UNITÀ 1 INESTRA SULL’AUTORE Igino - Epea,...

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UNITÀ 1 FINESTRA SULL’AUTORE Igino Il mondo delle origini: il mito I l termine mito deriva dal greco mythos, che significa «parola, racconto». Esso indica una storia relativa a vicende di dèi ed eroi, a suo tempo considerata vera, che si proponeva di spiegare le cause delle origini del cosmo, di città, di feste, di riti sacri. Aveva, dunque, anche una funzione eziologica (dal greco aitiolo- ghía, «ricerca delle cause»), riconosciuta da tutta la comunità sociale. Autore di miti è Igino, la cui opera, le Fabulae, rappresenta un vero e proprio manuale di mitologia, a uso soprattutto di studenti. Di lui abbiamo poche notizie: probabilmente di origine spagnola, fu liberto dell’im- peratore Augusto (27 a.C.-14 d.C.), grammatico e direttore della biblioteca romana del tempio di Apollo sul colle Palatino. Trascorse in miseria gli ultimi anni della sua vita poiché gli venne meno il favore impe- riale, ma non ne conosciamo le ragioni. Scrisse numerose opere di erudizione, sugli uomini illustri, sulle città italiche, sull’astronomia, che però sono andate perdute. Ci rimane una raccolta di 277 Fabulae, brevi racconti mitologici sicuramente rimaneggiati in epoca successiva. Igino comincia la sua narrazione dalle origini del mondo, racconta poi la genealogia degli dèi e degli eroi, e vari cicli mitici ripresi anche dalla tradizione tragica. Si ricorda, infine, che secondo alcuni studiosi l’autore delle Fabulae sarebbe un Igino astronomo, vissuto durante il regno di Traiano (98 d.C.-117 d.C.). Ti presentiamo adesso alcuni brani in lingua, con traduzione, su alcuni dei principali miti raccontati da Igino; puoi osservare come l’autore usi un linguaggio semplice ed essenziale, talvolta schematico e ripetiti- vo, adatto alla lettura scolastica. L’autore, infatti, si proponeva di creare testi informativi che gli studenti o persone di buona cultura potessero consultare per arricchire e ampliare le proprie conoscenze. Le sue fonti sono per lo piú greche (Omero, Esiodo, Apollonio Rodio) e talvolta, rielaborando trame tragiche, è possi- bile ricostruire i soggetti di drammi perduti della tragedia greca e romana. Dopo aver letto attentamente il testo latino e completato la comprensione italiana dei pochi termini evidenziati in neretto, riconosci le diverse funzioni logiche svolte dalle parole sottolineate, e indica in quale caso debbano essere messi i vari elementi della frase. ESEMPIO Prometeo sogg., nominativo sing. figlio apposizione del sogg., nominativo sing. di Giapeto compl. di specif., genitivo sing. plasmò pred. verb. gli uomini compl. ogg., accusativo plur. Igino, Fabulae, 142; 144 Igino presenta in modo sintetico e schematico il mito di Prometeo, il titano che ruba il fuoco agli dèi per portarlo sulla terra agli uomini. Per punirlo di ciò, Zeus gli riserva un terribile trattamento a cui pone fine Ercole dopo trentamila anni. Prometheus, Iapĕti filius, primus homines ex luto finxit. Postea Vulcanus Iovis iussu ex luto muliĕris effigiem fecit, cui Minerva animam dedit, ceterique dii alius aliud dedērunt; ob id Pandoram nominārunt. Ea data in coniugium Epimetheo fratri; inde nata est Pyrrha, quae mortalis dicitur prima esse creata. Homines antea ab immortalibus ignem petebant, neque in perpetuum servare sciebant; quem postea Prometheus in ferula detŭlit in terras, hominibusque monstravit quomodo cinere obrūtum servarent. Ob hanc rem Mercurius Iovis iussu deligavit eum in monte Caucaso ad saxum clavis ferreis et aquilam apposuit quae iecur eius exesset; quantum die edĕrat, tantum nocte crescebat. Hanc aquilam post triginta milia annorum Her- cules interfēcit eumque liberavit.

