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“Un tema, una proposta” Le priorità delle imprese del terziario per la prossima legislatura Roma, febbraio 2018

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#ConfcommercioIncontra

“Un tema, una proposta”

Le priorità delle imprese del terziario

per la prossima legislatura

Roma, febbraio 2018

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L’evoluzione di ConfcommercioLe rappresentanze di impresa svolgono un ruolo fondamentale nell’economia e nelle democrazie moderne: innanzitutto perché hanno una funzione insostitui-bile di servizio alle imprese, in primis la firma dei contratti collettivi di lavoro, e poi perchè raccolgono e sintetizzano le istanze del mondo delle imprese, sempli-ficano il rapporto con il Governo e le amministrazioni locali, rappresentano un elemento indispensabile di coesione sociale.

Ma i corpi intermedi hanno anche un obiettivo e una responsabilità più ambi-ziosi: quella di modernizzare e innovare il proprio ruolo. Un terreno sul quale Confcommercio ha già percorso molta strada: adeguandosi ai cambiamenti del mercato e alle trasformazioni del terziario, rendendo più snello e più efficiente il suo sistema organizzativo e associativo, allargando e rafforzando i suoi ambiti di rappresentanza, attuando un sistema di relazioni sindacali più moderno. Un esempio per tutti: l’accordo sulla rappresentanza firmato con Cgil, Cisl e Uil a novembre del 2016.

Una volta si diceva Confcommercio e si intendeva “commercio”. Oggi si dice Confcommercio-Imprese per l’Italia e si intende commercio, turismo, servizi, trasporti, logistica e professioni. Imprese di tutte le dimensioni, piccole, medie e grandi. Segno di una rappresentanza che si è evoluta nel tempo allargandosi al terziario avanzato – dall’informatica alle telecomunicazioni, alla logistica evo-luta – e alle attività culturali e ricreative.

Un’evoluzione che si riscontra anche nei numeri: in Italia il 26,5% delle imprese del terziario – 700.000 imprese – fa parte del sistema Confcommercio. Sono circa 300.000 nel commercio, oltre 115.000 nel turismo, 280.000 nei servizi e trasporti.

Confcommercio, la più grande rappresentanza d’impresa in Europa, valorizza sempre di più il ruolo del terziario di mercato che, con un contributo di oltre il 40% alla formazione del valore aggiunto e dell’occupazione, è il vero motore dell’economia nazionale.

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L’economia italianaLa crescita italiana nel 2017 ha superato le attese. Rispetto a un anno fa circa, quando le aspettative erano per una variazione del Pil attorno al punto percen-tuale, con +1,5/+1,6% di verosimile realizzazione, si è sperimentata un’accelera-zione favorevole quanto inattesa.

In apparente contraddizione con queste dinamiche, le previsioni formulate dai più importanti istituti di ricerca nazionale e internazionale danno la crescita per l’Italia in consolidamento per il 2018 – sempre attorno al punto e mezzo – e in significativa riduzione già a partire dal 2019 – nuovamente attorno al punto percentuale. La distonia può essere riconciliata tenendo fermo un punto: la ri-presa ciclica è reale, ma è soggetta a tutte le fragilità strutturali che l’economia italiana non ha ancora risolto.

I più accreditati previsori, insomma, evidentemente e comprensibilmente, dan-no un peso adeguato ai problemi della burocrazia e della logistica, all’eccesso di carico fiscale e all’insufficiente valorizzazione del capitale umano. L’azione fre-nante di questi difetti endemici impone di correggere al ribasso i trend di breve periodo che, sostenuti da politiche monetarie espansive sul piano internazionale e dagli incentivi agli investimenti sul piano interno, traccerebbero per l’Italia, in teoria, una crescita tra l’1,5 e l’1,8% annuo per i prossimi tre o quattro anni.

Il 2017 dovrebbe chiudersi con una crescita del Pil attorno all’1,5%, con la spesa delle famiglie al +1,4%, ma in rallentamento, anche per il ridimensionamento della dinamica del potere d’acquisto, dal +1,4% del 2016 al +0,4% nella media dei tre trimestri del 2017. Gli investimenti fissi lordi dovrebbero esibire un in-cremento del 2,4%, confermando, seppur in misura più attenuata, il recupero ciclico del 2016 (+2,8%). Sul fronte della domanda estera netta, il contributo alla crescita del Pil dovrebbe risultare lievemente negativo. L’occupazione do-vrebbe incrementarsi dell’1,2%, così come il livello medio dei prezzi al consumo, sebbene la componente di fondo dell’inflazione (cioè al netto di beni energetici e alimentari) denoti ancora un profilo troppo debole (+0,8%), pur in presenza della politica monetaria fortemente espansiva del QE.

