Cultura | Spettacoli | Societ¿ | Sport Secondo Te m p o

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Sabato 14 Marzo 2020 | IL FATTO QUOTIDIANO | SECONDO TEMPO » 19 Cultura | Spettacoli | Società | Sport Secondo Tempo Sarebbe dovuto uscire il 19 marzo, per Giulio Perrone E- ditore, Come una storia da- more , una raccolta di rac- conti che ruotano intorno a Roma. Sospesa, per adesso, la diffusione del volume a causa della pandemia, abbiamo chiesto allautrice di scriver- ci un pezzo inedito sulla suacittà eterna. S » NADIA TERRANOVA ono arrivata a Roma il 10 gennaio 2003, con un bi- glietto di sola andata com- prato sette giorni prima in unagenzia di viaggi, usu- fruendo dello sconto di una carta giovani; non so a che o- ra sono a scesa alla stazione Termini, il biglietto non lo indica, cè invece lorario di partenza da Villa S. Giovan- ni, 14.12, e quello di timbra- tura, 13.22, che mi fanno im- maginare con tenerezza lanticipo con cui devo aver traversato lo Stretto, imbar- candomi da Messina con u- na gigantesca valigia nera. Quel biglietto di sola andata lho poi riposto nel libro che finii di leggere in treno, Bambini nel tempo di Ian M- cEwan, sotto lo sguardo bra- moso di chiacchiere della mia vicina di posto. Come- ra immersa! Era così bello?chiese appena lo posai, e io mi vergognai per me, non mi ero accorta che mi stava fis- sando, e per lei che laveva fatto senza ritegno ma no, per lei provai anche una spe- cie di invidia, io non sarei stata mai capace di mostrare con la stessa sfrontatezza la mia curiosità verso unaltra persona. DA ALLORA, quando cerco conferma che quel viaggio sia accaduto davvero, tiro fuori dalla mia biblioteca ro- mana proprio quel volume, lo apro, e poi apro il porta-bi- glietto con su scritto a penna il mio cognome. Le lettere e i numeri di quel viaggio si mettono a fuoco, e con loro il mio teatro. Confesso: lho fatto anche ora, prima di mettermi a scrivere. Volevo portare dentro queste righe uno sguardo migrante e locale sulla città, e per farlo dovevo partire dallorigine, da quel- la venticinquenne appena laureata in Filosofia, piena di sogni inconfessati a sé stes- sa, non consapevole delle ra- gioni di una fuga e neppure ancora interessata a cono- scerle, perché le cose si sco- prono davvero solo dopo che sono accadute. Una venti- cinquenne fatta di atomi scissi, simili a sostantivi tutti dallo stesso suffisso: inco- scienza, ingenuità, inade- guatezza. Una venticin- quenne uguale a centomila larità, e approfittando della strada deserta, mi sono fatta il segno della croce. Ero il ca- valiere sulla strada del ritor- no, solo che adesso le case e- rano diventate due: quella da cui ero partita, sullo Stretto, e questaltra dove risiedo or- mai da più di un terzo della mia vita. CHIUDO IL LIBRO, Bambini nel tempo, e penso che den- tro quella trama (una bambi- na smarrita al supermerca- to) ci sono tutte le parole che poi hanno infestato la mia scrittura: fantasmi, assenze, dolore, solitudine, legami fa- miliari. Non saprò mai se Ro- ma le ha inventate, ha prova- to a nasconderle oppure a disseppellirle, o se semplice- mente la città se ne stava lì, eterna e indifferente, men- tre io facevo e disfacevo tutto da sola. © RIPRODUZIONE RISERVATA altre, ma in precario disagio: troppo grande per essere u- na matricola, priva di un ve- ro mestiere per essere una lavoratrice. Perché proprio Roma? ME LO SONO chiesto solo do- po, anzi non è vero. Me lo so- no chiesto anche allora, quando la ragione era con- creta, e so cosa mi risponde- vo: per amore, per un corso, perché è una città in cui una volta sono stata felice. Me lo sono chiesto dieci anni dopo, e le risposte cambiavano: perché è una città invincibi- le, mentre io sono nata in una città distrutta da un terre- moto. Perché è forte e cinta da mura. Perché il treno che mi porta avanti e indietro dallo Stretto è lento e lungo, ma non troppo lungo né troppo lento, e costeggia il mare. Perché è lo stesso che prendono i personaggi di u- no dei miei racconti preferi- ti, Il mare colore del vino di Leonardo Sciascia. Mi ero fatta il segno della croce, prima di partire, ma non certo per pregare: era il saluto prima di una crociata, linizio rituale di una certa oltraggiosa violenza con cui avrei voluto conoscermi e guardarmi in un altrove fino a quel momento solo imma- ginato. Negli anni, ripen- sando a quel gesto, mi dice- vo che era un automatismo, il residuo delle preghiere da bambina. QUALCHE GIORNO FA, in un pomeriggio di ordinaria, a- pocalittica pandemia, fra serrande abbassate, qualche mascherina e due tedeschi abbracciati, giovani ma non troppo, che irridevano gli e- sercizi commerciali aperti e vuoti, camminavo alla svelta per tornare nel mio quartie- re in periferia e barricarmi secondo le regole, quando, girando per via di Panico, mi sono ritrovata davanti la creatura dalle grandi ali e la spada in pugno. Larcangelo Michele, apparso a portare la buona notizia della fine della pestilenza nel 590, rin- fodera larma ma da certe angolazioni sotto la statua che svetta su Castel SantAn- gelo sembra piuttosto sguai- narla. Mi sono inchinata a quel doppio movimento, la fine e linizio, alla sua circo- Bianconi, brano inedito Si chiama Il Benela canzone che anticipa luscita di Forever , il primo lavoro solista di Francesco Bianconi, frontman dei Baustelle Addio a Charles Wuorinen Il musicista, vincitore del Premio Pulitzer nel 1970 e autore di oltre 270 opere tra cui Brokeback Mountain, è morto a New York alletà di 81 anni Bruce Springsteen in Dvd Western Stars, il film dellomonimo album, è disponibile in digitale. I primi 10 minuti sono visibili sul canale YouTube ufficiale di Warner Bros A protezione della Capita- le La statua di San Miche- le sovrasta Ca- stel SantAn- gelo: fu lui ad annunciare la fine della peste nel 590. Sotto, Nadia Terranova Ansa/LaPresse Roma mia, l arcangelo e i fantasmi delle parole Nadia Terranova La scrittrice: Lasciando Messina mi feci il segno della croce: era il saluto prima di una crociata Biografia NADIA TERRANOVA Nata a Messina nel 1978, laureata in Filosofia, ha esordito nel 2015 con Gli anni al contrario(Einaudi, Premio Bagutta opera prima). Del 2018 è Addio fantasmi (Einaudi), finalista allo Strega. È anche autrice di numerosi libri per ragazzi Il libro l Come una storia damore Nadia Terranova Pagine: 144 Prezzo: 15 e Editore: Giulio Perrone In un pomeriggio di ordinaria pandemia, mi sono ritrovata davanti alla statua di Michele, apparso a portare la notizia della fine della peste nel 590

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Sabato 14 Marzo 2020 | IL FATTO QUOTIDIANO | SECONDO TEMPO » 19

Cultura | Spettacoli | Società | Sport

Secondo Te m p o

Sarebbe dovuto uscire il 19marzo, per Giulio Perrone E-ditore, “Come una storia d’a-m or e ”, una raccolta di rac-conti che ruotano intorno aRoma. Sospesa, per adesso, ladiffusione del volume a causadella pandemia, abbiamochiesto all’autrice di scriver-ci un pezzo inedito sulla“sua” città eterna.

S» NADIA TERRANOVA

ono arrivata a Roma il 10gennaio 2003, con un bi-glietto di sola andata com-prato sette giorni prima inun’agenzia di viaggi, usu-fruendo dello sconto di unacarta giovani; non so a che o-ra sono a scesa alla stazioneTermini, il biglietto non loindica, c’è invece l’orario dipartenza da Villa S. Giovan-ni, 14.12, e quello di timbra-tura, 13.22, che mi fanno im-maginare con tenerezzal’anticipo con cui devo avertraversato lo Stretto, imbar-candomi da Messina con u-na gigantesca valigia nera.Quel biglietto di sola andatal’ho poi riposto nel libro chefinii di leggere in treno,Bambini nel tempo di Ian M-cEwan, sotto lo sguardo bra-moso di chiacchiere dellamia vicina di posto. “Com’e-ra immersa! Era così bello?”chiese appena lo posai, e iomi vergognai per me, non miero accorta che mi stava fis-sando, e per lei che l’avevafatto senza ritegno – ma no,per lei provai anche una spe-cie di invidia, io non sareistata mai capace di mostrarecon la stessa sfrontatezza lamia curiosità verso un’altrapersona.

DA ALLORA, quando cercoconferma che quel viaggiosia accaduto davvero, tirofuori dalla mia biblioteca ro-mana proprio quel volume,lo apro, e poi apro il porta-bi-glietto con su scritto a pennail mio cognome. Le lettere e inumeri di quel viaggio simettono a fuoco, e con loro ilmio teatro.

Confesso: l’ho fatto ancheora, prima di mettermi ascrivere. Volevo portaredentro queste righe unosguardo migrante e localesulla città, e per farlo dovevopartire dall’origine, da quel-la venticinquenne appenalaureata in Filosofia, piena disogni inconfessati a sé stes-sa, non consapevole delle ra-gioni di una fuga e neppureancora interessata a cono-scerle, perché le cose si sco-prono davvero solo dopo chesono accadute. Una venti-cinquenne fatta di atomiscissi, simili a sostantivi tuttidallo stesso suffisso: inco-scienza, ingenuità, inade-guatezza. Una venticin-quenne uguale a centomila

larità, e approfittando dellastrada deserta, mi sono fattail segno della croce. Ero il ca-valiere sulla strada del ritor-no, solo che adesso le case e-rano diventate due: quella dacui ero partita, sullo Stretto,e quest’altra dove risiedo or-mai da più di un terzo dellamia vita.

