Una faticosa uscita dalla crisi la... · sottopenetrazione delle grandi societ di consulenza. Da...

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In collaborazione con Apco e Assoconsult INSERTO REDAZIONALE RAPPORTO SPECIALE Una faticosa uscita dalla crisi La consulenza manageriale in Italia 2010

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In collaborazione con Apco e Assoconsult

INSERTO REDAZIONALE

RAPPORTO SPECIALE

Una faticosauscita

dalla crisi

La consulenza manageriale in Italia 2010

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La ricerca sviluppata dall’Osservatorio Asso-consult, con la collaborazione dell’Università di Roma Tor Vergata, rappresenta un primo punto di riferimento per l’industry della con-sulenza in Italia, in quanto fornisce per la

prima volta una cornice scientifica e quantitativa a un settore fino ad oggi pressoché inesplorato. In estrema sintesi, la ricerca ha fornito il seguente quadro di in-sieme:

il settore della consulenza in Italia produce un fattu-rato pari a 3,5 miliardi di euro, con un contributo pari allo 0,25% del PIL nazionale; la consulenza in Italia risulta essere meno sviluppata rispetto ad altri Paesi europei comparabili, dove in media il settore incide sul PIL per un valore pari allo 0,38%;il settore, nel 2009, ha subito una contrazione del fat-turato di circa il 5%, e un ulteriore riduzione dell’1% è attesa per il 2010;il mercato della consulenza è molto frammentato: sono presenti 13.400 imprese, l’85% delle quali opera con meno di tre addetti, e dove le prime 10 aziende detengono una quota di appena il 20% del mercato; il complesso delle imprese occupa 45.000 addetti;la “produttività” delle aziende sembra essere migliora-bile: il fatturato pro-capite in Italia è pari a 80 mila euro l’anno, pari a circa la metà del benchmark euro-peo. A questo va aggiunto che le imprese più piccole, con meno di tre addetti, “sopravvivono” con un fattu-rato pro capite inferiore ai 50 mila euro, un valore che evidentemente impedisce loro di investire per il loro futuro;l’o!erta di consulenza è polarizzata tra un gruppo di circa 30 grandi aziende, per la maggior parte inter-nazionali, che rappresentano quasi il 40% del mer-cato, e una miriade di imprese piccole-medie con una

proprietà quasi esclusivamente nazionale e con una scarsa propensione a perseguire strategie di sviluppo internazionale;le medie e piccole imprese di consulenza sono dedi-cate in prevalenza a servire le PMI italiane (il 70% dei loro ricavi è realizzato con clienti di fatturato inferiore ai 50 milioni di euro), con una importante presenza nel settore manifatturiero (41% del loro fatturato) e con una focalizzazione in due aree principali di specializ-zazione: l’area amministrazione e controllo e l’area ri-sorse umane e formazione;le grandi imprese operano invece in modo prevalente con i grandi gruppi (il 56% dei ricavi proviene da clienti con fatturato superiore ai 500 milioni di euro), con una presenza dominante nel settore terziario (67% del fat-turato), in particolare nei settori dei servizi finanziari, delle telecomunicazioni e dei media. Sviluppano una strategia di multi-specializzazione in pressoché tutte le aree di competenza del settore e hanno diversifi-cato verso altre aree di business, come lo sviluppo di sistemi informativi e l’outsourcing, dalle quali proviene circa il 60% dei ricavi;

di Ezio Lattanzio *

In un mercato che fa fatica a riprendersi dai colpi della crisi, il Management Consulting in Italia deve trovare nuove strategie per ra!orzare la propria presenza sia nel settore privato sia in quello pubblico.

Il presidente di Assoconsult delinea l’andamento della consulenza in Italia nel 2010

Una realtà da consolidare

Area StrategicaArea AmministrativaArea FunzionaleArea OrganizzativaAltro

7%

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Management Consulting per aree di specializzazione

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CONSULENZA MANAGERIALE

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100%

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0% Italia UE

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Terziario

Industria

Settore Pubblico e Sanità

Fatturato per settore Italia ed EUla fornitura di servizi di consulenza verso il settore pub-blico sembra essere relativamente sottodimensionata nel nostro Paese, con una quota del 14% sul fatturato del settore, contro il 20% di altri Paesi europei, e una sottopenetrazione delle grandi società di consulenza.

Da sempre, la realtà della Pubblica amministrazione (PA) italiana è caratterizzata da livelli di spesa molto elevati in servizi di consulenza, con la contraddizione di livelli contenuti rispetto a tutti i Paesi europei nella parte di spesa che si riversa sul mercato libero. La contraddi-zione deriva nel fatto che la PA italiana acquista servizi di consulenza da se stessa (enti in house) o da liberi profes-sionisti (in molti casi figure vicine alla politica di dubbia professionalità) e solo il 15% circa è canalizzato al mer-

L’Osservatorio Assoconsult sul Management Consulting in ItaliaAssoconsult, Associazione di categoria delle imprese di consulenza aziendale aderente a Confindustria, ha attivato nel 2010 la prima edizione dell’Osserva-torio sul mercato del Management Consulting in Italia. La rilevazione, avviata in via sperimentale, si ripeterà ogni anno.L’Osservatorio nasce dall’esigenza, diffusa tra gli operatori del settore, di meglio comprendere la dimensione, l’evoluzione e le dinamiche del nostro business. Fino ad oggi, non esisteva, in Italia, uno strumento di ricerca che rilevasse, in modo attendibile, l’evoluzione del nostro settore. Alcune ricerche, svolte da organizzazioni internazionali, presentano vari limiti di rappresenta-tività; manca un patrimonio di informazioni essenziale e questa carenza limita

notevolmente sia la capacità di ogni azienda di sviluppare analisi competitive fact based sia, a livello aggregato, la possibilità di dimostrare alle controparti istituzionali il valore creato dalle aziende in termini di fatturato, di impiego di risorse intellettuali e di impatto sull’economia del Paese.L’Osservatorio Assoconsult nasce proprio per colmare questa lacuna e ha l’obiettivo di diventare uno strumento e un processo permanente di analisi e confronto tra gli operatori del settore della consulenza. L’Osservatorio crea un patrimonio informativo che verrà aggiornato annualmente e com-prende informazioni sulla dimensione dell’industry, la sua articolazione in aree di business, settori economici, aree geografiche, classi dimensionali della clientela, l’evoluzione dei principali indicatori, come il fatturato, il personale e altro. Su questa base di informazioni costruiremo, nei prossimi anni, indagini specifiche su temi di interesse comune, che verranno selezionati raccogliendo suggerimenti e spunti da parte di tutte le aziende interessate; temi che potremo sviluppare sono, ad esempio: l’internazionalizzazione delle società di consulenza, il pricing, l’analisi di settori specifici, ecc... Con l’avvio dell’Osservatorio abbiamo realizzato una prima ricerca con la collaborazione dell’Uni-versità di Roma Tor Vergata. Obiettivo della ricerca è fotografare in modo puntuale il settore del Management Consulting, andando ad analizzare le diverse tipologie di imprese che vi operano e le diverse aree di attività che lo costituiscono. Il primo Rapporto riassume i risultati della prima edi-zione 2009-2010. I risultati della ricerca sono stati anticipati il 17 giugno 2010 presso Confindustria, in occasione della prima edizione degli Stati Generali della Consulenza, evento al quale hanno par-tecipato oltre 400 persone e che verrà ripetuto ogni anno, con l’obiettivo di attivare un momento di diretto confronto tra gli operatori sullo stato dell’arte e le prospettive del settore.

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cato dei privati organizzati in forma di impresa. In tutti i casi (vedi dati Dipartimento Funzione Pubblica), la PA disperde la spesa in una miriade di micro-incarichi, la cui dimensione non ha la massa critica per produrre risultati concreti in termini di valore aggiunto.In questo scenario si inseriscono le recenti disposizioni legislative, introdotte dalla manovra di contenimento dei conti pubblici per il 2011, che obbliga tutte le ammini-strazioni pubbliche centrali e locali a non poter spendere nel 2011 più dell’80% di quanto speso nel 2009 in consu-lenza e del 50% di quanto speso in formazione.L’auspicio e al tempo stesso la preoccupazione (fondata) degli operatori qualificati è che il taglio non colpisca le situazioni qualificate a vantaggio degli enti in house e delle situazioni di clientelismo. Questo proprio in un momento in cui la PA italiana ha al contrario bisogno di contributi esterni qualificati per a"ancare e ra!orzare il profondo e vasto processo di ristrutturazione, avviato dal Ministro Brunetta senza il quale il sistema Paese non potrà a!rontare le sfide internazionali.I risultati dell’indagine dell’Osservatorio ci permettono di delineare un quadro sistematico e coerente di un set-tore vitale della nostra economia, importante non sol-tanto per il contributo diretto - in termini di fatturato e di occupazione - che fornisce al Paese, ma anche per il suo ruolo di creazione di valore e di innovazione a favore dell’imprenditoria italiana, nonché di valorizzazione del patrimonio culturale e umano rappresentato dai suoi 45 mila professionisti.La lettura dei risultati fa sorgere inoltre molte domande,

che l’Osservatorio si impegna fin d’ora ad approfondire nei prossimi anni. Tra queste, ne ricordiamo alcune che crediamo particolarmente importanti:

perché il Management Consulting in Italia è così sot-todimensionato rispetto agli altri principali Paesi eu-ropei?qual è il ruolo delle microimprese di consulenza, e come è possibile trovare dei percorsi di crescita e di ra!orzamento per queste aziende?come si può trasferire alla Pubblica Amministrazione italiana il know how di competenze manageriali, orga-nizzative e di innovazione delle aziende di consulenza, in un contesto di forte contrazione del budget di spesa dello Stato e partendo da una situazione di sottoinve-stimento in questi servizi?come evolverà la domanda di consulenza in Italia, spe-cialmente a fronte della grave crisi economica che stiamo vivendo? Come cambierà il rapporto tra cliente e consulente? E quali saranno le strategie di successo che le aziende di consulenza perseguiranno per avere successo?come riuscirà la consulenza ad aiutare le piccole-medie imprese italiane a competere nei mercati glo-balizzati, in una situazione in cui le grandi società di consulenza si focalizzano sulle grandi imprese, e le pic-cole società di consulenza non hanno un network in-ternazionale adeguato per supportare i propri clienti?