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UNITÀ 1

FINESTRA SULL’AUTORE Igino

Il mondo delle origini: il mito

Il termine mito deriva dal greco mythos, che signifi ca «parola, racconto». Esso indica una storia relativa a vicende di dèi ed eroi, a suo tempo considerata vera, che si proponeva di spiegare le cause delle origini

del cosmo, di città, di feste, di riti sacri. Aveva, dunque, anche una funzione eziologica (dal greco aitiolo-ghía, «ricerca delle cause»), riconosciuta da tutta la comunità sociale.Autore di miti è Igino, la cui opera, le Fabulae, rappresenta un vero e proprio manuale di mitologia, a uso soprattutto di studenti. Di lui abbiamo poche notizie: probabilmente di origine spagnola, fu liberto dell’im-peratore Augusto (27 a.C.-14 d.C.), grammatico e direttore della biblioteca romana del tempio di Apollo sul colle Palatino. Trascorse in miseria gli ultimi anni della sua vita poiché gli venne meno il favore impe-riale, ma non ne conosciamo le ragioni. Scrisse numerose opere di erudizione, sugli uomini illustri, sulle città italiche, sull’astronomia, che però sono andate perdute. Ci rimane una raccolta di 277 Fabulae, brevi racconti mitologici sicuramente rimaneggiati in epoca successiva.Igino comincia la sua narrazione dalle origini del mondo, racconta poi la genealogia degli dèi e degli eroi, e vari cicli mitici ripresi anche dalla tradizione tragica.Si ricorda, infi ne, che secondo alcuni studiosi l’autore delle Fabulae sarebbe un Igino astronomo, vissuto durante il regno di Traiano (98 d.C.-117 d.C.).

Ti presentiamo adesso alcuni brani in lingua, con traduzione, su alcuni dei principali miti raccontati da Igino; puoi osservare come l’autore usi un linguaggio semplice ed essenziale, talvolta schematico e ripetiti-vo, adatto alla lettura scolastica. L’autore, infatti, si proponeva di creare testi informativi che gli studenti o persone di buona cultura potessero consultare per arricchire e ampliare le proprie conoscenze. Le sue fonti sono per lo piú greche (Omero, Esiodo, Apollonio Rodio) e talvolta, rielaborando trame tragiche, è possi-bile ricostruire i soggetti di drammi perduti della tragedia greca e romana.

Dopo aver letto attentamente il testo latino e completato la comprensione italiana dei pochi termini evidenziati in neretto, riconosci le diverse funzioni logiche svolte dalle parole sottolineate, e indica in quale caso debbano essere messi i vari elementi della frase.

ESEMPIO Prometeo sogg., nominativo sing. fi glio apposizione del sogg., nominativo sing. di Giapeto compl. di specif., genitivo sing. plasmò pred. verb. gli uomini compl. ogg., accusativo plur.

Igino, Fabulae, 142; 144Igino presenta in modo sintetico e schematico il mito di Prometeo, il titano che ruba il fuoco agli dèi per portarlo sulla terra agli uomini. Per punirlo di ciò, Zeus gli riserva un terribile trattamento a cui pone fi ne Ercole dopo trentamila anni.

Prometheus, Iapĕti fi lius, primus homines ex luto fi nxit. Postea Vulcanus Iovis iussu ex luto muliĕris effi giem fecit, cui Minerva animam dedit, ceterique dii alius aliud dedērunt; ob id Pandoram nominārunt. Ea data in coniugium Epimetheo fratri; inde nata est Pyrrha, quae mortalis dicitur prima esse creata. Homines antea ab immortalibus ignem petebant, neque in perpetuum servare sciebant; quem postea Prometheus in ferula detŭlit in terras, hominibusque monstravit quomodo cinere obrūtum servarent. Ob hanc rem Mercurius Iovis iussu deligavit eum in monte Caucaso ad saxum clavis ferreis et aquilam apposuit quae iecur eius exesset; quantum die edĕrat, tantum nocte crescebat. Hanc aquilam post triginta milia annorum Her-cules interfēcit eumque liberavit.

Prometeo, fi glio di Giàpeto, per primo plasmò uomini dal fango. Poi Vulcano, per ordine di Giove, fece

un’immagine di donna di fango a cui .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . dette ... . . . . . . . . . . e tutti gli altri dèi dettero chi una cosa chi

un’altra; per questo la chiamarono Pandora1. Ella fu data in sposa al fratello Epimeteo; quindi nacque

... . . . . . . . . che si dice sia stata la prima donna mortale creata2. Gli uomini chiedevano il fuoco agli dèi immor-

tali, ma non lo sapevano conservare per sempre; successivamente Prome-

teo lo portò sulla terra in una canna e mostrò agli uomini come con-

servarlo coperto di cenere. Per questo fatto Mercurio, su ordine di

Giove, lo fece incatenare in una roccia sul monte Caucaso con

chiodi di ferro e gli pose vicino ... . . . . . . . . . che rodesse il suo fega-

to; quanto aveva mangiato di giorno ricresceva la notte. Do-

po trentamila anni Ercole uccise questa aquila e liberò Pro-

meteo.

