Un’antropologia impegnata in un mondo in crisi · Organizzatori e promotori Comitato Scientifico...

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Un’antropologia impegnata in un mondo in crisi Campus Luigi Einaudi Lungo Dora Siena, 100 – Torino Dipartimento Culture, Politica e Società Università degli Studi di Torino III Convegno ANUAC Pagina 1

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Un’antropologia impegnatain un mondo in crisi

Campus Luigi EinaudiLungo Dora Siena, 100 – Torino

Dipartimento Culture, Politica e SocietàUniversità degli Studi di Torino

III Convegno ANUAC Pagina 1

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Organizzatori e promotori

Comitato ScientificoCristina Papa (Presidente ANUAC), Stefano Allovio, Anna Casella Paltrinieri, Adriano Favole,Vanessa Maher, Barbara Sorgoni, Davide Torsello

Comitato organizzativoAdriano Favole (coordinamento), Irene Capelli, Carlo Capello, Pietro Cingolani, CarlottaColombatto, Marianna Bertolino, Nora De Marchi, Andrea Freddi, Erika Grasso, Javier GonzalézDiéz, Cecilia Pennacini, Lucia Portis, Ana Cristina Vargas, Lia Viola

Collaboratori Albanese Nicole, Amorese Rossana, Borri Gilberto, Cargnino Miriam, Casetta Monica, Cerni Mauro,Cetini Irene, Corallo Damiano, Cortese Laura, Frolloni Caterina, Gino Maria Sole, Gosso Elisa,Grillo Carmen, Napoli Charlotte, Panetta Sara, Pasquarelli Camillo, Periti Giulia, Santangelo Lucia,Squillace Martina, Ugetti Davide, Viotto Viviana, Cavaliere Claudia

Libro degli abstract a cura di:Nora Demarchi e Carlotta Colombatto

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In collaborazione con:

Università degli Studi di Torino

Con il sostegno di:

Fondazione A. Fabretti

Associazione FrantzFanon

Società per la cremazione di Torino

Con il patrocinio di:

Città di Torino INMP

La serata “Congo” si svolgerà presso:

Museo Nazionale delCinema

Programme Overwiew

Giovedì 7 novembre Venerdì 8 novembre Sabato 9 novembre

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9.00 9.00 Saluto del Magnifico Rettore 9.00 Aula Magna

Tavola rotondaLe associazioni di antropologia

in Europa. Quali politiche?con F. Lafaye, A.M. Rivas, C.

Papa, P. Resta

9.15 9.15 Aula MagnaRelazione Magistrale

M. SegalenPour une réévaluation critique

des concepts analysant lesfamilles européennes

9.159.30 9.30 9.309.45 9.45 9.4510.00

10.00 10.00

10.15

10.15 10.15

10.30

Main Hall del CLEInizio accoglienza

10.30 10.30 Aula Magna

Restituzione panels ediscusione

sui temi del convegno

10.45

10.45 Sessioni paralleleC1: Ricomposizioni famigliari,

memoria, trasmissione disaperi

D2: Omosessualità,omogenitorialità, omofobia

E2: Fare il genereF1: Famiglia e vita quotidianaF5: La famiglia di fronte alla

morte

10.45

11.00Aula Magna

Assemblea dei SociANUAC

11.00 11.0011.15 11.15 11.1511.30 11.30 11.3011.45 11.45 11.4512.00

12.00 12.00

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12.45 12.45 Aperitivo di saluto al CLE

13.00

13.00Pranzo al CLE

13.00

13.15

13.15 13.15

13.30

13.30 13.30

13.45

13.45 13.45

14.00

Aula MagnaSaluti ufficiali

Direttore CPS, PresidenteANUAC, Presidente INMP,

Assessore Comune di Torino

14.00 14.00

14.15

14.15 Sessioni paralleleC1: La cura del corpo in

contesti famigliari D2: Famiglie transnazionaliE2: Fare il genere F1: Pratiche e strategie

economiche in contestifamigliari

F5: Biografie e memorieintergenerazionali

14.15

14.30

14.30 14.30

14.45

14.45 14.45

15.00

Aula MagnaRelazioni Magistrali

F. Remotti Fare figli, con chi? Famiglia e

antropo-poiesiP.G. Solinas

Genealogia, genetica,parentela. Tenere le distanze?

15.00 15.00 Officine Corsare

Tavola RotondaAntropologo: la sfida della

professionalizzazione

a cura della rete nazionaleAntropologia Precaria

15.15

15.15 15.15

15.30

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15.45

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16.00

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16.45

Coffee Break 16.45 Sessioni paralleleC1: Prendersi cura del corpoD2: Famiglie transnazionaliE2: Problemi e risorse delle

seconde generazioni F1: Pratiche e strategie

16.45

17.00

Sessioni paralleleSL blu grande: Famiglia e vita

quotidiana. Antropologia

17.00 17.00

Officine Corsare«Maldigo todo lo cierto»

Epiche della violenza e17.1 17.15 17.1

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5 degli oggetti e dellamemoria

SL blu piccola: Famiglia,religioni, culture

SL rossa grande: Antropologia,storia e morfologia dellafamiglia

SL rossa piccola: Famiglia econflitti intergenerazionali

B2: Famiglie e violenza

economiche in contestifamigliari

F5: La ridefinizione del generein contesti migratori

5 poetiche della memoria in Cile.Un dialogo tra antropologia,

letteratura e musica

con A. Melis, R. Beneduce, A.Carreño-Calderon, F. Dei.

Canta L. Lorenzini.

17.30

17.30 17.30

17.45

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18.00

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18.45 18.45

19.00

19.00 19.00 Officine Corsare

Aperitivo19.15

19.15 19.15

19.30

19.30Cabiria Caffè

Mole Antonelliana

Cena

19.30

19.45

19.45 19.45

20.00 La Vetreria

Cena

20.00 20.00

20.15

20.15 20.15

20.30

20.30 20.30

20.45

20.45 20.45

21.00

21.00 Cinema MassimoProiezione di Viaggio in

Congo (1912)Dibattito con C. Pennacini, S.

Allovio, D. Demolin, R.Beneduce, L. Jourdan

21.00

21.15

21.15 21.15

21.30

21.30 21.30

21.45

21.45 21.45

22.00

22.00 22.00

PlenarieSessioni parallelePasti/coffee breakPause/momenti liberiEventi collaterali

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Libro degli abstract, elenco delle sessioniparallele

Famiglia e vita quotidiana. Antropologia degli oggetti edella memoria

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Giovedì 7, ore 17-19.45Sala lauree blu (grande)

Fabio Dei (Università di Pisa) e Matteo Aria (Università di Roma “La Sapienza”)

La densità degli oggetti: cultura materiale domestica e relazioni familiari

Questo intervento discute alcuni risultati di una ricerca sugli oggetti ordinari in abitazioni difamiglie di ceto medio, condotta tra il 2010 e il 2012 in alcune città toscane tramite il metodo delvideotour. In particolare, intendiamo mettere a fuoco alcune categorie peculiari di oggetti chepresentano alti gradi di “densità”. Riprendiamo il concetto di densità dai lavori di Annette Weiner,che lo utilizza come variante della nozione di “inalienabilità”. Oggetti inalienabili o densi sonoquelli che non circolano né come merci né come doni (o perlomeno mostrano una resistenza adentrare nei comuni circuiti di scambio): nella visione di Weiner o Godelier, essi rappresentano l’unitàe la profondità storica del gruppo sociale, possiedono un certo grado di sacralità e sono circondati damiti di acquisizione e forme di custodia e trattamento rituale. Nelle famiglie contemporanee vi sonodiverse tipologie di oggetti che rispondono a queste caratteristiche – sia pure in assenza di uno statutoesplicitamente assegnato dagli attori sociali. Si tratta da un lato di oggetti ereditati che segnalano lerelazioni di “lignaggio” della famiglia e la continuità tra passato, presente e futuro (soprattuttomobili, quadri, gioielli e oggetti di un certo valore). Dall’altro lato, siamo di fronte a una varietà dioggetti (non necessariamente, anzi raramente, di valore economico) utilizzati per costruire unamemoria culturale della famiglia. Si tratta di raccolte fotografiche, souvenir, oggetti d’affezione,collezioni, giochi dell’infanzia. Laddove la teoria classica (J. Assman) presenta la famiglia come illuogo più tipico della memoria genealogica o comunicativa, nel nostro caso ci troviamo invece difronte a complesse costruzioni di memoria culturale volte a consolidare e offrire continuità arelazioni che appaiono invece sempre più fragili sul piano strettamente sociologico. Riferimenti bibliografici:F. Dei, S. Bernardi, P. Meloni, a cura di, La materia del quotidiano. Per un’antropologia degli oggettiordinari, Pisa, Pacini, 2011. F. Dei, “Oggetti domestici e stili familiari”, Etnografia e ricerca qualitativa, 2, 2009, pp. 279-293F. Dei, S. Bernardi, “Gruppo di famiglia in un interno. Le fotografie nella cultura materialedomestica”, Studi culturali, 8 (2), 2011, pp. 255-73. M. Aria, F. Dei, a cura di, Culture del dono, Roma, Meltemi, 2008

Lia Giancristofaro (Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara)

La mamma mi ha fatto la maglia col coccodrillo. Artefatti simbolici ed esperienza del dono infamiglia

La cultura tradizional-popolare è in feconda relazione col mondo tecnologico e globale (Bausinger2005). Il folklore, anziché venire distrutto dal progresso tecnologico, economico e sociale, si adeguae si ricostituisce costantemente attorno al processo di modernizzazione. La modernità in effetticonsiste in un movimento di “espansione” degli orizzonti esistenziali, sul piano spaziale, temporale esociologico. Laddove il modello classico degli studi confina il folklore al villaggio, alla trasmissioneorale e ad un delimitato status sociale dei soggetti agenti, attraverso la modernizzazione questiconfini si dissolvono, ma resta operante il meccanismo della creazione culturale, che da questaaccresciuta disponibilità di risorse plasma mondi comunque “addomesticati” dal localismo, per cuinel mondo globale la gente continua a vivere per lo più in mondi locali, in “patrie culturali” (DeMartino, 1977; Geertz 1999) che sottolineano l’autonomia del piano culturale e il ruolo cruciale delle

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differenze, al contrario degli indirizzi che si focalizzano invece sulle dinamiche universaliste eomologanti del sistema mercantile (despondency theories). La presente ricerca analizza sotto questovertice interpretativo una etnografia su alcune espressioni di bricolage che si manifestano nella vitaquotidiana, che sono riconducibili alla cura del corpo, che appartengono a costanti culturalidell’alimentazione e dell’abbigliamento (conserve, erbe officinali, acque sorgive, recipienti, abiti,ornamenti) e che infine vengono scambiate nell’ambito del circuito del dono. Le espressioni dibricolage prese in esame sono state interpretate e documentate nel corso di una indagine nonespressamente condotta ma comunque condivisa presso comunità familiari italiane translocali nelcorso degli anni 1983-2013. Si ipotizza che nella famiglia intesa come quotidianità informale deirapporti viva l’esperienza più consistente della creatività culturale: in tal senso, la condivisione delbricolage e del dono rappresenta un imponente spazio di libertà nella comunicazione interpersonale esimbolica. Riferimenti bibliografici: Giancristofaro, L., Tomato Day. Il rituale della salsa di pomodoro, Milano, Franco Angeli, 2012.Giancristofaro, L., Appunti “oltre il folkore”. Dalla oralità alla neo-oralità in network, in “Lares”,LXXV (2010), 2, pp. 175-187.Giancristofaro, L., Abitare al tempo della crisi: l’autoproduzione nei quartieri ATER di Lanciano,“Journal of Social Hausing”, Biannual Review, II (2011), 2, pp. 35-56.

Franco Lai (Università di Sassari)

Retromania e technovintage: i media e gli oggetti del passato nella vita quotidiana

Numerose pratiche di consumo nella vita sociale contemporanea fanno pensare a forme di“retromania” che si nutrono di oggetti, immagini e musiche del recente passato.Nelle abitazioni e nei consumi è ormai evidente, insieme agli oggetti del passato contadino di origineartigiana, anche la presenza di una serie di oggetti appartententi alla tipologia del “vintage” e del“techno vintage”. Si tratta di oggetti delle tecnologie della comunicazione sia di acquisiti per viaereditaria sia acquistati sul mercato dell’usato o in negozi o siti web specializzati.Oggetti, immagini e musiche del recente passato che hanno avuto un ruolo nella vita quotidiana;oggi, invece, hanno il compito di trasmettere la memoria (e la nostalgia) familiare e del passato.L’innovazione tecnologica ha reso obsoleti numerosi strumenti della comunicazione tecnologica.Tuttavia, questi vivono una loro nuova vita sociale come oggetti di memoria oppure da esposizioneper il loro pregio estetico e per il design. Non sono più strumenti tecnologici ma oggetti da esporre inabitazioni, negozi, studi professionali.Da un lato i media (cinema, TV, giornali, ecc.) creano e danno impulso a queste forme di consumo,da un altro è nella stessa sensibilità contemporanea che si è sviluppata la nostalgia per il recentepassato, quello degli anni Cinquanta e Sessanta, e persino dei Settanta, come gli anni dell’infanzia (edella nostalgia). Immagini, musiche e oggetti dell’industria culturale di massa diventanotestimonianze di un’epoca che non c’è più ma alla quale, spesso, si attribuisce il senso di una cesuraepocale (vedi la retorica sui “favolosi” anni Sessanta).Si tratta quindi di pratiche di consumo culturale che si sviluppano all’intersezione di quelle che UlfHannerz ha definito le “cornici” della vita sociale, in particolare del mercato, del movimento e della“forma-di-vita”.

Carlotta Colombatto (Università degli Studi di Torino)

La “devoluzione” degli oggetti: da eredità a patrimonio

L’intervento proposto intende soffermarsi su alcune riflessioni emerse durante laricerca di campo condotta nell’ambito del dottorato in Scienze antropologiche. Inparticolare, l’analisi dei musei etnografici piemontesi da me svolta finora ha

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messo in luce la presenza di collezioni composte in misura preponderante daoggetti riconducibili al mondo contadino locale, in passato trasmessi all’internodelle famiglie.Alcuni studi storici condotti in Italia (D. Owen Hughes, G. Delille), sottolineanocome le forme di ereditarietà della terra e dei beni in contesto familiare fosserolegati a un particolare sistema economico e a determinate forme di sfruttamentodel territorio. Le modifiche nell’apparato produttivo avrebbero quindi comportatodelle variazioni anche nella devoluzione di manufatti tra parenti. La ricerca dicampo da me svolta ha riscontrato la presenza di dinamiche analoghe nelPiemonte della seconda metà del Novecento, quando il cosiddetto “boom”economico ha determinato un rapido abbandono delle campagne e dello stile divita contadino. Allo stesso tempo, i manufatti strettamente connessi al mondorurale e ad alcune attività produttive considerate tradizionali, non vennero piùtrasmessi agli eredi. Molti di questi oggetti sono confluiti nei musei etnograficipresenti oggi sul territorio, sebbene con modalità di acquisizione che sonovariate nel corso del tempo.I manufatti riconducibili al mondo contadino sembrano aver sviluppato unabiografia culturale (I. Kopytoff) determinata dalle trasformazioni di significatoche essi hanno assunto per le persone con le quali sono entrati in contatto. Daoggetto di uso quotidiano a rifiuto, essi si sono trasformati in beni inalienabili alcentro di pratiche di patrimonializzazione. La biografia di questi manufattisembra essere scandita dalla nozione di “trasmissione”, una modalità didevoluzione attuata però da soggetti (e in momenti) diversi: all’interno dellafamiglia in modo diacronico, all’interno del gruppo sociale per il tramite delmuseo etnografico in modo sincronico. L’intervento proposto al convegnovorrebbe quindi soffermarsi sulle tematiche illustrate, analizzando eproblematizzando, allo stesso tempo, le nozioni di “famiglia contadinapiemontese”, “oggetti d’uso rurale”, “trasmissibilità”.Riferimenti bibliografici:Appadurai A., “The social life of things. Commodities in cultural perspective”,Cambridge University Press, Cambridge, 1986.Bernardi S., Dei F., Meloni P., “La materia del quotidiano. Per un’antropologiadegli oggetti ordinari”, Pacini, Pisa, 2011.Debary O., Turgeon L. (a cura di), “Objets & Mémoires”, éditions de la Maison dessciences de l’homme, Parigi, 2007.Delille G., “Famiglia e proprietà nel regno di Napoli”, Einaudi, Torino, 1988.Malanima P., “Il lusso dei contadini. Consumi e industrie nelle campagne toscanedel Sei e Settecento”, Il Mulino, Bologna, 1990.Solinas P.G., “Gli oggetti esemplari. I documenti di cultura materiale inantropologia”, Editori del Grifo, Montepulciano, 1989.

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Venerdì 8, ore 10.45-12.45Aula F1

Eugenio Imbriani (Università del Salento)

La vita privata delle cose. Un delitto d’onore

Nella letteratura filosofica e antropologica ricorrono le avvertenze a considerare le cose come nodirelazionali, depositi di significato, che possono muovere affetti, ricordi. In questa sede desideroconsiderare quegli oggetti destinati a una esistenza riservata e raccolta, in ambito domestico, e inqualche modo tesaurizzati, negati all’uso, demercificati: il corredo intatto, per esempio, o il serviziobuono, vecchie fotografie, antichi merletti e monili richiamano e preservano legami con il passato,con i familiari che non ci sono più, e dilatano il presente in modo che possa comprendere, attraversola narrazione, le storie accadute anche molti anni fa. Chi sceglie di ricordare e di raccontare selezionaaltresì le vicende e i protagonisti che ritiene più interessanti, educa e rivela il proprio gusto e leproprie passioni, traccia i motivi di una vicinanza e di una appartenenza, sceglie e respinge i propriantenati. Nel corso di una conversazione su questi temi, una signora, mostrandomi cose di famiglia alei care, mi ha raccontato la storia tremenda di un delitto d’onore, consumato da un suo parente, circaun secolo fa, in un paese della Puglia meridionale, come in un romanzo, in piazza, nel bel mezzodella festa patronale.

Caterina Di Pasquale (Università degli Studi di Firenze)

Ricette di famiglia: la trasmissione delle pratiche culinarie e la costruzione delle identitàfamiliari”

L'esperienza culinaria è parte integrante del processo culturale di “apprendistato” cui gli individui -appartenenti a comunità affettive definite e circoscritte - sono soggetti fin dalla nascita. Guardare,assaggiare, partecipare alla preparazione dei cibi, seppur con funzioni secondarie, significaincorporare saperi e tecniche, gusti e valori, pratiche e abitudini. Infatti condividere la banalità di unpasto, dall'approvvigionamento al consumo, nei tempi quotidiani e in quelli festivi, vuol direappropriarsi di memorie pronte a tradursi in narrazioni, ma anche in sensazioni e procedure, spessoautomatiche e inconsapevoli. Attraverso l'analisi dei documenti etnografici, rilevati in Sardegna e in Toscana, durante ricerchedifferenti, ma egualmente finalizzate alla interpretazione dei legami tra cibo, memoria autobiograficae habitus; l'intervento offre una riflessione sul passaggio dalla 'cucina subita' alla 'cucina agita' e sullatrasmissione generazionale dei saperi e delle pratiche culinarie. L'obiettivo è interpretare il ruolo delcibo come “dispositivo identitario” e descrivere il modo in cui le ricette agiscono per garantire lacontinuità simbolica del gruppo famiglia nel tempo e al di là dei cambiamenti negli stili di vita.

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Sabina Giorgi, Alessandra Talamo e Barbara Mellini (Università di Roma “La Sapienza”)

Il valore degli oggetti nelle case degli anziani: allestimenti domestici per creare presenza

In case sempre più svuotate di presenze reali, come quelle dei partecipanti allaricerca di età superiore ai 66 anni coinvolti nello studio qui presentato, glioggetti – selezionati e assemblati a costituire allestimenti intimi negli spazidomestici – vengono attivamente utilizzati per costruire presenza (Giorgi,Bannon, Talamo, Mellini, in preparazione). Attraverso lo sguardo dellaprospettiva etnografica e l’uso di specifici strumenti conoscitivi quali tour guidati(e videoregistrati) delle abitazioni (Giorgi, Fasulo, 2008; Pontecorvo, Giorgi,Monaco, 2009), lo studio intende mettere in luce i modi in cui i partecipanti allaricerca interagiscono con gli spazi domestici e gli oggetti, costruendo relazionicon altri significativi che non condividono concretamente la loro quotidianità. Inuna fase di vita dove l’esperienza dell’assenza è centrale, non solo la casadiventa una mappa emozionale sensibile da ricostruire (Cristoforetti et al.,2011), ma in essa gli allestimenti domestici e gli oggetti di cui sono compostivengono utilizzati per “trasportare” e materializzare presenze. Ne costituisconoun esempio significativo gli “altarini” domestici che, pur rispondendo ad unacondivisa “grammatica dell’esposizione memoriale” (Bernardi, Dei, 2011, p. 8),raccontano di relazioni uniche. L’effetto è quello di potenziare l’esperienzaemozionale della casa e di rafforzare, allo stesso tempo, il proprio sentimento dipresenza, inteso come sentimento dell’esistenza dell’individuo all’interno di uncerto ambiente, come un “essere-nel-mondo” (Heidegger, 1976), masottolineandone la dimensione interattiva che, nel caso specifico, coinvolge glioggetti al pari di altri significativi. Riferimenti bibliografici:Cristoforetti, A., Gennai, F., & Rodeschini, G. (2011). Home sweet home: Theemotional construction of places. Journal of Aging Studies, 25, 225-232.Bernardi, S., & Dei, F. (2011). Gruppo di famiglia in un interno: le fotografie nellacultura materiale domestica. Studi Culturali, VIII, 2, 1-19.Giorgi, S., & Fasulo, A. (2008). I luoghi che raccontano/racconto dei luoghi: spazied oggetti domestici tra biografia e cultura. AM. Antropologia Museale, 19,37-47.Giorgi, S., Bannon, L., Talamo, A., & Mellini, B. (in preparazione). Building“Presences” in the Older People’s Homes: a Necessary Prelude for AppropriateDesign.Heidegger, M. (1976). Essere e tempo. Milano: Longanesi & C. [ed. or. Sein undZeit, 1927].Pontecorvo, C., Giorgi, S., & Monaco, C. (2009). Raccontare i luoghi familiari. InL. Fruggeri (Ed.) Osservare le famiglie. Metodi e tecniche (pp. 139-169). Roma:Carocci.Rowles, G., & Chaudhury, H. (2005) (Eds.). Home and Identity in Later Life:International Perspective. New York: Springer.

Pietro Meloni (Università degli Studi di Siena)

Piccoli patrimoni domestici

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Negli studi antropologici degli ultimi vent’anni, almeno per quanto riguardal’antropologia inglese e francese, gli oggetti ordinari della vita quotidiana hannoassunto una particolare rilevanza dal punto di vista etnografico; e la casa, lospazio domestico vissuto nelle pratiche degli attori sociali, è divenuto unfieldwork sempre più frequentato.Il mio intervento propone una riflessione su una ricerca condotta nel senesesulle pratiche di consumo, di domesticazione e di trasmissione degli oggettiall’interno dei nuclei familiari. Nella mia indagine etnografica, utilizzando comemetodologia di ricerca lo shadowing, la frequentazione aperta e l’intervistadiscorsiva, insieme ad alcuni spunti metodologici derivati dalla museografia,dagli studi sul patrimonio e dalla semiotica, ho cercato di fornire un quadro diquell’appaesamento che le persone operano per cercare di costruire coordinateoggettuali domestiche e familiari nelle quali orientarsi; dando senso ai luoghi ealle cose di cui si circondano, trasformandole in “piccoli patrimoni”, ossia in beniinalienabili che possiedono una profondità “memoriale” tale da radicarli nellastoria delle generazioni familiari e trasformarli in contenitori simbolici, intestimoni di storie di vita, in portatori di biografie culturali. Riferimenti bibliografici:Meloni P., I modi giusti. Cultura materiale e pratiche di consumo nella provinciatoscana contemporanea, Pisa, Pacini, 2011.Bernardi S., Dei F., Meloni P., La materia del quotidiano. Per un’antropologia deglioggetti ordinari, Pisa, Pacini, 2011.

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Famiglia, religioni, culture

Giovedì 7, ore 17-19.45Sala lauree blu (piccola)

Anna Casella Paltrinieri (Università Cattolica Milano)

Titolo: Famiglia tra appartenenza religiosa e modelli culturali

Numerosi studi e documenti stanno oggi mettendo in risalto i radicali mutamenti che interessano lafamiglia. Questi studi dimostrano come stiano emergendo modelli nuovi, inedite variazioni delrapporto sentimentale e matrimoniale, sensibilità differenti in relazione alla costruzione del genere ealla relazione tra i sessi (Puccini, 2009). Famiglie ricomposte, famiglie di fatto, famiglieomoparentali, hanno visto un sostanziale aumento anche in Italia. Una mentalità nuova staemergendo anche in relazione alla maternità/paternità (Héritier, 2004).L'antropologia culturale, da parte sua, ha da tempo avviato un processo di decostruzione di concettifondanti, mettendo in discussione quei modelli interpretativi che pensano la famiglia entro la cornicedei bisogni fondamentali dell'uomo (come il funzionalismo) o entro lo schema della relazione sociale(modello strutturalista). Il concetto stesso di “naturalità” della famiglia viene oggi ritenuto inadatto o,addirittura, falso (Remotti, 2008), così come quello della naturalità del genere, inteso piuttosto comeun dato culturale ed espressivo (Butler, 1993)Le trasformazioni della famiglia e del legame matrimoniale, le nuove sensibilità in relazione a temicome l'omosessualità, la fecondità, riguardano in Italia, anche il mondo cattolico (Simeone, 2011).Una buona parte della componente della popolazione italiana che si riferisce all'orizzonte valorialecattolico pare avere pratiche diverse da quelle che sono considerate coerenti con l'appartenenzaconfessionale. D'altro canto, come già ricordato, le acquisizioni della scienza antropologica sembranosfidare apertamente il pensiero cattolico tradizionale nonché la sua filosofia di riferimento. Lacomunicazione vorrebbe indagare il rapporto tra composizione della famiglia, comportamenti inordine alla relazione sentimentale e alla maternità/paternità e appartenenza religiosa cattolica,cercando di cogliere gli eventuali mutamenti di mentalità sottintesi, nonché le “narrazioni” che, a taleriguardo, vengono proposte.

