UNIFONTANE 12/2012

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Cultura e Società

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unifontaneSommario

Primo

Piano

Finisce un anno difficile per il paese; occorre cambiare e ripartire con uno spirito nuovo, per costruire e ricostruire ambiti virtuosi, che almeno non siano fanalini di coda di catene già deboli.Le università devono essere un motore propulsivo di cultura e quindi di sviluppo sociale ed economico.La città di Perugia ha bisogno di comunicare all’esterno un’immagine positiva, non distorta da fatti di cronaca che non hanno nulla a che fare con il clima di civiltà e di vivibilità proprio di questa terra.Comunicare Perugia, ma su questo ritorneremo; siamo fiduciosi e cambiamo pagina.

Editore:SIFA S.r.l.Via Pievaiola, 4506128 Perugiawww.sifa.it

Amm.re Delegato: Andrea Brizi

Direttore Responsabile:Giancarlo Ferraris

E-mail:[email protected]

Comitato editoriale:Franco Baldelli, Giovanni Belardelli, Floriana Falcinelli, Fabrizio Figorilli, Anna Torti

Ideazione: Retologia di Alfredo Mommi

Hanno collaborato a questo numero:Maria Caterina Federici, Giancarlo Ferraris, Barbara Maccari

Stampa:Litograf Todi S.r.l. Z. I. Ponte Rio - Todi (PG)

Aut. Trib PG R.P. n. 47 del 14/09/2010

Primo

Piano

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2013, l’anno della svolta 10

Parlare dell’Università

Scienze per l’investigazione e la sicurezza. 5

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Università e social network:un rapporto tutto da costruire

2013, l’anno della svolta

Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a tutti i lettori

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FFocus

SCIENZE PER L’INVESTIGAZIONE E LA SICUREZZA. UN CORSO DI LAUREA LOCALE DAL RESPIRO INTERNAZIONALE E INTERDISCIPLINARE

Nella sede di Narni, dal 2006, a Scienze per l’investigazione e la sicurezza si sono

iscritti oltre 1.500 studenti. Diversamente da come si potrebbe pensare, il corso

attira prevalente-mente giovani cheiniziano l’Università

Il Corso di laurea triennale in Scienze per l’investigazione e la sicurezza e quello magistrale in Ricerca sociale per la sicurezza interna ed esterna afferiscono alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università degli Studi di Perugia e sono radicati, rispettivamente, presso la sede di Narni e quella di Perugia. A Narni, dal 2006, a Scienze per l’investigazione e la sicurezza si sono iscritti in media circa 500 studenti provenienti da tutte le regioni italiane, per un totale di oltre 1500 studenti. Diversamente da come si sarebbe portati a pensare, il corso attira prevalentemente

i giovani che iniziano l’Università e non chi è già occupato nel settore della sicurezza o simili. Grazie alla sinergica collaborazione con il Comune e con la Città di Narni, le lezioni vengono svolte in ambienti dall’alto valore storico-artistico, ma attrezzati con le nuove tecnologie e in grado di accogliere l’alto numero degli studenti: Palazzo Sacripanti (Aula Magna e Laboratori), l’Aula

cinema (250 posti) e l’Aula San Domenico (300 posti). All’interno di Palazzo Sacripanti, oltre alle attrezzature informatiche, hanno sede il Laboratorio Scena del Crimine, il Crisu (Centro di Ricerca in Sicurezza Umana) e il Ciaphs Italia (Centro interdisciplinare di analisi dei processi umani e sociali). Dal

2011, in relazione alle discipline frequentate dagli studenti nei vari anni, l’attività dei Laboratori di Criminologia, criminalistica e investigazione è organizzata in tre livelli differenti per il primo, secondo e terzo anno, con un approccio teorico-pratico per il primo anno (teorie e tecniche investigative) e uno concreto-operativo per il secondo e per il terzo anno (Scena del Crimine, Mezzi di ricerca della prova e i mezzi di prova). L’obiettivo è soprattutto quello di fornire allo studente le conoscenze fondamentali e di responsabilizzarlo rispetto alla pratica della professione che andrà a svolgere; nella società contemporanea occuparsi di sicurezza interna

