Un solo mondo 1/2016 - Federal Council...gli animali facilmente riconosci - bili agli estranei....

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Un solo mondo N. 1/ FEBBRAIO 2016 LA RIVISTA DELLA DSC PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE www.dsc.admin.ch Agenda 2030 In attesa dei fatti Speranza in Mali Un Paese in transizione Volonturismo Una combinazione problematica

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Un solo mondoN. 1/ FEBBRAIO 2016LA RIVISTA DELLA DSCPER LO SVILUPPO E LACOOPERAZIONEwww.dsc.admin.ch

Agenda 2030In attesa dei fatti

Speranza in MaliUn Paese in transizione

VolonturismoUna combinazione problematica

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Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

Sommario

3 Editoriale4 Periscopio26 Dietro le quinte della DSC34 Servizio 35 Nota d’autore con Anja Rüegsegger35 Impressum

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), l’agenziadello sviluppo in seno al Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE), è l’editrice di «Un solo mondo». La rivista non è unapubblicazione ufficiale in senso stretto; presenta, infatti, ancheopinioni diverse. Gli articoli pertanto non esprimono sempre ilpunto di vista della DSC e delle autorità federali.

D S C

F O R U M

O R I Z Z O N T I

C U L T U R A

D O S S I E R AGENDA 20306 17 passi verso un mondo migliore

Trasformare in realtà gli Obiettivi di sviluppo sostenibile non sarà un compito facile per gli Stati delle Nazioni Unite

10 Una bussola per lo sviluppoIntervista a Peter Messerli, geografo e rappresentante della comunità scientifica nella delegazione svizzera per l’Agenda 2030

12 La parità di genere interessa tuttiSolo con l’uguaglianza tra uomo è donna sarà possibile raggiungere il traguardo. L’OSS numero 5 è fondamentale per realizzare l’Agenda 2030

14 A caccia di miliardi per lo sviluppoSono necessarie somme enormi per finanziare gli ambiziosi Obiettivi di sviluppo sostenibile. Per ora mancano ancora migliaia di miliardi all’appello

17 Cifre e fatti

18 Mali, Paese assetato di pace e di cambiamentiNonostante la grande instabilità, i giovani e le donne si impegnano per riconciliarsi con il passato e dare un futuro migliore al Paese del Sahel

21 Sul campo con...Andreas Loebell, incaricato di programma presso l’Ufficio della cooperazionesvizzera a Bamako

22 Una tragedia che solleva molti interrogativiChi vieta ai giovani di nuotare, corre il rischio di fare affogare un’intera generazione, sostiene Mohomodou Houssouba

27 Metà turista, metà salvatoreIl volonturismo è una nuova formula che combina volontariato e turismo. A trarre i maggiori benefici sono i viaggiatori dei Paesi del Nord

30 La grande emergenzaCarta bianca: Marius Ivaškevicius scrive di un’Europa al bivio, tra coesione e disgregazione a seguito degli attentati di Parigi e dei flussi migratori

31 A caccia di nuove identitàFoto e pensieri sulle realtà, sulle speranze e sui sogni della gioventù in Africa del fotografo svizzero Dominic Nahr

23 Le pompe della speranzaIn Mozambico, i contadini poveri realizzano un reddito maggiore grazie al progetto Horti-Sempre che mette loro a disposizione delle idropompe

24 Un tetto per tutti in GeorgiaLa DSC ha favorito la costruzione di abitazioni sociali nel Paese transcaucasico e da quasi dieci anni promuove con successo il progetto

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3Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

Editoriale

Per evidenziare l’importanza di un evento particolare,i giovani amano usare nel linguaggio colloquiale l’ag-gettivo «mega» nelle più disparate e non sempre cita-bili combinazioni di parole. Non meno filologici sono icommenti di taluni relatori più maturi quando parlano,in casi del genere, di «cambiamento di paradigma».

Il termine ha trovato ampia diffusione negli ultimi mesiin occasione della presentazione dell’Agenda 2030 edei suoi Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), adot-tata a New York nel mese di settembre durante il ver-tice dei capi di Stato e di governo nell’ambito dellaConferenza generale delle Nazioni Unite. L’Agenda2030 propone un nuovo quadro d’orientamento per losviluppo sostenibile e la cooperazione internazionale:è questo il cambiamento di paradigma rispetto agliObiettivi di sviluppo del millennio (OSM). Lanciati nel2000 dall’ONU, gli OSM dovevano essere realizzatientro la fine del 2015; un traguardo parzialmente rag-giunto.

Gli OSM e gli OSS si differenziano davvero in modosostanziale. Pensiamo soltanto a come sono stati for-mulati gli obiettivi. Se gli otto OSM sono stati elabo-rati da un gruppo di esperti ad hoc, gli OSS sono il ri-sultato di una consultazione senza precedenti, che hacoinvolto governi, ONG, mondo economico e scienti-fico, società civile, e di negoziati lunghi e difficili fra ungran numero di Stati che difendevano interessi, avolte, contrapposti. È stato un compito impegnativo ecomplesso e che si è tradotto nella stesura di 17Obiettivi di sviluppo sostenibile e di 169 Sotto-obiet-tivi.

Gli OSM ponevano l’accento sui problemi sociali delmondo, come la lotta alla povertà, l’istruzione, la sa-lute e la parità di genere. La scelta non era sbagliata,ma era incompleta. Non considerava esigenze altret-tanto importanti come l’evoluzione economica, lapartecipazione equa allo sviluppo e la protezionedelle fonti di sussistenza naturali.

Gli OSS sono l’espressione della consapevolezza cheun’economia in crescita, una società giusta e un am-biente intatto sono strettamente interconnessi.Questo approccio integrale rispecchia una visioneche al volgere del nuovo millennio era, effettivamente,ancora poco diffusa. Con l’Agenda 2030 si è allargataperò anche la cerchia degli attori responsabili dellarealizzazione degli obiettivi. Gli OSM descrivevano leresponsabilità del «Nord» nei confronti dei bisogni edello sviluppo del «Sud». Il nuovo piano d’azione pog-gia, invece, su una responsabilità universale: tutti gliStati sono chiamati a fare la loro parte nel raggiungi-mento di tutti gli obiettivi.

La responsabilità universale significa che oltre ai go-verni, sono chiamati in causa anche la società civile,il settore privato, il mondo politico e scientifico. In par-ticolare si ripongono grandi attese nella forza finan-ziaria e d’innovazione dell’economia privata, come in-vestitore responsabile, ma ancor di più come attorecapace di trovare soluzioni per lottare contro le sfideglobali. L’Agenda 2030 non dovrà essere soltanto un«capitolato d’oneri» per le divisioni di compliance, maanche e soprattutto uno stimolo per lo sviluppo degliaffari: la sostenibilità come vantaggio competitivo.

L’Agenda 2030 è dunque un «cambiamento di para-digma»? Senz’ombra di dubbio, purché nei prossimi15 anni venga trasformata in realtà grazie all’impegnodi tutti. E in questo lasso di tempo la parola «mega»sarà probabilmente divenuta obsoleta. Se riusciremoa realizzare i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, qual-siasi altro superlativo mi andrà comunque bene.

Manuel SagerDirettore della DSC

(Traduzione dal tedesco)

La nuova responsabilità universale DSC

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C-NES

Rob

in Ham

mund/Panos

Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

Periscopio

Le cliniche galleggianti di Assam (gn) Oltre due milioni di persone vivono su isole fluviali diffi-cilmente raggiungibili nello Stato di Assam, nell’India nord-orientale. Dopo la morte di una donna incinta, deceduta perché non era riuscita a raggiungere l’ospedale in tempo,Sanjoy Hazarika, il fondatore del Centre for North EastStudies and Policy Research (C-NES), ha lanciato un pro-getto per garantire assistenza medica a queste regioni re-mote usando dei battelli. L’iniziativa del professore ha già riscosso un notevole successo. In collaborazione con l’auto-rità sanitaria statale, il C-NES gestisce 15 cliniche galleg-gianti che navigano sul fiume Brahmaputra. Il personale offre assistenza sanitaria di base, fra cui visite mediche ge-nerali, servizi di pianificazione familiare o vaccinazioni. I bat-telli raggiungono mensilmente tutte le isole, a prescinderedal numero di pazienti che richiedono assistenza medica. In questa regione povera dell’India nordorientale, per moltepersone le cliniche galleggianti sono l’unica possibilità di re-stare in contatto con il mondo esterno. Nonostante le diffi-coltà, l’idea di garantire prestazioni sanitarie via fiume si è dimostrata vincente. La popolazione fa ampio uso dell’of-ferta delle équipe composte di medici, levatrici e infermieri.Secondo le stime di Hazarika, ogni anno le cliniche galleg-gianti raggiungono 300000 persone.www.c-nes.org (chiave di ricerca: boat clinics)

Teff per il mercato mondiale (gn) È scoppiata una vera e pro-pria rincorsa al miglio nano«teff» da quando i minuscoli gra-nelli del cereale sono stati sco-perti dai guru dell’alimentazionee dalle star di Hollywood. Essisono ricchi di preziose sostanzenutritive e non contengono glu-tine. Fino a poco tempo fa que-sta graminacea ad alta resa eracoltivata solo in Etiopia, dov’èun alimento di base. Per evitareun’esplosione dei prezzi generatadalla domanda globale, evolu-zione che avrebbe impedito allapopolazione locale di continuarea mangiare il teff, nel 2006 il governo etiope ne ha proibital’esportazione. Nel 2015, questadisposizione è stata riveduta. Acausa dell’enorme domanda sivuole ora autorizzare gradual-mente lo smercio all’estero, pro-teggendo però il cereale con ilmarchio di qualità «EthiopianTeff». «Se il nostro nome diventasinonimo di elevata qualità sulmercato internazionale, po-tremmo persino guadagnare in

Da spacciatore a guardianodi alberi (gn) Dal 1999, nelle foreste delKenya non è permesso abbattereneanche un albero senza autoriz-zazione. Nel 2010 questo divietoè stato esteso alle aziende agri-cole, ma viene regolarmente ag-girato. Ora, ex ladri ed ex spac-ciatori proteggono gli alberi daldisboscamento abusivo. In prece-denza, questi giovani del villag-gio di Weru avevano abbando-nato la scuola per fare faciliquattrini con il commercio di

legname e lo spaccio di sostanzeillegali e rovinandosi così la reputazione. Ora collaborano nell’ambito del progetto MuiruYouth Reform Group, segna-lando alle autorità la presenza ditaglialegna e commercianti ille-gali. A tale scopo hanno elabo-rato uno speciale sistema di al-larme via cellulare. «Quello cheho imparato nei miei vecchi af-fari illegali, oggi mi aiuta adavere la meglio sui taglialegnaabusivi», afferma Murithi Ntaru,membro del gruppo Muiru.

