Una storia di involuzione politica

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Piccoli cesare contro la democrazia partecipativa. Una storia di involuzione politica nel territorio aponense. L'arroganza della maggioranza di giunta aponense è pari alla boria imperiale di alcuni suoi rappresentanti, fra tutti Luca Claudio. Il piccolo cesare de 'nialtri, una sorta di incrocio tra un sylvester stallone raggrinzito e il montezemolo dei poveri, sembra infatti intenzionato a fare ad Abano Terme ciò che ha già sperimentato in passato - ahìnoi con effetti nefasti- a Montegrotto: imporre la sua politica di stampo monarchico-mussoliniano alla cittadinanza. Favorito dall'assenso dei suoi fedeli colleghi di coalizione, mai domi nell'applaudirlo e ostentargli la loro silenziosa subordinazione, il primo cittadino aponenese accentra il potere, zittisce il dissenso politico e non ascolta. Né le istanze dell'opposizione che siede in consiglio comunale, né quelle espresse dai cittadini (sia come singoli, che come gruppi, comitati, associazioni, etc.). Ne abbiamo avuto palese dimostrazione, come se ce ne fosse ancora bisogno, durante il consiglio comunale del 10 luglio 2014, quando il consiglio guidato da claudio ha represso una sacrosanta manifestazione di protesta. Poco prima del consiglio, infatti, una trentina di cittadini, con il sostegno e la presenza di ben undici associazioni, si sono radunati di fronte al Teatro Magnolia di Via Alessandro Volta, sede del consiglio comunale di Abano Terme, per manifestare pacificamente il loro dissenso contro l’ordine di abbattimento di circa duecento alberi sani. La manifestazione, regolarmente autorizzata dalla Questura di Padova, rappresentava il culmine di una recente mobilitazione portata avanti da alcuni gruppi ambientalisti e da diverse sigle rappresentanti il settore turistico-alberghiero termale, ed aveva l'obiettivo di impedire l'abbattimento degli alberi. Si chiedeva cioè una sospensione dei lavori, un ripensamento della reale utilità di questa scelta e l'eventuale cancellazione della delibera d'abbattimento. Tra i manifestanti presenti al teatro, inoltre, c'erano anche il videomaker indipendente Massimo Marco Rossi e Francesco Bonsembiante – produttore cinematografico di vari film tra cui Io sono Li - i quali si apprestavano a riprendere la seduta del consiglio, di cui uno dei punti all'ordine del giorno era proprio il piano di abbattimento degli alberi. Ai due cineasti però, non solo è stato impedito di filmare il consiglio, in quanto sprovvisti delle previste autorizzazioni, ma in un clima che non esitiamo a definire pesante, se non sfacciatamente intimidatorio, gli è stato imposto di mettere via le telecamere. Il presidente del consiglio comunale Michele Galesso, infatti, dopo aver ribadito che stando al regolamento comunale sono ammesse le riprese delle sedute consiliari solo previa autorizzazione, ha addirittura fatto allontanare Bonsembiante dal teatro, chiedendo persino agli agenti di polizia di identificarlo. La colpa di Bonsembante, a detta di Galasso, era di riprendere la seduta con il telefono cellulare. Come se informare I cittadini fosse una colpa da punire. Un'eresia intollerabile. Questo atteggiamento repressivo, figlio di un pensiero politico liberticida, è perdurato nonostante lo sforzo dei consiglieri d'opposizione Bano, Pege e Camani, i quali hanno provato a difendere gli intrepidi produttori televisivi, spiegando a Galasso l'importanza che riveste l'informazione libera in una democrazia contemporanea. Niente da fare, il ferreo presidente del consiglio comunale, preciso come un cucù svizzero, ha ribadito che il regolamento non ammetteva queste pratiche. E come se non bastasse, è notizia degli ultimi giorni che l'amministrazione sta pensando di denunciare Massimo Rossi. La sua invece, di colpa, sarebbe quella di aver pubblicato su youtube una parte della seduta incriminata (https://www.youtube.com/watch?v=YwQcPR6pO5A). Ora. Al di là del fatto che fare le riprese fosse legittimo oppure no, la domanda che dovrebbe

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Consiglio comunale di Abano Terme (PD) del 10 luglio 2014: repressa una manifestazione di protesta contro l’ordine di abbattimento di circa duecento alberi sani.

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Piccoli cesare contro la democrazia partecipativa. Una storia di involuzione politica nel territorio aponense.