Igino, Fabulae, 153, 1-2Zeus, sdegnato per il comportamento empio degli uomini, decide di distruggere il genere umano mandando

sulla terra un diluvio dal quale si salvano solo Deucalione, il fi glio di Prometeo, e Pirra, sua moglie. Essi ripopolano la terra gettan-do dietro di sé delle pietre. La prima parte del mito presenta ana-logie con il racconto del diluvio universale narrato nella Genesi.

Cataclysmus quod nos diluvium dicĭmus, cum factus est, omne genus humanum interiit praeter Deucalionem et Pyr-rham, qui in montem Aetnam, qui altissimus in Sicilia dici-tur, fugerunt. Hi, propter solitudinem cum vivere non possent, petierunt ab Iove ut aut homines daret aut se pari calamitate affi ceret. Tum Iuppiter iussit eos lapides post se iactare. Quos Deucalion iactavit, viros esse iussit, quos Pyrrha, mulieres.

Quando avvenne il cataclisma che noi .. . . . . . . . . . . . diluvio, tutto il ge-

nere umano perí, tranne Deucalione e ... . . . . . . . . . . che si rifugiarono sul

monte Etna che si dice sia il piú alto della Sicilia. Essi, poiché non

riuscivano a vivere per la solitudine, chiesero a Giove o di dar lo-

ro uomini o di colpirli con uguale sventura. Allora Giove ordinò lo-

ro ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pietre dietro sé. Ordinò che fossero uomini quel-

le pietre che gettò Deucalione, che fossero donne quelle che sca-

gliò Pirra.

1 Pandora, il cui nome signifi ca «tutti i doni», fu forgiata, per ordine di Zeus, con argilla e acqua e ricevette dagli dèi bellezza, ingegno, at-titudine alle arti e all’eloquenza. Andò in sposa a Epiméteo, «lo stolto», il fratello di Prometeo. Pandora ricevette dal re degli dèi un vaso contenente tutti i mali. La donna o il marito, secondo una diversa versione del mito, aprí il vaso per curiosità e tutti i mali si diff usero tra gli uomini causandone l’infelicità.

2 Pirra è la prima mortale non plasmata dal fango, ma nata dall’unione di un uomo e di una donna.

Andrea del Minga, Deucalione e Pirra, XVI secolo. Firenze, Studiolo di Palazzo Vecchio.

Pittore di Arkesilas, Kylix in cui sono raffi gurati Atlante e Prometeo, 560-550 a.C. Città del Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco.L’interno della coppa raffi gura i due Titani fratelli Atlante e Prometeo, condannati da Zeus a subire punizioni eterne: Atlante deve portare sulle spalle il peso del cielo; il fegato di Prometeo viene mangiato ogni giorno da un’aquila, per poi ricrescere durante la notte. È probabile che la fonte dell’immagine sia la Teogonia di Esiodo, dove i due Titani sono descritti uno dietro l’altro.

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UNITÀ 1

Igino, Fabulae, 96Igino racconta il famoso episodio relativo all’eroe Achille che fu mandato dalla madre Teti nell’isola di Sci-ro, presso la reggia del re Licomede. La ninfa infatti sapeva che se suo fi glio fosse partito per Troia, non sa-rebbe piú tornato. L’eroe viene travestito da donna, ma l’astuzia di Ulisse riesce a smascherare l’inganno.

Th etis Nereis, cum sciret Achillem fi lium suum quem ex Peleo habebat, si ad Troiam expug-nandam isset, periturum, commendavit eum in insulam Scyron ad Lycomēdem regem, quem ille inter virgines fi lias, habĭtu feminino, servabat mutato nomine; nam virgines Pyrrham nominārunt, quoniam capillis fl avis fuit et Graece rufum pyrrhón dicitur. Achīvi, autem, cum rescissent ibi eum occultari, ad regem Lycomedem oratores miserunt qui rogarent ut eum adiu-torium Danais mitteret. Rex, cum negarent apud se esse, potestatem eis fecit, ut in regia quae-rerent. Qui cum intellegere non possent quis esset earum, Ulixes in regio vestibolo munera fem-minea posuit, in quibus clipeum et hastam, et subito tubicinem iussit canĕre armorumque crepitum et clamorem fi eri iussit. Achilles, hostem arbitrans esse, vestem muliebrem dilaniavit atque clipeum et hastam arripuit. Ex hoc est cognitus suasque operas Argivis promisit et mi-lites Myrmidŏnes.