* Ezio Lattanzio è Presidente di Assoconsult Confindustria.

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I l mondo della consulenza sta cambiando; varie sono le ragioni che spingono in questa direzione. Una causa è certamente la crisi, ma non solo. I dati dell’economia italiana in-dicano una lieve ripresa, ma diversi studi in-

dicano un mercato della consulenza ancora flat o in lieve calo anche per il 2011. Ovviamente questo è un dato medio, che va interpretato. La crisi c’è stata e ha lasciato il segno, ma ha probabilmente accelerato un fenomeno già in corso: il radicale cambiamento comportamentale di coloro che già comprano consu-lenza e la sostanziale difficoltà a toccare un mondo di aziende, in linea di massima PMI e settore pubblico, con poca o scarsa abitudine a comprare consulenza.I vari studi disponibili indicano, nonostante metodi di analisi diversi, un mercato della consulenza ita-liano sempre fortemente sottodimensionato rispetto alle nazioni a noi confrontabili. Come APCO ci siamo interrogati su questo fenomeno e crediamo di poter riscontrare nel mercato italiano una polarizzazione della domanda: da un lato le grosse aziende, capaci e abituate a comprare e utilizzare la consulenza, dall’al-tro il settore pubblico e le PMI con poca abitudine e grandi difficoltà e diffidenza ad avvalersi della con-sulenza. La struttura dell’economia italiana centrata sulle PMI spiega quindi, a nostro parere, la ridotta di-mensione del settore consulenza in Italia.Abbiamo quindi due “mondi” di riferimento da af-frontare con logiche, prodotti e cultura diversi. Per quel che riguarda le aziende “grandi” e le diverse organizzazioni già abituate a comprare consulenza, dobbiamo inoltre tenere presente che in questi ultimi anni le loro richieste sono cambiate. I nostri interlo-cutori sono ora:

più competenti, perchè hanno maggiori cono-scenze dei basic manageriali, hanno seguito master e corsi universitari o a volte sono nostri ex-colleghi;più informati, perchè hanno più facile accesso a best practice, libri, siti informativi. La funzione di

“impollinatore” della conoscenza che faceva una volta il consulente è nei fatti in forte calo;più esigenti, perchè per alcuni clienti e per alcuni settori la consulenza è vista come una commo-dity, un servizio da far comprare all’ufficio acqui-sti, spesso da pagare solo al conseguimento dei risultati promessi.

D’altra parte le aziende “piccole”, travolte dalla crisi e dalle urgenze hanno continuato a non servirsi di con-sulenza, senza cogliere il contributo che essa avrebbe potuto dare in questa fase. In un incontro sulla ripresa economica, organizzato da APCO a Bologna alcuni mesi fa, avevamo parlato di

“strategie per una ripresa debole” e il dibattito si era proprio spostato sui consulenti, sulle società di con-sulenza, sul modo di fare consulenza: tutti avevano condiviso che, anche nell’ipotesi della ripresa piena del mercato, il mondo della consulenza sarebbe mu-tato. Il modello di relazione è in via di cambiamento ed è responsabilità dei consulenti sforzarsi di trovare i nuovi equilibri.Grande o piccolo che sia il cliente che si avvale di con-sulenti, ha ora aspettative più sofisticate. In prospet-tiva ora si aspetta:

non metodo, ma soluzioni specifiche e risultati: metodologie e approcci sono apprezzati, ma sono

Il presidente di APCO legge le tendenze di mercato

Il consulente-innovatoreNon basta accompagnare l’azienda con buoni consigli e buone strategie. Il consulente deve saper proporre soluzioni avanzate, stando sempre “un passo più avanti” rispetto al cliente.di Marco Beltrami *

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con il cliente e il mercato. APCO, l’Associazione Pro-fessionale dei Consulenti di Management, non vuole lasciare soli i consulenti e i clienti ad affrontare queste difficoltà, ma si sforza di aiutarli a fare comunità, a crescere professionalmente, a scambiarsi esperienze, a confrontarsi sulle tendenze emergenti, li aiuta a rapportarsi in modo qualificato con il mercato.Un altro importante contributo che APCO offre per semplificare e far crescere la relazione cliente- con-sulente, e in particolare quando il cliente non ha la capacità di discriminare e selezionare il consulente, è rappresentato dalla certificazione CMC (Certified Management Consultant), unica certificazione inter-nazionale esistente per la consulenza di management, che qualifica i consulenti che hanno un livello “certi-ficato” di professionalità, competenza ed esperienza.

La stessa iscrizione ad APCO è per il cliente una forma di ga-ranzia, perchè segnala un con-sulente che si riconosce in una comunità professionale, ha delle esperienze dimostrate, aderisce ad un codice etico.La dimensione individuale, intesa come contributo della singola persona, sta assumendo un peso crescente nel mercato consulen-ziale: non è antagonista di società o marchi forti, ma li integra e sem-mai li rafforza. Forme di certifica-zione delle capacità professionali aprono il mercato a nuovi player che sviluppano nuove idee o nuovi modelli di relazione, facilitano ai clienti la scelta, in particolare alle PMI e al settore pubblico, in cui

l’inesperienza in questo campo rende spesso difficile la selezione e la relazione con i consulenti.I consulenti sono molto individualisti e privilegiano la propria capacità di gestire la relazione con i pro-pri clienti, spesso curandosi poco delle dinamiche del settore, ma questa è una visione limitata, molto rischiosa sul medio/lungo termine. La ridotta dimen-sione del mercato italiano, la necessità di aprire il mercato delle PMI e del settore pubblico e le continue campagne di stampa denigratorie richiedono qualche iniziativa “strategica”, da veri consulenti di strategie. Forse sarebbe il caso che il mondo dei consulenti pro-vasse a fare un po’ più fronte comune.

* Marco Beltrami è Presidente APCO-Associazione Professionale Consulenti di management.

dati per scontati, come normale strumentazione di lavoro che un consulente valido deve avere. Il cliente vuole ora competenze specifiche su una area aziendale o sui problemi della sua industry di riferimento; una propositività che passi dai problemi espressi alle opportunità nascoste: non è più l’epoca in cui i consulenti sono chiamati a trovare soluzioni a problemi individuati e interiorizzati. I clienti si legano a consulenti che li aiutano ad esplorare nuove opportunità, a cogliere problemi sommersi, ad affrontare un futuro sempre più presente; un consulente che sia “più avanti” di loro: il consulente deve essere il portatore di visioni, prospettive, stimoli non posseduti dal cliente stesso. Deve mettere in condizione l’azienda di fare un significativo passo in avanti. Non può limitarsi ad avere lo stesso bagaglio di conoscenze del proprio in-terlocutore.