Javier Gonzàlez Díez (Università degli Studi di Torino)

Parentele fittizie e movimenti religiosi: il caso del bwiti fang del Gabon

Il contributo intende esplorare il fenomeno denominato parentela fittizia – o, a seconda degli autori,degli studi e dei casi, anche pseudo-parentela, parentela spirituale, simbolica o rituale – a partire dallemie ricerche storiche ed etnografiche sul culto bwiti dei fang del Gabon. Dallo studio dei sistemi diparentela fittizia emergono numerosi interrogativi e problematiche di ordine generale che hannoricadute dirette sullo studio della parentela in generale, in quanto mettono in evidenza aspetti quali lasua origine e funzione, il contenuto dei rapporti che la compongono e, infine, le problematiche legatea una sua definizione.La creazione di parenti al di là dei confini della parentela è un fenomeno riscontrato in molte culturema che è stato fino ad ora studiato dagli antropologi in maniera molto frammentaria. Esso può

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manifestarsi a diversi livelli, che vanno dall’inclusione di non-parenti in un determinato sistema dilignaggio già esistente, alla creazione di sistemi che replicano la sua organizzazione e funzionamento,distinguendosi però nettamente, se non addirittura opponendosi a essa.Il caso del bwiti fang è esemplificativo. Nato fra gli tsogho del Gabon centrale, si diffonde dagli anniVenti del XX secolo fra i fang del settentrione, diventando un movimento religioso di massa conelementi cristiani e anti-stregoneschi e con una tendenza sovversiva rispetto al potere tradizionale deicapi del lignaggio. Tuttavia, pur opponendosi al sistema di parentela, il bwiti ne assume la struttura:attraverso un’analisi comparativa del sistema di lignaggio fang e del sistema bwitista, è possibileevidenziare come le figure di autorità, le relazioni di potere e le modalità organizzative dell’uno sireplichino nell’altro. Un’ulteriore analisi dei rituali, in particolare legati all’iniziazione, denota ilbwiti come vero e proprio sistema di classificazione e organizzazione dei rapporti, allo stesso tempoalternativo e speculare al sistema di lignaggio.

Francesca Sbardella (Università di Bologna)

Famiglia monastica: strategie aggregative di isolamento

Partendo da una esperienza partecipativa in due monasteri carmelitani francesi, intendo interrogarmisul ruolo dei modelli di autorità nella costruzione di gruppi che si presentano come autonomi ediscontinui rispetto alla realtà sociale circostante. L’introiezione dei modelli di autorità è uno deiproblemi centrali della totalizzazione del gruppo (D’Haenens). L’esperienza monastica è di solitoletta come una variante delle strategie aggregative e comunitarie, caratterizzata dall’isolamento edall’assenza di voce. Interessante notare che, se da una parte la famiglia, che possiamo riconoscerecome uno dei più forti modelli di autorità, è vista come una situazione sociale diversa dalla vitamonastica e ad essa alternativa, dall’altra – e ciononostante – è funzionale all’introiezione, da partedei religiosi stessi, del modello religioso alternativo che intendono riprodurre. Ci troviamo davanti aduna situazione contraddittoria: se da una parte il modello di famiglia, seppur negata a livello di sceltae seppur non realizzata a livello di coabitazione effettiva quotidiana, dall’altra rientra in gioco comeelemento simbolico essenziale per la costruzione della realtà monacale e soprattutto per il suomantenimento. Rende più accettabile e comprensibile la normativizzazione, basata a sua voltasull’autorità, traducendola in stabilità affettiva e consuetudinaria e offrendo soprattutto un legame,diversamente proibito, con la vita precedente e la famiglia di origine. Sulla base delle costituzioni, lacategoria di famiglia, nonostante la non rispondenza effettiva, è utilizzata come giustificativo oenfatizzante di alcuni comportamenti. Funge da strumento interpretativo della coesione e dellasolidità del gruppo stesso, che in quella categoria sembra rileggere, all’interno di un quadronaturalizzante, e quindi legittimante, la propria forza sovversiva.

Luisa Faldini (Università di Genova)

Famiglie spirituali e questione di genere nel candomblé brasiliano

Nel candomblé, gli iniziati costituiscono una famiglia legata da vincoli spirituali (familia-de-santo),che prevede soltanto il rapporto genitore-figli. Il/La sacerdote/essa è pater/mater mentre i figli (cioègli iniziati) si susseguono in generazioni che vengono contate una dopo l’altra in base allacostituzione dei gruppi iniziatici. Non vi sono legami collaterali di parentela spirituale, tenuto contoche eventuali unioni sessuali o matrimoniali all’interno della familia-de-santo vengono viste comerapporti incestuosi.

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A questo tipo di famiglia soltanto verticale si sovrappone l’attribuzione di genere, che da un lato, aifini dei comportamenti attesi nei rituali, prende in considerazione il sesso fissato al momento dellanascita, ma che, al momento della determinazione dell’ingresso nella comunità attraversol’iniziazione, attribuisce simbolicamente il genere femminile – maschio o femmina che sia - a chi haaccesso alla possessione e alla funzione sacerdotale (iyawò), e il genere maschile - maschio ofemmina che sia - a chi (ogãs e ekedes) non manifestila propensione verso questo stato alterato dicoscienza.Questa struttura di genere non prende in considerazione le scelte sessuali degli individui, chevengono attribuiti al genere maschile o femminile indipendentemente dal fatto che siano etero- oomosessuali, nel senso che al genere femminile (leggi: chi ha la possessione) viene attribuito il poteregenerativo – siano essi maschi, femmine, queers, singles o coniugati, mentre il genere maschile(leggi: chi non ha la possessione) viene ritenuto sterile. Tali attribuzioni si intrecciano fortemente con le possibilità di mobilità sociale derivante dallacostruzione di famiglie spirituali, un fattore che porta un numero estremamente elevato di queers apartecipare di questa religione.Nell'intervento si cercherà di discutere alcuni di questi aspetti, in base ai dati di campo di una ricercaattualmente iniziale, effettuata in una serie di terreiros brasiliani, portoghesi e italiani, mettendo inluce come i singoli individui prendano coscienza di una attribuzione di genere non reale solo al loroingresso nella religione.Riferimenti bibliografici:Baccini O., 2006, Corpo, anima, identità. La figura dell’oga nel candombléketo. Genova, Ecig.Birman P., 1995, Fazerestilocriandogêneros: Possessão e diferenças de gêneroemterreiros deumbanda e candomblé no Rio de Janeiro, UERJ/RelumeDumará.Cornwall A. and Lindisfarne N.,Eds., 1994, Dislocating masculinity. Comparative Ethnographies,London, Routledge.Faldini L.,2009, Biylù/È nato per la vita. Creazione dello spazio e della persona in un candomblé diJuquitiba, Roma, Cisu.Nanda S., 2000, Gender Diversity. Crosscultural variations, Long Grove (ill.), Waveland Press.

Laura Ferrero (Università degli Studi di Torino)

Partecipazione femminile in moschea: la duplice esperienza di una moschea torinese

Dalle origini della migrazione egiziana ad oggi, il pattern migratorio è rimasto invariato dal punto divista del genere: la migrazione egiziana rimane caratterizzata da un movimento di uomini,eventualmente raggiunti in seguito da moglie e figli. Di conseguenza, nella letteratura sullamigrazione egiziana le donne sono assenti o descritte come soggetti che si muovono a seguito dellafamiglia, all interno della quale si esaurirebbe il loro ruolo sociale in migrazione. Questa immagineʼrispecchia in parte la realtà, ma lascia in ombra zone di azione che possono essere rilevanti sia inchiave intergenerazionale che in chiave di genere.L intervento si concentrerà sull analisi della partecipazione delle donne egiziane in una moscheaʼ ʼtorinese, in cui la parte femminile è luogo di organizzazione di diverse attività, gestite da due gruppidi donne e destinate sia ai bambini sia alle donne stesse. La letteratura ha già discusso il ruolo socialeche i contesti religiosi possono rivestire per i migranti: le comunità religiose possono rappresentaresia un elemento di continuità col paese di origine e di differenziazione rispetto al nuovo contestoculturale, sia spazi per percorsi di integrazione e di visibilità nello spazio pubblico.Partendo da questa premessa, mi propongo di indagare le attività femminili della moschea inquestione per mostrare come questo spazio non venga interpretato in modo omogeneo dalle personeche lo frequentano. Descriverò l attività svolta dai due gruppi, sottolineandone i punti di contatti e leʼ

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differenze: nonostante i due gruppi condividano spazi e parte dei membri, essi si pongono obiettivi,modalità di azione e di relazione con l esterno diversi. Si concentrerà infine l attenzione sulle dueʼ ʼattività come forme di agency e di partecipazione che non vanno lette all interno della dicotomiaʼ“moderno vs tradizionale”, ma interpretate in base all esperienza migratoria e alle pratiche religioseʼprecedenti la migrazione.

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Antropologia, storia e morfologia della famiglia

Giovedì 7, ore 17-19.45Sala rossa (grande)

Pier Paolo Viazzo (Università degli Studi di Torino)

Le “nuove forme di famiglia” in Italia e nel Mediterraneo tra convergenze morfologiche epersistenze culturali

A partire dalla metà del XX secolo la famiglia ha conosciuto in Italia, così come negli altri paesisud-europei, dapprima un evidente processo di “nuclearizzazione” (caratterizzato da un pesodecrescente della coresidenza tra parenti) e poi una serie di metamorfosi in buona parte legate alladeclinante centralità del matrimonio (Rosina, Fraboni 2004). Trasformazioni per più versi analogheiniziano ora a manifestarsi anche sulla sponda sud del Mediterraneo (Engelen, Puschmann 2011).Queste tendenze sono state da alcuni interpretate come prova di una progressiva convergenza versomodelli nord-europei, come previsto dalla teoria della modernizzazione e più recentemente dallateoria della seconda transizione demografica. Le risultanze di un buon numero di studiprincipalmente sociologici, ma anche antropologici, condotti negli ultimi quindici anni suggerisconotuttavia che differenze considerevoli, e addirittura tendenze divergenti, sono individuabili quando siconsiderino non solo e non tanto le “nuove forme” di famiglia, quanto piuttosto la forza dei legami diparentela quale si esprime sia a livello di comportamenti (spesso misurabili: contatti, aiuti,trasferimenti di risorse intergenerazionali) sia a livello di obblighi morali soggiacenti (Reher 1998;Viazzo 2010, 2013). Questo intervento si propone di fare il punto sul dibattito tra sostenitori dellaconvergenza (e discontinuità) da una parte e di una persistente diversità dall’altra, e di indicare qualiapporti possano e debbano venire dall’indagine e dalla riflessione antropologica. Si esploreranno, inprospettiva antropologica, sia questi due scenari alternativi sia altri scenari meno attesi fino a qualchetempo fa, ma che si stanno ora delineando in considerazione dei prevedibili effetti combinati dellacrisi economica, del massiccio processo di invecchiamento demografico e della contrazione delwelfare state non solo in Italia e nei paesi mediterranei ma anche nel nord Europa.Riferimenti bibliograficiEngelen T., Puschmann P. (2011), “How unique is the Western European marriage pattern? Acomparison of nuptiality in historical Europe and the contemporary Arab world’, The History of theFamily, 16, pp. 387-400.Reher D.S. (1998), “Family ties in Western Europe: persistent contrasts”. Population andDevelopment Review, 24, pp. 203-234.Rosina A., Fraboni R. (2004), “Is marriage losing its centrality in Italy?”, Demographic Research, 11,pp. 149-172.Viazzo P.P. (2010), “Family, kinship and welfare provision in Europe, past and present:commonalities and divergences”. Continuity and Change, 25, pp. 137-159.Viazzo P.P. (2013), “Longevity, institutional context and family values in Southern Europe”, inAgeing in the Mediterranean, a cura di J. Troisi e H.-J. von Kondratowitz, Bristol, Policy Press.

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Alberto Castaldini (Università di Bucarest)

Famiglia e geno-poiesi nel nazionalsocialismo

Il regime nazionalsocialista (1933-45) volle tutelare e promuovere attraverso lacreazione di nuovi nuclei famigliari la conservazione dell’eredità biologica dellanazione, allo scopo di preservare e raffinare ossessivamente l’identità e lapurezza della cosiddetta Blutsgemeinschaft, la “comunità di sangue” nella qualeidentificare l’entità politica e culturale del Volk, uno dei tre pilastri della biocraziahitleriana.La nuova famiglia tedesca, trasposizione di antiche strutture di parentela rivistealla luce delle moderne conoscenze eugenetiche e demografiche, fu chiamata agarantire la perpetuazione della Sippe (clan, o meglio: “comunità parentale”),perché l’unione tra due membri del popolo “di sangue affine” (“artverwandtesBlut”) avrebbe comportato la fusione di differenti Sippe, e conseguentementecreato un nuovo Stamm (ceppo, tribù), simile per principio e modalità costitutivaa quello di provenienza di ciascuno dei coniugi. Nella famiglia generatrice difuturi legami di parentela sarebbero stati condivisi i cosiddetti Urahnen (aviprimordiali), eponimi del sangue, fondatori di questo e di altri innumerevolilignaggi, garanti del complesso intreccio di parentele alla base del neonato“Stato razziale”. In pieno XX secolo risultava così manipolato e svilito il valore della memoriafamigliare e il significato autentico della relazione tra le generazioni. Il nazismo,che Francesco Remotti ha efficacemente definito una “antropologia in azione”,oltre a “foggiare” un’umanità nuova (antropo-poiesi), ridefinì così i vincoli diparentela (geno-poiesi). In tal modo il genos perdendo il suo “antico primatosimbolico” assumeva la natura di un “simbolo fittizio” (Carlo Tullio-Altan) alservizio di un regime che in nome di un immaginario vitalismo ancestraleperseguì una sistematica politica di morte. Riferimenti bibliografici:A. Castaldini, L’ipotesi mimetica. Contributo a una antropologia dell’ebraismo,Firenze, Olschki, 2001.M. Burleigh, W. Wippermann, Lo Stato razziale. Germania 1933-1945, Milano,Rizzoli, 1992 (ed. orig. The Racial State, Germany 1933-1945, New York,Cambridge University, 1991).É. Conte, C. Essner, Culti di sangue. Antropologia del nazismo, Roma, Carocci,2000 (ed. orig. La Quête de la race, une anthropologie du nazisme, Paris,Hachette, 1995).L. Pine, Nazi Family Policy, 1933-1945, New York, Berg, 1999F. Remotti, Fare umanità. I drammi dell’antropo-poiesi, Roma-Bari, Laterza, 2013.

Elisabeth Tauber (Libera Università di Bolzano)

Quando "familia" non equivale a "famiglia".Una analisi critica retrospettiva di un progettogiuridico-etnografico nel contesto delle istituzioni pubbliche

Nei rapporti con le istituzioni pubbliche i Sinti non mancano mai di sottolinearel'importanza che attribuiscono alla "familia".Eppure le loro argomentazioni rischiano perennemente di essere fraintese o non

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ascoltate. La struttura parentale della "familia" implica infatti dinamichepolitiche e culturali che poco hanno a che fare con la struttura della "famiglia"italiana o della "Familie" tedesca.L'esempio della legalizzazione della raccolta di rottami di ferro nella Provinciaautonoma di Bolzano illustra come la sopravvivenza normativa e strutturale ditale attività sia stata fondata soprattutto su una contestualizzazione etnograficadel significato e dell'importanza del concetto di "familia".Riferimenti bibliografici:Durão Susana and Seabra Lopes Daniel 2011 Introduction: Institutions are us?In: Social Anthropology/Anthropologie sociale Vol.19, Nr. 4. Special issue:Rethinking Institutions, pp. 363-377.Herzfeld, Michael 2005 Political Optics and the Occlusion of Intimate KnowledgeIn: American Anthropologist Vol. 107, Issue 3, pp. 369 -376.Tauber, Elisabeth 2006 Du wirst keinen Ehemann nehmen! Respekt, Bedeutungder Toten und Fluchtheirat bei den Sinti Estraixaria. LIT Verlag: Münster.

Ferdinando Mirizzi (Università della Basilicata)

Storia e Antropologia negli studi sulla famiglia e i sistemi di parentela: a partire da unarecente ricerca di Gérard Delille

Gli studi sulla famiglia hanno rappresentato, specie in Italia e in particolare apartire dalla seconda metà degli anni Settanta del ’900, uno dei più significativiambiti in cui si è cercato di raccordare e, in vario modo, intrecciare prospettiveteoriche e metodologiche di carattere tanto storico quanto antropologico. Tra glistorici si è particolarmente distinto, nell’ultimo trentennio, Gérard Delille con unaserie di ricerche in cui egli ha cercato di rinnovare gli approcci storici tradizionali,impiegando utilmente ed efficacemente i concetti e le tecniche della tradizioneantropologica, allo scopo di studiare la famiglia e le relazioni di parentela infunzione della comprensione delle dinamiche sociali e politiche locali e globali inetà moderna. In particolare, nel suo ultimo libro, Famiglia e potere locale. Unaprospettiva mediterranea (2011), egli fornisce un modello di analisi che rivelaindubbi interessi anche in una dimensione antropologica attraverso il ricorso almetodo dell’“accumulazione densa dei dati” e di un uso problematico delle fontiche ricorda la nozione ricoeuriana di traccia. Il risultato è uno studio che tende acomporre il quadro unitario e coerente del tema di ricerca affrontato, quello dellarelazione tra strategie matrimoniali, costruzione delle alleanze ed esercizio delpotere politico, in cui strutture e congiunture sono compresenti e interagiscono,e da cui si può partire per riflettere sulla storia dei rapporti tra storia eantropologia e sulla possibilità di intensificare gli scambi tra i due ambitidisciplinari nelle ricerche sulle strutture familiari e sui sistemi di parentela nellesocietà occidentali in età moderna e contemporanea. Riferimenti bibliograficiG. Delille, Classi sociali e scambi matrimoniali nel Salernitano, in «QuaderniStorici», 1976, 33, pp. 983-997.Id. Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, XV-XIX secolo, Torino, Einaudi, 1988(ed. or.: 1985).Id., Famiglia e potere locale. Una prospettiva mediterranea, Bari, Edipuglia, 2011(ed. or.: 2003).

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Aa.Vv., A proposito di quattro libri recenti sulla storia della famiglia, in «QuaderniStorici», XLVIII, 2013, n. 2, in corso di stampa.

Alexander Koensler (Queen’s University Belfast)

L’implosione dell’utopia? Uno sguardo etnografico sulle trasmutazioni del tentativo direinventare la famiglia nel movimento dei kibbutzim (Israele)

Tra gli anni Sessanta e Ottanta, l’utopia del socialismo del movimento deikibbutzim ha attirato considerevole attenzione da parte degli studiosi dellescienze sociali interessati allo studio di nuove forme di socialità e di convivenza,reinventando le relazioni familiari. Questo tentativo di socialismo comunitario disuperare fenomeni come la competizione su micro-scala, rimane uno degliesperimenti più affascinanti dei movimenti socialisti e comunitari, che ha datoluogo a molteplici sperimentazioni in Israele. A partire dalla fine degli anniOttanta, invece, le varie ondate di privatizzazioni e lo smantellamentodell’assetto organizzativo collettivo a seguito delle riforme di stamponeoliberalista hanno messo a dura prova queste nuove forme di convivenza,portando a un’accelerata “implosione” delle strutture classiche del movimento(Spiro 2004). Oggi la parte dominante sia degli studi che della popolazioneconsidera l’esperimento “fallito” (Ben-Rafael 2011). Basandosi su testimonianze dirette e osservazioni di carattere etnografico tragiovani abitanti ed ex-abitanti di kibbutzim nelle periferie del deserto del Negev,l’intervento focalizza l’attenzione su nuove forme di mobilitazione sperimentali(Koensler 2012), mostrando invece come quelle spinte critiche non si sonoesaurite e nuove forme di solidarietà umana e di famiglia vengonocostantemente riconcettualizzate, sia in seguito all’emergere dei movimentialtermondialisti, sia in nuovi sperimenti di tipo comunitario e non settarioisraelo-palestinese.Riferimenti bibliografici:Ben-Rafael, E. (2011). Kibbutz: Survival At Risk. Israel Studies, 16(2), 81-108.Koensler, A. (2012). Per un'antropologia dei movimenti sociali: etnografia eparadigmi dell’analisi di movimenti. In: Koensler, A. e Rossi, A. (a cura di),Comprendere il dissenso. Etnografia e antropologia dei movimenti sociali (pp.47-57). Perugia: Morlacchi Editore.Spiro, M. E. (2004). Utopia and Its Discontents: The Kibbutz and Its HistoricalVicissitudes. American Anthropologist, 106(3), 556–568.

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Famiglia e conflitti intergenerazionali

Giovedì 7, ore 17-19.45Sala rossa (piccola)

Luca Jourdan (Università di Bologna)

La diaspora eritrea fra Kampala e Bologna: conflitti e fratture intergenerazionali

Nelle classifiche delle Organizzazioni Internazionali, l’Eritrea è fra gli ultimi paesi al mondo per ilivelli di povertà e per il rispetto dei diritti umani. Dopo lunghi decenni di guerra, l’indipendenzadall’Etiopia aveva suscitato fra la popolazione speranze di libertà e sviluppo che vennero ben prestofrustrate dalla dittatura di Isaias Afewerki, presidente del paese dal 1993. L’imposizione di un regimedi autarchia ha impedito ogni sviluppo economico e a questo si aggiunge un controllo paranoico eviolento che preclude ogni libertà di espressione e di dissenso politico. Inoltre, molti giovani eritreifuggono dal paese per evitare di essere arruolati nell’esercito dal momento che, secondo la leggeeritrea, il servizio di leva può protrarsi per un tempo indefinito. Questo paper vuole analizzare il conflitto e le fratture che emergono all’interno della diaspora eritreafra nuove e vecchie generazioni a partire da un’analisi etnografica multisituata condotta fra Kampalae Bologna. Nella capitale ugandese vi sono numerosissimi rifugiati eritrei che attendono un visto perrecarsi in Occidente (in particolare in Canada); mentre a Bologna, anche per via di un legame storicofra la città e il movimento indipendentista eritreo, la comunità di rifugiati e migranti dall’Eritrea èpiuttosto consistente. In entrambi i contesti emerge un profondo conflitto intergenerazionale: i piùanziani tendono sostenere il regime di Afewerki poiché molti di loro hanno combattuto nelle file delmovimento di liberazione.; mentre i più giovani reclamano maggiori libertà e hanno dato vita amovimenti di opposizione. L’analisi vuole dunque gettare luce su questo conflitto che lacera lacomunità diasporica eritrea esasperando il conflitto e le incomprensioni fra generazioni.

Maria Chiara Miduri (Università degli Studi di Torino)

Processi di risocializzazione intergenerazionale e interculturale tra madri e figli ad Aurora(Torino)

Il presente contributo trae spunto dalla ricerca di campo che ho svolto nel quartiere Aurora di Torino,all’interno del mio progetto dottorale e attualmente in fase conclusiva. Nell’ambito del tema delconvegno, vorrei proporre un’analisi dei processi di risocializzazione in contesto migratorio da unaduplice prospettiva, intergenerazionale e interculturale, all’interno dei rapporti tra madri e figli. Inparticolare mi concentrerò su uno dei contesti di (ri)socializzazione nei quali ho condotto la miaricerca: il progetto Salone delle Mamme a cura dell’Associazione di Assistenza volontariasocio-sanitaria Camminare Insieme, sita in borgata Borgo Dora – Valdocco. La famiglia `e il piùimportante agente di socializzazione in cui la donna ha un ruolo cruciale. Nel contesto migratorio,nell’intensa esperienza di risocializzazione nella comunità di arrivo, le madri – originarie agenti disocializzazione per i propri figli – intraprendono un percorso di soddisfacimento del bisogno diapprendere e di essere esposte a sistemi di norme e valori talora completamente opposti a quelli di

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provenienza. La ricerca etnografica condotta nel solco dell’etnografia multimodale ha messo in lucecome in questo percorso i figli divengano i migliori alleati e gli intermediari privilegiati nel discorsointerculturale, a vari livelli dell’esperienza, in quanto nuovi e riconosciuti depositari del sapere“locale”. Il contributo si concentra sulle pratiche di mediazione linguistica-culturale interna allafamiglia attuate dai figli nei contesti di vita quotidiana interculturale (scuola, ambito sanitario,contesti ricreativi) comparando l’esperienza peruviana, maliana e marocchina. Attraverso l’analisi ditali pratiche, si configura uno shift di ruolo tra generazioni a livello di trasmissione del sapere e delsaper-fare sociale (know-how), nei nuovi domini della quotidianità. Riferimenti Bibliografici: Bar-Yosef, R.W. (1968). Desocialization and Resocialization: The Adjustement Process of the Immi-grants. International Migration Review, 2(3): 27-45. Duranti, A., Ochs, E., Schieffelin, B.B. (Eds.). (2011). The Handbook of Language Socialization.London: John Wiley & Sons. Fein, M.L. (1988). Resocialization: A Neglected Paradigm. Clinical Sociology Review. No. 6:88-100. Kramsch, C. (2003). Language Acquisition and Language Socialization: Ecological Perspective.London: Continuum Intl. Publishing Group. Schieffelin, B.B., Ochs, E. (1987). Language Socialization across Cultures. London: CUP.