CHIUDO IL LIBRO, Bamb ininel tempo, e penso che den-tro quella trama (una bambi-

na smarrita al supermerca-to) ci sono tutte le parole chepoi hanno infestato la miascrittura: fantasmi, assenze,dolore, solitudine, legami fa-miliari. Non saprò mai se Ro-ma le ha inventate, ha prova-to a nasconderle oppure adisseppellirle, o se semplice-mente la città se ne stava lì,eterna e indifferente, men-tre io facevo e disfacevo tuttoda sola.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

altre, ma in precario disagio:troppo grande per essere u-na matricola, priva di un ve-ro mestiere per essere unalavoratrice. Perché proprioRoma?

ME LO SONOchiesto solo do-po, anzi non è vero. Me lo so-no chiesto anche allora,quando la ragione era con-creta, e so cosa mi risponde-vo: per amore, per un corso,perché è una città in cui unavolta sono stata felice. Me losono chiesto dieci anni dopo,e le risposte cambiavano:perché è una città invincibi-le, mentre io sono nata in unacittà distrutta da un terre-moto. Perché è forte e cintada mura. Perché il treno chemi porta avanti e indietrodallo Stretto è lento e lungo,ma non troppo lungo nétroppo lento, e costeggia ilmare. Perché è lo stesso cheprendono i personaggi di u-no dei miei racconti preferi-ti, Il mare colore del vino diLeonardo Sciascia.

Mi ero fatta il segno dellacroce, prima di partire, manon certo per pregare: era ilsaluto prima di una crociata,l’inizio rituale di una certa

oltraggiosa violenza con cuiavrei voluto conoscermi eguardarmi in un altrove finoa quel momento solo imma-ginato. Negli anni, ripen-sando a quel gesto, mi dice-vo che era un automatismo,il residuo delle preghiere dabambina.

QUALCHE GIORNO FA, in unpomeriggio di ordinaria, a-pocalittica pandemia, fraserrande abbassate, qualchemascherina e due tedeschiabbracciati, giovani ma nontroppo, che irridevano gli e-sercizi commerciali aperti evuoti, camminavo alla sveltaper tornare nel mio quartie-re in periferia e barricarmisecondo le regole, quando,girando per via di Panico, misono ritrovata davanti lacreatura dalle grandi ali e laspada in pugno. L’arcangeloMichele, apparso a portarela buona notizia della finedella pestilenza nel 590, rin-fodera l’arma – ma da certeangolazioni sotto la statuache svetta su Castel Sant’An -gelo sembra piuttosto sguai-narla. Mi sono inchinata aquel doppio movimento, lafine e l’inizio, alla sua circo-

Bianconi, brano ineditoSi chiama “Il Bene” la canzone cheanticipa l’uscita di “Forever ”, ilprimo lavoro solista di FrancescoBianconi, frontman dei Baustelle

Addio a Charles WuorinenIl musicista, vincitore del PremioPulitzer nel 1970 e autore di oltre 270opere tra cui “Brokeback Mountain”,è morto a New York all’età di 81 anni

Bruce Springsteen in Dvd“Western Stars”, il film dell’omonimoalbum, è disponibile in digitale. Iprimi 10 minuti sono visibili sul canaleYouTube ufficiale di Warner Bros

A protezionedella Capita-le La statuadi San Miche-le sovrasta Ca-stel Sant’An-gelo: fu lui ada n nu nc i a rela fine dellapeste nel 590.Sotto, NadiaTe r ra novaA n s a / La Pre ss e

Roma mia, l’arcangeloe i fantasmi delle parole

Nadia Terranova La scrittrice: “Lasciando Messina mi feciil segno della croce: era il saluto prima di una crociata”

B iog ra f i aNADIAT E R R A N OVANataa Messinanel 1978,l a u re a t ain Filosofia,ha esorditonel 2015 con“Gli annial contrario”(Einaudi,Pre m i oBaguttaopera prima).Del 2018è “Ad d i ofa n t a s m i ”(Einaudi),finalista alloStrega. Èanche autricedi numerosilibriper ragazzi

Il libro

l C omeuna storiad’a moreNadi aTe r ran ovaPagine: 14 4Prezzo: 15 eE ditore:G iu l ioPe r rone

In unpomeriggiodi ordinariapandemia ,mi sonor i t ro va t ad a va n t ialla statuadi Michele,a p p a rs oa portarela notiziadella finedella pestenel 590

ANNO XXV NUMERO 98 - PAG 2 IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 25 E DOMENICA 26 APRILE 2020

E ’ LA PR IMA VOLTA PER UN PAESE EUROPEO

La Svezia chiude i Confucio, gli uffici di propaganda del regime cineseRoma. Non era mai successo prima. La Sve-

zia ha chiuso tutti gli istituti Confucio sponso-rizzati dal regime cinese, mentre le relazionitra i due paesi si stanno deteriorando (la Cinaha processato un libraio di Hong Kong conpassaporto svedese). Fino al 2015 la collabo-razione fra i due paesi era stata stretta e senzaprecedenti, con la Cina che aveva fondato il suoprimo istituto europeo Confucio all’Universitàdi Stoccolma nel 2005 e la Volvo, orgoglio del-l’industria automobilistica svedese, era passa-ta nelle mani cinesi cinque anni dopo.

Ora tutti e quattro gli istituti Confucio nelleuniversità svedesi sono stati chiusi, l’ultimodei quali nella città settentrionale di Luleå.“L’opinione pubblica sulla Cina è diventatamolto più negativa in Svezia”, ha dichiaratoBjörn Jerdén, capo del programma asiaticopresso l’Istituto svedese di affari internazio-nali di Stoccolma. “Questo è abbastanza si-gnificativo, dal momento che la Svezia erauno dei paesi più attivi in Europa in terminidi numero di questo tipo di accordi”.

Lo scopo del programma Confucio, che ègestito da Hanban, organo del ministero del-l’Educazione cinese, è apparentemente quel-lo di promuovere lo studio della Cina nei pae-si stranieri, che vanno dalla calligrafia allalingua. E’ come il British Council, lo spagnolo

Cervantes e il Goethe tedesco. Ci sono 525 isti-tuti Confucio in tutto il mondo. Numerose uni-versità negli Stati Uniti, in Australia e in Ca-nada hanno già chiuso i loro istituti Confucio.

I critici, fra cui ora il governo svedese, li ac-cusano di essere uffici di propaganda cinese,dove è vietato parlare delle “tre T”: Tibet,Taiwan e Tienanmen. Gli accordi possonodifferire, ma Hanban normalmente finanzia

l’istituzione del centro, fornisce insegnanti emateriale dalla Cina e paga per sostenerlo.La struttura locale solitamente fornisce l’in -frastruttura e il personale amministrativo.“Gli Istituti Confucio fungono da base in cuigli esperti di propaganda di Pechino possonoinfiltrarsi nelle università ospitanti e pla-smare l’opinione (sulla Cina) di studiosi e stu-denti”, ha detto Willy Lam, professore all’U-

niversità cinese di Hong Kong. Gli istituti, haaggiunto Lam, hanno il compito di diffondereuna visione favorevole del “modello cinese”e di “correggere” l’opinione degli intellettua-li occidentali e del grande pubblico secondocui “la Cina è uno stato autoritario che calpe-sta i valori universali”. Era già successo che ipaesi europei accusassero i dirigenti dei cen-tri Confucio di essere delle spie. E’ avvenutoin Belgio, che a dicembre ha cacciato SongXinning, l’ex direttore del Confucio alla Libe-ra Università di Bruxelles, accusato di spio-naggio a favore di Pechino. Inoltre, come af-ferma il professor Christopher R. Hughes del-la London School of Economics, quando la suauniversità ha aperto un Confucio “gli studenticinesi hanno rivelato di essere rimasti delusidall’arrivo in un’università straniera per sco-prire che il loro il governo aveva istituitoun’organizzazione nel campus che li facevasentire ancora sotto il tipo di sorveglianza concui avevano dovuto convivere in Cina”.

Era ora che i paesi europei, specie sottouna pandemia globale per la quale il regimecinese ha molte responsabilità (censura, ri-tardi, repressione, menzogne), si decidesseroa rivedere gli accordi che hanno portato allanascita di questi cavalli di Troia in occidente.

Giulio Meotti

L ’ INTEGRAZ IONE NECESSARIA CON I DUE G IGANT I TECH

Immuni e le altre devono fare i conti con Apple e Google, e i governi si lamentanoMilano. Quando si parla di tracciamento dei

contagiati da coronavirus e di app come l’italia -na Immuni, Apple e Google sono i due grossielefanti nella stanza. Prendiamo proprio il casodell’Italia. Ai primi di aprile il governo avevagià praticamente deciso che Immuni sarebbestata la app contro il coronavirus (l’ufficialitàsarebbe arrivata il 16), ma il 10 del mese sonoarrivati Apple e Google e hanno detto: eccoci,stiamo preparando anche noi un sistema ditracciamento dei contagi. E dunque l’Italia, co-me molti altri paesi, dopo aver preso una deci-sione sullo sviluppo di una tecnologia strategicaha dovuto fare i conti all’improvviso con il pianoin parte compatibile ma in parte concorrente didue delle più grandi aziende tecnologiche delmondo. Apple e Google non si propongono di so-stituire le app come Immuni ma di integrarle: illavoro di tracciamento lo fanno loro, mentre leapp serviranno da interfaccia con le autorità sa-nitarie nazionali. Due giorni fa il commissarioeuropeo Thierry Breton ha detto che il sistemadi Apple e Google uscirà in versione di prova il28 aprile. Sarà poi lanciato a metà maggio.

