Una Ragione c'è

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SILVANO MINIATI UNA RAGIONE C’E’ Ricordarsi di quando gli anziani erano considerati una risorsa preziosa fondazione Pietro Nenni

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di Silvano MiniatiFondazione Bruno Buozzi

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SILVANO MINIATI

UNA RAGIONE C’E’Ricordarsi di quando gli anziani

erano considerati una risorsa preziosa

f o n d a z i o n e Pietro Nenni

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“Una giovanissima, Raissa 16 anni, propone che la terzaetà si chiami l’età della libertà o l’età del rinnovamento:un giovane, più o meno giovane di Raissa, ha suggerito

l’età della saggezza. Sono d’accordo con tutti e due”- (Rita Levi Montalcini, in occasione del convegno “Fare i conti con la vecchiaia”, Roma Eur 1990)

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© Fondazione Pietro Nennivia Alberto Caroncini 1900197 ROMATel. 068077486Email: [email protected] Grafica e impaginazione: Marco Zeppieri

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Uno slogan di ieri che vale anche per l’oggi

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Presentazione

Quando decisi di impegnarmi per realizzare questa pub-blicazione, ero sinceramente convinto che si sarebbetrattato di una iniziativa semplice e rapida e comun-

que non eccessivamente impegnativa. Sono però bastati pochi giorni dedicati alla ricerca di

qualche documento e a riordinare i ricordi di avvenimenti che ri-tenevo più significativi per farmi prendere atto che non sarebbestato affatto così.

Ho verificato di persona come uno dei limiti che mi portodietro fino dall’infanzia diventi particolarmente pesante quandocerchi di rileggere il passato. Non sono infatti abituato a conser-vare diari o appunti e faccio fatica anche a mantenere in ordineuna documentazione ordinata di atti e documenti delle organiz-zazioni alle quali ho attivamente partecipato.

È questo un limite che si avverte, soprattutto quando siè costretti a prendere atto che anche nel mondo dal quale si pro-viene sta vincendo quella che potremmo definire una vera e pro-pria mania che spinge a cancellare tutto quanto appartiene alpassato. È ovvio che ripercorrendo il sentiero dei ricordi, emergala tendenza, guardando al presente a ritenere che tu le cose chefanno oggi coloro che sono venuti dopo di te, le faresti non solo in

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modo diverso ma magari anche meglio. In questi casi è necessario ricordare che questa tentazione

è una caratteristica tipica della vecchiaia che quasi sempre fa cor-rere il rischio di essere eccessivamente benevoli con se stessi ed ec-cessivamente critici e negativi verso gli altri.

Guardando alla realtà di oggi e alla condizione, davverodisperante nella quale si stanno venendo a trovare milioni di an-ziani, si è rafforzata in me la convinzione che il disorientamentoè davvero molto serio.

Tante volte ci siamo detti o abbiamo sentito dire che glianziani rappresentavano una risorsa preziosa.

Guardandosi intorno e esaminando l’atteggiamento dellanostra classe dirigente si fa davvero molta fatica a pensare che sitrattasse di affermazioni sincere. Quello che colpisce di più nel-

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l’agire collettivo è la progressiva attenuazione di ogni capacità dilettura critica della situazione e quindi spesso anche di autocri-tica.

Un esempio su tutti. Personalmente sono stato un prota-gonista non certamente secondario della campagna della UILcontro l’evasione e per l’equità fiscale. Quella campagna presup-poneva anche una netta distinzione tra due principi fondamen-tali: “la previdenza a chi ne ha diritto, l’assistenza a chi nebisogno”. Per noi era scontato che l’assistenza a chi ne aveva bi-sogno significava necessariamente l’adozione di meccanismi dicontrollo contro ogni forma di abuso e quindi l’ISEE era uno deglistrumenti utili all’interno della nostra battaglia.

Quello che non avevamo messo in conto era che potessesuccedere che uno strumento nato per favorire l’equità e la giusti-zia sociale diventasse una sorta di mannaia da usare contro i po-veri e i cittadini più deboli. Nessuno di noi sicuramenteimmaginava che un governo come quello italiano, nato sull’ondadi tante speranze potesse favorire una gestione dell’ISEE che col-pisce duramente i redditi bassi, e le loro famiglie, proteggendo in-vece coloro che continuano a evadere le tasse e lo fanno inmaniera sempre più massiccia e smaccata, usando anche la can-cellazione di fatto della tracciabilità.

Se l’ISEE lo usi per limitare le integrazioni al minimoper i pensionati in Italia e all’estero, per impedire di fatto l’accessoai nidi a famiglie che superano di pochi centesimi “la soglia” diun reddito comunque insufficiente a garantire una vita dignitosae se poi al momento che si trovano alle prese con il ricovero di un

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PRESENTAZIONE

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parente anziano che non sono più in grado di mantenere e assi-stere a domicilio, se si decide di applicare rigidamente le normesui “tenuti al mantenimento” e si chiede a famiglie non in gradodi sopportare il costo di partecipazione al pagamento della rettadella casa di riposo, devi prendere atto che siamo ormai entratiin una logica davvero aberrante. Quando poi sempre grazie al-l’applicazione dell’ISEE si nega l’accesso alla mensa ad un bam-bino figlio di genitori inadempienti ti si accappona la pelle.

Sembra ormai accettato da chi governa che tutti i malidel mondo, non solo in Italia, dipendono dalle protezioni socialispettanti ai cittadini. La Gran Bretagna chiede di rimanere inEuropa solo se viene accettata la sua pretesa di non essere obbli-gata a rispettare i diritti dei più bisognosi. La Grecia può essereassolta e salvata dalla troika solo se toglie ai cittadini greci ancheil diritto di respirare. I Paesi della ex area sovietica tanto bravinel costruire barriere di filo spinato garantiscono in realtà ai loroanziani poco più del diritto di morire.

Non è certamente questo l’orizzonte interno e interna-zionale per il quale ci siamo battuti per decenni. Non è questal’Italia per la quale abbiamo salvato i macchinari, rimosso le ma-cerie, rompendoci la schiena per rimetterla in piedi e per far siche riconquistasse la sua dignità di nazione.

Tutto quello che avviene sotto i nostri occhi è ogni giornopiù scandaloso. Tuttavia piangersi addosso servirebbe davvero apoco e imprecare non risolvebbe i nostri problemi. Dobbiamo con-vincerci che rifiutarsi è giusto. Sono convinto che quando la qua-lità della vita e quindi della condizione umana di milioni di

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persone è quella che abbiamo di fronte, protestare diventa sacro-santo. Protestare significa mettercela tutta nel dire basta, e neldirlo forte non solo in quanto pensionati ma in quanto donne euomini che sono stufi di sentirsi magari elogiare per quello chehanno fatto fino a ieri da parte di chi concretamentre opera pertoglierli di mezzo e cancellarli dalla scena.

Se il risultato finale di questo lavoro dimostrerà che si ètrattato di un modesto ma utile contributo, il merito ovviamenteè mio solo in parte.

Un grazie sincero a Raoul Ngueguim Kentsop, a MariaAngela Panno, a Marco Zeppieri e in particolare a Giorgio Ben-venuto. Giorgio ha messo a disposizione utili e belle fotografie,documenti e soprattutto consigli preziosi, oltre alla presentazioneche segue della quale sono grato e orgoglioso e che lascio ovvia-mente al giudizio dei lettori

Un grazie anche a Piero Lauriola e Sandro Roazzi per illoro amichevole contributo frutto sicuramente anche di una lungaamicizia.

Il mio Grazie va ovviamente a coloro che riterranno utileleggere e ricordare le cose scritte se non altro in base all’imperativodi non perderci di vista.

Silvano Miniati

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PRESENTAZIONE

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Introduzione

Silvano Miniati scrive non già nelle vesti dello storico,ma di chi è stato partecipe di una storia che ha avutoi colori dell’epopea, la storia di tanti politici e sinda-

calisti che non trionfarono mai, ma che non furono maivinti. Uomini e donne che del loro operare hanno lasciatoun segno incancellato, incancellabile.

“Ogni processo storico - scriveva Gaetano Arfè - hain sé sbocchi tendenzialmente diversi, ed è certo che il solomodo per rendere irrimediabile una sconfitta è quello di nondare battaglia, fingendo di non accorgersi o addirittura nonaccorgendosi, come è accaduto alla sinistra sociale e politica,che la battaglia sia in corso”.

La realtà con cui dobbiamo fare i conti è che non cisono più né diritti né legittimazioni acquisite per nessuno, apartire dai sindacati. Siamo costretti – dice Silvano Miniati -a mettere in discussione tutto, a cominciare da noi stessi,dalla nomenklatura di cui ciascuno di noi fa parte.

Sono in crisi le ideologie. Il mondo italiano vive inun continuo processo di precarizzazione. Che cosa si potràsostituire a questa liquefazione? Non lo sappiamo ancora equesto interregno durerà abbastanza a lungo. Bauman os-serva come, finita la fede in una salvezza proveniente dall'alto,

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dallo Stato o dalla rivoluzione, sia tipica dell'interregno l’in-dignazione. Si sa cosa non si vuole. Non si sa cosa si vuole. Imovimenti politici e sindacali agiscono; nessuno però sa piùquando e in quale direzione. C'è un modo per sopravvivere?C'è. Si vive in una società liquida che richiede, per essere ca-pita e forse superata, nuovi strumenti.

Emerge un individualismo sfrenato: nessuno è piùun compagno di strada di ciascuno ma un antagonista da cuiguardarsi. Questo soggettivismo mina le basi della modernità,la rende fragile. Si perde la certezza del diritto. Le uniche so-luzioni per l'individuo sono l'apparire a tutti costi, l'apparirecome valore.

In questo scenario Silvano Miniati, con la baldanzavelata dall’ironia che lo distingue ma che in ogni caso è giu-stificata, pensa che bisogna mettere ordine tra le nostre in-formazioni, i nostri dati, le nostre proposte. Un po' di lavorodi manovalanza politica non guasta. Di intellettuali che dopoaver detto di essere al servizio dei lavoratori parlano a loronome servendosi di astrusi laboratori ideologici, ne abbiamotutti le tasche piene.

I saggi traggono profitto dagli stolti più che gli stoltidai saggi perché i saggi evitano gli errori degli stolti, ma glistolti non imitano i successi dei saggi. Di qui la necessità diessere più saggio degli altri senza, però, dirlo a nessuno.

Il risanamento dei conti economici e sociali non puòessere solo di carattere finanziario. I termini di questa strategianon sono così facili come da molte parti si vorrebbe far cre-dere. Tra le forze tradizionali, che si è soliti etichettare di sini-

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stra, resiste la convinzione che sia sufficiente fare la scelta distabilire se i sacrifici debbano essere sostenuti dai forti o daideboli. La sinistra si ostina a immaginare che nella società dioggi ci siano da una parte i ricchi borghesi che Grosz imma-ginava con le dita grasse cariche di anelli di diamanti, mentredall’altra ci siano i proletari dipinti da Pelizza da Volpedo. Eche basti sezionare con una sciabolata gli strati sociali, di-cendo: “quelli in alto dovranno pagare, quelli in basso no”.

Silvano Miniati ha avuto chiara la necessità di supe-rare questi schematismi che sono stati e sono ancora oggi ilvero zoccolo duro della vecchia sinistra. A partire dalla se-conda metà degli anni ’70 è stato tra i costruttori della nuovaimmagine della UIL. Tutte le iniziative culturali, economi-che, sociali, politiche della UIL hanno visto la sua convintapartecipazione. Ricordo la costituzione del CREL (CentroRicerche Economia e Lavoro) con Federico Mancini, PieroCraveri, Paolo Leon, Giuseppe Pignatelli, Paolo Garonna,Aldo Canale; le battaglie contro l’evasione fiscale condottedal gruppo di cui facevano parte Giancarlo Fornari, MicheleGerace, Salvatore Tutino, Giampiero Sestini; la trasforma-zione della UIL nel sindacato dei cittadini; la scoperta e lavalorizzazione degli anziani.

Silvano Miniati ha dato alla UIL e al movimento sin-dacale idee, proposte e strategie. Una intuizione geniale èstata l’organizzazione di tutti i pensionati in un sindacato. Ipensionati erano fuori dalla militanza sindacale, erano desti-natari di misure assistenziali, militavano dispersi come sem-plici iscritti nelle categorie di provenienza. Nella vecchia UIL

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INTRODUZIONE

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nessun dirigente sindacale voleva impegnarsi tra i pensionati,tutti erano convinti che fosse una mortificazione. Silvano Mi-niati, invece, trasformò il sindacato dei pensionati in una or-ganizzazione viva, vivace, autorevole, preziosa, solidale. Gli

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anni ottanta e novanta hanno registrato la partecipazioneconvinta degli anziani a tutte le battaglie, da quelle contro ilterrorismo a quelle dei diritti civili ambientali, da quelle peri giovani e per il Mezzogiorno a quelle per l’Europa sociale eper la solidarietà per i più poveri ed i più sfruttati. L’anzianoè una risorsa. L’organizzazione sociale va cambiata. La donnae l’uomo anziani hanno un prezioso, inestimabile valore. Sideve pervenire ad una Carta dei diritti dell’anziano costituitanon soltanto da enunciazioni di principio, ma da un sistemadi diritti soggettivi concretamente azionabili. I fondamentidi tali diritti si rinvengono nella Costituzione repubblicanache sancisce il diritto alla salute e al mantenimento e sviluppodella condizione economica e sociale dell’anziano.

Cadute le ideologie, caduta l’idea della rigidità delledivisioni sociali lo spartiacque non è più tra proletari e bor-ghesi, ma soprattutto tra chi ha rendite, vantaggi e privilegie chi non ce l’ha. Le rendite possono essere di tanti tipi: ren-dita è l’impresa assistita; rendita è il cartello delle assicura-zioni; rendita è l’evasione e l’elusione fiscale; rendita èl’arretratezza del sistema bancario; rendita è quella delle re-gioni a statuto speciale, e così via. Va separato il vecchio dalnuovo, tagliando i privilegi, senza farsi deviare dalle pressioniclientelari, con la necessaria equità.

La via al risanamento non deve passare per forza perla negazione della crescita.

L’alternativa è tornare alla politica pacioccona e sbra-cata di sempre. La politica di qualche aggiustamento di qua,di qualche taglio di là, colpendo di più dove si sente strillare

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di meno: la politica dei ticket, degli aumenti del bollo e dellabenzina, degli incrementi dell’Iva, degli incrementi delle ad-dizionali. La politica forte con i deboli, e debole con i forti.Il vero deficit è l’assenza di veri interventi di riforma, di ag-giustamento, di modernizzazione.

Da qualunque parte ci si volti, qualunque angolo deltappeto si sollevi, ci si trova di fronte ad un accumulo polve-roso di decisioni a lungo ponderate, discusse, programmatee poi sempre rinviate. Il ventennio della cosiddetta secondarepubblica non ha praticato il riformismo, ha sviluppato ilrevisionismo in senso peggiorativo e iniquo dello stato so-ciale.

Stiamo scaricando sulle generazioni future i costi deisistemi di finanza pubblica e sicurezza sociale, anche quellidelle mancate scelte. Come le nostre grandi città lasciate svi-luppare su se stesse senza una fisionomia precisa, così si lasciacrescere il nostro sistema senza essere capaci di dargli unaprospettiva e una direzione di sviluppo.

Sì, abbiamo fatto dei passi in avanti, siamo entrati inEuropa, abbiamo l’euro, ma a prezzo di quali squilibri e conquali prospettive di rimanervi?

Esiste - si dice - un “conflitto generazionale”. I pen-sionati attuali si “mangiano” con le loro pensioni i contributidei figli e dei nipoti, soggetti spesso a rapporti precari, saltuarie poco retribuiti. E’ un’affermazione tendenziosa. Le pen-sioni dei giovani di oggi saranno pagate con i contributi deiloro figli e nipoti, secondo la logica del “sistema a riparti-zione”. Se le future pensioni contributive saranno modeste

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dipenderà esclusivamente dalla precarietà e discontinuità la-vorativa e dal fatto che la rivalutazione del montante contri-butivo annuale ed i coefficienti di trasformazione sono malcalibrati, sono addirittura punitivi. Si tratta di problemi squi-sitamente politici che nulla hanno a che vedere con la re-sponsabilità degli attuali pensionati.

L’approccio alla questione previdenziale va modifi-cato. Occorre ripristinare quel clima di collaborazione e difiducia che aveva caratterizzato la modernizzazione dell’INPSe il comportamento del Governo soprattutto quando era Pre-sidente del Consiglio Lamberto Dini e Presidente dell’INPSGianni Billia.

Il sistema previdenziale è ora accentrato tutto sul-l’INPS. Così come è strutturato non funziona. Occorre in-vece dividere la previdenza dall’assistenza ancheistituzionalmente prevedendo due istituti ad hoc, al posto delmastodonte INPS. Va decisa una governance che, autonomanella gestione, abbia un sistema di controllo e di monitorag-gio espresso dalle parti sociali. E’ inaccettabile l’uso disin-volto e qualunquistico, ad usum delphini - dei dati; èfondamentale che si realizzino operazioni di equità e di soli-darietà senza snaturare il ruolo della previdenza fondato suicontributi versati.

Gli anziani - come i giovani – devono e possono rap-presentare una risorsa per il paese. Esasperare conflitti e con-trapposizioni può consentire di raccogliere consensinell’immediato. Ma alla lunga non si mantengono: sono ef-fimeri. Il paese ha invece la necessità di rafforzare la sua coe-

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sione e di non archiviare la solidarietà.Ma non si può cambiare nulla se non si ha una vi-

sione critica del presente, se non si tiene il contatto con i datidella realtà economica e sociale.