Un aspetto rimane stabile a con-notare la prestazione del con-sulente: il vero consulente non solo aiuta il cliente a risolvere un problema, ma trasferisce anche un metodo e delle capa-cità che rendono poi il cliente progressivamente autonomo. E’ proprio questo il fattore dif-ferenziante tra il consulente e altre professionalità, come ad esempio gli ex-manager che ora affollano il mercato. Tuttavia, riprendendo il discorso sulla polarizzazione del mercato avviato prima, pos-siamo sintetizzare la situazione dicendo che «chi com-pra consulenza, chi è abituato a utilizzarla, adotta i comportamenti e le prassi sopra riportate, chi non compra consulenza, non l’ha mai comprata, continua a non conoscerla, a diffidarne e a non comprarla». In questo secondo caso siamo in situazioni di mercato dove vi è spesso una “asimmetria cognitiva”: si co-nosce poco la consulenza, c’è difficoltà di comuni-cazione e comprensione reciproca, non c’è chiarezza di come potrebbe contribuire al miglioramento delle performance e quindi non si innesca il dialogo fra do-manda e offerta. Forse la crisi per i consulenti non è finita, ora è meno di mercato, ma più interiore: una sfida forte a rimet-tersi in gioco su contenuti, organizzazione, relazione

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Domenico De Masi nell’introduzione a un utile e curioso piccolo libro (Processo a Taylor, Ed. Olivares), ha scritto che tra gli anni ‘80 e ‘90 dell’Ottocento Taylor rea-lizzò tre salti mentali. Capì che i problemi

del lavoro e della produzione non potevano essere risolti con il “buon senso”, ma richiedevano profonde innova-zioni tecnologiche attentamente progettate, con inno-vazioni organizzative scientifiche e pianificate, con buoni

rapporti psico-sociologici tra direzione e lavoratori.Forse, le norme UNI, alle quali Apco ha dato un contributo significativo, possono rappresentare la risposta non con-scia a coloro che usano il concetto di mestiere al posto di professione, quello di esperienza al posto di compe-tenza. La dimensione conscia, razionale, metodologica del Gruppo di lavoro Uni, ha prodotto in questi ultimi 15 anni 6 norme e sta partecipando, dal 2008 in sede CEN, con la propria delegazione italiana, all’elaborazione della prima norma europea sul management consulting. Le norme Uni cercano di focalizzare sempre meglio una professione dai contorni sfumati, da un perimetro culturale e operativo meno definito di altre professioni. Si articola, in un certo senso, in un sistema di sub-professioni con un relativo sistema di competenze, le cui radici a!ondano da un lato nella cultura della rivoluzione industriale e dall’altro si trovano in interdipendenza con il processo di cambia-mento chiamato globalizzazione.Se accettiamo la metafora che le norme (metodologie, re-gole, comportamenti) sono uno dei fondamentali dei si-stemi organizzativi e che aiutano a governare i processi e le loro fasi, possiamo dire che esistono degli stakeholder delle norme. E che tra questi ci sono naturalmente le or-ganizzazioni-clienti e gli stessi consulenti di management.Perché le norme. Se si volesse sintetizzare, potremmo dire, per conoscersi, riconoscersi, farsi riconoscere, farsi valutare, farsi scegliere. In altri termini, le norme con-tribuiscono a incidere significativamente sul processo identitario, cioè su chi essere e come essere consulente di management (un esempio concreto: come elaborare il progetto/o!erta di consulenza).Per chi. Per i consulenti, per i clienti, per tutti gli stakeholder. Per lo sviluppo qualitativo e tipologico delle competenze, per lo sviluppo del business. Perché ce lo chiede l’Europa. Perché la mediocrità si vende sempre meno e, come ci sug-geriscono De Masi-Taylor, il buon senso non è più su"ciente per costruire una vision intesa come identità presente-futuro per competere con una competizione competente.

* Luigi Guarise è socio APCO, CMC (Certified Management Consultant) e rappresentante APCO presso l’UNI dal 1995. ([email protected]).

APCO-UNI: una partnership pluriennaledi Luigi Guarise *

1989 Incontro con ICMCI

1995 Incontro con UNI

1996-1999 UNI 10771 Consulenza di direzione (manage-ment consulting).Definizioni, classificazione, requi-siti e o!erta del servizio

1999-2001 UNI 11067 Consulenza di direzione (manage-ment consulting).Criteri di erogazione e controllo del servizio

2003-2005 UNI 11166 Consulenza di direzione (manage-ment consulting).Linee guida per la scelta del consulente di direzione

2005-2007 UNI 11251 Consulenza di direzione (manage-ment consulting).Linee guida per l’a"damento di servizi di consulenza e formazio-ne organizzativa e direzionale da parte delle pubbliche ammini-strazioni, centrali e locali

2007-2010 UNI 11369 Consulenza di direzione (manage-ment consulting).Guida per la classificazione dei consulenti di direzione in base al sistema di competenze

2008-2010 UNI U83.00.069.0

Consulenza di direzione (management consulting).Guida all’utilizzo della consulenza per l’erogazione, la gestione e lo sviluppo delle piccole imprese

2008-2010 prEN16114 Management Consultancy Services.(attualmente in fase di indagine)

Le norme: genesi e sviluppo

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Uno sguardo alla consulenza nelle regioni italiane

APCO ha una struttura articolata sul territorio. L’obiettivo di questo modello organizzativo è di facilitare il confronto, lo scambio e la rap-presentanza là dove sono i consulenti. I Co-ordinatori territoriali agiscono da “sensori”

del mercato e delle dinamiche locali e grazie al loro contri-buto abbiamo provato a ricostruire l’Italia della consulenza. Ne emerge un quadro dinamico, e “al di fuori degli schemi” di come la consulenza è vista e si sviluppa.

ABRUZZOIl mercato abruzzese della consulenza di management è condizionato dalla struttura delle imprese presenti sul territorio, per oltre l’ 80% PMI. Le grandi aziende sono per lo più proiettate verso altri territori, nella ricerca di strutture di consulenza che si pensa possano avere mag-giore esperienza nel proprio settore di attività, e quindi garantire risultati migliori. Soprattutto con l’inizio della crisi degli ultimi anni, la consulenza di management, dopo una prima importante flessione, ha visto una ri-duzione drastica dell’attività rivolta all’organizzazione, sviluppo e strategia aziendale, ma registra un notevole incremento dell’attività di consulenza soprattutto per la PMI, per la gestione di finanziamenti, fondi e progetti re-gionali o comunitari.

UMBRIANon ci sono ricerche precise, ma la sensazione è che ci sia stato, in questi due anni di crisi, un vero e proprio crollo del fatturato, mitigato in parte dall’assistenza su progetti già precedentemente realizzati. I temi di maggior interesse risultano essere: passaggio generazionale, marketing, controllo, sistemi informativi. Sta assumendo importanza, per servire le PMI, a!rontare il mercato in collaborazione con studi commerciali, che vogliano #potenziare i loro ser-vizi con quelli erogabili dai consulenti di direzione.

FRIULIL’ambiente locale è - come il resto del Paese - popolato soprattutto da micro e PMI. L’imprenditoria regionale

è definibile a “innovazione lenta”, soprattutto verso gli intangibles, tra cui la consulenza. Il settore della con-sulenza di management è estremamente frazionato (ne-gli anni ci sono stati vari tentativi di insediamento delle società più grandi) e operano solo piccoli studi. Molte attività formative aziendali ora languono per la carenza di fondi pubblici. Le aziende locali apprezzano molto le capacità di fornire contributi concreti, ma da un paio d’anni le di"coltà stanno “facendo perdere la testa” alle PMI. Si è in parte è superata una lontana “esterofilia” (i consulenti milanesi sono più bravi) ma questo non si sta traducendo in business per gli “indigeni”. I settori di consulenza più praticati risultano ancora il controllo di gestione e la consulenza tecnico-produttiva, meno il marketing e le risorse umane.

VENETO/TRENTINO-ALTO ADIGEIn Veneto e Trentino Alto Adige vi è un forte tasso di imprenditorialità e presenza di aziende (oltre mezzo mi-lione); dimensioni medie piccole e micro, soprattutto sotto i dieci dipendenti; forte presenza di imprese fa-miliari; buona propensione a esportare. Anche il mer-cato della consulenza di direzione e organizzazione rispecchia questa realtà: di fatto, la grande maggio-ranza delle realtà sono piccolissime o, addirittura, free lance. A livello di approccio con le aziende, è evidente una maggiore propensione a “comprare consulenza” da parte dei giovani imprenditori. Non c’è dubbio che la crisi attuale, fortemente penalizzante per le imprese produttive, abbia avuto una ricaduta negativa anche nei volumi d’a!ari del mondo della consulenza di dire-zione e organizzazione. I filoni nei quali la consulenza ha ora spazio d’intervento sono i distretti produttivi, l’innovazione, la formazione. Persistono alcuni temi specialistici, quali: passaggio generazionale e conti-nuità d’impresa, sicurezza e ambiente, internaziona-lizzazione, miglioramento dell’e"cienza produttiva. Il mondo della pubblica amministrazione, anche per ri-strettezze nei bilanci pubblici, non si dimostra attrat-tivo per i consulenti.

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LOMBARDIA«Il management consulting, a livello globale, suscita sempre meno interesse, le domande sulla rete sono calate a meno della metà, dal 2004 ad oggi, mentre le notizie disponibili sono in aumento specie da due anni a questa parte» (fonte: Google trends). La situazione che riscontriamo in Lombardia ci sembra siano allineate con la tendenza di fondo. C’è meno interesse, o curiosità, che in passato perché molti ritengono di sapere di cosa si tratta, pur non avendolo capito, ma non c’è maggiore consapevolezza delle opportunità che o!re. La forma-zione sembra attirare molto le imprese lombarde, purché sia finanziata e a livelli molto operativi. Si parla molto di innovazione e internazionalizzazione, ma non tutte le aziende si cimentano in questa sfida; molte di quelle che si innovano scelgono il fai da te (“costa meno”, “è meglio sbagliare da soli”), i giovani imprenditori sembrano co-munque più aperti alla consulenza e consapevoli dell’im-portanza delle risorse umane e del lavoro di squadra. Un discorso a parte riguarda tutto il settore delle grandi imprese, con sede a Milano, che utilizzano in maniera si-stematica servizi di consulenza, spesso o!erti da grandi società, per i diversi nuclei operativi sparsi sul territorio italiano; qui sembra che la domanda sia in ripresa.

