Una ragione inquieta

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Interventi e riflessioni nelle pieghe del nostro tempo: solo quando ci si imbatte in una possibile risposta alla nostra inquieta ricerca si comincia veramente a domandare

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Prefazione

Quando l’editore mi ha proposto di raccogliere alcuni testi – artico-li, interventi, relazioni – scritti negli ultimi anni, ho francamentetemuto che si potesse rischiare un passo falso, qualcosa a metà fral’ingenuità e la presunzione (e chissà se poi il rischio è stato del tut-to scongiurato). Ma infine ho deciso di accettare la proposta – stareiper dire la sfida – soprattutto per un motivo. Ripercorrendo infattiquesti miei tentativi ho visto come dipanarsi un filo conduttore, purin modi e flessioni differenti: quello di un pensiero per così dire “allavoro”, in cui non si tratta appena di esporre tesi, sostenere opinio-ni o elaborare “punti di vista”, quanto piuttosto di fare attenzione ericonoscere quando, e come, gli eventi, gli incontri, le idee mettano– loro – in questione la nostra ragione, la provochino a domandare,a cercare il significato di sé e del mondo. E solo grazie a questa mes-sa in questione della nostra ragione essa si scopre a sua volta capa-ce di porre e di mantenere aperte le questioni decisive per il nostrotempo.

Questo libro, dunque, non vuole proporsi semplicemente comel’esposizione di una serie di idee o l’analisi di determinate questio-ni, ma soprattutto come un tentativo di accettare la provocazione del-la realtà mettendo in gioco se stessi, e scoprendo in che modo i temied i problemi di volta in volta affrontati trovino nell’impatto con lapropria esperienza il luogo più adeguato per essere intesi, attraver-sati, condivisi. Non è tanto in una più scaltrita capacità di analisi,allora, che si dovrà cercare il contributo di questi scritti, ma – se mai

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ce ne fosse uno – nella scoperta di una “sintesi”: una sintesi, però,che non va pensata solo come il risultato finale degli sforzi analitici,ma come un punto di partenza, quello in cui scopriamo che l’essereci tocca e chiede di noi per potersi mostrare nella sua “verità”.

Per questo l’inquietudine non è uno stato d’animo particolare incui il nostro io venga a trovarsi in determinate situazioni o di frontea certi problemi, ma costituisce per così dire la stoffa della nostraragione, vale a dire il suo dinamismo più proprio e il suo metodo per-manente. Certo, l’inquietudine può essere esperita come l’insoddi-sfazione per una mancanza ed essere come il segno di una nostraincapacità (soprattutto quando una certezza o una verità sembranodistanti, se non impossibili); ma potrebbe anche essere l’attestazio-ne della presenza, in noi, di una domanda che è sempre più grandedi noi, e quindi il segno del nostro essere in rapporto costitutivo conil significato di noi stessi e del mondo (per quanto opaco o limpidoesso possa risultare alla nostra coscienza). Appunto per questo par-lo di una “ragione inquieta”, per indicare non un mero disagio psi-cologico, ma il dramma che sperimentiamo tutte le volte che tentia-mo di costruire strategicamente noi, con le nostre misure concettua-li, il senso della realtà, considerandolo appunto un prodotto dellanostra mente o della cultura e della struttura sociale in cui viviamo;ma anche tutte le volte che lo dichiariamo impossibile, quel senso,perché semplicemente immaginato, illusorio, inesistente. Una con-dizione drammatica, dicevo, perché dietro ogni presunzione e attra-verso ogni disincanto torna sempre a farsi vivo – inevitabilmente,ostinatamente – il desiderio di capire, di conoscere, di aderire a ciòche ci accade e, in definitiva, a ciò che noi stessi siamo, senza mairiuscire a coincidere con esso.

