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“”Prospettiva Persona 106”” — 2018/12/10 — 9:01 — page 39 — #39 P P studî Una lettura filosofica a partire da Søren Kierkegård Modernità e auto-creazione Mat tia Lu set ti L’ opera filosofico-letteraria di Kierke- gaard è costellata di scritti pseudonimi, nei quali gli autori fittizi non hanno tanto la funzione di coprire e proteggere l’identità dell’auto- re – tutti a Copenaghen sapevano chi fosse l’auto- re di quegli scritti 1 – quanto di fornire opere nelle quali l’autore esponeva se stesso e la sua ricerca in- tellettuale ed esistenziale in prima persona, senza la copertura dell’oggettività e del sistema. Tra i più ce- lebri è Johannes Climacus, pseudonimo autore delle principali opere filosofiche di Kierkegaaard: le Bri- ciole filosofiche e la Postilla conclusiva non scientifica alle Briciole filosofiche. Obiettivo del suo dittico è li- berare il Cristianesimo dall’abuso del Sistema hege- liano che aveva presunto di inglobarlo e addirittura di superarlo. Tra le Carte inedite inoltre troviamo un abbozzo, incompleto appunto, ma non frammenta- rio, di un’opera che doveva essere la prima del nostro Johannes Climacus scritta per mettere in crisi, cioé sotto giudizio, quello che secondo la rilettura hege- liana è il principio della filosofia, della filosofia mo- derna e di ogni filosofare: De omnib dubitandum est 2 . Ad essere completata è soltanto la prima parte, che significativamente è in forma autobiografica co- me l’inizio del Discours de la méthode di Cartesio e in entrambi i casi si tratta di una storia della mente o dell’esistenza 3 . Ciò che troviamo in De omnib du- bitandum est è una revisione della filosofia moderna considerata però secondo la ricapitolazione hegelia- na come un unico processo che ha il suo inizio in Car- tesio. Il legame tra opere così lontane, il Discorso e il De omnib, è dato dal fatto che entrambi procedo- no da un io e dal suo pathos di conoscenza: proprio ciò che Kierkegaard ammirava in Cartesio. Questo approccio filosofico permette di vedere con più chia- rezza il legame della ricerca filosofica con il singolo uomo che la intraprende nel senso in cui ogni ricerca filosofica pone l’uomo in un determinato rapporto essenziale con l’essere, la verità e gli altri uomini. La rilettura della modernità filosofica (Cartesio ed He- gel) operata da Kierkegaard ci riporta alla posizione della situazione dell’io rispetto alla verità che salva co- sì come presente in un’altra opera del filosofo danese, La malattia mortale, opera che Kierkegaard riteneva il suo capolavoro e che era stata pubblicata sotto lo pseudonimo di Anti-Climacus, il doppio/opposto di Johannes Climacus. Il richiamo è fondato nel rife- rimento alla forma autobiografica del Discorso ripre- sa dal De omnib che riportano all’io come singolo la questione del rapporto alla verità, che è anche ciò che La malattia mortale fa rispetto all’io disperato. Il De omnib pur alludendo chiaramente al Di- scorso di Cartesio ha come obiettivo polemico Hegel e l’hegelismo contemporaneo. Per il filosofo francese infatti Kierkegaard ha un’alta stima, almeno dal mo- mento in cui legge direttamente la sua opera senza il filtro indiretto degli hegeliani danesi 4 . Cartesio in- fatti parla in prima persona, contro l’abitudine otto- centesca del Sistema oggettivo e impersonale, e pone la ricerca filosofica nella giusta situazione in quanto l’io del filosofo, la sua storia e la sua ricerca sono il motore della riflessione: «non proponendo questo scritto se non come una storia, o, se preferite, come un racconto, […] spero che sarà utile ad alcuni, senza essere nocivo a nessuno, e che tutti mi saranno grati per la mia franchezza» 5 . Cartesio è alla ricerca di co- noscenze certe, salde, non attaccabili dal dubbio ed è per questo motivo che intraprende l’esposizione di quel metodo che tanto ha dato frutto nelle scienze e che può essere parimenti utile in metafisica 6 . Come è notissimo l’inizio del nuovo metodo consiste nel ri- gettare «come assolutamente falso, tutto ciò nel qua- 1 Cf. Joachim Garff, SAK. Soeren Aabye Kierkegaard. Una biografia, Castelvecchi, Roma 2013, p. 248. 2 Cf. appunto Søren Kierkegaard, «Johannes Climac, ou De omnib dubitandum est . Conte», in Œuvres Complètes, Éditions de L’Orante, Paris 1975, vol. II, pp. 313-367 (originariamente in Pap. IV B 1, 103-150); d’ora innanzi citato come DODE seguito dal numero della pagi- na (traduzione dal francese mia). 3 Cf. al riguardo Gianluca Mori, Cartesio, Carocci, Roma 2010, p. 75. Per il Discorso cf. René Descartes, Discours de la méthode, Vrin, Paris 2005; orig. 1637 (AT VI), d’ora innanzi citato come DM seguito dal numero della pagina e dai riferimenti nell’edizione Adam-Tannery (in traduzione mia). 4 Ciò che accade dopo il 1842, prima quindi della composizione del De omnib (1842-1843): cf. Ronald Grimsley, «Kierkegaard and Descartes», Journal of the History of Philoso- phy, 4, 1 (1966), pp. 31-41, pp. 33-44. 5 DM, 48, AT VI 4. 6 Il Discorso doveva essere un’introduzione alla fisica cartesiana che ne sancisse l’accettazione da parte del mondo scientifico e culturale del periodo. In realtà assunse importanza a sé e stimolò la redazione delle Meditazioni. 7 DM, 89, AT VI 31. 39-43 39