SARDEGNAAnche il mercato della consulenza in Sardegna ha subito un forte ridimensionamento sia in termini di fatturato complessivo, sia in termini di valore della singola pre-stazione. Nel contesto locale le scelte imprenditoriali finalizzate all’utilizzo di professionisti della consulenza di direzione, sono state quasi sempre condizionate dall’esi-stenza di robusti interventi agevolativi pubblici. Pertanto, nella situazione attuale, caratterizzata da una forte crisi economica generalizzata e da una riduzione degli stan-ziamenti pubblici, ci troviamo a fronteggiare una situa-zione di grave di"coltà. Solo la PA sembra o!rire qualche opportunità determinata dalla volontà degli Enti di inter-venire per favorire lo sviluppo locale, attraverso la piani-ficazione di attività specifiche destinate in buona parte allo sviluppo dell’imprenditoria.

TOSCANAIl tessuto imprenditoriale toscano è caratterizzato da poche grandi aziende, un centinaio di aziende di medie dimensioni e una miriade di PMI. Uno dei limiti delle PMI toscane è la sottocapitalizzazione (famiglia ricca e azienda povera). Il settore della consulenza di direzione è costitu-ito da professionisti e piccole società di consulenza, il cui vantaggio competitivo è soprattutto nella vicinanza, nel prezzo e nella capacità di seguire i clienti con continuità.La recessione iniziata a settembre 2008, ha aggravato

PUGLIALe 338.598 imprese (6,4% del totale Italia) del tessuto imprenditoriale pugliese, prevalentemente piccole, di-mostrano maggior attenzione agli investimenti “hard” rispetto a quelli di tipo “soft” a cui la consulenza appar-tiene. L’a!ermazione di una “cultura della consulenza di management” è ostacolata da un quadro macroecono-mico negativo e da processi di ristrutturazione proprio in quei comparti (tessile, abbigliamento, calzature, le-gno-arredo, meccanica,…) del settore industriale, dove, negli anni passati, la consulenza di management ha iniziato una lenta penetrazione. In questo momento, le imprese pugliesi concentrano la domanda di consulenza su aspetti finanziari, di relazione con il mercato, di for-mazione finanziata. Pur non esistendo un censimento dei consulenti di management, si può stimare che nella Re-gione siano attivi circa 300 tra società, studi professio-nali e liberi professionisti, che si propongono al mercato per svolgere un’attività di “consulenza di direzione ed or-ganizzazione aziendale”. A di!erenza di quanto avveniva nel passato, si riscontra un ingresso nella professione di manager usciti dalle aziende in ristrutturazione e una lo-calizzazione dei consulenti anche in piccoli centri e non solo nei capoluoghi di provincia.

EMILIA ROMAGNANella relazione con la consulenza, un buon livello di competenza si ritrova in organizzazioni aziendali e istitu-zionali strutturate e anche dimensionalmente consistenti (anche se non ci sono automatismi). Ma il tessuto econo-mico della regione Emilia-Romagna è fortemente carat-terizzato dalla presenza di aziende medio piccole ad alta specializzazione sul prodotto e grandemente connotato dalla condizione della sub fornitura. Qui l’accesso alla consulenza è meno consapevole, il problema esposto al consulente è spesso abbastanza indeterminato. Una sostanziale di"denza caratterizza questa tipologia di im-prenditori verso la consulenza, della quale si fa fatica a percepire il valore immateriale. Oltre che del costo, per-cepito inadeguato all’inesistenza delle garanzie sul risul-tato ottenibile. I tagli al ricorso alla consulenza nella PA anche in quest’ultimo anno, oltre a deprimere la gamma dei servizi, hanno fortemente limitato anche la tensione al miglioramento qualitativo delle prestazioni e hanno indotto un sostanziale abbandono nella ricerca della qualità delle prestazioni e dei relativi processi.Il riversarsi sul mercato della consulenza di numerosi manager espulsi dalle imprese, magari eccellenti in quel ruolo, ma carenti per preparazione all’espleta-mento delle attività della nuova professione aggrava la situazione e rende ancor più accentuata la di"denza delle imprese.

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la situazione finanziaria per le PMI, già in generale sotto-capitalizzate. Le aziende hanno risposto focalizzandosi sui mercati maggiori, tagliando i progetti di sviluppo sui mercati internazionali, riducendo i costi interni attraverso licenziamenti, chiusura di contratti a termine, riduzione delle consulenze, tagli alla formazione e agli altri inve-stimenti generali in risorse, ridimensionamento del va-lore della cultura gestionale in azienda, riqualificando il debito, alcuni rifinanziando l’azienda, altri chiudendo e fallendo. Nelle aree di consulenza lavora chi opera sugli aspetti finanziari con la ristrutturazione del debito, nelle operations attraverso innovazione di processo tesa a snel-lire le attività e ridurre i costi. Si sono fermati il marke-ting e l’internazionalizzazione, più attive risorse umane e formazione finanziata. Fino alla scorsa estate, la pubblica amministrazione locale aveva continuato a comprare con-sulenza, ma i recenti tagli in accordo alle direttive nazio-nali stanno rallentando anche questo settore.

MARCHEVentiquattro consulenti iscritti ad Apco, due società ap-partenenti ad Assoconsult in una regione che esprime l’undicesimo PIL regionale della nazione: appare evi-dente che questo quadro non può essere rappresentativo del mercato della consulenza di direzione delle Marche. Ben più illuminante è la ricerca degli appartenenti alla categoria “Consulenza di Direzione e Organizzazione” di Pagine Gialle; risultato: 254! Scorrendo le 13 pagine di risultati si possono incontrare le competenze più dispa-rate: da quelle fiscali e legali ai servizi o!erti dalle asso-ciazioni di categoria, passando per consulenti del lavoro, enti di formazione e software house. Il Management Consulting marchigiano, nell’arco di 15 anni, è passato dall’essere un territorio raramente praticato a una sorta di melting pot professionale dai contorni non ben definiti. Le conseguenze sono di"coltà, da parte delle imprese, nello scegliere il consulente rispondente ai loro fabbiso-gni e di"denza da parte di altri professionisti.

LIGURIAL’o!erta di consulenza di management in Liguria è sud-divisa in larga misura tra singoli professionisti, istitu-zioni e associazioni. Poche sono le società. I singoli e le società trattano temi di tipo strategico o inerenti le singole funzioni aziendali, affiancando l’imprendi-tore o persone di riferimento dello stesso; Istituzioni e associazioni supportano solitamente le attività di compliance aziendale, sono rari i casi di temporary management part time. La domanda spontanea di consulenza “strategica” è bassa e causata solitamente da situazioni di crisi; raramente gli imprenditori si ri-volgono direttamente alla consulenza di management

come strumento per ricercare e"cacia ed e"cienza. La consulenza è poco conosciuta ed è associata preva-lentemente all’attività del commercialista e del consu-lente del lavoro, professioni che, seppur vicine, hanno contenuti e modalità di erogazione generalmente di-verse. Questa percezione può essere attribuita sia alla bassa cultura manageriale del piccolo imprenditore, sia soprattutto ai professionisti della consulenza di mana-gement, che negli anni hanno sviluppato un approccio al mercato generalmente destrutturato e relativamente poco in linea con la domanda (pricing e modalità di re-lazione in primis).

LAZIOIn Lazio il mercato della consulenza di management è focalizzato principalmente sulla PA, mentre per le altre categorie di aziende il management o è di tipo casalingo (piccole aziende a conduzione familiare) o è governato da linee guida, anche nella relazione con i consulenti, della casa madre (farmaceutiche, agro-alimentare con azionariato estero). La generale situa-zione della aziende del Lazio è di crisi (secondo una ricerca oltre il 60% in perdita) e anche la consulenza è in difficoltà tra le cause principali il fatto che, con una PA che fa la parte del leone, molte delle sofferenze sono dovute a una errata gestione dell’acquisizione di beni e servizi o a un ritardo endemico dei pagamenti che fa sì che le maggiori azioniste delle società siano le banche (interessi passivi). Purtroppo sempre più spesso, con la giustificazione che mancano fondi, si fanno gare al ribasso e questo penalizza la consulenza di management che, per sua natura, non può appli-care costi al di sotto di un certo livello se non penaliz-zando fortemente la qualità.

PIEMONTENegli ultimi anni il tessuto imprenditoriale piemon-tese è mutato, con una sempre forte presenza di PMI manifatturiere che competono sui mercati interna-zionali sempre più complessi, e una robusta presenza di imprese nel terziario innovativo. Il mercato locale della consulenza di management si è dunque svilup-pato parallelamente al crescere del manifatturiero e del terziario, con una significativa presenza anche nei settori collegati ai servizi della PA (sanità, trasporti, utilities, amministrazioni locali, scuola…), sviluppan-dosi e contraendosi proporzionalmente all’andamento del mercato stesso delle imprese. Molto significativo è stato negli ultimi 30 anni il fenomeno di professiona-lità provenienti dal mondo del management d’impresa, approdate come consulenti in piccoli studi, o come free lance.

