UNA VITA VISSUTA IN CANADA di Gina Barile
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Transcript of UNA VITA VISSUTA IN CANADA di Gina Barile
Montreal chiama Campodipietra
Una vita vissuta in Canada
Scritto da Gina Barile
Nel 1957, mia mamma, Maria Nicola Spina, aveva 28 anni ed io ne avevo 8
quando abbiamo lasciato il nostro piccolo paese di Campodipietra per andare a
vivere in Canada, nella città di Montreal, situata nella provincia di Quebec, dove
il francese era e rimane la lingua madre per l’82% degli abitanti, contro il 10%
dell’ingelse. L’anno prima, all’età di 40 anni, mio padre Giovanni Barile ci ha
preceduto con l’intenzione di trovare un lavoro e facilitare il nostro arrivo. In
Montreal, lui abitava in un apparta
Elmerinda, il suo marito Zio Emilio ed i loro due piccoli figli. Era previsto che
anche io e mamma dovevamo vivere lì, sette persone in un appartamento. Io non
ero consapevole di questi arrangiamenti. L'unica
riuniavamo con papà, mai immaginando di non tornare più in Italia.
Diverso da molti italiani del sud che hanno immigrato nel Canada a causa di
motivi economici, i miei genitori hanno lasciato l'Italia a causa dei litigi ince
con il fratello di papa e sua moglie, che erano inoltre i nostri vicini di casa. Per
mio padre l'unica soluzione per avere un po’ di pace sia stata di lasciare il paese.
Per mamma, lasciare l’Italia era ancora
genitori Nonno Giuseppe e Nonna Rosa, al suo fratello Zio Nicola e sua moglie
Zia Teresa, ed i suoi nipoti Pinuccio e Antonio, come pure la sua cara Zia Patela e
le sue amiche che aveva conosciuto tutta la sua vita. Inoltre amava anche i suoi
suoceri Nonno Domenicangelo e Nonna Maria Luigia che su sei dei loro figli, con
Montreal chiama Campodipietra
Prima puntata
Nave Vulcania
el 1957, mia mamma, Maria Nicola Spina, aveva 28 anni ed io ne avevo 8
quando abbiamo lasciato il nostro piccolo paese di Campodipietra per andare a
vivere in Canada, nella città di Montreal, situata nella provincia di Quebec, dove
la lingua madre per l’82% degli abitanti, contro il 10%
dell’ingelse. L’anno prima, all’età di 40 anni, mio padre Giovanni Barile ci ha
preceduto con l’intenzione di trovare un lavoro e facilitare il nostro arrivo. In
Montreal, lui abitava in un appartamento sul terzo piano con la sua sorella Zia
Elmerinda, il suo marito Zio Emilio ed i loro due piccoli figli. Era previsto che
anche io e mamma dovevamo vivere lì, sette persone in un appartamento. Io non
ero consapevole di questi arrangiamenti. L'unica cosa che io pensavo era che ci
con papà, mai immaginando di non tornare più in Italia.
Diverso da molti italiani del sud che hanno immigrato nel Canada a causa di
motivi economici, i miei genitori hanno lasciato l'Italia a causa dei litigi ince
con il fratello di papa e sua moglie, che erano inoltre i nostri vicini di casa. Per
mio padre l'unica soluzione per avere un po’ di pace sia stata di lasciare il paese.
Per mamma, lasciare l’Italia era ancora più difficile. Lei era molto vicina
genitori Nonno Giuseppe e Nonna Rosa, al suo fratello Zio Nicola e sua moglie
Zia Teresa, ed i suoi nipoti Pinuccio e Antonio, come pure la sua cara Zia Patela e
le sue amiche che aveva conosciuto tutta la sua vita. Inoltre amava anche i suoi
ceri Nonno Domenicangelo e Nonna Maria Luigia che su sei dei loro figli, con
el 1957, mia mamma, Maria Nicola Spina, aveva 28 anni ed io ne avevo 8
quando abbiamo lasciato il nostro piccolo paese di Campodipietra per andare a
vivere in Canada, nella città di Montreal, situata nella provincia di Quebec, dove
la lingua madre per l’82% degli abitanti, contro il 10%
dell’ingelse. L’anno prima, all’età di 40 anni, mio padre Giovanni Barile ci ha
preceduto con l’intenzione di trovare un lavoro e facilitare il nostro arrivo. In
mento sul terzo piano con la sua sorella Zia
Elmerinda, il suo marito Zio Emilio ed i loro due piccoli figli. Era previsto che
anche io e mamma dovevamo vivere lì, sette persone in un appartamento. Io non
cosa che io pensavo era che ci
con papà, mai immaginando di non tornare più in Italia.