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E’, dunque, senz’altro vero che il nostro PIL reale esibisce variazioni positive da tredici trimestri consecutivi, ma è altrettanto vero che si tratta di un ritmo molto più lento della media dell’eurozona e dei principali partner della moneta unica o di altre economie avanzate.

D’altra parte, non mancano tra dicembre 2017 e gennaio 2018 segnali di inde-bolimento del quadro produttivo e del sentiment degli operatori.

L’attuale congiuntura rappresenta, per l’ennesima volta, dunque, un momento di discrimine tra un sentiero di crescita costante attorno all’1,5% e un raffredda-mento delle dinamiche macroeconomiche. L’anno appena iniziato, infatti, scon-ta un peggioramento del quadro delle esogene internazionali (rallentamento di circa un punto del commercio mondiale, apprezzamento del tasso di cambio effettivo nominale di sette decimi di punto e quotazioni del greggio in salita ver-so i 70 dollari per barile). Unitamente all’incertezza sul piano politico interno e al potenziale incremento dei rendimenti sui titoli sovrani, tutto ciò potrebbe de-terminare, nell’ipotesi peggiore, un crescita ciclica limitata all’1% già nel 2018, allontanandosi dall’obiettivo della previsione alla base delle compatibilità di fi-nanza pubblica tracciate nella legge di bilancio.

Non a caso sia la Banca d’Italia, sia altri istituti indipendenti, segnalano nei loro più recenti esercizi previsionali un rallentamento non trascurabile della dinamica delle esportazioni, con un profilo decrescente a partire dal 2018. La valutazione dell’export in termini aggregati, tuttavia, non consente di valoriz-zare uno dei punti di forza del sistema esportativo in senso ampio, vale a dire il contributo sempre positivo della bilancia turistica. La capacità attrattiva del nostro paese dei flussi di incoming, aveva anticipato di due anni la ripresa cicli-ca avviatasi nel 2014. Infatti, nel 2012, con quasi 15,9 miliardi di surplus turisti-co, erano già state recuperate le posizioni del 2007 (15,8 miliardi), per arrivare ai quasi 20 miliardi del 2017, con un miglioramento del saldo in rapporto al Pil dal circa 1% medio della fase pre-crisi, all’1,2% del 2017.

Secondo la metrica della Rilevazione Continua delle Forze di Lavoro, il trien-nio 2015-17 ha sperimentato una variazione positiva dell’occupazione nel suo complesso di oltre 720mila unità, più che compensando la flessione di 615mila unità verificatasi nel corso della doppia recessione della fase 2008-14. Pertanto

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l’occupazione, nel complesso, ha seguito da vicino le oscillazioni del ciclo econo-mico. Quindi, il paventato rischio della jobless recovery è stato smentito dalle evidenze statistiche, sebbene l’occupazione disaggregata per fasce di età mostri ancora elementi di fragilità sul versante dei potenziali lavoratori più giovani.

La questione dei conti pubbliciA seguito delle decisioni assunte nel board della BCE del 26 ottobre scorso, potreb-bero mutare gli orientamenti della politica monetaria, vista l’annunciata riduzio-ne a 30 miliardi al mese degli acquisti di asset obbligazionari. Si profilerebbero cioè rischi di revisione al ribasso del nostro sentiero di ripresa, a causa dell’eleva-to debito pubblico che ci espone più di altri paesi a uno shock eventualmente origi-nato dall’incremento dei tassi, malgrado i buoni risultati conseguiti nella gestione del debito pubblico. La stessa Banca d’Italia, tra le ipotesi condizionali sottostanti il suo quadro previsionale del dicembre scorso, indica un profilo crescente a par-tire dal 2018 per i rendimenti sui titoli a medio/lungo termine (BTP), che dall’1,3% del 2017 si porterebbero al 2,5% nella media del 2020, per il probabile ritorno della politica monetaria verso orientamenti restrittivi. Al di là degli effetti di com-posizione dei diversi strumenti rispetto alla vita media del debito, è da attendersi un incremento della spesa per interessi nel prossimo triennio.

Nel 2018, la spesa per interessi risulterebbe pari a circa 64 miliardi (3,8% del PIL); lo stock del debito è atteso incrementarsi, rispetto al 2017, di non meno di 33 miliardi di euro. La stabilizzazione e l’eventuale regresso del rapporto de-bito/Pil sono possibili solo con saldi primari uguali o superiori alla spesa per interessi. Il nostro sistema economico non sembra, però, in grado di sopportare avanzi primari dell’ordine del 3-4% del PIL per un numero prolungato di anni. Fino ad oggi, ci si è limitati a sperare in una crescita costante del denominatore del rapporto (il PIL) e in operazioni di fine tuning dei saldi di bilancio che man-tengano sostanzialmente stabile il numeratore (il debito).