Incaricati dal governo regionale,molti gruppi di giovani gesti-scono vivai e vendono alberelliper il rimboscamento. Per le au-torità, i progetti di tutela deglialberi sono un’opportunità perreintegrare gli ex delinquenti.www.trust.org(chiave di ricerca: Muiru)

L’enciclopedia medica dei matsé (gn) «Si può guarire da ogni malanno con le piante del bosco:dalla più piccola infezione alcancro», afferma Marcelinho,uno sciamano di un villaggio distante circa quattro ore dallacittà Iquitos nell’Amazzonia pe-ruviana. Egli teme che le cono-scenze sulle virtù terapeutiche ecurative degli estratti di piante oanimali, tramandate oralmente di generazione in generazione,vadano perse con il passare deltempo, pregiudicando l’assistenzasanitaria tradizionale delle popo-lazioni dell’Amazzonia. Eccoperché, con il sostegno dellaONG Acaté, i guaritori piùesperti di diversi villaggi matsé,situati sul confine tra Perù eBrasile, hanno raccolto il loro sapere in un libro. È nata cosìun’enciclopedia di oltre 500 pagine, redatta nella lingua diquesto popolo indigeno della foresta pluviale. Per proteggere ilcontenuto dalla biopirateria esi-ste un unico esemplare del libro,che per motivi di sicurezza noncontiene né nomi scientifici, néimmagini che renderebbero lecaratteristiche delle piante e de-gli animali facilmente riconosci-bili agli estranei. Naturalmenteun libro da solo non basta perconservare questo sapere tradi-zionale. Per questo Acaté sostie-ne i matsé nella formazione digiovani sciamani che in futurosaranno chiamati a operare neivillaggi dove attualmente non vi è più nessun guaritore tradi-zionale.www.acateamazon.org

notorietà, com’è avvenuto con il caffè etiope», ipotizza fiduciosoKhalid Bomba, CEO dell’Ethio-pian Agricultural TransformationAgency. Nonostante le prospet-tive di esportazione allettanti saràil futuro a dire se il prezzo delteff rimarrà alla portata della popolazione locale.www.allafrica.com(chiave di ricerca: teff)

Aiuti freschi di stampa (gn) L’invio di materiale nellezone colpite da catastrofi o nel-

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Field Ready

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Diseg

no di Jean Aug

agneur

l’ambito di progetti di coopera-zione allo sviluppo è costoso,non soddisfa sempre le esigenzelocali e spesso non arriva a desti-nazione. L’organizzazione nongovernativa Field Ready pro-pone un’alternativa alle spedi-zioni di pezzi di ricambio di materiale medico-sanitario, o dicomponenti edili per la costru-zione di alloggi di fortuna. Tuttiquesti oggetti possono esserecreati direttamente sul posto gra-zie alle stampanti 3D. L’iniziativaè stata testata con successo aHaiti nel 2015 nell’ambito di un progetto pilota. Il ventaglio di prodotti spaziava dalle protesidella mano alle pinzette per ilcordone ombelicale. Queste ul-time sono molto richieste perchéscarseggiano negli ospedali sull’i-sola. Le pinze realizzate con lastampante costano il 40 percento in meno di quelle di im-

portazione, che devono, tra l’al-tro, superare le complesse proce-dure doganali che possono du-rare fino a sei mesi. Per sfruttareil potenziale della tecnologia 3Dnell’ambito dell’aiuto d’emer-genza e dello sviluppo, la ONGoffre corsi di formazione perl’uso delle stampanti. Inoltre, gliutenti possono avvalersi di unarete globale di specialisti per laprogettazione dei prodotti. Lavera sfida consiste nello spiegarealla gente cosa si può produrrecon la stampante 3D, precisaAndrew Lamb di Field Ready. www.fieldready.org

Scuola modello(gn) In America latina, i giovaniche vivono in zone rurali fre-quentano di solito solo la scuolaelementare perché nelle vici-nanze non ci sono istituti di livello secondario I e perchémolte famiglie non possono per-mettersi di rinunciare alla forzalavoro dei figli più grandi. Il«Sistema de aprendizaje tutorial»,in breve SAT, offre loro un’alter-nativa. Il modello sviluppato ne-gli anni Settanta da una ONGcolombiana per allievi dalla 7a

alla 12a classe offre la possibilitàdi frequentare la scuola nel pro-prio villaggio, coniugando la tra-smissione di conoscenze scolasti-che con il lavoro pratico. Lescuole SAT si adeguano allarealtà e alle contingenze locali. Il programma didattico tieneconto, per esempio, del contri-buto che gli allievi devono dare

durante le stagioni del raccolto.Anche nell’insegnamento di ma-terie quali la matematica o la lin-gua si cerca di creare un forte le-game con la pratica. Il BrookingsCenter for Universal Educationha attestato al modello SAT unalto grado di efficienza. Da unostudio realizzato in Honduras èemerso che gli allievi SAT di-spongono in particolare di mag-giori competenze sociali. «SATnon è solo una riforma del si-stema scolastico, ma una vera epropria rivoluzione della forma-zione», afferma Soheil Dooki, direttore della Bayán Association,che in collaborazione con l’auto-rità nazionale dell’istruzione sioccupa della creazione di scuoleSAT in Honduras.www.brookings.edu(chiave di ricerca: millions learningSAT)

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Johann Rou

sselot/laif

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SSIER

17 passi verso un mondo migliore L’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile affronta i proble-mi che interessano l’intero pianeta. Il piano d’azione firmato aNew York da 193 Stati è visionario per gli uni, utopico per glialtri. Sono in molti a credere che saprà indicare la strada ver-so un mondo migliore. Di Luca Beti.

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IISD

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Agenda 2030

Quale pianeta lascerò in eredità a mia figlia Ma-tilde? Nel 2030 avrà vent’anni. Un mondo mi-gliore, più giusto, senza conflitti, povertà e fame,con una natura ancora intatta. È questo quanto miauguro e con me, almeno sulla carta, anche i 193Stati che alla fine di settembre del 2015 hannoadottato l’Agenda 2030 per uno sviluppo sosteni-bile. «È l’agenda dell’umanità, un piano d’azioneche intende eliminare la povertà in tutte le sue for-

me, in maniera definitiva e ovunque. Nessuno saràlasciato indietro», ha detto il segretario generaledell’ONU Ban Ki-moon durante il vertice deicapi di Stato e di governo nell’ambito della 70esi-ma Conferenza generale delle Nazioni Unite te-nuta a New York.Alla scadenza degli Obiettivi di sviluppo del mil-lennio, i Paesi dell’ONU si sono dotati di un qua-dro d’orientamento per lo sviluppo sostenibile ela cooperazione internazionale valido per i pros-simi quindici anni. Dopo un processo di consul-tazione senza precedenti e durato quasi tre anni,che ha coinvolto i governi, la società civile, leONG e le aziende, gli Stati si sono accordati su 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) e 169Sotto-obiettivi da raggiungere entro il 2030. «L’Agenda 2030 è molto ambiziosa. Se riusciamoa raggiungere tutti gli obiettivi, il mondo sarà veramente un po’ migliore», ribadisce MichaelGerber, incaricato speciale del Consiglio federalee responsabile dei negoziati della delegazione sviz-zera per l’Agenda 2030.

Triangolo della sostenibilitàAl giro di boa del 21° secolo, le Nazioni Unite ave-vano adottato Otto obiettivi di sviluppo del mil-lennio (OSM). Il programma ha permesso di rag-

giungere alcuni importanti traguardi, come indi-cato nel rapporto 2015 dell’ONU. È stato possi-bile, per esempio, ridurre significativamente la po-vertà estrema o raggiungere l’uguaglianza di ge-nere a livello d’istruzione nei Paesi in via disviluppo. La comunità internazionale si è resa tuttavia conto che era necessario ampliare questo partenariato globale con un piano d’azione visio-nario con cui affrontare le sfide dell’umanità.

Misurare la sostenibilitàMONET (Monitoring derNachhaltigen EntwicklungMONET) è un sistema na-zionale di indicatori permonitorare lo sviluppo so-stenibile in Svizzera. Tra i75 indicatori ci sono, peresempio, quelli che descri-vono la concentrazione diozono, la qualità ecologicadel bosco o che fornisco-no informazioni sui reativiolenti. Sulla base di que-sti dati vengono elaboratiregolarmente dei rapportisulla situazione attuale e sull’evoluzione dello sviluppo sostenibile inSvizzera. Nell’ultima pub-blicazione si indica, peresempio, che tra il 1992 eil 2007 la speranza di vitain buona salute è aumen-tata di 5 anni per le donne,di 5,5 anni per gli uomini,mentre la percentuale dellapopolazione che esercitaun’attività a titolo volonta-rio è passata dal 40 percento nel 2000 al 33 percento nel 2013. www.bfs.admin.ch (chiavedi ricerca: MONET)

La Svizzera ha partecipato sin dall’inizio alla for-mulazione dell’Agenda 2030, fornendo in parti-colare un sostanziale contributo sui temi acqua, pa-rità di genere, salute, pace e sicurezza. È con sod-disfazione che Michael Gerber guarda ai risultaticonseguiti dalla delegazione svizzera, soprattuttoall’obiettivo 6 volto a garantire la sicurezza idricaper tutti. «L’OSS 6 porta chiaramente la firma del-la Svizzera. Il testo definitivo è quasi identico allaproposta elvetica», ricorda l’ambasciatore. Dal can-to suo Eva Schmassmann, esperta di politica di svi-luppo presso Alliance Sud, parla di un «cambia-mento di paradigma». «Gli OSM hanno affronta-to solo i sintomi, mentre gli OSS puntano allaradice dei problemi. Per esempio, la lotta alla po-vertà non può essere dissociata dalla questione am-bientale». Se gli OSM possono essere considerati una sortadi cerotto da applicare ai mali sociali del mondo,gli OSS sono invece la medicina che cura i sinto-mi. L’Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibilepoggia su tre pilastri fondamentali o su un trian-golo della sostenibilità, ai cui vertici ci sono la di-mensione sociale, economica e ambientale. Ciòimplicherà un cambiamento nel modo di gestirel’aiuto allo sviluppo. Il ventaglio di temi verso cuisi dovrà orientare la cooperazione internazionale

Una bidonville nella periferia di Mumbai, in India (a sinistra). Per sconfiggere definitivamente la povertà estrema, la comunità internazionale ha elaborato l’Agenda 2030. Questo piano d’azione è stato adottato dai capi di Stato e di governo nel settembre 2015 nella sede delle Nazioni Unite di New York (in alto).

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Trattato controversoDal luglio 2013, l’Unioneeuropea (UE) è impegnatanei negoziati per un ac-cordo per il commercio e gli investimenti con gli Stati Uniti, noto comePartenariato transatlanticoper il commercio e gli inve-stimenti (TTIP), che cre-erebbe la più grande zonadi libero scambio al mon-do. Stando alla Commis-sione europea, l’intesa ri-lancerebbe l’economia efavorirebbe la creazione diposti di lavoro. Per i critici,questo trattato rischia in-vece di frenare i progressipromossi dall’Agenda2030, poiché metterebbein discussione gli standardinternazionali volti a pro-teggere la salute, la sicu-rezza e l’ambiente. Peresempio, gli USA ricono-scono solo due delle ottonorme fondamentalidell’Organizzazione inter-nazionale del lavoro. Comechiedere ai Paesi del Suddi rispettare queste regole,se non sono applicatenemmeno a Nord, si inter-rogano i contrari all’intesa.

grammi di alimenti ancora commestibili, un malcostume che mal si sposa con la sostenibilità.«L’Agenda 2030 non definisce più soltanto ciò chei Paesi donatori intendono fare per i Paesi del Sudo ciò che questi ultimi dovrebbero fare per favo-rire il loro sviluppo grazie al sostegno che giungeda Nord. L’Agenda 2030 affronta i problemi cheinteressano l’intero pianeta», illustra Gerber.

Concorso di bellezzaPer qualcuno l’Agenda 2030 ha messo l’asticella tal-mente in alto da essere irraggiungibile, per altri èinvece un piano d’azione utopico e contraddito-rio. L’hanno definita una «vana promessa» o «paro-le vuote» poiché il documento non è vincolanteper gli Stati che lo hanno sottoscritto. Per Boni-face Mabanza, esperto di politica di sviluppo presso la Kirchliche Arbeitsstelle Südliches Afrika (KASA), il testo è intriso di retorica ed è lontanodalla realtà. «Da una parte le Nazioni Unite firma-no un piano visionario, dall’altra l’UE e gli StatiUniti negoziano un’intesa per un Partenariatotransatlantico per il commercio e gli investimenti(TTIP) che rimette in discussione le conquiste sociali ed ecologiche degli ultimi decenni».Nonostante le aspre critiche sono in molti a cre-dere che l’Agenda 2030 farà nascere un cosiddet-to «concorso di bellezza» tra Paesi. È successo congli Obiettivi di sviluppo del millennio e ci si au-

sarà molto più ampio e articolato. Forse anchetroppo ampio, sostengono i critici. Secondo que-sti ultimi, c’è il rischio che gli Stati e altri attoriscelgano gli OSS più facilmente realizzabili, noncurandosi degli altri.