Il progetto di Apple e Google non si può igno-rare per tre ragioni. Uno: i loro sistemi operativisono installati sul 99 per cento abbondante de-gli smartphone d’occidente, e se davvero voglia-mo fare in modo che almeno il 60 per cento deicittadini utilizzi un sistema di contact tracing(soltanto così, dicono gli studiosi, servirà a qual-cosa) è necessaria la collaborazione dei due gi-ganti. Due: per questioni legate a come è fattoiOS, il sistema operativo di Apple, nessuna appdi contact tracing può funzionare bene sugli

iPhone a meno che Apple non intervenga diret-tamente. Senza l’aiuto di Apple, Immuni e le al-tre sono quasi inutili su iPhone. Tre: è probabileche il sistema delle due aziende sarà il migliore.Ieri i rappresentanti di Apple e Google hannoparlato con i giornalisti e hanno spiegato alcunenuove caratteristiche del progetto, che peresempio prevede di misurare il tipo di contattotra due telefoni tenendo anche conto delle diffe-renze di forza del segnale bluetooth tra vari mo-delli di smartphone. Non si conoscono le speci-fiche di Immuni, ma non siamo sicuri che la app

italiana possa rivaleggiare con i due giganti.Ci sono molte buone ragioni per cui i governi

dovrebbero integrare le loro app con Apple eGoogle, ma c’è anche un ostacolo sorprendente:secondo la maggior parte degli esperti indipen-denti, il sistema delle due aziende è molto ri-spettoso della privacy. Ma secondo i governi, an-che quelli europei, è tropporispettoso della pri-vacy. Apple e Google dicono che se i governi vo-gliono usare il loro sistema devono rispettarecerti standard, e questo ha creato qualche scon-tro. Nell’ultima settimana i funzionari dei go-

verni inglese, francese e tedesco si sono lamen-tati perché il sistema di Apple e Google gestiscei dati in maniera così stretta che si metterebbe arepentaglio le app nazionali. Per esempio: laGermania, secondo Reuters, aveva optato perun sistema semicentralizzato, in cui una partedei dati degli utenti è conservata in un servercentrale. Ma il sistema di Apple e Google è com-pletamente decentralizzato e non prevede al-cun tipo di centralizzazione, e dunque l’integra -zione è a rischio. Il governo francese, invece, in-tende lanciare la propria app senza integrarlacon il sistema di Apple e Google, ma poiché que-sta app sugli iPhone sarebbe inutile (vedi puntodue qui sopra) il ministro al digitale Cédric O hachiesto ad Apple di far funzionare ugualmentela app locale, anche senza aderire al protocollodelle due aziende. Il governo italiano invecesembra aver preso un’altra strada: giorni fa al-cune indiscrezioni hanno rivelato che gli svi-luppatori si stanno orientando a rendere Immu-ni completamente decentralizzata per facilita-re l’integrazione con Apple e Google. Manca an-cora la decisione ufficiale del governo, ma se cifosse la conferma sarebbe un buon passo.

Probabilmente come conseguenza delle moltelamentele dei governi, ieri i rappresentanti di Ap-ple e Google hanno detto che introdurranno alcu-ne modifiche per dare più margine di manovra al-le app nazionali (senza però toccare le basi, comeil protocollo decentralizzato). Hanno anche pro-posto un cambio di nome: basta parlare di traccia-mento dei contatti, che è una cosa che fanno i me-dici. Le app, al massimo, possono fare “exposurenotification”, notifica dell’esposizione.(ec)

Dieci piccoli dolori: i raccontidi Nadia Terranova avvolgono

Roma di intima malinconia

PREGHIERA

di Camillo Langone

Nel mio borgo del cen-tro di Parma di comunistinon credo ne vivano (i comunisti vivononei media e in alcune facoltà universi-tarie) ma alle 15 prenderò ugualmentele mie precauzioni: finestre chiuse e,appena dovessi sentire le note dellatracotante “Bella ciao”, massimo volu-me agli impianti di casa. Playlist bre-vissima, tre brani. Prima il “Gloria inexcelsis Deo” (II-III secolo), per prote-sta contro un governo che proibisce iriti cattolici e consente quelli partitici.Quindi “Movementt” di Emma-JeanThackray (2020), per protesta, enfatizza-ta dalle due T, contro la presente priva-zione della libertà di movimento (fe-steggiare una liberazione durante lapiù grande reclusione collettiva dellastoria è un insulto alla ragione). Infineil “Juditha Triumphans” di Vivaldi(1716), inno ideale della Repubblica diSan Marco, siccome per i cristiani il 25aprile è per l’appunto San Marco. Aquesto punto vedrò il Leone Alato apri-re il libro con la zampa e miracolosa-mente parlare: “Pax tibi Marce, evange-lista meus”. Pace anche a voi, amicimiei.

In un settembre esageratamente triste miero messa in testa di studiare due cose: l’ebrai -co e le persone felici. Ero certa di non esserlomai stata e se invece sì, allora non ero in gra-do di accorgermene.Nadia Terranova, “Come una storia d’amore”

(Giulio Perrone editore)

Chi sono i morti e chi sono i vivi, dentrouna città indifferente a tutto, abituata atutti, ai buchi neri come ai trionfi? La cittàè Roma, protagonista e antagonista di que-

sti dieci laceranti racconti di Nadia Terra-nova appena usciti per Giulio Perrone: litrovate in libreria, e una volta a casa, leg-gendoli, penserete a quel momento dellavostra vita in cui non era proprio vostra, lavita.

Correva negli occhi degli altri, nelle ca-se degli altri, nei tumulti degli altri, manella vostra non c’era più, si era fermata, siera “incagliata in una zona morta”.

Succede in ogni città del mondo, succe-de anche a Roma, con la luce che c’è. “Miaffaccio in balcone senza mettere le panto-fole: la luce di Roma è una stronza, è colpasua per ogni cosa che mi è successa. E’ si -curamente così: colpa di quella luce dispe-rata che tiene in ostaggio le persone per unmomento, quin-di per sempre”,scrive Terrano-va nel racconto“La lavanderiasbagliata”.

Quanti sonogli sbagli, masoprattutto: esi-stono? O fannoparte del modoin cui li guar-diamo, della lu-ce che abbiamonegli occhi inquel momento,in quegli anni,in quella vita? Iracconti di Nadia Terranova affondanocon precisione la lama dentro i giorni di-ventati palude, dentro quella sensazionedi estraneità a se stessi, quando si aspettaun via libera per cambiare tutto, ma senzail coraggio di muoversi. “Penso che primao poi questa città me la toglierò di dossocon un coltello e sanguinante mi metteròsulla strada del ritorno a casa, ammessoche mi ricordi quale sia”. Prima o poi. Maintanto c’è una donna dentro un bar pro-prio al centro del mondo, e sta rubandoun’ora di libertà tra il pomeriggio e la seradella Vigilia di Natale, prima che il barchiuda. E c’è un’altra donna inginocchiatadavanti al forno per controllare l’orata. Eun’altra che entra nella lavanderia sba-gliata. E una che ha l’ossessione di control-lare una perfetta sconosciuta su Facebook:un giorno, dopo aver controllato, si alza discatto e butta la sedia a terra. Una donnacrede di vedere il suo ex marito dalla fine-stra. E un’altra rincorre la felicità che lespetta sui banchi di scuola, al Ghetto. Duesorelle schiena contro schiena nella gra-migna di una pensilina a Porta Maggiore.

La vita è anche qui, nella trattoria dovea lei sembra di aver sentito i corvi, in viaGiolitti nell’odore di fritto americano e pi-pì, quando è cominciata la storia d’amorecon Roma. La delusione fa parte dell’amo -re, la delusione fa parte della vita. E ledonne sono le protagoniste di questi disa-mori di Nadia Terranova, sono più brave ainterrogarsi sul dolore, e poi, dice una ra-gazza di questi racconti, a chi importa de-gli uomini? Il mondo è delle donne. Il pun-to di vista, lo sguardo, è delle donne. I se-greti sono delle donne. “Voler bene allemie cose posso farlo, ma voler bene allamia vita, quello proprio non riesco. Ma lamia vita, ora, è tra parentesi”.

Ecco, dentro queste parentesi che ten-gono in ostaggio la vita, un’altra vita, chis-sà poi quale vita, c’è molta vita: e infatti c’èanche la morte che fa scomparire le perso-ne all’improvviso, le strappa dalle paren-tesi oppure dall’amore, trasforma le pa-rentesi di chi resta. Al Pigneto, a PortaMaggiore, nel centro di Roma, nel centrodel mondo. Il centro del mondo è dove so-no le nostre parentesi, i nostri momentistanchi, il disamore che però non è maiabbastanza senza amore per dire: vado via.Diventare adulti, senza diventarlo mai. ARoma è possibile.

DA ANNALENA BENINI

C’è una mutazione della nostrademocrazia, e bisogna trovarle un

nome. Undici anni fa come oggi

Il 25 aprile è la più bella data delnostro calendario civile, e pro-

prio per questo ogni volta vieneda dire che “quest’anno” il 25

aprile ha un significato speciale. Dun-que, quest’anno il 25 aprile ha un saporespeciale. Il fatto è che ci si ricorda insie-me di una conclusione e di un inizio. LaLiberazione fu la fine di una guerra spa-ventosa e la promessa di un ricomincia-mento del mondo. Ma anche perché nel-la bella entrata gioiosa nelle città libe-rate si riscattava il momento in cui tantiragazzi si erano trovati di fronte alla de-cisione di impegnarsi per qualcosa dipiù grande della loro vita. La paura e lanostalgia di quel momento hanno ac-compagnato a lungo la storia della Re-pubblica, e hanno spinto anche a errorigravi, come nella parabola di nobiltà emiseria dell’antifascismo militante. Og-gi quella spina di nostalgia e paura si fasentire più pungente. C’è una mutazionedella nostra democrazia, e bisogna tro-varle un nome. La via più facile è quelladi dare alla cosa nuova nomi vecchi: re-gime, fascismo, sono lì per questo. Vec-chi nomi, vecchi simboli. Ma la sugge-stione non ha senso, neanche in un giocodi caricature.

Ci sono in Italia persone il cui impegnocivile, e lo stesso svolgimento ordinario diun lavoro, costa già la vita, dove spadro-neggiano le mafie. La caricatura cede giàal dramma vero per gli zingari, i romeni,gli annegati dalla sponda africana. Que-sto non è ancora, e forse non arriverà aessere, paragonabile all’antisemitismo.Zingari e romeni e africani possono gon-fiare un mercato di riserva di capri espia-tori, ma non diventare i Grandi Colpevoli,i Grandi Cospiratori: per quello gli ebreisono insostituibili - devono somigliarci fi-no a passare inosservati e insieme sover-chiarci diabolicamente per cultura, intel-ligenza, denaro. Altra storia. Non è un ca-so che servano ancora al vecchio scoposulla scala di un mondo che non ne ha maivisto uno.