Secondo il modo più consueto di pensare, l’inquietudine degliesseri umani troverebbe il suo “arresto” necessario di fronte alla cer-tezza di una risposta, e sarebbe destinato a scomparire quanto più ilsapere si rivelasse esatto e controllabile da parte nostra; al contra-rio, nell’incerto accadere degli eventi e nell’imprevisto della storiadel mondo e dell’esperienza individuale tale inquietudine restereb-

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be, sì – come potrebbe non restare? –, ma come un campo in cui nonpotrà mai essere raggiunta una certezza possibile. È come dire che,quanto più siamo capaci di possedere nelle nostre misure il mondoe la vita, tanto più “risolviamo” la nostra inquietudine; e viceversa,quanto più sperimentiamo il carattere inquieto del nostro io, dellanostra intelligenza e del nostro cuore, tanto più dobbiamo prenderecongedo anche solo dall’ipotesi di una certezza per l’esistenza e perla ragione.

Questo libro prova a seguire un’altra ipotesi, e cioè che soloquando ci si imbatte in una possibile risposta alla nostra inquietaricerca, solo allora si comincia veramente a domandare. Ognidomanda è già in qualche modo il contraccolpo di una risposta, equest’ultima, per paradossale che possa sembrare, non è semplice-mente o meccanicamente il punto di arrivo o il prodotto delle nostredomande, ma è ciò che sin dall’inizio le rende possibili. Si doman-da rispondendo a ciò che ci viene incontro – eventi, persone, cose –;e una risposta può essere conosciuta come “vera” e “reale” solo nel-la misura in cui permette alla nostra ricerca di continuare, diapprofondirsi, di compiersi come ricerca. E questo non per enfatiz-zare – come pure si fa di frequente – la ricerca per la ricerca, bensìper sottolineare che si cerca solo se si è trovato, anzi solo se si è tro-vati. La vera soddisfazione del nostro bisogno di senso e del nostrodesiderio dell’essere e del vero non consiste – così mi pare – nellaloro estinzione da parte di ciò che li soddisfa, bensì nella richiestache il significato delle cose continui a venirci incontro, e cioè cheaccada sempre di nuovo nello spazio della nostra attenzione.

Così potremmo descrivere la dinamica dell’inquietudine chesempre accompagna la ragione, e che anzi ne costituisce il volto piùproprio, con i versi con cui Dante comincia a riconoscere negli occhidi Beatrice un nutrimento che non toglie l’appetito, ma anzi si rive-la come il principio stesso del desiderio: «Mentre che piena di stu-pore e lieta / l’anima mia gustava di quel cibo / che, saziando di sé,di sé asseta…» (Purgatorio, XXXI, 127-129).

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I testi che seguono sono quasi sempre nati su richiesta di amici e dicolleghi, e portano in sé ogni volta, ben più che gli sparsi “pensie-ri” dell’autore, la traccia di un dialogo molto franco, di un confron-to serrato e di un lavoro comune. E ogni volta il punto di sfida perme è stato quello di non guardare o giudicare gli eventi, le espe-rienze, i dibattiti messi a tema nelle diverse occasioni con una posi-zione già acquisita e collaudata in partenza, ma cercare di attraver-sare e “far mie” le questioni che emergevano, con il desiderio dicomprendere in che modo e in quale prospettiva tornasse sempre ademergere, dall’interno di esse, l’esigenza del senso, il bisogno delgiudizio, l’imminenza del vero.

Le quattro parti in cui è articolato il materiale raccolto hannociascuna un fuoco tematico e prospettico particolare. La prima(«L’io, la razionalità, l’educazione») si concentra sulla difficoltà con-temporanea – ma di ascendenza schiettamente “moderna” – a deci-frare la struttura oggettiva dell’io, che viene per lo più ridotta ai mec-canismi naturali (cerebrali ed emotivi) o alle strutture culturali incui viene di volta in volta costruita la propria relativa identità. Maquesta crisi di identificazione dell’io non è solo un fenomeno stori-co-culturale tipico delle società post-moderne, segnate profonda-mente dall’ombra lunga del nichilismo, poiché essa appartiene strut-turalmente alla fisionomia dello stesso soggetto moderno, di cui cia-scuno di noi è, a suo modo, un erede. Come spesso succede, la “cri-si del soggetto” è insieme un momento di dissoluzione di antichimodelli, ma anche un’occasione per comprendere con maggioreurgenza quale sia il “soggetto della crisi”. Ed è parso opportunoripartire da quel nucleo fondamentale che è la ragione umana, inte-sa soprattutto nel suo uso concreto, vale a dire nella sua capacità diaccusare il colpo delle cose e di chiederne il senso ultimo. Fareesperienza della razionalità è l’unica possibilità di verifica di cosane sia dell’identità del soggetto umano nel suo rapporto con se stes-so e con il mondo, non semplicemente appellandosi ad una funzio-ne astratta della conoscenza, o ad un altrettanto astratto dover esse-re morale, ma percorrendo spassionatamente la traiettoria delle