Obiettivi universaliL’altra grande novità dell’Agenda 2030 è l’uni-versalità degli OSS. «Sono validi sia a Nord che aSud», evidenzia Michael Gerber. «Tutti i Paesi de-vono fare la loro parte per raggiungere questiobiettivi». Che cosa significa concretamente? GliOSS dovranno essere declinati dai singoli Stati nel-l’ambito di strategie e piani d’azione nazionali. Peresempio, l’OSS 1 non chiede soltanto di sradica-re completamente la povertà estrema nel mondo,bensì di dimezzare entro il 2030 la povertà in tut-ti i Paesi. Per la Svizzera significa ridurre della metàil numero di persone che vive in condizioni di povertà. Nel 2012 erano circa 590000, secondo ladefinizione data a questo fenomeno nella Confe-derazione. L’OSS 2 intende migliorare l’alimenta-zione. Per i Paesi più poveri vuol dire adottare mi-sure per lottare contro la fame e la malnutrizione,mentre per i Paesi emergenti o ricchi lanciare ini-ziative volte a ridurre la cattiva alimentazione e ilsovrappeso. L’OSS 12 invita a creare dei modellidi consumo sostenibili. Oggi, ogni persona inSvizzera getta quotidianamente in media 320

Durante l’incontro della gioventù, tenuto a Londra nel settembre scorso, un centinaio di giovani ha discusso sull’avve-nire del mondo alla luce degli Obiettivi di sviluppo sostenibile.

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Alessio M

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Agenda 2030

Una raccoglitrice di rifiuti nei quartieri periferici di Katmandu, la capitale del Nepal. Per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile non basterà lottare contro la povertà, ma si dovranno anche risolvere i problemi ambientali.

numero esatto di persone morte di malaria. Comefaranno gli Stati a misurare degli indicatori com-plessi, come la biodiversità o il buongoverno?», sichiede Andreas Weber, incaricato di programmanel gruppo di lavoro post-2015 della DSC. Il processo di controllo e di analisi si svolgerà sutre livelli: nazionale, regionale e globale. I singoliStati saranno chiamati a scrivere dei rapporti na-zionali con cui renderanno conto dei risultati rag-giunti alla popolazione e al parlamento. In un se-condo tempo si dovranno creare delle piattafor-me regionali per confrontare successi e insuccessi,favorendo così un cosiddetto apprendimento trapari. Poi ogni anno a livello globale ci sarà una va-lutazione nell’ambito del Forum politico di altolivello sullo sviluppo sostenibile (HLPF). Infine perdare maggiore risalto mediatico ai progressi del-l’Agenda 2030, a scadenza quadriennale, l’HLPFsi riunirà durante l’Assemblea generale dell’ONU. È questa l’impalcatura dell’Agenda 2030 per unosviluppo sostenibile. Reggerà al vento di fronda?E sarà sorretta dalla volontà politica? Me lo augu-ro. Nel 2030 mia figlia avrà vent’anni e vorrei con-segnarle un mondo migliore. ■

Un pianeta non bastaSe tutti gli abitanti dellaTerra vivessero secondo iltenore di vita degli svizzeri,l’umanità avrebbe bisognodi 2,8 pianeti per soddi-sfare i propri bisogni. Èquanto indica il LivingPlanet Report 2014 delWWF in cui viene presen-tata l’impronta ecologicadella popolazione di ognisingolo Stato. In altre pa-role, il consumo in Svizzeraè quasi tre volte superiorealla produzione di risorsedella Terra nello stesso pe-riodo di tempo. A livelloglobale sarebbe necessa-ria una Terra e mezza. Ciòsignifica, per esempio, chein questo momento si ta-gliano più alberi di quantiricrescano o che si sot-traggono più pesci diquanti il mare sia in gradodi generare. Sul lungo pe-riodo, questa situazioneprovocherà la perdita dibiodiversità, fame e unprogressivo cambiamentoclimatico, sostiene il WWF.www.wwf.ch (chiave di ri-cerca: Living Planet Report)

gura che ciò avvenga anche con gli OSS. Per i pros-simi quindici anni, l’Agenda 2030 sarà il quadrodi orientamento per tutta una serie di attori: nonsolo per i governi, bensì anche per le ONG e i mo-vimenti sociali, che brandiranno questa promessaper lottare contro le disuguaglianze e in favore del-l’ambiente. «Il ruolo della società civile sarà fon-damentale», ricorda Eva Schmassmann di Allian-ce Sud. «Nei prossimi anni sarà lei che dovrà met-tere sotto pressione i governi affinché trasforminoin realtà la visione firmata a New York».

Valutazione dei progressiAffinché la società civile possa imbracciare questodocumento, è necessario definire i criteri per mi-surare i progressi e conoscere il punto di parten-za per fissare il traguardo. Servono quindi dati sta-tistici attendibili e di qualità sui singoli temi e peri vari Paesi. «La raccolta di queste indicazioni è unasfida enorme», ricorda Gerber. In questo momen-to, un gruppo di lavoro della Commissione di sta-tistica delle Nazioni Unite sta formulando gli in-dicatori con cui sarà possibile monitorare i risul-tati dei singoli obiettivi e sotto-obiettivi. Lapresentazione è attesa nella primavera 2016. Si par-la di un insieme di circa 200 indicatori chiave glo-bali. «Gli indicatori dovranno fornire possibil-mente dei criteri precisi sui 169 Sotto-obiettivi.Già oggi alcuni Paesi hanno difficoltà a indicare il

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Sven Torfinn/laif

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Un solo mondo: L’anno scorso, con la Confe-renza sul finanziamento allo sviluppo di Ad-dis Abeba, con l’adozione dell’Agenda 2030e il summit sul clima di Parigi si è definitala rotta che il mondo intende seguire neiprossimi anni. Il 2015 può essere considera-to un anno storico per l’umanità?Peter Messerli: Sì, possiamo dire che il 2015 èstato un anno storico. Finora mancava una busso-la per orientare lo sviluppo sostenibile del piane-ta. Con l’Agenda 2030 e l’accordo sul clima ab-biamo un catalogo di obiettivi che perseguono lestesse finalità. Di storico c’è anche il fatto che l’Agenda 2030 è stata sostenuta dai capi di Stato edi governo del mondo e che la sua elaborazioneha coinvolto tutti, anche la società civile. Ma so-prattutto a essere storico è il compito che devesvolgere l’umanità nei prossimi 15 anni. Infatti,nessuno dei 17 obiettivi ci dà la soluzione per tra-

Peter Messerli è il diret-tore del Centro interdisci-plinare per lo sviluppo sostenibile e l’ambiente(CDE) dell’Università diBerna. L’attività di studiodel geografo si concentrasulla ricerca di sistemiuomo e ambiente in Africae Asia legati allo svilupposostenibile soggetti viepiùai cambiamenti globali.Come direttore del CDE gli sta molto a cuore il le-game tra la ricerca di altolivello qualitativo e il suoimpiego in favore dello svi-luppo sostenibile. Nel con-tempo, il CDE si impegnaaffinché i temi dibattuti a livello globale siano colle-gati alle realtà locali inSvizzera e nei Paesi in viadi sviluppo. Nel 2015,Peter Messerli ha rappre-sentato la comunità di ri-cercatori nella delegazionesvizzera che si è occupatadell’elaborazione degliOSS.

Una bussola per lo sviluppoL’Agenda 2030 non fornisce alcuna soluzione ai problemi delmondo. Solo attraverso un processo di apprendimento saràpossibile raggiungere dei successi parziali. È quanto sostienePeter Messerli, direttore del Centro interdisciplinare per lo svi-luppo sostenibile e l’ambiente dell’Università di Berna, a collo-quio con Luca Beti.

sformare in realtà la visione di un mondo miglio-re. La vera sfida comincia adesso.

Il traguardo è molto ambizioso e le difficoltàenormi. Non sarà certo facile conciliare gliinteressi economici con quelli sociali o am-bientali.Non riusciremo mai a raggiungere tutti gli obiet-tivi. Ne sono sicuro. Otterremo però dei successiparziali. Personalmente non mi soffermo sul con-tenuto dei singoli obiettivi, ma cerco di indivi-duare le relazioni e le contraddizioni tra finalitàdiverse. Dall’osservazione degli obiettivi nel loroinsieme emerge l’importante interrogativo sull’e-quilibrio tra i vari settori e gli attori coinvolti, traNord e Sud, tra l’oggi e il domani. Mi chiedo comesia possibile parlare di crescita continua dell’eco-nomia e nello stesso tempo di tutela ambientale.Nessun Paese è riuscito, per ora, a dimostrare che

Giornata di mercato in un villaggio nei pressi di Nairobi. La condivisione del sapere, detenuto dalle comunità locali, saràindispensabile per la realizzazione dell’Agenda 2030.

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Christoph

Goe

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Agenda 2030

Troppi rifiuti in SvizzeraLa maggior parte dei Paesiindustrializzati dell’OCSEnon è ancora pronta per gli Obiettivi di sviluppo so-stenibile (OSS). È quantosostiene in un’analisi laFondazione tedescaBertelsmann. Quest’ultimaha paragonato i 34 Statidell’OCSE sulla scorta di 34 indicatori legati ai 17 OSS. I Paesi nordiciSvezia, Norvegia, Danimar-ca e Finlandia, seguiti dallaSvizzera, sono in testa allaclassifica elaborata me-diante un confronto incro-ciato. Anche se sulla buonastrada verso il raggiungi-mento degli OSS entro il2030, in alcuni ambiti laSvizzera ha ampi marginidi miglioramento, peresempio, per quanto ri-guarda la riduzione dellaproduzione di rifiuti. Con712 chilogrammi pro ca-pite è nettamente sopra la media degli Stati OCSEed è superata soltanto daDanimarca (751 kg) e StatiUniti (725 kg).www.bertelsmann-stiftung.de (chiave di ricer-ca: Nachhaltigkeitsziele)

è possibile ridurre il consumo energetico o leemissioni di CO

2, favorendo contemporaneamen-

te lo sviluppo economico. La soluzione di questiinteressi contrapposti non va cercata a livello glo-bale, bensì in ambito regionale o locale. Anche seil piano d’azione rimane uguale per tutti, ogni Pae-se deve sviluppare iniziative proprie per raggiun-gere gli obiettivi dell’Agenda 2030.

Siccome l’Agenda 2030 non fornisce anco-ra delle soluzioni, dove le devono cercare icapi di Stato e di governo per ottemperareal loro impegno?Alcuni problemi sono talmente complessi che ri-chiedono soluzioni altrettanto articolate. Per tro-vare il bandolo della matassa bisogna coinvolgerevari attori. La chiave non va cercata soltanto nel-le innovazioni tecnologiche, nella comunità scien-tifica, in quella politica o nel settore privato. È ne-cessario dare inizio a un concorso di idee, in cuiil sapere – e lo dico come ricercatore – deve ave-re un ruolo trainante. Se parlo di sapere non in-tendo unicamente quello conservato nelle uni-versità o nei libri, bensì mi riferisco anche al ba-gaglio di esperienze delle persone pratiche ecustodito nelle singole comunità locali. La sfidamaggiore è raccogliere e condividere queste co-noscenze e competenze per avviare un processod’apprendimento capace di favorire lo sviluppo disoluzioni innovative, nate da un insieme di visio-ni e punti di vista diversi.