Italiani, brava gente, spiritosa. Tutt’alpiù con un inno anacronistico, l’elmo diScipio, stringiamoci a coorte. Gli italianil’hanno già corretto a proposito, senzanemmeno volere: Stringiamoci a corte.Ecco fatto, due vocali. Abbiamo imparatodel regime fascista, quella invenzione diitaliani tipici, che vengono, “scherzando eridendo”, momenti tragici in cui il fiore diun’intera comunità deve decidere che co-sa fare della propria vita. E soprattuttoche in quella ventina d’anni, benché si siastati educati rigidamente al libro Cuore eai precetti sull’onore, è successo che,neanche per salvare la pelle, ma appenaper andare a occupare la cattedra lascia-ta improvvisamente vacante da un prede-cessore di razza giudaica, siamo stati ca-pacissimi di dimenticare che eravamo co-sì pronti alla morte. Può sempre risucce-dere.

(N.B. Righe di un articolo del 25 aprile2009, su Repubblica).

Adriano Sofri

Lettere rubate 25 aprile

“Vogliono snaturare Repubblica? Allora andrà fondata una nuova Repubblica”. Parla CDBSvuotare Repubblica delle sue firme sto-

riche, che sono ormai quasi tutti pensionati icui contratti di collaborazione scadono a di-cembre, e quindi rifondare attorno a ungruppo di giornalisti riconosciuti il quotidia-no della sinistra italiana: agile, corsaro, po-polare e partigiano, che è poi l’espressioneutilizzata giovedì sera proprio da Carlo Ver-delli, nel suo editoriale di commiato, scrittodopo aver saputo alle 14 di giovedì d’esserestato sostituito da Maurizio Molinari alla di-rezione di Repubblica: “Partigiani sempre”.Qualcuno già scherza, e maliziosamente so-stiene che il giornale, nuovo e insieme vec-chio, potrebbe anche chiamarsi “25 aprile”.E’ uno sberleffo, forse. Ma Carlo De Benedet-ti non scherza affatto quando dice che secon-

do lui l’Italia è diventata “un paese inverte-brato. Allo sbando. In pericolo”. E lo descri-ve così il nostro paese, collegandolo ai desti-ni di Repubblica: “Il governo non esiste, ipartiti non esistono, le istituzioni sono lique-fatte, lo stato centrale litiga con le regioni… ese arrivasse l’uomo forte, gli italiani se loprenderebbero, come ha scritto Stefano Fol-li l’altro giorno. Quindi, in questo contestosbandato, l’ultimo colpo sarebbe la caduta diRepubblica. Cioè della stampa liberaldemo-cratica. Penso non vada consentito”.

E forse c’è però anche un po’ di esagera-zione retorica. Maurizio Molinari è soprat-tutto un grande professionista, chissà qualiprogetti di sviluppo avrà in mente per il gior-nale. “Non lo metto in dubbio”, risponde DeBenedetti. “Ma non è un giornalista di Re-

pubblica. E’ un conservatore, nell’accezionemigliore del termine. Un conservatore allaanglosassone. Mi dice lei cosa c’entra conRepubblica? Non ho dubbi che porterà ilgiornale da un’altra parte rispetto alla suastoria e alla sua tradizione. E questo, anchedal punto di vista editoriale e industriale,lascerà campo libero. Spazio. Direi praterie,anche a un nuovo giornale che recuperi lospirito più vero di Repubblica”. I soliti mali-ziosi, tuttavia, parlano di questo ipoteticonuovo quotidiano come del “giornale di Giu-seppe Conte”, per intendere con questasemplificazione quell’area del paese e delpotere, quell’intersezione insiemistica cheraccoglie ciò che resta del M5s e la sinistra,quel cosmo che in realtà in questi giorni isondaggi danno in crescita. Chissà. Le teste,

dentro questo progetto ancora evanescente,eppure concreto, sono tante. Così come leinclinazioni di ciascuno. Si vedrà.

Nei mesi scorsi, quando si stava perfezio-nando la cessione del gruppo editoriale aJohn Elkann, s’era già cominciato a parlaredi questa rifondazione, del nuovo giornalecon Carlo De Benedetti e Carlo Feltrinelli,finanziatori ed editori. “Se lo faccio, lo faccioda solo”, dice adesso l’Ingegnere, calcandosull’ipotetica. Ma poi, con aria carica di sfida:“Qui ci vuole il coraggio dei pionieri. Farequalcosa di nuovo, fondare una cosa che pri-ma non esisteva non è un’operazione per tut-ti”. E mentre ne parla gli si accende la voce,come se il desiderio di avventura ancora unavolta in lui l’abbia vinta sulla cautela.

Salvatore Merlo

La rivoluzione di Elkann è anche una sfida a Cairo, che ha alcuni problemi da risolvereLe sforbiciate hanno quanto meno incri-

nato i rapporti con i giornalisti e i dipendentiin genere, facendolo trovare di fronte a unasituazione alla quale non è abituato: una ver-tenza sindacale. I redattori del Corriere del-la Sera hanno approvato l’accordo per 38 pre-pensionamenti (circa il 10 per cento dei gior-nalisti) e cinque giorni di cassa integrazionequest’anno e l’anno prossimo. Le trattativesui 15 prepensionamenti alla Gazzetta chie-sti dall’azienda sono riprese in settimana.

Non sono gli unici grattacapi. E’ slittato al29 maggio l’arbitrato in corso tra Rcs e Blac-kstone sulla vendita dell’immobile di ViaSolferino, contestata dopo l’arrivo di Cairoalla guida del gruppo. Rcs ha chiesto alla Ca-mera arbitrale di Milano di riconoscere lanullità della vendita avvenuta, secondo Cai-ro, a condizioni inique per Rcs a causa delle

cattive condizioni finanziarie in cui versavail gruppo nel 2013, mentre Blackstone hachiesto alla Suprema corte di New York idanni per l’azione avviata da Rcs, che, a suodire, avrebbe anche fatto saltare la venditadell’immobile ad Allianz Real Estate. Uncontenzioso che lascia perplessa Intesa San-paolo, la banca di riferimento che ha suppor-tato Cairo nella conquista della Rcs e che haun rappresentante nel cda. I conti in ogni ca-so sono il primo fra tutti i crucci. Con l’assem -blea vedremo i risultati dell’intero anno2019, quelli dei primi nove mesi non sonobuoni. I ricavi complessivi sono scesi da908,7 a 864,6 milioni di euro e il risultato net-to del gruppo da 31,4 a 23,5 milioni; ; si sonoridotti gli introiti anche nei periodici; men-tre La7 ha continuato a perdere sia pure unpo’ meno: 5,1 milioni di euro rispetto ai 6,1milioni nello stesso periodo del 2018; lo sha-

re medio è stato del 3,75 per cento con un 4,99per cento in prime time, ma in aumento.Quanto alla Rcs i ricavi, che comprendonoanche El Mundo e gli investimenti spagnoli,si sono attestati sui 673 milioni di euro e ilrisultato operativo si è ridotto da 75,8 a 63 mi-lioni. La recessione che segue la pandemia ela situazione complessiva nella quale si tro-verà il paese, dalla politica alle banche, dal-le imprese alle istituzioni pubbliche, richie-derà un ripensamento. Ciò vale forse ancheper la linea editoriale. La7, in un passato re-moto, aveva dato voce e immagine alla mareanazional-populista che si è infranta contro ilcoronavirus. Il Corriere della Sera, anche inseguito al suo insediamento socio-geografi-co, aveva subito aperto le porte ai grillininon demonizzando la Lega di Salvini. Losganciamento sempre più evidente di SilvioBerlusconi intenzionato a riprendere in ma-

no quel che resta di Forza Italia, ma soprat-tutto a offrire una sponda moderata agli elet-tori di destra, non può non influenzare ancheil modo in cui il giornale dei moderati guar-da all’Italia e al mondo. A mano a mano chel’emergenza lascia il posto alla ripresa, laconflittualità politica riprende il centro del-la scena. Non è escluso che maturino sceltenuove e complesse che riguardano gli equili-bri interni e i rapporti con l’Europa e con glialleati internazionali a cominciare dagliStati Uniti. Il Corsera non è solito anticipare,ma sa come cavalcare le onde, evitandone ipicchi. E da oggi in poi quell’Italia che temee rifugge gli estremi potrebbe guardare concuriosità a Rep. Cairo, uomo accorto e intel-ligente, con un occhio attento alla politicache ha cominciato a tentare anche lui, nonpuò non saperlo.

Stefano Cingolani

La Società degli immunologi contro Giletti e l’invito a Tarro, il falso “candidato al Nobel ”Tarro, un medico napoletano che si spac-

cia in giro come “virologo di fama interna-zionale”, non è famoso ma famigerato. Se-condo la Società degli immunologi è uno“scienziato di modestissima caratura, auto-proclamatosi candidato al premio Nobelper scoperte ignote alla comunità scientifi-ca, falso esperto che ha infilato nella tra-smissione ‘Non è l’arena’ una serie di opi-nioni personali fra sciacallaggio e beceroottimismo”. Naturalmente la responsabili-tà di certe uscite senza fondamento scienti-fico è di chi le pronuncia, ma anche di chipresenta questi personaggi come esperti.“Chi cita le sue opinioni o lo interpellaavrebbe il dovere di controllare il suo cur-riculum scientifico o almeno Wikipedia,dai quali sarebbe venuto a conoscenza che

buona parte di quanto abbia detto risultaessere falso in tempi normali, ma notitiaecriminis nel dramma che il paese vive!”,scrive la professoressa Santoni a nome de-gli immunologi. La rilevanza della produ-zione scientifica di Tarro, che è un ultraot-tantenne, è del livello di “un ricercatore al-l’inizio del suo percorso scientifico, noncerto per un senior autoproclamatosi can-didato al Nobel”.

Ma nel caso di Tarro non serve neppureavere la capacità leggere gli indici biblio-metrici, a un giornalista basta fare un nor-male controllo delle fonti. Si scopre facil-mente, ad esempio leggendo un articolomolto completo e dettagliato di Giulia Cor-sini su Nextquotidiano.it, che Tarro da annipubblica su riviste scientifiche “predato -rie” e riceve premi “predatori”, ovvero far-

locchi e senza valore scientifico, come quel-lo di “miglior virologo dell’anno” assegna -togli da una sconosciuta società che è unaspecie di agenzia che vende onorificenze.Inoltre si apprende facilmente che Tarroda molto tempo si inoltra nel terreno dellecure senza fondamento scientifico, dal “sie -ro di Bonifacio” (una pseudocura di un ve-terinario di Agropoli a base di pipì di ca-pra) alla falsa teoria della “biocorrezione”(che promette di guarire diverse malattie).“Per la sua dubbia reputazione e scarsa ri-gorosità scientifica – prosegue la nota dellaprof.ssa Santoni – già negli anni 80 Tarro èstato espulso dalla Società italiana di im-munologia”. Altro che Nobel.