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domande provocate dall’essere, il nostro e quello altro da noi. Perscoprire dunque la natura, il valore e la dinamica della ragione uma-na nell’esperienza effettiva di un io personale, è necessaria non sem-plicemente una teoria sulla razionalità, ma una concreta educazionead essa. Un’educazione della razionalità, vale a dire un esercizioconsapevole e critico del domandare e – insieme – un’educazionealla razionalità, cioè a riconoscere che la ragione, come facoltà cono-scitiva del soggetto umano, chiede e anzi è mossa dall’ipotesi di unaspiegazione ultima del reale.

Ma l’educazione non può mai essere un’attività autoreferenzia-le, se è vero che un io può scoprire la sua capacità autonoma di giu-dizio nella misura in cui domanda il perché della realtà, e quindirisponde a qualcos’altro o a qualcun altro che lo interpella. Quantevolte invece una pretesa auto-formazione si è rivelata come lo scher-mo illusorio della più pervasiva omologazione? Il percorso dellaragione ha sempre bisogno – proprio per divenire criticamente sestessi – dell’attestazione di un lavoro e di una scoperta già in atto.Nel mio percorso è stato l’incontro con un’esperienza cristiana vis-suta l’occasione decisiva per comprendere cosa sia e cosa implichieffettivamente la ricerca della ragione. Per quanto paradossale pos-sa sembrare agli occhi di chi identifica senz’altro ciò che è raziona-le con ciò che è a priori, è un dato di fatto che noi scopriamo la strut-tura del nostro io e il carattere universale di alcuni suoi fattori inun’esperienza storica particolare. A sua volta, però, un’esperienzastorica particolare può farci scoprire qualcosa come un “volto” ori-ginario dell’io e un suo senso razionale, nella misura in cui essa valecome un invito o, di più, come una provocazione a prendere coscien-za di tutte le nostre esigenze, senza ridurle a soluzioni inadeguate, etenendole aperte in tutta la loro portata. Solo questo può evitare chesi prenda una via (o meglio una scorciatoia) ideologica, applicandoun senso precostituito alla materia sconnessa della storia o subli-mando gli eventi accidentali in un piano generale del mondo. Ilrazionalismo è in qualche modo l’ostacolo più serio a comprenderecosa sia e come funzioni la nostra ragione.