Teti, fi glia di Nereo, sapendo che suo fi glio Achille, che aveva avuto da Peleo, sarebbe morto se fosse an-

dato a espugnare Troia, lo affi dò nell’isola di Sciro al re Licomede e questi lo teneva in abiti femminili tra

le sue fi glie ancora fanciulle, dopo avergli cambiato nome; infatti le fanciulle lo chiamarono Pirra perché

aveva i capelli biondi e in greco «biondo» si dice pyrrhớn. Ma gli Achei, avendo saputo che egli era na-

scosto là, inviarono dal re Licomede dei messaggeri per chiedere che lo mandasse in aiuto dei Danai. Il

re, dicendo che non era presso di lui, diede loro il permesso di cercarlo nella reggia. Poiché essi non riu-

scivano a capire chi fosse tra quelle fanciulle, Ulisse mise nell’atrio della reggia dei doni per donne, tra i

quali uno scudo e ... . . . . . . . . . . e all’istante ordinò al trombettiere ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e ordinò che si facesse rumo-

re di armi e grida. Achille, ritenendo che ci fosse il nemico, strappò la veste femminile e aff errò lo scudo

e ... . . . . . . . . . . . Da ciò fu riconosciuto e promise agli Argivi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e i soldati Mirmidoni.

Igino, Fabulae, 108Igino narra qui il famoso episodio del cavallo di legno, dentro al quale vengono rinchiusi i piú coraggiosi degli eroi greci. Invano Cassandra, la fi glia di Priamo, invita i Troiani a non fi darsi dei doni dei Greci. Il ca-vallo viene portato dentro la rocca e nella notte gli Achei conquistano Troia.

Achīvi, cum per decem annos Tro-iam capere non possent, Epēus mo-nitu Minervae equum mirae ma-gnitudinis ligneum fecit, eoque sunt collecti Menelaus, Ulixes, Diome-des, Th essander, Sthenĕlus, Aca-mas, Th oas, Machaon, Neoptole-mus. Et in equo scripserunt: «Da-nai Minervae dono dant»; ca-straque transtulerunt Tenedo. Id Troiani cum viderunt, arbitrati sunt hostes abisse. Priamus equum in arcem Minervae duci imperavit. Vates Cassandra cum vociferaretur inesse hostes, fi des ei habita non est. Quem in arcem cum statuissent et ipsi noctu lusu atque vino lassi ob-

Giandomenico Tiepolo, Trasporto in città del cavallo di Troia, 1773. Londra, The National Gallery.

dormissent, Achivi ex equo, aperto a Sinone, exierunt et portarum custodes occiderunt socio-sque signo dato receperunt et Troia sunt potīti.

Poiché gli Achei non riuscivano per dieci anni a conquistare ... . . . . . . ., Epeo, su suggerimento ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .,

costruí un cavallo di legno di straordinaria grandezza e in esso furono riuniti Menelao, Ulisse, Diome-

de1, Tessandro2, Sténelo3, Acamante4, Toante5, Macaone6, Neottolemo7. E scrissero sul cavallo: «I Da-

nai lo .. . . . . . . . . . . . in dono ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .»; e trasferirono l’accampamento a Tenedo. Quando i Troiani videro

ciò, pensarono che i nemici se ne fossero andati. Priamo ordinò che il cavallo venisse portato sulla roc-

ca ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Nonostante la profetessa Cassandra dicesse apertamente che dentro c’erano i nemi-

ci, non le fu data fede. Dopo averlo condotto sulla rocca e dopo che essi stessi di notte si furono addor-

mentati, stanchi per la festa e per il vino, gli Achei uscirono dal cavallo aperto da Sinone e uccisero i cu-

stodi .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . e, dopo aver dato un segnale, fecero entrare i compagni e si impadronirono di Troia.