Anche nel cambiamento si deve essere europei. Perantica abitudine, in Italia il cambiamento non è una cosanuova che sostituisce il vecchio, ma una cosa nuova che sigiustappone al vecchio e lo lascia sopravvivere.Conoscere per sapere, studiare per essere liberi e non subal-terni, coesione ed unità del mondo del lavoro nella contrad-dizione delle grandi trasformazioni, il pensiero lungo che nonsi piega all’immediato ma guarda lontano per disegnare unasocietà eguale e giusta: ecco i compiti che si deve prefiggereun sindacato moderno.

E vorrei concludere parafrasando ed attualizzando al-cune riflessioni di Gaetano Arfè fatte a Indro Montanelli,troppo critico su Riccardo Lombardi: “E’ in corso un feno-meno tumultuoso e torbido che ha preso il nome di “revisio-nismo” e che ha investito con la furia devastante di unaalluvione, cultura, politica, società. Quali le caratteristiche diquesto revisionismo. Eccole: le scienze giuridiche sono scissedai principi e degradate ad una somma di virtuosismi tecnicimanipolati; l’economia è riportata ai tempi del capitalismonascente quando c’era ancora tutto un mondo non da gover-nare, ma da conquistare; la morale rimodellata secondo lalegge della giungla; la sociologia divenuta tecnica dell’inter-pretazione delle statistiche e dei sondaggi al servizio del mer-cato delle merci e di quello dei voti, mentre la politologia ha

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preso il posto dell’astrologia nella conduzione della politica.Con questi ingredienti si è venuta costituendo l’ideologiadella malafede, quella che adatta la coscienza alla regola dellaconvenienza, quella che vede il mondo non in nero masporco”.

La vocazione libertaria di Silvano Miniati è da sem-pre molto forte; ha il gusto per l’eresia, per l’avventura intel-lettuale e politica. Non teme di andare in minoranza. Noncontrappone in modo ortodosso le proprie idee. E’ aperto aldialogo su tutti i versanti, conservando sempre acuta e vigilela capacità di intendere la relatività e la precarietà delle ideo-logie, di cogliere in esse quello che viene travolto dal proce-dere vorticoso degli avvenimenti.

Infaticabile, tenace, testardo, curioso, creativo,spesso, troppo spesso ha avuto il torto di aver ragione primadel tempo.

Ecco perché il saggio Una ragione c’è: ricordarsi diquando gli anziani erano considerati una risorsa è un’offertapreziosa che consegna ai militanti politici e sociali.

Mi convince. Mi appassiona. Mi fa guardare con fi-ducia al futuro del sindacato.

Giorgio BenvenutoPresidente della Fondazione Nenni

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Perché ho deciso di ripubblicare il mio interventoal Comitato Centrale

della Uil Pensionati

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Sono passati gli anni...e si vede...

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La decisione di ripubblicare, a distanza di molti annila relazione da me presentata al Comitato Centraledella Uilpensionati non nasce affatto dalla presun-

zione che si tratti di un documento di fondamentale im-portanza. Mi ha mosso e mi muove, questo sì, laconvinzione che in presenza della crisi che colpisce ormaitutti i soggetti di rappresentanza collettiva e quindi ancheil sindacato e le forze sociali sia indispensabile ripensarele fasi più significative della nostra storia.

Quello che sta succedendo intorno a noi, in Italiae in Europa è molto allarmante in quanto sta vincendouna logica che mira all’archiviazione di tutto ciò che c’èstato prima di noi. Ed è proprio nel “prima di noi”, che siricerca sempre e comunque la spiegazione di tutti i mali,anche di quelli per niente trascurabili, sicuramente nonattribuibili alla nostra azione ma alle scelte di chi è arrivatoben dopo di noi ed è ancora ben presente anche oggi.

Chi è venuto dopo ha potuto magnificare anche acausa delle nostre omissioni e debolezze, un giovanilismosenza princìpi spesso all’insegna della logica del “togliti tuche arrivo io”. Oggi in tantissimi campi, siamo di fronte

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alla prova inconfutabile che l’età è senza dubbio un fattoreimportante per chiunque intenda rinnovare le società, manon è certamente un ingrediente decisivo e positivo a pre-scindere, considerato che è ormai dimostrato che la ra-gione non dipende dalla arroganza e dal gridare più forte.

Per dirla in sintesi, i giovani da soli rischiano diportarci a sbattere. E, quindi, è quanto mai indispensabiletornare a riflettere e a riprendere a parlare di ricerca dell’unità tra le generazioni. Quell’unità, ricordiamocelo chefu irrisa, ad esempio da Mario Monti tanti anni fa quandodal meeting di Comunione e Liberazione di Rimini invitòi giovani a ribellarsi a qualsiasi idea di “patto” e di unità ea pensare seriamente non all’unità intergenerazionale maad uno sciopero contro le generazioni anziane.

Monti ci ha lasciato in eredità non solo la leggeFornero; la fine della concertazione ma ha anche fomen-tato l’antipatia verso chiunque sia considerato anziano equindi da valutare, senza se e senza ma, come un peso peril paese e un intralcio per il cammino dell’Italia verso piùluminosi destini.

La stessa parte che oggi assume Padoan che dopoaver disinvoltamente archiviato Ciampi e Padoa Schioppae ripudiato ogni pensiero critico non perde occasione perspiegarci che tutto va bene e che il tutto viene fatto, magaria loro insaputa, per i giovani.

Avanza la disgregazione sociale. Le forze che gover-nano il cosiddetto “libero mercato” diventano sempre più

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aggressive e riescono a far breccia anche contro conquistee acquisizioni decisive che vengono chiaramente conside-

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Rimini, manifestazione “Primavera insieme”

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rate un limite alla affermazione dei loro, non sempre lecitie trasparenti, interessi.

La progressività nel prelievo fiscale, l’assistenzacome carità e non come diritto, il lavoro in nero e senzafatture e anche senza lasciarne traccia, la sanità che da di-ritto universalistico si trasforma in una opportunità soloper chi si può permettere di pagare; il diritto allo studioche rischia di diventare tale soltanto per chi ha i mezzi,tutto questo ci piomba addosso con la velocità del fiumeche trascina a valle tutto quello che incontra sul percorso.

Abbiamo la prova che non è affatto vero che in Ita-lia esista un problema drammatico di lentezza e quindi dimancanza di rapidità nelle decisioni.

Il problema della lentezza esiste sicuramente per icittadini normali alle prese con la burocrazia, quella delloStato e quella dei comuni e della pubblica amministra-zione in generale. Un male questo che non colpisce peròtutti allo stesso modo e non vale certamente per il dirittoalla salute, alla pensione e all’assistenza. Quando infatti sitratta di scelte negative, che tagliano o annullano tali di-ritti, gli effetti sono quasi sempre molto rapidi. Basterebberiflettere un attimo su come è cambiato, e non certamentein meglio, il diritto alla salute. L’insieme delle procedureper quanto riguarda analisi, diagnosi, cure e assistenza do-miciliare e territoriale per prendere atto che uno degliaspetti peggiori determinati dalla gestione della crisi siaormai diventato il fatto che ci curiamo di meno, e che ciò

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non ha nulla a che fare con la lotta agli sprechi o con il ri-fiuto dell’accanimento terapeutico.

Per decenni, ci siamo cullati nella tranquillizzanteconvinzione che il vivere più a lungo e più in salute rap-presentasse una acquisizione che nel tempo nulla e nes-suno avrebbe ormai potuto rimettere in discussione.Questa convinzione ci aveva portato negli anni a parlarein senso positivo di “anomalia italiana” e a ritenere chesolo negli altri paesi esistessero il razzismo, la criminalizza-zione e la marginalizzazione degli anziani, la mancanza diprevenzione.

In realtà l’unica anomalia positiva è stata rappre-sentata dal fatto che gli anziani una volta usciti dal lavoro,hanno continuato a sentirsi cittadini e a rivendicare il di-ritto indiscutibile ad un futuro che non è per niente col-locabile alle loro spalle. Anziani che non possono e nondevono affatto essere considerati semplicemente degli ex,con riferimento al loro passato e hanno, quindi non soloil diritto, ma l’interesse ad organizzarsi anche sindacal-mente, proprio in quanto pensionati a partire dalla con-vinzione che la pensione rappresenti un diritto che vatutelato e difeso ogni giorno anche con l’azione sindacale.Non si può infatti contare solo sulla solidarietà sociale esulla lungimiranza di chi contratta in quanto lavoratore inattività. Una scelta questa che non solo non tutela gli an-ziani, ma danneggia i lavoratori tutti, soprattutto quandola disgregazione sociale avanza in modo allarmante.

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Su questi terreni e in particolare su quello delleconquiste sociali non è per noi facile ammetterlo, ma dob-biamo riconoscere, di essere stati sconfitti. La scelta di unaorganizzazione sindacale autonoma dei pensionati collo-cata nell’alveo dell’azione interconfederale italiana ed eu-ropea è stata sconfitta. A mio giudizio è infatti chiaro chealla prova dei fatti ha vinto il modello tedesco e che unapresenza socialmente rilevante dei pensionati tedeschi e

europei della quale ci sarebbe stato tanto bisogno si puòoggi rilanciare solo partendo dalla presa d’atto di quellasconfitta. Ammettere che il modello che ha permesso lacreazione, almeno in Italia, di un grande movimento sin-dacale dei pensionati, diventato nel tempo momento es-senziale di forza del sindacalismo confederale, è statobloccato impedendo che facesse proseliti nel resto dell’Eu-ropa. Ciò non significa affatto ritenere che quella ipotesi

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C’erano tante illusioni... ma abbiamo fatto tanta strada

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politico-organizzativa vada archiviata né tanto meno chela scelta compiuta in Italia fosse sbagliata.

Se, è vero che siamo stati sconfitti, è anche moltoevidente che coloro che hanno prevalso non hanno otte-nuto risultati apprezzabili e non possono certamente can-tare vittoria. Può suonare paradossale ma a me sembra deltutto evidente che la crisi di valori e di prospettive che af-fligge l’Europa dipenda oggi anche dalle scelte che hannoportato alla ghettizzazione dei cittadini anziani i qualihanno subito un drastico peggioramento della loro qualitàdella vita. Questa considerazione dovrebbe rafforzare laconvinzione che dipenderà anche dalla nostra capacità dinon dimenticare mai quello che siamo stati e quanto ab-biamo fatto per poter ovviamente continuare a guardaredecisamente in avanti, consapevoli che in futuro, niente oquasi potrà essere ricopiato dal passato, ma che i conti conil passato non si possono fare usando la ruspa. Nel mo-dello di organizzazione dei pensionati che si è imposto inEuropa è mancata e manca la consapevolezza che solo ilprotagonismo degli anziani può costituire un argine serioalla frammentazione in quanto unico freno serio al dila-gare del corporativismo.

Chi era convinto che la globalizzazione avrebbeprodotto comunque risultati positivi compresa una fortespinta verso l’innovazione dei sistemi istituzionali e dellepolitiche sociali e culturali, è oggi chiamato a misurarsicon la realtà di ogni giorno e a prendere amaramente atto

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che i fatti concreti pesano molto più delle speranze. Non sono e non lo sono mai stato contro la globa-

lizzazione, un termine che sembrava accettabile, almenoall’origine, per chi ne aveva una visione parzialmente po-sitiva, e cercava di immaginare processi tra loro diversi chesi sarebbero incontrati formando un tutto unico che ciavrebbe trainato verso un futuro migliore. A conti fatti

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PERCHÈ HO DECISO...

Diciamolo sempre più forte

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però, le cose non sono andate affatto così. Oggi appare impossibile parlare positivamente di

globalizzazione. Mentre tutto ad eccezione delle banche e delle

multinazionali si frammenta e prendono il sopravvento,nazionalismi, etnie, e localismi, lo stesso termine Globa-lizzazione rischia di diventare davvero fuorviante. Anchele guerre che rappresentano un aspetto caratteristico del-l’attuale fase non sembrano affatto globalizzate. Ne esi-stono numerose in tante parti del mondo, spesso poco

visibili ma semprepiù cruente e senza,almeno all’appa-renza, collegamentiprecisi tra loro. Sol-tanto papa France-sco sembra oggidisporre di una vi-sione globale deiproblemi e di pa-role d’ordine e sug-gestioni capaci didialogare conl’umanità intera.In Italia, la fram-mentazione investesoprattutto il so-

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I giovani di ieri

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ciale. Le associa-zioni di rappre-s e n t a n z acollettiva si tro-vano tutte alleprese con unagrave crisi di rap-presentatività equindi di legitti-mazione. Il “chirappresenta chi”che dovrebbe es-sere uno deglii n t e r ro g a t i v iprincipali impo-sti alla nostra at-tenzione, almenoal momento non sembra appassionare più di tanto.

Il risultato della frammentazione e della disgrega-zione, agisce non solo sulle scelte collettive, ma incideanche sui convincimenti e i comportamenti individuali. Ilpassaggio dal “noi” all’”io” apre varchi che sembrano au-tostrade alla logica dell’“ognuno per se” e del “Dio pertutti”. Sta riemergendo ad ogni livello e con inusitata in-tensità, una spinta al corporativismo, che investe ormaianche parti crescenti del movimento sindacale.Anche le associazioni di rappresentanza collettiva, sono

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PERCHÈ HO DECISO...

Gli anziani di domani

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vittime del mito “fare presto” e dell’agire con rapidità, ma-gari con la scusa che non bisogna perdere tempo.

Ci si è abituati progressivamente a non discutere ead assumere comportamenti che rendono superfluo lo stu-dio, l’approfondimento e il confronto e quindi la verifica. L’improvvisazione regna sovrana. I costi di questo mododi fare sono davvero rilevanti.

Se qualcuno che ne ha le capacità e gli strumentidecidesse di calcolare, magari approssimativamente,quanto incida sul bilancio dello stato una voce che po-tremmo definire per comodità “costi della improvvisa-zione”, potremmo prendere atto di quanto ci costi ormai

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Comizio sotto la pioggia... uno dei tanti

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l’abitudine all’aprire bocca e darle fiato. Una abitudineche porta a promettere cose che poi si dimostrano impos-sibili da mantenere. A compiere scelte, che sono si moltorapide e all’apparenza magari popolari anche se di fattoinapplicabili e che comunque oltre a moltiplicazione deicosti provocano confusione e disuguaglianze.

Se per esempio si avesse la voglia di calcolarequanto sia costata davvero la legge Fornero, si scoprirebbeche al netto dei gravissimi guasti sociali e di quelli irrime-diabili alle persone, lo stato ha sopportato e sopporta uncosto da improvvisazione molto ingente. Nessuno po-trebbe oggi negare che se al posto dei tanti soloni che

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PERCHÈ HO DECISO...

C’erano tante donne

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hanno ideato quella legge e i meccanismi per applicarla cifossero stati alcuni operatori di CAF e di patronato, si sa-rebbero risparmiati tempo e denaro e soprattutto si sa-rebbe evitato di scavare un ulteriore fossato nel rapportotra istituzioni e cittadini.

È evidente che passare dal “noi” all’ “io” porta nonsolo a saltare a piedi pari gli “intralci” della democrazia epermette di sottrarsi anche alla pesantezza dello studio, del-l’approfondimento e della verifica; alla noia del confrontosui fatti. Si è imposto ormai un modello di convivenza chesi basa sul primato del decidere che soppianta anche quellodel governare; in ciò sta l’alibi per chiunque ritenga checomandare è molto più importante che dirigere.

I pensionati non hanno affatto bisogno di qual-cuno che in ogni momento dica loro che cosa è giusto osbagliato, senza neppure ascoltare il loro parere. Tantomeno sentono la mancanza di qualcuno che spieghi lorocome si debbono organizzare e comportare. Servono in-vece: sindacalisti, politici o intellettuali che si impegninoa promuovere il loro protagonismo.

Il protagonismo di tutti coloro che in altre sedi hodefinito i giovani di ieri, una definizione che permette didefinire i giovani, gli anziani di domani e di rendere menoantipatica la definizione di unità tra le generazioni. Unaunità magari considerata fuori moda ma quanto mai ne-cessaria.

Giovani di ieri e anziani di domani uniti all’in-

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terno di una grande coalizione sociale, intesa in modo mo-derno, che deve fare del protagonismo degli anziani, siaquello collettivo che quello dei singoli, l’asse portante delproprio orientamento.

In questa prospettiva, tutti i cittadini anziani, conpensione o senza, possono recuperare il tempo perduto eil loro ruolo nella società come nella famiglia.

Questa convinzione induce a immaginare un per-corso lungo e fati-coso, in unarealtà dove cre-scono rabbia eimpotenza dallequali non dob-biamo però la-sciarci sopraffarese non vogliamocorrere il rischiodi ridurci a unasorta di “curvasud” neppure suf-ficientemente ru-morosa e visibile.

Per tor-nare a contare ead essere protago-nisti del futuro

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PERCHÈ HO DECISO...

Piazza San Giovanni, luogo di tanti incontri

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del nostro paese, è necessario comunque aiutare l’emer-gere di una nuova e larga coalizione sociale.Coalizione sociale, un obiettivo che Maurizio Landini hacontribuito ad indebolire non poco presentandolo, a miomodo di vedere, in modo equivoco e anche sbagliato.

In passato era più facile capirsi, poiché parlandodel sociale, disponevamo di punti di riferimento ritenutipressoché indiscutibili.