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di Francesco Bogliari*

Il punto di vista dei consulenti

Un 2010 bifronte

Il 2010, che secondo le previsioni (o meglio gli au-spici) del 2009 doveva segnare la ripresa dalla più grave crisi globale di sistema degli ultimi 80 anni, non ha mostrato significativi segnali in tal senso. A esercizio – fiscalmente parlando – ormai quasi

concluso non emergono chiare evidenze di una ripresa stabile, al massimo segnali deboli e intermittenti da situa-zioni o settori specifici.La consulenza manageriale non sembra fare eccezione, nella migliore delle ipotesi si può parlare di rallentamento della crisi, non di ripresa col segno positivo. È lo stesso rapporto di ricerca sul Management Consulting in Italia, il primo in assoluto del settore, condotto da Assoconsult insieme alla facoltà di Economia dell’Università di Tor Ver-gata, a parlare chiaro in tal senso: «Stimiamo che il fattu-rato del settore nel 2009 sia calato del 5% circa rispetto al 2008 e che nel 2010 calerà ancora di circa 1% rispetto ai valori del 2009. Questo calo sembra aver toccato in ma-niera più pronunciata le società di maggiori dimensioni. Al tempo stesso, è probabile che questo dato sottostimi l’entità della flessione rispetto alle società di medio-piccola dimensione perché il campionamento realizzato in quest’ambito potrebbe scontare una distorsione nei rispondenti tale per cui le imprese in maggiori di"coltà tendono a non rispondere. Ancora a maggior ragione è evidente che le imprese che hanno chiuso comunque non rispondono al questionario».In questo contesto, Harvard Business Review Italia ha interrogato sette tra i più significativi player del mercato italiano (diversi per dimensioni e posizionamento), chia-mandoli a riflettere su tre blocchi di domande.

Nel Rapporto Harvard Business Review Italia del di-cembre 2009 emergeva l’immagine di un 2010 di!cile, ma in leggera ripresa. Ad anno quasi concluso, le cose

sono andate effettivamente così? In caso contrario, come avete vissuto la crisi sotto un profilo generale e settoriale?

La crisi c’è e nessuno la nega, anche se non man-cano sfumature diverse tra i vari soggetti interpel-lati. Articolata per settori l’analisi di Nino Lo Bianco di Bip: «Il 2010 si è rive-lato un anno molto posi-tivo e molto negativo per gli operatori in funzione

della loro attività specifica e del loro focus geografico. È stato molto positivo per chi opera su segmenti legati a set-tori tuttora, o di nuovo, in forte espansione (telecomunica-zioni, energia, moda, macchine utensili), molto negativo per molti altri settori (auto Italia e alimentari, in primis). Il saldo complessivo mostra comunque una ripresa nel secondo semestre rispetto al periodo corrispondente del 2009, anche se i livelli del 2007 appaiono ancora lontani e di"cilmente recuperabili nel breve termine. È cresciuto di più chi ha potuto e saputo beneficiare di un export focaliz-zato sull’area dei Bric e sul Far East. Ha avuto problemi più rilevanti chi ha potuto contare sul solo mercato nazionale, in recessione, in particolare il settore del terziario».Relativamente alla PA, Lo Bianco a!erma che «nel rispetto dei vincoli imposti dalle ultime finanziarie, la PA appare poco incline agli investimenti, in particolare in consulenze, sistemi e innovazione che comportino sostanziali cambia-menti nella macchina burocratica, poiché i budget sod-disfano a malapena le esigenze poste dagli impegni e dai vincoli precedenti».

L’anno trascorso non ha portato quella ripresa che si sperava a fine 2009, anche se in alcuni settori la situazione è migliorata nel secondo semestre.

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riscono l’aumento di produttività; il largo consumo so!re della mancanza di domanda, mentre l’export tiene anche se necessita di aumentare la propria scala per conquistare maggiore competitività nei diversi mercati europei e mon-diali». La PA rimane la grande promessa non mantenuta e «ancora non si vede una assunzione di responsabilità da parte sia politica, sia della alte sfere dirigenziali nel saper apprezzare la qualità dell’o!erta rispetto al solo e preva-lente aspetto tari!ario».

Anche Marco Vergeat di Summit distingue la valutazione a seconda dei settori merceologici: «Complessivamente il 2010 è stato migliore del 2009 e, pur in una condi-zione ancora caratteriz-zata da grandi incertezze e difficoltà, ci sono stati segnali di ripresa. Biso-gna aggiungere, inoltre,

che l’andamento economico e i risultati delle aziende sono molto diversi a seconda dei settori, della dimensione e del posizionamento competitivo di ciascuna di esse. Ad esem-pio, a fronte di una situazione di crisi che permane tuttora in Italia nel settore automotive, altri settori come l’energia o alcuni comparti del largo consumo sembrano avere mi-gliori performance».

In chiaroscuro l’analisi di Francesco Lamanda, amministratore delegato di Mercer Tesi, secondo il quale l’anno quasi con-cluso ha visto, rispetto all’andamento dell’econo-mia, «nella sua seconda parte una inversione di tendenza, i cui fenomeni sono la ripresa dell’export,

le attività di M&A e il sostanziale recupero dei livelli di pro-duzione. Peraltro, l’impatto sulla domanda di consulenza non è stato immediato e generalizzato». Le aziende a capi-tale estero (soprattutto di servizi e farmaceutiche) hanno rimosso le severissime restrizioni che avevano attuato per il 2009. Da segnalare soprattutto «la messa a punto di nuovi criteri di promozione interna e programmi di action learning e coaching per sostenere la performance di nuovi titolari di ruolo cui, dopo le ristrutturazioni, è stato gioco-forza assegnare posizioni di responsabilità».Per quanto riguarda le aziende italiane, continua Lamanda, «ha mantenuto il suo trend di progettualità il mondo delle banche e delle assicurazioni, certamente con una maggiore attenzione al costo degli interventi rispetto al

Sul persistere della crisi generale punta l’atten-zione Marina Montironi, amministratore delegato di Rso: «Il 2010 non ha mostrato i segni di ripresa che ci si aspettava, conti-nuando il trend del 2009: una contrazione conte-nuta, d’altra parte in linea con la situazione di stallo

dell’economia. Il mercato italiano della consulenza e della formazione rappresenta, come è noto, una percentuale del Pil alquanto inferiore alla media europea. Conseguen-temente una contrazione, seppur contenuta, ha in Italia e!etti più pesanti che nel resto dell’Europa».

Improntata alla pru-denza la visione di Booz & Company Italia, che parla per voce del suo amministratore delegato Ferdinando Napolitano: «Il mercato è in uno stato di attesa e anche nei comparti che hanno dato qualche cenno di vitalità, per esempio quello ener-

getico, vi è un approccio prudenziale basato su aumento della produttività con conseguente focus su efficienta-menti. Ciò è vero a livello sia regionale (Europa, Usa) sia ovviamente nazionale».Relativamente alle aree merceologiche Napolitano af-ferma che «il settore bancario mostra una qualche ripresa, anche se non ha ancora e!ettuato quel mutamento gene-tico e culturale di comprensione, valutazione e assunzione di veri rischi nel comparto chiave delle nostra economia: le Pmi. Il settore telecomunicazioni tiene in attesa dei grandi investimenti infrastrutturali da tutti auspicati per con-sentire, tra l’altro, quegli strumenti tecnologici che favo-

Chi ha partecipato all’indagineAmrop-Asa, Vito Gioia, managing partnerBip, Nino Lo Bianco, presidenteBooz & Company Italia, Ferdinando Napolitano, senior vice president e amministratore delegato Gea, Luigi Consiglio, senior partner e presidenteMercer Tesi, Francesco Lamanda, amministratore delegatoRso, Marina Montironi, amministratore delegatoSummit, Marco Vergeat, senior partner e amministratore delegato

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BILANCI E PROSPETTIVE IN SINTESI

Amrop-AsaAnche noi di Asa Group abbiamo sofferto pesantemente la crisi come tutti ma, essendo un gruppo imprenditoriale privato, ci siamo difesi con i denti, certamente soffrendo, accettando pesanti sacri-fici e aspettando con coraggio l’evolversi della situazione. Però siamo contenti di averlo fatto senza interventi traumatici e definitivi e oggi stiamo raccogliendo buoni frutti.

BipViene ricercata e premiata l’offerta con il miglior rapporto qualità/prezzo. Tale atteggiamento di con-sapevolezza e di attenzione viene applicato non solo alle merci ma sempre più ai servizi e in partico-lare a quelli professionali. Per noi, che abbiamo basato la strategia di offerta limitatamente ai settori industriali in cui possiamo vantare referenze di punta, tale approccio si è rivelato fonte di maggiori profitti e di un migliore rapporto di mercato con la nostra clientela, in particolare con la nuova.

Booz & CompanyLa nostra azienda tiene il mercato bene e continua a operare nei settori di forza tradizionale, (ener-gia, telecomunicazione, largo consumo, IT, business continuity e sicurezza informata) con il plus di raccogliere i frutti di una strategia basata sulla qualità delle nostre risorse.

