pp.181-200).

    La finanza islamica pu essere quindi rappresentata, pur con molte atte-nuanti, come un processo problematico in divenire, per la difficolt di con-ciliare tradizione e modernit, per il venir meno di quella passione per glialtri che sembrava averne connotato le istituzioni nel loro percorso origina-rio, soprattutto per la fatica di farsi motore e strumento di un sistema istitu-zionale pi generale, coerente con i principi etici ed i percepiti valori di libe-razione e di trasformazione dellIslam. Si tratta, per questa via, di l daogni pur auspicabile coerenza formale, di ripensare la finanza islamica ancorpi in una visione globale perch possa essere meglio conciliato il caratterelecito dei mezzi da essa offerti con la moralit dei fini e dei risultati, in ac-cordo con un approccio critico del modello economico dominante, che essapretende o pretendeva di superare.

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    Cooper, G. (2008), The Origin of Financial Crises, Vintage Books, New Yo