Una notte ad ascq

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UNA NOTTE AD ASCQ Di MARCELLA ARRĺA

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RACCONTO STORICO VINCITORE DEL PREMIO OCEANO DI CARTA 2014; SI ISPIRA A FATTI REALMENTE ACCADUTI

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UNA NOTTE AD ASCQ

Di

MARCELLA ARRĺA

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Jean Michel dormiva abbracciato alla moglie Marie. Nella via tutto era tranquillo,

eppure una strana sensazione di pericolo si insinuò nella sua mente. Qualcosa non

girava per il verso giusto. Si svegliò all’improvviso e si rizzò a sedere. Stette in

ascolto per qualche minuto; in lontananza si sentivano rumori di vetri infranti,

spari e voci concitate. Ma cosa sta succedendo? Quelle voci…erano suoni duri e

gutturali, ordini perentori urlati con furia. Devono essere tedeschi! pensò

alzandosi in piedi allarmato. Corse alla finestra. Nonostante fosse già primavera

indossava un pesante pigiama di cotone. Al Nord, aprile era spesso un mese

freddo e piovoso.

Aprì le pesanti imposte di legno e si sporse. La casa a due piani si affacciava sulla

rue Marceau. La piazza dell’Église in fondo alla via veniva nascosta da una curva

che impediva di spaziare con lo sguardo ed era proprio il luogo da cui

provenivano i rumori. Sentì detonazioni e grida: “Fort! Fort! Raus! Raus!” Una

donna con due bambini in camicia da notte passarono correndo, simili a fantasmi.

“Dio mio! ” disse rabbrividendo.

“Jean Michel!” lo chiamò Marie svegliatasi a sua volta. “Cosa sono questi

rumori?”

“Non lo so. Credo siano spari. Forse hanno sabotato ancora i binari. Questa

settimana è già successo due volte!”

Il suo primo pensiero andò alla polemica che divampava ormai da mesi ad Ascq.

Ne aveva parlato al lavoro anche qualche giorno fa. Lui era meccanico alla

S.N.C.F. e non approvava i continui sabotaggi che i partigiani facevano alle linee

ferrate. A che servivano? Il sindaco e altri abitanti del luogo si erano uniti alla sua

protesta. Quelle bombe a basso potenziale che scoppiavano sui binari non

provocavano danni rilevanti, al massimo ritardi di qualche ora. I tedeschi

reagivano sempre con prontezza e ogni sabotaggio era seguito da interrogatori e

arresti. Lo scorso autunno la Gestapo aveva ucciso un importante membro della

Resistenza a Lille con la segretaria ed altri due uomini. A suo parere sarebbe stato

meglio non stuzzicare troppo il cane che dorme.

“Forse hanno sorpreso un gruppo di partigiani” azzardò la donna.

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La piazza con la chiesa di Ascq nel 1944

“Mi sembra strano perché gli spari non provengono dalla ferrovia ma dal centro

del paese.”

“Papà!” esclamò il figlio entrando nella stanza. Era pallido dalla paura. “Cosa

facciamo? Ho sentito dei colpi d’arma da fuoco, sono i tedeschi! Ci uccideranno

tutti!”

“Ma no Roger, che dici, staranno semplicemente interrogando gli abitanti. Non

avere paura, vieni qui” gli disse cingendogli le spalle con un braccio. “Noi non

abbiamo nulla da temere” aggiunse guardando la moglie che si torceva le mani

dall’ansia.

Sulla strada gli spari si fecero più vicini. Finestre e serrature andavano in

frantumi. I tacchi dei soldati battevano sull’asfalto in una sinistra armonia di

morte. Una raffica di mitra colpì improvvisamente il soffitto della camera. Roger

e Jean Michel si buttarono a terra mentre una pioggia di calcinacci li investiva. La

moglie balzò giù dal letto e cadde pesantemente al suolo.

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Il soffitto crivellato di colpi nella casa dei Muchery, rue Marceau

“Marie, stai bene?”

“Si, Jean, non ti preoccupare, ho solo preso una botta.”

Il tonfo cadenzato degli stivali si avvicinò alla porta d’ingresso. Tutti e tre

trattennero il fiato aspettandosi il peggio.

“Aprite” gridò una voce in francese. Dei colpi furiosi vennero assestati al

portoncino scuotendolo sui cardini.

“Vado io” disse Jean Michel. “Voi rimanete qui. Andrà tutto bene, state

tranquilli.” Uscì dalla camera e scese le scale cercando di frenare il tremito

violento che gli scuoteva le membra.