Gli obiettivi dell’Agenda 2030 hanno valoreuniversale. Secondo lei che cosa significaconcretamente per la Svizzera?La Svizzera fa parte di un sistema estremamenteglobalizzato. Stando a uno studio, l’86 per centodi tutti i prodotti che ci circondano proviene dal-l’estero. Ciò significa che abbiamo delle responsa-bilità enormi nei confronti degli Stati in cui sonorealizzati i nostri beni di consumo. È una respon-sabilità che non ci siamo però ancora assunti; lenostre leggi si fermano spesso ai confini naziona-li. La sfida futura sarà di colmare il divario tra lenostre regole del gioco e l’impatto del nostro agi-re a livello globale. In questo ambito la Svizzerapuò e deve fare la sua parte.

Ma la società civile sarà disposta ad accet-tare leggi più restrittive, rinunciando così aparte del proprio benessere?Nei prossimi 15 anni abbiamo la possibilità di darevita a processi capaci di modificare molte cose. Peril momento la società non ha ancora riconosciu-to questa enorme opportunità, anche perché sonoin pochi a conoscere l’Agenda 2030 per uno svi-

luppo sostenibile. È importante che ora il dibatti-to, che si è svolto finora solo tra esperti e capi diStato, coinvolga tutti. La sensibilizzazione della po-polazione sarà uno dei primi importanti compitia livello nazionale. Basti pensare al carrello dellaspesa. Lo scontrino che riceviamo alla cassa è spes-so più importante della scheda di voto che met-tiamo nell’urna. Abbiamo, la possibilità di fare del-le scelte che possono cambiare il mondo.

Se analizziamo lo spreco di cibo, il consu-mo energetico, le emissioni di CO

2, la Sviz-

zera ha ancora molta strada davanti.Proprio così. Se consideriamo questi aspetti, pos-siamo chiederci se la Svizzera non sia un Paese invia di sviluppo. È una domanda che deve farci ri-flettere. Se dovessimo passare in rassegna i 17obiettivi, sarebbe interessante vedere quale pagel-la riceverebbe la Svizzera. Di sicuro, anche i Pae-si del Nord devono fare la loro parte e rimboc-carsi le maniche per raggiungere gli Obiettivi disviluppo sostenibile entro il 2030. ■

La discarica di rifiuti di Dandora, a Nairobi, è uno dei luo-ghi più contaminati del pianeta.

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La parità di genere interessa tuttiSe il mondo non raggiunge l’uguaglianza di genere viene vani-ficata la visione di un futuro migliore. L’Obiettivo di sviluppo so-stenibile numero 5 è fondamentale per realizzare l’Agenda 2030perché interessa donne e uomini, sia a Nord che a Sud.

(lb) In Ruanda quasi il 64 per cento sono donne,in Bolivia sono più del 53 per cento, mentre aCuba sono poco meno del 49 per cento. Non stia-mo parlando di donne vittime di abusi sessuali odi discriminazione sul posto di lavoro. Sono le per-centuali di donne che nel novembre 2015 occu-pavano una poltrona nei parlamenti dei rispettiviPaesi. Se Ruanda, Bolivia e Cuba si trovano al 1°,2° e 4° posto della classifica mondiale delle quo-te rosa nei legislativi nazionali, dopo le elezioni fe-derali del 18 ottobre 2015, con il 32 per cento, laSvizzera si trova al 28° posto, tra El Salvador e Al-geria. E chi l’avrebbe mai detto che la Svizzera,Paese sviluppato, avesse qualcosa da imparare daStati del Sud; eppure in questo ambito è propriocosì. «Dobbiamo abbandonare l’idea che il Nordsia il maestro e che il Sud sia lo scolaro che devesvolgere i compitini», ricorda Lenni George, esper-ta in progetti di sviluppo legati alla parità di ge-nere presso la società di consulenza The Develop-ment Alchemists.

Verso i cambiamenti strutturaliIl cambiamento di paradigma sta proprio lì. GliObiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) sono uni-versali, sono valevoli a Nord come a Sud. È cosìanche per l’obiettivo numero 5 con cui l’ONUinvita gli Stati a raggiungere l’uguaglianza di ge-nere e l’autodeterminazione di tutte le donne eragazze. Un sotto-obiettivo, il numero 5.5, chiedeche le donne abbiano accesso secondo un princi-pio di parità alle funzioni di direzione a tutti i li-velli decisionali, nella vita politica, economica epubblica. E rispetto a un’equa rappresentanza inpolitica, lì dove vengono definite le regole per sra-dicare la disuguaglianza tra uomo e donna, anchel’Europa, come il resto del pianeta, ha molta stra-da da fare. Quello di accrescere la presenza delledonne nei consessi che contano è uno dei novesotto-obiettivi legati alla parità di genere che la co-munità internazionale intende raggiungere entroil 2030 ed è stato uno dei pilastri su cui ha pog-giato l’impegno della delegazione Svizzera nell’e-

L’Obiettivo di sviluppo sostenibile n. 5 mira al raggiungimento della parità di genere. Affinché ciò sia possibile sarà necessario coinvolgere anche gli uomini. Nell’immagine un’associazione di piccoli contadini in Tanzania.

Passi avanti grazie agli OSMNel rapporto 2015 sugliObiettivi di sviluppo delmillennio (OSM), le NazioniUnite indicano che si sonoregistrati vari successi perquanto riguarda l’obiettivo3 volto a promuovere laparità dei sessi e l’autono-mia delle donne. Rispettoal 2000, le regioni in via disviluppo hanno eliminato ladisparità di genere nell’in-segnamento ai livelli ele-mentare, secondario e su-periore. Nel 2015, il 41 percento dei lavoratori remu-nerati in settori non agricolierano donne, rispetto al 35per cento nel 1990. Inoltre,tra il 1991 e il 2015, il nu-mero di donne che occu-pavano posti di lavoro pre-cari è sceso di 13 puntipercentuali. Nel 2015, ledonne erano rappresen-tate nel 90 per cento deiparlamenti di 174 Stati.Anche se negli ultimi quin-dici anni il numero di seggioccupati da donne è rad-doppiato, con una quotamedia del 20 per centoqueste ultime sono netta-mente sottorappresentate.www.un.org (chiave di ri-cerca: millenniumgoals)

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Agenda 2030

Conquiste e disparità In Svizzera, negli ultimiventi anni si sono registrativari progressi per quantoriguarda la parità fra donnae uomo. Sono stati resipossibili, fra l’altro, grazieall’entrata in vigore dellalegge federale sulla paritàdei sessi nel 1995, a varievotazioni popolari, tra cuiricordiamo quelle sulla de-penalizzazione dell’interru-zione della gravidanza nelleprime dodici settimane, e sul congedo maternitàretribuito, e al fatto che laviolenza domestica è per-seguibile d’ufficio. A questisuccessi si contrappon-gono ancora varie disparitàdi genere. Una di queste èquella salariale. Standoall’Ufficio federale di stati-stica, nel 2012 le donnehanno guadagnato il 16,5per cento in meno rispettoagli uomini nel settore pub-blico e il 21,3 per cento inmeno in quello privato. www.ebg.admin.ch

laborazione del nuovo piano d’azione delle Na-zioni Unite.Nonostante i progressi registrati con gli Obiettividi sviluppo del millennio (OSM), le donne sonoancora discriminate in vari ambiti: sono maggior-mente colpite dalla povertà, spesso hanno un’assi-stenza sanitaria non adeguata, hanno difficoltà adaccedere ai servizi e alle risorse finanziarie e meno

diritti rispetto agli uomini. «Con l’Agenda 2030si vogliono affrontare i problemi alla radice», illu-stra Ursula Keller, responsabile della questione delgenere presso la DSC. «L’obiettivo numero 3 de-gli OSM ha dato visibilità alle disparità tra uomoe donna, ma non ha promosso i cambiamentistrutturali». La violenza contro le donne è, peresempio, un fenomeno strutturale, contro cui lacomunità internazionale intende ora lottare. Perquesto motivo ha formulato un sotto-obiettivo pereliminarla sia dalla vita pubblica sia da quella pri-vata. Per farlo, non basta però puntare sulla di-mensione sociale – questo è uno degli insegna-menti tratti dagli OSM – bensì si devono consi-derare anche gli aspetti economici, ecologici e lapartecipazione politica.

Far salire a bordo gli uomini«La promozione dell’uguaglianza di genere vaavanti a rilento poiché viene guardata come unaquestione a se stante», sostiene Stella Jegher, esper-ta di diritti delle donne e questioni di genere pres-so Amnesty International Svizzera. Per raggiungerel’obiettivo, il mondo politico ed economico, non-ché la società civile sono chiamati a far fronte co-mune contro questo fenomeno. Molto dipenderàdalla pressione che si saprà esercitare dall’alto e dalbasso sui governi dei vari Stati affinché sviluppi-

no dei programmi incisivi e mettano a disposizionei fondi necessari per raggiungere lo scopo. Un al-tro aspetto fondamentale sarà il coinvolgimentodella popolazione, soprattutto di quei gruppi dipersone discriminati ed esclusi. Ma di sicuro è unprocesso di trasformazione a cui devono parteci-pare anche gli uomini; solo con loro sarà possibi-le sradicare stereotipi, modelli e ruoli tradizionali

Le donne sono in media più povere degli uomini e hanno più difficoltà a ottenere dei crediti. A Johannesburg, in Sudafrica,la piccola Enovie, di dieci anni, va a prendere l’acqua. A Naivasha, in Kenya, Radja gestisce un negozio di cellulari.

nella società. «È imperativo avere a bordo gli uo-mini, anche in Svizzera», evidenzia Ursula Keller.Per trasformare in realtà il documento visionarioelaborato dalle Nazioni Unite, sarà necessario tor-nare sul campo con la lente della nuova agenda perindividuare e capire le radici delle disparità tra ge-neri nei vari contesti culturali e regionali, lascian-do un certo margine d’azione ai singoli Stati, sen-za tollerare però che i diritti umani siano calpe-stati. «Le conquiste delle donne non si toccano»,dice con convinzione Ursula Keller. «La violenzacontro le donne nella vita privata è anche una for-ma di violenza, in tutto il mondo». All’indomani dei bei discorsi, tutti i Paesi sonochiamati a un esame di coscienza e ad attuare del-le politiche coerenti; ciò vale anche per la Svizze-ra. «La DSC promuove degli ottimi progetti lega-ti alla parità di genere, ma le attività economichedelle aziende elvetiche non sempre si orientano aqueste priorità», denuncia Stella Jegher. L’universalità degli obiettivi mette i Paesi del Norde del Sud sullo stesso livello, su cui si dovrebbe,idealmente, instaurare un dialogo tra pari, ancheper quanto riguarda l’uguaglianza di genere. L’o-biettivo numero 5 è un diritto che interessa l’u-manità intera e da cui dipende la realizzazione di una visione: l’Agenda 2030 per uno svilupposostenibile. ■

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(lb) Servono ogni anno dai 5000 ai 7000 miliardidi dollari americani per finanziare l’Agenda 2030per uno sviluppo sostenibile. È quanto indica il rap-porto mondiale sugli investimenti 2014 della Con-ferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo svi-luppo (UNCTAD). A titolo di paragone, la Con-federazione ha registrato 64 miliardi di franchi diuscite nel 2014, un’inezia se paragoniamo questacifra all’importo necessario per la realizzazione de-gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS).Tra questi obiettivi ricordiamo, per esempio, la lot-ta contro il cambiamento climatico. Al momento,gli investimenti annuali nelle infrastrutture, nelleenergie rinnovabili, nella ricerca e nello sviluppodi tecnologie rispettose del clima volti a limitare ilsurriscaldamento terrestre ammontano a circa 170miliardi di dollari. Nel lasso di tempo 2015-2030servirebbero annualmente fino a 850 miliardi. Ciòsignifica che a mancare all’appello per quest’unico

Per finanziare uno sviluppo sostenibile il settore privato dovrà essere un attore molto più attivo rispetto a oggi.Nell’immagine un quartiere periferico nello Stato indiano di Harayana.