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A tale problematica si collega la seconda parte di questo libro(«Libertà vs verità?»), comprendente due testi che cercano di attra-versare alcune delle parole e delle idee più praticate – e forse piùconsumate – nel discorso pubblico del nostro tempo, come relativi-smo e fondamentalismo, diritti individuali e cittadinanza nell’ordi-ne statale, sfera pubblica e sfera privata, motivazioni etiche dellavita sociale e uso pubblico della religione, integrazione e multicul-turalismo. Qui il lavoro è consistito nel rimettere in questione l’or-mai invalsa identificazione del “relativo” con il “relativistico”, cer-cando di evidenziare il significato sedimentato – ma anche smarrito– nel primo termine, vale a dire l’esperienza di una relazione costi-tutiva dell’io individuale, dell’essere in rapporto con altro da sé,come il senso primario di ogni relativo. Al tempo stesso si trattavadi contestare l’identificazione tra la verità, cioè il senso ultimo rico-nosciuto come adeguato alla vita e all’esistenza, come un mero“assoluto”, l’immutabile e l’intemporale, ciò che al massimo puòessere inteso come un ideale regolativo o utopico, ma non si dà maiin carne ed ossa nella storia, la quale invece rimane il regno deltranseunte. Ma forse bisogna ripensare la verità non come un “asso-luto”, ciò che è sciolto (ab-solutus) da ogni rapporto all’esperienzatemporale, bensì come un “accaduto”, come la scoperta e l’adesio-ne ad un significato che, proprio per essere ultimo, è sempre porta-to da un presente: ultimo perché accade nel presente, ed emergenell’esperienza finita e temporale dell’io. Sarà infine possibilesuperare (questa l’ipotesi di fondo che ho cercato di mettere a fuo-co) lo iato, apparentemente incolmabile, tra un io individuale con-siderato in senso relativistico, senza alcun rapporto con il vero, eun vero inteso in senso fondamentalista, senza alcun rapporto conl’io? Peraltro in entrambi i casi, paradossalmente, è nella legge del-lo Stato che viene riconosciuto l’unico agente di verità pubblica pergli individui, sia nel senso che l’ordine statale debba prevenire ereprimere gli sconfinamenti del relativismo individuale, sia nelsenso che gli individui debbano “per legge” diventare buoni, invirtù di un comando di tipo religioso e di un obbligo morale assolu-

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to. E se invece l’ordine della verità non fosse innanzitutto quellodel comando e del dovere, ma quello di un bisogno, del desideriopeculiare della ragione umana? E se il diritto fondamentale dellalibertà fosse soprattutto il diritto al senso del vivere e al significatodell’essere?

Anche in questo caso non si trattava però di ribadire princìpiastratti, inevitabilmente sbiaditi nell’epoca del nichilismo realizza-to – e realizzato proprio perché divenuto, da inquietante patologia,tranquilla fisiologia del senso comune –, bensì di reimparare adomandare, di prendere sul serio la propria inquietudine, di corri-spondere al richiamo del reale. Nella terza parte del volume, intito-lata «La sfida del nichilismo», si vuole considerare appunto in chemodo questo fenomeno, che intesse ed impregna di sé il nostro tem-po, è una provocazione che va attraversata e condivisa, e in defini-tiva considerata come una chance per la nostra coscienza e la nostraazione. Facendo leva sull’ipotesi che il centro problematico delnichilismo non è tanto di carattere etico (la perdita dei valori, losmarrimento delle certezze tradizionali), ma conoscitivo (che cosarealmente esiste, che cosa sono io) e metafisico (che cosa significaesistere, a cosa siamo chiamati). Si può affrontare il nichilismo inquesta prospettiva, in cui ad essere in gioco, ancora una volta, nonè un assetto socio-culturale ma la stessa possibilità di poter identi-ficare il mio io? A me è sembrato di poter trovare tracce di una rispo-sta positiva a questa domanda attraverso il lavoro dello sguardo edell’ascolto testimoniato da alcuni personaggi che in qualche modoerano anche “interpreti” singolari di sé, e che hanno patito il pesodel nichilismo, ma anche conosciuto ciò che è in gioco in esso: daAgostino (colui che ha compreso forse più di ogni altro il drammadell’inquietudine dell’io) a Pavese, da Svevo a Virginia Woolf, daCézanne a Eliot, da Stravinskij a Schrödinger. Non si tratta né diesempi edificanti né di modelli retorici, ma di altrettanti inviti a rico-noscere e a seguire la strada che ad ogni nuova generazione e a cia-scuno di noi, personalmente, è data per rispondere alla vocazionedel proprio tempo.