Anche in questo caso è urgente che le forze politiche esprimano strategie precise sulle eventuali misure di riduzione incisiva dello stock del debito, che resta un elemento di fragilità strutturale del nostro Paese.

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LE PROPOSTE

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ELIMINARE GLI AUMENTI DELL’IVA PREVISTI A PARTIRE DAL 2019Nel 2019 sono previsti aumenti dell’IVA per oltre 12 miliardi di euro, e di oltre 19 miliardi di euro a partire dal 2020.

Nell’attuale contesto economico, un ulteriore innalzamento della tassazione sui consumi, e in particolare dell’IVA, avrebbe effetti catastrofici sui consumi delle famiglie e penalizzerebbe i livelli di reddito medio-bassi. E’ necessario, pertanto, sia attraverso una seria politica di revisione e contenimento della spesa pubblica improduttiva, sia attraverso interventi di contrasto all’evasione fiscale, scongiurare i previsti aumenti delle aliquote IVA.

Inoltre, occorre ridurre il “gap IVA” (l’evasione dell’imposta sui consumi) - che ammonta ad oltre 40 miliardi di euro - destinando tali maggiori entrate alla diminuzione della pressione fiscale su famiglie ed imprese. E la fatturazione elettronica - introdotta, obbligatoriamente, in Italia a partire dal 2019 - può essere un efficace strumento per ridurre tale “gap”.

2.

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RIFORMARE L’IRPEFAd oltre quarant’anni dall’ultima vera riforma fiscale generale, una riforma dell’IRPEF, ossia della maggiore imposta del nostro sistema fiscale, è improcrastinabile.

Tale riforma deve essere improntata sia alla riduzione del prelievo, sia alla semplificazione del tributo.

Una riforma che preveda poche aliquote, garantendo la progressività del prelievo, e l’introduzione di una “no tax area” uguale per tutti i lavoratori, siano essi dipendenti o autonomi.

L’introduzione di una “no tax area” uguale per tutte le categorie di contribuenti consentirebbe di eliminare le attuali detrazioni da lavoro che determinano ingiustificate disparità di trattamento per cui, oggi, si è considerati “incapienti” se il reddito di lavoro dipendente o da pensione non è superiore ad 8.000 euro; se, invece, si ha un reddito di lavoro autonomo o di piccolo imprenditore, si è considerati “incapienti” se il reddito non è superiore a 4.800 euro. Un sistema fiscale davvero equo determina una “soglia di povertà” uguale per tutti, qualunque sia la categoria reddituale.

Le risorse finanziarie necessarie ad attuare la riforma potrebbero essere trovate, in primis, nella riduzione della spesa pubblica improduttiva e nelle maggiori entrate derivanti dalla lotta all’evasione fiscale (oltre 20 miliardi di euro recuperati nel 2017). Parte di esse, inoltre, potrebbe essere reperita anche riordinando le agevolazioni fiscali con l’obiettivo di eliminare quelle non più giustificate dalle esigenze sociali ed economiche o quelle che duplicano programmi di spesa pubblica.

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RIORDINARE E RIDURRE LA TASSAZIONE LOCALEBisogna riordinare, semplificare e ridurre la tassazione locale, introducendo un’unica vera imposta comunale sugli immobili - la “local tax” - che includa tutti gli attuali tributi locali che gravano sugli stessi e che sia totalmente deducibile per gli immobili strumentali delle imprese.

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CONSENTIRE IL RIPORTO DELLE PERDITE PER LE IMPRESE CHE ADOTTANO IL NUOVO “REGIME DI CASSA”Il nuovo “regime di cassa” per le imprese in contabilità semplificata, introdotto nel nostro sistema fiscale a partire dal 1° gennaio 2017, non consente il riconoscimento fiscale del riporto delle perdite maturate in costanza di regime. In assenza di tale riporto il regime risulta, praticamente, inapplicabile per oltre due milioni di piccole imprese.

Vanno quindi uniformati, con estrema urgenza, i diversi regimi fiscali di riporto delle perdite, estendendo alle imprese individuali (sia a contabilità ordinaria che a contabilità semplificata) il più favorevole regime di riporto delle perdite oggi previsto per le società di capitali, che possono dedurre le perdite subite senza alcun limite temporale.

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WEB TAX E’ necessario salvaguardare il sistema-Paese e garantire parità di regole nel fare impresa. L’aumento delle transazioni on-line di beni e servizi effettuate dalle multinazionali dell’e-commerce produce un danno economico ai settori del commercio e dei servizi tradizionali, soggetti ad adempimenti e tasse più pesanti, e sottrae cospicue entrate all’Erario. La web tax potrebbe essere una soluzione a questo problema.