Il virologo napoletano era stato invitatoda Giletti in seguito a un battibecco su Twit-ter con il prof. Roberto Burioni che aveva

commentato così certe millanterie: “Se Tar-ro è virologo da Nobel, io sono miss Italia”.Giletti non si è lasciato scappare l’occasio -ne di poter imbastire uno show sullo “scon -tro tra virologi”, come se non fosse verifica-bile che le candidature al Nobel vengonorese note solo 50 anni dopo l’anno di pre-miazione e che, per arrivare a quel punto,bisogna comunque aver scoperto qualcosa.

“Il caso Tarro – scrivono gli immunologidella Siica – è un’occasione per sottolinea-re ora come non mai, nell’emergenza Covid-19, quanto sia necessario che chi ha la re-sponsabilità della comunicazione nei me-dia verifichi l’affidabilità della fonte, lacorrettezza delle affiliazioni e dei creditiscientifici”. Altrimenti non è informazione,ma un circo.

Luciano Capone

(segue dalla prima pagina)

(segue dalla prima pagina)

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PICCOLA POSTA

IL BI E IL BA

di Guido Vitiello

Dopo l’intermezzo delleregionali in Emilia-Roma-gna, quando sfoggiava una giacchetta li-sa e un dolcevita da professore del Dams,Matteo Salvini è passato agli occhiali dapentapartito. Perché gli anni passanoper tutti, dice lui. Ma è fin troppo chiaroche non si tratta solo di questo. Gli annierano già passati da un pezzo per DwightEisenhower quando il suo comitato elet-torale ingaggiò il pubblicitario RosserReeves in vista delle presidenziali del1952. Tra i vari accorgimenti d’immagi-ne, Reeves chiese al riluttante sessanta-duenne Eisenhower di sbarazzarsi degliocchiali, salvo poi compensare le diot-trie perdute facendogli leggere dei car-telli scritti a lettere giganti. Senza quegli

occhiali da secchione, secondo Reeves,Eisenhower veniva molto meglio in tv, a-veva un aspetto più forte, più carismati-co, più autorevole. Chissà che il pubbli-citario non avesse in mente l’esempio diSuperman, a cui bastava un grosso paiodi occhiali da vista, e niente più, per tra-sformarsi di colpo in Clark Kent, giorna-lista timido e impacciato. Generazioni dilettori di fumetti hanno riso della dabbe-naggine della sua collega e morosa LoisLane, reporter così scaltra da conquista-re il Pulitzer, ma così tonta da non accor-gersi che Superman era semplicementeClark Kent senza occhiali. Forse Salvini,dopo la richiesta balneare dei superpo-teri, vuole darsi un tocco di nerditudinealla Clark Kent o alla Giorgetti. Ma a noinon serve il Pulitzer per vedere che, sot-to gli occhiali, c’è sempre Salvini.

(segue dalla prima pagina)

Nuovi mercati europeiIl secondo livello è un intervento soste-

nuto dagli strumenti europei già esistentie che potrebbe partire molto rapidamen-te. La Banca europea degli investimenti,che potrà finanziare investimenti delleimprese e che dovrebbe mettere in cam-po fino a 200 miliardi di euro. Il meccani-smo Sure, che potrebbe finanziare fino a100 miliardi. Le risorse che potrebbemettere in campo il Mes attraverso unafacility dedicata al sistema sanitario e so-stenuta dalle sue risorse, che oggi am-montano a oltre 400 miliardi. Questo se-condo livello dovrebbe partire il più pre-sto possibile ma, naturalmente nel caso

del Mes una volta definite le nuove con-dizioni di accesso, si dovrebbe basare suuna richiesta in tal senso da parte deigoverni. La terza fase dovrebbe poterecontare su un Recovery fund operativo.

Oltre ai tempi di attuazione, le tre fasidovrebbero essere coerenti tra loro e gui-date da una visione unica. Quella tesa arealizzare una nuova strategia di crescitain Europa e tale da rilanciare su basi nuo-ve un mercato interno in grado di sfrutta-re al meglio le nuove tecnologie, di faredecollare l’Unione del mercato dei capi-tali anche in termini di “finanza verde” edi completare l’Unione bancaria.

Pier Carlo Padoan

La svolta dell’Eur opa

E la testardaggine di chi non sacambiare opinione in coerenza

con il mutamento dei fatti

Il tutto, come ricordato, fa per adessoduemilacinquecento miliardi di euro. Ea questo tutto va aggiunto che la garanziadelle garanzie, il Patto di stabilità dasempre indicato come una trappola ege-monistica dei forti contro i deboli dallesquinternate polemiche nazionaliste epopuliste, è stata sospesa insieme connorme intenibili sugli aiuti di stato na-zionali.

Questi sono fatti, con il bollino delConsiglio europeo e della Commissionedi Bruxelles. Certo c’è la questione deitempi di esecuzione, rilevantissima, e c’èdiscussione su come queste risorse sa-ranno governate, su come si convergeràverso un minimo comune denominatore,rassicurante per tutti, nelle politiche fi-scali e nelle altre politiche di spesa e diinvestimento. Vorrei vedere. Ma il puntoimportante è quello segnalato da Macronnella sua conferenza stampa: l’Europasta smettendo di considerare il mercatounico un puro circuito finanziario e com-merciale, astrattamente supino a regoledi mero mercato, assume coscienza delfatto che se un suo pezzo cede sarà ancheil resto a cedere, e di fronte a un traumanon derivante dall’osservanza o menodella lettera famosa della Bce, ma da unblocco causato da un’epidemia imprevi-sta, in sintonia con i consigli illuminatidi Draghi nel suo articolo sul FinancialTimes, reagisce in uno slancio supersta-tale e supernazionale di tipo cooperativose non unitario.

A questa novità importante si aggiun-gono un governo italiano che è della par-tita, una Francia all’avanguardia, unaSpagna inventiva (i perpetual bond) euna Germania disponibile che mette ilsuo peso nel gioco nonostante le evidentidifficoltà politiche a sostenere quel pe-so. Si può sottovalutare quello che acca-de per esigenze di coerenza che si ridu-cono a fare un ulteriore dispettuccio cri-tico all’avvocato del popolo, al Bisconte,a Giuseppi? Non è questo un caso di te-stardaggine, di incapacità, nella qualenon si può avere troppa fiducia, a cam-biare opinione in coerenza al mutamen-to dei fatti? Non è assurdo?

Giuliano Ferrara

(segue dalla prima pagina)

13 marzo 2020 il venerdì 89

HONORÉ poteva fare «qualsiasi cosa, tranne la letteratura», avevano sentenziato gli esperti consultati dalla famiglia di Balzac. Quelle stroncature non l’avevano scoraggiato, anzi l’avevano spinto a produrre senza sosta, sotto pseudonimi nobiliari, da Horace de Saint-Aubin a lord R’Hoone, anagramma del suo nome. «Sudo sangue e acqua da tre mesi, ho scritto otto volumi». Nei momenti di smarrimento, si chiedeva: «Avrò talento? Devo debuttare con un capolavoro o impiccarmi».Visibilmente inluenzato dai romanzi gotici inglesi, nel 1825, a 26 anni, pubblica Wann-Chlore. Jane la pallida, che le edizioni Clichy fanno uscire per la prima volta in italiano in versione integrale (pp. 479, euro 15, traduzione di Mariolina Bertini). L’eroe, il bel tenebroso Horace Landon, piomba in un paesino cavalcando a rotta di collo. Ha «qualcosa di smarrito,

di convulso: i lineamenti contratti, gli occhi sbarrati». Si è rifugiato lì per dimenticare una delusione amorosa. Anche l’amata, Wann-Chlore, ha il pallore eccessivo delle eroine romantiche. Chlore viene dalla clorosi, la malattia che sbianca la pelle. Un amico infedele, una madre egoista e ambiziosa e una fanciulla indifesa sono gli ingredienti di questo libro, ben analizzato da Alessandra Ginzburg, in cui per la prima volta si intravede il genio di Balzac. Nessunostranamente si era accorto che la madre del romanzo, con tutte le pretese e la prepotenza, era il ritratto di quella di Balzac. Da parte sua, in quel momento, madame Balzac era irritata per la relazione del iglio con una donna che aveva quasi la sua stessa età:l’aristocratica Laure de Berny, ventidue anni più dello scrittore. Malgrado il parere favorevole di un potente critico, Wann-Chlore aveva venduto poco e Balzac si era rifugiato dall’amata sorella. La disperazione gli aveva bloccato la penna per quattro giorni, il quinto, però, aveva già iniziato un nuovo libro. (Giuseppe Scarafia)

L’eroina segreta(e pallida) del gotico Balzac

VERSIONE INTEGRALE

IN POCHE PAROLE

Wyatt e la gemella Lucy, 23 anni e una vita di lotta solitaria, rischiano di perdere il ranch nello Utah a causa di una ragazza coperta di fango che uccide i loro capi di bestiame. Quando lei fugge, lui le dà la caccia. Paesaggi aspri, dialoghi essenziali, esistenze ruvide. (c.luc.)

Un omicidio a Termini, un corso di ebraico al Ghetto, una parrucchiera di Casalbertone, donne e uomini che osservano da una inestra il mistero della capitale. Racconti di una messinese a Roma, pieni di amore e ironia verso una città tranquillamente infelice. Come i protagonisti del libro. (d.c.p.)

RUVIDE BESTIERae Delbianco Traduzione diFrancesca Cosi e Alessandra RepossiNeri Pozzapp. 303euro 18

COME UNA STORIA D’AMORENadia TerranovaGiulio Perrone Editorepp. 102 euro 15

Il segreto del fascino del Giappone? Sicuramente il contrasto tra tradizione e modernità ma soprattutto l’originalità di arti e discipline che qui sono nate e che ancora intrigano il mondo intero. Moltissimi i temi qui trattati con bellissime immagini, focus e approfondimenti. (g.ma.)