L'arroganza della maggioranza di giunta aponense è pari alla boria imperiale di alcuni suoi rappresentanti, fra tutti Luca Claudio. Il piccolo cesare de 'nialtri, una sorta di incrocio tra un sylvester stallone raggrinzito e il montezemolo dei poveri, sembra infatti intenzionato a fare ad Abano Terme ciò che ha già sperimentato in passato - ahìnoi con effetti nefasti- a Montegrotto: imporre la sua politica di stampo monarchico-mussoliniano alla cittadinanza.Favorito dall'assenso dei suoi fedeli colleghi di coalizione, mai domi nell'applaudirlo e ostentargli la loro silenziosa subordinazione, il primo cittadino aponenese accentra il potere, zittisce il dissenso politico e non ascolta. Né le istanze dell'opposizione che siede in consiglio comunale, né quelle espresse dai cittadini (sia come singoli, che come gruppi, comitati, associazioni, etc.). Ne abbiamo avuto palese dimostrazione, come se ce ne fosse ancora bisogno, durante il consiglio comunale del 10 luglio 2014, quando il consiglio guidato da claudio ha represso una sacrosanta manifestazione di protesta.

Poco prima del consiglio, infatti, una trentina di cittadini, con il sostegno e la presenza di ben undici associazioni, si sono radunati di fronte al Teatro Magnolia di Via Alessandro Volta, sede del consiglio comunale di Abano Terme, per manifestare pacificamente il loro dissenso contro l’ordine di abbattimento di circa duecento alberi sani. La manifestazione, regolarmente autorizzata dalla Questura di Padova, rappresentava il culmine di una recente mobilitazione portata avanti da alcuni gruppi ambientalisti e da diverse sigle rappresentanti il settore turistico-alberghiero termale, ed aveva l'obiettivo di impedire l'abbattimento degli alberi. Si chiedeva cioè una sospensione dei lavori, un ripensamento della reale utilità di questa scelta e l'eventuale cancellazione della delibera d'abbattimento.

Tra i manifestanti presenti al teatro, inoltre, c'erano anche il videomaker indipendente Massimo Marco Rossi e Francesco Bonsembiante – produttore cinematografico di vari film tra cui Io sono Li - i quali si apprestavano a riprendere la seduta del consiglio, di cui uno dei punti all'ordine del giorno era proprio il piano di abbattimento degli alberi. Ai due cineasti però, non solo è stato impedito di filmare il consiglio, in quanto sprovvisti delle previste autorizzazioni, ma in un clima che non esitiamo a definire pesante, se non sfacciatamente intimidatorio, gli è stato imposto di mettere via le telecamere. Il presidente del consiglio comunale Michele Galesso, infatti, dopo aver ribadito che stando al regolamento comunale sono ammesse le riprese delle sedute consiliari solo previa autorizzazione, ha addirittura fatto allontanare Bonsembiante dal teatro, chiedendo persino agli agenti di polizia di identificarlo. La colpa di Bonsembante, a detta di Galasso, era di riprendere la seduta con il telefono cellulare. Come se informare I cittadini fosse una colpa da punire. Un'eresia intollerabile.

Questo atteggiamento repressivo, figlio di un pensiero politico liberticida, è perdurato nonostante lo sforzo dei consiglieri d'opposizione Bano, Pege e Camani, i quali hanno provato a difendere gli intrepidi produttori televisivi, spiegando a Galasso l'importanza che riveste l'informazione libera in una democrazia contemporanea. Niente da fare, il ferreo presidente del consiglio comunale, preciso come un cucù svizzero, ha ribadito che il regolamento non ammetteva queste pratiche. E come se non bastasse, è notizia degli ultimi giorni che l'amministrazione sta pensando di denunciare Massimo Rossi. La sua invece, di colpa, sarebbe quella di aver pubblicato su youtube una parte della seduta incriminata (https://www.youtube.com/watch?v=YwQcPR6pO5A).

Ora. Al di là del fatto che fare le riprese fosse legittimo oppure no, la domanda che dovrebbe

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sorgere spontanea al cittadino comune è: pur assumendo come vera l'affermazione del presidente del consiglio comunale, secondo cui sono ammesse le riprese solo previa autorizzazione, per quali ragioni Galesso stesso si è rifiutato di far riprendere la seduta? Per quale ragione non ha dato spazio ad una pratica di democrazia informativa a favore dei cittadini quale è la ripresa dei consigli comunali? Altrove ad esempio la ripresa dei consigli avviene normalmente (ad esempio Mira, Dolo, Venezia, Veggiano, etc.), perché ad Abano Terme no? Ma soprattutto, è giusto o no che non sia possibile riprendere i consigli comunali (aponensi)? La riflessione, quindi, proseguendo nel suo incedere ci porta ad un ulteriore domanda: il regolamento, dopo la diatriba di questo consiglio comunale, verrà modificato su questo punto, permettendo infine ai cittadini di filmare liberamente i consigli? Oppure continuerà ad essere impedito filmare e verranno intimiditi tutti coloro che favoriscono la trasparenza tra amministratori e cittadini? Anche ammettendo che le riprese fossero illegittime, riteniamo che il consiglio abbia il potere di modificare il regolamento. E debba ora farlo. Aprendo le porte dei consigli comunali – e simbolicamente delle istituzioni locali – alle riprese. Senza se e senza ma. Lasciando inoltre cadere ogni capo d'accusa nei confronti del videomaker Massimo Rossi, lampante esempio di educazione civica.