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SUL LAVORO NON BISOGNA TORNARE INDIETROIl Jobs Act ha introdotto novità importanti, condivise e necessarie. Non solo non bisogna cancellarle, ma occorre evitare di modificare norme che hanno trovato un loro equilibrio, diffondendo così di nuovo incertezza nelle imprese. La flessibilità del lavoro, la riforma degli ammortizzatori e il bilanciamento delle politiche attive e passive, tutti aspetti inclusi nel Jobs Act, sono imprescindibili e si deve semmai proseguire in questa direzione.

Vanno poi evitate “compressioni” sui contratti a tempo determinato, che sono peraltro già soggetti ad un tetto percentuale di utilizzo, così come nuovi costi sulle imprese, che finiscono per gravare inevitabilmente sull’occupazione. Nessun nuovo costo o contributo aggiuntivo sarebbe giustificabile. Anche gli incentivi all’occupazione giovanile, recentemente introdotti, rappresentano un inizio nella giusta direzione verso la riduzione strutturale del costo del lavoro: è un tema sul quale è necessario impegnarsi al massimo con l’obiettivo di estendere tali benefici a tutta l’occupazione.

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NO AL SALARIO MINIMO PER LEGGE. SÌ ALLA RETRIBUZIONE CONTRATTUALEL’individuazione per legge di un salario minimo è una misura che ci vede da sempre contrari. La adottano i Paesi senza contratti collettivi nazionali. In Italia la contrattazione collettiva nazionale definisce i salari in relazione agli andamenti economici dei singoli settori. La retribuzione contrattuale è un equilibrio che tiene conto quindi di tanti fattori, settore per settore, e che si muove per accordo tra le parti, non in automatico. Abbiamo già vissuto l’epoca della scala mobile e speravamo di averla archiviata. La nostra proposta è quindi di prendere a riferimento le retribuzioni stabilite dai contratti collettivi nazionali di categoria (anche per quei dipendenti che non dovessero risultare coperti), in linea con l’art. 36 della nostra Costituzione, facendo riferimento all’attività d’impresa, peraltro in coerenza con quanto già avviene per la definizione dei contributi previdenziali obbligatori. Ciò sarebbe rafforzato dalla auspicata misurazione delle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente (non maggiormente) più rappresentative, che sottoscrivono contratti nazionali avendone titolo e legittimità.

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IL LAVORO OCCASIONALE NON SI CANCELLA PER LEGGEBisogna colmare il vuoto generato con l’abolizione dei voucher, che avevano assunto una funzione finalmente apprezzata con l’introduzione dell’occasionalità definita dal massimale economico annuo. L’attuale strumento “Presto” non ha risolto il problema e tornare alla legge Biagi sarebbe un altro errore. Serve uno strumento utilizzabile da tutte le imprese, non solo fino a 5 dipendenti, che sia semplice da attivare, utilizzare, pagare e che sia del tutto tracciabile.

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GIOVANI: UNA RISORSA PER IL PAESEIl sostegno all’occupazione giovanile è una misura che interessa l’intera economia del Paese ma che diventa ancor più centrale nella prospettiva del cambiamento del lavoro e della creazione di nuove imprese. I tempi di transizione dallo studio all’ingresso nel mondo del lavoro sono ancora troppo elevati in Italia e quindi i percorsi scolastici, universitari, formativi in generale vanno ripensati, adattandoli ai mutamenti che hanno subito in questi anni i mercati. La collaborazione con il mondo delle imprese non è un processo da gestire a valle del percorso formativo per l’inserimento in stage, ma un processo da costruire a monte, condividendone finalità, contenuti e modalità. In questa direzione va implementata e migliorata anche l’esperienza dell’alternanza scuola-lavoro. Una politica per i giovani guarda, quindi, alla formazione come leva strategica, sostenendo percorsi legati al mondo del lavoro in un riformato sistema scolastico/universitario. Infine una politica per i giovani investe anche sulla creazione di nuova impresa, non solo sull’occupazione dipendente, affiancando alla formazione sia agevolazioni dirette che strumenti di finanziamento per le nuove imprese.

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COMMERCIO E LIBERALIZZAZIONINon c’è spazio per ulteriori liberalizzazioni nel commercio. Gli orari sono completamente liberalizzati dal 2012, mentre le discipline regionali e comunali in materia di aperture, ampliamenti e trasferimenti sono costantemente vigilate da Governo, Corte costituzionale e Consiglio di Stato che cassano inesorabilmente ogni atto non in linea con i principi comunitari di libera circolazione, libertà di stabilimento e concorrenza.