L’apertura di un testamento annulla tutti gli affetti. Come nella storia di Ariane, vedova e senza igli. Ha il compito di lasciare agli eredi la sua vecchia casa nascosta tra la pineta e l’oceano. Ma dei suoi familiari si sono perse le tracce. Fino a quando, a sorpresa, una nipote... (m.s.)

GIAPPONETUTTO ILFASCINO DELSOL LEVANTEMondadoriElectapp. 224euro 22,90

L’EREDITÀ DI ARIANEFrançoise BourdineTraduzione diRaffaella Patriarca Baldini+Castoldipp. 330 euro 19

Il detective Harry Bosch invecchia bene. Nonostante la vasta produzione giallistica di cui è protagonista. Harry partecipa al funerale dell’ex poliziotto J.J.Thompson, un’icona e suo maestro. E proprio alla ine della funzione si riapre l’indagine su un omicidio irrisolto (m.s.)

L’unica cosa negativa di questo libro è la copertina. Nel senso che, se letto in bus o in treno, quell’enorme svastica potrebbe farvi bollare come un nostalgico del Terzo Reich. Per il resto questa seconda puntata del ciclo del Sole Nero fa venire voglia di leggere la terza. (m.ton.)

LA FIAMMANEL BUIOMichael Connelly Traduzione diAlfredo ColittoPiemmepp.389euro 19,90

LA NOTTE DEL MALEdi Eric Giacometti e Jacques RavenneTraduzione diFrancesca NovajraMondadoripp. 357 euro 20

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Lèggere:

Nei racconti di una giovane scrittrice il mondoe il disagio dell’anima all’ombra della capitale

Storie romane

Sono bastati due romanzi perché Nadia Terranova venissesubito considerata, da pubblico e critica, una scrittrice vera. L’u-so che fa della lingua è sonoro, musicale, empatico, molto fil-mico, nel senso che “fa vedere” il racconto. A Gli anni al contra-rio, è seguita la conferma di Addio fantasmi (entrambi Einaudi).Libri pluripremiati, tradotti all’estero, l’ultimo anche finalistaal Premio Strega 2019. Oggi, per Giulio Perrone Editore, esceuna bellissima raccolta di racconti: Come una storia d’amore. Ilfil rouge che li unisce è Roma, ma ci sono anche altri temi. Ilmondo dei diseredati che vivono nella capitale, il disagio di certiquartieri,ma, soprattutto, il disagio dell’anima che domina tuttele protagoniste di queste splendide storie.

Hadedicatounraccontoalla tristestoriadiAndreaOliviero.Per-ché questa scelta?

Andrea era una trans colombiana che viveva a Termini eprima di morire aveva detto che la stazione era casa sua, ma neaveva anche paura. Era stata picchiata,malmenata, derubata, eragià finita in coma, eppure conservava una fiduciosa svagatezza. Isuoi funerali si sono celebrati cinque mesi dopo perché nessunovoleva pagarli: questo dettagliomi era intollerabile, non riuscivoa togliermelo dalla testa. Sono andata in chiesa, eravamoquattrogatti. Sono tornata a casa e continuavo a stare male. Ho accesoil computer e ho scritto Via della Devozione.Interessante in Il primogiornodi scuola il connubio tra imparareuna lingua nuova e sperare di incontrare persone felici.

Ho sempre pensato che le cose cambiano a seconda delnome che le contiene, e che parlare una lingua che non si do-mina toglie molte maschere, perché non si possiedono i registridell’inganno: l’ironia, la dissimulazione, i giri di parole. Quan-

do mi sono iscritta al corso di ebraico, singolare casodi lingua morta e poi resuscitata, non mi interessavatanto la lingua biblica, quanto il fatto che le parole diquell’altra epoca erano inadatte. È una lingua legata alsacro, ma facendola risorgere bisognava inventare unmodo per dire “televisore” o “bevanda gassata”. Studia-re l’ebraico è un complesso viaggio nel tempo.Le sueprotagoniste hannoperso treni importanti,malasensazioneècheseripassassero liperderebberodinuovo. Esiste un unico destino?

«Devi rompereunavolta il destino.Deviusciredistrada, e affondare nel tempo», ha scritto Cesare Pavese.È vero, le mie protagoniste sono sulla soglia, ferme trauna casa calda ma non più accogliente e una strada nuo-va, piena di neve. Si va? Si resta? Si cercano errori nuovi?Generalmente la calmaè la virtùdei forti, nel suo libro

è quella dei “non innamorati”.Come tutte le persone razionali, quando mi innamoro

mi innamoro come una scema. Di tutto: persone, oggetti, si-tuazioni, libri, è bellissimo quell’impazzimento donchisciotte-sco che ti fa sentire viva. Però dentro quell’impazzimento finisceper mancarti qualcosa, è un attimo che diventa inconcludenza,e a me piace anche creare puntigliosamente, dedicarmi con cal-ma alle cose.Le drammatiche protagoniste di questi racconti sono assetatedi felicità altrui. Quasi inmodo vampiresco.

Per alcune cannibalizzarla è un modo disperato per nonsoccombere all’invidia, per altre è una spia rossa che accende unaluce sulla propria infelicità. Di certo, la felicità degli altri dentrodi loro fa molto rumore. Romana Petri

Come una storia

d’amore

Perrone Editorepagg. 144, euro 15

Nadia Terranovaè nata aMessina evive a Roma.

È stata candidataal premio Strega.

spazio libero

Luoghi e luci che ci fanno sentire a casaSono nata in una città con due mari, perché uno solo non mi bastava.

Quando da Messina sono andata nella capitale, ho dovuto capire subito che il mare non bagna Roma. Ostia, così vicina, è in realtà così lontana. Eppure, qui l’acqua è ovunque, nell’umidità del lungofiume, nelle piccole muffe, nei confini segnati dal Tevere e dall’Aniene, nella traccia

maestosa dell’acquedotto. In questa città asciutta per finta, ogni cosa è diventata casa: le ottobrate accecanti di luce, le estati deserte, i palazzi umbertini, le persiane color castagna su facciate

illuminate dai riverberi del sole, il sole vestito di viola che saluta giornate lunghissime. Eccolo, il viola sui tetti, il colore delle mie giornate da antica migrante e nuova indigena, spartiacque fra la luce balorda che precede il tramonto e la notte sgangherata che lo segue. Nadia TerraNova

la sua amata roma è anche al centro di come una

storia d’amore, la raccolta di racconti di nadia terranova (in uscita da giulio perrone editore). dieci storie in cui perdersi che ci fanno venire voglia di andare a zonzo in città.

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SNACK DOLCE O SALATO?

Perdersi e risplendere Una donna cerca se stessa in una città e un’altra lo fa “disturbando” possibili amori di Elena Stancanelli

snack dolce: forse l’amore tornerà. L’unica è raccontarse-la come una storia d’amore, Roma, e anche la vita. E guardare, cercare, non fermarsi mai. Questi dieci racconti sono minuscoli viaggi, tra i presìdi del cuore di una città scelta per perdersi. Rac-contati in prima persona da una donna con una voce limpida e coraggiosa, che si muove famelica tra lavanderie e funerali, tram e ristoranti. Cosa cerca senza tregua, perché non riesce a fermarsi? L’io di Nadia Terranova ha un interlocutore di pregio. M., al qua-le conida quasi tutto. M. le restituisce forza e pacatezza, ma non basta. Corre via, al Ghetto, a frequentare un corso di ebraico, si nasconde in un bar anonimo e sciatto per rimandare il cenone di Natale, o nelle pagine Facebook della Sconosciuta, la più buona tra le buone. Salvo poi scoprire che anche la Sconosciuta, di col-po, può scomparire, e la felicità degli altri, proprio come il dolore, forse non esiste. L’unica è raccontarsela come una storia d’amore. «Penso con nostalgia a quando avevo certi orizzonti e penso alla città come a un corpo mostruoso che mi ha cacciata fuori o di-vorata, e forse è la stessa cosa. Penso che prima o poi questa città me la toglierò di dosso con un coltello e sanguinante mi metterò sulla strada del ritorno a casa, ammesso che mi ricordi quale sia». Nadia Terranova, Come una storia d’amore, Perrone, 12,75 euro

snack salato: guarda, terra! terra! «Quel che mi piace di me, ho detto a mia sorella che dall’oblò guardava la terra av-vicinarsi, è che sono una ragazza gentile, e anche tu, talmente gentile». Le due sorelle sono sedute accanto, su un volo Berli-no-Parigi. Una delle due parla, racconta, si sfoga. Un monolo-go interiore, un lusso di coscienza di cento pagine, pubblicato da Safarà, piccola casa editrice di Pordenone. Noémi Lefebvre, l’autrice, è una politologa francese al suo terzo romanzo. Sceglie una voce di donna ossessiva, che si analizza e giudica con fero-cia. Sono una che disturba, dice di sé, ho disturbato un sacco di persone, a partire dal pianista. Nelle due occasioni in cui si sono visti, seduti prima all’Einstein, e poi al Kaiser Café, all’interno del Sony Center, il posto ideale per un attentato, lei lo ha fune-stato con la sua disinvoltura. Accavallando e scavallando le gam-be come serpenti, rintronandolo di parole, non risparmiandogli amichevoli pacche sulle spalle. Lei tiene sul tavolino le lettere tra homas Mann e heodor Adorno, lui, il pianista, ha una manìa per il dipinto di Schönberg, L’autoritratto in blu del titolo. Pecca-to. Rincollerò i cocci, mangerò bene, dormirò bene, pensa men-tre l’aereo atterra a Parigi, e anch’io risplenderò.Noémi Lefebvre, Autoritratto in blu, Safarà, 13,60 euro

RAGIONE

E SENTIMENTO

Crolli Al civico 36 di via dei Bastioni, a Genova, «l’unica casa ancora in piedi sotto il Ponte», c’è un uomo asserragliato con quel che resta della sua vita nel palazzo dove abita da sempre e rischia di crollare a sua volta. Alla giovane giornalista Petra Capoani, appena tornata da Londra, il compito di intervistarlo e capire cosa nasconde veramente. Si dice che per rendere letteratura la cronaca occorre lasciar passare il tempo, assumere la giusta distanza dai fatti. Invece in questo romanzo, Le cose da salvare (Neri Pozza, 17 euro), Ilaria Rossetti ci riesce a partire da un pezzo della nostra storia più recente e dolorosa, il crollo del ponte Morandi a Genova, e il suo linguaggio poetico si fa discorso universalesul dolore e la perdita e le forme di sopravvivenza che ci accomunano e ci rendono umani. Vincitore del Premio Nazionale Neri Pozza 2019, un romanzo nitido, coraggioso, segnalato allo Strega da Wanda Marasco. Francesca Frediani