Diverso da molti italiani del sud che hanno immigrato nel Canada a causa di
motivi economici, i miei genitori hanno lasciato l'Italia a causa dei litigi incessanti
con il fratello di papa e sua moglie, che erano inoltre i nostri vicini di casa. Per
mio padre l'unica soluzione per avere un po’ di pace sia stata di lasciare il paese.
più difficile. Lei era molto vicina ai suoi
genitori Nonno Giuseppe e Nonna Rosa, al suo fratello Zio Nicola e sua moglie
Zia Teresa, ed i suoi nipoti Pinuccio e Antonio, come pure la sua cara Zia Patela e
le sue amiche che aveva conosciuto tutta la sua vita. Inoltre amava anche i suoi
ceri Nonno Domenicangelo e Nonna Maria Luigia che su sei dei loro figli, con
la nostra partenza, solo uno rimaneva in Italia con la sua piccola famiglia. Nonno
Domenicangelo persino ha chiesto a mamma di proporre alle loro figlie, Zia
Elmerinda e Zia Anna Maria in Montreal, di farli l’atto di richiamo. Questo non è
stato possibile. Nessuno aveva abbastanza soldi o spazio per accomodarli.
Infatti, papà non ci mandava soldi dal Canada perchè non guadagnava molto e
doveva pagare l’affitto alla sorella. M
per la nave vendendo la raccolta dell'anno e con i soldi
Rosa. Mamma era felice in Italia perchè li piaceva molto la vita che faceva. I
terreni si lavoravono soltanto durante certe stagi
rimaneva a casa. Naturalmente mamma non ha lavorato mai la terra, era mio
padre che si occupava. Quando papà non c’era, Nonno Giuseppe era là prestare
una mano. Per di più mamma impiegava lavoratori di giorno.
Nonna Rosa ha provato a dissuaderla di partire dicendo che una
volta nel Canada, doveva fare la serva per il resto della sua vita.
Per mamma non c’era scelta, era importante di seguire suo marito.
Nonostante, si è sentita sempre colpevole di avere lasciato i suoi
genitori e parenti. Adesso, a 83 anni, ancora si ricorda con molto
dolore la notte che siamo partiti quando suo padre con lacrime al
viso la implorava di restare. Dopo i nostri addii a tutta la famiglia
e parenti e accompagnate da Zio Nicola e mio cugino
pulman ci ha portati a Campobasso dove abbiamo preso il treno per Napoli.
Siamo arrivati la mattina al porto dove ci aspettava la nave chiamata Vulcania.
Un ultimo saluto e ci siamo imbarcati sulla nave. E così abbiamo lasciato
nostra cara famiglia, la nosta casa, la nostra campagna, il nostro paese, la nostra
patria per affrontare un futuro incerto.
Una volta sulla nave, un uomo ci ha indicati dove era la nostra cabina, una stanza
piccolissima quadrupla (letti uno sopra l’al
oblò) collocata nel ponte più basso della nave e senza bagno. C’erano altre due
donne nella stessa cabina. Appena la nave ha lasciato il porto, mamma si è
ammalata di mare ed è rimasta così per il resto del viaggio che
giorni. Io sono rimasta sola ad arrangiarmi come potevo. La sola immagine che
mi rimane di quel viaggio è io seduta per terra nel corridoio davanti la nostra
cabina. L'8 aprile 1957 siamo arrivati a Halifax, Nuova Scozia, al pilastro Pie
Faceva freddo. Scesi dalla nave, i passeggeri sono stati processati dai funzionari
d’immigrazione e messi immediatamente sui treni per l’ultime destinazioni. Non
c’era calore sul treno. Seduti su banchi duri e guardando fuori dal finestrino, si
la nostra partenza, solo uno rimaneva in Italia con la sua piccola famiglia. Nonno
Domenicangelo persino ha chiesto a mamma di proporre alle loro figlie, Zia
Maria in Montreal, di farli l’atto di richiamo. Questo non è
stato possibile. Nessuno aveva abbastanza soldi o spazio per accomodarli.
Infatti, papà non ci mandava soldi dal Canada perchè non guadagnava molto e
doveva pagare l’affitto alla sorella. Mamma ha dovuto comprare i nostri biglietti
per la nave vendendo la raccolta dell'anno e con i soldi che gli aveva dati Nonna
Mamma era felice in Italia perchè li piaceva molto la vita che faceva. I
terreni si lavoravono soltanto durante certe stagioni. In periodi invernali, si
Naturalmente mamma non ha lavorato mai la terra, era mio
padre che si occupava. Quando papà non c’era, Nonno Giuseppe era là prestare
una mano. Per di più mamma impiegava lavoratori di giorno.
ha provato a dissuaderla di partire dicendo che una
volta nel Canada, doveva fare la serva per il resto della sua vita.