No, dunque, a nuove linee guida della Commissione in materia di commercio. L’affermazione del mercato unico non vuol dire piatta uniformità di regole e procedure. Nell’ambito della cornice comunitaria devono e possono continuare ad essere salvaguardate le autonomie degli enti territoriali ai quali la nostra costituzione ha affidato la competenza in materia di commercio.

No ai nuovi obblighi di comunicazione preventiva degli atti regolatori proposti dalla Commissione. Si attribuirebbe alla Commissione un potere non previsto dai Trattati, che si sovrapporrebbe di fatto a quello della Corte di giustizia UE e che sarebbe fortemente limitativo dell’autonomia degli Stati membri cui verrebbe addossato l’ulteriore onere di motivare adeguatamente le scelte regolatorie al fine di dimostrarne la conformità alla Direttiva servizi.

Occorre reintrodurre una regolazione minima per le aperture dei negozi. Cinque anni di totale liberalizzazione non hanno prodotto effetti apprezzabili sui consumi. La reintroduzione dell’obbligo di chiusura in sei festività a scelta dall’imprenditore rappresenta una misura equa, sostenibile e perfettamente compatibile con i principi di concorrenza e libertà di stabilimento.

In sintesi, vanno salvaguardate le peculiarità proprie del sistema distributivo italiano, contraddistinto da un pluralismo che si traduce in un’articolata e diffusa presenza di attività commerciali, assicurando l’equilibrio tra tutte le tipologie distributive, incluso il commercio su aree pubbliche, a tutela del consumatore e a garanzia della concorrenza.

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STESSO MERCATO, STESSE REGOLEDal 2012 sono stati attuati molteplici interventi che hanno interessato il mondo agricolo nel suo rapporto con il mondo della distribuzione (disciplina della vendita diretta e ritardi di pagamento solo per citare i più conosciuti) e che consentono alle imprese agricole di beneficiare di minori regole e, quindi, di un vantaggio competitivo nelle attività di distribuzione e somministrazione. Da ultimo, con la misura sullo street food contadino contenuta nella Legge di Bilancio.

Se esiste un problema legato alla redditività di tali imprese, va affrontato con strumenti che consentano a un imprenditore agricolo di continuare a svolgere il proprio lavoro con maggiore soddisfazione economica, senza doversi necessariamente trasformare in un commerciante o in un ristoratore.

Inoltre, considerando che il sistema dei controlli ufficiali interessa allo stesso modo tutti gli operatori della filiera agroalimentare, riteniamo fondamentale che l’operatività del registro unico dei controlli sia estesa a tutte le imprese agroalimentari e non rimanga circoscritta alle sole imprese agricole.

Sul fronte istituzionale, infine, reputiamo indispensabile che le competenze del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali siano ricondotte a quanto previsto dal D.Lgs. 300 del 1999. Non si tratta di attuare alcuna riforma, ma semplicemente di far rispettare la ripartizione di competenze già esistente.

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RIPARTIRE DALLE CITTÀLa straordinaria bellezza delle città italiane e la minaccia di un loro progressivo impoverimento impongono al nostro Paese uno sforzo collettivo per stimolarne la crescita, la vivibilità e l’innovazione affrontando con successo le sfide economiche, sociali ed ambientali individuate dall’Agenda urbana europea.

Consapevoli che un’economia florida si sviluppa solo in un contesto adeguato e accogliente, riteniamo sia prioritario innalzare la qualità di vita nei centri urbani, quali luoghi di produzione di valori, non solo economici, ma soprattutto culturali e sociali.

A tal fine, crediamo sia necessario un impegno congiunto tra pubblico e privato per la definizione di una strategia nazionale a favore delle città, secondo un solido piano finanziario e programmatico, concertato preventivamente tra tutti gli attori economici, tecnici e finanziari, sul modello del recente piano predisposto dal Ministero della coesione territoriale francese.

In particolare, auspichiamo siano previste misure per il commercio e per i servizi in grado di: garantire equità tra formule distributive e diversità dell’offerta merceologica, attuare una politica di agevolazioni fiscali per favorire il ripopolamento commerciale delle città, accompagnare i progetti di riqualificazione urbana e valorizzazione turistica, favorire la complementarietà tra commercio fisico ed e-commerce, limitare il consumo di suolo e facilitare il recupero dei manufatti dismessi per ospitare nuove funzioni e spazi di lavoro orientati a qualità e innovazione.

Non ultimi, ci sono particolarmente cari, e riteniamo debbano essere sostenuti in via prioritaria, i temi della messa in sicurezza del territorio italiano, della prevenzione sismica e della ricostruzione dei centri urbani che hanno subito eventi calamitosi.