1 È uno dei piú famosi eroi della spedizione achea, fi glio di Tideo, re di Argo.2 Eroe acheo citato nell’Iliade.3 Figlio di Capanèo e amico di Diomede.4 Figlio di Teseo e di Fedra. Insieme a Diomede aveva chiesto ai Troiani la restituzione di Elena.5 Figlio di Giasone, l’eroe capo della spedizione argonautica.6 Medico degli Achei, fi glio di Asclepio; fu ferito da Paride e ucciso da Euripilo.7 Chiamato anche Pirro, era il fi glio di Achille. Uccise con grande ferocia il vecchio re Priamo.

Igino, Fabulae, 125, 18-20Dall’isola di Calipso, dove Ulisse rimase per dieci anni, l’eroe greco approda sulla spiaggia di Scheria, l’isola

dei Feaci. Qui, la fi glia del re Alcinoo, Nausicaa, conduce Ulisse presso la reggia del padre, il quale, dopo averlo accolto generosamente, lo fa accom-pagnare a Itaca. Nell’isola natale Ulis-se uccide tutti i pretendenti di Pene-lope con l’aiuto del fi glio Telemaco e di due servi. Come puoi notare dal te-sto, Igino si limita a enumerare alcuni dei fatti salienti narrati da Omero nei libri VI-VII e XII-XXIV dell’Odissea, senza profondità psicologica.

Pellegrino Tibaldi, Ulisse e i suoi compagni, 1554 circa. Bologna, Palazzo Poggi.

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Inde in insulam Phaeācum venit nudusque arbŏrum foliis se obruit, quā Nausicaa, Alcinoi re-gis fi lia, vestem ad fl umen lavandam tulit. Ille erepsit e foliis et ab ea petiit ut sibi opem ferret. Illa, misericordiā mota, pallio eum operuit et ad patrem suum eum adduxit. Alcinous hospitio liberaliter acceptum donisque decoratum in patriam Ithacam dimisit. Post vicesimum annum, sociis amissis, solus in patriam rediit. Et cum ab omnibus ignoraretur domumque suam atti-gisset, procos, qui Penelopen in coniugium petebant, obsidentes vidit regiam, seque hospitem si-mulavit; at Euryclēa nutrix ipsīus, dum pedes ei lavat, ex cicatrice Ulixem esse cognovit. Postea procos, Minerva adiutrice, cum Telemacho fi lio et duobus servis interfecit sagittis.

Di là1 giunse nell’isola dei Feaci e poiché era nudo, si coprí con le foglie degli alberi là dove Nausicaa,

la fi glia del re Alcinoo, portò al fi ume delle vesti per lavarle. Quello strisciò fuori cautamente dai cespu-

gli e le chiese di dargli aiuto. Ella, mossa ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . , lo coprí con un mantello e lo condusse da suo

padre. Alcinoo, dopo averlo accolto con generosità e averlo colmato di doni, lo fece accompagnare al-

la sua patria Itaca. Dopo vent’anni, perduti i compagni, ritornò solo in patria. E senza essere riconosciu-

to da nessuno, dopo essere giunto a casa sua, vide i pretendenti2 che volevano sposare Penelope occu-

pare la sua reggia e si fi nse un ospite; ma Euriclea, la sua nutrice, mentre gli lavava i piedi, riconobbe da

una cicatrice che lui era Ulisse. Poi con l’aiuto di Minerva, con il fi glio Telemaco e due servi, uccise con

le frecce ... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1 Da Ogigia, l’isola della ninfa Calipso, che tenne con sé Ulisse per dieci anni, essendone profondamente innamorata. Fu poi costretta da Zeus a lasciarlo ripartire.

2 129 pretendenti aspiravano alla mano di Penelope. La regina, simbolo di fedeltà coniugale, riuscí a tenere a freno le loro insistenze gra-zie al celebre stratagemma della tela. Ella infatti aveva promesso ai proci che quando avesse terminato di tessere il sudario funebre per Laerte avrebbe scelto tra loro il futuro marito. Ma la regina tesseva di giorno e disfaceva il lavoro di notte.

Per approfondire

Ti proponiamo adesso in lingua italiana un passo trat-to dal XIX libro dell’Odissea, in cui la vecchia nutrice di Odisseo, Euriclea, riconosce il suo caro padrone da una cicatrice sulla gamba, mentre gli sta lavando i pie-di. Mentre Igino si limita a dire che la nutrice riconosce

Odisseo, Omero, narratore esterno onnisciente, dà la parola ai personaggi nelle scene dialogate, descrive le azioni e le emozioni di Euriclea e dà spazio ai pen-sieri di Odisseo, ripercorrendo con un lungo fl ashback l’infanzia e l’adolescenza del protagonista.