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Una lettura filosofica a partire da Søren Kierkegård

Modernità e auto-creazione

Mattia Lusetti

L’opera filosofico-letteraria di Kierke-gaard è costellata di scritti pseudonimi, neiquali gli autori fittizi non hanno tanto la

funzione di coprire e proteggere l’identità dell’auto-re – tutti a Copenaghen sapevano chi fosse l’auto-re di quegli scritti1 – quanto di fornire opere nellequali l’autore esponeva se stesso e la sua ricerca in-tellettuale ed esistenziale in prima persona, senza lacopertura dell’oggettività e del sistema. Tra i più ce-lebri è Johannes Climacus, pseudonimo autore delleprincipali opere filosofiche di Kierkegaaard: le Bri-ciole filosofiche e la Postilla conclusiva non scientificaalle Briciole filosofiche. Obiettivo del suo dittico è li-berare il Cristianesimo dall’abuso del Sistema hege-liano che aveva presunto di inglobarlo e addiritturadi superarlo.Tra leCarte inedite inoltre troviamounabbozzo, incompleto appunto, ma non frammenta-rio, di un’opera che doveva essere la prima del nostroJohannes Climacus scritta per mettere in crisi, cioésotto giudizio, quello che secondo la rilettura hege-liana è il principio della filosofia, della filosofia mo-derna e di ogni filosofare: De omnibus dubitandumest2. Ad essere completata è soltanto la prima parte,che significativamente è in forma autobiografica co-me l’inizio del Discours de la méthode di Cartesio ein entrambi i casi si tratta di una storia della mente odell’esistenza3. Ciò che troviamo in De omnibus du-bitandum est è una revisione della filosofiamodernaconsiderata però secondo la ricapitolazione hegelia-na comeununicoprocesso che ha il suo inizio inCar-tesio. Il legame tra opere così lontane, il Discorso e ilDe omnibus, è dato dal fatto che entrambi procedo-no da un io e dal suo pathos di conoscenza: propriociò che Kierkegaard ammirava in Cartesio. Questoapproccio filosofico permette di vedere con più chia-rezza il legame della ricerca filosofica con il singolo

uomo che la intraprende nel senso in cui ogni ricercafilosofica pone l’uomo in un determinato rapportoessenziale con l’essere, la verità e gli altri uomini. Larilettura della modernità filosofica (Cartesio ed He-gel) operata da Kierkegaard ci riporta alla posizionedella situazionedell’io rispetto alla verità che salva co-sì comepresente inun’altra opera del filosofodanese,La malattia mortale, opera cheKierkegaard ritenevail suo capolavoro e che era stata pubblicata sotto lopseudonimo di Anti-Climacus, il doppio/oppostodi Johannes Climacus. Il richiamo è fondato nel rife-rimento alla forma autobiografica del Discorso ripre-sa dal De omnibus che riportano all’io come singolola questione del rapporto alla verità, che è anche ciòche La malattia mortale fa rispetto all’io disperato.