“Aprite o sfondiamo la porta!” urlò più forte il tedesco.

Febbrilmente, tolse il catenaccio. Si fece da parte mentre la porta veniva

spalancata da un calcio. Un soldato gli puntò addosso un fucile mitragliatore

gridando parole che non riusciva a capire. L’altro era più tranquillo. Indossava un

cappotto di pelle nera con cintura alla vita. Sul cappello una testa di morto brillava

alla luce.

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“Non badi al mio sottoposto” disse l’ufficiale con leggero accento vallone. “È

nervoso. Adesso no!” gli ordinò in tedesco. “Quanti uomini siete?”

“Io e mio figlio di 16 anni.”

“Bene. Dovete venire con noi” intimò l’ufficiale entrando in casa.

“Perché, cosa abbiamo fatto?” chiese Jean Michel. Il soldato gli assestò un pugno

nello stomaco. “Schnell!!”

“Le conviene fare come dice, mio caro. Non so fino a quando riuscirò a

trattenerlo. Che bella casetta avete” disse guardandosi in giro. “Vediamo cosa c’è

di sopra. Tu rimani qua di guardia, Franz.”

Jean Michel si era accasciato sul pavimento. Si teneva lo stomaco dolorante

mentre il tedesco lo sorvegliava con il mitra spianato, lo sguardo freddo come

l’acciaio. “Scheißer” disse sottovoce dandogli un calcione nelle costole.

Roger e la moglie scesero le scale. Marie stava tempestando di domande

l’ufficiale delle SS il quale sorrideva lisciandosi i capelli impomatati.

“Non si preoccupi signora. Requisiamo tutti gli uomini per un lavoro sulla

ferrovia. C’è stato un sabotaggio. Tra qualche ora saranno di ritorno. Torni pure a

letto.”

“Ma hanno bisogno di vestiti caldi, fuori fa freddo. Permettetemi di dar loro degli

abiti.”

“Va bene” concesse la SS, “ma si sbrighi!”

“Cosa ti hanno fatto papà?” esclamò Roger vedendolo a terra.

“Non è niente, niente” lo rassicurò cercando di alzarsi più velocemente che

poteva. “Vi prego, mio figlio è troppo giovane…”

“16 anni vanno benissimo. Lui abile. Vai fuori Franz, qua ci penso io. Avete

alcool, sigarette?” chiese sempre sorridendo.

“Alcool? No. Il tabacco poi è dall’inizio della guerra che non ne vedo.”

“Già. Peccato. Der Krieg! Povertà e nient’altro.”

Marie era tornata giù con i vestiti e aiutò il marito a indossarli “Ecco anche i

documenti, potrebbero servirvi.”

“Grazie tesoro. Vedrai che torneremo presto” le disse baciandola sulla fronte.

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Gli autori del massacro furono membri della divisione Hitlerjugend; qua una

cartolina di propaganda.

“Andiamo, forza. Fort fort, Schnell!” ordinò spingendoli fuori sulla strada. “Adieu

madame! Andate a letto e abbiate fiducia, tra due ore le renderemo i suoi uomini”

aggiunse ridacchiando.

Si avviarono verso la piazza dell’Église, l’ufficiale davanti e Franz dietro con il

mitra spianato. Jean Michel si massaggiava il fianco dolorante. Gettava sguardi

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ansiosi al viso del figlio, pallido e tirato. Avrebbe fatto di tutto per proteggerlo. La

SS aveva detto che si trattava solo di lavoro coatto. Lo sperava con tutte le sue

forze anche se nel cuore aveva un oscuro presentimento. Dio, fa che abbia detto la

verità! pregò in silenzio.

Oltrepassarono la curva di rue Marceau e sbucarono nella zona antistante la

chiesa. Fu lì che videro i primi cadaveri. Sotto al portico giacevano le salme di

due uomini, riverse nel loro sangue. Roger serrò le mascelle in preda alla paura.

Guardò suo padre, gli occhi spalancati in una muta invocazione di aiuto.

“Che cosa avevano fatto?” chiese Jean Michel all’ufficiale tedesco.

“Tentavano di scappare. Terroristi. Alt! Siamo arrivati”.

Li spinsero verso un gruppo di persone riunite in fondo alla piazza. Erano tutte

facce note, persone del paese. Nessuno parlava, ma si stringevano l’uno all’altro a

cercare protezione reciproca. Molti di loro erano feriti da colpi inferti con il calcio

dei fucili. Alcuni avevano i vestiti strappati.