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FocusFed esterna implica capacità e competenze multidisciplinari e interdisciplinari: dall’ambito giuridico-penale a quello sociologico e psicologico, dalla geopolitica alla criminalistica e all’investigazione privata e di polizia giudiziaria. L’Università a Narni ha una marcia in più: da una parte, è ben radicata sul territorio locale, permettendo allo studente di vivere in un ambiente sociale e universitario a misura d’uomo, dall’altra è aperta alle relazioni internazionali. Sempre presso Palazzo Sacripanti, infatti, hanno sede ben due centri di ricerca dell’ateneo perugino: il Crisu (Centro di Ricerca In Sicurezza Umana), fondato nel 2009, e il Ciaphs (Centro interdisciplinare di analisi dei processi umani e sociali), nato recentemente da un accordo di partenariato con l’Université Rennes 2; nell’ambito del già esistente e attivo Centre Interdisciplinaire d’Analyse des Processus Humains et Sociaux, gli studenti sostengono il corso di laurea con dei progetti di ricerca nazionali e internazionali, organizzando incontri con esperti del settore della sicurezza, dell’investigazione e della criminologia. I due

centri di ricerca sono diretti dalla Prof.ssa Maria Caterina Federici, sociologa da molti anni impegnata nella valorizzazione dell’Università nell’area ternana e, contemporaneamente,

molto attenta allo sviluppo delle relazioni scientifiche internazionali sia sul piano della ricerca, sia su quello della didattica. Il Crisu ha una Collana editoriale per i tipi di OGE (Opera Graphiaria Electa) di Milano, con all’attivo, dal 2009, due pubblicazioni: Animale sociale e homo homini lupus (a cura di) Maria Caterina Federici, Manuel Anselmi, Sonja Cappello e La folla. Continuità e attualità del dibattito italo-francese, (a cura di) S. Curti ed E. Moroni.Il Crisu ha poi iniziato dei progetti di collaborazione anche con la NATO Defense College Foundation (NDCF). A settembre del 2012, l’ambasciatore

Alessandro Minuto Rizzo si è recato a Narni, dove ha incontrato i componenti del Crisu, alcuni docenti del Corso di laurea e il Sindaco della città.Gli eventi organizzati dal Crisu e dal CdL sono molti; tra quelli più recenti

ricordiamo: il 23 ottobre, il generale nei carabinieri Antonio Federico Cornacchia ha tenuto un incontro sul tema del terrorismo; il 15 novembre, Fausto Cardella, Procuratore della Repubblica a Terni, ha tenuto un seminario dal titolo Pubblica accusa e privata difesa: l’esperienza italiana a confronto con quella americana. Per essere

aggiornati su tutte le attività, il sito del corso di laurea è sempre aggiornato: www.spies.it.Se la laurea triennale fornisce le competenze formative di base, i centri di ricerca la fanno stare al passo coi tempi. Ogni anno il Crisu organizza almeno un convegno internazionale su temi e questioni di attualità: l’ultimo si è svolto il 17 e il 18 maggio 2012 dal titolo La “primavera” araba: crisi politico-economica, strategica e socio-culturale. Gli atti sono in corso di pubblicazione e per maggio 2013 è previsto un nuovo convegno proprio sugli sbocchi professionali e lavorativi dei laureati in Scienze per l’investigazione e la sicurezza.

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FFocus

Un modello culturale… soltanto un modello culturale. Niente di più. L’università è nata così, a partire dall’anno Mille: nelle chiese e nei conventi dell’Europa medievale oppure attorno a grandi personalità del sapere dell’epoca.Tante cose si sentono dire, oggi, su questa realtà: da agenzia educativa operante nel campo dell’istruzione superiore e della ricerca si è progressivamente trasformata in un business dove il sapere non è più la voce principale; da fucina di intelletti, molti dei quali in passato scopritori ed inventori che hanno cambiato il mondo, essa è diventata una fabbrica di disoccupati intellettuali. Si sostiene, inoltre, che l’università non svolge più il suo ruolo formativo come un tempo, che è rimasta chiusa nelle sue tradizioni elitarie ormai fossilizzate e che, addirittura, è inutile, se non dannoso, per i giovani frequentarla. Queste e tante altre cose si sentono dire, oggi, sull’università! Eppure, se esaminiamo, con attenzione e senza preconcetti, proprio queste “cose”, scopriremo delle novità e vedremo l’università da un’altra angolazione. Primo punto: l’università da agenzia educativa è diventata un business. L’università è nata, lo dicevamo prima, come modello culturale: essa è andata crescendo nel corso dei secoli,

di Giancarlo Ferraris

Parlare dell’università

conservando e non smarrendo la sua tradizionale vocazione al sapere; semmai, oggi, è necessità inderogabile che essa si apra (ciò sta già accadendo) al mercato, al mondo dell’economia non tanto per essere invasa o contaminata dalle logiche del profitto, ma per svolgere con maggiore efficacia la sua funzione. Secondo punto: da fucina di intelletti è diventata fabbrica di disoccupati intellettuali. L’università genererà sempre intelletti di prim’ordine o, perlomeno, ne faciliterà le attività informate all’innovazione e al progresso; essa, inoltre, non può essere considerata una fabbrica di disoccupati intellettuali poiché fornisce a chi la frequenta strumenti e percorsi con cui, dapprima, entrare e, successivamente, orientarsi nel mondo del lavoro. In questo contesto può essere utile una massima, per certi aspetti divertente, di un noto critico d’arte televisivo: “Ragazzi, all’università si va per studiare e per prepararsi a lavorare, non (solo) per laurearsi”. Terzo punto: l’università non svolge più la sua funzione formativa. Il ruolo formativo dell’università è fuori discussione; caso mai esso deve essere rinnovato perché le esigenze del mondo, con cui