Il De omnibus pur alludendo chiaramente al Di-scorso di Cartesio ha come obiettivo polemico Hegele l’hegelismo contemporaneo. Per il filosofo franceseinfatti Kierkegaard ha un’alta stima, almeno dal mo-mento in cui legge direttamente la sua opera senzail filtro indiretto degli hegeliani danesi4. Cartesio in-fatti parla in prima persona, contro l’abitudine otto-centesca del Sistema oggettivo e impersonale, e ponela ricerca filosofica nella giusta situazione in quantol’io del filosofo, la sua storia e la sua ricerca sono ilmotore della riflessione: «non proponendo questoscritto se non come una storia, o, se preferite, comeun racconto, […] spero che sarà utile ad alcuni, senzaessere nocivo a nessuno, e che tutti mi saranno gratiper la mia franchezza»5. Cartesio è alla ricerca di co-noscenze certe, salde, non attaccabili dal dubbio edè per questomotivo che intraprende l’esposizione diquel metodo che tanto ha dato frutto nelle scienze eche può essere parimenti utile in metafisica6. Comeè notissimo l’inizio del nuovometodo consiste nel ri-gettare«comeassolutamente falso, tutto ciònel qua-

1 Cf. Joachim Garff, SAK. Soeren Aabye Kierkegaard. Una biografia, Castelvecchi, Roma 2013, p. 248. 2 Cf. appunto SørenKierkegaard, «Johannes Climacus, ou De omnibus dubitandum est. Conte», in Œuvres Complètes, Éditions de L’Orante, Paris1975, vol. II, pp. 313-367 (originariamente in Pap. IV B 1, 103-150); d’ora innanzi citato come DODE seguito dal numero della pagi-na (traduzione dal francese mia). 3 Cf. al riguardo Gianluca Mori, Cartesio, Carocci, Roma 2010, p. 75. Per il Discorso cf. RenéDescartes, Discours de la méthode, Vrin, Paris 2005; orig. 1637 (AT VI), d’ora innanzi citato come DM seguito dal numero dellapagina e dai riferimenti nell’edizione Adam-Tannery (in traduzione mia). 4 Ciò che accade dopo il 1842, prima quindi dellacomposizione del De omnibus (1842-1843): cf. Ronald Grimsley, «Kierkegaard and Descartes», Journal of the History of Philoso-phy, 4, 1 (1966), pp. 31-41, pp. 33-44. 5 DM, 48, AT VI 4. 6 Il Discorso doveva essere un’introduzione alla fisica cartesianache ne sancisse l’accettazione da parte del mondo scientifico e culturale del periodo. In realtà assunse importanza a sé e stimolò laredazione delle Meditazioni. 7 DM, 89, AT VI 31.

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le possa immaginare qualcosa di dubitabile»7. NelDiscorso tale rigetto è praticato nella Quarta parte,dopo che nella Seconda sonopresentate le regole conle quali Cartesio è sicuro di poter accedere ad un ve-ro non inficiato da alcuna incertezza né rapsodicità.La Terza parte è quella della «morale par provision»,la morale provvisoria con le sue regole che sono sol-tanto una ricetta empirica, perché il filosofo france-se sa che nel tempo nel quale compie l’edificio dellescienze (lamorale sarebbe stata l’ultima) lui non puòrimanere «irresoluto nell’agire»8. La revoca di ogniverità dubitabile è dunque il principio della filosofiaed esso richiede come strumento e conseguenza undubbio che sia universale, un atto di volontà che in-clini il giudizio alla considerazione di ciò che apparecredibile come falso per compensare pregiudizi con-trarii9. Per compiere uno sforzo del genere sono ne-cessarii tempo, ingegno e impegno, ciò di cui Carte-sio è ben consapevole10. Precisamente questo nuovoprincipio del filosofare costituisce l’avvio che il gio-vane protagonista del De omnibus intende far pro-prio. Affascinato dalla ripetizione costante di tale in-concusso fondamento, l’azione del dubbio portatosu ogni cosa, Johannes agisce secondo il principio eciò che accade è un crollo, fisico e psicologico. Porta-re a fondo l’azione del dubitare impegna così tantoun singolo esistente che egli impegna in quell’azio-ne tutta la sua energia e perciò non può che crollareesausto, specialmente se, come i suoi bravi maestrihegeliani, si dubita per andare oltre.