Marta De Falco (Università degli Studi di Torino)

Famiglia, generazioni e fenomeni migratori nella società batak (Sumatra, Indonesia)

Il sistema di parentela batak, articolato in clan esogamici patrilineari connessi tramite alleanzematrimoniali (Nainggolan 2006), occupa un’importanza primaria nella vita del singolo individuo enell’organizzazione della società locale nel suo complesso. Infatti, la struttura del sistema diparentela, che si è storicamente originata attraverso vari flussi migratori (Andaya 2002), non hasubito significative trasformazioni con i recenti processi di urbanizzazione. Benché nei nuovi centridi insediamento siano frequenti le famiglie nucleari, le relazioni con consanguinei ed affini, nonchécon le zone rurali di provenienza, vengono costantemente coltivate dai batak migranti, compresi igiovani, che affrontano l’esperienza migratoria come necessario rituale di passaggio all’età adulta. Inaggiunta, la struttura della famiglia estesa e dell’ “economia morale” che la caratterizza (Rodenburg1997), riprodotti nelle associazioni claniche e nei gruppi di credito rotativo (Bruner 1972), sonostrategicamente impiegati come strumenti attraverso cui addomesticare e negoziare lo spazio urbanomultietnico e le logiche del capitalismo neo-liberale in esso presenti.Grazie alla vitalità del sistema di parentela, flessibile e disponibile all’incorporazione dello stranieromediante rituali di adozione, i batak sono dunque oggi rappresentabili come una “post-comunità”insediata in diversi spazi transnazionali e translocali (Bruner 1999), connessi tramite le relazioni delnetwork familiare.Riferimenti bibliografici:ANDAYA L.2002 “The trans-Sumatra trade and the ethnicization of the Batak”, in Bijdragen tot de Taal-, Land-en Volkenkunde, 158 (3), pp. 367-409.BRUNER E. M.1972 “Batak Ethnic Associations in Three Indonesian Cities”, in Southwestern Journal ofAnthropology, 28 (3), pp. 207-229.1999 “Return to Sumatra: 1957, 1997”, in American Ethnologist, 26 (2), pp. 461-477.NAINGGOLAN T.

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2006 Batak Toba di Jakarta. Kontinuitas dan Perubahan Identitas, Medan, Penerbit Bina MediaPerintis.RODENBURG J.1997 In the Shadow of Migration: Rural Women and Their Households in North Tapanuli, Leiden,KTLV Press.

Armando Cutolo (Università di Siena)

Generazioni, riproduzione sociale e situazione postcoloniale in Costa d’Avorio

Negli anni Sessanta e Settanta l’antropologia marxista francese s’interrogava sui nessi tra rapportiintergenerazionali e la definizione delle classi sociali nelle società africane. In gran parte di esse,infatti, la categoria dei “giovani” si mostrava come una “classe in sé”, produttrice di beni e risorse afavore degli “anziani”. Essa non si costituiva, tuttavia, come una vera “classe per sé” di sfruttati: lariproduzione sociale, promuovendo i suoi membri all’anzianità, li metteva in condizioned’approfittare a loro turno del lavoro delle generazioni successive, ostacolando la coscienza di unacondizione codivisa. Ciò avrebbe garantito un ordine consono al sistema di produzione coloniale e, inseguito, alla divisione internazionale postcoloniale del lavoro (Meillassoux, 1977).Questo tipo di schemi analitici sono ripresi oggi da autori che, disconnettendoli dalla teoria marxista,li utilizzano euristicamente per studiare le forme di soggettivazione politica e di mobilitazioneviolenta dei “giovani” (ad esempio Chauveau e Richards, 2008). Il mio intervento muoverà da qui,per trattare delle mutazioni dei rapporti tra generazioni avvenuti negli ultimi vent’anni in Costad’Avorio. Con la nascita del movimento dei “jeunes patriotes” e della ribellione armata, molti giovaniavoriani hanno infatti messo in discussione le forme di dipendenza e d’obbedienza (Cutolo, 2005,2012) che li vincolavano nel contesto familiare e in quello pubblico-politico. Ciò è avvenuto quandole riforme economiche hanno ristretto a pochi l’accesso ai mezzi (impieghi, credito, istruzione, ecc.)necessari per raggiungere l’”anzianità sociale”. Un nazionalismo radicale e un nuovoanticolonialismo sono allora sorti insieme ad un esplicito discorso generazionale, investendo l’ordinedomestico dei rapporti di parentela e, attraverso di esso, l’ordine (inter)nazionale delledisuguaglianze (Cutolo, Banégas 2012). Riferimenti bibliografici:Chauveau J.-P., Richards P., 2008, “West African Insurgencies in Agrarian Perspective: Côte d’Ivoireand Sierra Leone Compared”, Journal of Agrarian Change, Vol. 8 No. 4, pp. 515–552.Cutolo A., 2005“Forme normali della dipendenza”, in P. G. Solinas, a cura di, La dipendenza.Antropologia delle relazioni di dominio, Lecce, Argo, pp. 99-140. Cutolo A., 2012, a cura di, Dell’obbedienza. Forme e pratiche del soggetto, Milano, FrancoAngeli.Cutolo A., Banégas R., 2012, « Gouverner par la parole. Parlements de la rue, pratiques oratoires etsubjectivation politique en Côte d’Ivoire », Politique Africaine, n.127, pp. 21-48. Meillassoux C., 1978, Donne, granai e capitali, Bologna, Zanichelli.

Alberto Caoci (Università di Cagliari)

Memorie, patrimoni e diritti di cittadinanza tra le nuove generazioni di coloured: ilDistrictSixMuseum di Cape Town

Il DistrictSixMuseum (D6M) fu aperto nel 1994 con l’obiettivo di mantenere viva la memoria delquartiere del DistrictSix (D6) in rapporto alla deportazione, da parte del governo segregazionistasudafricano, di oltre 60.000 persone identificate come gruppo razziale coloured e alla conseguente

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demolizione di un’area di circa 90 ettari, tra case, luoghi di lavoro e svago, in funzione di progetti diresidenzialità per soli bianchi. Nonostante il D6M non si proponga come luogo che racconta una comunità, ma come una comunitàche si è fatta museo, l’analisi delle sue politiche di patrimonializzazione e di rivendicazione di dirittidi cittadinanza evidenziano la difficoltà da parte delle nuove generazioni di ex residenti ad accettareacriticamente i suoi programmi educativi, nonché i progetti di ricostruzione del quartiere svolti dalDistrictSixBeneficiary and Redevelopment Trust (braccio operativo della Fondazione del Museonella riqualificazione dell’area) che si concretizzano attraverso lunghi, e spesso opachi, procedimentidi negoziazione con il City Council of Cape Town, il ProvincialGovernment, il National RuralDevelopment and Land Reforme il Regional Land ClaimsCommission.In particolare il progetto del museo di adattare il passato alle esigenze del presente, trasmettendo allenuove generazioni una visione coesa ed estetizzata della comunità prima delle deportazioni, siscontra con l’attuale delusione per non aver ancora avuto giustizia, con le diffidenze e i pregiudizi tracoloured e neri, tra musulmani e cristiani, tra differenti fazioni politiche.La conflittualità tra le nuove generazioni di ex residenti e i gruppi di potere che gestiscono leiniziative di ricostruzione della memoria, della comunità e delle case ha portato negli ultimi tempi afrequenti manifestazioni di protesta. Emblematica è stata, nel gennaio del 2013, l’occupazioneabusiva di alcune case da parte di giovani coppie di ricorrenti. Riferimenti bibliografici:Bennet B. et al. (2005), Reflections on the Conference: Hands on District Six. Landscapes ofpost-colonial memorialisation (Cape Town, 25-28 May 2005), District Six Museum, Cape Town.Bennett B., Julius C., Soudien C. (2008), a cura di, City, Site, Museum, Reviewing memory practicesat the District Six Museum, District Six Museum, Cape Town.Beyers C. (2007), “Land Restituition’s ‘Rights Communities’: the District Six Case”, in Journal ofSouthern African Studies, Vol.33, n.2, Routledge, London.Jeppie S., Soudien C. (1990), a cura di, The struggle for District Six: past and present, Buchu Books,Cape Town.Rassol C. (2006), “Community museums, memory Politics, and social transformation in SouthAfrica: histories, possibilities, and limits”, in Karp I., Kratz C.A. et al. (2006), a cura di, MuseumFrictions. Public Cultures/Global Transformations, Duke University Press, Durham.

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Famiglie e violenza

Giovedì 7, ore 17-19.45Sala B2

Roberto Beneduce e Simona Taliani (Università degli Studi di Torino) insieme a Grace Aigbeghian, Bosede Lawani e Philomena Erhunmwunsee

Discronie nigeriane. La genitorialità delle madri immigrate fra burocratizzazione e violenzaepistemica

“Non sono ancora morta”, gridano le donne nigeriane in Tribunale al cospetto di operatrici italianeintente a vagliare la loro qualità di madri: alcune di loro non vedranno più i loro figli, dati inadozione e diventati magicamente prodotti dell’Italia, nuovi cittadini del nostro Bel Paese. Sononumerose le donne nigeriane, arrivate in Italia e designate giuridicamente come vittime della tratta,che si vedono allontanare i loro figli in virtù di valutazioni negative sulla loro qualità di madri. Comericorda Bailkin per il contesto inglese degli anni ’60 e ’70, le madri africane sono, tra le donneimmigrate, quelle più esposte a questo tipo di recisione del legame filiale. Sono donne che hannofallito nel compito di abbracciare il vangelo bolwbiano e, per questo, le istituzioni incaricate dimisurare le loro capacità genitoriali non le ritengono madri sufficientemente buone. A partire da una ricerca etnografica condotta con 20 famiglie nigeriane e protrattasi per più di 10anni, l’intervento vuole analizzare questi nuovi archivi postcoloniali e interrogare come le Istituzioniproducono un bambino adottabile. L’analisi di questi legami, sempre più spesso spossati e spossessati(dispossessed kinships) dall’intervento istituzionale, rivela che cosa stia diventando oggi la maternitàafricana in Europa. L’intrusione dello sguardo burocratico e assistenziale nei legami familiari(espressione particolare del paradigma compassionevole?) mostra qui la sua magia socio-politica: unamagia mediata il più delle volte dall’uso di un lessico psichiatrico e coloniale (come testimoniato dalricorso alle figure della selvatichezza o quello che trasforma madri e figli in soggetti affetti dadisturbi psicopatologici o morali). L’intervento vuole analizzare le forme di antropopoiesi del bambino nigeriano adottabile e i modiattraverso i quali una tale costruzione giuridico-sociale produca fratture nelle relazioni tra le madri, iloro figli e le famiglie d’origine rimaste in Nigeria. Inoltre, si tenterà di comprendere in che sensopossano essere interpretate le indicazioni della Regione Piemonte (2010) dove si fa esplicitoriferimento alla necessità di valutare le qualità del modello educativo antropologico culturale deigenitori quando stranieri. Riferimenti bibliograficiRoberto Beneduce e Simona Taliani, « Les archives introuvables. Technologie de la citoyenneté,bureaucratie et migration », in Beatrice Hibou, La bureaucratisation neolibérale. Paris : Editions de laDécouverte, 2013. Simona Taliani, «I prodotti dell’Italia: figli nigeriani tra tutela, diritto e amore materno (molesto?)»,Minori&Giustizia, 2, 2012. Jordanna Bailkin, The Afterlife of Empire. Berkeley: University of California Press, 2012.Emmanuelle Saada, Les Enfants de la colonie : Les métis de l’Empire français entre sujétion etcitoyenneté. Paris: Editions de la Découverte, 2007.

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Ann Stoler, Race and the education of desire. Foucault’s History of Sexuality and the Colonial Orderof Things, Durham and London: Duke University Press, 1995.

Alessandro Jedlowski (Università di Napoli “L’Orientale”, Centro Studi sull’Africa Contemporanea (CeSAC))

Famiglia, stregoneria e prostituzione nei video nigeriani sulla migrazione

Nel corso dell’ultimo ventennio, la produzione video nigeriana (comunemente conosciuta come“Nollywood”) si è sviluppata in modo esponenziale, diventando comune denominatore di una culturapopolare urbana su scala continentale (McCall, “The Pan-Africanism we have”, 2007). All’interno diquesta ricca produzione filmica, i temi della famiglia, della stregoneria e della prostituzione si sonoimposti come centrali e video la cui trama si basa sull’intreccio di queste tre tematiche costituisconooggi un genere a sé all’interno del canone nollywoodiano (Okome, “Nollywood, Lagos and thegood-time woman”, 2012). In relazione a questo contesto, il mio intervento intende analizzare il modo in cui questi temi vengonotrattati all’interno della produzione video nigeriana, proponendo in primo luogo una panoramicastorica dei film che hanno definito le caratteristiche tipiche di questo genere (come ad esempioGlamour Girls, Violated e Domitilla) ed, in secondo luogo, concentrandosi su alcuni esempi specificidi video (come ad esempio Ebuwa e Street of Italy) che si riferiscono a questi temi in relazioneall’esperienza migratoria, ed in particolare in relazione all’Italia. È necessario infatti sottolinearecome, in numerosi video, i tre temi citati siano spesso direttamente connessi alla questione dellamobilità migratoria, sia essa locale (dalla campagna alla città) o transnazionale (dall’Africa versol’Europa o altre destinazioni), una mobilità spesso considerata come elemento scatenante delletrasformazioni socio-culturali che interessano la famiglia in epoca contemporanea. Riferimenti bibliografici:Jedlowski, Alessandro.2012. “On the periphery of Nollywood: Nigerian video filmmaking in Italyand the emergence of an intercultural aesthetics”. In Postcolonial Italy: Challenging NationalHomogeneity, a cura di. Cristina Lombardi-Diop e Caterina Romeo. New York: Palgrave McMillan.239 – 252.Jedlowski, Alessandro (in via di pubblicazione). “Nigerian migrants, Nollywood videos and theemergence of an ‘anti-humanitarian’ representation of migration in Italian cinema”. In DestinationItaly: Representing Migration in Contemporary Media and Narrative, a cura di Guido Bonsaver,Oxford: Peter Lang.Haynes, Jonathan. 2013. “The Nollywood Diaspora: A Nigerian video genre.” In Global Nollywood:Transnational Dimensions of an African Video Film Industry, a cura di Matthias Krings e OnookomeOkome. Bloomington: Indiana University Press. 73 – 99.Bryce, Jane. 2012. “Signs of femininity, symptoms of malaise: Contextualizing figurations of‘woman’ in Nollywood”. Research in African Literatures 43(4): 71-87.Okome, Onookome. 2012. “Nollywood, Lagos and the good-time woman”. Research in AfricanLiteratures 43(4): 166-186.

Valeria Ribeiro Corossacz (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)

Intimità, dominio, disuguaglianza. L’intersezione di classe, genere e colore nei rapporti tragiovani uomini bianchi e empregadas domésticas a Rio de Janeiro

In questa comunicazione presento dei dati di una ricerca condotta a Rio de Janeiro tra 21 uomini, diun’età compresa tra i 43 e i 60 anni, che si auto-definiscono bianchi di classe medio-alta (RibeiroCorossacz 2012).

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Nelle interviste è emerso come nell’infanzia e nell’adolescenza i rapporti con empregadas domésticas(lavoratrici domestiche) nella casa di famiglia sono stati costitutivi per la definizione dell’identità diclasse, genere e colore di questi uomini (Ribeiro Corossacz, 2015). In particolare sono state nominatedue tipologie di rapporti: la relazione affettiva e di intimità con la babá (tata) e la relazione definita di“iniziazione sessuale” con l’empregada, descritta dagli intervistati stessi nei suoi aspetti di violenza.Il colore di entrambe le figure è poco nominato, ma, una volta interrogati, è ricordato come nero ocomunque non-bianco.Si tratta di due esperienze contrapposte inscritte entrambe nei rapporti di dominio che prendonoforma nella famiglia bianca di classe media nell’intersezione delle gerarchie di colore, classe e generetipica della società brasiliana. La presenza costante dell’empregada nella casa e nella vita dellefamiglie bianche urbane di classe medio-alta è descritta da diverse autrici come elemento centrale perla formazione e la differenziazione di classe, così come per la formazione delle diseguaglianze dicolore (Goldestein 2003; Brites 2007). Poca attenzione è stata data a come questa presenzacontribuisca a definire la posizione di uomo bianco di classe media. L’analisi delle interviste permettedi comprendere dal punto di vista di chi si trova in una posizione strutturale di dominio nei rapportidi classe, genere e colore, come nel rapporto tra patrão (padrone) e empregada possano essercirelazioni sentite come affettive, intime, di dominio e violenza. Questa ricerca illustra come lasocializzazione a rapporti gerarchici di classe, colore e genere all’interno dello spazio affettivo dellafamiglia contribuisca alla loro naturalizzazione e invisilibizzazione in quanto esperienze didiseguaglianza. L’organizzazione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia si presentacome uno spazio di produzione delle diseguaglianze (Pinho e Silvia 2010), ma anche di interventoper trasformare i rapporti gerarchici. Riferimenti bibliografici:Brites, Jurema. 2007. “Afeto e desigualdade: gênero, geração e classe entre empregadas domésticas eseus empregadores”. Cadernos Pagu, n. 29, p. 91-109. Goldestein, Donna. 2003. Laughter out of Place. Race, Class, Violence, and Sexuality in a RioShantytown. Berkeley e Los Angeles: University of California Press.Pinho, Patrícia de Santana, Silva, Eizabeth B. 2010. “Domestic Relations in Brazil. Legacies andHorizons”. Latin American Research Review, vol. 45, n. 2, p. 90-113.Ribeiro Corossacz, Valeria. 2012. “In bilico tra colore e classe. Esperienze di bianchezza tra uominibianchi di Rio de Janeiro”, in Incroci transatlantici: il Brasile negli studi dell’antropologia italiana, acura di Anna Casella, pp. 61-83, Aprilia, Novalogos.Ribeiro Corossacz, Valeria. “Whiteness, Maleness and Power: a study in Rio de Janeiro”, in LatinAmerican & Caribbean Ethnic Studies, in corso di pubblicazione, 2015 march, vol. 10, n.1.

Barbara Ghiringhelli (Università IULM di Milano)

Il fenomeno delle streghe bambine a Bukavu - in Sud – Kivu (RDC). L’analisi dei casi diaccusa in ambito familiare

Lo studio del fenomeno, svoltosi nella città di Bukavu (Repubblica Democratica del Congo) nel mesedi maggio (2013), si è realizzato attraverso:a) l’analisi dei dossier relativi alle situazioni delle bambine/i accusate di stregoneria inserite in quellache è la principale casa di accoglienza del Sud-Kivu, il Foyer Ek’Abana a Bukavu. I dossierconsultati sono relativi ai casi registrati nel periodo dall’apertura del Foyer nel 2002, a maggio 2013,periodo di presenza nella struttura per la ricerca. Più di 300 i casi analizzati, con lo scopo diindividuare i motivi dell’accusa e la composizione familiare dei bambini e delle bambine accusate;b) l’analisi dei contenuti del programma radio “Programme de lutte et de prévention contre lesaccusations de sorcellerie portées aux enfants et personnes vulnérables”, il cui obiettivo è quello disensibilizzare la popolazione locale con lo scopo di contrastare e prevenire le accuse di stregoneria;

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c) lo svolgimento di interviste a testimoni privilegiati: responsabili e collaboratori della casa diaccoglienza.L’analisi delle ragioni a base dell’accusa e dei contesti familiari, ha evidenziato come spesso, inparticolare quando a incolpare il bambino di stregoneria è qualche componente della famiglia (glialtri accusatori rilevati sono: il quartiere/comunità e le camere di preghiera), l’accusa sorge incontesti di disoccupazione, povertà, ma anche divorzio, secondo matrimonio o regime matrimonialepoligamico, evidenziandosi in queste ultime situazioni una non accettazione dei figli dell’unioneprecedente. Sembra pertanto che oggi, in aggiunta alle motivazioni dettate da credenze, all’originedell’incremento dei casi vi siano ragioni legate alla profonda crisi che il Paese sta attraversando inordine alla situazione economica, ma anche sociale e familiare, e tale contesto sarebbe alle radicidella “strumentalizzazione” dell’accusa di stregoneria quale “giusta” (senza conseguenze sociali ecomunitarie) motivazione all’abbandono dei bambini e delle bambine.

Alessandra Gribaldo (Università di Trento e Università di Modena e Reggio Emilia)

Maltrattamenti in famiglia: la produzione del soggetto-vittima nelle aule dei tribunali

L’antropologia che ha individuato come tema emergente le forme di violenza ha avuto difficoltà adincludere a pieno titolo la violenza degli uomini contro le donne nelle relazioni di intimità. Ilcontributo che propongo riguarda l’area Famiglie e violenza. Microfisica del potere in contestifamigliari e parentali e si basa sull’osservazione etnografica dei processi che riguardano imaltrattamenti in famiglia, svolta a Bologna tra l’ottobre 2010 e il marzo 2011. Attraverso l’analisidelle dinamiche in aula e delle interviste ad operatori sociali e della giustizia intendo fare emergerel’economia discorsiva che è propria del giudizio penale e come questa si intrecci con discorsidominanti riguardo alla famiglia, alla maternità, all’ambito domestico. L’analisi etnografica deiprocessi sulla violenza domestica permette di prendere in considerazione elementi inesplorati delladinamica soggettivazione/assoggettamento, in cui emerge l’intreccio tra violenza, genere, affettività,in quanto spazi per eccellenza del “vero sé”. L’ambito domestico si dà come ambito per eccellenzache si presta ad una operazione di produzione di soggettività in una identificazione e individuazionedella vittima attraverso la sua testimonianza in aula: la vittima che testimonia deve confessare sestessa nella relazione con suo marito (figura istituzionale), amante (figura relazionale) carnefice(figura da comporre/scoprire/giudicare).Queste dimensioni si intrecciano con tematiche specifiche che riguardano la concezione dellafamiglia: emerge una cultura istituzionale che vede nelle donne che richiedono aiuto, anche neicontesti di violenza domestica, primariamente delle madri/mogli, dove il valore della famiglia comeistituzione da salvaguardare riflette una visione normativa delle relazioni familiari e della maternità.Riferimenti bibliografici:Foucault, M. 1994 (1978) “La verità e le forme giuridiche”, Napoli, La citta del sole.Gribaldo A. “Violenza, intimità, testimonianza. Un’etnografia delle dinamiche processuali” inCreazzo G. (a cura di), Se le donne chiedono giustizia. Le risposte del sistema penale alle donne chesubiscono violenza nelle relazioni di intimità: ricerca e prospettive internazionali, Il Mulino,Bologna, pp. 237-260 (in uscita, ottobre 2013). Gribaldo A. “The incongruous subject: Intimate violence narratives on trial in Italy”, (submitted).Hirsch, S. and Lazarus-Black M.1994 eds. Contested States: Law, Hegemony and Resistance (Afterthe Law), Routledge.Lazarus-Black, M.2007 Everyday Harm: Domestic Violence, Court Rites, and Cultures ofReconciliation, University of Illinois Press.

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La famiglia di fronte alla morte

Venerdì 8, ore 10.45-12.45Aula F5

Claudia Mattalucci (Università di Milano-Bicocca)

Essere genitori e figli prima della nascita: tra desiderio, tecnologia e politica

Come emerge da una nutrita letteratura etnografica, in molti gruppi sociali la gravidanza trova pienaconferma soltanto alla nascita di un bambino vivo. La condizione dei nuovi nati non è data perscontata: l’essere umano e la persona sono “fatti” attraverso un complesso insieme di attivitàquotidiane, interazioni e rituali.Formalmente, nella società nordamericana e in quelle europee, il riconoscimento sociale dellapersona avviene alla nascita. Di fatto, tuttavia, questo processo è almeno in parte anticipato al tempodella gestazione: i futuri genitori vengono a conoscenza del sesso e scelgono un nome per il bambino,lo vedono attraverso l’ecografia, condividono le sue immagini con amici e parenti, ecc. Attraverso lamediazione della medicina e della tecnologia, l’emergenza della persona, l’inizio della sua biografia,la costruzione dei legami parentali e la trasformazione dello statuto della coppia sono spostati primadella nascita.Il mio contributo analizza le implicazioni di questo fare famiglia, immaginario e materiale, conparticolare riferimento all’Italia. Dopo aver evidenziato il ruolo del desiderio, della medicina e dellatecnologia nella fabbricazione dei vincoli parentali, mi concentrerò sulle situazioni limite in cui lagravidanza s’interrompe lasciando in sospeso relazioni e identità che spesso sono vissute come reali,pur essendo prive di riconoscimento sociale. Il significato culturalmente attribuito agli abortiterapeutici, spontanei e alle morti perinatali e le pratiche messe in atto dai genitori per far fronte aquesti eventi sono state oggetto di analisi antropologica in altre società occidentali (Cecil 1996; LeGrand-Sébille, Morel, Zonabend 1998; Layne 2002; Memmi 2011). Il mio contributo intendedescrivere questi significati e pratiche in relazione all’Italia, mettendo in luce la portata politica chele richieste di riconoscimento che alcuni di questi genitori portano avanti rivestono in relazione aldibattito pubblico sui diritti riproduttivi.Riferimenti bibliografici:Cecil, R. (a cura) 1996, The Anthropology of Pregnancy Loss. Comparative Studies in Miscarriage,Stillbirth and Neonatal Death, Oxford: Berg.Layne, L. 2002, Maternity Motherhood Lost: A Feminist Account of Pregnancy Loss in America,New York: Routledge.Le Grand-Sébille, C., Morel, M.-F., Zonabend, F. (a cura) 1998. Le fœtus, le nourrisson et la mort,Paris: L’Harmattan.Memmi, D. 2011, La seconde vie des bébés morts, Paris: Ed EHESS.