La classe operaia era uno di questi. Classe operaia certo troppo sbrigativamente defi-

nita classe egemone, e ciò anche quando la frammenta-zione ne stava già contaminando la composizione e mentrel’irruzione sulla scena di fenomeni come l’operaio massa,il movimento delle donne e l’ambientalismo, ne segnavanoin profondo i contenuti politici e culturali, mettendo cosìin discussione molte certezze e tabù del passato.

Se oggi guardiamo al futuro, dobbiamo prendereatto che sarebbe del tutto impossibile anche discutere inastratto di classe o di gruppi sociali egemoni.

La classe operaia oggi non è per niente unita nésui valori né sulle rivendicazioni.

Il mitico ceto medio ha sicuramente più peso nellecitazioni che nella realtà. L’ esperienza importante ma noncerto gloriosa di “Rete impresa” lo sta a dimostrare.

La mitica Confindustria ha perso prestigio e forza,ed è ormai una associazione molto ridimensionata che simobilita essenzialmente per soldi. “Pochi maledetti e su-

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bito e per favore niente tasse”, sembra essere ormai lo slo-gan che la tiene unita. Non possono infine aspirare a di-ventare classe egemone neppure le migliaia e migliaia ditecnocrati, la cui vera matrice rimane l’individualismo.

Una coalizione sociale si può quindi creare con lapazienza di chi riflette bene sui passi necessari, pur avver-tendo ovviamente l’urgenza di risposte che vanno costruitein fretta.

Una coalizione sociale senza il sindacato, non èneppure immaginabile. E qui emerge il primo grosso pro-blema che abbiamodi fronte. Il sinda-cato è indispensa-bile per costruireuna coalizione so-ciale all’altezza deicompiti attuali, manon è scontato chesia questo il sinda-cato che serve. Edetto con chiarezza,lo è ancora dimeno il sindacatoche propone Mau-rizio Landini.

In questamia convinzione,

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Futuro da operai o destino da esodati?

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non c’è nessuna adesione alla moda odierna che proponeLandini nel ruolo di “nemico” a prescindere. E neppurenessuna compiacimento verso coloro che ogni qualvolta siparla di CGIL, CISL e UIL, delle loro difficoltà e magaridei loro errori non perdono occasione per riproporci lamitica “rifondazione del sindacato”. Tanto meno possiamoconsiderare utile la posizione di chi propone uno schiera-

mento sindacaleanti-Fiom pen-sando, magari inperfetta buonafede, che ciò ba-sterebbe a miglio-rare la situazione.

Non si puòessere però parteimportante e percerti versi deter-minante di unarinnovata e mo-derna coalizionesociale se non sifanno i conti conuna storia comequella di CGIL,CISL e UIL e inparticolare con

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Sognare non è ancora proibito

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quella dei metalmeccanici. Una storia certo gloriosa maanche influenzata da concezioni con le quali prima o dopotutti dovremo fare i conti. Si tratta di concezioni ancoraoggi in aperta contradizione con lo stesso concetto di coa-lizione sociale.

I metalmeccanici sono stati sicuramente fonda-mentali nelle lotte di questi decenni, spesso divisi tra lorosu aspetti importanti ma uniti sui nodi decisivi dell’energiae dell’ambientalismo e della scelta tra ferro e gomma, sullamobilità e non sempre con scelte positive. Tra i metalmec-canici hanno resistito infatti convinzioni comuni e com-portamenti che hanno impedito loro di svolgere un ruolodi traino e di avanguardia all’interno dell’intero movi-mento sindacale.

Furono ad esempio le posizioni tardo operaiste allabase di una visione economicistica che originarono ancheerrori che non sono stati ancora rimossi con chiarezza. Sitratta di errori che hanno chiamato in causa la concezionestessa del sindacato e la sua natura confederale. Mi riferi-sco ad esempio alla convinzione che i pensionati, inquanto non partecipanti attivi al processo produttivo, fos-sero comunque da considerarsi cittadini speciali, se nondi serie ”B” da parte nel sindacato, “quello vero”. È ovvioche con questa affermazione, estremizzo molto il mio pen-siero, ma quando si trattò di organizzare il referendumsulla legge Dini, si evidenziò una grave spaccatura tra i me-talmeccanici e il resto del movimento sindacale. Tutto il

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movimento sindacale sostenne infatti la scelta di ricorrereal voto, ma si spaccò sul diritto e sul modo di esprimerlo.I sindacati dei metalmeccanici, pressoché unanimi, sosten-nero che i pensionati non facendo più parte di coloro chepartecipavano al processo produttivo, non avrebbero do-vuto avere diritto di voto o almeno di essere confusi con ilavoratori in attività.

Questo modo di pensare era tra i metalmeccanicimolto difuso. La FIOM ci aggiungeva semmai il carico da11 con l’affermazione che i pensionati erano tanti e facil-mente manovrabili dagli apparati di CGIL, CISL e UIL eche quindi doveva essere loro impedito di pesare eccessi-vamente sull’esito del voto.

Se abbiamo chiaro che la coalizione sociale non si44

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Salute e ambiente un obiettivo da realizzare

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crea senza un apporto determinante del movimento sin-dacale, dobbiamo prendere atto che il sindacato deve oggiscegliere chiaramente l’ottica del Sindacato dei cittadini.

Quando parlo del Sindacato dei Cittadini, speroche sia chiaro che non c’è in me nessuna tentazione di ri-vendicare meriti postumi per la UIL di Giorgio Benve-nuto. Il sindacato dei cittadini che serve oggi è cosa moltodiversa da quello prospettato ieri.

Parlo di Sindacato dei cittadini, non per riaprirepolemiche su quello che poteva essere e non è stato, masemplicemente per ricordare che serve prima di tutto la ri-scoperta del primato della confederalità, che può essere ri-lanciata solo se si sceglie appunto l’ottica del Sindacato deicittadini e della ricomposizione generale della società, ilche significa che per le confederazioni molti compiti attualivanno invece trasferiti da centro al territorio. Parlando diriscoperta dell’ottica del Sindacato dei cittadini, dobbiamoavere presente che si tratterà di un processo che non potràessere realizzato in tempi rapidissimi, mentre le emergenzeche sono sotto gli occhi di tutti sollecitano tutti a fare pre-sto.

È comunque certo che la pigrizia nell’affrontarescelte coraggiose, fa apparire sonnacchiosi e fa perdere alsindacato ulteriore efficacia e credibilità. Tra le tante scelteche appaiono necessarie e urgenti, esistono quelle di so-stanza ma anche quelle di immagine che andrebbero co-munque realizzate, come ad esempio quelle relative ai

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servizi e agli organismi collaterali oltre a come ridare ruoloe slancio agli strumenti attivati unitariamente fino dallaloro nascita.

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L’esperienza ha dimostrato che è più facile a dirsi che a farsi

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I patronati e i CAF sono oggi nell’occhio del ci-clone, o più brutalmente nel mirino di avversari che spa-rano ad alzo zero. Avversari che non sanno bene che cosasia un CAF o un patronato, ma hanno chiaro che andreb-bero tolti di mezzo.

Questa azione dissennata contro Caf e patronatiavviene ignorando del tutto i risultati ottenuti anche nelsopperire alle manchevolezze dello Stato. La scelta di ta-gliare loro mezzi essenziali proprio mentre aumenta il ca-rico dei compiti e adempimenti loro richiesti per leggi otramite circolari la dice lunga sui disegni del governo. Do-vremmo avere chiaro ormai che CAF e patronati, all’in-terno di una logica confederale che incoraggia al massimobuoni rapporti diplomatici e unità d’azione, mantenendoattiva però una concorrenza molto forte, diventano ognigiorno più vulnerabili. È ormai evidente che l’autonomiagestita all’insegna della concorrenza e della ricerca del pri-mato della singola sigla rende tutti più deboli, impedisceun uso razionale delle nuove tecnologie e favorisce la con-correnza, che nasce e si sviluppa anche all’esterno in am-bito extra sindacale. Viene fatto di chiederci quanti attidi ostilità e tagli serviranno ancora per indurre tutti a unaconstatazione elementare. Se siamo davvero tutti convintidi essere sulla stessa barca, la barca va difesa e attrezzataper raggiungere sponde sicure.

Esistono anche strumenti unitari; pensiamo adesempio alla Fitel che le confederazioni hanno promosso

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dando però spesso l’impressione di non crederci davverofino in fondo.

È ormai chiaro che l’area del turismo, della ricrea-zione, della conoscenza e valorizzazione del nostro patri-monio paesaggistico e artistico tende sempre più adampliarsi e ad essere investita da centinaia di iniziativespesso anche molto convenienti e intelligenti.

Iniziative che però nascono e si sviluppano spessofuori dall’ambito sindacale. In ambito sindacale all’internodi ognuna delle confederazioni che hanno compiuto lascelta unitaria restano intatti alcuni atteggiamenti che po-trebbero tornare buoni domani nel caso la scelta di darvita alla Fitel non avesse successo.

Viene fatto di chiedersi che forza possa avere unainiziativa nuova se coloro che decidono di intraprenderladanno l’impressione di essere preoccupati di che cosa sipotrà fare quando l’iniziativa unitaria dovesse fallire.

Se così non è, occorre allora abbandonare, siaquando si è in presenza di organismi nuovi unitariamentegestiti, sia quando si decida sempre unitariamente di ridarevita e ossigeno a strumenti esistenti, la vecchia e depreca-bile abitudine di considerare le scelte di sedi unitarie,come nuove occasioni di parcheggio per dirigenti ritenutiormai obsoleti.

Esiste infine un terreno di rinnovamento e raffor-zamento del sindacato e della sua possibilità di essere parteessenziale della coalizione sociale che almeno all’apparenza

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SILVANO MINIATI • UNA RAGIONE C’È

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richiama all’antico.Mi riferisco al diritto di sciopero, e cioè a un di-

ritto, le cui modalità di esercizio sono determinanti ancheper la sua difesa. So bene che non è molto elegante ricor-rere alla citazione di se stessi o all’affermazione del “io

l’avevo detto”,ma in questocaso non possorinunciare a ri-cordare chetanti anni fa, inun libro scrittoassieme a Vitto-rio Liguori (di-rigente UILdell’INPS) dedi-cato al diritto disciopero e alsuo esercizio,paventavo il ri-schio che l’eser-cizio del dirittodi sciopero seaffidato esclusi-vamente alla ca-tegoria o algruppo interes-

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Un obiettivo ancora attuale

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sato al conflitto senza un contrappeso evidente che rico-noscesse l’interesse dei cittadini utenti, ci saremmo potutitrovare un giorno di fronte migliaia di cittadini appiedati,anche senza preavviso, da quattro ingegneri di una cabinadi comando della metropolitana che avessero deciso unosciopero senza consultarsi con nessuno.

Un esempio quello di allora niente affatto campatoin aria.

Di fronte ad episodi come le assemblee di Pompei,del Colosseo e di Caserta o agli scioperi dei tramvieri odei vigili urbani di Roma, a volte anche dividendosi, il sin-dacato ha assunto posizioni niente affatto convincenti. Maquello che è peggio è che si è lasciata intatta la sensazioneche al suo interno ognuno decide come vuole.

Ritornare a una regola che preveda che la categoriasoprattutto nei servizi rimane titolare della contrattazionee quindi anche del diritto di sciopero che può però essereesercitato solo dopo che gli organismi confederali si sianopronunciati e ne abbiano condiviso la proclamazione puòanche non piacere e far gridare allo scandalo i custodi in-flessibili dell’autonomia di categoria. Se si guarda alla re-altà e si prende atto di come il movimento dei lavoratorisi stia frantumando e di come al nord si ignori di fattoquello che succede al sud o del perché i dipendenti delpubblico impiego rischino di rimanere soli mentre sonochiaramente sotto attacco e stanno pagando, in diritti e sa-lario prezzi altissimi. Di fronte a tante difficoltà, non mi

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posso esimere dal richiamare l’attenzione su un’altra fasemolto dura della nostra esperienza.

In quella fase il sindacato confederale era ingrande difficoltà e per non pochi appariva definitivamentespacciato.

Il corporativismo sicuramente in forte ripresa, inmolti settori, il sindacato del “tutto e subito” sembrava af-fermarsi; nascevano tanti comitati, tante piccole associa-zioni e tutto sembrava assolutamente ingovernabile.

UILP, SPI e FNP non si lasciarono zittire né da chiaveva scelto la strada dell’estremismo, né da chi offriva lascorciatoia di politiche, tipo partito dei pensionati che col-locassero i pensionati di fatto fuori dal mondo sindacale.Riconfermammo allora che senza un forte ancoraggio al-l’esperienza del sindacalismo confederale, i pensionati nonavrebbero potuto andare da nessuna parte. Non sempre enon da tutti questo ruolo dei pensionati fu apprezzato ericonosciuto nella sua reale portata.

A piazza San Giovanni in cinquecentomila gri-dammo alto e forte il nostro sentirci ed essere confederalie di voler esserlo ricercando sempre l’unità tra noi e so-prattutto con i giovani. È sulla strada del rilancio dell’unitàdei giovani di ieri con gli anziani di domani che possiamoritrovare oggi la bussola per non perderci ulteriormente divista e per ridiventare protagonisti del nostro futuro.

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Relazione di Silvano Miniati al Comitato Centrale dellaUIL PensionatiGrand Hotel Ritz. Roma, 19 ottobre 2007

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Nell’esperienza di ognuno di noi viene, prima opoi, il momento in cui non è davvero facile farcombaciare razionalità e sentimenti o, più sem-

plicemente, come diceva un mio vecchio e caro amico mu-gellano, far sì che sia il cervello e non il cuore a decidere.La ragione mi ha sempre spinto a pensare che il rimaneretroppo a lungo nello stesso incarico, di primo piano, ri- 55

RELAZIONE DI SILVANO MINIATI

Eravamo sempre tantissimi

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schia di non rappresentare un fatto positivo, né per chiquell’incarico lo ricopre, né per l’organizzazione che è chia-mato a dirigere.

Dal Congresso di Pesaro ad oggi sono passati tantianni. Un percorso non sempre agevole, allietato e suppor-tato da esperienze davvero entusiasmanti, sul piano umanocome su quello politico e, soprattutto, dall’incontro e dallavoro comune con tantissime donne e uomini che hannorappresentato la vera ricchezza della Uilp. Donne e uo-mini dai quali ho ricevuto molto, cercando a mia volta diricambiare, impegnandomi al massimo, riuscendovi ovvia-mente solo in parte.

Amici e compagni, alcuni dei quali non sono piùtra noi; altri non più attivi nel sindacato per ragioni di sa-lute oltre che di età, tanti altri, ancora oggi, impegnati perla promozione sociale e politica degli anziani e la difesa deiloro diritti e della loro dignità.

Nel corso degli anni accade di confrontarsi conamici e compagni che ti segnalano l’esigenza di un pro-fondo rinnovamento del sindacato, a volte lo fanno inmodo polemico. Tu sei uno dei più convinti e, talvolta,dei più esposti, e ti accade anche di incontrare amici cheti chiedono, magari anche con un po’ di malizia, da quantianni ormai sei segretario generale.

Ritorno allora con la mente al Congresso di Pe-saro, che mi elesse Segretario con Vittorio Pagani e PaoloTisselli. Mi ricordo quando con Vittorio e con Paolo iniziai

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il percorso in un sindacato che al momento era solo unasigla, senza sedi, senza risorse e pochissimi iscritti. E hosempre ben presente che in Confederazione a parte Gior-gio Benvenuto erano davvero in pochi a ritenere che anchenella Uil dovesse nascere un vero sindacato dei pensionati.

Prima di decidere ho preso atto che rispetto alpunto di par-tenza, di tempone è passatotanto, e che percoerenza conquanto ho sem-pre pensato do-vevo prendereatto che era dav-vero venuto ilmomento di pas-sare la mano.

Passare lamano. Facile di-scuterne inmodo accade-mico. Moltocomplicato in-vece e per certiversi anchemolto duro deci-

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Contavamo le teste... e non le gambe

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derlo in concreto quando la scelta ti riguarda direttamentee significa, in poche parole, che da un giorno all’altro nonsarai più Segretario Generale della Uilp.

Se fossi stato chiamato a decidere di ritirarmi sem-plicemente per ragioni di età perché vicino ai settantacin-que anni o perché Segretario Generale da quasi vent’anni,avrei potuto trovare ancora tante ragioni o pretesti per ri-tenermi ancora utile e necessario almeno fine al prossimoCongresso.

Se, però, alla consapevolezza degli anni di età e dipermanenza nell’incarico si aggiunge la sensazione di ri-schiare di diventare un “tappo” per il rinnovamento e, so-prattutto, un intralcio serio nei rapporti con laConfederazione, allora il momento di passare la mano nonpuò essere rinviato.

Con voi tutti ho avuto per tanti anni un rapportobellissimo; mi avete espresso una stima e una considera-zione che non erano confondibili con l’omaggio a chi “co-manda”. Stima e considerazione che non hanno peròevitato l’insorgere di polemiche e di confronti a volteanche molto duri, ma mai distruttivi.

Mai distruttivi, perché, per merito di tutti, la Uilpnon è mai stata considerata una macchina e neppure unfine. Più modestamente ci siamo tutti considerati parte diun mezzo a disposizione degli anziani per difendere i lorodiritti e affermare il loro ruolo nella società e la loro di-gnità in generale.

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Per dirla in breve, ci siamo collettivamente sentitiun sindacato della solidarietà, della conoscenza e della pro-posta e non una semplice macchina per produrre tessere equote.

Proprio sulla concezione del sindacato, ho regi-strato spesso una distanza molto evidente rispetto a chi,prevalentemente fuori dalla Uilp, guardava a noi con per-plessità e diffidenza.