L'allargamento degli spazi di democrazia, e la libertà che ne consegue, infatti, si rileva anche a partire dalla volontà che ha un consiglio comunale di andare oltre I limiti imposti in un determinato momento storico ai suoi cittadini dalla normativa vigente. Di andare oltre cioè, lo status quo e l'esistente imposto per legge, a beneficio della giustizia e del benessere comunitario.L'atto di disobbedienza civile dei due registi, del resto, richiama alla mente la nobile storia di tutti quei ribelli che nei secoli, opponendosi ad una legge (in questo caso si tratta di un semplice regolamento) ritenuta ingiusta, ne propongono una nuova, più giusta, più adatta alle esigenze e volontà del popolo sovrano. E oggigiorno, chi mai potrebbe negare che sia giusto per un cittadino di essere informato su ciò che i propri amministratori decidono? Non è forse il controllo dei governanti una degli strumenti con cui I cittadini non diventano sudditi? Non è forse attraverso la critica e il dissenso nei confronti dei governanti, che I governati mantengono la loro sovranità politica, vero fulcro del repubblicanesimo sancito da molte costituzioni moderne? E non è forse la stampa – oggi declinata nella sua versione coeva, il videogiornalismo- una colonna portante dell'architettura democratica e dello stato di diritto? Sì, lo è.

Tornando al nostro esempio allora, possiamo dire che se il consiglio comunale avesse concesso le riprese lo si sarebbe potuto forse accusare di non rispettare in maniera scrupolosa il regolamento comunale. Ma dubitiamo che di fronte ad una simile decisione, basata sull'evidente desiderio di rispettare il cittadino e il suo diritto ad essere informato, qualcuno avrebbe posto rimostranze. A che pro? Riteniamo insensato che qualcuno possa schierarsi contro un consiglio che favorisce la libertà, piuttosto che la sua negazione. E oggi più che mai d'altronde abbiamo bisogno di amministrazioni che condividano il potere con I cittadini e non lo accentrino nelle mani di pochi rappresentanti, seppur eletti. Abbiamo voglia di amministrazioni che governino con i cittadini e non per ( o peggio sui) I cittadini. - Si badi, la sfumatura tra le preposizioni evidenzia I diversi modelli di gestione del fare politica e tutte le implicazioni che questa diversità comporta. Fare per, è spesso un modo subdolo per non dire fare su (sopra). Trasformando così, in maniera silenziosa e a volte involontaria i cittadini in sudditi-.

Ci scusi infine il lettore per la lunghezza di questo articolo, ma se abbiamo insistito con l'analisi del conflitto sorto durante un consiglio comunale, è perché esso ci porta a tu per tu con il tema della democrazia. La trasparenza nei confronti dei cittadini, infatti, introduce il tema dei rapporti tra democrazia rappresentativa e democrazia partecipativa. Il vero nocciolo della questione qui presa

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in esame. Infatti, in un momento storico di grande difficoltà della democrazia rappresentativa, o si sceglie di integrare e completare quest'ultima con la forza innovativa della democrazia partecipativa, estendendo così il ruolo dei cittadini nella cura della res-publica e dei beni comuni, oppure si è costretti a ripiegare su forme di autoritarismo personalistico/paternalista. Con il rischio che quest'ultime, proponendosi falsamente come sostegno alla democrazia, la divorino invece lentamente, sostituendola con regimi autoritari a potere accentrato. Così è spesso accaduto nella storia contemporanea internazionale, con vari dittatori. O nella storia moderna con i monarchi. E così sembra stia accadendo, in tutta la sua pericolosa ridicolaggine, pure ad Abano Terme – ma si pensi anche ad altre giunte e sindaci dei comuni vicini come Montegrotto, Selvazzano,etc. dove si incontrano modus operandi simili –.