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Anna Paini (Università di Verona)

Di fronte alla morte perinatale: esperienze a confronto

I cambiamenti che nel corso del tempo hanno coinvolto l’evento della nascita e della morte nellanostra società mostrano una differenza sostanziale: mentre il primo, seppur medicalizzato, restageneralmente un momento rituale e festivo, la morte invece è messa ai margini della vita sociale.Resta tuttavia il rituale della cerimonia funebre, anche se spesso svuotato della forza che aveva nelpassato: oggi spesso formale e poco conviviale. L’obbligo di dare una degna sepoltura invece non siimpone nel caso dei bambini e bambine nati morti o deceduti subito dopo la nascita. Questi spessovengono seppelliti senza lasciare traccia del loro passaggio. Quando nascita e morte sono (quasi)concomitanti o l’ordine è capovolto, il lutto diventa più difficile, quasi impossibile da elaborare,proprio perché si inverte il naturale corso degli eventi.Nella situazione odierna in cui la morte tende a essere sempre più posticipata, la morte perinatalerisulta eccezionale e come tale, a differenza del passato quando veniva ammessa e accettata, vieneconsiderata ‘scandalosa e colpevolizzante’ (Le Grand-Sébille et al. 1998). Quali strumenti hannooperatori e operatrici socio-sanitari per affrontare queste situazioni e gestire un evento che richiedecompetenze e gesti che tengano conto anche della diversità culturale delle famiglie coinvolte? Qualecontributo può offrire l’antropologia?Le considerazioni svolte prendono spunto da un invito dell’Azienda Ospedaliera UniversitariaIntegrata di Verona al convegno “Il lutto perinatale. L’accompagnamento del neonato e della famigliaal momento di fine vita” (ottobre 2012) destinato a operatori e operatrici socio-sanitari. Un’occasioneche ha generato nuove domande e mi ha permesso di avviare una riflessione mettendo a confrontoelementi della realtà italiana con aspetti del mondo kanak a cui sino ad allora avevo dato poco spazionei miei lavori.Riferimenti bibliografici:Delaisi de Parseval, Geneviève, 1998, « Requiem pour des mort-nés sans sépolture », in LeGrand-Sébille et al. (a cura) Le fœtus, le nourrisson et la mort, l’Harmattan, Paris.Duden, Barbara, 1994, Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri, Torino.Flis-Trèves, Muriel, 2004, Le deuil de maternité, Calmann-Lévy, Paris.Paini, Anna, 2007, Il filo e l’aquilone. I confini della differenza in una società kanak della NuovaCaledonia, Le Nuove Muse, Torino.Zonabend, Françoise, 1998, « La mort : le chagrin, le deuil », in Le Grand-Sébille et al., a cura, Lefœtus, le nourrisson et la mort, l’Harmattan, Paris.

Roberta Altin (Università degli Studi di Trieste)

Morti migranti

Partendo da dati etnografici raccolti tra i senegalesi e ghanesi presenti nel Nord-Est italiano, questointervento si propone di analizzare pratiche e significati simbolici della morte nei contesti diasporici,come scelta che coinvolge e risignifica i rapporti tra il migrante e le multiple comunità diappartenenza. Morti e lutti in terra straniera sono riti di passaggio ed eventi collettivi che obbligano aripensare, confermare, modificare progetti di vita e rapporti sociali, reciprocità vicine e lontane. La morte interrompe il progetto di fuga e/o riscatto per migliorare la vita e il corpo morto delmigrante si svuota di colpo della tensione prospettica verso il futuro che sorregge il progettomigratorio. Se la morte è violenta e accidentale per i clandestini non lascia traccia; se avviene dopoaver investito già parecchi anni di emigrazione si pone la difficile scelta se rimpatriare la salmaaffinché ‘ritorni’ alla famiglia e luogo di origine o essere seppelliti nella nuova patria, vicino ai figli

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nati all’estero, posto che sia disponibile un cimitero o spazio compatibile con il proprio credoreligioso. La morte in terra straniera crea nuovi mercati per l’industria delle pompe funebri per i qualisi aprono mutui e collette fra le associazioni etnico-nazionali di espatriati; la scelta del luogo e irituali funebri rappresentano passaggi critici per mettere a fuoco identità e appartenenze.Tema difficile e in parte tabuizzato dalla nostra società di eterni giovani, la morte dei migranti si ponecome problema pratico e simbolico con cui sempre più dovremo fare i conti. L’Italia deveconfrontarsi con richieste dei ‘nuovi cittadini’ che stanno invecchiando le risposte che il paese forniràsaranno un segno tangibile di civiltà e di capacità di considerare l’immigrazione non solo comemerce umana deportabile in base alle fluttuazioni del mercato del lavoro. Riferimenti bibliografici:Altin R. , L’identità mediata, Forum, Udine 2004Attias-Donfut C., Wolf F.C., Le lieu d’enterrement del persone nèes hors de la France, “Population”,n.5, vol. 60, 2005, pp. 813-836.Chaib Y., La morte nell’immigrazione. La sepoltura come riferimento migratorio, “aut aut” n. 341,2009, 66-77.Favole A., Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Laterza, Milano 2003.Hertz R., Sulla rappresentazione collettiva della morte con il saggio sulla preminenza della manodestra, Savelli, Roma, 1978.Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, CortinaMilano 2002.Tessaro F., Network e redistribuzione fra le donne senegalesi, Tesi di dottorato di ricerca in “Culturee strutture delle aree di frontiera”, ciclo XXIV, 2012-2013, Università degli Studi di Udine.

Ana Cristina Vargas (Università degli Studi di Torino)

La morte “innaturale”: il ruolo della famiglia di fronte al lutto

L’intervento proposto affronterà il ruolo della famiglia di fronte al lutto e le trasformazioni nei legamifamiliari e nella rete relazionale dei superstiti che conseguono all’esperienza luttuosa. Il tema verràaffrontato a partire dai risultati di due progetti di ricerca da me condotti, incentrati sul lutto nell’Italiacontemporanea (nello specifico “Il lutto oncologico. Una prospettiva sociale”, diretto dal ProfessorMarco Marzano dell’Università di Bergamo, e “Il lutto. Una prospettiva antropologica estorico-sociale”, coordinato dalla Fondazione A. Fabretti e diretto dalla dott.ssa Marina Sozzi.). I cambiamenti nella struttura familiare che si sono verificate nell’ultimo cinquantennio, inconcomitanza con la prima e la seconda transizione demografica, hanno inciso profondamente sulvissuto luttuoso. Il considerevole aumento dell’aspettativa di vita e la sensibile diminuzione delnumero di figli ha forti implicazioni per quanto concerne la rappresentazione della morte e il lutto. Aifenomeni di negazione della morte, più volte messi in luce dagli studiosi di tanatologia, si èlentamente affiancata l’idea di un indefinito potenziale di allungamento della vita. La morte, propria edei propri parenti più prossimi, diventa pensabile e può essere definita “naturale” solo quandoavviene ben oltre la soglia della terza età, quando ormai i novant’anni o più sono superati e il declinofisico è evidente. Al contrario la perdita di un congiunto, specialmente quando si tratta di un figlio oquando sopraggiunge prima del tempo, è definita (al di là delle concrete cause del decesso) una“morte innaturale”, ed è vissuta come un evento dirompente, che coglie il gruppo famigliaretotalmente impreparato e mette in crisi molte delle certezze su cui poggiava la quotidianità. Ilconcetto di natura e di naturalità, come in altri fenomeni che coinvolgono la struttura familiarecontemporanea, è in questo caso una costruzione culturale dinamica, in trasformazione, che trovaradice in processi storici e sociali complessi. Le esperienze e le narrazioni delle persone intervistateci permetteranno di analizzare i processi di significazione, prestando particolare attenzione allerisposte messe in atto dal gruppo familiare. Sarà inoltre possibile esplorare le aspettative, gli obblighi

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morali, i diritti, i doveri e il ruolo dei diversi membri della famiglia di fronte al lutto. Infine, siproporrà una riflessione sui cambiamenti che si presentano come conseguenza del lutto nella strutturadella rete relazionale del dolente e le trasformazioni nei presupposti, criteri e valori che prima dellaperdita orientavano le scelte della persona nel costruire dei legami affettivi e sociali.Riferimenti bibliograficiAndolfi M., D’Elia A., La perdita e le risorse della famiglia, Raffaello Cortina Editore, 2007.Michaud-Nérard F., Une révolution rituelle. Accompagner la crémation, Les éditions de l’Atelier,Paris 2012.Sozzi M., Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia, Laterza, Roma, 2009.Solinas P. G., «L’acqua strangia». Il declino della parentela nella societàcomplessa, Franco Angeli,Milano, 2004.Viazzo P. P., Remotti F., “La famiglia: uno sguardo antropologico”, in Pier Paolo Viazzo et al., Lafamiglia, Università Bocconi Editore, Milano, 2007, pp. 3-65.

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Fare il genere

Venerdì 8, ore 10.45-12.45Aula E2

Andrea Priori (Università degli Studi Roma Tre)

Mascolinità plurali: percorsi delle identità maschili tra i migranti bangladesi a Roma

Il contributo problematizza i processi di costruzione dell'identità maschile presso i migrantibangladesi a partire da un'indagine etnografica realizzata nella periferia di Roma fra il 2012 e il 2013,nel quadro del PRIN "Territori della trasformazione: migrazioni, genere ed esclusione nelle areeperiferiche".Gli studi sulle identità di genere in Bangladesh e nei contesti di emigrazione hanno spesso affermatoun'immagine di mascolinità egemone e islamizzata che non sembra lasciare spazio a stili alternativiné a forme di mediazione rispetto a un androcentrismo che si riflette negli spazi familiari come innumerosi aspetti della società e della cultura bangladese.Il contesto di nostro interesse, pur non ponendo radicalmente in discussione l'ideale culturaledell'egemonia maschile né il prestigio della pietà islamica, mostra una realtà più complessa. Da unlato l'identificazione dei migranti con un modello basato sull'ortodossia religiosa convive con stili chesi autodefiniscono "modernisti" e che, pur pagando sulla scena pubblica tributo all'ideale dominante,reclamano autonomia rispetto a "tradizioni" percepite come inventate. Dall'altro, l'emigrazionesembra poter aprire per gli uomini uno spazio liminare che, se per alcuni costituisce l'occasione disperimentare pratiche che esulano dall'ortodossia culturale, per altre persone può essere motivo diuna crisi dell'identità di genere causata dalle difficoltà del primo inserimento e dall'isolamento socialee sessuale che spesso ne deriva.La mascolinità bangladese sembra così potersi declinare su una serie di mascolinità plurali, la cuiperformazione segue delle logiche situazionali, legandosi alle dialettiche della gerarchia, e la cuicostruzione interagisce in maniera significativa con variabili quali l'orientamento religioso, laprovenienza geografica, lo jat (il rango sociale) della famiglia di origine, le ascendenze politiche e,non ultime, la traiettorie sociali realizzate attraverso l'emigrazione.Riferimenti bibliografici:Priori, A., 2010, Vita segreta delle etnie: politica e stratificazione sociale a Banglatown, «Zapruder»,n. 22, pp. 39-54.Priori, A., 2012a, Romer probashira. Reti sociali e itinerari transnazionali bangladesi a Roma, Roma,Meti Edizioni.Priori, A., 2012b, "Murghi, patron e padroni. Speculazione, esclusione sociale e differenza culturalefra i migranti bangladesi a Roma", in F. Pompeo, a cura, Paesaggi dell'esclusione. Politiche deglispazi, re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, Torino, UTET, pp. 45-56.Mandelbaum, D. G., 1988, Women's seclusion and men's honor. Sex roles in North India, Bangladeshand Pakistan, Tucson, University of Arizona Press.Feldman, S., 1998, "(Re)presenting Islam. Manipulating gender, shifting state practice and classfrustrations in Bangladesh", in P. Jeffery, A. Basu, a cura, 1998, Appropriating Gender: Women’sActivism and Politicized Religion in South Asia, London, Routledge, pp. 33-52.

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Alessandro Lutri (Università di Catania)

Spazi di negoziazione della soggettività maschile e femminile in una comunità albanesedella Sicilia sud-orientale

La letteratura sulle relazioni di genere nella società albanese ha rappresentato queste sino a tempirecenti come rigidamente sostenute da un modello etico e comportamentale della persona, libertà eresponsabilità di tipo gerarchico, fondato sul ruolo dominante del padre-marito e su quello subalternodella madre-moglie, al servizio del primo e della famiglia. Un archetipo che secondo gli studiosi avrebbe segnato sino a tempi recenti il destino di uomini edonne di nazionalità albanese, attraverso l’assunzione non coercitiva di precisi doveri morali, comequelli del mantenimento, dell’educazione, della protezione, della fedeltà, dell’onore, della lealtà edella solidarietà. Da un’indagine etnografica in corso tra i componenti una comunità migrante albanese insediatasi inquesti ultimi anni in un comune della provincia di Ragusa, Scicli, emerge quanto le relazioni digenere siano caratterizzate da una certa negoziazione di questo modello archetipico etico ecomportamentale, che si manifesta, dalla parte maschile, con la sottolineatura dell’ottemperanza aidoveri di mantenimento e protezione della moglie e della famiglia, assunti come un prolungamentodelle proprie prerogative sessuali (fecondatore, conquistatore e competitivo), che collocano ilpadre-sposo dalla parte della domanda e proprietà (l’uomo sposato come pater e dominus); e dallaparte femminile, con le spose-madri che nell’assumere su di sé i ruoli di nutrici, custodi edispensatrici d’amore materno nei confronti dei figli, esprimono allo stesso tempo il desiderio di unamaggiore indipendenza con il riconoscimento del loro diritto di accesso a un lavoro retribuito. L’obbiettivo del contributo vuole essere quello di evidenziare quali siano i concreti motivi cheanimano in maniera dinamica le reti della relazionalità di genere tra i migranti albanesi, cheall’apparenza possono apparire chiuse e estranee a dei cambiamenti e che in realtà evidenzianoquanto la soggettività femminile delle donne-madri è portatrice di concrete aspirazioni personaliverso una propria autorealizzazione, così come lo è quella di tante donne italiane. Riferimenti bibliograficiSolinas, P.G., 2011, La famiglia. Un’antropologia delle relazioni primarie, Roma, Carocci

Cecilia Pennacini (Università degli Studi di Torino)

Donne e potere nel Buganda

La costruzione dei generi nel Buganda pre-coloniale si fondava su una marcata opposizione tra ilmondo della corte, dove il genere risultava essere espressione dello status e del potere politico, equello dei bakopi (la gente comune), dove di norma era il sesso biologico e più specificamente ilruolo riproduttivo a determinare il genere della persona, seppur ammettendo significative eccezioni(Nannyonga-Tamusuza 2009). All’interno della capitale, la sorellastra ufficiale del sovrano (lubuga)e le principesse di sangue reale (bambejja) erano considerate uomini e trattate come tali; a questefigure era impedito sposarsi e procreare, mentre potevano intrecciare relazioni con bakopi di sessomaschile considerati donne. Il sopraggiungere del Cristianesimo, negli ultimi decenni del XIX secolo,scardinò gran parte di questo sistema, consentendo alle principesse di sposarsi, abolendo la massicciapoliginia d’élite praticata dal sovrano (Musisi 1991), e contrastando con forza i comportamentiomosessuali presenti all’interno come all’esterno della corte (Médard 2000). Tuttavia, la nuovaconcezione di genere imposta dai missionari non sradicò del tutto un’idea di genere prioritariamentefondata sulla posizione sociale e politica occupata da ciascuno, che riemerge in alcuni contesti

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politici e rituali dell’Uganda contemporanea. Nei santuari e nei luoghi di culto della religione delKubandwa, le medium possedute dagli spiriti rinunciano al loro potere riproduttivo conquistandosi unpotere mistico modellato su quello politico; analogamente le tombe reali sono conservate dallediscendenti della lubuga del sovrano defunto (rinominata nalinya) e dalle mogli dello spirito. Tuttequeste figure rinunciano ad alcune prerogative tipicamente femminili (il ruolo tradizionale di mogliee di madre) per esercitare un potere politico ed economico all’interno del clan e della comunità locaree raggiungere, allo stesso tempo, un’indipendenza esistenziale che il matrimonio non consente. Riferimenti bibliografici:Médard Henri, 2000, “L’homosexualité au Buganda, une acculturation peut en cacher une autre”,Hypothèse 1999, Travaux de l’Ecole Doctorale d’Histoire de l’Unversité de Paris I – PantheonSorbonne, pp. 169-174. Musisi Nyakanyke, 1991, “Elite polyginy and the Baganda State Formation: From earlier Times tothe Demise of the Kingdom in 1966”, Signs: Journal of Women in Culture and Society, n. 14, pp.757-86. Nannyonga-Tamusuza Sylvia, 2009, “Female-men, male-women, and others: constructing andnegotiatnf gender among the Baganda of Uganda”, Journal of Eastern African Studies, n.3(2), pp.367-380.

Donato Martucci (Università del Salento)

Le vergini giurate nella tradizione giuridica Albanese

All’inizio del novecento un francescano, Padre Shtjefёn Kostantin Gjeçovi, dopo un lungo lavoro diraccolta mette per iscritto, sembra per la prima volta, una serie di regole, fino ad allora tramandateoralmente, che scandivano tutti gli aspetti della vita di una regione montuosa dell’Albania del nord, laMirdita. Questa raccolta è denominata Kanun di Lek Dukagjini. Queste norme descrivono una societàbasata sui gruppi di discendenza patrilineare, in cui le donne venivano date in sposa per stringerealleanze e avevano pochi diritti e molti doveri da cui difficilmente potevano affrancarsi. L'unicomodo per sfuggire allo status imposto loro dall'essere nate donna era quello di giurare davanti a deigaranti e alla propria famiglia di rimanere per sempre vergini e quindi di rinunciare alla procreazione.Questo giuramento comportava una serie di cambiamenti nella vita e nelle relazioni della donna cheda molti studiosi sono stati fraintesi, dipingendola di volta in volta o come un antesignana dellerivendicazioni omosessuali o come una rappresentante di un terzo genere di marca albanese. Nellarelazione verrà contestualizzata questa figura, verranno spiegate le ragioni pratiche del perché dellascelta di alcune donne di rimanere vergini e si cercherà di rendere conto di come i montanari del norddell'Albania del secolo scorso considerassero queste donne.Riferimenti bibliografici:Martucci D., A je burrë? Elementi di una rappresentazione, in “Archivio di Etnografia”, n. 1, 2007,pp. 43-55.Il Kanun di Lek Dukagjini. Le basi morali e giuridiche della società albanese, a cura e conun’introduzione di Donato Martucci, Besa Editrice, Nardò 2009.Martucci D., I Kanun delle montagne albanesi. Fonti, fondamenti e mutazioni del diritto tradizionalealbanese, Edizioni di Pagina, Bari, 2010.Martucci D., L'albero del latte. La donna nel diritto consuetudinario albanese, in “Quaderni Lupiensidi Storia e Diritto”, n. 2, 2012, pp. 181-206.Martucci D., Die Gewohnheitsrechte der albanischen Berge: Die Kanune. Mit einem unediertenManuskript über den Kanun der Mirdita, Verlag Dr. Kovač, Hamburg, 2013.

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Venerdì 8 ore 14.15-16.15Aula E2

Maria Carolina Vesce (Università degli Studi di Messina)

Altri transiti. Modelli di genere, pratiche del corpo e rappresentazioni del sé di femminelle etransessuali

Il termine femminiello (o femminella) si riferisce ad un soggetto sociale che, nell'universo simbolicoche caratterizza il contesto napoletano, sfugge alla definizione dicotomica dei sessi e assume lavalenza di una sorta di terzo genere, in cui i caratteri del maschile e del femminile si uniscono aformare un'identità differente. Individuo biologicamente maschio che realizza la propria personalitànell'assunzione di ruoli, comportamenti e atteggiamenti propri del genere opposto, la figura delfemminiello ha vissuto, a partire dalla seconda metà del XX secolo, un processo di lenta edinesorabile trasformazione. L'introduzione delle chirurgie estetiche, la diffusione dei trattamenti ormonali, le battaglie per ilriconoscimento dell'identità transessuale, l’approvazione della legge 164/1982, che nel nostro paeseregola le “Norme in materia di rettificazione di attribuzione del sesso”, la creazione di associazioni emovimenti per la difesa dei diritti delle persone transessuali e transgender hanno profondamenteinciso sulle pratiche, sulle rappresentazioni e sulla percezione del sé delle femminelle napoletane.Non più costrette in un tragico corpo maschile che intrappola una sensibilità femminile, quelle che–fino ancora a pochi anni fa- si sarebbero dette femminelle si identificano ,oggi, con esperienze ditutt'altro genere.Il percorso che propongo si interroga sulle dinamiche e sui processi che caratterizzavano laperformance di genere dei femminielli e, a partire dalle testimonianze etnografiche raccolte durantela ricerca di campo, propone una comparazione con l'esperienza transessuale. Se il modello sessuale eteronormativo, fondato sulla dicotomia attivo/passivo, trovava conferma nelmodello di sovversione del genere performato dal femminiello, l'orizzonte di senso in cui si collocal'esperienza trans non si limita a riproporre e riprodurre la norma eterosessuale, ma arriva a conferirenuova legittimazione alla (bio)logica del sesso. Riferimenti bibliografici: ARFINI, E.A.G. Scrivere il sesso. Retoriche e narrative della transessualità, Roma, Meltemi, 2007.DE BLASIO, A., Usi e costumi dei camorristi, Napoli, Forni, 2010 (ed. or., 1897).MARCASCIANO P., Favolose narranti. Storie di transessuali, Roma, Manifestolibri, 2008.VALERIO, P., ZITO, E., Corpi sull'uscio, identità possibili. Il fenomeno dei femminielli a Napoli,Filema, Napoli, 2010.VESCE, M.C., Corpi che cambiano. Una ricerca etnografica sulle femminelle napoletane, in GRILLIS., Per-formare Corpi, Milano, Unicopli, in corso di strampa.

Flavia Cuturi (Università di Napoli "L'Orientale")

Matrifocalità, poliginia e machismo in Colombia: opinioni di donne e uomini afrodiscendentia confronto

Nella odierna vita associativa delle donne afrocolombiane, è comune che i discorsi riguardino lafamiglia, il comportamento degli uomini, mariti o compagni, dai quali emergono storie di soprusi e

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tradimenti, ma anche di riscatto e di lotta. Analogamente gli uomini ingaggiano schermagliediscorsive tra loro e con le donne, rivelando una forte tensione con il mondo femminile. I contrasti divedute esistenziali tra donne e uomini sono molto profonde tanto più se messe a confronto con leinterpretazioni che la letteratura socio-antropologica (da Friedmann 1993, Arocha 1986, Restrepo2005 a Camacho 2004 e Lozano 2008) ha dato dell'organizzazione sociale degli afrocolombiani. Loscopo di questo intervento (frutto di ricerche ancora in corso a Guapi, Tumaco, Palenque de S.Basilio, Quibdó, Cali) è far emergere le posizioni delle donne, sia anticonvenzionali, sia conformiste,verso i "modelli" che sostengono il potere maschile e ne giustificano i comportamenti checontribuiscono a plasmare i nuclei familiari. Tale contrapposizione è andata maggiormentemanifestandosi dopo il varo della "Ley 70" che ha riconosciuto agli afrodescendenti gli stessi dirittidi autonomia degli amerindiani. Tale legge ha dato il via a numerosi progetti di cooperazione, moltidei quali diretti a migliorare le condizioni di vita delle donne. I progetti hanno intercettato elementiproblematici dell'organizzazione sociale: matrifocalità, presenza instabile degli uomini nel nucleofamiliare, poliginia, violenza, assenza delle donne nell'agone politico. Dai discorsi delle donneemergono forme di orgoglio femminile e acute riflessioni sulla mobilità maschile, la poliginia emachismo, come anche giustificazioni di essi in termini identitari. Nei discorsi degli uomini questaconsapevolezza identitaria si traduce in un'esaltazione della mascolinità e della poliginia"giustificata" in termini di "fedeltà" ai costumi "ancestrali". In base a queste contrapposizioni, comesi modificheranno le relazioni di genere e le forme di aggregazione familiare? La distanza tra i generisi acuirà? Proverò a dare delle risposte a questi quesiti.Riferimenti bibliografici:Arocha Jaime, 1986, “Concheras, manglares y organización familiar en Tumaco”, Cuadernos deAntropología (7), Universidad Nacional de Colombia, Bogotá.Camacho Segura, Juana, 2004, “Silencios elocuentes, voces emergentes: reseña bibliográfica de losestudios sobre la mujer afrocolombiana” en Pardo M., Mosquera C., Ramírez M.C. (eds.) Panorámicaafrocolombiana. Estudios sociales en el Pacífico, ICANH, Bogotá, p. 167-210Friedman Nina, 1993, La saga del negro. Presencia africana en Colombia, Universidad Javeriana,Bogotá.Lozano Lerma, Betty R., 2008, “Mujeres negras (sirvientas, putas, matronas): una aproximación a lamujer negra de Colombia”, Universidad del Pácifico, Buenaventura, pp. 1-19.Restrepo Eduardo, 2005, Políticas de la teoría y dilemas en los estudios de las colombias negras,Editorial Universidad del Cauca.