Nel corso della mia esperienza di Segretario Gene-rale, mi è capitato anche di essere accusato di eccessiva len-tezza nel prendere decisioni e di paternalismo per il miomodo di concepire i rapporti umani, soprattutto quandosi è trattato di sostituzioni e di cambi all’interno della di-rigenza della Uilp ai vari livelli.

Per alcuni dirigenti, soprattutto orizzontali moltoinfluenti nelle strutture di territorio, è inconcepibile chesi debbano impegnare settimane o mesi per sostituire unquadro sindacale, magari di una piccola e insignificanterealtà territoriale, consumando a tal fine riunioni, incontrie mediazioni.

Questi dirigenti sindacali pensano che sia giustofare in fretta a prescindere, perché il mondo corre e nonc’è tempo da perdere, e non ritengono fondamentale cheun sindacato, per essere veramente all’altezza del suo com-pito, debba essere soprattutto una comunità, in cui il ri-spetto della dignità delle persone e la loro valorizzazione,sempre e comunque, rappresentino valori irrinunciabili.

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Si tratta evidentemente di dirigenti e quadri sindacali chenon colgono l’enorme differenza che esiste tra essere au-torevoli ed essere autoritari, perché per loro non è neces-sario convincere, basta comandare.

Si tratta di persone che non hanno la consapevo-lezza che se sei autorevole lo sei sempre, mentre autoritariopuoi esserlo solo fino a quando hai il vento in poppa, poi-ché quando cambia il vento chi ti ha incensato fino a ieri– o ha finto di farlo – potrà facilmente diventare il tuo peg-gior nemico.

Non intendo fare prediche a nessuno e neppureaddentrarmi nel campo dell’etica, ma più semplicementerivendicare per tutti noi, e quindi anche per me stesso, il60

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Uniti contavamo di più

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merito di aver costruito un’organizzazione di donne e uo-mini che, operando collettivamente, sono riusciti a com-battere, a volte efficacemente, altre volte meno, il rischiodell’individualismo e dell’attrazione spesso negativa che ilpotere esercita, anche quando il potere da gestire è davveropoca cosa.

Questo modo di intendere il sindacato e il nostroimpegno ci hanno permesso di ottenere, sia sul piano po-litico sia su quello culturale e umano, eccellenti risultatiche non possono essere ignorati da nessuno.

Abbiamo costruito negli anni un’organizzazioneche ha da tempo superato il mezzo milione di iscritti.Donne e uomini “reali”, che hanno sottoscritto una delegaattraverso la quale ogni mese il loro contributo fa vivere ecrescere la Uilp e se permettete anche la confederazione.

Disponiamo oggi di un’organizzazione che dimo-stra un forte senso di appartenenza, senza però scadere nelcorporativismo. Un’organizzazione spesso molto critica neiconfronti della Confederazione ma composta da militantipronti ad ogni sacrificio per difenderla e non perché lo sta-bilisce lo Statuto, ma perché è radicata in tutti noi la con-sapevolezza che si fa parte di un universo chiamatomovimento sindacale e che fuori dall’ambito della Confe-deralità non ci può essere per la Uilp e per gli anziani ingenerale alcun futuro positivo. Una consapevolezza che èfrutto dell’impegno costante di un gruppo dirigente illu-minato, che non ha mai confuso la critica seria anche dura

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con le posizioni di chi pensa invece che si potrebbe fare ameno della Confederazione.

Ogni giorno, migliaia di nostri militanti sono im-pegnati nelle Leghe, nelle Camere sindacali, come volon-tari del Caf, dell’Ital, dell’Adoc e dei servizi. Svolgonoqueste attività gratuitamente o, al massimo, con modestirimborsi spese. Ogni giorno, migliaia di nostri iscritti, qua-dri, dirigenti sono inoltre impegnati nella vertenzialità ter-ritoriale.

È risaputo, che si tratta di amici e compagni spessoscomodi, perché non nascondono le proprie opinioni, chea volte protestano anche ad alta voce quando si imbattonoin dirigenti confederali o di categoria a loro parere inade-guati, e a gestioni dove emergono sprechi e sciatterie, con-vinti fermamente che fare sindacato richieda passione eprofonda conoscenza dei problemi. Sono donne e uominiconsapevoli e orgogliosi del fatto che il sindacato di oggi,con i suoi pregi e i suoi difetti, è anche figlio del loro im-pegno di anni; e proprio per questo credono sia giusto con-tinuare a impegnarsi per renderlo ancora più forte,efficiente e rappresentativo.

Non sono mancati e non mancano dirigenti came-rali e dei servizi che alle critiche hanno reagito e reagisconoin modo negativo. In quelle realtà, la Uilp non riesce a cre-scere. I risultati sono sotto gli occhi di tutti, molti amici ecompagni hanno abbandonato il campo e la stessa Uilp èrimasta non solo agli occhi di pensionati poco più di una

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semplice sigla, non si è sviluppata almeno quanto era pos-sibile e necessario.

Il paradosso è che quei pensionati scomodi si sonoallontanati, o sono stati allontanati, mentre parte di queidirigenti decisamente inadeguati è spesso invece rimastaal proprio posto, riproponendo le proprie formule e le pro-prie convinzioni e soprattutto la propria arroganza, e fa-cendo sì che la Uil continuasse a percorrere stradesbagliate combinando guai anche sul piano economico.

Si tratta di dirigenti che abbiamo trovato semprein prima linea nel rinfacciarci i nostri limiti, a partire dallaesiguità numerica rispetto a Spi e Fnp. Persone che hannoottenuto spesse volte anche il consenso di dirigenti di ca-tegoria, che continuano a criticare la UILP e intanto man-tengono il più rigido riserbo sui loro iscritti e sui bilancidella propria categoria.

Dico queste cose con chiarezza e anche con cru-dezza, perché ritengo che il nuovo Segretario Generale e isuoi collaboratori, in stretto rapporto con la Confedera-zione, dovranno da subito fare i conti con quella che altri-menti rischia di diventare una reale difficoltà.

Va detto adesso che in alcune province non c’è af-fatto attorno ai pensionati un adeguato spirito di solida-rietà. Anzi talvolta non mancano coloro che con eccessivadisinvoltura affermano che i pensionati sono troppo ricchie gestiscono troppe risorse e che è ora di verificare comele utilizzano. Si commette, in questo modo, magari sem-

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plicemente per la tendenza di alcuni a aprire bocca e darlefiato, un grave errore, oltre che una palese ingiustizia.Non è infatti vero che le risorse a disposizione dei pensio-nati siano così consistenti. I bilanci che sono a disposi-zione di tutti, lo dimostrano. In secondo luogo, non ci sirende conto di quanto sia rischioso usare l’arma del so-spetto, anche solo accennato, quando si parla di risorse,senza conoscere davvero le cose di cui si parla.

Sarebbe comunque buona norma che ognuno,prima di parlare dei bilanci degli altri, parlasse del proprioe cercasse comunque di spiegarsi e di spiegare il perchécon pochi soldi la Uilp è riuscita a fare tante cose utili perse e per la confederazione.

Sarebbe ora di adottare su questo terreno un com-portamento confederale lineare e davvero valido per tutti.A partire dalla adozione di regole chiarissime che stabili-scano che quando si hanno dimostrazioni di comporta-menti scorretti, si ricorre alle scelte politiche e allamagistratura. Quando, invece, si tratta di calunnie, i ca-lunniatori vanno sbugiardati e chiamati a rispondere poli-ticamente e penalmente dei loro comportamento. Che icasi ai quali pensiamo siano per fortuna davvero limitatirende evidente che le regole di trasparenza e correttezzasono importanti anche quando valgono in un caso sumille.

Per evitare, una volta per tutte, comportamenti chenon aiutano certo la crescita dell’intera organizzazione, si

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dovrebbe compiere anche statutariamente una sceltachiara e decidere di renderla obbligatoria per ogni livellodella Confederazione – categorie, strutture territoriali oltreche per confederazione. Servirebbe una vera e propria “ses-sione di bilancio” da realizzare mettendo a disposizione dichi poi sarà chiamato ad approvare i bilanci tutte le docu-mentazioni necessarie e compiendo uno sforzo per colle-gare strettamente le scelte di bilancio al modello disindacato che si intende costruire.

Ho ricordato prima che quando a Pesaro fui elettoassieme a Paolo eVittorio in segre-teria nazionale,partimmo nonavendo in cassaneppure un cen-tesimo e non di-sponendo dinessuna sede inproprietà ne aRoma ne sulresto del territo-rio. In questianni, grazieanche agli ac-cordi realizzati

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Ogni cartello un pezzo di storia

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con Benvenuto prima e Larizza dopo, la Uilp ha godutodi un trattamento di favore per quanto riguarda la riparti-zione delle quote. Ogni anno abbiamo potuto usufruire diun trattamento leggermente più favorevole a quello previ-sto poi con la gestione Angeletti Carannante che fissavarigidamente al 50% la quota a noi spettante. Va chiaritoche quel modesto 2/3% in più che ci ha permesso di co-prire i costi di tante manifestazioni nazionali, della incen-tivazione per le nuove deleghe e dell’apertura di decine dinuove leghe si è trasformato in un “affare” per la Confe-derazione oltre che in un deciso rafforzamento per la Uilp.

Si è verificato così una sorta di miracolo che vistal’aria che tira rischia di non essere ripetibile nel tempo.Abbiamo teoricamente dato di meno ma alla fine abbiamoversato molto di più. Il fatto che oggi lasciamo un organiz-zazione con un patrimonio ingente sul quale non grava uncentesimo di mutuo o di debiti dovrebbe essere da tutti ri-tenuto un esempio concreto di come i soldi dell’organiz-zazione si possono davvero spendere bene, onorando ilprincipio che le risorse sono comunque del sindacato enon dei singoli dirigenti.

Una lettura attenta dei bilanci della Uilp e dellaUil dimostra senza ombra di dubbio, quale sia stato nelcorso degli ultimi venti anni il contributo della Uilp al bi-lancio della Confederazione. Un contributo che ha rap-presentato per la Confederazione un sostegno davveroessenziale.

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Insisto su questo aspetto, non tanto per ribadireancora una volta che i nostri conti sono sempre stati esono a disposizione di tutti e visibili per chiunque volessecapire come vengono utilizzate le nostre risorse, quantopiuttosto perché uno dei nodi che durante l’ultima partedella mia gestione non siamo riusciti a risolvere e , cheanzi, è diventato fonte di tensione nei rapporti con la Con-federazione è stato proprio quello della ripartizione dellerisorse.

Intendo chiarire subito che anche con il mio con-senso fu ratificata dal Comitato centrale della Uil la normache stabilisce che le risorse derivanti dai pensionati anda-vano suddivise in parti uguali tra Confederazione e Uilp.

Una norma che esisteva anche ai tempi del Con-gresso di Pesaro e che nel corso degli anni era stata appli-cata con elasticità e sagacia, facendo sì che alla Uilp nonvenissero mai meno i mezzi per il suo sviluppo. Parlandodi mezzi essenziali mi riferisco ovviamente alla parte dedi-cata al mantenimento e allo sviluppo di strutture impor-tanti, in particolare i sindacati provinciali e le leghe.

Questa norma è stata rimessa in discussione negliultimi anni ed è stata riproposta in occasione della Con-ferenza nazionale di organizzazione. È emersa, in questaoccasione, da parte della Confederazione, un’interpreta-zione via via sempre più rigida e qualitativamente moltodiversa rispetto al passato.

Noi abbiamo ritenuto che le norme organizzative

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debbano essere sempre adeguate alle scelte politiche e nonviceversa. Se, a conti fatti, si scoprisse che il 50% delle ri-sorse non è sufficiente alla Uilp per continuare a crescere,sarebbe quel 50% che andrebbe messo in discussione.

È vero in-fatti che neglianni passati, laUil ha otte-nuto comples-s i v a m e n t edalla Uilpqualcosa dimeno di quelmitico 50%,ma possiamoa f f e r m a r esenza tema dismentita chein questomodo ab-biamo otte-nuto per noi eper la Uil risul-tati positiviche non vi sa-rebbero stati sesi fosse accet-

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Gli amici e i maestri lo sono per sempre

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tata l’idea che le regole vanno prese alla lettera come sefossimo all’interno di una caserma. Una ripartizione mo-deratamente a nostro favore ci ha consentito di investirebene e di ottenere risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Quella ripartizione “di favore” di cui abbiamo go-duto e della quale abbiamo sentito straparlare, ci ha per-messo di crescere e di dotare la Uilp, che come ricordatosi collocava a partire da Pesaro da Patrimonio e Cassa Zero,di un ingente patrimonio costituito da sedi nazionali e lo-cali, nessuna gravata da mutui né da debiti. Possiamo abuona ragione affermare che la Confederazione ha rinun-ciato almeno teoricamente ad una piccola quota del suoavere ricavandone benefici davvero consistenti. Tutto ciòè stato possibile grazie al sacrificio dell’insieme della UilPensionati e della capacità di non perdere mai di vista chele risorse della Uilp erano patrimonio dell’intera organiz-zazione e non dei singoli dirigenti che magari si distingue-vano nel preoccuparsi delle troppe risorse lasciate aipensionati e non battevano però ciglio quando una partedi queste veniva, anche con il nostro consenso utilizzataper tappare i loro buchi di bilancio. Ed è chiaro che se gliiscritti alla Uilp dovessero smettere di crescere, o addirit-tura dovessero diminuire, un aumento delle risorse per laConfederazione si tradurrebbe non in maggiori ma in mi-nori entrate per la Confederazione stessa.

Il patrimonio di sedi: quello nazionale come quelladi Roma e di tante province e regioni è cresciuto progres-

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sivamente. Oggi anche a nome vostro lascio al nuovo se-gretario generale e ai nuovi dirigenti, un patrimonio dav-vero ingente, che oltre tutto non è gravato da nessundebito pregresso e da nessun mutuo da onorare.

Chi giudica, a volte con superficialità, l’andamentodel nostro tesseramento dal Congresso di Pesaro in avanti,considerando la nostra crescita insufficiente; chi confrontal’esperienza della Cgil e della Cisl con la nostra, per rica-varne argomenti a sostegno di un giudizio non positivosulla Uilp, guarda solo ad una parte della realtà e certonon ci rende giustizia, ma soprattutto dimostra una con-cezione dei sindacato assolutamente miope e burocraticae alla lunga perdente.

Negli ultimi anni, infatti, il nostro ritmo di crescitaè stato più accelerato di quello di Spi e Fnp. E questo mal-grado il disinteresse di diverse categorie, che a parole con-dividono il concetto di “osmosi”, ma nei fatti lo negano.Esistono addirittura ancora dirigenti di categoria “presti-giosi” che pur essendo in pensione non sono iscritti allaUilp. Anche l’apporto decisivo e indispensabile dell’Ital ècomunque più contenuto di quello che i patronati di Cgile Cisl garantiscono a Spi e Fnp. Va poi detto che il contri-buto del Caf rischia di diventare meno significativo con ilpassare del tempo e il mutare delle norme.

In realtà la nostra crescita è dipesa e dipende percirca due terzi direttamente dalla Uilp, dai nostri attivisti,quadri e operatori presenti sul territorio e dalle collabora-

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zioni strette con categorie quali i ferrovieri le poste, lascuola; dall’impegno dell’Unione Italiani nel Mondo chesvolge assieme all’Ital un grande lavoro tra gli italiani resi-denti all’estero.

I dati degli ultimi anni, se letti correttamente, pos-sono fornirci indicazioni utili per evitare errori che potreb-bero rivelarsi davvero gravi.

Questi dati ci dicono che a fare della Uilp un’or-ganizzazione che riscuote una grande considerazione sonosoprattutto la nostra immagine, il nostro progetto, la no-stra capacità di essere presenti in tante iniziative, anche inquelle che apparentemente sembrano aver poco a che ve-dere con il sindacato. Sono le nostre attività di solidarietànon solo in Brasile, ma anche in Italia; sono i nostri rap-porti con grandi personaggi del mondo della Cultura,della Scienza, della Chiesa; le nostre battaglie contro i pri-vilegi previdenziali e per l’approvazione di una legge sullaprevidenza che applichi a tutti la stessa normativa, senzaeccezioni e senza deroghe; il nostro impegno quasi osses-sivo nell’affermare la necessità di un profondo cambia-mento culturale, che risponda alla rivoluzione demograficadegli ultimi decenni e che collochi le persone anziane trai soggetti al centro delle politiche economiche e sociali.

Questa immagine, questa progettualità di ampiorespiro, questa spinta ideale non sono mai stati in contrad-dizione con l’impegno quotidiano. Al contrario, abbiamosempre ritenuto che i servizi fossero importanti, che l’atti-

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vità quotidiana sul territorio fosse fondamentale. Ma ab-biamo anche sempre pensato che non ci potesse essere con-cretezza senza la capacità di far sognare, che non si potessecostruire qualcosa di piccolo senza immaginare un grandeprogetto di futuro.

Se questo è vero, occorre guardarsi dal rischio dicadere nella trappola di affrontare il problema della scar-sità di risorse – problema reale e da non sottovalutare –con la mentalità del ragioniere.

Si compirebbe davvero una scelta suicida, infatti,se dovesse prevalere la convinzione che la Uilp può “co-stare di meno” e ottenere ugualmente i grandi risultati con-seguiti fino ad oggi.