L’ironia della scena del crollo è rivolta principal-mente al pensare hegeliano che pretende di dubitaredi tuttoper poi fondare e concludere il sistema: il pas-saggio dal dubbio alla certezza della verità è un saltoinvalicabile quando il dubbio ha letteralmente spaz-zato via ogni dato. Il singolo conoscente che dubiticome sembra esser richiesto dalla filosofia modernanon ha né punti di appoggio né energie per poter su-perare il dubbio sul vero: e se un dubitante autenticoè crollato si può dubitare di tutti i dubitanti rimastiplacidamente in piedi. Dopo questa tragicommediafilosofica ilDe omnibus si distende in unaminuziosaanalisi del dubbio e del suo rapporto intrinseco conla filosofiamoderna sotto il segnodi tre proposizionifondamentali che intendono esprimerlo in manieracomplessiva:

– la filosofia comincia attraverso il dubbio;

– è necessario aver dubitato per poter praticare lafilosofia;

– la filosofia moderna comincia attraverso il dub-bio11.

Dalle tre proposizioni emergono in particolaredue questioni principali. La prima riguarda il dub-bio, sia come inizio della filosofia, in luogo della me-raviglia greca, sia come atto del dubitare in quantoatto del soggetto, ovvero la questione della «possibi-lità ideale del dubbio nella coscienza»12. Qui l’obiet-tivo polemico è il tentativo hegeliano di superare ildubbio tramite l’oggettività; ora, afferma Johannes,l’oggettività è l’atteggiamento del disinteresse, di co-lui che sospende la passione della conoscenza e con-templa il rapporto ideale nel pensiero,mentre il dub-bio sorge una volta sorta la coscienza ovvero la pas-sione e l’interesse. Il dubbio è quindi sempre ed emi-nentemente dubbio di un soggetto che è coscienzanel senso più alto e pieno, del soggetto che vive nellapassione e nell’interesse per la verità.

La seconda questione interseca le due ultime pro-posizioni: in che senso il dubbio è necessario comeinizio del filosofare nella filosofia moderna? Soprat-tutto: per chi è necessario il dubbio come prelimina-re al filosofare? Infatti se è soltanto la filosofia mo-derna ad iniziare con il dubbio allora se quel “moder-na” è soltanto determinazione storiografica anche ildubbio è soltanto una condizione condizionata sto-ricamente. Se invece si sottintende che la filosofia au-tentica inizia con laModernità allora il dubbio comeinizio è condizione assolutamente necessaria perchési dia un’autentica filosofia. L’interesse di questo at-tacco dialettico è, sì, parzialmente limitato dalla por-tata delle tre proposizioni come distillato dei princì-pi della filosofia imperante inDanimarca,ma investeanche una questione fondamentale che è quella dellafilosofia con la storia, del singolo soggetto filosofan-te con la sua storia (non in senso biografico). Questaimportanza risulta più chiara quando ci si chiede perchi vale l’obbligo del dubbio come inizio della filo-sofia. L’ironia di Johannes/Kierkegaard per filosofiche non fanno che ripetere a parole il procedere deldubbio di Cartesio (o di Hegel) non è soltanto unattacco a filosofi di nome che non hanno la passioneessenziale del filosofo,ma è un vero e proprio attaccomortale alla filosofiamoderna comeprocesso e al suo

8 DM, 76, AT VI 22 anche per la citazione precedente. 9 Cf. René Descartes, Méditations métaphysiques, Flammarion, Paris2011; orig. Meditationes de prima philosophia, 1641, pp. 66-67 (fine della Prima Meditazione). 10 Cf. DM, 58, AT VI 11 e ivi,pp. 56-59 (inizio Prima Meditazione). 11 Cf. DODE, 327. 12 DODE, 356 (in corsivo nel testo), traduzione mia.

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momento iniziale in Cartesio. Infatti per Johannesil soggetto dell’esigenza del dubbio è ambiguamenteo ogni singolo filosofo o la filosofia moderna comeprocesso totale.Nel primo caso l’uomoche si accingea filosofare ha da intraprendere personalmente la viadel dubbio universale: ciò che Johannes fa ottenen-do il crollo suddetto. Nel secondo caso invece è suf-ficiente che l’iniziatore della filosofiamoderna abbiapraticato il dubbio universale per lui e per tutti quel-li che vengono dopo di lui: «since Descartes himselfhave doubted, it could be assumed that he has done itfor everybody»13. L’ironia evidente di Johannes cheha per vittime gli scolari di Hegel che lo seguono, ri-petono e presumono di superarlo, ma senza recaretraccia con sé della terribile battaglia intellettuale espirituale che è il dubbio universale è indirettamen-

te, unamessa in giudizio di tutta la filosofiamoderna.Essa pretende l’esigenza del dubbio universale comeinizio del filosofare, ma si propone anche, allo stessotempo, come una trasmissione di questo medesimoprincipio.