Irene Capelli (Università di Torino)

Economie morali e materiali della maternità extra-matrimoniale in Marocco. Immaginari digenere e relazioni sociali in mutamento

In Marocco, la necessità di sostenere economicamente la propria famiglia dà luogo a forme diverse dimigrazione interna di giovani donne. Questi itinerari riconfigurano le relazioni famigliari egenerazionali, indipendentemente dallo statuto matrimoniale o da legami ‘informali’ con partnermaschili. Le aspettative sociali verso il lavoro e il supporto finanziario – realizzato, aspirato omancato – gettano luce sulle ambivalenze legate a queste forme di mobilità ‘autonoma’ di giovanidonne, che, insieme alla dimensione economica della loro lontananza, ne ridisegnanosimultaneamente i ‘confini morali’.Nei casi che discuterò, partenze e migrazioni ‘multiple’ si sovrappongono alla maternità, che,collocandosi al di fuori del matrimonio – l’unica cornice ad ammetterla formalmente – impone nuovi‘accomodamenti’ sociali e famigliari. Non sempre questa condizione si traduce in ‘rotture’ definitivedelle relazioni famigliari, quanto in mutamenti, compromessi o ulteriori ‘investimenti’ sul lavorodelle ragazze, che, a loro volta, vi basano la potenziale legittimità sociale di ‘madri nubili’. Le

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traiettorie di queste giovani donne rinviano a processi di costruzione di sé che, se si discostano dallenorme sessuali, di genere e dai locali ‘paradigmi di maternità’ (Browner, Sargent, 1996), li mettonoanche apertamente in discussione, per poi – talvolta – riaffermarli alla luce di ideali di ‘rispettabilità’precedentemente sovvertiti. Emblematiche, in questo senso, sono le ridefinizioni degli immaginari dicoppia, intimità, amore – in relazione ai ‘padri biologici’ dei loro figli o ad altri partner.Questo contributo esplora, inoltre, le inedite modalità attraverso cui la stessa categoria – a sua voltanormativa – di ‘mère célibataire’, prodotta in campo non-governativo, viene allo stesso tempo fattapropria nelle strategie di accesso ai diversi dispositivi di presa in carico e di assistenza socio-sanitariarivolti esplicitamente alle ‘ragazze madri’ e ai loro figli. Nell’analizzare criticamente misure che lirappresentano – in quanto tali – come ‘vulnerabili’ o ‘a rischio’, ci si interroga, quindi, sulle poste ingioco politiche della dell’emergere di ‘beneficiari’ temporanei, piuttosto che del riconoscimentosociale di soggetti titolari di diritti.

Lia Viola (Università degli Studi di Torino)

Performatività di genere e comportamento sessuale tra gli uomini gay del Kenya

Analizzando i dati di una ricerca svolta in una piccola città del Sud Africa, Graeme Reid nota come lecoppie omosessuali maschili tendano a conformarsi secondo stereotipi di genere in cui uno dei duesoggetti della coppia svolge il ruolo maschile e l'altro quello femminile. La caratteristicaperformativa del genere (Butler 2005) risulta, in questo caso, talmente pervasiva da far sì che anchela società riconosca i due soggetti della coppia come di genere opposto (Reid 2007).Similmente Nkunzi Zandile Nkabinde nota come tra gli uomini gay di Soweto vi sia lastessaattribuzione di genere fondata sul comportamento sessuale. Anche qui l'uomo “mascolino” vienecomunemente considerato eterosessuale (Nkunzi Zandile Nkabinde 2008: 125, 126).Durante la mia ricerca sul campo in Kenya ho riscontrato, tra gli uomini omosessuali, meccanismi dicostruzione del genere molto simili. I termini swahili usati per nominare la diversità di orientamentosessuale sono già abbastanza esplicativi di questi meccanismi performativi: -shoga (ma-) indical'uomo sessualmente passivo con attitudini più femminili, -basha (-) indica il partner attivo emascolino.I mashoga amano usare il termine mwanamke/wanawake (donna/donne) per descriversi e l'ossessioneper la performance sessuale permea tutti i discorsi quotidiani.Un caro amico gay usava più volte la metafora sessuale per spiegarmi la sua identificazione digenere: «sono molto maschile, non potrei permettere a nessuno di toccare il mio sedere» continuava adire, identificando così la sua appartenenza di genere a partire dal ruolo svolto nel rapporto sessuale.Sembrerebbe dunque che tra gli uomini gay del Kenya si presentino meccanismi simili a quelliriscontrati in Sud Africa: la costruzione del genere, bel lungi dall'essere un fatto biologico, risiede nelcomportamento sessuale.Riferimenti bibliografici:Blackwood Evelyn 2008: Transational Discourses and Circuits of Queer Knowledge in Indonesia inGLQ: A Journal of Lesbian and Gay Studies, Vol. 14, Number 4, pp- 481 - 507Butler Judith 2005: Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Milano, Sansoni (1990:GenderTrouble: Feminism and the Subversion of Identity, New York, Routledge).Nkabine Nkunzi Zandile 2008: Black Bull, Ancestor and me. My life as a lesbian sangoma,Auckland Park, South Africa, Jacana Media (Pty) Ltd.Reid Graeme 2007: How to be a “real” gay. Emerging gay spaces in small-town South Africa, SouthAfrica, Famlteit der Maatschappj-en GedragswetenschappenViola Lia 2013: Al di là del genere. Plasmare i corpi nel Sud Africa urbano, Milano-Udine, Mimesis

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Omosessualità, omogenitorialità, omofobia

Venerdì 8, ore 10.45-12.45Aula D2

Cafuri Roberta

Afrocentrismo e omofobia: dall’oblio del passato alla discriminazione negli stati africani

L'intervento si interroga sulle resistenze interne al continente africano nei confronti delle unioni trapersone dello stesso sesso. L'emergere più recente di nuovi soggetti sociali, con le loro rivendicazionianche del diritto a ridefinire la propria identità sessuale, ha spinto gli antropologi a rivedere lestrutture di pensiero proprie, che nel passato hanno informato le etnografie e che sono stati all'originedi definizioni e pratiche discriminatorie. Dall'invisibilità degli omosessuali sino agli anni Settanta delNovecento, quando gli antropologi sociali ‘riscoprono' le relazioni maschili, emergono silenzi ecensure sia nello sguardo dei ricercatori, sia nelle risposte o proclami degli Africani, come quello piùrecente di Mugabe sull'estraneità dell'omosessualità al continente, poiché sarebbe stata importatadagli stranieri. Riconsiderando le relazioni coloniali e le etnografie europee e statunitensi dagli anniVenti agli anni Cinquanta, emergono elementi utili per comprendere incertezze e confusioni nell'usodi categorie di omosessualità, bisessualità ed eterosessualità in Africa subsahariana. L'analisiriflessiva ha il suo contrappunto nella critica di alcuni artisti e artiste africane/i contemporanei, comeManuel Fosso, Bulelwa Madekurozwa e Zanele Muholi, che hanno fatto dell'omosessualità maschilee femminile il nucleo centrale della loro arte, sfidando pregiudizi presenti sia nello sguardodell'osservatore sia all'interno delle correnti artistiche del continente.

Claudia Pandolfo (Università degli Studi di Milano Bicocca)

Il matrimonio tra donne in Africa sub sahariana

Sebbene spesso etichettato come fenomeno bizzarro in cui le donne prendono il posto in modo“imperfetto” degli uomini, attraverso i casi etnografici di Nne Uko (McCall, 1996) e delle Sangomasudafricane (Morgan & Ried, 2003), vedremo come il matrimonio tra donne in Africa si configuricome uno strumento culturale “ecologico” che permette la gestione di alcune forme di marginalitàlegate alla riproduzione e alla sessualità e, sfidando i ruoli familiari e i modelli di riproduzionebiologica e culturale così come sono correntemente intesi, rende possibili modelli familiari egenitoriali inusuali nelle società occidentali. Fondato su un meccanismo di posizionalità che consenteagli individui di occupare posizioni fisse sulla base della propria capacità di negoziarne e soddisfarnei requisiti di accesso, il matrimonio tra donne permette di ripensare il rapporto tra antropopoiesi egenere e di riconsiderare strumenti euristici e presupposti epistemologici spesso sentiti come naturali,tra cui le dicotomie maschio-femmina e natura-cultura.Riferimenti bibliografici:Arnfred, S. (2004). Re-thinking Sexualities in Africa. (S. Arnfred, Ed.) Uppsala, Sweden: The NordicAfrica Institute.Greene, B. (1998). The Institution of Woman-Marriage in Africa: a Cross-Cultural Analysis.Ethnology , 37 (4), 395-412.

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McCall, J. C. (1996). Portrait of a Brave Woman. American Anthropologist , 98 (1), 127-136.Morgan, R., & Reid, G. (2003). "I've got two men and one woman": ancestors, sexuality and identityamong same-sex identified women traditional healers in South Africa. Culture, Health & Sexuality ,5 (5), 375-391.Njambi, W. N., & O'Brien, W. E. (2000). Revisiting "Woman-Woman Marriage": Notes on GikuyuWomen. NWSA Journal , 12 (1), 1-23.

Rosa Parisi (Università di Foggia)

Frontiere mobili del cambiamento. Famiglie omogenitoriali in Italia

La realtà contemporanea oltre alla pluralità dei modelli familiari si caratterizza per la velocità con cuii principi ritenuti alla base della famiglia (residenza, filiazione, condivisione di sostanze comuni,bi-genitorialità, principio eterosessuale) vengono trasformati, superati e messi in questione, inun’incessante opera di spostamento della frontiera della pensabilità, desiderabilità, giuridicità ericonoscibilità delle relazioni primarie in un modello coerente e coeso del “vivere assieme”. L’intervento propone una riflessione sulle famiglie omogenitoriali in Italia a partire dai primi dati diuna ricerca iniziata nel 2011. In una prima parte verranno analizzati i temi più rilevanti emersidall’etnografia, in particolare quelli connessi alla costruzione della genitorialità omosessuale e allaproduzione delle relazioni parentali a partire da una coppia omosessuale. Mi soffermerò su ciò chepossiamo definire “narrazione delle origini”, la concettualizzazione della filiazione omoparentale,che, come afferma Anne Cadoret (2008), trova lo spazio per la sua pensabilità e il suo riconoscimentoculturale e giuridico a partire dalla caduta della “finzione biologica” della filiazione e il suopassaggio alla dimensione sociale. Nella seconda parte approfondirò due aspetti teorici rilevanti nel dibattito nella parentelaomosessuale che attengono, il primo al principio eterosessuale, colto nel suo slittamento da principiopratico entro cui si radica la procreazione a dispositivo culturale, etico, sociale e giuridico (almeno inItalia) di costruzione della parentela, nonché espressione simbolica di una società gerarchizzata edeterosessista; il secondo aspetto è relativo all’intreccio fra il livello legale e il livello pratico, affettivoed emotivo nella costruzione e nel riconoscimento delle relazioni omoparentali. Riferimenti bibliografici:Cadoret A. (2008), Genitori come gli altri. Omosessualità e genitorialità, Feltrinelli, Milano.Katz J. N. (1995), The invention of etherosexuality, Chicago University Press, Chicago. Paris. R., (2013), Eterosessualità in briciole. Le famiglie omogenitoriali e la fabbrica della parentela,in Corbisiero F. (a cura di), Comunità omosessuali. Le scienze sociali sulla popolazione LGBT,Milano, Franco Angeli.

Simonetta Grilli (Università degli Studi di Siena)

Altre famiglie. Famiglie e parentele omogenitoriali in Italia

L'omogenitorialità, nonostante l'invisibilità istituzionale in cui è ancora relegata, soprattutto in Italia,interpreta in modo paradigmatico alcune delle trasformazioni che investono nel loro complesso isistemi familiari e parentali delle società contemporanee. La si può assumere come un“evidenziatore” di tendenze più ampie che richiamano il primato della dimensione affettiva e dellascelta individuale nella formazione delle famiglie e delle parentele, implicano l'affermarsi di nuovemodalità di “costruzione” del legame di filiazione, a partire dalla dissociazione fra sessualità eprocreazione, e quella fra riproduzione biologica e riproduzione sociale, dissociazione incentivatadalle tecnologie della procreazione medicalmente assistita.

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L'intervento presenta i risultati di una ricerca tuttora in corso di svolgimento con le famiglieomogenitoriali italiane che fanno capo all'Associazione Famiglie Arcobaleno, che dal 2005 riuniscegenitori e aspiranti genitori omosessuali (gay e lesbiche) e che al momento conta circa 300 famiglie. Partendo dall'analisi dei differenti percorsi che i genitori omosessuali (coppie o single gay o lesbiche)hanno seguito per dare vita alla propria filiazione (da unione eterosessuale interrotta con successivaricomposizione in coppia omosessuale, da co-genitorialità, tramite il ricorso alle tecniche dellaprocreazione medicalmente assistita) si individuano in primo luogo le principali formule familiaricorrispondenti. Queste ci offrono l'opportunità per riflettere sul significato della filiazione nelladefinizione dell'identità individuale e di coppia, sul rapporto fra orientameno sessuale, modelli digenere e riproduzione, sull'impatto che le tecnologiche e i saperi medici hanno nella ridefinizione deilegami di parentela, sulla riconsiderazione della complementarietà dei sessi e dei generi nella vitafamiliare. Una particolare attenzione viene riservata da un lato alle pratiche della multigenitorialità,sia nei contesti di di ricomposizione che di co-genitorialità, dall'altro alle relazioni con donatori,donatrici, gestanti (nel caso di coppie che hanno fatto ricorso a inseminazioni e alla cosiddettagestazione per altri) che da attori anonimi della procreazione risultano via via investiti di un ruolo(statuto) e di una visibilità più ampia come dimostra un recente dibattito che si è svolto dentrol'Associazione Famiglie Arcobaleno.

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Ricomposizioni famigliari, memoria, trasmissione disaperi

Venerdì 8, ore 10.45-12.45Aula C1

Claudia Guendalina Sias (Università degli Studi di Cagliari)

Famiglie dislocate e identità relazionali tra Sardegna rurale e Albania settentrionale

Obiettivo dell’intervento è analizzare il nodo che lega migrazione e ruralità nello specifico caso degliitinerari dall’Albania alla Sardegna. I percorsi che sono stati individuati e che saranno presentati neprivilegiano il carattere familiare, interpretando il migrante come la parte mobile di un nucleofamiliare dislocato. Il considerare il nucleo familiare come specifico oggetto di attenzione ha consentito di prendere inesame, con una metodologia di ricerca multisituata, l’insieme degli spostamenti e delle migrazioniinterne che lo hanno caratterizzato sino all’esito della partenza all’estero di uno o più dei suoimembri. Nel corso dell’intervento ci si concentrerà principalmente sul caso di due famiglie emigrate dal norddell’Albania ad una zona interna della Sardegna, il cui percorso è curiosamente segnato daun’analogia tra il nome della regione di origine, Malësi e Madhe (Montagna Grande), e quello dellaregione di approdo, Monte Acuto. I nomi di queste zone montane segnano una parabola di similarità,ripresa anche nelle narrazioni di migranti e datori di lavoro sardi i quali, nella descrizione reciproca,giocano con i registri della somiglianza e della differenza. Si presenterà il contesto di emigrazione e quello del ritorno estivo, quando le due famiglie di origine,residenti ora a Scutari, la città più grande dell’Albania settentrionale, vedono ricomporsi il nucleofamiliare. Nel mese di agosto i familiari lontani convergono nuovamente nelle case dei genitoridando vita ad una straordinaria concentrazione di persone e attività sotto lo stesso tetto,concentrazione che fa sì che i quartieri delle città e dei paesi albanesi si ripopolino e la vita socialepresenti un’intensità assente nel resto dell’anno. Seguendo il ritorno dei componenti mobili delnucleo familiare migrante, si esaminerà come i periodici incontri vadano a modificareprofondamente, sebbene per un lasso di tempo molto circoscritto, il tessuto sociale di origine.Riferimenti bibliografici:Fuga A., 2000, Identités périphériques en Albanie. La recomposition du milieu rural et les nouveauxtypes de rationalité politique, Paris, L’Harmattan. King R., Mai N., 2009, Out of Albania. From crisis migration to social inclusion in Italy, New York -Oxford, Berghahn Books.OIM, Melchionda U. (a cura di), 2003, Gli albanesi in Italia. Inserimento lavorativo e sociale,Milano, Franco Angeli.Sias C. G., “Altre variazioni stagionali. Immigrati dall’Albania nella Sardegna rurale”, in Bachis F.,Pusceddu A. M. (a cura di), Storie di questo mondo: percorsi di etnografia delle migrazioni, CISU,Roma, in corso di pubblicazione.Sias C. G., 2008, “Dalla parte di chi aspetta. Famiglia dislocata e contesto di origine in un comuneortodosso dell’Albania centrale”, Cooperazione Mediterranea - Minoranze nel Mediterraneo. Unostudio multidisciplinare, n. 6 pp. 167-178.

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Elena Giusti (Università degli Studi di Torino)

Storie di famiglia: la doppia migrazione italo-rumena

In Romania sono attualmente presenti alcune migliaia di rumeni di origine italiana. La ricerca,avviata nell'estate del 2011, ha interessato in particolare la comunità italofona di Greci. Qui vivonomigranti nella quasi totalità provenienti da Friuli, Trentino, Veneto, giunti nella seconda metà dell'800 quando la Romania acquisisce la regione costiera della Dobrugia. Si è trattato di una migrazionedai numeri ridotti, per certi versi atipica, con un trasferimento da area povera ad altra non ricca, soloper contingenza storica attraversata da un periodo di espansione economica; migrazione di braccia edi saperi professionali. I nipoti e i pronipoti di quei migranti sono tornati in Italia e hanno sceltoquale approdo il Piemonte. Come quasi sempre avviene, il rischio di una perdita identitaria, fra chivive oggi in Romania, ha segnato anche in questo caso la nascita di un’ embrionale politica dipatrimonializzazione, allo stato attuale agita attraverso l'intensificarsi della presenza attiva entroorganizzazioni culturali (di discutibile segno politico) a sostegno degli emigrati italiani. Coloro chevivono attualmente in Italia partecipano del transnazionalismo per quanto riguarda gli spostamentifrequenti e temporanei fra i due paesi di parenti e congiunti, affidano le relazioni amicali all’uso delweb, ma non paiono soffrire di alcuna sindrome di “sradicamento”, velatamente presente nel raccontodei loro genitori nati in Romania. Nel volgere di due generazioni l’autorappresentazione ci pone difronte a un atteggiamento cosmopolita (Hannerz 2001) che ha sostituito il senso di appartenenza adue differenti realtà (Glick-Schiller et Al., 1995). Riferimenti bibliograficiM. E. Giusti, S. Lelli, A. Pieroni, “Semo 'taliani, parlemo talian”. Emigrate italiane di terzagenerazione in Romania, Antropologiche, Firenze (DVD), 2012C. Iordachi, Citizenship, Nation and State-Building: The Integration of Northern Dobrogea intoRomania, 1878-1913, The Carl Beck Papers in Russian & East European Studies, 2002 A. Pieroni, Cassandra L. Quave, M.E.Giusti, N. Papp, “We are Italians!”. The Hibrid Etnobotany of aVenetian Diaspora in Eastern Romania, Human Ecology (2012) 40: 435-451G. Vignoli, Gli italiani dimenticati: minoranze italiane in Europa. Saggi e interventi, Milano, Giuffrè,2000

Margherita Di Salvo (Università di Basilicata)

Migrazioni, famiglie, generazioni: la trasmissione della lingua in alcune comunità italianed’Inghilterra

Spazio di continuità o spazio di rottura, le famiglie migranti si configurano come il luogo decisivo incui si gioca la partita per il mantenimento e la trasmissione dei valori della società di partenza el’acquisizione di quelli proposti dalla società ospite (Mocciaro – Paternostro – Pinello 2012, Di Salvoin stampa): il risultato di tale partita è spesso costituito da quelle tensioni intergenerazionali che labibliografia antropologica ha evidenziato (Luykx 2005). La frattura linguistica e culturale tramigranti di generazioni diverse ha imponenti risvolti sul piano dell’identità e condiziona le dinamichedi integrazione nel Paese di arrivo: dunque, se studiato a partire da singole realtà familiari, il processodi cambio linguistico assume valenze identitarie che consentono di ricostruire i percorsi identitari deimigranti e fornire una lettura alternativa alle dinamiche intergenerazionali.In questo contributo, la nostra attenzione è rivolta alla trasmissione della lingua, considerata nella suaduplice veste di strumento per la comunicazione intergenerazionale e come simbolo identitario.

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Il contesto della ricerca è rappresentato dalle comunità italiane di Bedford, Cambridge ePeterborough (Inghilterra), in la sottoscritta ha svolto prolungate osservazioni partecipanti e raccoltooltre 120 interviste con migranti di I e II generazione (cfr. Di Salvo 2012). Nel presente studio, sono stati analizzati i valori simboli associatici alle lingue che compongono ilrepertorio linguistico dei migranti (italiano, dialetto e inglese), le loro ideologie linguistiche el’influenza di queste nelle dinamiche intra-familiari e intergenerazionali. Si mostrerà come, da unlato, la mancata condivisione di una lingua comune è vissuta dai genitori come simbolo della perditadel loro ruolo di agenti primari nella socializzazione e acculturazione dei figli e come, dall'altro,questi ultimi finiscono con il percepire una rottura incolmabile rispetto ai genitori. Riferimenti bibliografici:Di Salvo M. (in stampa). Rotture e continuità in alcune famiglie italiane in Inghilterra, inMultilinguismo in contesto migratorio. Metodologie e progetti di ricerca sulle dinamiche linguistichedegli italiani all’estero, a cura di Rosanna Sornicola, Paola Moreno e Margherita Di Salvo, Aracne:Roma, in stampa.Di Salvo M. (2012). “Le mani parlavano inglese”: percorsi linguistici e culturali tra gli italianid’Inghilterra. Roma: Il Calamo.Luykx A. (2005). Children as Socializing Agents: Family Language Policy in Situations ofLanguage. In Cohen J., McAlister K. T., Rolstad K., MacSwan J. (a cura di), Proceedings of the 4thInternational Symposium on Bilingualism, Somerville, MA: Cascadilla Press, pp.1407-1414.Mocciaro E., Paternostro G., Pinello V. (2012): Quale italiano per quali parlanti? Processi ditrasmissione linguistica familiare nella Sicilia contemporanea fra usi predicati e usi praticati. InTelmon T., Raimondi G., Revelli L., a cura di, Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e postunitaria.Atti del XLV Congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana Aosta/Bard/Torino, 26-28settembre 2011, pp. 579-592.

Cesare Pitto e Loredana Farina (Università della Calabria)

Famiglia, educazione e scuola in situazione di insularità: aspetto triadico di una antinomiasocio-culturale. Esperienze sul terreno

L’insularità è questione che implicitamente e in maniera dichiarata, come di recente è emerso indiversi ambienti di ricerca, è diventata configurazione d’interesse precipuo della ricercaetno-antropologica (Cfr. Gabriella Mondardini e Alessandro Simonicca).In questi termini, infatti, le realtà isolane si propongono all’attenzione dell’elaborazione operativa,come luoghi dove è possibile interpretare le dinamiche degli incontri fra identità che si situano nellacomplessità socio-culturale, in collettività di piccola scala. Il riferimento esplicito è alle ricerche che hanno investito sul piano della sua continuità l’itinerariooperativo nel paesaggio sociale delle realtà insulari, con particolare attenzione alle profonde e,talvolta, devastanti trasformazioni del tessuto sociale, economico e culturale, secondo un archetiposemiologico proprio dell’estesa produzione scientifica di Clifford Geertz (Oltre i fatti).In questo contesto si propone l’interpretazione dell’emergere di specificità delle condizionisocio-culturali, delle relazioni tra famiglia e scuola, come risultato emergente dei processi dicambiamento determinati dalle metamorfosi del conteso socio-culturale, sottoposto alle spintedisgregatrici dell’emigrazione e delle pratiche del turismo.Nelle realtà di Stromboli e di Ustica, abbiamo osservato, infatti, che l’antinomia famiglia/scuola si èandata regolarmente svincolandosi dal più vasto processo educativo, come emerge dagli scritti diLuigi Salvatore d’Austria, per Stromboli, o dall’esperienza di Antonio Gramsci durante il confino adUstica. L’educazione, con tutte le carenze registrabili, diventa la devastante testimonianza del declinosociale e culturale di queste comunità, condannate a subire una “condizione” di dipendenza dallecorrenti economiche, che subordinano queste collettività.

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Le fasi della ricerca insulare della cattedra di antropologia culturale dell’Università della Calabria sisono sviluppate in un itinerario che va dalla preindagine conoscitiva alla ricerca di interesseinternazionale, con produzioni documentaristiche.La comparazione con gli studi di settore che in questi anni hanno indagato le particolarità insulari, hapermesso alla ricerca sul terreno condotta dalla cattedra di sviluppare uno specifico interesse su dueaspetti preminenti delle strutture educative: la famiglia, nei suoi aspetti di relazione con i più giovani,e la scuola, tanto negli aspetti istituzionali quanto in quelli di proposta educativa.Le interpretazioni dei dati raccolti negli anni, infatti, hanno fatto ritenere interessante l’ulterioresviluppo del progetto attraverso la verifica delle situazioni educative insulari: in una prima fase, si èproceduto ad un intervento nella relazione, anche conflittuale, con l’istituzione scolastica; in unaseconda fase è stata promossa una convenzione con gli enti e le istituzioni educative territoriali(Istituto Comprensivo Isole Salina, Consiglio di Delegazione di Stromboli, Comune di Ustica, ecc.);nella terza, invece, in corso di svolgimento, si sta concretizzando un rapporto con le associazionieducative locali, ad esempio, con “La scuola in mezzo al mare”, a Stromboli, per la realizzazione diun laboratorio creativo permanente che operi fuori della scuola, ma in relazione con essa.Da questo processo articolato di itinerario antropologico è scaturita l’indicazione operativa per unhandbook sulle esperienze maturate e sui risultati, in termini di concreta affermazione nelleesperienze educative, come è stato registrato da Massimo Squillacciotti, con il Laboratorio diDidattica e Antropologia dell’Università di Siena, per altre situazioni laboratoriali.