Certo, anche in una grande organizzazione, qual èla Uilp, ci possono essere spese superflue, sprechi o inef-ficienze, che vanno eliminati. Ma se invece in base ad uncalcolo ragionieristico si mettessero in discussione le ri-sorse che rendono possibile mantenere una presenza effi-cace sul territorio, realizzare una formazione adeguata aitempi, garantire anche sul piano delle incentivazioni unintervento in grado di contrastare efficacemente, soprat-tutto al Sud, il proliferare delle sigle sindacali, allora i con-traccolpi potrebbero essere davvero gravi. Se non si capisceche le sedi territoriali vanno non solo aperte, ma poi anchemantenute in vita evitando il rischio che si esulti quandosi conquistano nuovi iscritti e si rimanga inattivi quandol’andamento o la chiusura di una lega rischiano invece di

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far perdere quelli che c’erano. Esistono sul territorio Legheche non possono più crescere ma che vanno difese garan-tendo loro sostegno politico, organizzativo e finanziario.

Per le persone anziane, di oggi e del futuro, nonspira affatto un vento positivo e ciò deve essere avvertitocome un campanello d’allarme.

Nel senso comune emerge un atteggiamento di re-gressione evidente. Si tende a tornare a considerare l’in-vecchiamento una palla al piede dello sviluppo, e lepolitiche di welfare un costo intollerabile. Il principio“non produci e dunque non sei un cittadino a pieno ti-tolo” rischia di ridiventare dominante.

Occorre evidenziare, ancora una volta, che l’invec- 73

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Gli ideali non si asfaltano

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chiamento della popolazione è un fenomeno naturale ir-reversibile – un fenomeno per noi molto positivo – con ilquale è però necessario confrontarsi in modo chiaro, poi-ché implica cambiamenti strutturali in tutta la società. Unfenomeno che non può essere esorcizzato, utilizzando ri-cette che in nome della modernità si dimostrano poi assaiobsolete. Si deve capire che il rinnovamento è necessario,ma che il giovanilismo esasperato rischia invece di essereun disastro.

Una società realmente moderna deve sviluppareuna seria politica a 360 gradi, in grado di ricomprenderee riportare la specificità anziana in tutti i settori della vitaeconomica, sociale e politica, così che possa essere semprefattore di sviluppo e non di regresso. Noi siamo convintiche questa sia l’unica strada possibile, se si vuole costruireuna società che continui a crescere e che conservi una fortecoesione sociale.

Anziani come risorsa significa respingere il convin-cimento che l’invecchiamento rappresenti un disvalore eun peso per la società: questo “tarlo”, a mio parere, sta fa-cendo capolino e tende ad affermarsi anche nel mondosindacale.

Non possiamo neppure ignorare gli effetti negativiche può avere il “rozzo operaismo” alla Cremaschi di partedella Fiom. Da un lato si difendono giustamente le pen-sioni di anzianità e dall’altro si contesta agli stessi pensio-nati il diritto di contare quanto gli altri iscritti,

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considerandoli, di fatto, cittadini di serie B.Questo “rozzo operaismo” è emerso in modo evi-

dente in occasione dell’ultima consultazione referendariadi Cgil, Cisl e Uil, che ha dato peraltro risultati straordi-nari. L’unico voto “vero”, valido, secondo questa logica,sarebbe quello espresso nelle fabbriche; gli altri voti, so-prattutto quelli espressi dai pensionati, sarebbero voti in-quinati in partenza in quanto influenzati eccessivamentedagli apparati confederali e quindi privi di legittimità.

Questa visione negativa e al tempo stesso contrad-dittoria dell’invecchiamento emerge anche dalle opinionidi economisti, quali Boeri, Treu, Nicola Rossi, che nonperdono occasione di riproporci, sia pure in modi diversi,l’antico e odioso slogan “meno ai nonni e più ai nipoti”.Continuano a ripetere che in Italia si spende troppo perla previdenza e poco per l’assistenza e gli ammortizzatorisociali, con una lettura “di parte” degli stessi dati statistici.

Questi “pensatori” utilizzano in modo strumentaleil ragionamento sulla gerontocrazia per arrivare alla con-clusione che nella politica, nel sindacato e nelle scelte deigoverni il peso degli anziani è comunque eccessivo.

In questo modo si stravolge la realtà. Esiste sicuramente un problema di ricambio gene-

razionale in molti campi della società, dalla politica al la-voro, come anche nelle professioni, nella ricerca,nell’università. È innegabile la difficoltà per i giovani diarrivare ad occupare il loro posto nel mondo e di diventare

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adulti. Questo non vuol dire però che esiste un eccessivopeso degli anziani nella società. I politici anziani non sonoinfatti lì in rappresentanza della popolazione anziana,detto con educazione e rispetto, sono prevalentementesolo politici diventati vecchi.

Nella politica, nel mondo del lavoro, nelle scelteeconomiche e sociali gli anziani, i loro bisogni, le loroistanze non sono quasi mai rappresentati adeguatamente.

Il problema degli anziani e del loro ruolo nella so-cietà – e quindi anche nella politica e nel sindacato – ri-mane dunque aperto e irrisolto.

Per quanto ci riguarda è affrontabile solo se colle-gato anche al problema, più generale, del sindacalismo76

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Rita e Giorgio momenti indimenticabili

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confederale.Dobbiamo avere chiaro che il problema non è ri-

solvibile semplicemente mantenendo buoni rapporti trale organizzazioni sindacali dei Pensionati e le Confedera-zioni.

Se il sindacato confederale non scioglierà le pro-prie ambiguità, continuerà ad essere condizionato da logi-che troppo corporative e non sceglierà con grandedeterminazione la prospettiva del Sindacato dei Cittadini,le contraddizioni tra confederazioni e sindacati dei pen-sionati saranno destinate ad acuirsi e coinvolgeranno sem-pre più anche il rapporto sindacato - società.

Altri sindacati, ad esempio quello tedesco, hanno 77

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Incontro col Presidente Ciampi al Quirinale

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risolto a monte la contraddizione, non consentendo aipensionati di organizzarsi in quanto tali. I risultati diquella scelta appaiono disastrosi e risultano comunquepoco convincenti anche per gli stessi fautori di quellascelta.

Per fortuna, in Italia è stata fatta una scelta diffe-rente. Cgil, Cisl e Uil hanno deciso con lungimiranza, con-sapevoli dei grandi cambiamenti in atto nella società.Quella scelta ha permesso la nascita di un grande movi-mento sindacale dei pensionati, che è stato protagonistadi molte significative battaglie e ha contribuito allo svi-luppo sociale e culturale dell’intero Paese. L’organizzazionedei pensionati è stata determinante anche per l’elabora-zione e l’approvazione di Leggi importanti per tutti i citta-dini, penso ad esempio alla Legge Quadro sull’Assistenzao alla proposta di Legge per la tutela delle persone non au-tosufficienti, che stenta però ad arrivare in dirittura d’ar-rivo. L’esempio di Cgil, Cisl e Uil è stato poi seguito daaltre organizzazioni sindacali, dalle Acli, dall’Ugl, dalle or-ganizzazioni del lavoro autonomo, proprio perché quellascelta rispondeva, e risponde, a un bisogno reale della so-cietà.

Esistono perciò oggi le condizioni per un impegnoteso a guardare davvero avanti, tenendo conto che il Sin-dacato dei Cittadini significa prima di tutto la consapevo-lezza che molti dei diritti essenziali di cittadinanzadipendono ormai dalle scelte che si compiono sul territo-

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rio, dalle politiche delle Regioni, dei Comuni, delle grandisocietà erogatrici dei servizi di pubblica utilità.

Il giorno in cui Cgil, Cisl e Uil scegliessero concre-tamente il modello di Sindacato dei Cittadini e, come con-seguenza naturale di tale scelta, trasferissero sul territoriobuona parte del loro ruolo vertenziale e di proposta, po-trebbero affrontare nel modo migliore le nuove sfide im-poste dai cambiamenti nella società e nel mondo dellavoro. Un mondo del lavoro sempre più frammentato edifficile da rappresentare. Diventerebbe allora ancora piùevidente il fatto che i pensionati organizzati costituisconosingolarmente e collettivamente una risorsa irrinunciabile.

Un collante per mantenere politicamente e social-mente unito il Paese.

In questi vent’anni, con luci e ombre, ci siamo im-pegnati a fondo a far sì che la Uilp si lanciasse con coraggioin tutte le iniziative che potevano favorire, anche indiret-tamente, il protagonismo degli anziani e il rapporto tra an-ziani e giovani. Personalmente, sono sempre più convintoche si tratti di due snodi fondamentali e che il modo incui saranno affrontati sarà determinante per delineare lasocietà di domani.

Purtroppo negli ultimi anni sono stati costante-mente trascurati i bisogni e la richiesta di protagonismo edi rappresentanza sia dei giovani sia degli anziani.I giovani rappresentano di diritto il futuro, ma le scelte dipolitica economica e sociale degli ultimi anni li hanno

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troppo spesso emarginati, lasciandoli nell’incertezza e nellaprecarietà, scaricando in molti casi sugli anziani anchel’onere economico di mantenerli.

Gli anziani rappresentano un pezzo importante difuturo. Già oggi costituiscono un quinto della popolazioneitaliana e sono destinati ad aumentare. La loro presenzasegnerà sempre più la società. È dunque indispensabile in-vestire sul loro potenziale, sulla loro capacità di produrrereddito e lavoro, di trasmettere conoscenze, di favorire lacoesione sociale dentro e fuori le famiglie.

Occorre quindi un radicale cambiamento di pro-spettiva, che ponga giovani ed anziani al centro delle poli-tiche economiche, sociali, culturali, come portatori didiritti e di doveri. Non come avversari, ma come alleati.

Una grande alleanza tra giovani e anziani è neces-saria e, credo, anche possibile. Non un’alleanza corpora-tiva ma un’alleanza per uno sviluppo coeso e solidale dellanostra società. Un’alleanza anche per difenderci da chi inrealtà cerca di ignorare le potenzialità e il ruolo sia dei gio-vani che degli anziani.

Con questo spirito abbiamo giudicato positiva-mente i contenuti del protocollo sul Welfare prendendoatto che per la prima volta si è cercato di dare contempo-raneamente risposte ai problemi dei lavoratori in attivitàdei pensionati, dei futuri lavoratori e dei precari, dei gio-vani e degli anziani, degli uomini e delle donne.Una lunga fase nel corso della quale come sindacati dei

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pensionati di Cgil, Cisl e Uil, pur impegnandoci a fondosul fronte delle proposte e su quello della mobilitazione,abbiamo però purtroppo ottenuto ben scarsi risultati.Negli ultimi due, tre anni, abbiamo cercato di tornare incampo da protagonisti.

Questo rinnovato ruolo del sindacalismo dei pensio-nati è apparso in modo evidente nel confronto sul Welfare.

Con l’attuale Governo Prodi siamo stati coinvolti di-rettamente nella definizione del protocollo sul Welfare, po-tendo sostenere le nostre proposte e contribuendo in modosignificativo alla definizione della Legge 127, in un contestooggettivo di scarsità di risorse.

A coloro che hanno sminuito la portata dei miglio-ramenti che abbiamo conquistato, affermando che si trattavadi aumenti traducibili in pochi centesimi al giorno, dob-biamo ricordare che i problemi da affrontare erano, e sono,tanti e le risorse a disposizione sono, e restano, limitate.

Abbiamo ottenuto l’impegno per un tavolo di con-fronto annuale sulla perdita del potere d’acquisto dellepensioni che ci consentirà in futuro di ottenere ulterioririsultati positivi. È stata una fase nel corso della quale, al-meno in teoria, si è sancito il ruolo negoziale dei sindacatidei pensionati. Siamo tuttavia ben consapevoli che spessotra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare.

In questa fase sono emerse alcune differenze conSpi e Fnp. Lo Spi ha forse manifestato qualche visione set-taria di troppo e la Fnp qualche tendenza a evidenziare

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negli accordi quello che ancora non c’è piuttosto chequello che si è ottenuto. Tuttavia, l’unità tra le nostre treorganizzazioni ha tenuto, così come del resto aveva tenutoin passato in anni ed in condizioni molto difficili.

Il convincimento dell’importanza, dell’utilità edella necessità dell’azione unitaria non è mai venutomeno.

Certamente si ripropone l’antica questione se ci sidebba accontentare di questa azione unitaria – comunquedi grande valore – o se si debba tentare per l’ennesimavolta di rilanciare l’idea di un sindacato unitario di tutti ipensionati, sperando di avere maggiore fortuna rispettoal passato.

Oggi, con questi risultati alle spalle, per il sinda-cato confederale dei pensionati si apre una nuova stagionedi impegni.

Siamo tornati in campo e dobbiamo rimanerci,perché è la stessa situazione generale del Paese a richie-derlo.Dobbiamo restare in campo per ottenere la concreta attua-zione dell’accordo sul tavolo annuale di confronto; Il con-fronto attivato deve essere convocato e produrre risultatieffettivi. Dobbiamo ottenere nella prossima legge finanzia-ria interventi per gli incapienti, sull’Ici e sulle tariffe e, so-prattutto dobbiamo finalmente ottenere una buona leggee stanziamenti adeguati per la non autosufficienza.

Dobbiamo restare in campo, perché le grandi

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spinte partecipative che sono emerse dalla consultazionesindacale sul protocollo d’intesa e anche dalle primarie delPartito democratico abbiano la meglio sul disfattismo esull’antipolitica.

Il problema non è rappresentato solo da Grillo.Il nocciolo vero dell’antipolitica è certamente al-

trove. È nell’usare il linguaggio truce della guerra quandosi parla di politica; nel rivolgersi agli avversari come fosseronemici, utilizzando quotidianamente termini quali “stac-care la spina”, “canna del gas”, “accanimento terapeutico”.È in chi alimenta un clima torbido di rissa permanente.In chi fomenta la campagna antitasse e invoca l’insurre-zione armata. In chi fa del generale Speciale una vittima 83

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San Paolo del Brasile: centro “Lo spazio dei sogni”

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dei politici cattivi. In chi gode di privilegi del tutto ingiu-stificati. In chi utilizza la gestione degli enti pubblici persoddisfare i propri interessi e alimentare proprie clientele.

In chi insulta la vecchiaia e i vecchi, ritenendoliinutili.

Anche per questo, dobbiamo stare in campo. Percontribuire a difendere le istituzioni e a ristabilire un climadi serenità, di rispetto e di trasparenza e affermare un’ideadiversa della politica. Una politica che si impegni colletti-vamente per il bene del Paese. Per contribuire ad impedireche la pratica si trasformi in un fiume di insulti alle per-sone anziane o portatrici di diverse convinzioni politiche,culturali e religiose.

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Una geniale opera dell’architetto Francesco Orofino...

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Vorrei dunque cogliere l’occasione della conclu-sione del mio mandato per riconfermare, e non in modorituale, personalmente ma anche a nome dell’intera Uilp,la nostra stima al Capo dello Stato, per l’impegno che ognigiorno dedica alla difesa delle istituzioni. Istituzioni chesono il baluardo della democrazia.

Un saluto fraterno e una rinnovata espressione disolidarietà a tutti i Senatori a vita, con i quali in questimesi ci siamo sentiti in perfetta sintonia, proprio mentrevenivano insultati volgarmente , senza alcun rispetto néper le loro prestigiose storie personali, né per il Senatostesso.

Permettetemi di aggiungere un saluto e un ringra- 85

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...trasforma la tettoia in amianto...

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ziamento particolare ad una donna davvero eccezionale,scienziata di valore mondiale, intellettuale di grande leva-tura, cittadina impegnata in tante battaglie per i diritti deideboli e dei discriminati. Mi riferisco – come avrete capito– a Rita Levi Montalcini, che della Uilp è da tanti anniun’amica preziosa, sempre disponibile a offrire il suo con-tributo, sia quando si tratta di problemi del nostro Paese,sia quando si tratta delle nostre iniziative di solidarietà,particolarmente in Brasile.

Tante sarebbero le questioni che vorrei ancora trat-tare, ma è davvero giunto il momento di concludere.Come vi è ormai noto nel corso della Direzione Uilp del19 giugno scorso, con una comunicazione che è stata

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...in un moderno teatro.

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messa a disposizione di tutti, annunciai le mie irrevocabilidimissioni. In quella sede fu deciso di avviare subito l’iterper decidere della mia sostituzione. Un iter che prevedevache Luigi Angeletti avrebbe consultato individualmentetutti i componenti della Direzione formandosi così un’opi-nione che avrebbe poi riportato in una successiva riu-nione. Una scelta, quella di Angeletti, di consultare tutti icomponenti della Direzione, che abbiamo apprezzatocome segno di sensibilità e rispetto per la categoria. Un ri-spetto e una sensibilità che in qualche occasione è del tuttomancata.

La riunione della Direzione della Uilp, al terminedelle consultazioni, si è svolta il 10 ottobre. In quella oc-casione, Angeletti, anche con il mio consenso e tenendoconto delle opinioni emerse dalla consultazione, ha uffi-cializzato la proposta al Comitato Centrale di eleggere oggiRomano Bellissima Segretario Generale della Uilp.Romano Bellissima: un sindacalista con alle spalle unalunga esperienza di dirigente di categoria. Una scelta, dun-que, dettata dal valore della persona e che, oltretutto, pri-vilegia la soluzione interna. Una scelta, quindi, che si puòcompiere con convinzione e con la speranza che servirà arafforzare la Uilp.

Per quanto mi riguarda, nell’assumere la decisionedelle mie dimissioni, nel dichiararle irrevocabili e dunquenon sottoposte a voto, mi sono messo a disposizione dellaUil, chiarendo che, indipendentemente da quali potranno

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essere i miei compiti futuri, c’è un impegno che mi piace-rebbe proseguire e, anzi, ampliare.