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PORRE REALMENTE AL CENTRO DELLA STRATEGIA NAZIONALE DI SVILUPPO IL TURISMOIl Piano, già approvato dal Consiglio dei Ministri, non prevede risorse specifiche destinate alla sua realizzazione: pertanto, a partire dalla stesura del primo Documento di programmazione economica finanziaria e con i provvedimenti normativi immediatamente successivi, il nuovo Governo dovrà prevedere che venga data attuazione almeno alle seguenti linee di intervento:

a. incrementare la quota di deducibilità dell’IMU sugli immobili strumentali alle attività del turismo e del costo del lavoro stagionale dalle basi imponibili IRES e IRAP;

b. combattere l’abusivismo in tutte le componenti del settore, nel ricettivo, nella ristorazione, nell’intrattenimento nonché nell’esercizio delle professioni, applicando il principio “stesso mercato, stesse regole”;

c. rafforzare lo strumento del credito d’imposta - sperimentato in questi anni con i provvedimenti a favore della digitalizzazione e della riqualificazione - incrementando le risorse messe a disposizione, anche al fine di ampliare le tipologie di imprese della filiera turistica che ne possono fruire e superando il limite del “click day”;

d. colmare il vuoto normativo venutosi a creare in tema di concessioni demaniali ad uso turistico, soprattutto per le concessioni marittime, anche in conseguenza degli effetti del pronunciamento della Corte di Giustizia europea del luglio 2016.

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ATTIVARE LA LEVA LOGISTICA PER LA CRESCITA SOSTENIBILE DEL PAESEPer superare il deficit di accessibilità che penalizza la competitività nazionale è necessaria una strategia organica d’intervento nel settore, che preveda:

a. una nuova governance, con indirizzi nazionali vincolanti e coinvolgimento strutturato delle rappresentanze economiche;

b. percorsi formativi dedicati;

c. interventi prioritari per una accessibilità competitiva: permeabilità della barriera alpina, nuova “via della seta”, mobilità turistica e piani urbani della mobilità sostenibile;

d. semplificazione di norme e adempimenti che frenano l’efficienza del settore: codice degli appalti, disciplina trasporti eccezionali, certificazioni e verifiche dei veicoli;

e. sviluppo delle opportunità offerte dalla innovazione e digitalizzazione;

f. promozione della sostenibilità ambientale, economica e sociale attraverso regolamentazioni premianti, sviluppo delle infrastrutture per i combustibili alternativi, sostegno al rinnovo del parco circolante, incentivi per il trasporto combinato, contrasto all’abusivismo e alla concorrenza sleale.

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SVILUPPARE LO SPAZIO ECONOMICO DEI PROFESSIONISTILe attività professionali non ordinistiche costituiscono una realtà economica in crescita, che richiede sempre più attenzione in quanto costituisce un’area importante di sviluppo.

Nel recente periodo si sono potuti apprezzare i primi interventi concreti a sostegno di questa importante categoria che tuttavia necessita di ulteriori misure che favoriscano la competitività dei professionisti - a partire dalla semplificazione fiscale e burocratica - e la corretta dinamica concorrenziale nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.

Inoltre, soprattutto per le nuove professioni legate alle mutate esigenze del mercato ed anche allo sviluppo tecnologico, si pongono ulteriori sfide che andranno affrontate puntando sempre più sulle competenze e sul loro riconoscimento.

Vanno, quindi, sviluppate le migliori condizioni per salvaguardare il valore delle professioni e la qualità del servizio offerto.

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LA SOSTENIBILITÀ DEI CONTI PREVIDENZIALI VA CONIUGATA CON LA CERTEZZA DELLE PRESTAZIONI FUTUREAbolire la Legge Fornero sarebbe un errore. Qualsiasi intervento sul sistema pensionistico deve garantire la stabilità dei conti e la sostenibilità futura. In tal senso l’anticipo pensionistico è uno strumento apprezzabile. Concordiamo, quindi, sulla ricerca di nuove flessibilità per l’accesso alle prestazioni, soprattutto laddove sorrette da piena contribuzione, ma senza pregiudicare in alcun modo la sostenibilità del sistema. Occorre riflettere, inoltre, sul bisogno di riempire buchi previdenziali non solo a fine attività, sviluppando la possibilità di versare contributi volontari.