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Dalla nascita alla morte. Prendersi cura del corpo incontesti famigliari

Venerdì 8, ore 14.15-16.15Aula C1

Miriam Castaldo (UOS di Salute Mentale dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), Roma).

Vincoli di latte e genitorialità migranti latinoamericane

L'allattamento durante i primi 6 mesi post-partum ha benefici nutrizionali,immunologici e psicologici sul bambino e sulla relazione con la madre, tuttavia inalcuni contesti è infrequente (Guerrero et al., 1999, Rapid ethnographicassessment of breastfeeding practices in periurban Mexico City; Street et al.,2013, The Influence of Culture on Breast-Feeding Decisions by African Americanand White Women). Infatti, numerosi studi (Castaldo, 2004, Susto o espanto. Entorno a la complejidad del fenómeno; Lewando Hundt et al., 1993, Interfacinganthropology and epidemiology: the Bedouin Arab infant feeding study; Mull,Mother's milk and pseudoscientific breastmilk testing in Pakistan; Skeel et al.,1988, Mexican cultural beliefs and breastfeeding:a model for assessment andintervention) hanno dimostrato l'interruzione della pratica di allattamentodovuta soprattutto a specifici fattori riconducibili al sistema socio-culturale estorico di riferimento.Intorno alla pratica dell'allattamento- avvenuto, interrotto o rifiutato -in alcuniambiti latinoamericani, come il Messico, si costruisce il corpo e la salute deibambini prima e degli adulti poi, poiché il latte materno, in determinatecondizioni, è suscettibile di essere considerato veicolo di specifiche malattie esofferenze psico-fisiche. L'eredità di tali sofferenze si manifesta sul corpo delbambino fin dai primi mesi di vita e per evitare che tali circostanze si verifichino,le madri smettono di allattare. Se il sistema eziologico-terapeutico di riferimentoè in grado di significare tali malattie e sofferenze infantili e un latte diventato“cattivo” o “acquoso” a causa di un susto, della perdida de la sombra materna odi sentimenti come la muina, l'enojo o il coraje, in Italia nell'ambito dei codicidell'allopatia l'interruzione di tale pratica, e le sue conseguenze, non sonoriconoscibili, sono anzi snaturate attraverso la violenza epistemologica(Beneduce, 2013, Illusioni e violenza della diagnosi) della “diagnosi di incuria”.

Francesco Zanotelli e Maria Antonietta Alessandri (Università di Messina)

La cura negoziata. Parenti, badanti e operatori del servizio pubblico nelle pratiche diassistenza domiciliare agli anziani in un comune del Centro Italia

La specificità del 'dispositivo' di cura domiciliare all'anziano non autosufficiente

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in Italia (composto prevalentemente da badanti straniere, parenti, assistentidomiciliari del servizio pubblico) appare di particolare importanza nellademografia e antropologia dell'età anziana, perché in queste specifiche pratichedella cura si palesano contemporaneamente tre aspetti che in altre nazioni noncoincidono: l'accentuato invecchiamento della popolazione; la specificadimensione morale dell'obbligazione alla cura parentale intergenerazionale; unmodello politico di welfare-state 'mediterraneo' basato sulla sussidiarietà tra lostato e la parentela.Alcune delle ricerche di antropologia delle migrazioni in Italia condotte negliultimi quindici anni hanno posto l'accento sulla funzione che le lavoratricistraniere hanno nel garantire la forza e durata della triplice connessione cheabbiamo citato. Disponiamo così di una notevole mole di studi sulle 'badanti',una parziale presenza di studi antropologici sulla parentela e l'assistenza, unaquasi totale assenza di ricerche etnografiche sulla prospettiva istituzionale allacura domiciliare. Riteniamo che sia perciò importante fare un passo ulteriore,cercando di unificare le prospettive di analisi. In quest'ottica, il nostro intervento vuole dare conto di un particolare aspetto –quello dei discorsi e delle pratiche intorno alle transazioni economiche legateall'assistenza– emerso durante una più ampia ricerca sulla cura domiciliare aglianziani non-autosufficienti in un medio comune dell'Emilia Romagna. Applicateall'ambito della cura domiciliare, le logiche economiche del mercato, dellaredistribuzione e della reciprocità appaiono rimescolarsi producendo degliinteressanti corto-circuiti concettuali utili a comprendere i diversi punti di vista ele diverse aspettative dei care-givers intorno al significato di 'cura'. Leincomprensioni così come le potenziali sinergie mostrano come quellodell'assistenza domiciliare sia un ambito di negoziazione denso emultidimensionale, estremamente fertile in termini euristici così come in unaprospettiva applicativa e di impegno del ricercatore.Riferimenti bibiograficiGrilli S., Zanotelli F. (a cura di) (2010). Scelte di famiglia. Tendenze dellaparentela nell'Italia contemporanea. Pisa: ETS, p. 1-283, ISBN: 9788846729194.AM. Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, numero monografico su“Presenze internazionali. Prospettive etnografiche sulla dimensione fisico-politicadelle migrazioni in Italia”, a cura di G. Pizza e A.F. Ravenda, nn. 33-34, ottobre2012.Heady P., Grandits, H., Kohli M., Schweitzer P. (eds) (2010). Family, Kinship andState in Contemporary Europe (3 Volumes). Frankfurt: Campus Verlag.Joseph Troisi, Hans-Joachim von Kondratowitz (eds.) (2013). Ageing in theMediterranean, Bristol: Policy Press.Hochschild R. A. (2006). Per amore o per denaro. La commercializzazione dellavita intima, Bologna: Il Mulino.Vianello F. (2009). Migrando sole. Legami transnazionali tra Ucraina e Italia,Milano: Franco Angeli.

Alessandro Gusman (Università degli Studi di Torino)

Le famiglie e la fatica del caregiving. Note da una ricerca etnografica in una struttura per lecure palliative

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Basato su una ricerca iniziata a settembre 2012 presso una struttura per le curepalliative a Torino, questo paper riflette sul concetto di “cura” come emerso daicolloqui con i familiari dei pazienti incontrati in hospice.Le cure palliative, ancora relativamente poco diffuse e conosciute in Italia,modificano infatti il modo di pensare l'assistenza al malato, e si propongonocome una risposta alla sofferenza del morente, ma anche dei familiari chedevono fronteggiare la fatica (esistenziale, emotiva, fisica) dell'assistenza almalato in fase terminale.A partire almeno dal noto lavoro di Norbert Elias (1985), la condizione di“solitudine del morente” è stata analizzata dal punto di vista sia sociale, cheemozionale ed esistenziale. Meno numerosi sono gli studi che si sonoconcentrati invece sulla condizione di solitudine che si trova a vivere la famigliadurante gli ultimi mesi di vita della persona cara. Il “prendersi cura” è un'attivitàche comporta difficoltà e sofferenza fisica ed emotiva per i familiari, e dilemmimorali, come quello relativo a “dove far morire” il malato (Biehl 2012). Etuttavia, come evidenziato da Arthur Kleinman (2007), essa si trova al cuorestesso del nostro essere umani.A partire dai discorsi dei familiari raccolti durante la ricerca in hospice, e dallariflessione teorica elaborata da Kleinman e Van der Geest (2009) sul significatodella “cura” in medicina, il paper mostra in che modo l'esperienza di assistereun malato terminale modifichi le dinamiche familiari, e come nei ritualiquotidiani della medicazione vengano trasformati i modi di pensare la cura,l'esperienza morale ad essa connessa, e la vita stessa.Riferimenti bibliografici:Biehl, Joao (2012), “Care and Disregard”, in Fassin, Didier (ed.), A Companion toMoral Anthropology, John Wiley & Sons, Malden, MA: pp. 242-263Elias, Norbert (1985), La solitudine del morente, Bologna, il MulinoKleinman, Arthur (2007), Today's biomedicine and caregiving: are theyincompatible at the point of divorcing?, Leiden, Universiteit Leiden Kleinman, Arthur, and Van der Geest, Sijak (2009), “'Care' in health care:Remaking the moral world of medicine”, Medische Anthropologie 21 (1): pp.159-168

Venerdì 8, ore 16.45-18.45Aula C1

Riccardo Putti (Università degli Studi di Siena)

Quattro passi nel Post Human

Questa relazione vuole osservare le relazioni familiari sotto l'aspetto della produzione di immaginarionella contemporaneità. Questa particolare declinazione della tematica verrà focalizzata nellospecifico delle relazioni sempre più intense tra corpo e tecnologie e delle loro implicazioni nellarelazioni familiari e più in generale sociali. In particolare si assumerà come esplicativo il paradigmadel Post Human. Il temine Post Human fu impiegato in una mostra organizzata dal gallerista J. Deitchnel 1992 (FAE Musée d’Art Contemporain di Pully-Losanna 1992), ma oggi ha assunto un senso più

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generale e si delinea come denominazione di riferimento per un area di studi ( N. Katherine HaylesHow we became post human University of Chicago Press. ©1999; Nick Bostrom In defense of PostHuman dignity Bioethics Volume 19 Number 3 2005) Questo paradigma adotta un punto di vistaradicale che ipotizza un cambiamento qualitativo nelle modificazioni del corpo indotte attraverso leapplicazioni dalle due rivoluzioni scientifiche verificatesi alla metà del secolo scorso e dalle loroimplicazioni tecnologiche: la rivoluzione genetica e quella informatico/cibernetica. Dopo una rapidadefinizione del post human la relazione si concentra in particolare su alcune opere d'arte e filmcercando di riconoscere quali implicazioni esse hanno nella tessitura dell'immaginario collettivo di unprossimo futuro. L'analisi del film Gattaca (1997) del regista neozelandese Andrew M. Niccol e dellavoro dell'artista Kac, in particolare della sua opera GFPBunny/Alba (2000), forniranno l'asseprincipale di riferimento per esaminare, nella costruzione di un immaginario, la flessione operatadalle trasformazioni genetiche nel rapporto parentale e più in generale nei rapporti sociali.

Pino Schirripa (Università di Roma “La Sapienza”)

Famiglie e gestione dei farmaci in un' epoca di incertezza. Strategie globali e tattichedomestiche in Tigray

Dopo la guerra civile e la sconfitta del DERG (1991), il nuovo governo etiope hadato inizio a una politica di liberalizzazione economica. Questa ha coinvoltoanche il settore sanitario che ha visto la nascita di nuove imprese tanto nelsettore clinico che in quello della distribuzione e vendita di farmaci: oggi inEtiopia nel settore farmaceutico coesistono strutture pubbliche e private.Il presente contributo intende concentrarsi proprio sull'aspetto delladistribuzione e dell'uso dei farmaci. Il farmaco viene quindi visto come unoggetto complesso che, ad un tempo, possiede un suo valore d'uso ed un suosignificato simbolico, ma è anche un oggetto di distinzione, bourdianamenteinteso, nel variegato mercato delle terapie (Fassin).Dopo aver fornito un quadro dell’organizzazione della distribuzione dei farmaciin Tigray attraverso l’analisi delle politiche dei grossisti pubblici e privati, siillustrerà il mercato dei farmaci analizzando i differenti tipi di venditori (farmaciepubbliche e private, drug-shop e rural drug-shop), le ONG, le organizzazionicaritatevoli e il mercato informale della medicina tradizionale. I diversi attori quipresentati svolgono ognuno un peculiare ruolo all'interno del sistemadistributivo, che a volte innesca degli effetti paradossali.Infine, l'autore si concentrerà principalmente su come, a livello domestico, gliattori si muovano in questo complesso sistema per far fronte ai propri bisogni disalute. La dimensione domestica permetterà di meglio illustrare le pratichequotidiane di cura e prevenzione, fornendo allo stesso tempo un quadro dicome le famiglie si muovano in questo universo. Utilizzando i concetti distrategia e tattica nell'accezione di De Certau, si mostrerà come l'utilizzo ditattiche differenti permetta alle famiglie, soprattutto a quelle più svantaggiate,di muoversi negli interstizi per utilizzare a proprio vantaggio forme e spazidefiniti dalle politiche nazionali e transnazionali e dagli attori privati.Riferimenti bibliografici:De Certeau M., 2001, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma; ed. or.,L’invention du quotidiane, Gallimard, Paris, 1980.Fassin D., 1992, Pouvoir et maladie en Afrique. Anthropologie sociale dans labanlieue de Dakar, P.U.F., Paris.

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Keita M., 2007, A political economy of health care in Senegal, Brill,Leiden-Boston.Schirripa P., 2009, «Postfazione. Delle ricette e di altri destini. L’antropologia delfarmaco tra prescrizione, uso e esistenze», in S. Fainzang, Farmaci e società. Ilpaziente, il medico e la ricetta, Franco Angeli, Milano: 143-148.Schirripa P. (ed.), 2010, Health system, sickness and social suffering in Mekelle(Tigray-Ethiopia), Lit Verlag, Münster.

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Pratiche e strategie economiche in contesti famigliari

Venerdì 8, ore 14.15-16.15Aula F1

Davide Torsello (Università degli Studi di Bergamo)

L’etica della famiglia nelle pratiche del clientelismo: un approccio comparativo

Gli studi antropologici sul clientelismo, in diverse regioni del mondo, hanno piùvolte sottolineato come la famiglia, le pratiche e le idee generalmenteconosciute come “familismo” siano alla base sia ideologica che retorica discambi illeciti ed illegali. Da una parte il concetto di famiglia viene applicato adefinire lo spazio dei legami sociali in cui traggono origine le pratiche diclientela. Tale applicazione, in realtà, può essere reale ed effettiva quantoimmaginata ed evocativa. D’altronde, in una prospettiva antropologica non puòessere trascurato il peso dei valori inerenti allo scambio sociale tra famiglie, oall’interno di esse e dei gruppi di parentela. In questo contributo si mettono inrelazione comparata i risultati di studi etnografici e indagini quantitativecondotte in tre paesi: Italia, Ungheria e Giappone. L’obiettivo primario dellaricerca è quello di analizzare le modalità in cui la famiglia e le idee di “bene dellafamiglia” e “interesse della famiglia” sono inserite dagli attori sociali conprocessi di significazione culturale nelle pratiche del clientelismo e dellacorruzione, rendendo queste fenomeni persistenti e persino moralmenteaccettabili.Riferimenti bibliografici:D. Torsello, The New Environmentalism? Civil society and corruption in theenlarged EU, Ashgate 2012D. Torsello, Potere, legittimazione e corruzione.Introduzione all'antropologiapolitica. A. Mondadori, 2009D.Torsello, Dono, scambio e favore. Fondamenti e sviluppi dell'antropologiaeconomica. Mondadori-Le Monnier 2007.

Carlo Capello (Università degli Studi di Torino)

Famiglia, capitale sociale e migrazione interna: il caso dei tramontini

La complessità della grande migrazione interna non può che continuare asuscitare l’interesse dei ricercatori. Gli storici, in particolare, hanno in annirecenti iniziato a elaborare nuove prospettive di indagine per mettere a fuocoelementi che l’enfasi sull’inurbamento industriale aveva contribuito asottovalutare (Arru e Ramella 2003). Il mio saggio, di tagliostorico-antropologico, intende inserirsi in queste nuove linee di ricerca,soffermandosi sull’emigrazione da Tramonti, un piccolo paese in provincia diSalerno dove ho condotto indagini sulla famiglia e la parentela (Capello, 2010).All’interno delle vicende della migrazione interna, l’esodo tramontino presenta,

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infatti, caratteristiche molto interessanti: questo intenso flusso migratorio sidistingue per la forza delle catene migratorie e per non essersi diretto “verso lafabbrica”, inserendosi per lo più nel lavoro autonomo all’interno del settore dellaristorazione, delle pizzerie in particolare. Le riflessioni che vorrei proporre si legano a queste due caratteristiche. Si èspesso affermato che il problema del Sud Italia consisterebbe nel “familismoamorale” – secondo la nota definizione di Banfield; ma cosa distingue in realtà ilfamilismo meridionale da quel “capitale sociale” che rappresenterebbe la forzamotrice della cosiddetta Terza Italia? Il caso degli imprenditori emigratitramontini sembra dimostrare che la distinzione non è così netta e che lafamiglia e lo stesso “familismo” possono tradursi – a seconda del contestosocioeconomico – in una risorsa utile, per quanto non priva di contraddizioni(Ghezzi, 2007),Riferimenti bibliografici:Arru A. e F. Ramella, a cura di (2003), L’Italia delle migrazioni interne, Donzelli,Roma. Capello C. (2010), “Linee, nodi e cerchi. Forme di famiglia in un villaggiocampano”, in S. Grilli e F. Zanotelli, a cura di, Scelte di famiglia, ETS, Pisa. Ghezzi S. (2007), Etnografia storica dell’imprenditorialità in Brianza, FrancoAngeli, Milano.

Simone Ghezzi (Università di Milano Bicocca)

Famiglia e impresa: un intreccio contraddittorio

Nel riflettere sul tema delle pratiche e strategie economiche in contestifamigliari viene qui presentato un lavoro etnografico sull’impresa famigliare.Questo tipo di impresa si distingue per il legame a doppio filo con l’istituzionefamigliare e tutto ciò che concerne la sfera sociale e culturale di questa. Vi è unacontiguità non solo finanziaria, ma anche morale, normativa e cognitiva che larendono particolarmente esposta a “interferenze” extraeconomiche. É evidenteche la famiglia e l’impresa esistono per ragioni differenti; i principi che regolanole attività nel sistema famiglia sono diversi da quelli che governano le attivitàimprenditoriali d’impresa. Perciò quando i principi economici e l’economiamorale della famiglia si confrontano tra loro l’imprenditore si trova a dovergestire problematiche di natura particolare, provenienti non dal mercato, bensìdalla propria famiglia. Tale confronto segna un punto di non ritorno, a partire dalquale i nuclei familiari e l’impresa coinvolti non saranno più gli stessi di prima.La morfologia della famiglia e della parentela coinvolte in un contestoimprenditoriale può nel tempo alterare delicati equilibri e risultare incompatibilecon una organizzazione tipicamente da piccola impresa, la quale non riesce areggersi su strutture genealogiche polinucleari sia per linee discendenti direttesia per linee collaterali.Riferimenti bibliografici:Ghezzi Simone (2007) Etnografia Storica dell’imprenditorialità in Brianza.Antropologia di un’economia regionale. Franco Angeli ISBN 9788846487377,Milano.Yanagisako, S. (2002). Producing Culture and Capital. Family Firms in Italy.Princeton University Press, ISBN 0691095108, Princeton, NJ

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Famiglie transnazionali

Venerdì 8, ore 14.15-16.15Aula D2

Paola Sacchi (Università degli Studi di Torino)

La “giusta vita” e l’onore: famiglie e moralità in migrazione

A partire da un caso estremo, il collasso dell’ordine morale in una famiglia pakistana immigrata inItalia, sfociato nella violenza omicida di un padre nei confronti della propria figlia, intendo valermi disuggestioni e riflessioni offerte da varie discipline e prospettive per concentrarmi sul tema piùgenerale delle concezioni e disposizioni morali e in particolare sul modo in cui si ridefiniscono etrasformano le sensibilità morali, a livello individuale e collettivo, in relazione all’esperienza dimigrazione ma anche alle trasformazioni della società italiana. Raccogliendo stimoli etnografici cheprovengono da contesti diversi e riguardano famiglie e comunità accomunate dall’idea ricorrente chela rispettabilità sociale della famiglia – spesso espressa in termini di onore – sia affidata in specialmodo ai comportamenti virtuosi delle proprie donne, mi propongo di mostrare come per indagare latensione morale intorno al giusto modo di vivere, che si manifesta nei conflitti intergenerazionali enelle relazioni tra i generi, soprattutto rispetto agli ideali di femminilità, sia necessario collegarequesta tensione ai processi storici, sociali e politici più ampi a cui è strettamente intrecciata, su scalalocale e globale. La questione è complessa: da un lato la stigmatizzazione di comportamenti e valori da parte dellasocietà più ampia, che legittima l’esclusione sociale, può generare una radicalizzazione identitariafondata proprio sugli stereotipi più negativi, come nel caso, per esempio, delle bande di giovaniturchi a Berlino. D’altro canto il sentimento dell’onore sembra in molti casi rimanere al centro dellascena, collegato a una riconfigurazione dei valori ma anche ai meccanismi del riconoscimentosociale.

Francesco Vietti (Università di Genova)

La strada verso casa. Famiglie transnazionali tra l'Italia e l'Europa post-socialista

L’Albania e la Moldavia sono i due stati europei dove negli ultimi vent’annil’emigrazione è stata più significativa: oltre un milione di persone, circa il 25%della popolazione residente, si è trasferita all’estero. Le ricerche etnografichecompiute in entrambi i paesi ci mostrano come l’emigrazione di massa abbiainfluito in modo molto significativo sulle strutture famigliari, sulle dinamiche digenere e sui rapporti tra diverse generazioni. Trasformazioni particolarmente evidenti nelle famiglie transnazionali, i cuimembri si trovano divisi tra diversi paesi: è questo il caso ad esempio delle tantedonne moldave che si trovano in Italia per lavorare come “badanti” e cheperiodicamente tornano nei loro paesi d’origine dove continuano a vivere mariti,figli e genitori anziani. Qui, mentre le case delle migranti vengono ristrutturate

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grazie alle rimesse, anche le relazioni tra i famigliari vengono “ristrutturate”, inun complesso alternarsi di tensioni, negoziazioni, compromessi e dinamiche diemancipazione. Anche nelle famiglie albanesi immigrate in Italia i processi legati all’esperienzamigratoria sono particolarmente evidenti: giunte in una fase più “matura” diinsediamento, queste famiglie vivono il delicato passaggio della trasmissioneculturale intergenerazionale. Il passaggio tra la prima e la seconda generazioneimplica delicati percorsi di costruzione identitaria, sospesi tra forme di“mimetismo sociale” e di rivendicazione di una “albanesità” che si esplicita inoccasione dei rientri estivi. Viaggi attraverso cui i giovani italo-albanesi partonoin cerca delle proprie “radici”, costruendo una memoria e un senso per le propriebiografie famigliari. Il presente paper, basato su una pluriennale attività di ricerca multisituatacondotta tra Torino, la Moldavia e l’Albania, intende indagare le trasformazioniavvenute nelle famiglie che hanno vissuto le trasformazioni del periodopost-socialista attraverso l’esperienza della migrazione in Italia. Riferimenti bibliografici:Vietti, F., Portis, L., Ferrero, L., Pavan, A., Il paese delle badanti, SEI, Torino, 2012Vietti, F., Hotel Albania, Carocci, Roma, 2012

Cristina Bezzi (Università degli Studi di Siena)

Romanian migrating families and “transnational childhood”. Decostructing the moraldiscourse about “children left behind”

In this paper the category of “children left behind” will be critically discussed through both theliterature on transnationalism, anthropology and sociology of childhood and the ethnographicevidences I collected in two rural areas of Romania. I will argue that the official discourse aboutchildren left behind is based on concept of childhood and family that are not universal but culturallydefined. There is a discrepancy between the assumptions embedded on the category and theethnographic evidences collected, based mostly on children's perspective.Moreover, my paper will show that the discourse about children left behind in Romania, is a moraldiscourse which blames mothers of children's abandonment to hide the responsibilities of the Statethat in fact has left the families on their own. Using ethnographic evidence, I will present some casestudies highlighting how the situation of children with one or both parents leaving abroad varies.Although the emotional struggle caused by the distance is not something which can be easilyalleviated, the intensity of this affliction depends often on their family background.Moreover, the role of children within transnational families is not passive but active, not static butdynamic and often children experience different positions and roles within the family, as well asdifferent locations in space, at home and in host countries. Observing the circulatory migrationpatterns of the households of my analysis, I conclude, therefore, that it is perhaps more appropriate todefine those children transmigrants more than left behind and refer to their childhood astransnational.Nevertheless, the transnationalism of their lives, as well as their parents’ lives, it is not described hereas much as an opportunity rather as a necessity. To improve life conditions of these children, thefocus of the political agenda should therefore be based not only on children left behind, but also ontheir families who are forced to migrate in order to survive.