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E il proprio tempo interpella sempre, attraverso le occasioni, ivolti, gli incontri e gli scontri, gli eventi naturali e i problemi socia-li e politici. La quarta e ultima parte di questo libro («Accogliere ilreale, desiderare l’infinito») comprende soprattutto interventi diriflessione e di giudizio su altrettanti “casi” di ordine e natura diver-si tra loro – naturali, scientifici, culturali, ecclesiali, politici – in cuisi è cercato di mettere a fuoco ogni volta ciò che mi sembrava venis-se richiesto a ciascuno di noi, e cioè in che modo ciò che accadevadovesse essere compreso come una possibilità perché si acuisse lacoscienza del nostro bisogno e del nostro compito. L’esercizio spas-sionato del giudizio a me pare che possa evitare il rischio sempreincombente della posizione ideologica pre-giudiziale o la tentazioneassai diffusa di “chiudere” i singoli casi una volta appurate le cau-se, gli imputati e i colpevoli, solo se costituisce – proprio in quantogiudizio, e non rinunciando ad esso – uno spazio di apertura, un’in-sistenza nell’interrogazione, una chiarezza guadagnata attraverso laconsiderazione che non tutto è in nostro potere, anzi, che il nostropotere e la nostra capacità di comprensione e di azione dipendonodal riconoscere che vi è sempre un fattore “misterioso” nel gioco delreale. Mistero non è una parola irrazionale, non rappresenta un’eti-chetta da appiccicare ai nostri insuccessi o una sublimazione cheserva da conforto alla nostra irrecuperabile finitezza, ma è un’evi-denza ragionevole che viene per così dire avanzata dalla stessarealtà. Senza considerare questo fattore – non al di là del mondo, madentro di esso – è la stessa conoscenza della realtà nella sua con-cretezza a risultare impedita. Non perché si debba aggiungere qual-cosa di misterioso al visibile, ma perché senza di esso non vedrem-mo tutto ciò che è visibile, e allo sguardo mancherebbe quellaprofondità che rende il vero spessore delle cose.

Non è un caso che l’ultimo testo della raccolta torni sul tema deldesiderio, perché è proprio quest’ultimo a mostrare l’evidente ragio-nevolezza del mistero: un infinito che si lascia pensare e desideraredall’io dubitante, per usare i termini di Descartes. È come ricono-scere che questo desiderio strutturale, che attraversa tutti i nostri

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bisogni, e anzi a ben vedere li precede e li rende possibili, ha la stes-sa dinamica di un’attrazione magnetica: noi avvertiamo questa “for-za” o energia, ma senza arrivare a riconoscere il magnete che l’attraeessa resterebbe una forza senza più coscienza, e soprattutto priva dilibertà. E anche nell’ipotesi estrema del nichilismo, e cioè che, allafine, si tratterebbe solo di un impulso cieco, sarebbe sempre il nostrodesiderare, la nostra inquietudine, a rammentarci dell’esistenza del-la nostra ragione, e la nostra ragione a farci fare memoria dell’esi-stenza dell’infinito.

Alcune delle tematiche affrontate nei contributi che seguono, esoprattutto una certa direzione di lettura e di interrogazione critica,erano già state messe alla prova – mi preme sottolinearlo – in unaserie di letture pubbliche di filosofia realizzate con Giovanni Mad-dalena, Paolo Ponzio e Massimiliano Savini, e che hanno dato origi-ne ad altrettanti volumetti pubblicati nella stessa collana “Accenti”delle Edizioni di Pagina, nella quale appare anche questo libro. Adessi rimando volentieri sia per esplicitare ulteriormente le opzionicritiche esercitate nel presente volume, sia per verificare in manie-ra più dettagliata il confronto con alcuni autori particolarmente deci-sivi nella storia del pensiero.

Il lettore va anche avvertito del fatto che alcune questioni di fon-do, nonché il confronto con certi autori ritornano in più di un testo,tra quelli che compongono il volume: l’augurio è che questa inevita-bile ripresa possa valere, ben più di una ripetizione, come segno diun lavoro che – almeno per me – ha bisogno continuamente di esse-re ripreso e ricompreso.

Devo infine ammettere che, senza la cura intelligente e lapaziente disponibilità della Dottoressa Stefania Scardicchio le pagi-ne che seguono sarebbero rimaste probabilmente una disordinataraccolta di testi, e non ancora un libro: per questo la ringrazio viva-mente.