Più in là giaceva il corpo del parroco. Jean Michel lo vide solo dopo qualche

minuto. Si sentì gelare il sangue. Il prete aveva le braccia e le gambe spezzate in

pose innaturali, la scatola cranica sfondata, il corpo crivellato da centinaia di

colpi. L’uomo soffocò un grido. Non poteva essere un terrorista, il loro vicario!

“Perché lo avete ucciso, perché? Cosa ci state facendo?” gridò verso le SS.

“Silenzio! Chiudi il becco francese! Voraus! Avanti, a passo di corsa e con le

mani alzate!” intimò l’ufficiale.

Il gruppo si mosse verso la ferrovia scortato dai soldati. Alcune SS sospingevano

gli uomini a colpi di fischietto; altre ridevano mentre li picchiavano con il calcio

dei fucili. Un ragazzo cadde a terra svenuto. In un attimo gli fu sopra un soldato e

con due calci ben assestati gli spaccò il cranio. Jean Michel correva accanto a suo

figlio temendo ad ogni istante di perderlo di vista. Soffriva ad ogni colpo che

vedeva abbattersi su di lui. Era un incubo, non poteva credere che stesse

succedendo veramente. Pensò a sua moglie. Le disse addio dentro di sé. Ormai era

sicuro che li avrebbero fucilati tutti.

“Viapot” sentì pronunciare da una testa di morto davanti a lui. Si erano fermati

sulla massicciata della ferrovia e un ufficiale continuava a ripetere questa parola

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senza senso. Urlava come un ossesso, i capelli in disordine, gli occhi spalancati e

fissi, sembrava un pazzo. Percorse tutto il gruppo picchiando chi gli capitava a

tiro e facendo gesti furiosi per dire che li avrebbe ammazzati. Alcuni uomini

furono percossi violentemente e poi uccisi con dei colpi alla nuca. Dei soldati si

accanirono contro un ferroviere tempestandolo di calci e sbattendogli la testa

contro un vagone ferroviario. L’uomo cercò di rialzarsi e chiese pietà ma un

ufficiale lo finì freddamente, come un cane. Più in là un ragazzo sembrava che

stesse sfidando le SS. Aveva incrociato le braccia sul petto e incassava i colpi

senza un lamento. I vestiti gli volarono in pezzi per le percosse. Una fucilata a

brucia pelo lo finì come gli altri.

Stava arrivando il loro turno. Roger tremava come una foglia. Il padre gli prese la

mano e gli soffiò in un orecchio: “Figlio mio, bisogna avere coraggio in questo

momento. Fatti forza. Io ti seguo.” Dette queste parole fece un balzo in avanti con

l’intenzione di strappare l’arma a una SS. Voleva combattere fino all’ultimo per

suo figlio. “Bastardi” gridò, ma nel momento in cui si stava avventando sul

soldato inciampò in un filo metallico e cadde a terra. Il carnefice sollevò l’arma e

sparò tre volte colpendolo al braccio sinistro. Un altro colpo lo prese al viso

spaccandogli la mascella. Mirò alla tempia per finirlo ma un movimento del capo

deviò la traiettoria del proiettile che lo raggiunse all’occhio destro.

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Il cappotto con le tracce dei proiettili al braccio, alla spalla e a al viso.

Jean Michel non aveva perso conoscenza. Accanto a sé sentiva che suo figlio

respirava, era ferito ma ancora vivo. In quella il soldato ricordò che il ragazzo era

stato colpito una volta sola e tornò indietro per vuotargli un intero caricatore nel

petto. Sopraffatto dal dolore, svenne.

♦ Altre pattuglie di SS avevano continuato a rastrellare il quartiere alla ricerca di

uomini. Ai due soldati che fecero irruzione in casa loro, Marie cercò di spiegare a

gesti che il marito con il figlio erano già stati portati via ma i tedeschi non

capivano o si rifiutavano di prestarle ascolto. La presero a schiaffi. Uno dei due la

gettò a terra tempestandola di pugni. Rubarono tutto quello che poterono e

ruppero il resto. Alla fine se ne andarono intimandole di lasciare la porta aperta.

Dolorante e intirizzita dal freddo, la donna rimase rannicchiata in un angolo per

quasi due ore. Aveva sentito grida, colpi di arma da fuoco, rumore di porte

sfondate e poi più niente. Il paese era tornato tranquillo. Si alzò con fatica e si

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diresse cautamente alla porta d’ingresso, pronta a tornare dentro se vedeva altri

soldati. Ma fuori non c’era nessuno. Solo un profondo e innaturale silenzio. Come

mai non si sente nulla? si chiese Marie. I binari erano vicini e l’eco delle badilate,

dei picconi al lavoro avrebbe dovuto arrivare sin lì.