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UNA NUOVA SINERGIA TRA SANITÀ PUBBLICA E SECONDO PILASTROL’assistenza sanitaria sta assumendo un rilievo sempre maggiore nelle aspettative dei cittadini e nel ridisegno di un sistema di welfare sociale che dovrebbe garantire alle generazioni future un livello di prestazioni e di servizi adeguato ai mutati bisogni e all’evoluzione demografica dell’Italia. Sta aumentando il bisogno di sanità e assistiamo ad una crescente difficoltà degli Stati a sostenerne i costi. Per questa ragione pensiamo che occorra un ridisegno della sanità che, anche attraverso una progressiva revisione delle agevolazioni fiscali per la spesa privata, metta in gioco il “secondo pilastro” integrato in modo virtuoso con il primo pilastro pubblico, così da garantire una compartecipazione alla spesa sanitaria. Un ridisegno che valorizzi la sanità integrativa come secondo pilastro fiscalmente agevolato, promuovendo in tal modo l’intermediazione dei fondi sanitari complementari sulla spesa sanitaria privata, che già oggi rappresenta oltre il 23% della spesa sanitaria totale ed il 2% del Pil. Questo garantirebbe una maggiore tracciabilità della spesa privata, oltre ad efficientare la spesa pubblica.

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DARE PIÙ CREDITO AL SISTEMA DELLE IMPRESELa crisi finanziaria, la concentrazione del sistema bancario, le disposizioni definite dagli accordi di Basilea, i nuovi principi contabili internazionali (IFRS9) hanno comportato negli scorsi anni una forte riduzione del credito erogato alle imprese.

E’ necessario intervenire per invertire la rotta e sostenere le imprese meritevoli che rischiano di essere fortemente marginalizzate dal mercato del credito.

Con questa finalità proponiamo di:

a. rafforzare gli strumenti di “microcredito” imprenditoriale, per consentire un allargamento della platea dei beneficiari;

b. attuare la riforma del fondo di garanzia per le PMI;

c. rilanciare il sistema dei confidi attraverso un generale ampliamento del perimetro delle attività consentite, inclusa l’erogazione diretta di finanziamenti.

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FAVORIRE GLI STRUMENTI ELETTRONICI DI PAGAMENTO, MA NO A OBBLIGHI E SANZIONIUn moderno sistema dei pagamenti favorisce l’efficienza dell’intero sistema economico, ma i relativi costi non possono essere sostenuti unicamente dai soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e prestazione di servizi.

Le nuove regole europee stabiliscono una riduzione del tetto massimo delle commissioni interbancarie ma gli effetti non si sono finora allargati a tutte le tipologie di impresa, circoscrivendo sostanzialmente la diminuzione delle commissioni agli operatori dotati di maggior potere contrattuale. Inoltre, nell’attuale contesto ci si concentra soprattutto sull’utilizzo di sistemi di pagamento basati su carta che, in molti casi, sono già ora superati da strumenti di nuova concezione tecnologica, dall’architettura più semplice e dai costi di utilizzo più contenuti, se non addirittura pari a zero, sia per gli esercenti che per i consumatori.

E’ quindi necessario promuovere un sistema di mercato che favorisca la diffusione degli strumenti di pagamento più efficienti e meno costosi, abbandonando la logica basata sull’obbligo di accettazione di pagamenti tramite carta.

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CONSENTIRE LA PARTECIPAZIONE DI TUTTE LE IMPRESE AL PUBLIC PROCUREMENTIl rafforzamento delle centrali di committenza - Consip e le centrali di committenza regionali – ha comportato un enorme aumento delle dimensioni degli appalti ed una crescente difficoltà per le imprese di più piccola dimensione a partecipare alle gare nonostante i deludenti risultati in termini di minori costi e più efficiente allocazione delle risorse pubbliche.

In altri termini, c’è stato un progressivo impoverimento della pluralità dell’offerta.

Serve dunque un’inversione di tendenza nel mercato del public procurement: una rinnovata attenzione per la razionalizzazione della spesa dovrà necessariamente essere accompagnata da un forte impegno per la massima apertura delle gare alle imprese di dimensioni più piccole, in particolare attraverso l’aumento del numero dei lotti e la conseguente riduzione del volume finanziario.

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RIDURRE IL COSTO DELLE BOLLETTE PER LE PICCOLE E MEDIE IMPRESELa bolletta elettrica delle micro e piccole imprese continua a crescere in misura considerevole, raggiungendo livelli da primato rispetto agli altri Paesi europei.

Sono aumentati i costi non direttamente legati alla produzione di energia elettrica. I diversi sussidi, celati dietro il pagamento di corrispettivi di varia natura, sia fiscali che parafiscali, che gravano sull’insieme delle PMI ammontano, oggi, a più di 3 miliardi di euro/anno.

Il rilancio dell’economia italiana non potrà avvenire continuando a prelevare risorse, in modo opaco e poco controllabile, dalle fatture di energia elettrica delle piccole e micro imprese ma, piuttosto, ponendo subito fine a forme anomale e anticoncorrenziali di sussidio alla grande impresa a discapito di quelle di più ridotte dimensioni.