GeaGEA ha rapporti di lunghissimo periodo con i propri clienti e quindi è meno soggetta di altre società alle ciclicità del mercato. Inoltre, seguendo in prevalenza imprenditori, non soffre delle politiche di bilancio delle pubbliche amministrazioni. Certo, all’interno delle singole aree, anche noi abbiamo sofferto di un minor numero di progetti, ma più che compensati da lavori di restructuring e da settori che hanno risentito meno della crisi. Il portafoglio 2011, invece, si presenta con una ripresa molto forte nella maggior parte dei settori. Stiamo rafforzando tutte le aree con numerosi inserimenti an-che di persone a seniority elevata per rispondere ad una domanda molto robusta.

Mercer TesiMercer ha avuto una sostanziale tenuta dei livelli di fatturato considerando, peraltro, che è un’azienda multiservizi: ad esempio alla divisione Human Capital si aggiungono i servizi attuariali e i servizi di in-formazione statistica: alcuni sono ciclici ed altri meno. C’è stata quindi una contrazione dei margini, ma non tale da destare allarme.

RsoIn effetti il 2010 non ha mostrato i segni di ripresa che ci si aspettava, continuando il trend del 2009: una contrazione contenuta, d’altra parte in linea con la situazione di stallo dell’economia. Dovremmo mantenere lo stesso fatturato dei precedenti due anni e chiuderemo con lo stesso portafoglio ordini.Certo Rso, tra le più grandi, se non la più grande, società di consulenza e formazione italiana (cioé non facente capo a un gruppo multinazionale) ha realizzato una crescita sorprendente nel decennio precedente (oltre il 10-15% l’anno, partendo dai 2 miliardi e mezzo di lire del 1997): in questa ottica siamo molto delusi dello stop alla nostra crescita. Abbiamo anche ceduto molte controllate non legate al core business. Ma siamo resistenti, anche perché “sorprendentemente” siamo un’azienda “in rosa”: capo una donna, 40% di donne nel management, 50% di donne tra i 150 dipendenti e consulenti.

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termini di mercato totale della consulenza c’è stata una delle peggiori flessioni da sempre. Dalla seconda metà dell’anno, però, si osservano importanti segnali di ripresa in quasi tutti i settori. Al netto di quelle industry che ri-mangono in crisi strutturale (costruzioni, banking, tessile, PA ecc.) e di quelle funzioni che maggiormente risentono delle ciclicità (HR, selezioni, media relation, comunica-zione ecc.) vi sono forti segnali di un ritorno agli investi-menti in consulenza».

Come sono mutate le modalità del rapporto con i clienti?

La domanda rivolta ai nostri interlocutori riguardava le mutazioni eventualmemte intervenute nel pricing, nelle modalità di compenso (fisso, success fee, altro), nei tempi di pagamento, nella relazione operativa con il cliente. In questo caso si registrano differenze più marcate tra le esperienze analizzate rispetto al tema precedente.Lo Bianco di Bip sostiene che «la crisi ha portato una maggiore selettività e una maggiore attenzione alla scelta dei fornitori e dei professionisti da parte delle direzioni aziendali. In particolare si sta facendo strada l’orienta-mento di utilizzare l’offerta che si presenta innovativa, senza molti fronzoli (no frills) e molto e"ciente (low cost). Viene ricercata e premiata l’o!erta con il miglior rapporto qualità/prezzo».Vito Gioia di Amrop-Asa non si nasconde dietro un lin-guaggio paludato e prudente: «Durante la crisi i clienti hanno guadagnato maggior potere e ne hanno approfit-tato. Molti consulenti disperati sono stati costretti ad ac-cettare condizioni capestro pur di sopravvivere. Si sono viste richieste di pesanti modifiche del pricing, riduzioni della percentuale del compenso, una parte a success fee (o addirittura tutti i compensi a risultato), minori rimborsi o niente spese, ecc». Ma adesso – conclude Gioia - per fortuna si sta tornando a condizioni quasi normali, anche se «ovviamente quei consulenti che hanno “sbracato” dif-ficilmente riusciranno a recuperare il terreno perso. Penso che in condizioni di crisi si possa essere un po’ più elastici ma non bisogna mai mollare completamente perché poi risulterà di"cile tornare indietro».Entrando nel dettaglio delle questioni, secondo Gioia il ritardo nei pagamenti è stato il problema maggiore: «Al-cuni clienti (anche nostri) che hanno avuto seri problemi finanziari hanno messo in crisi le società di consulenza. Ma anche i buoni clienti hanno forzatamente ritardato i pa-gamenti, perché alla fine siamo l’anello di una lunga ca-tena dove ognuno è allo stesso tempo cliente e fornitore di qualcun altro. Coloro che sono riusciti a stabilire una partnership forte e trasparente cliente/fornitore hanno condiviso la crisi, ci si è venuti incontro e oggi continuano

periodo pre-crisi. Segue a ruota il largo consumo, che in-veste in questo periodo in particolare nell’organizzazione di vendita sia dal punto di vista del restyling dei processi interni, sia nella ridefinizione dei contenuti di ruolo e dei conseguenti sistemi di incentivazione». Lamanda introduce anche il problema della leadership: «Il dover fare di più con meno, per quanto riguarda i sistemi premianti per le risorse, sta nelle aziende manifatturiere fondamentalmente riproponendo la questione della le-adership, sia dal punto di vista della reimpostazione dei criteri e dei processi di reclutamento interno delle risorse da proiettare verso ruoli di alto management, sia dal punto di vista del sostegno tramite workshop o azioni di coaching ai singoli». Sempre in relazione agli stili di ge-stione manageriale, a suo parere dovrebbe «consolidarsi l’abbandono dei criteri di leadership di tipo coercitivo e direttivo, che sono nella tradizione della nostra cultura manageriale, a favore di quei concetti di autorevolezza e capacità di ingaggio motivazionale dei collaboratori tanto ostinatamente proposti nelle aule di formazione quanto poco usati nella pratica».

Relativamente alle pro-spettive di uscita dalla crisi l’analisi di Vito Gioia, managing partner di Amrop-Asa, è impron-tata a maggiore ottimi-smo rispetto agli altri. «In Italia il mercato ha iniziato a riprendersi a fine prima-vera 2010, si è sviluppato eccezionalmente in luglio

(normalmente considerato fine stagione) e sta andando molto bene da settembre a oggi. Se questo trend positivo continua si dovrebbe recuperare il terreno perso nel 2009 con un incremento stimato del 30-40%».Durante la crisi tra i settori che si erano salvati ricordiamo alimentare, salute e benessere, giochi e lotterie (vedi il boom del superenalotto). «Dopo la grande crisi – riprende Gioia - stanno recuperando terreno le sane imprese fami-liari che hanno saputo resistere, sacrificarsi e guardare

al lungo termine, a diffe-renza delle aziende gui-date da logiche a breve/finanziarie/speculative (es. private equity, quo-tate e simili)».Analisi molto simile a quella di Luigi Consiglio di Gea, secondo il quale il 2010 «è stato un anno con luci e ombre. Di sicuro, in

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a lavorare felicemente insieme». Anche Lo Bianco concorda sulla gravità del problema della dilatazione dei tempi di pagamento: «Il tentativo di migliorare il proprio posizionamento finanziario da parte dei grandi clienti, pubblici e privati, produce la dilata-zione del capitale circolante nelle aziende fornitrici come la nostra, generando a volte insicurezza circa la capacità di fronteggiare la crescita del circolante e la ritrosia ad aprire nuovi contratti con tale tipo di clientela (peraltro sempre più numerosa). Il quadro, nonostante gli indirizzi europei e gli annunci di normative volte a rassicurare gli operatori a valle delle filiere, non appare ridimensionarsi ma è al contrario, in crescita».Diverso l’approccio di Rso: «Nel corso del 2010 non ci sono state significative modifiche nel pricing e nelle modalità di definizione del compenso, diminuito invece nel 2009. Anzi, in alcuni contesti privati abbiamo innalzato il livello dei prezzi, soprattutto su contenuti di elevato valore e/o inno-vativi (skill assessment, progettazione di eHR Services ecc.). La rifocalizzazione del nostro business su privato e interna-zionale ha - pur in una situazione di allungamento dei tempi di pagamento - ridotto, nel nostro caso, i tempi di riscos-sione. Rimangono purtroppo alcune pesanti situazioni con la PA e con alcune aziende più grandi del settore privato».Anche Summit non sembra sottolineare particolarmente l’elemento prezzi: «Il pricing deve essere equilibrato e soprattutto coerente con il valore offerto, realizzato e percepito. L’attenzione al livello dei prezzi e alla loro competitività è elevato ovunque e certamente si evita qualunque forma di spreco. Ma competitività non signi-fica riduzione generica del prezzo. Noi non avvertiamo in modo significativo un allungamento dei tempi di pa-gamento, anche se qualche caso più problematico si è presentato. Invece è più ricorrente la tendenza a procra-stinare le decisioni e a rinviare o ritardare la realizzazione di progetti e attività già impostati o addirittura pianificati». Invece Vergeat introduce un nuovo piano di riflessione, che è qualitativo e va oltre la questione del prezzo: «Oggi, nella relazione con il cliente, contano più che mai com-petenza, qualità e cura del dettaglio in ogni fase della collaborazione, capacità di proporre e realizzare idee in-novative e anche grande flessibilità. Le soluzioni devono essere molto personalizzate e rispondenti alle specifiche esigenze di contesto, e anche la capacità di coinvolgere il cliente e di fare co-design è molto rilevante».Nemmeno Booz & Company sembra particolarmente pre-occupata dalle tensioni sul cash flow: «Le dinamiche di in-terazione con i clienti che serviamo – sostiene Napolitano - non è sostanzialmente mutata perché esiste un rapporto di trust basato sulle competenze e queste, specie in mo-menti del genere, sono strategicamente ricercate. Inoltre fa premio la nostra strategia di qualità-quantità. Occasio-