A caccia di miliardi per lo sviluppo L’Agenda 2030 è un piano ambizioso. Per realizzarlo servonomigliaia di miliardi. Ad Addis Abeba, la comunità internaziona-le ha cercato nuovi modelli di finanziamento, facendo alcunipassi avanti. Sarà il futuro a dirci se le misure adottate baste-ranno per colmare l’attuale lacuna tra desideri e realtà.

obiettivo sarebbero 680 miliardi. La comunità in-ternazionale dove intende trovare questi soldi?

L’aiuto pubblico non bastaLa risposta a questo e ad altri interrogativi è statacercata ad Addis Abeba nell’ambito della terzaConferenza internazionale sui finanziamenti allosviluppo, tenuta nel luglio 2015. Durante i nego-ziati svoltisi prima di questo incontro, i rappresen-tanti del mondo politico, della società civile, del-l’economia privata e della scienza di tutto il mon-do hanno discusso su vari possibili modelli perassicurare le risorse necessarie allo sviluppo soste-nibile. A conclusione dei quattro giorni di confe-renza, i partecipanti hanno trovato un’intesa su va-rie soluzioni, tra cui ricordiamo la mobilitazionedi mezzi finanziari nei Paesi stessi, un maggiore co-involgimento dell’economia privata, il rafforza-mento dell’innovazione e il trasferimento di te-

Meno soldi per l’aiutoallo sviluppoIl Consiglio federale hapresentato in ottobre ilprogramma di stabilizza-zione 2017-2019, elabo-rato per frenare l’indebita-mento della Confedera-zione. Il governo proponedi ridurre le uscite all’annofino a un miliardo di franchia partire dal 2017. L’aiutoallo sviluppo rischia di es-sere particolarmente toc-cato da queste misure dirisparmio. Alla voce «rela-zioni con l’estero e la co-operazione internazionale»viene indicata una possi-bile riduzione di 150 milionidi franchi nel 2017, di 210milioni nel 2018 e di 250milioni nel 2019. Nel qua-driennio 2016-2020, laConfederazione dovrebbequindi destinare circa lo0,47 per cento del pro-dotto nazionale lordo allacooperazione allo sviluppo,mancando quindi l’obiet-tivo fissato nel 2011 dalleCamere federali di portarel’aiuto pubblico allo svi-luppo allo 0,5 per cento.

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Agenda 2030

Negoziati sull’Agenda 2030. In senso orario: sede centrale dell’ONU a New York; conferenza stampa del segretario ge-nerale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon; il capo della delegazione svizzera Michael Gerber; partecipanti alle trattative.

cnologie, il sostegno di nuovi modelli di finanzia-mento pubblico-privati, l’intensificazione della co-operazione internazionale in materia fiscale, la re-stituzione degli averi di potentati o la riduzionedelle tasse di trasferimento delle rimesse dei mi-granti.«L’aiuto pubblico allo sviluppo classico non bastapiù, anche se rimane importante per i Paesi in via

di sviluppo, soprattutto per quelli più poveri, per-ché proprio per questi ultimi è difficile mobilitarealtrove delle risorse economiche», spiega MichaelGerber, responsabile delle trattative della delega-zione svizzera sull’Agenda post-2015 e sul finan-ziamento dello sviluppo. Nel 2014, i Paesi dell’OCSE hanno destinato all’aiuto pubblico allo svi-luppo 135 miliardi di dollari americani. Nonostantegli Stati abbiano riaffermato ad Addis Abeba la pro-messa di destinare lo 0,7 per cento del prodotto na-zionale lordo (PNL) al finanziamento della coope-razione internazionale, sono ben pochi quelli chela rispettano. Con una quota pari allo 0,5 per cento del PNL nemmeno la Svizzera raggiungequesto obiettivo, anche se intende farlo in futuro.«A causa della difficile situazione congiunturale in Europa, più che un aumento ci dobbiamo attendere dei tagli all’aiuto allo sviluppo», sostieneBoniface Mabanza, esperto di politica di sviluppo

presso la Kirchliche Arbeitsstelle Südliches Afrika(KASA) a Heidelberg.

L’alchimia tra profitto e sostenibilitàSe l’aiuto pubblico è fondamentale, quello priva-to è indispensabile. Quest’ultimo è chiamato adavere un ruolo attivo nel raggiungimento dell’A-genda 2030. Le imprese dispongono delle risorse

necessarie per favorire lo sviluppo, creando postidi lavoro, trasferendo tecnologie innovative, ricer-ca e capitali. In questo momento, il settore priva-to investe circa 900 miliardi di dollari negli ambi-ti degli OSS; ne servirebbero 1600 miliardi. Unalacuna difficilmente colmabile, anche se gli attoridel mondo economico hanno già individuato l’im-portanza dell’Agenda 2030. Le ditte sono consape-voli che non c’è crescita sul lungo termine nei Pae-si in cui regna la povertà e l’ambiente è sacrifica-to sull’altare del dio denaro. Inoltre, la mancanza diuno Stato di diritto, la violenza e la corruzione sonouno spauracchio degli investimenti provenientidall’estero, sia quelli pubblici sia quelli privati.«Ma com’è possibile far convivere la redditività conla dimensione sociale e ambientale degli OSS?», siinterroga Peter Messerli, direttore del Centro in-terdisciplinare per lo sviluppo e l’ambiente del-l’Università di Berna. Interrogativo su cui ci si è

Lotta all’ottimizzazionefiscaleNegli ultimi due anni,l’Organizzazione mondialeper la cooperazione e losviluppo (OCSE), su man-dato dei G-20, ha elabo-rato complessivamente 15 misure che dovrebberolimitare l’ottimizzazione fiscale praticata dalle multi-nazionali internazionali.Grazie al nuovo piano d’a-zione, il cosiddetto BaseErosion and Profit Shifting(BEPS), le aziende sarannochiamate a versare le im-poste nei Paesi in cui ge-nerano i loro redditi, evi-tando così che una granparte dei loro profitti fini-scano nei paradisi fiscali.Stando all’OCSE, gli Statiperderebbero ogni annotra i 100 e i 240 miliardi didollari americani a causadell’evasione fiscale legaledelle multinazionali.www.oecd.org (chiave diricerca: BEPS)

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chinati ad Addis Abeba, dove sono stati fissati i ca-pisaldi delle regole del gioco, la cui applicazionespetta ora agli Stati. Queste norme non sono peròsufficientemente incisive per i rappresentanti del-la società civile. «È un’illusione puntare sul settoreprivato e augurarsi che esso cambi il suo modelloeconomico su base volontaria», sostiene EvaSchmassmann, esperta di politica di sviluppo pres-so Alliance Sud. «Le nazioni industrializzate – le faeco il congolese Boniface Mabanza – creano lecondizioni quadro ideali affinché le loro impresepossano generare dei profitti nei Paesi in cui sonoattive, senza vincolarle però al rispetto ambientaleo agli standard sociali minimi».

Passi avanti, ma il traguardo è lontanoUno studio dell’Istituto di ricerca americano Glo-bal Financial Integrity indica che nel 2012 il flus-so di denaro illecito dai Paesi del Sud a quelli delNord ha raggiunto la cifra record di oltre 991 mi-liardi di dollari americani. È una somma undici vol-te maggiore rispetto all’aiuto pubblico allo svilup-po di quell’anno. E proprio i flussi finanziari e laquestione fiscale hanno tenuto banco durante i ne-goziati ad Addis Abeba. Per controllare questa fugadi denaro, i Paesi in via di sviluppo e quelli emer-genti, uniti nel gruppo dei G77, chiedevano la crea-zione di un organismo intergovernativo sulla co-operazione fiscale sotto l’egida dell’ONU. Le na-zioni industrializzate hanno bloccato questaproposta, in favore del mantenimento dell’esisten-te comitato di esperti dell’Organizzazione per lacooperazione e lo sviluppo (OCSE). «Ad AddisAbeba si è deciso che era meglio accordare mag-

giore influsso ai G77 all’interno dell’attuale con-sesso dell’OCSE, piuttosto che creare un doppio-ne», ricorda Michael Gerber.Da Nord a Sud fluiscono invece le rimesse dei mi-granti. Anche queste risorse sono ritenute fonda-mentali per il finanziamento dell’Agenda 2030. Se-condo le stime della Banca mondiale, nel 2015 lerimesse destinate alle famiglie nei Paesi in via disviluppo dovrebbero raggiungere i 454 miliardi didollari, pari a quasi quattro volte l’aiuto pubblicoallo sviluppo. È una cifra importante e in costantecrescita. Nel 2014 si è registrato un incremento parial 5 per cento rispetto all’anno precedente. La co-munità internazionale intende ridurre al 3 percento entro il 2030 gli enormi costi di transizio-ne, oggi quantificati a quasi il 20-25 per cento. EvaSchmassmann nutre però qualche riserva sull’uti-lizzo di capitali privati per il finanziamento degliOSS: «Spetta ai migranti e ai familiari rimasti a casadecidere sull’utilizzo di questi soldi». Opinionecondivisa da Michael Gerber. Egli ricorda tuttaviache buona parte delle rimesse viene già oggi inve-stita da molte famiglie nello sviluppo, ossia nell’e-ducazione, nella salute o per avviare un’attivitàprofessionale. Durante la terza Conferenza internazionale sui fi-nanziamenti allo sviluppo non si è trovato l’uovodi Colombo e nemmeno sono state elaborate ri-cette rivoluzionarie per trasformare in realtà l’A-genda 2030. «Tuttavia è stato possibile fare dei pas-si avanti in vari ambiti e inviare degli importantisegnali politici», conclude Michael Gerber. ■

Per i Paesi poveri, l’aiuto pubblico allo sviluppo sarà molto importante anche in futuro. Nell’immagine alcune vittime delterremoto della primavera 2015 in Nepal.