Per mamma non c’era scelta, era importante di seguire suo marito.
Nonostante, si è sentita sempre colpevole di avere lasciato i suoi
genitori e parenti. Adesso, a 83 anni, ancora si ricorda con molto
dolore la notte che siamo partiti quando suo padre con lacrime al
viso la implorava di restare. Dopo i nostri addii a tutta la famiglia
e parenti e accompagnate da Zio Nicola e mio cugino Pinuccio di sei anni, il
pulman ci ha portati a Campobasso dove abbiamo preso il treno per Napoli.
Siamo arrivati la mattina al porto dove ci aspettava la nave chiamata Vulcania.
Un ultimo saluto e ci siamo imbarcati sulla nave. E così abbiamo lasciato
nostra cara famiglia, la nosta casa, la nostra campagna, il nostro paese, la nostra
patria per affrontare un futuro incerto.
Una volta sulla nave, un uomo ci ha indicati dove era la nostra cabina, una stanza
piccolissima quadrupla (letti uno sopra l’altro), dalla posizione esterna (con
oblò) collocata nel ponte più basso della nave e senza bagno. C’erano altre due
donne nella stessa cabina. Appena la nave ha lasciato il porto, mamma si è
ammalata di mare ed è rimasta così per il resto del viaggio che
giorni. Io sono rimasta sola ad arrangiarmi come potevo. La sola immagine che
mi rimane di quel viaggio è io seduta per terra nel corridoio davanti la nostra
cabina. L'8 aprile 1957 siamo arrivati a Halifax, Nuova Scozia, al pilastro Pie
Faceva freddo. Scesi dalla nave, i passeggeri sono stati processati dai funzionari
d’immigrazione e messi immediatamente sui treni per l’ultime destinazioni. Non
c’era calore sul treno. Seduti su banchi duri e guardando fuori dal finestrino, si
la nostra partenza, solo uno rimaneva in Italia con la sua piccola famiglia. Nonno
Domenicangelo persino ha chiesto a mamma di proporre alle loro figlie, Zia
Maria in Montreal, di farli l’atto di richiamo. Questo non è
stato possibile. Nessuno aveva abbastanza soldi o spazio per accomodarli.
Infatti, papà non ci mandava soldi dal Canada perchè non guadagnava molto e
amma ha dovuto comprare i nostri biglietti
che gli aveva dati Nonna
Mamma era felice in Italia perchè li piaceva molto la vita che faceva. I
oni. In periodi invernali, si
Naturalmente mamma non ha lavorato mai la terra, era mio
padre che si occupava. Quando papà non c’era, Nonno Giuseppe era là prestare
una mano. Per di più mamma impiegava lavoratori di giorno.
ha provato a dissuaderla di partire dicendo che una
volta nel Canada, doveva fare la serva per il resto della sua vita.
Per mamma non c’era scelta, era importante di seguire suo marito.
Nonostante, si è sentita sempre colpevole di avere lasciato i suoi
genitori e parenti. Adesso, a 83 anni, ancora si ricorda con molto
dolore la notte che siamo partiti quando suo padre con lacrime al
viso la implorava di restare. Dopo i nostri addii a tutta la famiglia
Pinuccio di sei anni, il
pulman ci ha portati a Campobasso dove abbiamo preso il treno per Napoli.
Siamo arrivati la mattina al porto dove ci aspettava la nave chiamata Vulcania.
Un ultimo saluto e ci siamo imbarcati sulla nave. E così abbiamo lasciato la
nostra cara famiglia, la nosta casa, la nostra campagna, il nostro paese, la nostra
Una volta sulla nave, un uomo ci ha indicati dove era la nostra cabina, una stanza
tro), dalla posizione esterna (con
oblò) collocata nel ponte più basso della nave e senza bagno. C’erano altre due
donne nella stessa cabina. Appena la nave ha lasciato il porto, mamma si è
ammalata di mare ed è rimasta così per il resto del viaggio che ha durato sette
giorni. Io sono rimasta sola ad arrangiarmi come potevo. La sola immagine che
mi rimane di quel viaggio è io seduta per terra nel corridoio davanti la nostra
cabina. L'8 aprile 1957 siamo arrivati a Halifax, Nuova Scozia, al pilastro Pier 21.