“Mme Engelhard, come sta?”

La donna si volse e scorse solo allora Luisa, sua anziana vicina di casa.

“Oh, Mlle Claudic!. Sono venuti due volte a casa nostra. Prima hanno portato via

mio figlio e mio marito, dopo sono tornati ancora a cercarli e non trovandoli mi

hanno picchiata e derubata.”

“Com’è possibile? Da me sono venuti una volta sola. Io non ho uomini a casa e

gliel’ho detto. Loro mi hanno lasciata in pace.”

“Non lo so… io non parlo tedesco. Non capisco più niente. Un ufficiale mi aveva

detto che tornavano. Quando? Questo silenzio, lo sente anche lei?”

“Si. È strano. Proviamo ad andare verso la stazione, magari incontriamo qualcuno

a cui chiedere. Se ci sono delle SS torniamo indietro.”

“Va bene.”

Scesero lungo la via Marceau in direzione della chiesa. Marie camminava a fatica.

Le doleva un fianco e le pulsava la testa per le percosse ricevute. Ma in quel

momento non le importava molto. La paura che fosse accaduto qualcosa ai suoi

cari l’attanagliava e si andava trasformando in timor panico. Accelerò il passo,

oltre la curva avrebbe potuto scorgere la ferrovia.

“Mme Engelhard, mi aspetti! Non corra così!”

Marie si fermò di colpo, ansante. “Ha sentito?”

“Cosa?”

“Un lamento. Qualcuno chiama aiuto…”

“Io non sento nulla.”

Entrambe si misero in ascolto ma nell’oscurità della strada regnava un profondo

silenzio.

“Avrà sentito male” ipotizzò Mlle Claudic.

Marie non rispose e si avviò verso il portico della chiesa. Le era sembrato di

scorgere dei fagotti in terra, rischiarati dalla debole luce lunare. Che cosa sono? si

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chiese, ignara dell’orrore che aveva davanti a sé. Si inginocchiò accanto a uno di

quei mucchi e cominciò a tastare con le mani. Non ci mise molto a rendersi conto

che si trattava di cadaveri. Si alzò di scatto soffocando un’esclamazione. Più in là

indovinò le forme di un altro corpo e poi di un altro ancora. Decine di persone

giacevano immobili, rigide nella morte.

“Oddio, o Dio mio…assassini, assassini!!” gridò in preda alla disperazione. “Mio

figlio, mio marito!! Dove sono? Dove? Li hanno uccisi…”

Tutto il paese risuonava di grida analoghe. Le donne, avventuratesi fuori delle

loro case, stavano scoprendo la terribile verità. Pianti e grida di dolore laceravano

la notte fondendosi in un unico lamento.

Mlle Claudic era rimasta impietrita in mezzo alla strada. Brividi di freddo le

percorsero la schiena. Non poteva credere che i tedeschi avessero ucciso civili,

persone del paese, uomini e ragazzi che lei aveva visto nascere e crescere. Tutto

questo le sembrava assurdo, senza senso. Si avvicinò a Marie e l’abbracciò

cercando di consolarla.

“Si faccia coraggio. Chi le dice che sono stati uccisi? Potrebbero essersela

cavata…”

“O-o-o-oh no, no!!!” esclamò lei tra le lacrime. “Non vede che hanno fucilato

tutti?”

In quella sentirono un rumore diverso dai pianti e dalle grida. Sembravano dei

passi, un respiro affannoso.

“Che cos’è?” si chiese Louise. Si portò al centro della strada e improvvisamente le

si parò davanti un uomo, irriconoscibile. Il sangue gli colava copioso dalle ferite.

Un occhio era uscito dall’orbita e una piaga orribile gli sfigurava la parte inferiore

del viso. Il braccio sinistro crivellato di colpi penzolava inerte.

“Santo cielo! Chi siete, cosa le è successo?”

“Casa. Torno a casa” disse l’uomo pronunciando le parole a fatica. “Tutti. Hanno

ammazzato tutti. Io solo sono sopravvissuto. Roger…”

Non riuscì a terminare la frase. Cadde in ginocchio e scoppiò a piangere

farfugliando parole senza senso.

In quell’uomo, Marie riconobbe Jean Michel.

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Parte delle sepolture. In tutto furono uccisi 86 uomini

Ispirato da fatti realmente accaduti. Le immagini sono tratte dall’Album

historique du docteur J.-M. Mocq, 12. SS-Panzer-Division massacre Ascq, cité

martyre. Hitlerjugend, éditions Heimdal, 1994

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