Averi di provenienza illecitaNegli ultimi venti anni, laSvizzera ha restituito aiPaesi di provenienza fondidi potentati per circa 1,8miliardi di dollari statuni-tensi. Nel 2013, il governosvizzero ha presentato unnuovo progetto per una«Legge federale concer-nente il blocco e la restitu-zione di valori patrimonialidi provenienza illecita dipersone straniere politica-mente esposte», progettoattualmente in discus-sione in parlamento. Il te-sto è considerato un mo-dello a livello internazio-nale. Nonostante i pro-gressi, la Svizzera occupaancora il primo posto dellaclassifica dei paradisi fi-scali, come nel 2011 e nel2013, indica la rete diONG Tax Justice Network(TJN) nel rapporto 2015.www.dsc.admin.ch (chiavedi ricerca: potentati)

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Agenda 2030

Cifre e fatti

10. Ridurre le disuguaglianze all’interno dei e fra i Paesi11. Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri,

resilienti e sostenibili12. Garantire modelli di consumo e produzione sostenibili13. Adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti

climatici e le loro conseguenze14. Conservare e utilizzare in modo sostenibile gli oceani, i

mari e le risorse marine15. Proteggere, ripristinare e promuovere l’uso sostenibile degli

ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste,

contrastare la desertificazione, arrestare e invertire il

degrado dei suoli e fermare la perdita di biodiversità

16. Promuovere società pacifiche e inclusive orientate allo sviluppo sostenibile, garantire a tutti l’accesso alla giustizia

e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti

i livelli17. Rafforzare le modalità di attuazione e rilanciare il partenariato

globale per lo sviluppo sostenibile

1. Sradicare la povertà in tutte le sue forme e ovunque nel mondo

2. Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare l’alimentazione e promuovere l’agricoltura sostenibile

3. Garantire una vita sana e promuovere il benessere di tutti a tutte le età

4. Garantire un’istruzione di qualità inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento continuo per tutti

5. Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze

6. Garantire la disponibilità e la gestione sostenibile di acqua e servizi igienici per tutti

7. Garantire l’accesso all’energia a prezzo accessibile, affidabile,sostenibile e moderna per tutti

8. Promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti

9. Costruire un’infrastruttura resiliente, promuovere l’industria-lizzazione inclusiva e sostenibile e sostenere l’innovazione

LinkAgenda 2030 per uno sviluppo sostenibile sul sito dellaConfederazionewww.post2015.ch

Obiettivi di sviluppo sostenibile sul sito dell’ONU www.sustainabledevelopment.un.org

ONU Women, organismo dell’ONU per l’uguaglianza di generewww.unwomen.org

Obiettivi di sviluppo sostenibile

Rapporto finale sugli Obiettivi di sviluppo del millenniowww.un.org/millenniumgoals

Rapporto 2014 sugli investimenti mondiali della Conferenzadelle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (UNCTAD)www.unctad.org (chiave di ricerca: wir)

Sintesi del rapporto 2015 sui vent’anni della dichiarazione e il programma d’azione di Pechinowww.unwomen.org (chiave di ricerca: rapport de synthèse)

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Tim Dirven/Panos

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Tim Dirven/Panos

Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

ORIZZO

NTI

Nel periodo tra l’occupazione delle regioni set-tentrionali nel 2012 e la liberazione nel 2013, ilMali è stato gettato nel caos: istituzioni fragili, de-mocrazia esemplare frantumata e turismo deva-stato. In poche settimane, questo vasto Paese delSahel, situato a meridione del Sahara con una po-polazione di oltre 15 milioni di abitanti, si è tra-sformato in un malato grave, al cui capezzale è ac-corsa la comunità internazionale. Nel gennaio2013, l’intervento militare francese ha suscitatogrande entusiasmo nella popolazione. L’esultanzaha ceduto ben presto il passo ai dubbi sul futurodelle numerose etnie che compongono il mosai-co del moderno Mali: fulani, tuareg tamasheq, son-ghai, malinke, arabi, bozo e molte altre ancora.

Gettare le basi per una nuova paceIl trattato per la pace e la riconciliazione, formu-lato dopo un lungo processo negoziale tenuto adAlgeri, è stato firmato nel maggio e nel giugno2015. Questa intesa ha saputo infondere nuova

Il novembre scorso, una netta maggioranza dei delegati dell’Assemblea nazionale del Mali ha approvato una legge perfavorire la parità di genere. È stata una decisione che ha ridato speranza al Paese.

speranza nel cuore dei maliani. Molti si battono ecredono nel futuro del Paese: sono attori della so-cietà civile, artisti o intellettuali.Nonostante la cessazione delle ostilità, la situazio-ne rimane molto instabile. Infatti alcuni attentatiperpetrati prima e dopo la firma di questo accor-do hanno reso ancora più fragile e incerto il pro-cesso di pace (vedi testo a margine, pag. 20). Due articoli del trattato prevedono l’elaborazionedi una Carta per la pace e la riconciliazione. L’o-biettivo è gettare le basi per una dinamica positi-va e preparare il terreno per una conferenza di in-tesa nazionale. A ciò si aggiungono i lavori dellaCommissione per la verità, la giustizia e la ricon-ciliazione (Commission vérité, justice et réconci-liation, CVJR), che conta 15 membri, di cui mol-ti sono donne. Fra di esse ci sono anche Nina Wallett Intalou, una leader del Movimento nazio-nale di liberazione dell’Azawad (MNLA), che siimpegna a favore della pace, e la nota imprendi-trice Coulibaly Aïssata Touré.

Mali, Paese assetato di pace e dicambiamentiNonostante l’insicurezza e la continua minaccia jihadista, le comunità del Nord e del Sud del Mali vogliono rialzarsi e riap-pacificarsi. In questo Paese in piena metamorfosi, le donne e i giovani fanno sentire la loro voce per costruire l’avvenire. Di Mame Diarra Diop*.

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Mali

Mali in sintesi

NomeRepubblica del Mali

Capitale Bamako

Superficie1240192 km2

Abitanti15,3 milioni

LingueFrancese (lingua ufficiale)e bambara (più parlata)

PopolazioneUna trentina di etnie conlingue e culture proprie.Nel Sud soprattuttomande, popoli del Sudan edel Volta, nel Nord popolinomadi fulani, tuareg emauri.

Speranza di vita55 anni

Economia All’incirca l’80 per centodella popolazione vive diagricoltura. Il Paeseesporta prevalentementeoro e cotone. Il governosovvenziona la cerealicol-tura per ridurre la dipen-denza del Paese dai mer-cati mondiali.

PovertàIl Mali si situa al 176° rangodell’Indice di sviluppoumano delle Nazioni Unite.Il 77,7 per cento della po-polazione vive con meno di2 dollari al giorno.

Le donne rompono il silenzioLa CVJR, entrata in funzione nel novembre scor-so, ha tentato innanzitutto di fare luce sui molte-plici abusi commessi contro alcune comunità nel2012. Sono le donne e i giovani ad avere pagatoil tributo più alto dell’occupazione del Nord. Stu-prate, strappate ai mariti, molte hanno scelto il si-lenzio. Un silenzio che Safiatou Moulaye Haida-

ra, presidente delle donne dell’associazione Al Ca-rama (dignità, in arabo), sta cercando di romperenell’intento di aprire un nuovo varco verso la ri-conciliazione nazionale. «Oggi dobbiamo con-centrarci sullo sviluppo. Dobbiamo infondere nuo-va fiducia nella popolazione attraverso progetti cheabbiano un impatto reale sulla loro vita», spiega Sa-fiatou Moulaye Haidara. Figura emergente delmovimento femminista, l’esperta opera anche at-traverso la Rete del Mali per la prevenzione deicrimini collettivi e ha appena organizzato unagrande conferenza a Bamako sulla pace e sulla co-esione sociale tra le comunità arabe del Nord delMali. «Aiutare gli altri, i miei concittadini, mi dàuna grande soddisfazione morale», dice l’attivista.Di origini arabe, moglie dell’attuale ministro perla riconciliazione e madre di sei figli, SafiatouMoulaye Haidara ha anche altri obiettivi. Vuolecontribuire a creare mercati per le donne com-mercianti di Gao o di Timbuctù, con lo scopo digarantire loro l’autosufficienza economica. Inten-de inoltre organizzare una conferenza sul ruolodella CVJR.Oltre a queste iniziative, altri attori della societàcivile si stanno occupando della questione della ri-conciliazione nazionale. Tra di loro c’è anche Ma-riam Diallo Dramé, presidente dell’Associazionedonne leadership e sviluppo (Association FemmesLeadership et Développement,AFLED) che si im-

I giovani maliani devono imparare a lottare contro la vio-lenza ed essere messaggeri di pace.

pegna affinché i giovani maliani assumano dellefunzioni dirigenziali in ambito politico. «Per menon c’è futuro senza il coinvolgimento delle don-ne nel processo decisionale a livello nazionale», sin-tetizza la donna.

Il lungo cammino verso la riconciliazioneCirca 100000 rifugiati e sfollati non hanno anco-ra ritrovato il cammino di casa. Chi è rimasto du-rante il conflitto, oggi fa di tutto per resistere alledifficoltà quotidiane e all’aumento del costo del-la vita. È il caso, per esempio, di Fatouma Harber,docente presso l’Istituto di formazione degli inse-gnanti di Timbuctù e blogger a tempo perso.«Timbuctù è il luogo in cui mi sento più a mioagio, anche se talvolta si odono spari e i prezzi sonoschizzati alle stelle», racconta la giovane donna. Nata nella città dei 333 santi, Fatouma ha rimpa-triato i genitori emigrati nel vicino Niger. «La ri-conciliazione è un percorso lungo e tutto ciò chesi è fatto finora, si muove soltanto sulla superficie.Le comunità arabe, tuareg e molte altre fanno an-cora fatica ad avvicinarsi. Si riuniscono soltanto tradi loro», spiega così l’incertezza che regna nel Pae-se. Per Fatouma, internet e la penna sono i mezziper denunciare la realtà in Mali su «Le Blog deFaty». Uno dei suoi post è stato notato dal Dipar-timento di Stato americano. L’ambasciata degli Sta-ti Uniti ha invitato la blogger a partecipare al pro-gramma Tech Camp, un laboratorio sulle nuovetecnologie organizzato a Bamako nel 2014.

I leader politici del futuroLa ricostruzione del Mali non si gioca soltanto aNord. A Bamako, molti giovani stanno lanciandoun sentito appello per migliorare il dialogo e la tol-leranza tra maliani attraverso azioni mirate, comela collettiva «Plus Jamais ça!». «Se il mondo cam-bierà, è anche grazie ai cittadini», dice Bilaly Dicko. Questo laureato in scienze politiche èesperto in leadership e sviluppo personale, impren-ditore sociale, relatore e membro della Rete deigiovani dirigenti delle Nazioni Unite. Nato aMopti, nel Mali centrale, vuole essere d’esempioper la sua generazione. Cresciuto in una famigliamodesta, egli è stato confrontato quotidianamen-te con i valori del lavoro, dell’impegno e del me-rito, virtù inculcate dai suoi genitori. Bilaly Dic-ko ha creato «I leader di domani», un’associazio-ne che si è posta l’obiettivo di infondere ai giovanila voglia di credere nel proprio Paese. «Vogliamoformare le élite di domani. Ci sono buone proba-bilità che i leader della prossima generazione sia-no diversi, innovatori e creativi nei loro sforzi peredificare lo Stato e il suo sviluppo», indica Dicko.Per Mohamed Salia Touré, presidente del Consi-

Burkina Faso

Mauritania

Bamako

Costa d’Avorio

Guinea

Mali

Algeria

NigerSenegal

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Tim Dirven/Panos

20 Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

glio nazionale dei giovani (CNJ), la sfida consistepiuttosto nella formazione delle nuove leve. La suaorganizzazione ha appena educato quasi 400 gio-vani maliani ai valori della pace e della conviven-za. Questi «nuovi mediatori della pace» diverran-no ambasciatori per combattere l’estremismo vio-lento. E non va dimenticato il Forum internazio-nale dei giovani per la pace e la sicurezza nel Sahel,che si è tenuto nel settembre 2014; è stato un for-te segnale per volgere lo sguardo al futuro.

La cultura, arma della rinascita Al di là della sopravvivenza quotidiana e dell’ar-ringa della società civile per ancorare la riconci-liazione nazionale nei cuori dei maliani, altre ini-ziative cercano di avviare una sorta di rinascita ar-tistica e culturale nel Mali. Poiché non c’è svilupposenza cultura e viceversa, dopo una pausa di quat-tro anni la decima edizione degli Incontri di Ba-mako, conosciuti anche come Biennale africanadella fotografia, hanno dato ai giovani una vigo-rosa carica di ottimismo. «Questo appuntamentoirrinunciabile è un’autentica opportunità; ci per-mette di uscire dal quotidiano, di incontrare arti-sti e fotografi di talento», afferma Dicko, studentepresso il Conservatorio delle arti e dei mestieri diBamako. Il suo sguardo attento è caduto sull’in-credibile esposizione di Aboubacar Traoré, intito-lata «Inch’Allah». Non è forse un buon auspicioper questo fotografo maliano che ha ricevuto il

premio dell’Organizzazione internazionale dellafrancofonia? In un certo senso l’artista riconciliai maliani con loro stessi. Con i suoi ritratti di uo-mini incappucciati denuncia l’assurdità del fonda-mentalismo a causa del quale il Mali ha rischiatodi perdere la sua leggendaria ospitalità e la gioiadi vivere.Più che mai, le donne e i giovani sono in primafila per quanto riguarda i temi culturali e di so-ciopolitica e fanno sentire la loro voce. Ignorarequesta situazione significa chiudere gli occhi su unPaese assetato di cambiamenti. La legge sulla pro-mozione della parità di genere, approvata il 13 no-vembre 2015 dalla maggioranza dei deputati del-l’Assemblea nazionale, è un forte segnale di spe-ranza; quello di un Paese in piena ricostruzione eche è pronto per un domani migliore. ■

*Mame Diarra Diop è caporedattrice del settimanale«Journal du Mali» e di journaldumali.com. È presidentedell’Associazione maliana dei professionisti della stam-pa online.