Faceva freddo. Scesi dalla nave, i passeggeri sono stati processati dai funzionari
d’immigrazione e messi immediatamente sui treni per l’ultime destinazioni. Non
c’era calore sul treno. Seduti su banchi duri e guardando fuori dal finestrino, si
vedevano solo piccole case di legno coperte in montagne di neve. A quel
momento, io e mamma non eravamo molto impalate dal nostro nuovo paese.
Qualcuno ci ha dato due pezzi di pane con un formaggio arancio e prosciutto
cotto avvolto in plastica. Il pane
sapore di gesso. Avevamo fame e l’abbiamo mangiato. L’acqua che ci davano
era neve fusa.
La mattina dopo siamo arrivati a Montreal, stanchi, freddi ed affamati. C’era
pochissima neve a Montreal. Mio padre ed i
hanno incontrati alla stazione. Eravamo così felici di vederli. Non ricordiamo
come siamo arrivati all'appartamento di zia. In quei tempi, nessuno dei parenti
aveva un automobile e non credo che avevano soldi per prender
Nonostante, una volta arrivati all’appartamento di Zia Elmerinda, non avevamo
più freddo. L'appartamento era composto di una grande
cucina con una stufa ed un frigorifico bianco ed un
lavandino, delle cose che io e mamma non avevamo mai
visto
troppo lontano, c’era anche una stufa a olio che
riscaldava l’appartamento. Affiancato al lungo corridoio,
c’era la prima stanza vicino la cucina dove dormivano
mamma e papà, poi c’era la stanza dei zi
anche una televisione in un mobiletto con porte che si
chiudevano a chiave. La sera, il salone diventava una
stanza da letto per me ed i miei due cugini. Tre piccolo lettini si aprivano la sera
e si chiudevano la mattina. Il salone aveva un
dove passavano molte machine e carri. In tempo, mi sono abituata al constante
rumore. Dalla cucina, si usciva su un lungo balcone che veniva ripartito con
l'appartamento adiacente. Aveva una scala a spirale di metallo che
vicolo dove i bambini dei numerosi appartamenti lungo la strada potevano
giocare.
Mamma aveva imballato due valigie per i nostri vestiti come pure un baul
conteneva brocche e padelle, piatti, tazze, una grande latta dell'olio di oliva,
salsa di pomodoro fatta di casa e salsicce. Il baule è arrivato tre giorni dopo di
noi con tutte le serrature disfatte e la maggior parte della porcellana rotta.
La cucina nell’appartamento è stata ripartita fra zia e mamma. Ciascuno
preparava i loro propri pasti per le loro famiglie. I pasti si preparavano come in
edevano solo piccole case di legno coperte in montagne di neve. A quel
momento, io e mamma non eravamo molto impalate dal nostro nuovo paese.
Qualcuno ci ha dato due pezzi di pane con un formaggio arancio e prosciutto
cotto avvolto in plastica. Il pane era quadrato e bianco come la neve con un
sapore di gesso. Avevamo fame e l’abbiamo mangiato. L’acqua che ci davano
La mattina dopo siamo arrivati a Montreal, stanchi, freddi ed affamati. C’era
a Montreal. Mio padre ed il suo cugino Michele Paventi ci
hanno incontrati alla stazione. Eravamo così felici di vederli. Non ricordiamo
come siamo arrivati all'appartamento di zia. In quei tempi, nessuno dei parenti
aveva un automobile e non credo che avevano soldi per prender
Nonostante, una volta arrivati all’appartamento di Zia Elmerinda, non avevamo
più freddo. L'appartamento era composto di una grande
cucina con una stufa ed un frigorifico bianco ed un
lavandino, delle cose che io e mamma non avevamo mai
visto. Il bagno con vasca si trovava vicino la cucina. Non
troppo lontano, c’era anche una stufa a olio che
riscaldava l’appartamento. Affiancato al lungo corridoio,
c’era la prima stanza vicino la cucina dove dormivano
mamma e papà, poi c’era la stanza dei zi
anche una televisione in un mobiletto con porte che si
chiudevano a chiave. La sera, il salone diventava una
stanza da letto per me ed i miei due cugini. Tre piccolo lettini si aprivano la sera
e si chiudevano la mattina. Il salone aveva un balcone che dava su una strada
dove passavano molte machine e carri. In tempo, mi sono abituata al constante
rumore. Dalla cucina, si usciva su un lungo balcone che veniva ripartito con
l'appartamento adiacente. Aveva una scala a spirale di metallo che
vicolo dove i bambini dei numerosi appartamenti lungo la strada potevano
Mamma aveva imballato due valigie per i nostri vestiti come pure un baul
conteneva brocche e padelle, piatti, tazze, una grande latta dell'olio di oliva,
salsa di pomodoro fatta di casa e salsicce. Il baule è arrivato tre giorni dopo di
noi con tutte le serrature disfatte e la maggior parte della porcellana rotta.