nalmente, esistono delle pressioni competitive sui prezzi, comunque marginali, così come rimane raro il sucess fee poiché la discrezionalità della decisione è spesso soggetta a variabili che la consulenza non può e non deve control-lare. I clienti sono ovviamente sempre più attenti al valore aggiunto e alle competenze distintive di ciascun memento del team. Questa spinge i vari player a continuare una ri-cerca serrata di talenti».Problemi che non sembrano toccare nemmeno Gea: «Non abbiamo modificato assolutamente nulla nel nostro rap-porto con i clienti. Gea ha sempre operato in rapporto di forte fiducia con i propri clienti e questo implica una co-stanza di condizioni generali del nostro servizio. Il pricing è uno e uno solo, come a nostro avviso è giusto che sia per dei rapporti professionali delicati, di alto livello. Su una serie di grandi progetti internazionali, principalmente nei Paesi che hanno sentito più fortemente la crisi, e nei set-tori in di"coltà abbiamo accettato dei ritardi motivati nei pagamenti». Per la tipologia dei nostri progetti - svilup-pati insieme al management dei clienti «e raramente terzi rispetto a un tema – conclude Luigi Consiglio - abbiamo pochissimi progetti a success fee».Articolata l’analisi di Mercer Tesi, secondo la quale non è tanto nel pricing che si sono manifestati i cambiamenti, «quanto in una minore disponibilità del cliente a chiedere un servizio chiavi in mano, e una maggiore richiesta di coinvolgimento nella progettualità». Francesco Lamanda prosegue a!ermando che per quanto riguarda la relazione con il cliente «si rende sempre più necessaria la presenza di un team che si interfacci con le varie componenti del si-stema cliente, ad esempio sia con i vari compratori econo-mici che con i vari referenti tecnici». Per quanto riguarda i pagamenti non vengono segnalate di"coltà, «avendo una media di incasso di 60 giorni. Piuttosto, nell’emissione fat-ture, in genere ci viene richiesto un puntuale riscontro tra il tempo caricato in fattura e gli output attesi, attività che può richiedere anche qualche giorno di lavoro».In sostanza Lamanda nega che si possa parlare in asso-luto di svalutazione dei prezzi della consulenza. Semmai si deve fare una più netta distinzione tra «la consulenza di prodotto e la consulenza di servizi professionali. La prima ha imboccato vertiginosamente la strada della commo-dity dove la competizione è meno sul valore d’uso, salvo casi eccezionali, e più sul cost saving. I servizi, invece, utili per orientare le scelte di carriera, per strutturare i sistemi complessi per le retribuzioni dell’alto management, sono soggetti più a verifiche di qualità e di incisività della pro-posta, che di valore economico».

Come è cambiata – se è cambiata – l’organizzazione interna della società (risorse umane e modalità di loro utilizzo) e come in generale vedete l’esigenza di

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ferta integrata di servizi, rispetto al tradizionale approc-cio multi-divisionale di Mercer». Due le conseguenze, a!erma Francesco Lamanda: «La prima, il robusto lancio della filosofia ‘’One Mercer’’, rispetto all’approccio multi-tasking e opportunistico del passato; la seconda, il supe-ramento della logica di privilegiare i compratori tecnici delle varie linee di servizio a favore della relazione prin-cipale con il livello strategico dell’azienda cliente. Mercer ha di conseguenza provveduto a segmentare i clienti in globali, strategici e locali per meglio instaurare una rela-zione fattiva con le aziende clienti».La domanda di consulenza secondo l’esperienza diretta di Gea si sta orientando sempre di più verso specializzazioni elevate. «La consulenza strategica e organizzativa - af-ferma Consiglio - rimane stabile, ma sono in forte crescita progetti di supply chain, progetti di sviluppo prodotto, innovazione tecnologica, riorganizzazione della produ-zione, sviluppo di canali distributivi nuovi. C’è una forte richiesta di progetti di internazionalizzazione. Insomma c’è domanda in tutte quelle aree che non sono dominate dall’imprenditore e dal management correttamente di-mensionato. Si usa la consulenza per tutto ciò che pos-siamo definire straordinario rispetto a quanto l’azienda sa già fare». In termini di strategia organizzativa, quindi, Gea «inserisce più ingegneri meccanici che gestionali e stringe alleanze con forti partner stranieri per aumentare la capa-cità di internazionalizzare le aziende clienti».Rso punta l’accento sulla maggiore seniority acquisita ne-gli ultimi anni: «Rso è nello 0,2% delle società di consu-lenza parecchio sopra i 50 dipendenti, è quindi grande e strutturata. La crescita – a!erma Marina Montironi - ha costretto, per fortuna, all’essenzialità e alla velocità: ab-biamo ridotto i livelli organizzativi, sostenuto ovunque team di competenze diverse molto integrate, per dare il massimo con meno costi. Abbiamo richiesto a tutti una crescente responsabilità verso il cliente finale. Per fortuna l’azienda, più giovane all’inizio degli anni 2000, ora gode di professionalità mature, persone solide, capaci di lavo-rare insieme senza troppo coordinamento gerarchico».Di maggiore attenzione all’e"cienza parla anche Amrop-Asa: «L’organizzazione del lavoro non è cambiata (nel no-stro campo rimane il processo operativo con i tre ruoli Consulente>Researcher>Assistente) però abbiamo impa-rato ad essere più e"cienti (es. una persona part time produce quasi quanto produceva nel momento in cui era full time)». Secondo le parole di Vito Gioia «il consulente, a qualsiasi livello, ha imparato a fare lavori che prima de-legava alla segretaria (anche grazie alle nuove tecnologie disponibili). E la segretaria è sempre più assistente per compiti più importanti, delicati e riservati».

Francesco Bogliari é Presidente di Media & Co

cambiamento organizzativo interno alle società di consulenza?

Anche su questo terzo argomento le risposte dei nostri interlocutori sono state assai diversificate, e questo è logico se si pensa che le società interpellate sono molto diverse tra loro in termini dimensionali e di conseguenza negli assetti organizzativi.Un’azienda giovane come Bip sottolinea il fatto che «l’avere creato le nostre strutture nel 2003, praticamente partendo dal prato verde, ci ha permesso di sviluppare un’organizzazione in linea con le esigenze attuali, evi-tandoci i di"cili processi di ristrutturazione e di riorga-nizzazione che il settore sta faticosamente a!rontando. L’esserci focalizzati per industry; l’avere accentrato il nostro interesse unicamente su alcuni settori che richie-dono una alta specializzazione come energia, teleco-municazioni, infrastrutture, metalmeccanica, banche/assicurazioni, ha favorito – secondo Nino Lo Bianco - una maggiore facilità di comunicazione verso il mercato, una rapida visibilità del nostro posizionamento, un circolo virtuoso atto a favorire la sempre più marcata specializ-zazione delle nostre risorse».Summit sottolinea il fatto che l’approccio alla questione deve essere necessariamente relativistico, in base alle caratteristiche e ai contenuti dei servizi o!erti, alle di-mensioni, alla composizione del portafoglio clienti, agli obiettivi di sviluppo ecc. È di"cile quindi generalizzare e prescindere da specifici contesti e strategie. «Tuttavia

– conclude Marco Vergeat - ritengo che oggi l’organizza-zione di una società di consulenza debba da una parte facilitare la collaborazione e il lavoro di team, assicu-rando l’integrazione di ruoli e competenze diverse pro-venienti anche da network esterni; dall’altra, garantire la massima e"cienza, velocità e produttività. Il primo dei due fattori citati è fondamentale per assicurare eccel-lenza e innovazione delle soluzioni; il secondo fattore è importante sia per essere competitivi sui costi, sia per assicurare un e"cace time to market».Una multinazionale come Booz & Company mette in-vece l’accento sulla dimensione internazionale dell’or-ganizzazione: «In momenti del genere l’organizzazione si concentra sull’efficienza e sugli investimenti in ca-pitale umano per presidiare le aree di necessità per i clienti. Viene inoltre accentuato l’interscambio con le diverse regioni per ottimizzare i carichi di lavoro, in par-ticolare con il Medio Oriente e l’Asia. La scala in questi frangenti di mercato è importante e gioca a favore delle organizzazioni che hanno processi e cultura per favorire il teaming globale. Booz è fra queste».Mercer Tesi risponde in termini di o!erta: «Si è posto con grande evidenza il tema del valore strategico dell’of-

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PUBBLICA AMMINISTRAZIONE È importante distingure tra ciò che è la consulenza indi-viduale per la resa di un parere rispetto alla consulenza a supporto della realizzazione di grandi progetti di rior-ganizzazione e miglioramento di un servizio. La PA tende a esprimere una sempre maggiore necessità di supporto al cambiamento e miglioramento nella razionalizzazione e automazione dei propri processi. Un’altra tendenza è una sempre maggiore attenzione da parte della PA al rapporto qualità-prezzo, per cercare di ottenere i servizi migliori a costi sostenibili.La carenza di risorse finanziarie obbliga la PA a tagliare le spese discrezionali. Tale necessità riduce la possibilità di investire in supporto al cambiamento. I tagli sulla spesa consulenziale non sono selettivi, nel senso che si riduce la dimensione della spesa ma non ne migliora la qualità. In prospettiva, il settore deve giocare sempre più la pro-pria credibilità sulla resa di risultati concreti e tangibili. La PA esprime un importante quantità di bisogni, ma ha di"coltà a tradurre le proprie esigenze in progettualità strutturate. È necessario quindi un migliore dialogo tra domanda e o!erta nella fase precompetitiva, proprio per aiutare l’attuazione di questo processo.