(Traduzione dal francese)

L’appuntamento annuale con il Festival sur le Niger, nella città maliana Ségou, ricorda che cultura e sviluppo sono dipendenti ed interconnessi.

Una pace molto instabileLa riconquista del Norddel Mali da parte dei sol-dati francesi e maliani nel2013 ha segnato l’iniziodegli sforzi volti a ristabilirela pace. Nel 2015, questofragile processo di pace èstato scosso e bloccatoda una serie di attacchiterroristichi perpetrati nel Centro e nel Sud delPaese. Il 7 marzo unuomo armato ha aperto il fuoco sui clienti del bar-ristorante La Terrasse aBamako, frequentato daespatriati. La sparatoria hafatto cinque morti. All’iniziodi agosto, una presa diostaggi presso l’albergoByblos, a Sévaré, si èconclusa con la morte di tredici persone, tra cuiquattro assalitori. Il 20 novembre, un commandoterrorista ha attaccatol’hotel di lusso RadissonBlu, a Bamako, facendo170 ostaggi. Il bilanciodelle vittime è ancora piùpesante: 22 morti. Tutti gliattentati sono stati rivendi-cati da uno o più gruppi ji-hadisti.

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Sul campo con… Andreas Loebell, incaricato di programma presso l’Ufficio dellacooperazione svizzera a Bamako

Mali

Per il momento, il Sud del Paese è in pratica l’u-nica regione dove posso circolare liberamente.L’estate scorsa mi sono recato nella regione diBougouni per visitare un progetto di produzionedi cotone biologico che ha ottenuto risultati spet-tacolari nel coinvolgimento delle donne. Finan-ziato dalla Segreteria di Stato dell’economia

(SECO), l’iniziativa ha fissato delle quote per aiu-tare le donne ad acquistare delle carrette, un mez-zo di produzione indispensabile. Benché la mag-gior parte dei produttori sono uomini, si è deci-so che i crediti saranno concessi in parti uguali siaagli uni sia alle altre. In passato le donne doveva-no attendere che il marito non avesse più bisognodella carretta di famiglia per potersene servire. Espesso era troppo tardi per la concimazione o ilraccolto. Da quando le contadine possono acqui-stare la loro carriola, la produttività è aumentata econ essa anche il loro reddito. Ciò le ha rese piùforti e più indipendenti e ha rafforzato la loro au-tostima. ■

(Testimonianza raccolta da Jane-Lise Schneeberger; traduzione dal francese)

«Non passa settimanasenza un atto violento

perpetrato da un gruppo jihadista».

Per percorrere il tragitto casa-ufficio trascorroogni giorno un’ora nella congestione del trafficodi Bamako. In questa città, dove in vent’anni la po-polazione è più che raddoppiata, la circolazione èindescrivibile. Motociclette e automobili spunta-no da ogni dove. Per uscire indenne da questo traf-fico caotico, un amico maliano mi ha pregato diattenermi alle seguenti regole: «Non chiederti maiquale conducente abbia ragione. Evita i problemi.Se qualcuno non rispetta una precedenza, lascia-lo passare». Questi consigli mi sono stati di gran-de aiuto: dal mio arrivo nel settembre 2014 finoad oggi non ho mai avuto incidenti.

Se il traffico è il problema di sicurezza numero unoa Bamako, nel resto del Paese i rischi sono altri,forse meno visibili, ma altrettanto reali. Il trattatodi pace sottoscritto lo scorso mese di giugno nonviene ancora rispettato da tutti. Non passa setti-mana senza un atto violento perpetrato da ungruppo jihadista nel Nord del Paese. Dall’inizio del2015 le incursioni interessano anche le altre re-gioni e la capitale non fa eccezione. Oltre a ciò, lacriminalità è in forte aumento. In maniera gene-rale, la sicurezza rimane precaria, situazione che limita considerevolmente il nostro margine di ma-novra.

Il Nord e il centro del Paese sono zone pericolo-se per gli occidentali a causa dell’alto rischio di se-questro. Anche se sono il responsabile del pro-gramma di sviluppo rurale e delle economie lo-cali, non posso purtroppo visitare i nostri progettiin queste regioni. Sul posto i nostri partner lavo-rano con collaboratori maliani. Questi ultimi sonobersagli meno interessanti per i rapitori, ma cor-rono comunque dei rischi e quando si spostanodevono prendere parecchie precauzioni.

Di recente ho avuto l’occasione di partecipare aun atelier sul coordinamento degli interventi nel-le zone interessate dal conflitto. Mi ha impressio-nato vedere ex combattenti che hanno sottoscrit-to il trattato di pace riuniti attorno allo stesso ta-volo in un’atmosfera quasi serena. Qualche meseprima imbracciavano ancora il fucile e si affronta-vano sul campo mentre durante l’incontro hannodiscusso per due giorni su un interrogativo che in-teressava tutti: Come rendere di nuovo sicure que-ste zone per consentire alle scuole di riaprire, airifugiati di fare ritorno a casa e all’economia diprendere nuovo slancio? L’atelier mi ha dato nuo-va speranza. È stato un piccolo passo verso il ri-pristino della pace e della sicurezza, a cui, però, nedovranno seguire molti altri.

Sostegno multiplo dellaSvizzera Presente in Mali fin daglianni Settanta, la DSC con-centra le sue attività nelleregioni di Timbuctù (Nord),Mopti (Centro) e Sikasso(Sud). Il suo programma di cooperazione si esten-de su tre ambiti prioritari:lo sviluppo rurale e delleeconomie locali; la ge-stione pubblica locale; l’istruzione di base e la for-mazione professionale. LaDSC fornisce anche aiutoumanitario con lo scopo di assistere gli sfollati, co-stretti a fuggire dalle vio-lenze nel Nord del Paese,e altri gruppi di popola-zione vulnerabili colpiti dal conflitto. In questomomento, in Mali sono attivi anche altri Uffici dellaConfederazione. La SECOrealizza progetti di coope-razione allo sviluppo eco-nomico, mentre la Divisio-ne Sicurezza umana delDFAE è impegnata nella risoluzione dei conflitti enell’elaborazione del pas-sato.www.dsc.admin.ch(chiave di ricerca: Paesi,Mali)

DSC

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22 Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

Domenica 14 settembre 2014. Dalle rive del lagodei Quattro Cantoni, nella Svizzera centrale, tele-fono a mio cugino che vive in una piccola frazio-ne del villaggio di Tacharane, nei pressi di Gao. In-vece dei saluti di rito, mi comunica che l’interovillaggio è in subbuglio. Gli uomini stanno cer-cando otto scolare d’età compresa tra i 13 e i 15anni scomparse nelle prime ore del mattino. Nonposso fare a meno di associare l’evento a pensiericupi. Qualche mese prima, di notte al-cune granate avevano colpito la scuoladel vicino villaggio.

Mio cugino prosegue il racconto. Le ra-gazze si volevano recare nelle risaie perraccogliere foglie di kaaru, nome loca-le dato alla Aeschynomene crassicaulis, unaleguminosa acquatica. Sono salite suuna piroga per attraversare il laghettoche separa il villaggio dalla pianurasommersa. Improvvisamente si è alza-to un forte vento. Il barcaiolo ha rac-contato in seguito che mentre cercavadi controllare l’imbarcazione, le scola-re si sono precipitate verso di lui, fa-cendo così capovolgere la barca. Il gio-vane pescatore si è ritrovato in acquaavvinghiato dalle loro mani. È riuscitocomunque a trarsi in salvo. Unico su-perstite del naufragio è corso ad aller-tare gli abitanti del villaggio. Una flot-tiglia di piroghe ha rastrellato la zona;chi sapeva nuotare si è tuffato senza at-trezzatura. Nel tardo pomeriggio tuttii corpi sono stati ripescati. Ai funeralihanno partecipato anche alcuni fun-zionari venuti da Gao.

La notizia ha gettato nello sconfortouna regione già profondamente scon-volta dai drammi. Alla radio il sindacodi Gounzourèye ha denunciato la mi-seria che costringe i bambini a rischiare la vita perraccogliere piante commestibili. Al telefono miocugino mi dà la sua versione dei fatti, spiegando-mi che le ragazze volevano vendere le foglie di kaa-ru in città per acquistare i testi didattici in vista della riapertura delle scuole.

Ben presto l’emozione e la tristezza sono state scal-zate dagli interrogativi. Perché le ragazze non san-no più nuotare? In passato si trascorrevano i po-meriggi sulle rive del fiume a lavare i panni e lestoviglie, pescare e soprattutto fare il bagno. Finoagli anni Settanta, in occasione della traversata an-nuale del fiume da parte delle mandrie di bovini

Una tragedia che solleva molti interrogativisi organizzava una grande festa popolare officiatadall’harikoy, il «signore delle acque». Si era in sim-biosi con il fiume, anche durante le piene quan-do i racconti sugli attacchi dei caimani metteva-no paura alla gente. Oggi i giovani hanno persoogni legame con il fiume. Per le ragazze il divarioè ancora più ampio, loro che tanto eccellevano nelnuoto. Mio cugino ricorda che sua sorella batte-va tutti i ragazzi nella traversata.

Perché i giovani si sono allontanati daquesto fiume che tanto ha da offrire?Che cosa fare quando il nuoto non èpiù lo sport «naturale» dei giovani ri-vieraschi? Nel 2012 le donne di Gaosi sono ribellate contro il divieto dibalneazione nel Niger imposto daglioccupanti islamisti, invocando un at-tacco frontale alla comunione ance-strale con gli spiriti del fiume.

Dobbiamo introdurre lezioni di nuo-to a scuola per avvicinare di nuovo ibambini al fiume? Sembra questa lastrada da percorrere. Ma come fare?L’educazione fisica si limita a qualcheesercizio nel cortile della scuola. Or-ganizzare uscite di nuoto per 80-100allievi non sarà certo un compito sem-plice per l’unico insegnante della clas-se. Possibili soluzioni non mancano. Ese si chiedesse ai pescatori di trasmet-tere il loro sapere? Sarebbe necessarioriservare loro uno spazio nel pro-gramma scolastico.

La morte delle otto scolare ha solle-vato un interrogativo al quale non èfacile rispondere. La scolarizzazionedelle bambine è iscritta negli obietti-vi fondamentali delle Nazioni Unite.I governi mettono volentieri in bella

mostra i buoni risultati raggiunti in quest’ambito.Purtroppo la scuola si riduce troppo spesso a quat-tro mura, una lavagna e qualche banco. Gli allievitrascorrono le giornate a ripetere o a trascrivere,senza muoversi o proferire parola. E se questainerzia esercitata in classe celasse, sotto molti aspet-ti, il naufragio di massa di un’intera generazione? ■

(Traduzione dal francese)

Mohomodou Houssouba,

nato nel 1965 e cresciuto

a Gao, nel Nord-est del

Mali. Ha studiato angli-

stica a Bamako, poi

nell’Illinois, negli Stati

Uniti. Da quattordici anni

vive in Svizzera, Paese dal

quale scrive sulle enormi

trasformazioni culturali

nella società maliana.