Questa ambiguità risulta sì dalla ricostruzione ra-zionale hegeliana della filosofia moderna come sto-ria della Ragione, ma ha un fundamentum in re inalcuni aspetti della filosofia cartesiana. Da una partele attestazioni sul proprio percorso date dal filosofofrancese, secondo le quali esso non è proposto comemodello od esempio, ma la semplice esposizione diun metodo che per lui è stato fruttuoso14; dall’altral’evidente volontà da parte di Cartesio di far assume-re la propria ricerca metafisica e fisica da parte degliuomini di cultura del tempo. Quest’ultimo aspetto

Immagine 6: Lacerti di affreschi, Chiesa di Santa Maria del Lago, Moscufo (Pe), Foto © Gino Di Paolo

13 Grimsley, «Kierkegaard and Descartes» cit., p. 36. 14 Cf. DM, 47-48, AT VI 4. 15 Sia quella rivolta alla Facoltà di Teologiadi Parigi (Descartes, Méditations métaphysiques cit., pp. 35-40) che quella rivolta al lettore (ivi, pp. 41-44).

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è particolarmente evidente nel caso delle Meditazio-ni metafisiche. Le prefazioni alle diverse edizioni ma-nifestano la chiara volontà di fondare una tradizio-ne, una vera e propria scuola15. Non soltanto quindil’appello a sanzionare l’autorità del proprio pensie-ro ai professori della Sorbona16, ma pure la formaconclusiva, definitoria e totalizzante con la quale leMeditazioni sono proposte è inequivocabile. Difat-ti per Cartesio le Meditazioni non andrebbero stam-pate né lette separabilmente dalle Obiezioni e dalleRisposte (alleObiezioni)17. Il lettore dovrebbe seguirelo sviluppo in vivo delle Meditazioni per poi studia-re le Obiezioni contro le Meditazioni inviate a Car-tesio e infine le risposte del filosofo. Per Cartesio ilcomplesso letterario e di pensiero costituisce una ve-ra e propria summa in quanto leMeditazioni hannodetto tutto quanto c’è da dire inmetafisica18, leObie-zioni hanno obiettato tutto quanto c’è da obiettaree le Risposte hanno risolto tutto ciò che le Obiezio-ni avevano revocato in dubbio. In questo senso Jo-hannes evidenzia legittimamente un’ambiguità del-la filosofia moderna che, mentre vanta il sorgere del-la coscienza e della soggettività che con la pratica deldubbio revoca ogni conoscenza, allo stesso tempo in-tende fondare una nuova tradizione con una nuovaautorità.

Questo testamentofilosoficohaun carattere aper-tamente contraddittorio che può spiegare la varietàdei cammini seguiti da coloro che si rifanno al nuo-vo inizio della filosofia, in modo da caratterizzarele loro ricerche come il dispiegamento sistematico-dialettico di questo nuovo cominciamento. D’altraparte tale lascito configura soprattutto un nuovorapporto del singolo alla verità tramite la duplice esi-genza del dubbio come atto personale e dell’iscrizio-ne della ricerca in una nuova tradizione19. Un pas-so dell’opera di Kierkegaard La malattia mortaleche illustra una delle forme dell’io disperato puòessere istruttivo della nuova situazione in cui è po-sto il singolo che assume il testamento ambiguo econtraddittorio suddetto.