Vorrei continuare infatti a interessarmi delle no-stre iniziative in Brasile rafforzando l’impegno sul versantesolidarietà.

Il mio cuore batte per il centro polivalente perbambini e ragazzi di San Paolo, “Lo Spazio dei Sogni”, eper il centro sociale di Americana, iniziative per le qualimoltissimo è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Ini-ziative delle quali credo dovremmo andar molto più orgo-gliosi.

Nel porgere a Romano e a tutta la Segreteria i mieiauguri più sinceri, e nell’assicurare la mia collaborazioneogni qual volta si renderà necessaria e verrà richiesta, vo-glio riconfermare una cosa che ho detto spesso in questianni.

Nella Uil e soprattutto nella Uilp ho vissuto unpezzo importante della mia vita, realizzando un’esperienzapolitica e sindacale bellissima. Dalla Uilp ho ricevuto dav-vero tanto e di tutto ciò non posso che essere grato a tuttie a voi in particolare.

A tutti voi quindi non solo un grazie di cuore maanche l’invito a trasmettere a tutti i nostri iscritti il mioringraziamento e un sincero augurio di buon lavoro.

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Ps: Ho parlato di cinquecentomila a Piazza San Giovanni.Vorrei ricordare che allora si usava considerare le teste enon le gambe perché non sentivamo il bisogno di ingigan-tire una presenza che era già tanto significativa e parlavada sola.

Roma Febbraio 2016

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La testimonianza di Rita Levi Montalcini“Prepariamoci alla vecchiaia, rimarremo giovani”(Intervento in occasione dell’incontro promosso

dalla UILP presso l’Eur di Roma, 1990)

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Mi è stato chiesto di parlare con voi in qualità dirappresentante di questo famoso settore del ita-liani e del mondo che appartiene alla terza o alla

quarta età, o non so come si suol definire: mi è stato chiestodi parlare in veste della mia esperienza da neurologa, qualedonna che conosce come funziona il cervello e anche in vestedi persona che personalmente vive il problema dell’invecchia-mento, ma lo vive in un modo, che direi quasi paradossale,con gioia e con l’impressione che questa sia l’età più belladella mia vita, dei miei lunghi cicli vitali. Ora io credo diavere un’età superiore a quasi tutte le persone presenti. Miha stupito la giovanilità che ho visto nei visi, la forza, la fre-schezza che non è più mia, tuttavia, malgrado i miei anni sivedano, dato che ho superato gli ottanta, io posso dire checapiterà ai tanti che come me raggiungeranno questa età, cheauguro loro di goderne come ne sto godendo io. E’ curiosopoter dire alla fine di questo lungo ciclo vitale che in nessunaetà io ho goduto tanto come in questa. Il motivo per cui neho goduto è forse che ho vissuto con passione la mia vita, equesta passione è iniziata quando ero giovanissima ed è an-data aumentando con la conoscenza dei problemi; perché hoaffrontato nella mia vita momenti non facili i li ho superati

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LA TESTIMONIANZA DI RITA LEVI MONTALCINI

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tutti. Posso dire che non ho mai temuto niente, così comenon temo oggi quello che può capitare e naturalmente lamorte è il minore dei guai ai quali alla mia età si fa fronte.I peggiori sono la decadenza mentale, su cui lavoro con taleintensità e con tale piacere che penso che questo sia unaprova che l’età non porta di necessità ad una diminuzionedelle capacità intellettuali. Questo è uno di quei progressinelle nostre conoscenze che io desidero trasmettere loro, inquanto neurologa, e particolarmente interessata alla funzionedei circuiti nervosi. Naturalmente, alla nostra età nessuno dinoi pensa di fare delle scoperte, le scoperte richiedono cir-cuiti nel pieno della loro potenza, cioè tra i diciassette e iventi anni, e noi sappiamo che anche Newton, Einstein, ealtri hanno fatto le loro scoperte a quell’età.

Dobbiamo toglierci dalla mente, arrivati a questa età,di fare scoperte che richiedono una così alta capacità di pe-netrare il mondo, diciamo una capacità superiore.Quello che io desidero che tutti sappiano, e che ne siano benconsapevoli, è che con l’età altro si guadagna. Se noi per-diamo oggi le capacità di quello che probabilmente comun-que solo uno su cento milioni di noi aveva alla nascita; senoi perdiamo questa capacità formidabile di un Mozart chea quattro anni era il musicista che noi sappiamo, si guada-gnano altre cose: una maggiore capacità di utilizzazione diquei circuiti che fortunatamente in molti di noi, e io ritengodi essere fra questi, sono ancora funzionanti; e questo è do-vuto alle enormi capacità del cervello umano.

A noi interessa non tanto fare una gara di sport, per

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quanto me ne sentirei capace – penso ancora di far fronte auna gara di anziani come minimo – a noi interessano altricircuiti, i circuiti cognitivi. Ora questi circuiti, se noi conti-nuiamo a farli funzionare tutti i giorni con impegno, con en-tusiasmo e con dedizione miglioreranno con l’età e nonpeggioreranno. C’è la famosa storia di quando ero una gio-vane studentessa, in cui si diceva: centinaia di migliaia di cel-lule muoiono ogni giorno; ma tuttavia il nostro cervello hacento miliardi e più di cellule e non è assolutamente provatoche la morte cellulare vada in modo precipitoso.

Purtroppo quando si è colpiti da malattie deterio-ranti quali l’Alzheimer, si perde la capacità di intendere e divolere; ma tolti questi casi, che pur essendo numerosi fortu-natamente colpiscono una piccola percentuale della popola-zione, il nostro cervello mantiene con l’età la stessa capacitàdi funzionare che ha da giovane e su questo sono stati fattiesperimenti.

Bene, le capacità produttive, ce l’ha detto Picasso el’hanno detto una infinità di grandissimi personaggi, per-mangono fino alla fine della vita, laddove non siano avvenutiquei processi degenerativi che ci hanno privati della luce dellaconoscenza.

Allora quello che è importante, arrivati all’età dellapensione, è di potenziare al massimo questi circuiti. Questonon incomincia il giorno in cui si arriva all’età della pensionema deve durare per tutta la vita. Sto scrivendo un libro per ibambini dagli undici ai quattordici anni; è a quell’età che sideve cominciare a pensare alla vecchiaia.

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Naturalmente tra le persone presenti, per quanto molto piùgiovani di me, non ci sarà il caso eccezionale di persone cosìgiovani; tuttavia io dico a tutti loro qui presenti, che nellavecchiaia noi dobbiamo e abbiamo il diritto di ricorrere al-l’aiuto della società e questo è quelli che la Uil sta facendoin modo formidabile. Ognuno di noi in un certo senso è re-sponsabile della propria vecchiaia; non si deve arrivare all’etàdel pensionamento, impreparati e non si deve arrivare a quel-l’età rifugiandosi solo negli hobby, cioè quei lavori che noifacciamo la domenica, nel tempo perduto. Qualora nel fu-turo – e questo non sarà per i presenti, ma per quelli che ver-ranno in seguito – la nostra società sia meglio organizzata,ognuno di noi, avrà sin dalla prima età, la capacità di adattarele proprie capacità cognitive, i propri modi di funzionare invarie direzioni, cioè diversificate.

Non si tratta di sperare, per tutta la vita di fare lostesso mestiere. E’ evidente che, per le leggi naturali del rin-novarsi della società, altri ci seguiranno: cioè noi dovremocedere il posto in quel particolare campo, ma se ci saremopreparati in tempo alla vecchiaia, cioè non un unico interessema con i nostri interessi di natura sociale, culturale o uma-nistica in genere, noi non sapremo assolutamente cosa sia lavecchiaia.

Nel mio caso, devo dire che anche senza ricorrere aquesto stratagemma, e cioè di essermi preparata, ad undicianni dalla vecchiaia, ho un'altra possibilità, che è alla portatadi tutti quanti: è l’enorme curiosità, l’interesse nella vita. Po-niamo che nessuno di loro, agli undici anni, o ai venti, o ai

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trenta, abbia preparato se stesso al tempo di post-lavoro.Bene, ci sono altre possibilità di far fronte all’evento? Laprima di tutte – e lo dico sovente perché lo credo molto im-portante – è di non fissare mai l’attenzione su noi stessi.

Ricordiamoci, che al fine di vivere una vita serena, inostri interessi non devono fissarsi su di noi, sulle nostre ma-lattie. Viene soltanto a mancare il potere. A un dirigente acui viene tolto il telefono, viene tolto il potere; può trovarsidel tutto incapace di far fronte alla vita se dà tanta impor-tanza a questo.

Posso dire allora con onestà che il giorno più belloforse è stato quando finalmente ho ceduto il posto di diri-gente del laboratorio degli istituti di neurobiologia e di bio-logia cellulare di Roma e sono stata finalmente libera diimpegnarmi, dalla mattina presto alla notte, nella ricerca.

Ancora oggi sono impegnata in pieno in quella ri-cerca sono in grado di trovare non soltanto il modo di occu-parmi dei malati di sclerosi multipla, ma anche di studiare lecause di questa malattia e direi che proprio in questi ultimianni ritengo di essermi messa nella buona strada e di avertrovato il modo di venire in aiuto a questi malati.

Ho fatto questo con idee che fortunatamente hoavuto, ma anche delegando particolarmente il potere ai gio-vani; e l’ho fatto con enorme gioia. La mia fortuna questa intutta la mia vita e particolarmente in questi ultimi anni: sonovenuti da me dei giovani, giovanissimi; posso dire anche congioia, che in gran parte erano donne e io ne sono felice alcento per cento. Quando da me sono venuti dei ragazzi di

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straordinarie capacità, ho delegato loro tutto il potere, il di-ritto di decidere con me le ricerche, di firmare loro e non iola ricerca, perché sono loro che devono avere un futuro, datoche per il mio futuro non devo più preoccuparmi. Nel miocaso, come nel caso di tutti loro, io non posso dire che a un-dici anni mi preparavo alla vecchiaia. A undici anni pensavoa ben altro, pensavo a impegnarmi in cose che mi appassio-nassero. Qualora la vita fosse andata diversamente io sareistata un medico, mi sarei dedicata ai malati, come fortuna-tamente oggi alla fine della vita ho diritto di nuovo di fare.Sono stata, per questioni razziali e per questioni politiche,costretta a ripiegare, diciamo, sulla ricerca perché non mi erapiù concesso di occuparmi dei malati.

Bene, in quel momento io mi sono impegnata concompleto interesse e con completa energia, nella ricerca e laricerca è andata bene. Ora se oggi a quest’età, godo di tantagioia, in ogni ora della mia giornata, è perché penso. E’ in-nato in me il fatto che la vita è di tale bellezza e importanzache noi possiamo godere soltanto se non facciamo attenzionea noi stessi, ai nostri mali, a quello che gli altri pensano dinoi.

Quello che distrugge l’uomo è la paura dell’imma-gine che gli altri si fanno di lui. Se ci liberiamo dalla pauradi quello che la gente pensa, del fatto che, non avendo più ilpotere siamo decaduti, allora siamo liberi; allora vediamo ilmondo con altri occhi ed è questa una delle possibilità dellanostra età. Avendo ormai dietro alle spalle tutta una vita vis-suta, bene o male, noi siamo in grado di dedicarci completa-

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mente ai problemi che ci interessano.Questi problemi possono essere di natura umani-

stica, di natura scientifica, di natura sociale, di natura etica.Qualunque problema di questo genere è importante, purchéla nostra attenzione sia completamente avulsa dalla nostrapersona e centrata sul mondo attorno a noi, sia sul mondoche ci circonda da vicino sia sulle spaventose miserie di po-polazioni che stanno morendo di fame, come loro bensanno.

Noi abbiamo, una volta raggiunta quest’età, a con-fronto di una modica capacità di sopravvivenza, immense ca-pacità di utilizzare il nostro cervello.

Vorrei anche dire di quelle tragiche malattie, qualil’Alzheimer, che colpiscono in particolare quelli che nonfanno funzionare il cervello. Ed è la prova che sono circa seivolte più numerose le persone colpite da questa malattia de-generativa fra quelli che non hanno esercitato il loro cervello,che fra quelli che lo hanno fatto.

Non abbiamo una spiegazione, perché la degenera-zione delle cellule nervose è un fatto fatale del quale nonsiamo responsabili. Tuttavia, il fatto di mantenere nella mas-sima attività i nostri circuiti celebrali e cognitivi, in un certosenso è una protezione contro quello che fatalmente può ca-pitare: la caduta delle capacità intellettuali.

Noi sappiamo che il nostro cervello ha immense pos-sibilità e plasticità. Un problema di cui si parla oggi ed è notoa noi neurologi, è la plasticità neuronale. Ma cosa inten-diamo noi per plasticità neuronale?

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Loro sanno che questi cento miliardi di cellule cheabbiamo nel nostro cervello, approssimativamente, sonounite l’una all’altra da un numero astronomico di connes-sioni, circa dieci alla quindicesima, cioè il numero astrono-mico di connessioni per ogni cellula è astronomicamentegrande. Più noi utilizziamo queste cellule, più rinforziamoquesti punti di contatto che si chiamano sinapsi; cioè noipossiamo influire su queste strutture che sono i cosiddettimicrocircuiti cellulari mantenendoli sempre in funzione. Lepersone prima, ma anche dopo aver raggiunto la cosiddettaetà – non so come definirla, perché non mi piace né terzaetà, né età della pensione – dopo aver raggiunto il ciclo ter-minale, hanno la possibilità di fare funzionare al massimoquesti circuiti. Tanto maggiore è la nostra decisione di pen-sare e di non arrenderci alle nostre condizioni di salute tantomaggiore è la resa personale. Si può ciò provare personal-mente leggendo, guardando, ascoltando musica o seguendoproblemi che interessano soprattutto problemi sociali.

Se sono una rappresentante, e lo sono in realtà, diquesto ultimo ciclo della vita, posso dire che è il più bellodella vita; e non lo dico soltanto per far piacere a quanti siavvicinano a quest’età, lo dico per un’esperienza personale,perché noi siamo ormai liberi da tutte quelle preoccupazioniche rendono difficile la vita dei giovani.

Abbiamo tutti presente il caso dei sei giovani, che inquesto giorni si sono tolti la vita a vent’anni.

Bene, anche persone anziane possono andare incon-tro al suicidio per una depressione, per una malattia. Tutta-

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via, l’età difficile, l’età dura della vita, è l’età dei vent’anni.Anche se pochi fortunatamente arrivano a questo tragico de-siderio di troncare la propria vita a vent’anni, come questisei ragazzi hanno fatto.

Tuttavia è l’età del confronto con un mondo che nonconoscono, con un mondo che noi sappiamo carico di pro-blemi e pericoli che giornali e mass media quasi si divertonoad ingigantire; domani non ci sarà più ossigeno, domanitutte le riserve e i patrimoni saranno distrutti, domani l’Aidsavrà fatto piazza pulita di milioni e milioni di persone. Effet-tivamente i problemi ci sono, ma, insomma non al puntoche si vuol far credere.

Il giovane è «tempestato» dalla mattina alla sera, a co-minciare dalla bomba nucleare che da tempo ha dato a tuttil’idea della possibilità di una tragica fine. Ai giovani questoprovoca uno stato di disperazione, una difficoltà di vedere ilfuturo; che è risparmiato a noi che abbiamo raggiunto questaetà, che sappiamo reggere con più equilibrio, con più calma,far fronte con molta più serenità ai problemi a cui i giovaninon sanno far fronte, proprio per il fatto che si aspettanomolto dalla vita.

Il primo scoraggiamento li distrugge e questi sei gio-vani, che noi avremmo potuto aiutare se lo avessimo saputo,perché si sono uccisi? Con la loro mano hanno deciso ditroncare la loro vita e senza nessuna spiegazione. L’età del sui-cidio è fra i quindici e i venti anni, si sa benissimo quantigiovani di quindici anni si uccidono perché non hanno fattobene gli esami e non fanno fronte ai paragoni con le famiglie

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degli altri.Ora, a quell’età gli scoraggiamenti sono molti, molto

più comuni che alla nostra età; perché non si vede ancora lavita sub specie aeternitatis, questa è una frase di Spinoza.Non si vede tutto il mondo quale noi potremmo vederlo, dicui siamo un’intima parte. Ma tutto quello che capita si ri-flette su di noi, sulla nostra impossibilità di far fronte. Noisiamo il centro dell’universo. Dobbiamo dunque sparire senon siamo stati capaci di affrontare un piccolo problemaquale un compito di matematica o un’assurdità di questo ge-nere?

Ora, fortunatamente, chi ha raggiunto la nostra etàsa quanto sia poco importante, quanto tutto passa, come di-cevo, ed ha acquistato in genere questa capacità di vedere ilmondo sotto questa forma spinoziana non aspettandosi uncompenso; forse con un senso religioso della vita; non miaspetto un compenso nell’aldilà. Il compenso ce l’ho inquello che vivo.

Ora, a quest’età io non soltanto ho la capacità di go-dere di quel che faccio, di quello che fanno quelli che lavo-rano con me; c’è la mia capacità di godere nell’essere in gradodi aiutare qualcuno che non sta bene, derivata proprio dalfatto di avere imparato, giovanissima, a decentrare l’atten-zione da me stessa.

Direi che una colpa comune della vecchia età è que-sta lamentela di essere lasciati soli, di non essere aiutati, eb-bene, siamo noi che dobbiamo aiutarci.