Odissea, XIX, vv. 386-479Cosí parlava; intanto la vecchia aveva preso il lebete1 lucente,per lavare i suoi piedi, e in abbondanza versavaacqua fredda, poi aggiunse la calda; Odisseoal focolare sedeva, ma verso il buio si volse di scatto;d’un tratto in cuore gli venne la paura che ella toccandolo la cicatrice riconoscesse, e tutto fosse scoperto.Lei, dunque, lavava il suo re, standogli accanto: e davverola cicatrice conobbe, che gli fece un cinghiale con la candida zanna,quando al Parnaso salí, con Autòlico e i figli,col nobile padre della madre, che tra i mortali eccellevaper ruberie e spergiuri2: un dio gli fece simile dono,

1 Si tratta di una bacinella in cui veniva versata l’acqua per lavarsi.2 Autòlico è il padre di Anticlea, madre di Odisseo. Aveva la negativa abilità di ingannare e rubare senza essere mai sor-

preso.

Ermete, che a lui gradite cosce bruciavad’agnelli e capretti; perciò lo aiutava benigno.Autòlico, venuto tra il ricco popolo d’Itaca,della sua figlia il figlio neonato trovò;e glielo pose Euriclea sulle care ginocchia,appena finí di mangiare, e disse parola, diceva:«Autòlico, tu ora trova un nome da imporreal figlio caro della tua figlia; molto da te è stato atteso»Autòlico allora rispondeva e parlò:«Figlia e genero mio, mettetegli il nome che dico:io venni qui, odio covando contro di molti,uomini e donne, sulla terra nutrice;dunque Odisseo sia il nome3. E io un giorno,quando, cresciuto, al grande palazzo maternoverrà sul Parnaso, dove ho i miei tesori,parte gliene farò, contento lo manderò a casa».Per questo andò Odisseo, perché i ricchi doni gli desse:e dunque Autòlico e i figli d’ Autòlicocon abbracci l’accolsero e con parole di miele;la madre della sua madre, Anfitèa, lo stringeva,lo baciò sulla testa, su tutti e due gli occhi belli.E Autòlico ai figli gloriosi ordinavadi preparare il pranzo: e quelli con premura ascoltarono.Subito portarono un bove, un toro di cinque anni,lo scuoiarono, lo squartarono, lo divisero a pezzi,sapientemente fecero i pezzi, l’infilzarono sopra gli spiedi,l’arrostirono con ogni cura, poi le parti divisero.Cosí tutto il giorno, fino al calare del solebanchettavano, né il cuore mancava di parte abbondante;come il sole andò sotto, venne giú il buio,allora dormirono, s’ebbero il dono del sonno.Ma come figlia di luce, brillò l’Aurora dita rosate,andarono a caccia; coi cani ci andaronoi figli di Autòlico e, fra loro Odisseo luminosoandava; e salirono il monte scosceso vestito di boschidel Parnaso, e in fretta arrivarono fra le gole ventose.Il sole, dunque, batteva da poco le piane,uscito dall’Oceano profondo, che scorre senza rumore,quando a una gola i cacciatori arrivarono: avanti,cercando le tracce, andavano i cani, e dietroi figli d’Autòlico; fra loro Odisseo luminosoandava, vicino ai cani, squassando l’asta ombra lunga.Là in una forra folta4 aveva tana un gran verro5.Mai l’umida forza dei venti soffianti attraversava quel folto,mai il sole ardente lo penetrava coi raggi,mai passava la pioggia, tanto era folto;di foglie secche c’erano mucchi senza misura.Intorno al verro giunse il suono dei passi d’uomini e caniche a stanarlo venivano; allora a duello uscí dalla macchia,con le setole irte, con gli occhi di fuoco,si parò avanti a loro; primissimo appunto Odisseobalzò, alta levando la lunga lancia nella mano gagliarda,

3 Il nome Odisseo, dall’etimologia incerta, viene qui connesso al verbo greco adyssomai, «odio, provo sdegno», ad indi-care “colui che odia” e, allo stesso tempo, “colui che è odiato”.4 Signifi ca «bosco folto».5 Il verro è il cinghiale.