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Venerdì 8, ore 16.45-18.45Aula D2

Martina Giuffré (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)

La famiglia capoverdiana nella diaspora: matrifocalità transnazionale e nuove relazioni digenere

Negli ultimi anni la crescente emigrazione femminile indipendente e l’adozionedi una prospettiva di genere negli studi migratori ha portato a focalizzarel’attenzione sul ruolo della componente familiare dei flussi migratori, inparticolare, sulle cosiddette “famiglie transnazionali” e sui rapporti economici eaffettivi che si giocano tra individui dislocati territorialmente. Il caso di SantoAntão, nell’arcipelago capoverdiano, dove ho svolto la mia ricerca di campo dal2001 al 2003, è emblematico a questo riguardo. In quest’isola la migrazionefemminile indipendente ha assunto una sempre maggior importanza a partiredal 1970 ribaltando il precedente modello di emigrazione maschile. Questocambiamento non ha tuttavia destrutturato il modello matrifocale presentenell’isola ma lo ha rinforzato nello stesso tempo cambiando le suecaratteristiche. Da una parte, infatti, l’emigrazione femminile ha rafforzato lamatrifocalità in quanto i figli delle donne migranti vengono affidati ad altredonne della comunità, consolidando pratiche sociali matrifocali fortementeradicate nella società capoverdiana. Sono queste donne che ricevono egestiscono le rimesse inviate dalle migranti e che assumono il ruolo di capifamiglia locali. Dall’altra l’emigrazione femminile ha destabilizzato il poterepatriarcale portando a una crescente tensione nelle relazioni di genere e a unaloro rinegoziazione in quanto le donne, grazie al nuovo potere economico eall’accesso alla mobilità, hanno acquisito un nuovo status sociale e sonodiventate capo-famiglia a distanza in tutti i sensi, creando così un “triangolotransnazionale” femminile, in cui gli uomini vengono bypassati. Si assiste inquesto modo a uno slittamento da una matrifocalità caratterizzata da una fortedominio maschile a una nuova matrifocalità transnazionale che si basasull’indipendenza della donna e che porta a una profonda rinegoziazione siadelle relazioni di genere che di quelle intergenerazionali.Riferimenti bibliografici:Lisa Åkesson, Jørgen Carling, Heike Drotbohm (2012), “Mobility, Moralities andMotherhood: Navigating the Contingencies of Cape Verdean Lives”, in Journal ofEthnic and Migration Studies , 38 (2), pp 237-260.Heike Drotbohm (2012), The promises of co-mothering and the perils ofdetachment: a comparison of local and transnational Cape Verdean child

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fostering, in Alber E., Martin J. and Notermans C. (eds), Child Fosterage in WestAfrica: New Perspectives on Theories and Pratices, Brill.Martina Giuffrè (2007), Mulheresqueficam e mulheresquemigram: dinâmicasduma relaçãocomplexanailha de Santo Antão (Cabo Verde), in M. Grassi, I.Evora(eds), Género e Migração, ICS.Martina Giuffrè (2007), Donne di Capo Verde. Esperienze di antropologiadialogica a Ponta do Sol, CISU.Martina Giuffrè (2012), Cape Verdean Female Migration and the NewTransnational Matrifocal Families. “TlNetwork e-working papers” nº3/2012. July2012. http://www.tlnetwork.ics.ul.pt/wpseries.

Sara Settepanella (Università degli Studi di Napoli "L’Orientale")

Famiglie in transito. Genere e rapporti familiari nelle relazioni sentimentali tra uomini italianie donne romene

I rapporti familiari frutto delle relazioni tra italiani e romene sono l'oggetto di questo studio, esitodell'analisi preliminare dei risultati della ricerca di dottorato in corso sull'argomento. Questa scelta dicampo è dettata non solo dalla rilevanza quantitativa di unioni che anche a livello nazionaleavvengono per lo più tra donne straniere e uomini italiani, ma anche dalle posizioni occupate dalledonne nelle geografie di potere internazionale che determinano accessi differenziati al mercato dellavoro e al tessuto sociale di arrivo. La ricerca ha tentato di trattenere entrambi i luoghi attraversatidalle coppie, considerando per l'Italia il caso della provincia di Pescara e Teramo e per la Romania leregioni del Banato, Maramures e Moldavia. Si cercherà in primo luogo di delineare quali formeassumono queste famiglie in una dimensione transnazionale. Si considereranno le dinamiche di cura,di educazione dei figli e di circolazione di beni e risorse calandoli negli spazi geografici e sociali incui queste avvengono. Verranno analizzati i percorsi di residenzialità della nuova famiglia ma anchedi mobilità nello spazio transnazionale che si ipotizza essere continua o per meno iscritta inrappresentazioni di possibilità o capitale sociale. Inoltre si verificherà quanto il percorso migratoriodella partner femminile influenza la struttura della coppia. Come si modificano i progetti migratori inseguito allo stabilirsi della relazione. Come si organizzano i tempi del lavoro domestico edextra-domestico. Infine come i tempi stessi della relazione siano modellati sulla fragilità dellamigrante nell’ottenere tutele legali e diritti. In ultimo si cercherà di delineare quanto queste nuovefamiglie siano espressione del mutamento nei rapporti tra i generi sia in Italia che nei paesi diprovenienza delle donne. Si considereranno per questa ragione sia le ragioni che emicamente isoggetti pongono a spiegazione della scelta esogamica, sia le ridistribuzioni di compiti e praticheall’interno del ménage.

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Biografie e memorie intergenerazionali

Venerdì 8, ore 14.15-16.15Aula F5

Alice Bellagamba (Università degli Studi Milano Bicocca)

Biografie familiari e memorie della schiavitù in Africa Occidentale: un campo d’indagineaperto

Nella varietà delle sue forme e delle denominazioni antropologiche utilizzate perdescriverle, la famiglia è uno dei pilastri delle società africane del passato e delpresente e argomento centrale nella ricerca africanistica. Eppure lo studio dellefamiglie – nelle loro ramificazioni spaziali e temporali – rimane un ambito pocoesplorato, forse perché richiede di incrociare competenze storiche eantropologiche, abbandonando le lenti etniche che continuano a dominare ilpanorama degli studi, nonostante le riflessioni critiche degli ultimi vent’anni.Con il ricorso a materiali d’archivio e fonti orali, questo contributo considera ungruppo di famiglie, che traccia la propria origine da MacCarthy Island, unapiccola isola al centro del fiume Gambia (Africa Occidentale). Nei primi decennidell’Ottocento, MacCarthy Island divenne una base per l’espansione degliinteressi commerciali britannici verso l’interno della regione e rifugio per donnee uomini in fuga dalla devastazione della guerra e del commercio in schiavi sullaterraferma. Due domande guidano l’analisi: quali sono i vantaggi della biografiafamiliare come strumento per ricostruire un passato altrimenti dimenticato dischiavitù ed emancipazione? Le vicende di quest’isola e delle persone che vi sirifugiarono sono espressione di più ampi processi all’epoca in corso in altre partidell’Africa occidentale?Riferimenti bibliografici:A. Bellagamba, S. Greene, M. Klein (eds.), African Voices on Slavery and theSlave Trade. Vol 1: The Sources (Cambridge, 2013), A. Bellagamba, S. Greene, M.Klein (eds.), The Bitter Legacy. African Slavery Past and Present (Princeton,2013). Forthcoming: A. Bellagamba, S. Greene, M. Klein (eds.), African Voices onSlavery and the Slave Trade. Vol 2: The Methodology (Cambridge, forthcoming);A. Bellagamba, S. Greene, M. Klein (eds.), Looking for the Tracks. NewPerspectives on African Slavery, Slave Trade and Abolition (Africa World Press,forthcoming).

Marinella Carosso (Università di Milano Bicocca)

La Memoria famigliare: riflessioni europee

La ricostituzione delle relazioni di parentela attraverso la ricerca sul campo costituisce un oggetto di

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studio e un metodo di ricerca fra i più classici dell’antropologia.. Dopo essere stata a lungo, esecondo certe scuole, un’esperienza inevitabile per un ricercatore, in questi ultimi decenni sembraessere meno praticata. Il concetto di “genealogia”, ripreso un po’ troppo rapidamente dalle éliteseuropee, è stato applicato ad altri ambienti europei e ad altre società extra-europee con pocheriflessioni critiche. Ciò, sia da parte degli antropologi che degli storici. Quando gli studi sulle terminologie della parentela sono riusciti a percorrere altre vie oltre a quelladel “genitivo sassone”, sono emerse le memorie dei famigliari e dei parenti. La parola-azione del“parler famille”, il felice titolo di un articolo del 1970 di Tina Jolas, Yvonne Verdier e FrançoiseZonabend, segna, circa mezzo secolo dopo Rivers, un rinnovamento epistemologico. Tale articolo èstato spesso ripreso passivamente ma poco discusso. In anticipo sui tempi, “parler famille” haassociato la memoria delle generazioni con la memoria degli oggetti e ha dato luogo a un uso socialedell’antropologia le cui implicazioni restano da analizzare e da valorizzare.La mia comunicazione si dà come obiettivo di avviare una riflessione epistemologico-comparativa sutali questioni a partire principalmente da casi di studio europei. Prenderò in considerazione etnografiein cui la memoria del “parler famille” è fluente – com’è il caso della Borgogna –, altre in cui tace –la “généalogie muette” in Sardegna – o non interessa - Langhe -, altre in cui è diventata un hobby –Irlanda.Riferimenti bibliografici:CAROSSO, M. 2006, La Généalogie muette. Résonances autour de la transmission en Sardaigne,Paris, CNRS éditions et éditions Maison des Sciences de l’Homme.

Valeria Trupiano (Università degli Studi di Napoli " L’Orientale ")

L’uso politico della “parentela genetica” e il caso di Talana

Discuto il rapporto tra genetica e genealogia e il ruolo che questa fortunata combinazione staassumendo nell’ambito delle politiche identitarie. Dopo aver esposto i passaggi centrali del dibattitodisciplinare internazionale sul tema, presento la ricerca sul campo che ho svolto nel 2009 a Talana,Ogliastra. In diversi contesti culturali, la genetica viene utilizzata in misura crescente per ricostruire genealogieche, dense di contenuti simbolici, vanno ad articolare con forza e autorità discorsi e praticheidentitarie. Le diagnosi genomiche hanno iniziato a riconfigurare il passato, rafforzano o minaccianole storie condivise da un gruppo in merito alla propria origine, riscrivendo in questo modo i parametricontemporanei dell’azione sociale.Il caso che presento mette in scena un peculiare utilizzo popolare dei metodi e dei risultati di unaricerca genetica: la centralità assegnata agli alberi genealogici, prodotti dai genetisti in un paeseoggetto di studio genetico, nell’ambito di una politica identitaria basata su autoctonia e autenticità.Gli alberi “veriticali” prodotti a partire dal 1996 dagli scienziati dell’Istituto di Genetica Molecolaredel CNR di Tramariglio (Alghero) vengono sviluppati a Talana in “orizzontale” ed esposti alla mostrasulla cultura materiale talanese allestita in occasione dell’annuale sagra del prosciutto. Mediantequesta giustapposizione viene valorizzato il legame di sangue tra i talanesi di oggi e i talanesi di ieri,che vivevano nelle “case tipiche” e nei veri valori evocati dagli oggetti esposti nella mostra. I valorilocali, intende comunicare questa complessa ideologia, sono nel DNA dei talanesi e si configuranocome risorse preziose nell’orizzonte omologante della globalizzazione.La genetica, linguaggio apparentemente oggettivo e universale, sta divenendo lessico potente delladiversità entrando a pieno titolo nelle dinamiche di negoziazione e conflitto identitario.Riferimenti bibliografici:American Ethnologist, vol. 34, n. 2Nash Catherine 2004, “Genetic kinship”, Cultural Studies, vol. 18, n. 1, pp. 1-33.Pálsson Gísli 2007, Anthropology and the New Genetics, Cambridge, Cambridge University Press.

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Trupiano Valeria 2009, Geni, popolazioni e culture. Le ricerche genetiche tra scienza e politica,Roma, CISU.Trupiano Valeria 2013, Gli usi della diversità genetica. Identità, “parentela genetica” e il caso di unpaese ogliastrino (Talana), Bologna, Il Mulino.

Francesco Bachis (Università di Cagliari)Ester Cois (Università di Cagliari)Jasmin Khair (Università di Cagliari)Laura Tocco (Università di Cagliari)

Memorie familiari e memoria storica tra figli di profughi palestinesi in Sardegna

Dalla fine degli anni Settanta un numero consistente di profughi palestinesi si è trasferito in Europaper motivi di studio e lavoro (Doraï, 2004). Una parte di questi, arrivata in Sardegna nei primi anniOttanta per frequentare le facoltà scientifiche dell'ateneo cagliaritano, ha costituito nel corso deltempo dei nuclei familiari quasi esclusivamente con donne sarde, dando vita, nel contempo, ad undinamico tessuto associativo. Nel 2011 l'Associazione Amicizia Sardegna Palestina ha promosso, all'interno del progetto Hawia -l'identità, una indagine sulle forme di appartenenza dei figli dei profughi palestinesi nell'area vasta diCagliari, portata avanti da sardi d'origine e figli di palestinesi. Pur in una sostanziale 'integrazione'economica dei profughi nella borghesia delle professioni, i primi risultati sembrano far emergerequalche forma di «dissonant acculturation» (Portes – Rumbaut, 2001) tra genitori e figli a livellolinguistico e nelle forme di aggregazione: dissonanze che sembrano far emergere diverse modalità di«imparare a essere palestinesi» (Mavroudi, 2007). L'intervento presenterà parte dei risultati della ricerca, concentrandosi sul rapporto tra memoriafamiliare delle due principali ondate di profughi (1948 e 1967) e storia della questione palestinese.Nello specifico, sarà approfondito un nodo critico, emerso talvolta anche in maniera conflittualedurante la ricerca, legato alla mancata trasmissione alle seconde generazioni delle memorie familiaridell'espulsione, a fronte di una sovraesposizione della 'Storia' politica ed evenemenziale del conflitto.Riferimenti bibliografici:Doraï, M.K. 2004, Les réfugiés palestiniens en Europe. Complexité des parcours et des espaces migratoires, «REMI», XX, 2: 169-186.Mavroudi, E. 2007, Learning to be Palestinian in Athens: constructing national identities in diaspora,«Global Networks» VII, 4 : 392-411.Portes, A. - Rumbaut, R. , 2001, Legacies : the story of the immigrant second generation,Universityof California Press.

Valentina Lusini (Università degli Studi di Siena)

Cotinuità familiari e discontinuità culturali nella riflessione dell’arte contemporanea

Se si frequentano le mostre d’arte contemporanea, o più comodamente si naviga in rete alla ricerca diinformazioni sulle pubblicazioni, gli artisti, i curatori e gli eventi espositivi del nostro tempo, sinoterà che i riferimenti al tema della migrazione sono numerosi. Sam Durrant e Catherine M. Lordparlano a questo proposito di “estetica migratoria”, descrivendo il contesto dell’arte nell’epoca dellaglobalizzazione come luogo contrassegnato dal passaggio, dalla differenza culturale edall’eterogeneità delle storie e delle tradizioni dei migranti e dei popoli in diaspora.

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L’intervento intende presentare e commentare il lavoro di due artiste contemporanee che, partendodalla riflessione sul proprio percorso biografico, hanno legato il tema della migrazione a quello dellacontinuità familiare. Si parlerà dell’opera di Zineb Sedira, artista, curatrice e saggista di originialgerine cresciuta in Francia e residente in Inghilterra, che esplora le incoerenze generazionali che lapropria storia di trasferimenti ha determinato nei rapporti tra la figlia e la madre, e di alcune sequenzedi May you live in interesting times, un film autobiografico girato tra il 1995 e il 1997 da Fiona Tan,fotografa e regista oggi residente in Olanda, ma nata a Sumatra e cresciuta in Australia. Nel film,Fiona Tan compie un lungo viaggio alla ricerca delle proprie origini, esplorando la tormentata storiadi migrazione dei parenti cinesi emigrati in Indonesia che, dopo il colpo di Stato che nel 1965condusse al potere il generale Suharto, lasciarono l’Indonesia per l’Australia, l’Europa e altre zonedell’Asia. Nel diario del suo viaggio intorno al mondo, che da Amsterdam la conduce a Brisbane, poia Melbourne, a Colonia, a Jakarta, a Hong Kong, a Pechino e a Quánzhōu, Fiona Tan compie unpellegrinaggio attraverso universi lontani, e tuttavia vicinissimi, in una varietà emozionante dipersone, lingue, usanze, colori e forme sonore. “Family or culture: which determines my identitymore?”, si chiede l’artista all’inizio del suo viaggio, che si configura come itinerarionell’immutabilità dei legami familiari che si compie nella mutevolezza dei percorsi biografici, deipaesi, dei mestieri e delle pratiche rituali e culinarie.Riferimenti bibliografici:BECK Ulrich La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Il Mulino, Bologna,2003.BOURRIAUD Nicolas, Radicant. Pour une esthétique de la globalisation, Editions Denoël, Paris,2009.DURRANT Sam e LORD Catherine M. (a cura di), Essays in Migratory Aesthetics: CulturalPractices Between Migration and Art-making, Rodopi, Amsterdam-New York, 2007.LUSINI Valentina, Arte contemporanea e cultura dell’alterità, in «Studi Culturali», anno VIII, n. 1,aprile 2011, pp. 93-105.LUSINI Valentina, Destinazione mondo. Forme e politiche dell’alterità nell’arte contemporanea,ombre corte, Verona, 2013 (in fase di stampa).

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Problemi e risorse delle seconde generazioni

Venerdì 8, ore 16.45-18.45Aula E2

Dorothy L. Zinn (Libera Università di Bolzano)

Le seconde generazioni nell’Alto Adige: Scuola e inculturazione civile

La relazione proposta esporrà una ricerca in corso sugli alunni di cittadinanza non italiana nellescuole dell’Alto Adige. Dopo una complessa vicenda storica, attraverso l’autonomia politica nellaprovincia di Bolzano si è costituito un sistema di divisione istituzionale e sociale (in alcuni settori,codificato, in altri, informale) che ha portato all’attuale, seppur fragile, equilibrio sociale tra i gruppietnolinguistici di lungo insediamento: i gruppi di lingua tedesca, di lingua italiana e di lingua ladina.Negli ultimi vent’anni si è verificato in Alto Adige un consistente flusso di immigrati di variaprovenienza, e in questo contesto socioculturale, i migranti si trovano in qualche modo costretti adinserirsi nel tessuto socioculturale attraverso forme di incorporazione in uno dei gruppi storici. Conun sistema scolastico suddiviso in tre sistemi linguistici paralleli e rigidamente separati, i figli deimigranti, detti in modo ampio le “seconde generazioni”, rappresentano uno snodo critico di questiprocessi: oggetti di contesa politica e di ambivalenze da parte dei gruppi storici, sono ancheprotagonisti di strategie familiari di inserimento sociale. All’interno di gruppi della stessaprovenienza nazionale, ma anche all’interno delle stesse famiglie, le traiettorie di “inculturazionecivile” (Schiffauer et al. 2006) seguite dai figli dei migranti non sono scontati né omogenei. Inquesto caso, che si configura come situazione particolare di “super-diversity” (Vertovec 2007), losguardo antropologico è teso a riflettere sulla tensione tra “diversità” vecchie e nuove. Riferimenti bibliografici:E. Colombo, G. Semi, a cura di (2007) Multiculturalismo quotidiano. Le pratiche della differenza.Milan: Franco AngeliC. Gilligan, C., S. Ball (2011) “Introduction: Migration and Divided Societies”, Ethnopolitics, 10(2): 153-170. W. Schiffauer, W. et al. (2004) Civil Enculturation: Nation-State, Schools and Ethnic Difference inFour European Countries. Oxford: Berghahn.M. Suárez-Orozco, a cura di (2007) Learning in the Global Era: International Perspectives onGlobalization and Education. Berkeley: University of California Press. S. Vertovec (2007) “Super-diversity and its implications”, Ethnic and Racial Studies 30 (6):1024-1054.

Francesco Pompeo (Università Roma Tre)

La neo-autoctonia delle seconde generazioni della banglatown romana: crisidell’intercultura e Conflitti di cittadinanza

L’intervento, che si inserisce all’interno della ricerca PRIN 2009 “Territori dellatrasformazione”, Unità B- Univ.Roma Tre, presenta l’analisi etnografica di unasituazione locale, ovvero di una specifica modalità di inclusione sociale deimigranti nella Capitale. Parafrasando il lessico della pianificazione urbanistica

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possiamo definire come “modello orientale” ovvero propriamente asiatico, laprofonda trasformazione delle ex periferie storiche di Torpignattara e Centocelle(Roma Est). Nelle vecchie centralità periferiche, oggi sede di attivitàcommerciali gestite dai migranti, in meno di dieci anni, attraverso iricongiungimenti familiari si è infatti determinato un nuovo assettocaratterizzato dalle seconde generazioni. La scelta di stanzialità, in continuitàcon la più antica presenza asiatica e cinese dell’Esquilino, vicino alla stazioneTermini, ha quindi portato alla nascita di quella che, nell’autorappresentazionedei neo residenti, è la prima Banglatown italiana (Pompeo 2011). Una realtà incui le seconde generazioni pongono domande inedite al territorio e al sistemadei servizi che è possibile leggere in termini di neo-autoctonia, ossia di unapratica del quotidiano che sfida il concetto restrittivo di cittadinanza dello jussanguinis. In questo quadro ci soffermeremo in particolare sul prodursi di crisieducative, di cui la più nota è quella sorta intorno all’istituto comprensivo CarloPisacane, per segnalare l’esistenza di un’offerta autonoma ed autogestita dellacollettività bangladese che riprende i canoni dell’educazione nazionale e i tonidel patriottismo, scardinando implicitamente il conflitto autarchico sulle“politiche di integrazione” e, allo stesso tempo, superando il tradizionaleapproccio solidaristico legato all’intercultura. Riferimenti bibliografici:Francesco Pompeo, a cura, Pigneto-Banglatown. Migrazioni e conflitti dicittadinanza in una periferia storica romana, Roma Meti, 2011Francesco Pompeo, a cura, Paesaggi dell’esclusione. . Politiche degli spazi,re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, Torino, UTET, 2012.

Alessandro Pisano (Scuola di specializzazione DEA, Università di Perugia)

“È come se fossi uno di loro”. Socializzazione e dinamiche culturali tra le secondegenerazioni di origine marocchina a Thiesi, Sardegna

Le storie di vita di Jawad Abdellah e di altri ragazzi come lui, arrivati dal Maroccoper ricongiungersi con la famiglia migrata a Thiesi, nel nord Sardegna,permettono una riflessione su alcuni degli strumenti presenti nella cassetta degliattrezzi dei migration studies.In primo luogo su quella che, con Alejandro Portes, chiamerò ‘acculturazioneselettiva’, da intendere come processo, agito più o meno consapevolmente, dicreolizzazione culturale. La molteplicità delle sollecitazioni, sia inserite in flussiglobali che legate a localismi, a cui sono esposte le seconde generazioni rendeestremamente differenziati gli esiti nel campo culturale, sui quali proverò qui adare alcuni cenni, tenendo conto sia di ciò che Michael Herzfeld definisce‘intimità culturale’ che delle frequenti tattiche di essenzializzazione.Le esperienze personali raccolte rendono inoltre possibile un approccio critico alconcetto di ‘comunità’ e alla sua applicabilità all’analisi delle collettivitàmigranti. Come cercherò di mostrare a partire dal dato etnografico, la rete direlazioni è molto più estesa rispetto ai confini socio-culturali sui quali unacomunità si dovrebbe fondare.Riferimenti bibliografici:Baumann, Gerd, 2003, L’enigma multiculturale. Stati, etnie, religioni, Bologna, IlMulino.

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Baumann, Gerd, 1996, Contesting Cultures. Discourses of Identity in Multi-ethnicLondon, Cambridge, Cambridge University Press.Herzfeld, Michael, 2003, Intimità culturale. Antropologia e nazionalismo, Napoli,L’Ancora del Mediterraneo.Portes, Alejandro, Rumbaut, Rubén G., 2001, Legacies. The Story of theImmigrant Second Generation, Berkley – New York, University of California Press– Russell Sage Foundation.Riccio, Bruno, 2008, Politiche, associazioni e interazioni urbane. Percorsi diricerca antropologica sulle migrazioni contemporanee, Rimini, Guaraldi.

Daniele Brigadoi Cologna (Università dell’Insubria)

La forza del lignaggio alla prova della seconda generazione. Genitori e figli nelle famiglietransnazionali cinesi d'Italia.

Gli anni duemila hanno visto i migranti giovani (soprattutto adolescenti) protagonisti dell'impennatadell'afflusso cinese verso l'Italia.Oggi che i flussi cinesi verso il nostro paese sono in sensibile calo, è il momento di tirare le somme diun'esperienza a un tempo collettiva e personalissima che sta trasformando in profondità le relazioniintergenerazionali in seno alle famiglie degli immigrati cinesi in Italia. Famiglie più che maitransnazionali, collegate alla madrepatria e ad altri paesi europei da vincoli parentali che lamigrazione stessa rende indispensabili e vitali per il progetto migratorio della prima generazione. Maanche nuclei domestici in cui, nella persona di figli e figlie nate e cresciute in paesi diversi, con gradidiversi di capacità di interazione con il contesto d'emigrazione, si catalizzano sfide alla genitorialitàcon cui spesso gli adulti immigrati di prima generazione faticano a rapportarsi. Portatori di unavisione antica e impervia al compromesso della famiglia, condizionata dagli imperativi dellapreservazione e della gloria del lignaggio, i genitori si confrontano con figli cresciuti in una Cinadiversa, sempre meno ancorati all'universo di luoghi, legami e valori carichi di senso indispensabiliagli adulti per giustificare le scelte e i sacrifici della vita in emigrazione. D'altro canto, per moltigiovani cinesi - specie se sono cresciuti in Cina - la vita in Italia è una sfida che non comprendono eche spesso rigettano in partenza.