La società fortunatamente, e lo dobbiamo appunto

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agli aiuti che stiamo ricevendo, si occupa di noi, si occupadei problemi economici: ma come è stato detto da Miniati,non sono questi i problemi dei quali ci occupiamo oggi.Quello di cui ci dobbiamo occupare oggi qui, per cui noisiamo uniti, è proprio di cavare il massimo da questa mera-vigliosa esperienza che è quella di essere vivi. Il massimo lopiamo ricavare quando non abbiamo più l’attenzione cen-trata su di noi stessi, quando abbiamo una lunga esperienza,quando sappiamo che ogni giorno, ogni ora che ci aspetta,sono ore nelle quali noi possiamo imparare cose nuove edessere di aiuto al prossimo.

Io credo che l’unico segreto vero, una volta che ab-biamo raggiunto quest’età, è il completo decentrare l’atten-zione da noi stessi e il totale interesse per il mondo attornoa noi.

Se noi tutto il giorno restiamo fissi sui disastri checolpiscono il nostro paese, non saremo in condizioni di nongodere della vita. Se noi siamo invece in condizione di go-derne oggi è perché il bene in parte equilibra il male che c’è.Io ho passato quasi tutta la mia vita negli Stati Uniti, trentaanni e sono molti. Erano gli anni della maggiore produttivitàe continuo ad andare in quel paese che ammiro per l’enormecapacità produttiva e organizzativa, ma mi sono resa contoche ti manca il senso della vita. C’è un’enorme aggressività,un enorme desiderio da parte dei giovani di arrivare e i vecchisono in condizioni molto più fragili di quanto non siano nelnostro Paese.

E’ uscito un libro tragico anni fa intitolato «La civiltà

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contro l’uomo»: e questa è l’America.Quando in America si arriva ad una determinata età

e non si è preparati a far fronte, scoppia la tragedia,un’enorme malinconia, che io tornando in Italia, non hovisto, particolarmente nei paesi di provincia che visito conti-nuamente.

Ho visto invece una grande serenità: è più facile es-sere sereni in un ambiente come quello dei paesi e delle zonedi provincia dove la vita scorre con un ritmo migliore. Tutta-via, se ognuno di noi vive, qui, in questa città splendida maallo stesso tempo caotica, ha bene in mente che il suo pre-sente e il suo futuro, qualunque sia la sua età… dipendonodalla capacità di godere di tutto quello che lo circonda. Comedicevo, sono infinite le possibilità di impiegare le nostre ca-pacità cognitive: quello che io giudico prioritario è il pros-simo.

Non nascondo che, malgrado il mio successo incampo scientifico, io oggi considero ancora veramente prio-ritario su tutto dedicarmi agli altri ed è la mia grande fortunaavere avuto la posizione alla quale si è accennato: Presidentedell’Associazione per la sclerosi multipla, che mi ha portatoa contatto diretto con persone che soffrono.Come lo sapranno i malati di sclerosi multipla sono giovani,in genere la malattia colpisce a vent’anni. La tragedia di que-sta malattia non è tanto nel numero di persone colpite, cheper fortuna sono poche, soprattutto rispetto a quelle colpitedal cancro.

La sclerosi multipla è una grave malattia degenerativa

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del sistema nervoso centrale che colpisce da 1 a 1000, da 1 a2000 individui. La sua gravità, come dicevo, non è quindinella frequenza, ma nel fatto che non è colpita una personasola ma un’intera famiglia. Perché la persona colpita, in ge-nere giovani donne più che uomini (due su tre sono donne)trascina una vita di sofferenza tra i venti e i settanta anni.Una vita scarsamente ridotta dal punto di vista della duratama gravemente dal punto di vista della potenzialità, dellavista, della deambulazione, dei processi viscerali.

Bene, in queste condizioni, arrivata a quest’età, oltread occuparmi del lato scientifico di venire in aiuto, mi oc-cupo di questi malati. Quando arriviamo a questa famosa etàdi cui non voglio dare una definizione perché debbo aspet-tare da voi un termine più piacevole e più gradevole di quellodi terza età.

Abbiamo la possibilità di occuparci di chi soffre enon c’è niente che dia maggiore gioia, maggiore senso di averrealizzato noi stessi che aiutare il prossimo. Aiutandolo sem-plicemente non soltanto dal lato economico, ma dando lanostra opera a chi ha bisogno di noi.

Bene, non vorrei dare loro l’impressione di aver glo-rificato me stessa, è l’ultima delle mie intenzioni. Sono unapersona estremamente – e credo che chi mi conosce lo sap-pia- modesta.

L’unica ragione per cui oggi ho parlato di me è per-ché ho raggiunto, in questa età maura, un senso di serenitàche auguro a tutti coloro che fra dieci o venti anni mi rag-giungeranno.

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Due testimonianze

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Dal 1996 al 2001 ho lavorato con Silvano Miniatisegretario generale della Uil Pensionati ed ho potuto ap-prezzarne le doti umane e di dirigente sindacale vivendoun’intensa ed esaltante stagione di lotte e di impegno sin-dacale di cui lui è stato uno dei più importanti protagoni-sti. Prima di soffermarmi su alcune qualità di Silvano e sutemi e questioni al centro dell’azione sindacale nel corsodel tratto di strada che, da responsabile dell’osservatoriodelle politiche sociali, ho percorso insieme con lui provoa rappresentare con una metafora il suo modo di vivere ilsindacato e di esercitare la leadership. Si tratta di un’im-magine che si ricava dal suo libro Non di sola pensionenel quale sono descritti i successi e le sconfitte, gli ideali,i valori ed i progetti del sindacato dei pensionati che luiha sempre sognato e voluto - e non ha mai smesso di volere- unitario anzi unificato. È il 27 ottobre 1990. È da pocofinita una grande manifestazione unitaria dei tre sindacatidei pensionati a Roma, partecipata oltre ogni aspettativa

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(mezzo milione di persone in piazza S. Giovanni) e tenutaa conclusione di una lunga stagione rivendicativa che haottenuto la rivalutazione delle pensioni con decorrenze piùremote che avevano perso valore (le cosiddette pensionid’annata). Silvano si mette in viaggio alla guida della suaauto per far ritorno a casa a Firenze. Non ci sono altrepersone in auto ma questo viaggio Silvano non lo fa dasolo ma in compagnia delle proprie riflessioni e, in qual-che modo, dei tanti gruppi di pensionati che come luihanno partecipato alla manifestazione e fanno ritorno acasa a bordo dei pullman che percorrono l’Autosole. Sil-vano si pone all’interno e non più alla testa (come avevafatto al mattino, dal palco) di questa lunga e sgranata ca-rovana. Coglie i discorsi, i commenti, le sensazioni, le di-sillusioni e le speranze dei pensionati durante le soste nellestazioni di servizio; li fa propri e li rielabora nelle rifles-sioni che lo accompagnano durante il viaggio e che poi hamesso su carta. E, anche se non lo dice, si capisce che mi-schiarsi con i pensionati ed ascoltarli gli piace tantissimo.

Questa è l’immagine: Silvano un leader in ascoltodei e in cammino con i pensionati che rappresenta.

Scrive nel libro Non di sola pensione: “quandonon sei più autosufficiente, o quando sei sotto sfratto;quando non puoi attraversare la strada o usare il marcia-piede, quando non puoi salire in autobus perché troppoaffollato o non trovi un bagno pubblico: allora le diffe-renze di reddito, che pure contano, diventano molto mar-

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ginali”. Per questo l’azione del sindacato non può limitarsialla tutela del potere d’acquisto delle pensioni. Il tema“Non di sola pensione” è stato per Silvano ben più di unoslogan efficace o del titolo di una bella pubblicazione. Èstato la linea guida e il contenuto delle rivendicazioniche, non da solo, è riuscito a far diventare centrali nel sin-dacato dei pensionati. Un’azione che va ben oltre la difesadel reddito coinvolgendo l’accesso e la qualità dei servizisociali e culturali e le opportunità di partecipazione e pro-tagonismo, declinazione di quel sindacato dei cittadinidi Giorgio Benvenuto che aveva ampliato orizzonti, apertoconfini ed allargato spazi per l’azione sindacale.

Per Silvano gli anziani non sono una categoria mauna parte della società che deve recuperare potere e dignitàe perché questo avvenga è necessario che tutta la societàsi muova nella direzione giusta per se stessa, per essere adimensione d’uomo e quindi di anziano. Ancora Silvanoin Non di sola pensione: “L’anziano è soprattutto un ex,un uomo o una donna ormai in cassa integrazione rispettoalla vita. E fino a quando il concetto di anziano come ri-sorsa non sarà entrato a far parte del senso comune domi-nante la nostra battaglia rischierà di ottenere risultatiinferiori non solo alle esigenze ma anche alle attese più ra-gionevoli. Il salto dall’anziano come ex all’anziano comedonna o uomo, cittadino, portatore di un inalienabile di-ritto all’avvenire, detentore di una legittima aspettativa divita, è ancora tutto da compiere”.

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La questione dell’anziano come risorsa è una co-stante dell’elaborazione culturale che Silvano pone al cen-tro del proprio impegno e delle strategie del sindacato apartire dalla fine degli anni 70 quando, nel corso di unconvegno dell’Unione delle camere di commercio, par-tendo dall’affermazione che la pensione non è tutto, lanciòla proposta del ricorso ad un milione e mezzo di anzianiper lavori socialmente utili ponendo inoltre la questionedei bisogni affettivi e sessuali delle persone anziane. Af-ferma ancora Silvano nel suo libro: “Sono passati 10 annie quella che allora sembrava un’eresia è diventata oggi pa-trimonio comune dell’intero movimento sindacale e que-sto non certamente per merito mio o di quel convegnoma di una realtà sociale ed economica che ha spinto inquella direzione”.

Ma, come sperimenterà negli anni, questa acquisi-zione non è data una volta per tutte. C’è chi la pensa di-versamente e ritiene che gli anziani siano in unacondizione di privilegio e che tolgono spazi ed opportunitàai giovani. Siamo alla fine degli anni 90 ed un importanteaccademico ed economista, commissario Ue e che in se-guito diverrà anche senatore a vita e presidente del consi-glio, invita i giovani alla rivolta generazionale ed a ribellarsicontro gli anziani perché siano privati di quelli che essi ri-tengono siano diritti ma che in realtà sarebbero privilegiingiustificati. Intendiamoci, che ci siano parti della societàche scambiano i propri privilegi per diritti inviolabili que-

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sto è vero come è vero che questo è di ostacolo allo svi-luppo delle opportunità per i giovani. Ma siamo sicuri chel’”ascensore sociale” sia stato manomesso dagli anziani edai pensionati per paura di perdere quelli che si tende a fapassare come privilegi? O non è una scorciatoia un po’troppo facile che alcuni periodicamente indicano, nonsempre in buona fede, perché l’attenzione non si concen-tri sulla crescita delle diseguaglianze come uno dei fattoriprincipali del progressivo chiudersi degli spazi per i gio-vani? Per dirla con Piketty , alla radice di queste disegua-glianze c’è il fatto che il tasso di rendimento privato delcapitale r può essere molto e per molto tempo superioreal tasso di crescita del reddito e del prodotto g (r>g). “Que-sta diseguaglianza – afferma Piketty – esprime una contrad-dizione logica di fondo. L’imprenditore tende atrasformarsi in rentier ed a prevaricare sempre di più chinon possiede nient’altro che il proprio lavoro”. Le crisidegli ultimi 15 anni (ed anche più) sono nate nella finanzae poi si sono estese all’economia reale e stanno a dimo-strare che il rapporto tra queste due sfere sovente non èsano: la prima invece di servire la seconda tende ad asser-virla.

Ed allora, se certi privilegi aumentano non ècolpa dei vecchi o, meglio, non può essere fatta cadere sudi loro, quanto meno in misura maggiore rispetto ad altreparti della società, la responsabilità di dinamiche che ten-dono a togliere spazi ed opportunità ai giovani ed a chiun-

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que viva ai margini. Tra i tanti dati reperiti, analizzati emostrati da Piketty quello relativo alla distribuzione mon-diale dei patrimoni dà bene il senso della disuguaglianza:lo 0,1% (1 per mille) più ricco del pianeta, vale a dire 4,5milioni di adulti su 4,5 miliardi, pare possedere un patri-monio netto medio dell’ordine di 10 milioni di euro, cioèquasi 200 volte il patrimonio medio a livello mondiale(cioè circa 60.000 euro per adulto), corrispondente ad unaquota del 20% nella composizione del patrimonio totale.

L’1% più ricco, vale a dire circa 45 milioni di adultisu 4,5 miliardi, possiede un patrimonio medio dell’ordinedi 3 milioni di euro, cioè 50 volte il patrimonio medio,corrispondente ad una quota del 50% nella composizionedel patrimonio mondiale. Una volta costituito, il capitalesi riproduce da solo e cresce molto più in fretta di quantocresca il prodotto. Questo, come dice Piketty, è “Il passatoche divora il futuro”; non i vecchi in quanto vecchi. Invi-tare alla rivolta generazionale credo che non solo non spo-sti minimamente queste proporzioni anzi potrebbe farsorgere il sospetto che sia finalizzato a preservare questostato di cose. La lotta alla diseguaglianza non passa dal-l’impoverimento degli anziani ma da politiche fiscali redi-stributive in grado di chiedere un contributo ai grandipatrimoni, a prescindere dall’anagrafe dei loro detentori,e senza neanche determinarne la riduzione in quanto,nella peggiore delle ipotesi per i rentier, rimarrebbero inal-terati grazie ai notevoli tassi di rendimento che registrano.

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Ed allora, invece di interrogarci su cosa e quanto togliereagli anziani, dovremmo come società chiederci come valo-rizzare l’apporto che gli anziani possono dare alla società(oltre al non poco che già danno) ma che per pregiudizioed ignoranza non prendiamo in considerazione.

Questo il senso della campagna di sensibilizzazionepromossa dalla Uilp e voluta da Silvano nel 1999, annointernazionale delle persone anziane. Nel corso della cam-pagna, intitolata “Essere anziani: un valore per sé e la so-cietà non una colpa”, furono realizzati moltissimi convegnied assemblee, anche nelle scuole, per mostrare il contri-buto delle persone anziane alle famiglie dei propri figli enipoti in termini sia di sostegno al reddito ed ai bilanciofamiliari sia di cura dei nipoti e delle persone non auto-sufficienti dell’ambito familiare, esclusi o ai margini delwelfare istituzionale. In occasione di quella campagna fu-rono lanciate alcune proposte.

La prima era relativa ad una banca del tempo conla partecipazione di istituzioni scolastiche, giovani studentied anziani e per favorire lo scambio tra tempo, disponibi-lità, esperienza e professionalità degli anziani verso i gio-vani, per aiutare la loro crescita e favorire il loroinserimento lavorativo in cambio della possibilità di se-guire percorsi formativi, anche con l’aiuto degli stessi stu-denti, e svolgere attività utili per la collettività.

La seconda proposta consisteva nell’introduzionedi forme di pensionamento flessibile e parziale in modo

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da favorire il più possibile la prosecuzione del lavoro per ilavoratori anziani, in alternativa ai modelli che già alloracircolavano e che si sono poi definitivamente affermati conla legge Monti Fornero: tutti in pensione non prima dei67 anni (destinati a crescere progressivamente e indefini-tamente) e senza alcuna possibilità di anticipo se non perquei soggetti, sempre meno, che potranno vantare carrierelavorative non inferiori a 43 anni (anch’essi progressiva-mente ed indefinitamente crescenti).

La terza proposta, come articolazione della propo-sta sul pensionamento parziale, consisteva nel cosiddetto“obbligo solidale”: forme strutturate di impegno in attivitàassociative e volontarie da parte degli anziani in caso dipensionamento parziale.

Alcune di queste proposte hanno successivamentetrovato una qualche realizzazione in norme ed istituti che,però, hanno avuto un carattere sperimentale ed episodico.Per esempio, anche con la legge di stabilità del 2016 è statosì previsto il pensionamento parziale (con possibilità di ac-cesso ad una parte della pensione e permanenza al lavorocon un orario ridotto) disponibile, però, solo entro deter-minati tetti di spesa annui, per i soli prossimi tre anni econ aumento dei costi per l’azienda. Anche l’obbligo soli-dale aveva trovato parziale attuazione nell’ambito dell’isti-tuto del cosiddetto esonero, vale a dire nella possibilità dismettere di lavorare negli ultimi 5 anni precedenti il pen-sionamento e di percepire un’indennità pari al 70% del-

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l’ultima retribuzione in caso di svolgimento di attività so-cialmente utili presso associazioni di volontariato ed or-ganizzazioni non lucrative di utilità sociale. Ma anchequesta misura ha avuto un’applicazione limitata al solopubblico impiego e per soli 3 anni, essendo stata abolitadalla legge Monti Fornero sulle pensioni.

Nelle elaborazioni del sindacato dei pensionati difine anni 90 e della Uilp , in particolare, era ben chiaroche se aumenta la speranza di vita è ineludibile la que-stione di un innalzamento dell’età pensionabile e tuttaviaquesto non può intervenire in modo astrattamente rigido(come purtroppo è avvenuto) e senza tener conto che nontutti i lavori sono uguali. Un conto è fare l’amministratoredelegato o il presidente di una grande azienda, il giornali-sta, il docente universitario, il magistrato, il primario ospe-daliero (tutti lavori estremamente gratificanti, benremunerati e che non si vorrebbe lasciare per il potere edil prestigio sociale che assicurano) altro conto è fare l’ope-raio agricolo o in un cantiere edile, l’operatore sanitario,l’insegnante di scuola materna, la commessa in un negozioo in un centro commerciale. Ed inoltre un intervento sulsolo sistema pensionistico e dal lato della sola offerta, tra-lasciando il lato della domanda di lavoro, è del tutto in-sufficiente. Se non si favoriscono un atteggiamento ed unastruttura più accoglienti verso i lavoratori anziani, modifi-cando l’organizzazione e la cultura del lavoro in azienda,si rischia di produrre solo effetti di ulteriore spiazzamento

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per questi lavoratori che, espulsi dal mondo del lavoro, ri-schiano di avere una prospettiva di lunghi periodi senzareddito. Solo una stretta integrazione tra le politiche attivedel lavoro e della formazione continua e le politiche pen-sionistiche in senso stretto può sortire effetti apprezzabiliin grado scongiurare questi rischi.