CULTURE

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Racconti / nadia terranova

Quanto sei bella e trascurata Roma, per amarti devo trattarti da estraneaNella Capitale le storie di personaggi interrotti, prigionieri del passato e in bilico sulle scelte da compiere

SIMONA SPARACO

«L’ unica è rac-contarsela come una storia d’a-

more» recita l’incipit di uno dei dieci racconti che Nadia Terranova ha scritto per Giu-lio Perrone editore, il cui tito-lo della raccolta è Come una storia d’amore, appunto. E l’u-nica è anche leggerseli tutti d’un fiato, questi bellissimi racconti, sapendo che il loro file rouge non è soltanto la scelta di Roma come scena-rio (città di adozione dell’au-trice e al centro della suddet-ta storia d’amore) ma anche il tema dell’identità. I perso-naggi della Terranova sono spesso interrotti, hanno per-so qualcosa e sembrano attra-versare le loro vite con passo incerto. Sono prigionieri del passato e in bilico sulle scelte da compiere, interrogano l’e-sistenza non solo attraverso gli occhi degli altri ma anche attraverso gli spazi che li ac-colgono, tanto che, dal Pigne-to a Porta Maggiore, passan-do per il ghetto ebraico fino a Casalbertone, i quartieri che li ospitano ne rappresentano quasi un’estensione, si con-fondono tra storie comuni e

infanzie private, perché la Capitale incombe su queste pagine anche quando non viene nominata, come in «Felicità sconosciuta», il rac-conto che mi ha coinvolta di più. Lì l’ambientazione è un non luogo, edulcorato e os-servato dalla voce narrante di una donna, che riesce a re-stituirci, di una felicità appa-rente, la sua sconfinata soli-tudine, la forma mentis di

chi cresce nei quartieri ro-mani più benestanti, l’atteg-giamento che proietta an-che nell’apparire e parlare di sé attraverso un social net-work come Facebook.

La felicità è un altro dei te-mi del libro, insieme all’amo-re, quando ti s’incista nelle ossa al punto da influenzare ogni tuo pensiero, ogni tua mossa. E che c’entra l’amore con il vivere in una città co-me Roma? Perché «raccon-tarsela come una storia d’a-more»? Forse perché «l’amo-

re è vivere nell’intimità di un essere estraneo, e non per av-vicinarlo, per renderlo noto, ma per mantenerlo estra-neo». E forse la distanza è l’u-nica chiave di lettura per amare Roma senza confon-derla con tutte le versioni che di lei ne fanno gli altri. Cambiarle persino nome, se necessario, come fa la Terra-nova in uno dei suoi raccon-ti, e così Roma diventa una R. che solo lei riconosce, una R. che resta segreta, inacces-sibile persino alla desolazio-ne che in questi ultimi anni la città sta vivendo, «per odiarla in pace e amarla sen-za celebrarla». Da romana di nascita, leggere Roma attra-verso lo sguardo di un’autri-ce siciliana coetanea, che sti-mo moltissimo, è stato un po’ come farsi raccontare una serata memorabile della nostra vita da qualcuno che era presente e che fino a quel momento non avevi preso in considerazione. Noi romani siamo strani: chiusi e trince-

rati nella nostra R. per difen-derla dallo sguardo dei visita-tori, ma anche i primi a bi-strattarla e a darla per scon-tata. Osservarla oggi, poi, che un virus sconosciuto la minaccia fino a paralizzarla e a svuotarla, rendendola più bella, potrebbe apparir-ci ancora più incurante del nostro affanno, come se vo-lesse quasi farci un dispetto, o ricordarci chi siamo, per-

ché noi siamo essere umani, e quindi al massimo centena-ri, mentre lei «una millena-ria» che ne ha viste di ogni; «noi siamo una cosa piccola, ammalata e senza importan-za» e lei ci sopravvivrà. Ep-pure Roma non l’abbando-ni, come spiega magistral-

mente Nadia in alcune pagi-ne, anche se vorresti farlo, anche se «qualcosa si è spen-to», «l’amore finisce» e ti rim-proveri «per non averlo cura-to», ma tutt’al più è lui che non ha curato te.

Dai mercati, impastati di dialetto e simpatia (anche quando si tratta di rimprove-rare una donna che pilucca tra i banchi della frutta e del-la verdura sotto lo sguardo imbarazzato del marito), ai bar dove ci si trattiene anche la vigilia di Natale perché la città può esserci più familia-re di una famiglia, Roma ha qualcosa di complice, persi-no quando diventa violenta. Nadia sa che il suo, e il no-stro, destino, come anche quello dei suoi personaggi, non può essere modificato, nemmeno dalla penna di un narratore onnisciente, che in letteratura avrebbe il compi-to di modificare la realtà e non solo di descriverla. La Terranova ne prende consa-pevolezza e immagina «che prima o poi questa città se la toglierà di dosso con un col-tello, e sanguinante si mette-rà sulla strada del ritorno a casa, sempre ammesso che si ricordi quale sia». —

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Dal Pignetoa Porta Maggiore,

i quartieri si mischiano alle esistenze

Autrice di romanzi e di libri per ragazziNadia Terranova (Messina, 1978) vive a Roma. Per Einaudi ha scritto «Gli anni al contrario» e «Addio fantasmi». Per i più giovani ha pubblicato «Bruno il bambino che imparò a volare» (Orecchio Acerbo), «Casca il mondo» (Mondadori ) e «Omero è stato qui» (Bompiani)

PIETRO GROSSI

Sarà che forse il no-stro benestante mon-do occidentale sente la mancanza di veri

conflitti, ma da un po’ di tempo una metafora molto amata, in qualunque cam-po, è quella militare. In que-sti giorni, per ovvi motivi, ne siamo bersagliati più che mai: guerre batteriologi-

che, guerre d’informazione, guerre finanziarie, guerre ideologiche, guerre cultura-li… Non si sa più come ripa-rarsi da tutti questi missili.

Mettendomi qui a scrivere mi ero dunque detto «via, cer-ca almeno tu di evitare que-sto strazio». Invece, con rin-novato e divertito gusto per la mia stessa banalità, mi get-to anche io nel calderone: c’è un’altra guerra che da sem-pre si combatte, ma adesso con maggiori nemici. È una guerra di resistenza, vissuta

in trincea da smandrappati che spesso abbriccicano siste-mi per pagarsi le armi da soli e andare avanti nella loro di-sperata impresa.

È una guerra a difesa, so-prattutto, della lingua italia-na. È affascinante notare – ma non si può farne a meno – che adesso diversi membri di questo esercito siano donne, e che vengano da un luogo che in molti giudicano esoti-co, se non altro per il nostro idioma: Napoli. Le prime a ve-nirmi in mente sono Valeria Parrella ed Elisa Ruotolo. Per chiarezza, non è un vezzo ignorare Elena Ferrante: sem-plicemente ritengo che com-batta un’altra guerra, peral-tro non meno importante.

Fanno qualcosa di appa-rentemente scontato, que-ste soldatesse, ma che pur-troppo scontato non è più per niente: trattano l’italia-no per ciò che è. Non lo piega-no in posizioni goffe, ne stu-diano le venature, e in quelle venature tutt’al più provano a inserirsi. Sì, è pietra, la lin-gua italiana: è cocciuta, to-sta, sbecca continuamente gli scalpelli, ma diomio co-me suonano bene le sue eco quando la curi, e come regge bene alle intemperie.

C’è un altro libro adesso che ci ricorda quella musica, quel-le venature, il motivo per cui ci ostiniamo ad amare i chirur-gici sbrilluccichii del nostro vocabolario: si intitola Sette opere di misericordia. L’autri-ce è Piera Ventre, che già nel 2016 aveva sorpreso diversi lettori con il suo Palazzokim-bo. Ci riporta ora nei tessuti di Napoli, in un cimitero, in una famiglia, intrecciando perso-naggi che provano a galleggia-re nel miasma delle viscere della vita. Napoli, oltre che per i timbri della sua musica, è perfetta anche per questo: non avete anche voi l’impres-sione, passeggiando per i suoi vicoli, di percorrere gli anfrat-ti di un corpo?

La cornice, piuttosto las-sa a dire il vero, delle vicen-de del libro – che non perde-rò tempo a riassumere, so-prattutto per impedire che qualcuno usi di nuovo una delle correnti e insulse stor-piaggini dell’inglese – sono i giorni della tragedia di Al-

fredo, il bambino caduto nel pozzo di Vermicino, nell’estate del 1981.

Lo sguardo che più di ogni altro ci accompagna alla sco-perta del viavai dei protago-nisti (oltre alla sensazione che nei libri partenopei sia sempre la stessa Napoli a rac-contarci le sue storie, e ogni volta la immagino a farlo in poltrona, grassoccia e son-nacchiosa) è inusuale: quel-lo di un bambino in quinta elementare, con un occhio coperto da una benda, affet-to da strabismo verticale, fi-glio del custode orbo di un ci-mitero. È come se il libro vo-lesse dirci fin dall’inizio che non solo ci porterà in luoghi angusti, talvolta viscidi, ma che ci farà accompagnare dalla più strampalata delle guide. Inutile dire che, in bar-ba alle precauzioni di cui tut-ti in questi giorni ci bombar-dano (ecco, ci sono ricasca-to…) e consapevoli di essere comodamente seduti su un divano con un libro in mano,

ci buttiamo a capofitto.Non ho potuto fare a meno

di sentire una magnetica riso-nanza, tra le viscere di Napo-li, i suoi palpiti, il ventre dell’umanità, il pozzo nero in cui scivola Alfredino e – lo scrivo con il sorriso, me lo per-donerà – il cognome dell’au-trice. È di questo che ci parla il libro: del nostro ventre, del-la sua grancassa, delle sue vi-brazioni, dei suoi cattivi odo-ri, della sua vita, della nostra irrefrenabile ma necessaria attrazione a volerci scivolare dentro, e qualche volta a re-starne inghiottiti. Come asso-miglia, alla fine del libro, il pozzo di Vermicino a un in-gresso dell’utero del mondo.