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La ridefinizione del genere in contesti migratori

Venerdì 8, ore 16.45-18.45Aula F5

Fiorella Giacalone (Università degli Studi di Perugia)

Sfide. Storie di adolescenti arabe alla ricerca di un’autonomia

I migranti involontari, adolescenti di seconda generazione (brutta definizione da cui non si può ormaiprescindere) sono giovani spesso fragili, inquieti, in cerca di un’identità ondivaga tra dinamichefamiliari e bisogni di riconoscimento generazionale In particolare le adolescenti di origini arabadevono spesso costruirsi un’appartenenza di genere che sia una possibile mediazione tra imposizionifamiliari e richieste di autonomia personale. Diventare autonome significa fare i conti con ruoliascrittivi limitanti e poteri paterni espliciti, per cui il matrimonio è la scelta obbligata della vita di unadonna. Studiare, fare l’università all’estero, non sposarsi, può comportare entrare in conflitto con ilpadre, cercare possibili (ma non scontate) alleanze materne, rimettere in discussione ruoli codificati.Per altre seguire l’inclusione religiosa può voler dire seguire un’ortodossia quale scelta di vita,nell’ottica di un femminismo islamico radicale.Le storie di alcune giovani donne arabe, sia cristiane che musulmane, sono la spia di una nuovagenerazione di cittadine italiane che hanno scelto la strada della laicità o del radicalismo religioso,dentro dinamiche familiari e ruoli di genere non lineari, tra hijab politici (veli islamici), moschee elaicità dichiarate. Cleo, Danya, Sumaja, Talia, Aïcha, sono alcune delle protagoniste di scelteopposte, a volte contraddittorie, del loro essere donne.

Chantal Arena (Università degli Studi di Catania)

Soggettività, genere e strategie di inclusione sociale: esperienze di emigrazione femminiledalla Colombia

Il paper analizza lo sviluppo dei rapporti di genere e del dialogointergenerazionale all’interno di alcune famiglie emigrate dalla Colombia versol’Italia. In particolare vengono approfondite le esperienze e le rappresentazionidei ruoli coniugali maschili e femminili sia in relazione al contesto diprovenienza, che in riferimento alle nuove formazioni familiari radicatesi in Italia.Il paper trae spunto da uno studio condotto sull’emigrazione femminilecolombiana, focalizzato su diverse pratiche di inserimento sociale e familiare nelcontesto italiano. L’emigrazione di coppia, che spesso confluisce in Italia nei settori dell’economiainformale maggiormente legati al lavoro di caregiving, presenta infattidinamiche diverse dalla migrazione individuale, connessa invece, a seconda deicasi, alla formazione di famiglie miste e/o all’inserimento nei circuiti socialmentemarginali del lavoro sessuale. Nonostante le differenziazioni dovute, caso percaso, alle condizioni di espatrio ed alle scelte specifiche poste in atto dallesingole attrici etnografiche, il tema del ricongiungimento familiare risulta in gran

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parte trasversale alla molteplicità delle esperienze riportate. In particolare è daevidenziare la costituzione di catene migratorie che ricalcano i rapporti familiaridi solidarietà femminile costituiti nel contesto di origine, ma che, durantel’esperienza di emigrazione hanno assunto nuove valenze, confrontandosi anchecon le tensioni poste dalla iniziale mancanza dei documenti regolari disoggiorno. I temi della soggettività e dell’agency non possono essere infatti separati daquei processi di soggettivazione, presenti all’interno della società ospite,connessi con le aspettative di acquisizione della cittadinanza, percepita dalledonne come strumento privilegiato di inclusione sociale. Nel caso delle famigliemiste i rapporti di genere giocano infatti un ruolo fondamentale nell’accesso allaresidenza e ai diritti che ne conseguono.

Ulderico Daniele (Università Roma Tre)

Diventare adulti in un campo nomadi: vergogna, controllo sociale e influenze urbane

Il paper, elaborato all’interno delle attività del Prin 2009 (Unità B - RomaTre),intende analizzare antropologicamente i corsi di vita di alcuni giovani romrumeni che vivono in un campo-nomadi di Roma con l’obiettivo di individuare iriferimenti culturali, le risorse e le limitazioni che definiscono il transito verso lostatus adulto.Tale passaggio mette in tensione una serie di codici e aspettative culturalmentedeterminate con le specificità relative al campo-nomadi in cui i percorsiindividuali si definiscono concretamente.Nella letteratura sui gruppi rom l’assunzione del ruolo adulto viene fattacoincidere con il matrimonio e la nascita di figli. In questo quadro le forme dellatransizione all’adultità rimandano ad un modello di rapporti tra i generi cheprescrive il controllo familiare della componente femminile; la verginità dellegiovani viene considerata metro dell’onore e la fase di transizione ridotta in unlasso di tempo assai breve (Okely 1975, Gay Y Blasco 1997, 1999).Entro lo scenario del campo nomadi tale modello di transizione subisce una seriedi influenze divergenti. Nel campo nomadi si realizzano attività e progetti socialispecificatamente destinati ai giovani che offrono opportunità di socializzazionenei contesti formali e informali della società d’approdo (Daniele 2011). Alcuni deigiovani, a seconda del genere e della condizione economica, possono cosìsperimentare relazioni con i coetanei gagè ed entrare in contatto con pratiche estili di comportamento “generazionali”, come quelli legati al consumo, alla curadel corpo e all’utilizzo dei mezzi di comunicazione informatici. Al contempo, lospazio separato ed esclusivo del campo nomadi è un luogo di intenso e diffusocontrollo sociale che, anche in reazione alle influenze provenienti dall’esterno,tende a riaffermare nei confronti dei giovani i codici e le aspettative tradizionali(Daniele 2013).La ricostruzione etnografica di alcuni corsi di vita intende documentare lemodalità con cui si costruiscono i diversi percorsi individuali sintetizzandoqueste diverse e contraddittorie influenze.Riferimenti bibliografici :Daniele, U., 2011, Sono del campo e vengo dall'India. Etnografia di unacollettività rom ridislocata, Roma, Meti Edizioni.

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Daniele, U., 2013, Questo campo fa schifo. Un'etnografia dell'adolescenza romfra campo-nomadi, periferia urbana e scenari globali, Roma, Meti Edizioni.Gay Y Blasco, P., 1999, Gypsies in Madrid: sex, gender and the performance ofidentity, Oxford, Berg.Okely, J., 1975, “Gypsy women. Models in conflict”, in S. Ardener, a cura,Perceiving women, Londra, Mallaby, pp. 55-86; trad. it., 1995, “Donne zingare.Modelli in conflitto”, in L. Piasere, a cura, Comunità girovaghe, comunità zingare,Napoli, Liguori, pp. 251-293.Tesar, C., 2012, Becoming rom (male), becoming roni (female) among Romaniancortorari roma: on body and gender, «Romani Studies», vol. 22, n. 2, pp.113-140.

Michela Fusachi e Valentina Vitale (Università Roma Tre)

Dissonanze generazionali e triplice assenza: migranti romene a Roma

Su scala globale la migrazione si caratterizza per una progressivafemminilizzazione : la metà di chi emigra è donna ancorché l’accesso allamobilità non sia certo un fenomeno egualitario. Esso, infatti, dipende dacondizioni economico-sociali diverse: precarietà economica e non, dominazioni edisuguaglianze. L'analisi del fenomeno attraverso un’ottica di genere consentedi decifrare dinamiche vecchie e nuove, e rinnovate dominazioni ancheall’interno dello stesso genere per comprendere la “triplice assenza”sperimentata dalle migranti: quella da casa (non si è più madri o figlie), quellavissuta nel paese di accoglienza (che arriva ad "annullare" età e vite familiari) equella relativa al binomio della “serva/padrona” (configurabile in un'assenzanella relazione). Questo intervento si inserisce nel Prin 2009 (UnitàB RomaTre)che si è concentrato sui flussi migratori a Roma e, in particolare, sulla collettivitàromena la più numerosa (21,6%), e dove la componente femminile ha superatoquella maschile (Istat, 2012). L'analisi del protagonismo femminile evidenziacontraddizioni e criticità sia con le famiglie di origine sia con quelle italiane. Daun lato ci si è concentrate su donne sole, separate o divorziate (40-65 anni)aventi un progetto, perlopiù, temporaneo dedicato all'accumulo di capitale e peril quale esse sperimentano situazioni lavorative diversificate confrontandosi conun mercato del lavoro stratificato e precario anche nel cosiddetto "badandato"che si sottoporrà a disamina critica. Da un altro lato l'analisi si è focalizzata sudonne più giovani (20-30 anni), che sembrano avere maggiori aspirazioni dicrescita personale e professionale dimostrando più flessibilità e per le qualil'inserimento nell'ambito della cura può configurarsi come un passaggio"strumentale". Attraverso l'intervento si intendono tratteggiare i rapporti cheesistono tra queste due figure al femminile anche in relazione alle dissonanzegenerazionali che esse ingenerano. Riferimenti bibliografici:Michela Fusaschi, 2013, Tempi e corpi incerti. Appunti per un’antropologiadell’invecchiamento nella migrazione, in Id.– Corpo non si nasce, si diventa.

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Antropologiche di genere nella globalizzazione, CISU, Roma, pp. 200.Michela Fusaschi, 2011 – Quando il corpo è delle Altre. Retoriche della pietà eumanitarismo-spettacolo, Bollati Boringhieri, Torino, pp.157.Anna Simone, a cura, 2011, Sessismo democratico. L’uso strumentale delledonne nel neo-liberismo, Milano, Mimesis.

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Pratiche e strategie economiche in contesti famigliari

Venerdì 8, ore 16.45-18.45Aula F1

Piero Vereni (Università di Roma Tor Vergata)

Famiglia, casa e vicinato. Il modello abitativo proposto a Roma dal Comitato popolare dilotta per la casa

Roma capitale d’Italia ha sempre sofferto di una strutturale carenza abitativa. Larapida crescita e la mancata pianificazione hanno costretto per tutto ilNovecento un numero elevato di nuclei familiari (soprattutto immigrati dalCentro-Sud) a stanziarsi in abitazioni di fortuna ricavate negli interstizi della cittàufficiale. Negli anni Sessanta la politicizzazione della loro condizione ha dato vitaa comitati e coordinamenti che si sono assunti l’onere di risolvere l’emergenzaabitativa da un lato costituendosi come soggetti interlocutori con le istituzioni,dall’altro mettendo in atto pratiche di occupazione di immobili (pubblici o privati)disabitati. A partire dai tardi anni Novanta questi comitati hanno rivoltoun’attenzione particolare alla nuova immigrazione straniera, includendo neiprogetti di occupazione molte famiglie di cittadinanza non italiana.Presentando uno squarcio etnografico sul lavoro del Comitato popolare di lottaper la casa guidato da Pina Vitale, questo intervento intende porre in luce laquestione teorica del rapporto economico tra unità residenziali (households) espazio urbano. Mentre il modello normativo cittadino cerca di imporre un confinesempre più netto tra spazio domestico (caratterizzato da relazioni affettive ereciprocità generalizzata, “spazio del dono”) e spazio pubblico (con interazionianonime/lavorative e reciprocità equilibrata o negativa, “spazio della merce”), illavoro del Comitato è esplicitamente orientato a riprodurre dentro la città glispazi di vicinato tipici del “paese”, che spezzano la rigidità di questa dicotomia.Raccontando dove nasce la sovradeterminazione dell’opposizione dono/merce,lo scopo di questo intervento è quindi fornire argomenti per una critica almodello urbano dell’abitare come antitesi non mediabile tra famiglia “privata” ecittà “pubblica”.Riferimenti bibliografici:Mudu, P., in press. “Housing and Homelessness in Contemporary Rome”, in(eds.) B. Thomassen and I. Clough Marinaro, Global Rome, Indiana UniversityPress.Pavanello, M. 2008. “Dono e merce: riflessione su due categoriesovradeterminate.” In Culture del dono, a cura di F. Dei e M. Aria. Roma,Meltemi, 43-63.Pompeo, F. a cura di, 2012. Paesaggi dell’esclusione. Politiche degli spazi,re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, Torino, Utet.Viazzo, P.P. 2003. “What’s so special about the Mediterranean? Thirty years ofresearch on household and family in Italy”, Continuity and Change, 18,111-137.

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Melinda Papp (ELTE University)

Il rituale come strumento per rafforzare l’identità famigliare nel Giappone contemporaneo

La famiglia giapponese ha negli ultimi cinquant’anni attraversato una fasesegnata da rapidi e profondi cambiamenti. Questi cambiamenti riguardano inparticolare la struttura della famiglia, i suoi valori, le modalità di interazione tra isuoi membri e le visioni societarie della figura del bambino. In questo contributosi analizza il caso di un rito di passaggio dell’infanzia che gode ancora oggi inGiappone di grande e rinnovata popolarità, lo Shichigosan. Questo rito è stato,da una parte, oggetto di un intenso e complesso processo dicommercializzazione, e dall’altra, è divenuto per le famiglie stesse strumentoefficace per rafforzare e attribuire significato all’unità della famiglia, e comeespressione delle visioni e dei valori dei suoi membri riguardo al bambino.Basato su un lavoro storico ed etnografico, questo contributo delinea in manieracritica i processi di costruzione dei significati di un rituale nell’ambito di unacontinua e pervasiva interazione tra il settore commerciale, i media, e gliosservanti del rito nei contesti famigliari del Giappone urbano. Riferimenti bibliografici:Papp, Melinda. 2012. ‘Conspicuous consumption in postwar Japan: The case of arite of passage’, Human Affairs 22, pp. 196-213 Papp, Melinda (2013): Molding of a Rite of Passage in Urban Japan. Historical andAnthropological Perspectives. Urbanities, Vol.3, No.1, pp. 61–82.

Zaira T. Lofranco (Università di Bergamo)

Famiglie, credito al consumo e crisi del debito nella Sarajevo neoliberista

Sulla base di dati etnografici il paper cercherà di analizzare nella Sarajevoneoliberale il valore culturale attribuito dalle famiglie alla domanda dicredito/debito legato al consumo e le sue conseguenze sul quotidiano eserciziodi manutenzione del sé e delle relazioni interpersonali. Si tenterà di collegare la prospettiva globale della condizione di indebitamentoproposta dall'antropologo David Graeber, con la specificità del contesto bosniacolocale in cui le strategie elaborate delle famiglie per finanziare le pratiche diconsumo rispondono ad una perdurante situazione di crisi dell'economia reale.Confutando le teorie degli economisti della transizione, si metterà in evidenzacome il credito al consumo sia una costante nell'economia domestica dellefamiglie intervistate sin dai tempi del "socialismo di mercato"."Vivere al di sopradelle proprie possibilità" descrive uno stile di consumo e di vita attraverso cui sicerca di aggirare la funzione disciplinante del potere (socialista,etno-nazionalista o delle corporazioni bancarie multinazionali) sulla definizionedei bisogni e dei desideri.Ancora il paper evidenzierà come la domanda di credito al consumo sia radicatain dinamiche di distinzione sociale e riposizionamento spazio-temporale chesegue il conflitto caratterizzato dalla de-monetizzazione dell'economiadomestica e dal ritorno al baratto o al dono (umanitario o interpersonale).

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Verrà infine analizzata la fase di ri-monetizzazione dell'economia avvenuta in uncontesto post-conflitto e neo-liberista in cui la possibilità di consumo sembranointrecciarsi alla possibilità di "ipotecare" proprio i rapporti familiari perconformarsi ai requisiti di accesso al credito imposti dalla banche, non piùstatali, ma private che richiedono la presenza di garanti. Riferimenti bibliografici:Graeber David (2012), Debito. I primi 5000 anni, Milano, Il SaggiatoreMauss Marcel [1950] (2002), Saggio sul dono. Torino, Einaudi.Bourdieu Pierre (2001), La distinzione. Critica sociale del gusto. Bologna, IlMulino.Parry J., Bloch M. (1989), Money and the morality of exchange, CambridgeUniversity PressDouglas M. and Isherwood B. (1984), Il modo delle cose. Oggetti, Valori,Consumi. Bologna, Il MulinoHumphrey and Hugh-Jones, Barter, Exchange and Value, Cambridge UniversityPressMandel Rurh and Humphrey Carolin (eds.), Markets and Moralities.Ethnographies of Postsocialism, Oford-New York, Berg.Verdery , The vanishing hectar, Sneath (2012), The "age of the market" and the regime of debt: the role of creditin the transformation of pastoral Mongolia in Social Anthropology. Special issueon debt vol 20(4):458-473.Jasarevic Larisa (2012), Grave Matters and the good life. On a finite economy inBosnia in Cambridge Anthropology 30(1), Spring 2012:25-39.

Sara Bonfanti (Università degli Studi di Bergamo)

Dan, daaj e ritorno. Il mercato matrimoniale tra le famiglie punjabi italiane: modelliconsolidati, resistenze e nuove aperture

Altamente dibattuti nella letteratura internazionale sono sia il “sistema dote” in Asia meridionale sia inuovi modelli di formazione dei nuclei familiari tra le minoranze indiane di lunga permanenza,soprattutto nel contesto britannico. Scarsa attenzione è stata invece sinora rivolta a come le strategiedi contrattazione pre-matrimoniale prendano forma nella più recente immigrazione panjabi in Italia(oggi la più popolosa diaspora indiana europea) e quanto una certa idea di famiglia e un certo codicedi relazioni coniugali, parentali, filiali si realizzino anche attraverso specifiche forme di dono,scambio e favore. L’intervento esplora il “mercato matrimoniale” dei giovani panjabi italiani (acavallo tra prima e seconda generazione e spesso già cittadini italiani), interrogando sia le proceduredi scelta degli sposi sia le transazioni economiche che sanciscono la conclusione di un accordomatrimoniale. Sulla base dei report di una ricerca etnografica tuttora in corso (nel quadrilatero ruralelombardo tra le province di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova), narrazioni soggettive dissonantidanno voce ai conflitti familiari e comunitari tra generi e generazioni nella creazione di nuovi gruppidomestici, considerando la specificità del tessuto socio-culturale locale nel perdurare della crisieconomica. Attraverso un’osservazione intersezionale, che mette in luce l’eterogeneità nellecomunità panjabi italiane (diverse e molteplici anche per classe, casta, fede), si cercherà dicomprendere quanto le categorie di differenza vengano ri-prodotte, contestate e trasformate inoccasione dell’evento nuziale, dove si assiste al primo scardinamento di una tradizionale logica diendogamia temperata. Analizzando come i giovani indiani italiani ricorrono ai discorsi suamore/convenienza, diritto/dovere, controllo/autonomia sarà possibile considerare se e quanto scelte

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personali riescano a navigare strutture gerarchiche quali patriarcalismo, disuguaglianze e sviluppocapitalista.

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Sommario

ORGANIZZATORI E PROMOTORI.........................................................................................2

PROGRAMME OVERWIEW....................................................................................................4

LIBRO DEGLI ABSTRACT, ELENCO DELLE SESSIONI PARALLELE.............................20

FAMIGLIA E VITA QUOTIDIANA. ANTROPOLOGIA DEGLI OGGETTI E DELLA MEMORIA..............................................................................................................................21

Fabio Dei (Università di Pisa) e Matteo Aria (Università di Roma “La Sapienza”)........................................................21Lia Giancristofaro (Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara)...................................................................................22Franco Lai (Università di Sassari).....................................................................................................................................22Carlotta Colombatto (Università degli Studi di Torino)....................................................................................................22Eugenio Imbriani (Università del Salento).......................................................................................................................23Caterina Di Pasquale (Università degli Studi di Firenze).................................................................................................23Sabina Giorgi, Alessandra Talamo e Barbara Mellini (Università di Roma “La Sapienza”)...........................................24Pietro Meloni (Università degli Studi di Siena)................................................................................................................24

FAMIGLIA, RELIGIONI, CULTURE.......................................................................................26Anna Casella Paltrinieri (Università Cattolica Milano)....................................................................................................26Javier Gonzàlez Díez (Università degli Studi di Torino)..................................................................................................26Francesca Sbardella (Università di Bologna)....................................................................................................................26Luisa Faldini (Università di Genova)................................................................................................................................26Laura Ferrero (Università degli Studi di Torino)..............................................................................................................27

ANTROPOLOGIA, STORIA E MORFOLOGIA DELLA FAMIGLIA .....................................28Pier Paolo Viazzo (Università degli Studi di Torino)........................................................................................................28Alberto Castaldini (Università di Bucarest)......................................................................................................................28Elisabeth Tauber (Libera Università di Bolzano)..............................................................................................................29Ferdinando Mirizzi (Università della Basilicata)..............................................................................................................29Alexander Koensler (Queen’s University Belfast)............................................................................................................30

FAMIGLIA E CONFLITTI INTERGENERAZIONALI ............................................................31Luca Jourdan (Università di Bologna)..............................................................................................................................31Maria Chiara Miduri (Università degli Studi di Torino)...................................................................................................31Marta De Falco (Università degli Studi di Torino)...........................................................................................................31Armando Cutolo (Università di Siena) ............................................................................................................................32Alberto Caoci (Università di Cagliari)..............................................................................................................................32

FAMIGLIE E VIOLENZA .......................................................................................................34Roberto Beneduce e Simona Taliani (Università degli Studi di Torino) insieme a Grace Aigbeghian, Bosede Lawani e Philomena Erhunmwunsee................................................................................................................................................34Alessandro Jedlowski (Università di Napoli “L’Orientale”, Centro Studi sull’Africa Contemporanea (CeSAC))..........34Valeria Ribeiro Corossacz (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia).............................................................35Barbara Ghiringhelli (Università IULM di Milano).........................................................................................................35

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Alessandra Gribaldo (Università di Trento e Università di Modena e Reggio Emilia)....................................................35

LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA MORTE...........................................................................37Claudia Mattalucci (Università di Milano-Bicocca).........................................................................................................37Anna Paini (Università di Verona)....................................................................................................................................37Roberta Altin (Università degli Studi di Trieste)..............................................................................................................38Ana Cristina Vargas (Università degli Studi di Torino)....................................................................................................38

FARE IL GENERE.................................................................................................................40Andrea Priori (Università degli Studi Roma Tre).............................................................................................................40Alessandro Lutri (Università di Catania)..........................................................................................................................40Cecilia Pennacini (Università degli Studi di Torino)........................................................................................................41Donato Martucci (Università del Salento)........................................................................................................................41Maria Carolina Vesce (Università degli Studi di Messina)...............................................................................................42Flavia Cuturi (Università di Napoli "L'Orientale")...........................................................................................................42Irene Capelli (Università di Torino)..................................................................................................................................43Lia Viola (Università degli Studi di Torino).....................................................................................................................43

OMOSESSUALITÀ, OMOGENITORIALITÀ, OMOFOBIA...................................................44Cafuri Roberta ..................................................................................................................................................................44Claudia Pandolfo (Università degli Studi di Milano Bicocca)..........................................................................................44Rosa Parisi (Università di Foggia)....................................................................................................................................44Simonetta Grilli (Università degli Studi di Siena)............................................................................................................45

RICOMPOSIZIONI FAMIGLIARI, MEMORIA, TRASMISSIONE DI SAPERI.......................46Claudia Guendalina Sias (Università degli Studi di Cagliari).........................................................................................46Elena Giusti (Università degli Studi di Torino)................................................................................................................46Margherita Di Salvo (Università di Basilicata).................................................................................................................47Cesare Pitto e Loredana Farina (Università della Calabria)..............................................................................................47

DALLA NASCITA ALLA MORTE. PRENDERSI CURA DEL CORPO IN CONTESTI FAMIGLIARI...........................................................................................................................49

Miriam Castaldo (UOS di Salute Mentale dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), Roma)................................................................................49Francesco Zanotelli e Maria Antonietta Alessandri (Università di Messina)...................................................................49Alessandro Gusman (Università degli Studi di Torino)....................................................................................................50Riccardo Putti (Università degli Studi di Siena)...............................................................................................................50Pino Schirripa (Università di Roma “La Sapienza”).........................................................................................................50

PRATICHE E STRATEGIE ECONOMICHE IN CONTESTI FAMIGLIARI...........................52Davide Torsello (Università degli Studi di Bergamo).......................................................................................................52Carlo Capello (Università degli Studi di Torino)..............................................................................................................52Simone Ghezzi (Università di Milano Bicocca)...............................................................................................................52

FAMIGLIE TRANSNAZIONALI.............................................................................................54Paola Sacchi (Università degli Studi di Torino)...............................................................................................................54Francesco Vietti (Università di Genova)...........................................................................................................................54Cristina Bezzi (Università degli Studi di Siena)...............................................................................................................54Martina Giuffré (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)....................................................................................55Sara Settepanella (Università degli Studi di Napoli "L’Orientale")..................................................................................56

BIOGRAFIE E MEMORIE INTERGENERAZIONALI............................................................57Alice Bellagamba (Università degli Studi Milano Bicocca).............................................................................................57Marinella Carosso (Università di Milano Bicocca)..........................................................................................................57

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Valeria Trupiano (Università degli Studi di Napoli " L’Orientale ").................................................................................57Valentina Lusini (Università degli Studi di Siena)............................................................................................................59

PROBLEMI E RISORSE DELLE SECONDE GENERAZIONI.............................................60Dorothy L. Zinn (Libera Università di Bolzano)..............................................................................................................60Francesco Pompeo (Università Roma Tre).......................................................................................................................60Alessandro Pisano (Scuola di specializzazione DEA, Università di Perugia)..................................................................60Daniele Brigadoi Cologna (Università dell’Insubria).......................................................................................................61

LA RIDEFINIZIONE DEL GENERE IN CONTESTI MIGRATORI.........................................62Fiorella Giacalone (Università degli Studi di Perugia).....................................................................................................62Chantal Arena (Università degli Studi di Catania)...........................................................................................................62Ulderico Daniele (Università Roma Tre)..........................................................................................................................62Michela Fusachi e Valentina Vitale (Università Roma Tre)..............................................................................................63

PRATICHE E STRATEGIE ECONOMICHE IN CONTESTI FAMIGLIARI............................64Piero Vereni (Università di Roma Tor Vergata)................................................................................................................64Melinda Papp (ELTE University).....................................................................................................................................64Zaira T. Lofranco (Università di Bergamo).......................................................................................................................64Sara Bonfanti (Università degli Studi di Bergamo)..........................................................................................................65

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