Un’altra linea guida nell’impegno e nell’azione diSilvano è stata ed è l’unità sindacale. Più volte ci ha pro-vato: nel 1990 e, quando ho lavorato al suo fianco, tra il1997 ed il 2000. Non più la sola unità di azione, giudicatainsufficiente, ma l’unificazione in una sola federazione deipensionati.

“Ma siamo sinceri - scrive nel 1990 in Non di solapensione - sotto l’unità di azione cova un virulento spiritodi corpo e nessuno di noi ne è immune. Un virus che cirende più deboli nei confronti degli interlocutori, dellecontroparti e, soprattutto, del sistema dell’informazione.Se la sigla Uil, piuttosto che quella Cisl o Cgil, emerge dipiù nel corso di una manifestazione; se il tuo nome è ilpiù citato nel corso di un convegno o di una conferenzastampa, allora puoi andare a letto felice e contento. (…)Bombardati da un atteggiamento sociale che tende a cen-surare la vecchiaia per eludere e confinare nell’inconsciocollettivo il problema della finitezza dell’essere, gli anzianivivono spesso la loro età come sospesi in un grande vuotoche non concede punti di riferimento o appigli, che negala disperazione così come la consolazione. Lontana da noi

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tutti la pretesa di dare risposta a questioni che affondanole loro radici nel mistero della vita e della morte. Ma i no-stri iscritti ci chiedono di scuotere il rifiuto, di romperel’isolamento, di svelare ciò che è svelabile in uno stato diangoscia collettiva; questa richiesta si riversa nei luoghidella loro presa di coscienza come gruppo, nei luoghi dellaloro lotta collettiva. Anche qui vogliamo far prevalere lasigla rispetto al problema?”

E sempre sull’insufficienza dell’unità di azione con-clude: “oggi è chiaro in me, come spero lo sia in molti altri,che i sindacati dei pensionati continuando a rimanereuniti nella lotta ma rimanendo divisi nella vita sono ingrado di offrire a questi straordinari anziani certamentemolto. Un molto che è però davvero troppo poco rispettoal tanto che dimostrano di meritare ogni giorno”.

Silvano sa bene che l’unità dei soli pensionati,senza quella delle altre categorie e strutture, non può du-rare a lungo ma, proprio per questo, la sente come unasfida, come la possibilità di far diventare il sindacato deipensionati come l’apripista per tutto il sindacalismo con-federale.

“Sono ben consapevole – scrive sempre nel 1990 -che la confluenza di tante esperienze e modi di pensarediversi in un’unica organizzazione potrebbero anche pro-durre conflitti paralizzanti. E questo modo di valutare lecose, se enfatizzato, porterebbe velocemente a decidere cheè meglio non provarci neppure ed a salvarci la coscienza

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con il rinvio al momento in cui saranno le confederazionia sciogliere il nodo della loro unità. (…) Invece penso pro-prio che sia meno realistico ma più utile discutere del-l’unità e delle regole necessarie per assicurare e rassicuraretutti sul ruolo della futura federazione unitaria dei pensio-nati e sulle regole di gestione e di vita interna”.

Quella che immagina è una grande nuova federa-zione unitaria nazionale dei pensionati e dei cittadini an-ziani da lanciare con una grande campagna di nuoveiscrizioni e di proselitismo fatta in nome di tutti gli anzianie di tutti e pensionati. Ferma restando l’esigenza di con-servare il sostegno alle confederazioni, le risorse raccolte,soprattutto con le nuove iscrizioni, andrebbero dedicateall’unificazione di molti servizi centrali e sui territori rea-lizzando, contemporaneamente, esperienze di grande si-gnificato sociale e politico.

L’unità non si è fatta, ma le ragioni per le quali sidovrebbe fare continuano, nonostante tutto, ad essere piùforti e convincenti di quelle che hanno spinto a rinviare ea lasciar perdere.

Da ultimo, mi soffermo su un altro aspetto impor-tante del tratto della personalità di Silvano: l’apertura alnuovo, la disponibilità all’ascolto degli altri ed a metterein discussione le proprie idee e le proprie strategie se si im-batte in punti di vista, idee e fatti che mostrano l’oppor-tunità di tentare nuove strade. D’altra parte, si può essereautenticamente unitari se si è disposti ad ascoltare gli altri

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ed a tentare la sintesi tra tesi e proposte diverse. In un altropassaggio di Non di sola pensione Silvano si chiede chi èil sindacalista per le persone, come viene visto e vissuto dacoloro che intende rappresentare: ”Una persona normaleche si impegna più di altri sui problemi sindacali o unasorta di robot capace di spiegare una legge, un contratto,di organizzare una manifestazione ma incapace di pensaree di sentire come la gente comune? (…). E se i sindacalistinon riusciranno a tornare ad essere vissuti dai cittadini,come tanti di loro, il sindacato dovrà rinunciare all’aspi-razione di vedersi affidate le speranze di cambiamento enon già le sole aspettative di tutela contrattuale”.

Tema attuale e cruciale: se il sindacato ed i sinda-calisti non vengono visti come agenti efficaci del cambia-mento non si vedranno più affidate aspettative e speranzedelle persone che lavorano ma solo un compito di meratutela contrattuale e di verifica della sua effettività con ilrischio di essere percepiti come poco significativi rispettoai grandi problemi o, peggio, come freno ai cambiamentipositivi che altri porteranno avanti o tenteranno di inte-starsi.

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Sandro Roazzi

Se c'è un tratto comune nella storia personale e po-litica di dirigenti come Silvano Miniati e Luigi Borroni vaindividuato in quella che una volta si chiamava una sceltadi parte, la scelta di stare dalla parte dei lavoratori. Unascelta che si collaudava nelle esperienze personali compiutenon solo nei luoghi di impegno politico e sociale ma nellafrequentazione che la dinamica sociale rendeva feconda diincontri, amicizie, confronti anche duri ma sempre rispet-tosi in una sequenza di iniziative che andavano dalle con-dizioni del lavoro, ai rapporti internazionali, passando perle vicende politiche e sindacali fatte di evoluzione, strappi,svolte culturali. In questo senso chi ha partecipato aglieventi degli anni '60 e poi nei decenni successivi è statosia soggetto di eventi che testimone di cambiamenti pro-fondi.

Ma con una caratteristica sempre molto precisa: as-sumere il rischio politico come parte del proprio ruolo edella propria vicenda umana.

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La rete che si veniva a creare in questo modo dirapporti e di conoscenze si cementava anche in momentidi solidarietà e di tutela. E tutto questo veniva avvertitocome un modo quasi naturale ci concepire la miltanza po-litica e sindacale.

Nei confronti del mondo cattolico poi coloro chesul piano sindacale e politico come Miniati e sul piano so-ciale (Acli) e sindacale come Borroni, si trovavano a vivereal tempo stesso una esperienza di rapporto con la vita po-litica dei partiti e quella assai più multiforme dei movi-menti. Isolotto e Don Milani, il ribollire di una areacattolica sempre meno uniforme nel ripetere lo schemadegli anni '50, quello del gravitare attorno all'azione poli-tica della Dc, hanno messo in moto anche una ricerca cul-turale di grande ricchezza ed in grado di aprire spazi didialogo fino ad allora impensabili. In questo senso eranofavoriti coloro che non poggiavano i capisaldi del loro “sen-tire” politico su schemi ideologici, bensì sulla lezione cheveniva dal contatto con le realtà del lavoro e su quella chespingeva a considerare possibile il mutamento di situazionie rapporti di forza apparentemente inamovibili.

Si pensi all'impegno per l 'unità sindacale, tenace-mente interpretato dalla cosidetta quarta confederazionedi Gino Giugni che si avvaleva di energie assai poco se-gnate dalla ideologia, ma con la forza di una volontà posi-tiva per cambiare le cose che rendeva persino normale ilmilitare in ruoli di minoranza. Così erano le esperienze

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alla sinistra del Psi, così erano gli sforzi compiuti dai cat-tolici delle Acli per far prevalere in un campo dominatodalla Dc e dalla Cisl di Storti una visione unitaria del ruolosindacale che aveva anche l'ambizione di muoversi versoun disegno di società nuovo e certamente assai lontanodagli stereotipi degli anni della divisione sindacale e so-ciale.

Altro tratto che si rivelerà una costante è quellodella sensibilità verso i problemi internazionali, che si ali-mentava di una intensa attività di incontri e confronti, maanche della consapevolezza di dover destinare uno spazioai temi internazionali alla via interna delle organizzazioninelle quali si agiva in qualità di dirigenti. Nasce anche cosìla disponibilità politica e concreta a sostenere i movimentidi liberazione e gli esuli delle dittature, fino a realizzare inun più recente passato iniziative di cooperazione in gradodi creare in luoghi di emarginazione, come in Brasile nelcaso della collaborazione fra Miniati e Borroni, le condi-zioni per una speranza di vita e di crescita dei giovani di-versa.

Questa sensibilità sociale acquista però un conno-tato che denuncia la superficialità di quei giudizi della po-litica nei riguardi dell'impegno sociale considerato comeuna sorta di surrogato minore. In realtà essa acquista va-lore e realizza risultati proprio perchè c'è una maturità po-litica ed una convinzione in un'insieme di valori che fa delprofilo politico e di quello di impegno sociale un'unica

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identità, riconoscibile e in grado di influenzare gli am-bienti nei quali si opera. Con anche quelle intemperanzetipiche di chi si batte con energia sui problemi, ma la cuisincerità rende accettabili.

L'arrivo di Miniati e di Borroni nella Uil non èmolto dissimile: l'individuazione del terreno sindacale, unnuovo riformismo, come quello meglio disponibile ad unaesperienza più libera e con un connotato di autonomiadalla sfera dei partiti che comunque garantiva una parte-cipazione alle vicende politiche del Paese. Un progetto sin-dacale nuovo, la possibilità di coalizzare esperienze diverseper far vivere nella Uil una stagione in grado di allargare icontributi di diverse tendenze oltre quelle tradizionali, lasocialista, la socialdemocratica, la repubblicana. La Uil di-venta un luogo di nuova sperimentazione ma anche quellonel quale l'azione sindacale cerca vie originali ma non sispoglia di connotati politici per diventare autosufficiente.

Al di là dei percorsi sindacali chi scrive può testi-moniare che quando Miniati assume incarichi nel settoredei pensionati e poi diventa segretario generale della Uilp-Uil, ricorda come Luigi Borroni conveniva sul fatto chel'impostazione data alla iniziativa del sindacato dei pensio-nati era probabilmente il tentativo più risoluto di creare ,unitariamente con Cgil e Cisl, un movimento dei pensio-nati italiani come mai si era visto in Italia.

Era la mia sensazione che iniziavo a seguire le vi-cende sindacali dall'esterno, era la sua dal suo luogo di os-

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servatorio come dirigente della Uil.Ed in effetti quel periodo non è solo l'esplosione

di una larghissima partecipazione dei pensionati alle lottesindacali, di cui spesso divenivano il punto di aggregazionepiù unitario e più folto, ma è anche in termini di elabora-zione un esperimento riuscito nell'evitare la frattura fra ge-nerazioni di lavoratori e nell'estendere lo sguardo sindacaleai temi sociali fondamentali della terza età. Con l'idea difondo di costruire proposte e vertenze attorno all'anziano-risorsa di una società nella quale la coesione sociale pas-sava anche dallo sforzo di evitare emarginazione edesclusione.

Non dimentichiamo che fino ad allora i pensionatinon era terminali di una iniziativa autonoma, bensì ter-reno di caccia di consensi elettorali da parte di partiti ein particolare di politici che basavano la loro carriera pro-prio sulle promesse previdenziali, oppure bacino di tenta-tivi sempre fallimentari di creare partitini a vocazionecorporativa e, non di rado, qualunquista.

In questo senso la realizzazione di un protagoni-smo di quelle che furono denominate da certa stampacome le “pantere grigie” ha spiazzato convinzioni e modidi essere, creando anche timori e paure. Anche se è fintroppo facile ritenere che oggi quel tipo di esperienza offremotivi di riflessione visto che i processi di riforma dellaprevidenza e della assistenza si sono tramutati in uno stil-licidio senza fine di interventi fondati su necessità pubbli-

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che di cassa, stravolgendo una fisionomia chiara dell'interosistema.

Ma c'è un altro tratto comune che unisce questidue dirigenti della Uil: la loro lontananza da una imposta-zione del loro lavoro troppo teorica. Il che non vuol direaffatto povertà culturale. Tutt'altro: entrambi semmaihanno sempre cercato di cogliere le novità come un modoper rinnovare la propria esperienza politica ed umana.

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Quello che siamo stati è importante, quello che davveroconta è cosa stiamo facendoora e faremo in futuro

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Gigi Borroni (a destra) fondatore di Upter Solidarietà con Nestore Di Meola

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Abbiamo cercato di rispondere agli ammonimentidei tanti che ci hanno sempre ricordato chequando non si sa con precisione da dove prove-

niamo, e quindi quali siano le nostre radici, non ci sichiede neppure dove davvero stiamo andando. Nel mo-mento in cui ci poniamo queste domande, ci ricordiamoanche che parte della nostra storia si chiama Luigi Borroni,ex dirigente nazionale delle ACLI prima e della UIL edell’ITAL successivamente.

Luigi è stato il presidente fondatore di Upter Soli-darietà. Per molti di noi, soci e frequentatori di Upter, uncarissimo amico e un dirigente che non mollava mai.

A proposito di solidarietà, nutriva un chiaro di-sprezzo per coloro che ritengono che basti parlarne e chescoprono sempre che c’è qualcosa di più urgente da fare equalcuno che sta peggio. E nutriva invece ammirazione erispetto per chiunque cercasse di passare dalle parole aifatti e alla solidarietà pratica in concreto.

Upter Solidarietà per lui doveva essere sempre unaassociazione che, operando senza clamori, cercava di farequalcosa di utile non per la associazione, ma per i citta-dini.

Oggi che siamo impegnati nella raccolta di mezzi

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QUELLO CHE SIAMO STATI

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per completare l’Asilo nido di CIBAEEVA (Dschang-Ca-merun), abbiamo preso atto con grande soddisfazionedella iniziativa di un gruppo d’amici che hanno deciso diorganizzare una raccolta di contributi e di richiedere ai ge-stori di CIBAEEVA di intestare un aula di studio e ricrea-zione dei bambini a “Bruno Di Odoardo: un amicoitaliano”.

Noi ci auguriamo che i bambini che frequente-ranno quell’aula, quelli che frequentano il poliambulato-rio di Mingha, coloro che ascolteranno la radio rurale efrequenteranno i corsi di alfabetizzazione alle nuove tecni-che dell’ informazione e della comunicazione stiano toc-cando con mano il significato degli impegni degli amiciitaliani.

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QUELLO CHE SIAMO STATI

Asilo/scuola di Cibaeeva. E’ funzionante, ma necessitano ancora tanti lavori

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Poliambulantorio di Mingha-DschangCento ragazzi orfani di genitori morti per Aids

Si curano, studiano, imparano

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QUELLO CHE SIAMO STATI

Se studiano e imparano lo fanno anche per noi

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Radio rurale Copertura messaggio centodieci Km di raggio

Collegate alla redazione due aule per formazione e alfabetizzazione informatica

Presto entrerà in funzione redazione romana

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INDICE

Presentazione.............................................................pag 7Introduzione..............................................................pag 13Perché ho deciso di ripubblicare il mio intervento al Comitato Centrale della Uil Pensionati..............................................................pag 23Relazione di Silvano Miniati al Comitato Centrale della UIL PensionatiGrand Hotel Ritz. Roma, 19 ottobre 2007................pag 53La testimonianza di Rita Levi Montalcini“Prepariamoci alla vecchiaia, rimarremo giovani”(Intervento in occasione dell’incontro promosso dalla UILP presso l’Eur di Roma, 1990.....................pag 91La testimonianza di Piero Lauriola............................pag 109La testimonianza di Sandro Roazzi............................pag 123Quello che siamo stati è importante, quello che conta è cosa stiamo facendo ora e faremo in futuro........................................................pag 129

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Silvano Miniati nasce a Scarperia del Mugello nel 1934. I suoi primi impegni politici e sindacali risalgono al 1950.Fino al 1965 svolge attività sindacale per la Camera del Lavoro di Firenze. Successivamente, lavora per il CREL (Centro studi vicinoalla UIL) e collabora alla rivista “Fabbrica Aperta”.Nella seconda metà degli anni '70 dirige l'Ufficio fisco e tariffe dellaConfederazione.Da sempre attento alle tematiche riguardanti la qualità della vita dellepersone anziane, comincia a impegnarsi nella UIL Pensionati. Nel 1985, con il Congresso di Pesaro, entra nella segreteria nazionale.Con il Congresso di San Remo, nel 1989 viene eletto Segretario generale della UIL Pensionati, carica che ha ricoperto fino a tutto il2007.

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