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di ferire da presso bramoso; ma, piú veloce, il verro colpísopra il ginocchio, strappò con la zanna un gran lembo di carnebalzando obliquo: ma l’osso dell’eroe non toccò.E lo ferí da presso Odisseo, colpendo la spalla destra,da parte a parte la trapassò la punta dell’asta lucente:cadde grugnendo giú nella polvere, volò via la vita.Subito i figli d’Autòlico curavano Odisseo,la piaga d’Odisseo glorioso, divino,fasciarono sapientemente, col canto magico il sanguenero fermarono, poi subito corsero al palazzo del padre.Cosí, dunque Autòlico e i figli d’Autòlico lo curarono bene, gli fecero doni splendidi,e, lieto, rapidamente lo riaccompagnarono in patria,a Itaca. Il padre e l’augusta madregioirono del suo tornare, e gli chiedevano tutto,e come avesse quella ferita; e lui narrò esattamentecome, cacciando, un verro l’aveva colpito con la candida zanna,salito al Parnaso con i figli d’ Autòlico.Ora la vecchia, toccando la cicatrice con le due mani aperte,la riconobbe palpandola, e lasciò andare il piede.Dentro il lebete cadde la gamba, risonò il bronzoe s’inclinò da una parte: in terra si sparse l’acqua.A lei gioia e angoscia insieme presero il cuore, i suoi occhis’empirono di lacrime, la florida voce era stretta. Carezzandogli il mento, disse a Odisseo:«Oh sí, Odisseo tu sei, cara creatura! E non ti ho conosciutoprima d’averlo tutto palpato il mio re!»Disse e a guardare Penelope si rivolse con gli occhi,volendo dirle ch’era tornato il suo sposo.Ma lei non poté vederla in viso né accorgersi,perché Atena le distrasse la mente [. . .]. Omero, Odissea, trad. ita. di R. Calzecchi Onesti, Einaudi, Torino, 1989

François-Xavier Fabre, Ulisse riconosciuto da Euriclea, 1799. Montpellier, Musée Fabre.

Battaglia tra barbari e romani, particolare del Sarcofago Ludovisi, II secolo d.C. Roma, Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps.

All’interno di questa I unità hai trovato alcuni termini della I declinazione che ricorrono piuttosto di frequente nella lingua latina e su cui, pertanto, è utile fare alcune osserva-zioni.

familia, -ae, f., può essere tradotto con l’italiano «famiglia», facendo però alcune preci-sazioni. La nostra lingua, infatti, utilizza il termine ponendo l’accento sul legame di paren-tela, mentre in latino il termine deriva da famu li, i servi che lavoravano all’interno della casa e vivevano sotto lo stesso tetto del padrone. In questo senso il sostantivo latino era usato per indicare tutto ciò che apparteneva alla vita della casa, compresi poi anche mo-glie e fi gli, e che era sottoposto all’autorità del pater familias, colui che, in un’età più ar-caica, aveva potere di vita e di morte su tutti i membri della familia.Il sostantivo è rintracciabile anche nelle altre lingue europee, in cui sopravvive quasi inalterato: nel sostantivo francese famille e negli aggettivi familial e familier; nell’ingle-se family e familiar; nello spagnolo familia e nel tedesco Familie, come nell’aggettivo familiär.

pugna, -ae, f., «battaglia». Questo termine, che appartiene invece alla sfera semantica militare, indica piú precisamente il momento dello scontro all’interno di una guerra (bel-lum, i sostantivo della II declinazione, su cui ci soffermeremo nella prossima unità). Il so-stantivo può anche signifi care «duello, gara, schieramento» e, in senso traslato, «disputa a parole, discussione». In italiano ne è rimasta traccia nell’aggettivo piú ricercato «pugna-ce», mentre il termine italiano «battaglia» discende dalla forma volgare battualia, -orum derivata dal verbo battuo, «battere, battersi» usato per gli scontri dei gladiatori o dei sol-dati che si esercitavano. Si è mantenuto il signifi cato latino nello spagnolo, dove troviamo i termini da esso derivati pugnar, pugnante, pugnaz, pugnacidad, e nei termini inglesi pugnacious, cioè «pugnace, combattivo», e pugnaciosness o pugnacity, «combattività, indole battagliera, litigiosità». Per indicare la battaglia anche le altre lingue usano termini derivati da battualia come bataille in francese, battle in inglese e batalla in spagnolo.

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