La cucina nell’appartamento è stata ripartita fra zia e mamma. Ciascuno
propri pasti per le loro famiglie. I pasti si preparavano come in
edevano solo piccole case di legno coperte in montagne di neve. A quel
momento, io e mamma non eravamo molto impalate dal nostro nuovo paese.
Qualcuno ci ha dato due pezzi di pane con un formaggio arancio e prosciutto
era quadrato e bianco come la neve con un
sapore di gesso. Avevamo fame e l’abbiamo mangiato. L’acqua che ci davano
La mattina dopo siamo arrivati a Montreal, stanchi, freddi ed affamati. C’era
l suo cugino Michele Paventi ci
hanno incontrati alla stazione. Eravamo così felici di vederli. Non ricordiamo
come siamo arrivati all'appartamento di zia. In quei tempi, nessuno dei parenti
aveva un automobile e non credo che avevano soldi per prendere un tassì.
Nonostante, una volta arrivati all’appartamento di Zia Elmerinda, non avevamo
più freddo. L'appartamento era composto di una grande
cucina con una stufa ed un frigorifico bianco ed un
lavandino, delle cose che io e mamma non avevamo mai
Il bagno con vasca si trovava vicino la cucina. Non
troppo lontano, c’era anche una stufa a olio che
riscaldava l’appartamento. Affiancato al lungo corridoio,
c’era la prima stanza vicino la cucina dove dormivano
mamma e papà, poi c’era la stanza dei zii dove c’era
anche una televisione in un mobiletto con porte che si
chiudevano a chiave. La sera, il salone diventava una
stanza da letto per me ed i miei due cugini. Tre piccolo lettini si aprivano la sera
balcone che dava su una strada
dove passavano molte machine e carri. In tempo, mi sono abituata al constante
rumore. Dalla cucina, si usciva su un lungo balcone che veniva ripartito con
l'appartamento adiacente. Aveva una scala a spirale di metallo che conduceva al
vicolo dove i bambini dei numerosi appartamenti lungo la strada potevano
Mamma aveva imballato due valigie per i nostri vestiti come pure un baule che
conteneva brocche e padelle, piatti, tazze, una grande latta dell'olio di oliva,
salsa di pomodoro fatta di casa e salsicce. Il baule è arrivato tre giorni dopo di
noi con tutte le serrature disfatte e la maggior parte della porcellana rotta.
La cucina nell’appartamento è stata ripartita fra zia e mamma. Ciascuno
propri pasti per le loro famiglie. I pasti si preparavano come in
Italia di cui gli ingredienti venivano comprati da un negozio vicino casa dove il
proprietario era di origine Italiano. Lui faceva venire i suoi prodotti dall’Italia.
Per frutta e verdure freschi ed a quantità c’era sempre il grande mercato Jean
Talon nella Piccola Italia che esiste ancora oggi. Le grande pagnotte di pane,
tipo Italiano, fatte da un forno chiamato Margherita Pizza venivano consegnate
davanti alla porta del nostro appartam
il latte in grande bottiglie di vetro che ci portava un lattaio. Il forno Margherita
Pizza, fondato nel 1910, continua a servire la comunità italiana e quebechese.
Italia di cui gli ingredienti venivano comprati da un negozio vicino casa dove il
proprietario era di origine Italiano. Lui faceva venire i suoi prodotti dall’Italia.
freschi ed a quantità c’era sempre il grande mercato Jean
Talon nella Piccola Italia che esiste ancora oggi. Le grande pagnotte di pane,
tipo Italiano, fatte da un forno chiamato Margherita Pizza venivano consegnate
davanti alla porta del nostro appartamento due volte la settimana così come pure
il latte in grande bottiglie di vetro che ci portava un lattaio. Il forno Margherita
Pizza, fondato nel 1910, continua a servire la comunità italiana e quebechese.
Continua con la prossima puntata
Italia di cui gli ingredienti venivano comprati da un negozio vicino casa dove il
proprietario era di origine Italiano. Lui faceva venire i suoi prodotti dall’Italia.
freschi ed a quantità c’era sempre il grande mercato Jean-
Talon nella Piccola Italia che esiste ancora oggi. Le grande pagnotte di pane,
tipo Italiano, fatte da un forno chiamato Margherita Pizza venivano consegnate
ento due volte la settimana così come pure
il latte in grande bottiglie di vetro che ci portava un lattaio. Il forno Margherita
Pizza, fondato nel 1910, continua a servire la comunità italiana e quebechese.
Continua con la prossima puntata…arrivederci!