Per voler essere disperatamente se stessi, vi deve es-

sere consapevolezza di un io infinito. Quest’io in-finito, però, è soltanto la forma più astratta, la pos-sibilità più astratta dell’io. Ed èquesto l’io che l’uo-mo disperatamente vuol essere, strappando l’ioda ogni rapporto con una potenza che l’ha posto,o staccandolo dall’idea che esista una tale poten-za. Con questa forma infinita l’io vuole dispera-tamente disporre di se stesso o creare se stesso, fa-re del suo io quell’io che l’uomo vuol essere, deci-dere che cosa vuole o non vuole essere nel suo ioconcreto. Il suo io concreto o la sua concrezioneha necessità e limiti, essendoquest’individuo com-pletamente determinato con queste facoltà, que-st’indole, ecc., nella concrezione di questi rappor-ti, ecc.Mamediante quella forma infinita ch’è l’ionegativo, egli dapprima si mette a trasformare tut-to l’io concreto per poi cavarne fuori un io com’e-gli lo vuole, prodottomediante la forma dell’io ne-gativo – e così vuol essere se stesso. In altre paroleegli vuole cominciare un po’ prima degli altri uo-mini, non col suo principio, ma “nel suo princi-pio”; non vuole indossare il suo io, non vuole ve-dere nell’io datogli il suo compitoma,mediante lasua forma infinita, se lo vuole costruire da sé20.

Questo brano densissimo fa parte della sezioneconclusiva della prima parte de La malattia morta-le, interamente dedicata alle forme della disperazio-ne. Tali forme vengono esposte e analizzate secondodiverse determinazioni concettuali e dialettiche, mala chiarificazione decisiva giunge osservandole ed or-dinandole secondo il criterio della coscienza: «dallaquestione se la disperazione sia cosciente o no dipen-de la differenza qualitativa fra disperazione e dispe-razione […]. La coscienza, dunque, è il criterio deci-sivo»21, ed è decisivo in maniera che quanto più viè coscienza (di essere disperati) tanto più vi è dispe-razione. La stranezza di questa crescita direttamen-te proporzionale corrisponde ai due concetti centra-li. Primo il concetto di spirito: per Anti-Climacus lospirito è l’io e l’io è il rapportarsi a sé del rapportoche l’uomo come sintesi è. Secondo, il concetto del-la disperazione, che è «un rapporto falso in un rap-

16 Cf. Descartes R., Méditations métaphysiques, 39-40. 17 Cf. idem, Méditations métaphysiques cit., p. 44. 18 «E dirò cheesse [le ragioni/dimostrazioni contenute nelle Meditazioni] sono tali, che non penso vi sia alcuna via per la quale lo spirito umanopossa mai trovarne di migliori» (ivi, p. 37: lettera alla Facoltà di Teologia). 19 Husserl ha interpretato precisamente l’interamodernità come un compito iniziato da Cartesio nelle Meditazioni: l’esplorazione del mondo del soggetto e il dispiegamento delsenso del mondo ad opera della ragione. Cf. Edmund Husserl, Méditations cartesiennes, Vrin, Paris 2008 e Edmund Husserl, Lacrisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di Enrico Filippini, Est, 90, Il Saggiatore,Milano 1997, 548 pp.;orig. dal tedesco. Die Krisis der Europäischen Wissenschaften und die Transzendentale Phänomenologie. Eine Einleitung in diePhänomenologische Philosophie, 1936 rispettivamente. 20 Søren Kierkegaard, La malattia mortale, SE Editrice, Milano 2008,p. 66; d’ora innanzi citato come LMM seguito dal numero della pagina. 21 LMM, 31. 22 LMM, 18.

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porto che si mette in rapporto con se stesso, essendostato posto da un altro»22; tale concetto si chiarisceanche meglio e contrario: la formula che descrive latotale assenza di disperazione«equivale alla formuladella fede: mettendosi in rapporto con se stesso e vo-lendo essere se stesso, l’io si fonda trasparente nellapotenza che l’ha posto»23. Quindi la crescita di co-scienza rispetto al proprio io come rapportarsi a séin quanto posto da un altro significa la crescita dellacoscienza dell’eterno che ènell’uomoeperciò la com-piutezza della disperazione che dispera dello spiritoe non soltanto di una condizione psicologica. Infat-ti la coscienza significa che la falsità del rapportarsidel disperato raggiunge l’acme delle potenzialità del-lo spirito e perciò mentre sembra più vicino alla gua-rigione (chi non è cosciente del rapportarsi a sé, del-l’eterno ch’è nell’uomo e della potenza che ha postol’io non è uno spirito né un io) in realtà vi è più lonta-no24. L’apice delle forme della disperazione è in con-seguenza il demoniaco, che è l’ostinazione di voleressere disperatamente se stessi contro l’eterno che ciha posti25.