L'operato della giunta claudio, infatti, e al di là di questa specifica situazione, è figlia di almeno due idee malsane che si sostengono a vicenda. La prima è quella della così detta delega politica totale – il voto in bianco –, in cui gli eletti si sentono legittimati a fare qualsiasi cosa solo perché sono stati eletti. E non ammettono critiche al loro operato, come se fossero figli di una investitura politica divina a favore del popolo. Essi vivono cioè l'elezione come un fenomeno di onnipotenza: una volta eletti, nessun ostacolo, nessun limite, nessun contropotere. Tutto è nelle loro mani e niente è in quelle del popolo, perché loro sono il popolo. L'arroganza di una tale credenza ovviamente, mina alle basi l'idea della rappresentanza politica. Perché se la tornata elettorale diventa licenza di esclusione dei cittadini dalle scelte decisionali – o dalla partecipazione politica – siamo ben distanti dall'ideale della democrazia rappresentativa. Anzi, attraverso l'idea di elezione, gli eletti rubano il potere al popolo, che ne dovrebbe essere il vero e unico detentore. Perlomeno nelle democrazie repubblicane contemporanee. Ma del resto l'ideologia politica claudiana ricorda il periodo delle monarchie, quando il voto non c'era, e se c'era non era altro che una presa in giro. Un contentino da dare in pasto al popolo per rassicurarlo che sì era schiavo, visto che a parte il voto non aveva né diritti individuali né collettivi, ma che aveva (sic!) il diritto di scegliere il nome del suo padrone. La sua logica operativa, cioè, si fonda su un'idea simile della politica e della rappresentanza politica, declinata peraltro in chiave paternalista. Siccome I cittadini non sarebbero in grado di governarsi, o di esprimere sensati giudizi e utili opinioni per l'amministrazione del territorio, lo deve fare un' elite al posto loro. Va da sè che questo modello oligarchico di intendere e vivere la politica, presuntuoso al punto giusto, genera profonde asimmetrie di potere tra la base sociale e il vertice politico decisionale. E alimenta quindi la distanza tra rappresentanti e rappresentati, spingendo, i primi a sentirsi in diritto di dominare i secondi per la ragione di cui sopra, e i secondi ad un sempre maggiore senso di alienazione ed estraneità alla politica, al quartiere, alla vita in senso lato, proprio perché ridotti all'impotenza. Un vero cortocircuito illogico a danno della partecipazione politica popolare. A questa prima idea, espressa peraltro dalle ridicole pose che claudio e la sua claque assumono solitamente, si lega quella altrettanto pericolosa e grottesca del culto esasperato della personalità (autoritaria). L'autoritarismo della maggioranza consiliare e del suo capetto non è una novità, ed invece di costituire la forza peculiare dell'amministrazione aponense (quando mai l'autoritarismo può essere un valore?!), nasconde l'effettiva incapacità di questi politici di aprire la nuova e necessaria stagione della democrazia partecipativa. Quella idea di politica cioè in cui i cittadini sono coinvolti in maniera sostanziale, effettiva e permanente nelle scelte di gestione della propria città. E quindi della propria vita. Non solo a parole. E non per finta.

La politica della giunta claudio in ultima analisi, non è altro che una politica del passato. Vecchia e morta. Come le monarchie, appunto. Un modello di governo del territorio che riesce (per il momento) ad impedire l'emergere di nuove forme di democrazia contemporanea, fatte di pluralismo, dissenso e conflitto, solo attraverso un populismo demagogico, arrogante e

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paternalista, che si ostina a non aprire le istituzioni, le decisioni politiche e la gestione dei beni comuni ai cittadini, sostenendo però al contempo di farlo. Un vero gioco di specchi machiavellico, dove la coerenza non trova casa. Del resto, claudio trova la sua forza politica proprio nella debolezza della democrazia aponense. Perché dovrebbe allora lasciarle spazio quando questa insorge?

Concludiamo infine questo nostro ragionamento comune con alcuni interrogativi. Perché un'amministrazione dovrebbe impegnarsi ad allargare le maglie della democrazia, favorendo il senso di appartenenza dei cittadini al territorio e alla gestione della res-publica? Perché dovrebbe sviluppare la partecipazione di tutte le realtà sociali (economiche, ambientali, culturali, etc.) alla pianificazione del benessere comunitario? Perché dovrebbe affaticarsi nel comprendere le esigenze e i bisogni delle persone che vivono una città, dimostrando l'apertura delle istituzioni politiche alla voce popolare? I ragionamenti e le risposte a tal proposito le lasciamo volentieri ai lettori. Per quanto ci riguarda, avalleremo soltanto quei modelli politici che favoriscono la partecipazione generalizzata con tendenza autogestionaria, fucina di percorsi d' emancipazione individuale e collettiva.

Solo una comunità insorgente è una comunità viva. Il resto è barbarie.