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PROMUOVERE UNA VISIONE PIÙ AMPIA SULL’INNOVAZIONELa competitività delle imprese e del Paese passa attraverso la diffusione dell’innovazione intesa in senso allargato, non solo quella collegata alla ricerca e agli investimenti in tecnologia.

Il piano Impresa 4.0 prevede una serie di misure per incentivare le imprese a investire su alcuni assets tecnologici. Si tratta di uno sforzo significativo ma che incide solo su una parte del sistema produttivo nazionale ed in particolar modo su una dimensione medio/grande di impresa, principalmente nel settore manifatturiero.

E’ necessario allargare la platea delle imprese coinvolte adottando una visione più ampia di innovazione, che includa le imprese commerciali e turistiche, più facilmente applicabile da imprese di minori dimensioni e decisamente in linea con le caratteristiche distintive universalmente riconosciute al nostro Paese.

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RILANCIARE IL MEZZOGIORNOL’Italia del Duemila ha in parte dimenticato il Mezzogiorno: il Sud è stato marginalizzato nell’agenda politica, nelle strategie e negli investimenti dei governi nazionali, talvolta perfino nel dibattito pubblico.

E’ necessaria una forte inversione di tendenza, che generi effetti positivi anche sul Pil dell’intero Paese.

Un primo positivo segnale è venuto dalla Legge di Bilancio 2018 che ha previsto incentivi specifici per le assunzioni di giovani nel Mezzogiorno e, in alcuni casi, anche oltre questi limiti di età. Il pacchetto, sviluppato con i recenti decreti di ANPAL, costituisce una base di partenza fertile che tuttavia necessita di un sostegno agli investimenti al fine di favorire lo sviluppo di nuove opportunità di impresa e di lavoro.

Per il Mezzogiorno proponiamo, quindi, un modello di sviluppo economico, culturale ed ambientale che valorizzi le risorse endogene del territorio, senza importazione di modelli di sviluppo non in sintonia con le “materie prime” di questa area del nostro Paese, fortemente incentrato sull’offerta turistica, che crei un collegamento funzionale tra attivazione delle infrastrutture economiche (trasporti, comunicazione, energia, ecc.) ed esigenze delle economie locali.

In questo quadro è necessario rilanciare gli investimenti pubblici con una maggiore sinergia tra politiche ordinarie e politiche di coesione, salvaguardando il principio di addizionalità.

Sarà fondamentale destinare una quota adeguata della spesa in conto capitale alle regioni del Mezzogiorno.

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UN’EUROPA PIÙ CONCENTRATA SULL’EUROPAL’Unione europea è fatta di paesi con profonde differenze economiche, di bilancio pubblico, demografiche, sociali, culturali, territoriali e paesaggistiche, che non devono essere governati con un impianto normativo unico, rigido e che sovrasta gli ordinamenti nazionali.

E’ opportuno un ripensamento sul funzionamento complessivo dell’Unione affinché:

a. vi sia un più incisivo intervento dell’Europa sui temi che hanno una portata che va oltre i confini degli Stati (come la sicurezza, l’immigrazione, le dogane, il commercio elettronico, ecc.), finalizzato a definire un assetto comune di regole e supportato anche da risorse dedicate in modo sinergico agli obiettivi condivisi;

b. per i temi con valenza principalmente nazionale, o con profonde differenze tra Stati o che hanno rilevanti impatti sulla spesa pubblica nazionale, l’Europa delinei i principi guida, lasciando ai singoli Stati membri il compito di definire il quadro regolatorio più idoneo per ciascun territorio.

Quest’ultimo approccio dovrebbe venire applicato certamente al commercio al dettaglio, salvaguardando il potere delle autorità locali di definire in autonomia quali siano gli interessi dei territori - città o aree meno popolate - e gli obiettivi pubblici da perseguire

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nonché gli strumenti e le regolamentazioni più idonei allo scopo, compresa la programmazione commerciale. Ciò vale, in particolare, in un Paese come l’Italia dei borghi e dei Comuni, che ha un assetto urbanistico e commerciale peculiare e diverso dai modelli distributivi standardizzati tipici dei Paesi del centro e nord Europa, caratterizzato da un pluralismo che prevede una diffusa e diversificata presenza di attività commerciali e di servizi, spesso indipendenti. Analogamente, la nuova dimensione sociale europea che si va facendo strada nell’agenda europea non può non tenere conto delle politiche di welfare storico dei singoli Stati membri e semmai supportare programmi comuni attraverso fondi dedicati, evitando di imporre nuovi paradigmi ai singoli stati.

ELEZIO

NI

#ConfcommercioIncontra

“Un tema, una proposta”

Le priorità delle imprese del terziario

per la prossima legislatura

Roma, febbraio 2018