Altri bellissimi e controver-si libri italiani ci hanno volu-to parlare dei chiaroscuri di quelle cavità, nel corso degli ultimi anni: penso a Dalle ro-vine di Luciano Funetta, o a Candore di Mario Desiati. An-che Piera Ventre, come loro, prova a ricordarci cosa sia-mo: animali che godono – e crescono – grufolando nei luoghi più impervi di se stes-si. O forse, con disincantata li-bertà, vuole più semplice-mente domandarci cosa vo-gliamo essere. —

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Nadia Terranova«Come una storia d’amore»Giulio Perronepp. 144, € 15

ANSA

vite diff icili / piera ventre

Dal cimitero puoi vedere tutta Napolise te la mostra il figlio strabico del custode Nei giorni della tragedia di Vermicino casa Imparato è travolta da un vortice di castigo e misericordia

La fontana della Barcaccia e la scalinata di Trinità dei Monti AFP

Italiani

La disperazione della mamma di Alfredino Rampi, morto a Vermicino nel 1981 dopo essere caduto in un pozzo artesiano

In bar e mercati impastati di dialetto

la città è complice

Piera Ventre«Sette opere di misericordia»Neri Pozzapp.352, € 19

Laureata in Logopedia, assistente alla comunicazione Piera Ventre è nata a Napoli nel 1967 e vive a Livorno da quando aveva 20 anni dove collabora con le scuole attraverso l’Associazione di promozione sociale Comunico. Ha pubblicato la raccolta di racconti «Alisei»(Edizioni Erasmo) e il romanzo «Palazzokimbo» (Neri Pozza)

Personaggi che provano a galleggiare

nel miasma della vita

XIV LASTAMPA SABATO 9 MAGGIO 2020

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Cultura

11 Maggio 2020

Come una storia d’amore | I raccontidi Nadia Terranova sulla Roma deisentimenti estremi, intima estruggente

di Annalisa De Simone

Dieci fotografie, dieci spaccati di umanità. Le short storiesdella scrittrice messinese portano il lettore dentro lasolitudine e alla ricerca della felicità

Che parli di legami, di mistero o d’avventura, ogni libro è una storiad’amore. E l’ultima raccolta di racconti di Nadia Terranova (GiulioPerrone editore) lo è in modo sfacciato. Fin dal titolo: “Come unastoria d’amore”. In una misura insopportabilmente struggente.

A qualsiasi latitudine, in ogni città, succede che senza un legame chela tenga insieme, se non quello di occupare lo stesso pezzo di mondonel medesimo lasso di tempo, la gente va, viene, si stipa, si allontana.

Quante volte, per strada, restiamo impigliati nel sudore di bracciasconosciute, che non ci sfioreranno più? Quando accade, certo nonstiamo a chiederci a chi appartenga quel corpo o quale storia porticon sé. Non ci interessa, non abbiamo tempo né spazio per altridolori e gioie che somigliano ai nostri e che sono diversi. Maimmaginiamo di tracciare un confine fisico, il perimetro di una città:Roma.

E immaginiamo di guardare tutto dall’alto, come se fossimo unuccello o un drone. Ora prendiamo un punto a caso e scendiamo inpicchiata sulla vita di tale sconosciuto. È questo il viaggio cheTerranova ci porta a compiere.

Prima verso il basso per ritagliare nel via vai di una Roma caotica,beona, afosa e gelata, popolare, papalina, sfaccettata, semprericonoscibile, una singola vita. Anzi, un singolo momento di quellavita. Poi, prima che il viaggio stia per concludersi, il tragitto opposto,

e cioè di nuovo verso l’alto per afferrare, nella distanza, lo sguardoche raccoglie la vita di ognuno.

Ci sembrerà di confonderci in mezzo agli altri, a quel punto, e cisembrerà che sia giusto così. «Roma è la città dei sentimentiestremi», scrive Terranova. La si ama o la si odia, a volte la si ama e lasi odia insieme.

Come accade con qualsiasi oggetto d’amore, si possono incontrarecieli nuvolosi e inaspettate schiarite, momenti in cui ci sente dentroal mondo e altri in cui l’unico approdo sensato è un porto che non siconosce ancora, ma che è lì, nella vaghezza e nei sogni, nei rimpianti,in un’idea di fuga.

I racconti di Terranova sono struggenti perché parlano tutti disolitudine. E quindi di ricerca della felicità. Le strade che conduconoalla felicità sono reticoli ingarbugliati come le strade di Roma. Indecifrabili come l’intreccio di vite che popolano un desideriocomune: scoprirsi, per una volta e almeno per un po’, senza ombre.

Nella luce dell’autunno romano, la protagonista del racconto “Ilprimo giorno di scuola”, raggiunge Portico d’Ottavia, al ghetto. Fissail portone della scuola con la bandiera bianca e azzurra e immagina ibambini all’interno dell’edificio, la lavagna, i grembiuli, i compiti inclasse.

Dato che la letteratura, quanto i ricordi, è fatta anche di odori, purenoi, come lei, mentre assecondiamo il suo viaggio verso l’infanzia,non possiamo fare a meno di sentire il profumo di una merendatroppo unta o delle pagine plastificate del libro di testo.

Ognuno ha la sua personale madeleine, un oggetto o un sapore, unprofumo in grado di accendere la miccia dei ricordi. Ognuno, poi, haun ricordo che brucia e che magari ha provato a seppellire in fondo a

sé, sperando si trasformasse in cenere.

La protagonista di questo racconto guarda gli scolari all’uscita discuola. Non le sembrano i figli che potrebbe avere e non ha. Più delresto, le sembrano i compagni della bambina che era. Nel risalire ildorso del tempo, dalla donna di oggi fino alla figlia senza un padre diieri, la protagonista decide di iscriversi a un corso di ebraico. È quiche si innesca la scintilla che svela a lei una parte di sé e, a noi,l’umore preciso di questa raccolta.

L’ebraico è una lingua fatta di segni per i più indecifrabili e cheprocede all’incontrario, una metafora perfetta della felicità. È unalingua in cui nulla può essere infinito altrimenti, con la pretesa diassomigliare a Dio, peccherebbe di blasfemia, e in cui tutto devesapersi contenere.

Chi impara l’ebraico, come chi impara a riconoscersi felice, deveiniziare dalla misura delle cose, non spaventarsi delle inversioni,soprattutto: non peccare di tracotanza. Come quella ragazza che perla prima volta arriva a Termini e, dopo aver lasciato la propriainfanzia sul sedile, scende dal treno.

Ad affiorare sulla superficie di ciò che è consueto, nei racconti diTerranova, c’è sempre l’ombra di un nuovo inizio o di un iniziopossibile, brutale e struggente.

Come quella ragazza – appunto – che, scesa dal treno, si costruiscemattoncino dopo mattoncino la sua idea di Roma: si può vivere nellarealtà e, allo stesso tempo, guardare solo ciò che si vuole vedere;glissare, se si è capaci di farlo; e se si è capaci, inventare.

Ma non sempre il percorso è così lineare. Accolta la solitudine deipersonaggi come un moto destinato a rompersi, come una parentesi,alla fine, eccoci dentro i racconti più ruvidi: “Freezing” e “Roma in

uscita”.

La città è ancora lì, sullo sfondo, come pure gli amici e i parenti e lagente e le possibilità che le due protagoniste incrociano, forse, e acui non si aprono, per adesso. Se l’alfabeto dei sentimenti ha a chefare sempre con un inizio, consumato o atteso, è vero anche ilcontrario.

Esistono e scottano le macerie della fine, passata o presente che sia.Ma ciò nonostante, che si tratti di pieni, di vuoti, di un uomo o unadonna, di un desiderio impronunciabile o di uno semplice, di unacittà oppure di un’antologia di racconti, la prospettiva possibile,sembra suggerirci Terranova, resta questa soltanto: «raccontarselacome una storia d’amore».

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libri roma

Uno Studio in Rosa

Recensione Come una storiad’amore di Nadia Terranova – GiulioPerrone Editore

La luce di Roma è una stronza, è colpa sua per ogni cosa che mi è successa.È sicuramente così: colpa di quella luce disperata che tiene in ostaggio lepersone per un momento, quindi per sempre.

Lettura in anteprima

Nadia Terranova, finalista al Premio Strega con “Addio fantasmi” editoEinaudi, sta per tornare in libreria per Giulio Perrone Editore con “Comeuna storia d’amore”, una raccolta di racconti fortemente autobiograficache ha come protagonista la città di Roma.La maggior parte delle storie è ambientata nei quartieri popolarimultietnici, dal Pigneto a Largo Preneste passando anche perCasalbertone.Il racconto che mi è piaciuto più di tutti è “Il primo giorno di scuola”ambientato nel Ghetto che è in assoluto la zona che più amo della miacittà.

Il quartiere ebraico era uno dei luoghi in cui mi ero ritrovata senza sapere come,e l’unico da cui non sentivo fretta di allontanarmi. Perciò era diventato subito ilmio posto fisso, ci ritornavo ciclicamente mentre altrove espugnavo le stradedell’Urbe per rendermela meno oscura.

Il Portico d’Ottavia, il quartiere ebraico è come un piccolo paeseinglobato dentro una metropoli e l’autrice è riuscita perfettamente aricreare l’atmosfera che si respira tra i suoi vicoli e nella piazza.Il fil rouge che lega tutti i racconti è la ricerca della felicità che oggi,parafrasando un vecchio detto romanesco, equivale a “cercare Maria perRoma”.L’assenza, la diversità, la solitudine, ma anche la gioia delle piccole cose:questi sono solo alcuni dei temi affrontati da Nadia Terranova eraccontati attraverso uno stile narrativo fresco, coinvolgente e nostalgico.I protagonisti sono persone reali, concrete, sembra quasi di conoscerlidavvero come la ragazza della lavanderia bengalese, l’italianissimaparrucchiera di Casalbertone, la coppia di anziani di Largo Preneste.D’altronde quando si parla di Roma, la Città Eterna, l’unica èraccontarsela come una storia d’amore e le pagine di Nadia Terranova nesono piene, di amore.

[…] lei è una città di sentimenti estremi: le si appartiene o la si detesta, losanno tutti, lo sa pure l’ultimo degli ultimi.

Mary Watson

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