l’università ha rapporti ormai strettissimi, sono in perenne mutamento. Quarto punto: l’università è rimasta chiusa nelle sue tradizioni elitarie ormai fossilizzate. Può sembrare strano, ma l’università, oltre che ricercare e scoprire ha anche il compito di conservare il passato, che non significa chiudersi in esso, ma solo preservarlo perché ha un valore civile e culturale inestimabile. Quinto punto: è inutile, se non addirittura dannoso, per i giovani frequentare l’università. Non ci sono, forse, parole per replicare in maniera adeguata a ciò: la formazione erogata dall’università e dalle altre strutture educative equivalenti è certamente completa ed utile sotto il profilo sia della formazione intellettuale, che di quella etico-personale. Ecco, dunque, cinque buoni motivi per parlare bene dell’università e per andarci: per studiare e prepararsi al lavoro, non (solo) per laurearsi. E forse, c’è un altro problema: il livello umano e professionale dei docenti. Ma questo, forse, è un’altra questione.

Queste e tante altre cose si sentono dire, oggi, sull’università! eppure, se

esaminiamo, con attenzione e senza preconcetti, proprio queste “cose”, scopriremo

delle novità e vedremo l’università da un’altra angolazione.

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ALTRO CANTOAC

Università e social network: Un rapporto tUtto da costrUire

Facebook e Twitter sono diventate oramai parole di uso comune nel nostro vocabolario. Sono i due maggiori social network, primi in milioni di utenti rispetto al recente Google +, a Linkedin e YouTube. Proprio Facebook è nato nel 2004 come progetto universitario con lo scopo di far conoscere persone dello stesso campus universitario prima, e di campus universitari diversi subito dopo. All’inizio il progetto è stato spinto dalla sua capacità di far conoscere ragazzi e ragazze, era un modo diverso per fare amicizia sul web, che intanto si stava sviluppando sempre più rapidamente. L’altro rivale di Facebook è Twitter, ed attualmente è quello che mostra il potenziale maggiore: nell’ultimo anno il numero di visitatori unici al canale è infatti triplicato ed un utente su dieci frequenta il canale. I social network in realtà sono un’evoluzione del web, sono un nuovo modo di concepire l’informazione su internet. Tale informazione non è più

legata ad un portale più o meno istituzionale che dà notizie, più o meno controllate e veritiere, ma fa leva sugli utenti, sul popolo, sul passaparola e sulla condivisione. Ebbene così come i motori di ricerca hanno contribuito all’evoluzione del web, consentendo di mettere ordine tra i milioni di siti web presenti, così i social network ne rappresentano l’evoluzione perché mettono ordine tra le milioni di opinioni degli utenti. Giusto per dare una panoramica su quanto sta succedendo in Italia: i canali social hanno raggiunto ormai 27 milioni di utenti, pari al 94% della popolazione online. E l’Università di fronte a questo fenomeno di massa come si rapporta? Secondo recenti dati del Miur il 64% dei 25 atenei maggiori per numero di iscritti registra la presenza nel sito di microblogging Twitter; fra questi però spiccano soltanto gli atenei di Padova, Torino, Politecnico di Milano e Politecnico di Torino con un numero di “follower” superiore a 2.500. I dati hanno rivelato in linea generale un utilizzo frammentario e non organico del canale da parte delle università. Oltre ai “primi della classe” infatti, la maggior parte dei classificati registra un bassissimo numero di tweet e di interazioni con i propri follower. L’immagine

che viene fuori è quella di un’istituzione accademica che non padroneggia ancora uno strumento potente come Twitter, che sta velocemente conoscendo una forte penetrazione anche in Italia. Anche nei casi in cui esiste un presidio, infatti, non risultano chiari l’obiettivo e la modalità di gestione stessa del canale, dando l’impressione che siano sempre più necessari profili professionali ad hoc in grado di guidare le università in questo terreno ormai non più così nuovo. Come si comporta l’ateneo perugino? Male. L’Università di Perugia non ha una pagina su Facebook ufficiale, ce n’è soltanto una che conta 6.446 fan, ma è una pagina statica, dove viene riportata semplicemente la storia dell’ateneo, non c’è interazione, non ci sono aggiornamenti, non ci sono informazioni utili per “catturare” i futuri studenti dell’ateneo. Ci sono poi le singole pagine delle facoltà, ma anche in questi casi non sono pagine aggiornate e riempite di contenuti, si salva solo quella della Facoltà di Ingegneria. Non pervenuta invece la presenza sull’altro popolare social network, Twitter; qui non c’è neppure una pagina statica di presentazione. Vanno decisamente meglio le cose per quanto riguarda l’Università per Stranieri di Perugia, che ha un profilo Facebook con 4.754

di Barbara Maccari

Facebook e twitter sono diventate oramai parole di uso comune

nel nostro vocabolario.i social network sono

un’evoluzione del web.

e l’Università di fronte a questo fenomeno di

massa come si rapporta?