Bari, marzo 2011 C. E.

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Indice

Prefazione V

IntroduzioneL’età dell’incertezza 3

Parte primaL’io, la razionalità, l’educazione

1. Il dramma del soggetto moderno 13La modernità e il problema del nichilismo, p. 13 • Il soggettodella crisi, p. 16 • La disputa contemporanea sul senso dell’e-ducare, p. 24

2. Sul valore conoscitivo dell’educazione 27Educazione: una questione aperta, p. 27 • Tra cognitivismo edemotivismo, p. 30 • Educazione e ragione, p. 33

3. Senso religioso e razionalità nel pensierodi Luigi Giussani 41La vita in questione, p. 41 • Il criterio della ragionevolezza, p.45 • Il desiderio del vero, p. 47 • Seguendo il contraccolpo del-l’essere, p. 51 • L’estrema possibilità della ragione, p. 55

4. Educare e convivere. La sfida dell’identità nel tempo delle differenze 59L’appartenenza in gioco, p. 59 • Tra la politica e il niente, p. 65• “Natura umana”: identità e differenze, p. 70

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Parte secondaLibertà vs verità?

5. Il soggetto, la verità, la libertà. Su alcune parole chiave del discorso pubblico contemporaneo 79L’“assoluto” e il “relativo”, p. 79 • La libertà bifronte, p. 85 •Individualità naturalistica e ordine etico, p. 91 • Natura uma-na ed essere statale, p. 101 • Ragione e religione nella sfera pub-blica, p. 106

6. Il nesso tra “fondamentalismo” e “relativismo” 113Una teoria che produce un fatto, p. 113 • Il rapporto tra il sog-getto e la verità come banco di prova di fondamentalismo e rela-tivismo, p. 114 • Nichilismo: il problema del dato, p. 117 •Europa, o della ragione, p. 119 • Oltre il multiculturalismo, p.121

Parte terzaLa sfida del nichilismo

7. «Quella mia certa assenza continua ch’è il mio destino». Il pensiero di Italo Svevo 131Il pensiero «isolato da me», p. 132 • L’inettitudine come malat-tia conoscitiva, p. 134 • L’eliminazione del dato: dall’adesioneal proposito; dalla certezza alla convinzione, p. 138 • L’io comedato: voluntas e noluntas in Svevo e Schopenhauer, p. 143 •Guardare le Pleiadi, p. 148

8. «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» Leggere Pavese con Agostino 153L’esistenza come inquietudine, p. 154 • L’inquietudine comedesiderio amoroso, p. 158 • L’apertura alle cose, p. 164

9. La nostra ragione? Può scoprire il Misteroperché capisce il mondo 171Vedere la natura: Paul Cézanne, p. 174 • Appartenere ad unastoria: Thomas S. Eliot, p. 180 • Udire il significato del mondo:Igor Stravinskij, p. 184 • Conoscere la coscienza: Erwin Schrö-dinger, p. 188

256 Indice

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Indice 257

10. Chesterton, Tolkien e Virginia Woolf: l’imprevedibilesorpresa del nichilismo 194

11. L’impossibilità è il nostro ultimo destino? 197

12. Le meraviglie del verbo “essere” 201

13. Franco Volpi, un grande traduttore di quel misterioso senso all’origine del pensiero 206

Parte quartaAccogliere il reale, desiderare l’infinito

14. La sfida della “Sapienza” 211

15. Non bastano i neuroni per spiegare quella domanda che abita nella nostra testa 215

16. Benedetto XVI in Francia, nuova lezione di modernità 219

17. Un Fatto irriducibile a ogni moralismo 223

18. La riforma del cuore, motore nascosto del cambiamento 227

19. La legge formale e il prezzo della libertà 230

20. I sommersi e i salvati dallo “tsunami” 233

21. Di che cosa abbiamo veramente bisogno? 237

22. Così il nostro desiderio può sfuggire alla trappola dell’inganno 245

Fonti 251