PMI E INTERNAZIONALIZZAZIONE Nel settore sta avvenendo un sostanziale cambiamento nella modalità di remunerazione dei servizi; è infatti in corso un passaggio dal compenso a giornata o pacchetto al success fee. A causa della attuale crisi economica, oggi anche le società di consulenza di medie dimen-sioni si pongono il problema dell’internazionalizzazione, intesa non più solo come attività di promozione di una azienda terza sui mercati internazionali, ma come attività di vendita dei propri servizi anche all’estero, per esempio alle PA di Stati emergenti (es. Balcani, Tunisia ecc.). A tal fine, Assoconsult ha avviato dei gruppi di lavoro spe-

cifici che svilupperanno dei progetti di organizzazione di missioni di settore all’estero: una in Cina, all’interno della fiera cinese CIFIS; un’altra in un Paese ancora da individuare, che sia di interesse per il comparto, proba-bilmente in accordo con Confindustria.

SICUREZZA E QUALITÀ La situazione di mercato odierna sulle tematiche della sicurezza risulta per le imprese un peso dal punto di vista sia economico sia operativo, di conseguenza si registra una scarsa cultura verso i concetti di base della sicurezza e una scarsa attività di prevenzione. Le iniziative da av-viare, per le quali le imprese di consulenza, con il sup-porto della moderna tecnologia, possono certamente fornire un importante contributo concreto, sono: 1) lo sviluppo di nuovi sistemi per la gestione della sicurezza; 2) la semplificazione della documentazione sulla sicu-rezza e del documento di valutazione rischi; 3) il miglio-ramento dell’accessibilità, fruizione e aggiornamento delle informazioni; 4) l’integrazione dei modelli organiz-zativi della sicurezza e del D.Lgs 231/01 (responsabilità legale degli amministratori).In tema di qualità, occorre porre particolare attenzione alla questione dei conflitti di interesse tra le società di consulenza e gli organismi di certificazione all’interno del nuovo ente unico Accredia, che diventano competitivi e spesso sfruttano nei confronti del mercato una posizione di dominanza o di sudditanza. L’obiettivo delle imprese associate ad Assoconsult è invece cercare di operare in un mercato dove le regole siano chiare, nell’interesse de-gli attori del mercato stesso, portando valore aggiunto.

GREEN ECONOMY Oggi un numero crescente di imprese offre servizi per ottimizzare e/o gestire le problematiche ambientali. Alcune offrono servizi specialistici finalizzati a soddi-

Un’indagine in collaborazione con Assoconsult

Le sei aree chiave della consulenza Harvard Business Review Italia ha verificato, in collaborazione con Assoconsult, lo “stato dell’arte” di alcune practice particolarmente importanti. Questa è la sintesi elaborata sulla base delle indicazioni ricevute dai membri dell’associazione.

RAPPORTO SPECIALE !"#"

CONSULENZA MANAGERIALE

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sversale nelle varie discipline, anche in alcune delle so-cietà di consulenza associate. Un consulente che disegna un nuovo modello organiz-zativo non può limitarsi a suggerire procedure e norme, ad esempio secondo i dettami delle UNI - ISO, ma so-prattutto deve possedere competenze integrate in grado di suggerire un modello “non burocratico”, in linea con le esigenze dell’azienda committente. Per rispondere a questa esigenza, Assoconsult ha posto in essere un gruppo di lavoro che ha raccolto le competenze di di-versi specialisti, definendo insieme le linee guida per realizzare un Modello Organizzativo di Eccellenza per vari settori merceologici. E ha inoltre predisposto per i consulenti in forza alle aziende associate un percorso di formazione professionale rivolto a coloro che intendono specializzarsi nel progettare, implementare e gestire un Modello di Organizzazione e Controllo con un approccio multidisciplinare.

RISORSE UMANE Da una ricerca nell’area delle Risorse Umane, condotta a livello internazionale da un socio Assoconsult, è emerso che nel mondo le società più reattive, soprattutto quelle che operano in aree di nicchia, stanno reagendo alla crisi attraverso l’innovazione, l’internazionalizzazione, la diversificazione del mix dei loro prodotti, ma anche un drastico contenimento dei costi, ivi inclusi quelli relativi alla formazione. Sono diventate molto più selettive ed esigenti per quanto riguarda l’inserimento di personale e stanno definendo nuovi modelli di compensation per motivare i talenti. Il mercato del lavoro in Europa so!re una situazione di stallo, anche se sono visibili segnali di ripresa, seppure debole e discontinua. Ovunque, le or-ganizzazioni dei lavoratori contengono ragionevolmente le loro rivendicazioni e partecipano a programmi di so-stegno alle imprese. Il tasso di disoccupazione italiano è all’8,5% e si colloca sotto la media europea del 10%. L’aspetto più significativo che si registra in tutto il mondo è una sostanziale modifica del mercato del lavoro a causa della nascita di nuovi mercati e l’a!ermarsi di di-versi modelli culturali e nuovi consumatori. Milioni di persone vivono in Paesi emergenti e desiderano miglio-rare il loro tenore di vita nei prossimi anni. La risposta a questi eventi vede crescere le imprese che realizzano unità produttive all’estero per soddisfare i bisogni dei nuovi consumatori locali. Tutto ciò non può non avere dirette conseguenze sull’o!erta del mondo del lavoro, soprattutto per i manager e i quadri specializzati, che dovranno imparare a vivere e lavorare all’estero. Si rin-forzano quindi i vincoli d’ingresso nel mercato del lavoro, che richiede una buona conoscenza della lingua inglese e dell’informatica.

sfare esigenze specifiche, spesso derivanti da obblighi normativi, mentre altre aziende arricchiscono il loro sistema d’o!erta con la componente ambientale. Il set-tore dell’energia, con una domanda globale sempre in crescita, sta vivendo il passaggio da un regime mono-polistico a un mercato aperto e molto competitivo, ed è passato da uno specialismo circoscritto alle imprese tradizionali del settore a una forte dinamica caratteriz-zata da rapidi processi di innovazione. Le imprese della consulenza costituiscono un’essenziale infrastruttura immateriale del sistema economico per-ché svolgono un importante ruolo nell’accumulazione e nella trasmissione della conoscenza; infatti, aiutano i clienti a formulare adeguatamente le questioni, a valu-tare tutte le informazioni in campo, ad analizzare le alter-native e a individuare le soluzioni più idonee. Le imprese di consulenza o!rono un contributo all’innovazione nella direzione dello sviluppo sostenibile (Green Economy), ra!orzato dal fatto che sovente realizzano, con l’attività di advisoring, anche attività a valle di progettazione e sviluppo insieme ai clienti.

RISK MANAGEMENT, COMPLIANCE E CSRMolte società associate erogano da sempre servizi tra-dizionali attinenti alla prevenzione degli infortuni (Dlg. 81/2008, Uni Inail e OHSAS 18001), al miglioramento continuo dei processi e alla qualità ISO 9000, all’impatto ambientale ISO 14001 - EMAS e, recentemente, hanno esteso le loro competenze anche alle aree applicative della Corporate Social Responsability, del Risk Manage-mente e del Dlgs 231 del 2001. Il Dlgs 231/01, inizialmente nato recependo una direttiva europea inerente alla re-sponsabilità amministrativa degli enti per gli illeciti com-messi dai propri dipendenti per i reati contro la pubblica amministrazione, i reati societari, la manipolazione del mercato, le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro, i reati informatici e il riciclaggio, ha recentemente esteso la sua applicabilità anche al mondo del business privato e sono in molti a ritenere possibile un suo recepimento integrale nell’ambito della riforma sulla giustizia, voluta dal ministro Alfano e in discussione presso il Parlamento.Il Dlgs 231/01 impone alle aziende l’attuazione di un mo-dello organizzativo ben definito, che deve tenere conto di tutte le problematiche attinenti alla responsabilità so-ciale, alla sicurezza, all’ambiente, alla qualità, alla pri-vacy e alle implicazioni giuridiche che ne derivano. Nella pratica si è riscontrata l’oggettiva di"coltà da parte delle aziende clienti, soprattutto nelle piccole medie imprese, nel definire un modello organizzativo a costi accettabili con un approccio multidisciplinare e sistemico. Di pari passo si è verificata la mancanza di una competenza tra-