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ALTRO CANTO

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ACfan e soprattutto ha una pagina costantemente aggiornata. Ciò permette l’interazione con e tra gli studenti in cerca di informazioni utili e soprattutto la pagina è un’ottima vetrina per “catturare” futuri studenti. Ma l’Università per Stranieri non si ferma qui, ha anche un profilo su Linkedin e uno sul canale YouTube, manca Twitter, ma in compenso la presenza social dell’ateneo è importante e ben gestita. I social network non sono passatempi per giovani ragazzini, ma stanno diventando un qualcosa di importante e fondamentale e il gap tra le università italiane con quelle europee, ma soprattutto americane, si sta allargando sempre di più. Le università americane, ad esempio, da tempo hanno cominciato ad utilizzare i social media per fornire servizi ai loro studenti (distribuzione di lezioni o contenuti attraverso YouTube) e ai loro neolaureati per coinvolgerli, anche dopo la fine del corso di studi, nella costruzione di network che abbiano come punto di riferimento l’istituzione universitaria. Ma ci sono addirittura studenti che hanno creato un social network del credito. L’idea è di quattro laureati della Stanford University e la loro creazione si chiama SoFi (Social Finance) ed è un fondo creato per fornire prestiti online a chi deve mantenersi durante gli studi, a chi vuole un finanziamento per i propri progetti o per l’avvio di proprie attività. Al pari di un istituto di credito, SoFi eroga crediti attraverso la rete e come un social network è in grado di mettere in comunicazione tutti gli universitari. SoFi unisce i servizi offerti da un ufficio di credito con le dimensioni e

la velocità di comunicazione di un social network. Grazie a esso sarà più facile per gli studenti mettersi in contatto. Solo alla fine, a chiusura dell’iter accademico, gli studenti dovranno restituire alle università parte del prestito ottenuto. Il progetto, nato la scorsa estate, conta 2 milioni di dollari di fondo e ha già 40 studenti investitori. Visto il successo altre 40 università americane hanno deciso di aderire a SoFi. Tra queste Harvard e la Columbia University. Il fondo stanziato in quest’anno ammonterà a 150 milioni di dollari solo per l’anno accademico 2012-2013. Le università italiane devono quindi darsi una mossa, fare i compiti a casa e mettersi in pari col resto del mondo. è stato lo stesso Ministro dell’Istruzione, Francesco Profumo a sottolineare l’importanza dei social network in rapporto alle università, intervenendo ad una giornata di orientamento dei maturandi all’Università di Roma Tor Vergata: “Facebook e più in generale i social network possono rivelarsi strumenti utili ad accompagnare un percorso informativo sulle opportunità di studio post-diploma che va in ogni caso anticipato almeno al quarto anno delle superiori”. L’ateneo perugino è molto indietro da questo punto di vista e se si vuole dare avvio ad un nuovo corso dell’università sarà necessario colmare questo gap visti anche i recenti dati pubblicati da Il Sole 24 Ore in merito all’annuale classifica sulle università italiane. La visione

d’insieme vede un’Italia divisa in due per finanziamenti e rendimento, con il Sud sempre più in crisi. Il migliore ateneo, infatti, risulta il Politecnico di Milano con 856 punti sul massimo di 1000 previsto, seguito da quello di Torino con 842 punti, mentre al terzo posto si è classificata l’Università di Modena e Reggio con 765 punti. A chiudere la classifica invece due atenei napoletani, L’Orientale con 274 punti e la Parthenope con soli 100 punti. Perugia è stata messa in 15esima posizione, fuori dalla top ten e in alcuni parametri è a livello degli atenei del sud. Nei dieci parametri presi in considerazione soltanto in due casi l’ateneo perugino si piazza nei primi dieci posti: la disponibilità di fondi per la ricerca per docente e la quota di fondi derivanti da enti esterni. Continua drammaticamente a scendere l’appeal nei confronti dei giovani di altre regioni o stranieri, aumenta la dispersione, cioè la mancata iscrizione al secondo anno e soprattutto solo il 65% dei laureati riesce a trovare lavoro a tre anni dal titolo. Visti anche questi dati forse sarebbe il caso di ripensare un altro tipo di università, più snella, più efficiente e soprattutto più social, sì perché gli studenti si “catturano” anche così, attraverso pagine ben fatte, dettagliate e ricche di informazioni sui social network.

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