Immediatamente precedente al demoniaco si si-tua la forma che il filosofo danese descrive nel nostrobrano.Quest’io disperatamente ostinato è caratteriz-zato dalla piena consapevolezza di essere un io infini-to, ma inteso in senso puramente (e infinitamente)negativo: è voler essere l’io infinito nella forma piùastratta possibile. L’infinità di quest’io è puramen-te negativa in quanto esso vuole ri-costruire se stes-so nella propria concretezza staccandosi, anzi strap-pando se stesso, dalla potenza che lo ha posto e daogni rapporto possibile con essa. Con un’espressio-ne e un gioco di parole particolarmente felice Kier-kegaard afferma che «egli vuole cominciare un po’prima degli altri uomini, non col suo principio, ma“nel principio”»26: quest’io vuole ricreare se stesso,trasformando l’insieme articolato di possibilità, in-clinazioni e rapporti che costituiscono la necessità eil limite proprii di ogni io. L’io kierkegaardiano inquesta forma della disperazione è anche un io titani-co, prometeico, che vuole esplicitamente staccarsi daogni rapporto con la potenza che lo ha posto e allostesso tempo ricreare se stesso in una nuova Genesi,una sorta di terza riscrittura dell’incipit delle Scrittu-re, dopo Genesi e Giovanni: “in principio era l’io”.Questa ri-creazione si svolge lungo due linee chia-

ramente distinte, ma intrecciate. L’io cosciente allamassima potenza della sua disperazione vuole e devecostruire ab imo la sua concretezza inmaniera tale dapoter dire di esser nato in presenza di sé e per la pro-pria azione. Lo stesso io deve negare la potenza chelo ha posto oppure, più precisamente, che la potenzache lo ha posto sia la potenza che lo ha posto27: nonun gioco di parole, ma precisamente l’annullamentodella posizione dell’io da parte della potenza in que-stione grazie al fatto che l’io ha posto se stesso ed orala potenza che lo ha posto non è più la potenza che loha posto, sostituita dall’io. È un potenziamento del-l’esigenza che l’io nella sua concrezione sia ri-creatodall’io stesso presente nel principio della creazione disé.

Questa situazione dell’io sembra corrispondere adiversi esiti filosofici ed esistenziali della modernitàe della post-modernità per i quali l’io, in forma col-lettiva od individuale, va ricreato per via scientifica ogiuridico-attualistica. L’eredità della modernità è uncompito che esige il dubbio come potenza negativacapace di tagliare ogni rapporto di derivazione e al-lo stesso tempo la fondazione di una nuova catenadi derivazione. Se vissuto con tutto il pathos dell’e-sistenza questo compito, per Johannes quintessenzadella filosofia moderna, porta del filosofare e quin-di porta della verità per il singolo esistente, conducel’uomo ad una delle forme più alte della disperazio-ne. Esso infatti si può attuare soltanto, come abbia-mo visto, nella negazione di tutti i rapporti che costi-tuiscono l’io nella sua concretezza, fino al rapportodecisivo: quello con la potenza che ha posto l’io. PerKierkegaard l’errore di Cartesio stava nell’aver postol’inizio nel negativo al contrario della filosofia anticache invece aveva scelto la meraviglia ovvero un posi-tivo senza un opposto28. La suggestione kierkegaar-diana rimane valida nella misura in cui la meravigliasi configura come un atto personale che esige il rico-noscimento come atto del singolo e quindi la sua li-bertà e allo stesso tempo esige il riconoscimento diuna derivazione. Un compito mai esaurito e quindiin grado di animare il pathos di ogni singolo esistentee allo stesso tempo di fondare una catena di rapportinonnecessitati,ma fondati sulmutuo riconoscimen-to tra le generazioni di ricercatori e, potenzialmen-te, un fondarsi «trasparente nella potenza che l’haposto».

23 LMM, 49 (ma cf. anche 18). 24 Cf. LMM, 65. 25 Cf. LMM, 68-71: la genesi e la forma del demoniaco. Esso è la massimacoscienza e l’elevazione a potenza della disperazione. (ivi, 71). 26 LMM, 66. 27 Oppure accusare la potenza che lo ha posto facen-do della propria esistenza quest’atto di accusa con il rifiutare ogni aiuto dall’alto precisamente per poter accusare con cognizionedi effetto la potenza stessa. Questo è però il grado estremo del demoniaco, la forma ultima e più alta di disperazione. Cf. LMM,69-71. 28 Cf. Grimsley, «Kierkegaard and Descartes» cit., pp. 40-41.

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