Il suo primo libro,

Bagoundié blues, petites

lumières sur la boucle du

Niger (2003), è un saggio

geografico su Gao negli

anni Settanta, epoca

segnata da una grande

siccità e dall’emergenza

dovuta ai movimenti fon-

damentalisti del Sahel.

Houssouba vive e

lavora a Basilea.

Una voce dal Mali

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23Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

DSC

Interventi indiretti Con Horti-Sempre, la DSCintende sviluppare un si-stema di mercato. «Non interveniamo direttamentesul sistema, ma agiamopiuttosto come dei diplo-matici», spiega PierreStrauss, responsabile deiprogetti DSC nel settoreprivato e finanziario inMozambico. Anziché distri-buire le sementi, la DSCorganizza incontri fra ven-ditori di sementi e agricol-tori, convince gli investitoridell’esistenza di un mer-cato per la vendita dellepompe per l’acqua omette in contatto commer-cianti di verdura all’in-grosso e piccoli agricoltori.«Non siamo mai attori nelsistema, ma agiamo piut-tosto da mediatori e pro-motori. Ciò garantisce ilfunzionamento del mer-cato anche oltre il periodod’impegno della DSC», ribadisce Pierre Strauss.

(sas) Zainabo Abdala si alzava ogni mattina allequattro, mandava a scuola le figlie e andava a lavo-rare. Passava l’intera giornata a coltivare le sue ver-dure, trascinando secchi d’acqua dal pozzo ai cam-pi. Un lavoro che nonostante tutti i sacrifici le per-metteva a malapena di sopravvivere. Nel 2013, conl’aiuto della DSC, ha acquistato una pompa perl’acqua, una cosiddetta hip pump. «Grazie alla pom-pa irrigare i campi è ora molto più facile», raccon-ta Abdala. Oggi le bastano due ore per annaffiarele colture. Zainabo Abdala è una fra i circa 4000piccoli agricoltori nel Mozambico settentrionaleche potranno affrancarsi dalla povertà. Horti-Sempre è stato lanciato all’inizio del 2013da Swisscontact, si concluderà alla fine del 2016 eha cinque milioni di franchi svizzeri a disposizio-ne. L’iniziativa poggia su quattro pilastri: l’introdu-zione sul mercato di nuove varietà di sementi dimigliore qualità; la promozione del progetto hippump, la trasmissione da parte di esperti di cono-scenze tecniche sui metodi di concimazione e diproduzione delle piantine; la creazione di una reteformata di commercianti di verdura all’ingrosso epiccoli agricoltori.

Meno fatica e più guadagnoIl progetto è partito con il piede giusto. Nel 2014,i circa 3000 agricoltori che finora hanno aderito aHorti-Sempre hanno guadagnato in media 91 dol-lari statunitensi in più rispetto all’anno preceden-te. Una cifra notevole, considerando che il reddi-to medio annuo è di appena 300 dollari. Inoltre,sono riusciti a incrementare di oltre un terzo la pro-duzione di verdura. Così anche Zainabo Abdala chenel 2014 con la vendita di ortaggi al mercato haguadagnato il triplo rispetto all’anno precedente.«Con le entrate supplementari ho potuto ricove-rare mia madre ammalata in ospedale», racconta. Lapompa per l’acqua è stata inoltre un ottimo argo-mento per motivare altre donne a credere nell’at-tività agricola. Sette donne che alcuni anni primaavevano abbandonato la piccola cooperativa diagricoltori del villaggio desiderano ora tornare alavorare i campi. La pompa per l’acqua, di questoAbdala è convinta, è riuscita a infondere nuova spe-ranza. ■

(Traduzione dal tedesco)

Le pompe della speranzaI piccoli agricoltori del corridoio di Nacala, nel Nord del Mo-zambico, soffrono ancora a causa delle conseguenze dellaguerra civile. Il progetto Horti-Sempre, finanziato dalla DSC, liaiuta ad affrancarsi dalla povertà.

L’acquisto di un pompa per l’acqua facilita l’irrigazione delle colture. Zainabo Abdala (a destra), una produttrice di verdure, risparmia molto tempo.

Joâo

Coa

ta Zwela/DSC

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Kon

stantin Zavrazhin/gam

ma/laif

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Visioni studentesche La DSC ha convinto di-verse università a organiz-zare conferenze pubblichededicate a questo temaper sensibilizzare le nuoveleve accademiche sull’im-portanza dell’edilizia so-ciale in Georgia. Ha inoltreavviato dei concorsi, aiquali gli studenti di archi-tettura possono parteci-pare con progetti di casepopolari. Sandro Lobja-nidze è il vincitore del con-corso 2015. «Per la gentein Georgia il concetto del-l’edilizia sociale è qualcosadi completamente inedito»,dice Lobjanidze. «Comearchitetti possiamo svol-gere un’attività pionieri-stica. Combinando este-tica e funzionalità nei nostriprogetti possiamo evitareche qualcuno si debbavergognare di vivere in unacasa popolare». La suaidea: inserire gli alloggi po-polari nei palazzi normaliper favorire l’integrazionedegli inquilini.

(sas) Il sogno di un’autonomia pacifica in Georgiaè durato poco. Dopo aver dichiarato la propria in-dipendenza dall’Unione sovietica nell’aprile del1991, nelle regioni separatiste dell’Ossezia meri-dionale e in Abcasia sono scoppiati cruenti con-flitti. Circa 260000 persone sono state cacciate dal-le proprie case. Ancora oggi la metà di loro vive inalloggi di fortuna, senza speranza o possibilità di ri-tornare nei territori contesi. Fra gli sfollati vi è anche Dodo Lakia. Nel 1993,quando le truppe paramilitari hanno ucciso mi-gliaia di persone nella sua città natale Suchumi, inAbcasia, la 54enne è fuggita con il marito e le duefiglie. «Per dieci anni abbiamo vissuto sull’area diuno stabile chimico abbandonato. La nostra salutene ha risentito gravemente», racconta Lakia. Oggivive con la famiglia in un complesso di case socia-li finanziato dalla DSC a Zugdidi, città che dista circa 30 km dalla costa del mar Nero. «Qui siamofelici e al sicuro anche se nel monolocale a voltestiamo un po’ stretti».

Da proprietario a senzatettoNell’ambito del progetto «Social Housing in Sup-portive Environments» (SHSE), fra il 2007 e il 2013la DSC ha costruito in sette città 19 complessi dicase sociali con 168 appartamenti. È stata una no-vità assoluta per la Georgia, che prima del 2007 nonconosceva gli alloggi popolari. Gli immobili ap-partengono alle amministrazioni comunali locali esono messi a disposizione gratuitamente agli sfol-lati che non possono permettersi una casa. L’ini-ziativa sostiene gli sforzi del governo che nel 2007ha dichiarato ufficialmente di volere migliorare lecondizioni di alloggio degli sfollati interni. «Il pro-getto SHSE intende accelerare la chiusura degli al-loggi di fortuna e far conoscere il modello dellecase popolari anche in seno al governo», spiega Pa-trik Olsson, responsabile di programma della DSCper il Caucaso meridionale. Oltre ai profughi di guerra, anche gli anziani biso-gnosi, i senzatetto e i lavoratori occasionali appro-fittano delle nuove case sociali. Nonostante il boom

Un tetto per tutti in Georgia

Migliaia di sfollati interni vivono da decenni in alloggi di fortu-na nel Paese transcaucasico. La DSC vuole migliorare la lorosituazione e quella delle persone più vulnerabili con case so-ciali e con il lobbying a livello politico.

In Georgia sono ancora oltre 100000 le persone fuggite dall’Ossezia meridionale e dall’Abcasia che vivono in alloggi di fortuna e che attendono di trasferirsi nelle case sociali.

DSC

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Teon

a Dvali

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dell’edilizia, cui si assiste in questo momento inGeorgia, queste fasce della società non hanno al-cuna possibilità di trovare un alloggio sul mercatoimmobiliare. Gocha Khufatsaria fa parte di queiceti sociali che non possono permettersi i canonidi locazione sempre più cari. Con il suo lavoro diautista di autobus guadagna dieci lari georgiani algiorno (quattro franchi svizzeri), sempre ammesso

Hobby: padrona di casaIn Georgia, gli operatorisociali si occupano degliinquilini delle case socialicostruite dalla DSC. Il fi-nanziamento è assicuratodalle amministrazioni co-munali competenti. Inoltreogni unità abitativa si as-sume a turno per un meseun determinato incarico.Per Lamazo Kobalia tuttociò non era sufficiente. Lapensionata 68enne volevafare di più e di sua iniziativasi è assunta la gestione di due edifici sociali.«Occuparmi dei miei coin-quilini mi appaga. Sonocome una sorta di famigliatemporanea per me», rac-conta Kobalia. Lei gestiscei pagamenti, stila i piani diutilizzazione della lavande-ria, va a trovare regolar-mente i vicini e con il suocomplesso di musica po-polare porta un po’ di alle-gria nelle case.

Nelle abitazioni sociali costruite con il sostegno della Svizzera – nell’immagine a Tbilisi – vivono oltre ai profughi di guerraanche persone anziane, senzatetto e lavoratori a giornata.

che trovi lavoro. «Quando mia madre si è amma-lata gravemente, siamo stati costretti a vendere lacasa per pagare i costi delle cure mediche», raccontail 51enne. Con la famiglia si è in seguito trasferitoin una casa in affitto, che ben presto è diventatatroppo cara. Infine si è ritrovato per strada. La fa-miglia ha quindi chiesto di essere inserita sulla li-sta di attesa per le case sociali SHSE di Zugdidi eha avuto fortuna. «Qui non dobbiamo temere diessere sfrattati perché non possiamo più pagare l’af-fitto», si rallegra Khufatsaria. «Senza l’appartamen-to e senza il sostegno vicendevole che regna in que-sta casa, la nostra vita sarebbe terribile».

La difficoltà di convincere le autoritàConclusa la fase di costruzione, dal 2013 la DSCsi è concentrata sull’opera di convincimento delleautorità georgiane a favore della costruzione di casesociali. E i suoi sforzi hanno avuto successo. Il Mi-nistero per l’economia e lo sviluppo sostenibile haripreso, per esempio, gli standard di costruzione dicase sociali elaborati dalla DSC per la Georgia. L’ar-chitetto Rolf Grossenbacher di Burgdorf ha ac-compagnato quest’ultima fase del progetto SHSE,conclusa nell’aprile 2015. «Sono fiducioso riguar-do al futuro dell’edilizia sociale in Georgia. A tito-lo d’esempio, il comune di Bolnisi ha trasformatodi recente un vecchio commissariato di polizia inalloggio popolare», ci illustra l’esperto. Tuttavia, in

Georgia non vi è ancora una pianificazione del ter-ritorio di tipo statale e ciò potrebbe avere delle ri-percussioni negative sulla costruzione di case so-ciali. «Oggi, tutta la responsabilità poggia sulle spal-le dei comuni che a volte non hanno però i mezzinecessari per finanziare progetti analoghi», spiegaGrossenbacher.Tamuna Tsivtsivadze, la responsabile di program-

ma in Georgia, nutre un contenuto ottimismo. Se-condo lei, la fase più semplice del progetto è statala costruzione delle case. «La difficoltà maggioreconsisterà nel convincere le autorità politiche, so-prattutto a causa dei rapporti di potere in conti-nuo cambiamento. Quello che è riuscita a realiz-zare la DSC in Georgia è davvero rivoluzionario»,ricorda Tsivtsivadze, che sin dall’inizio ha accom-pagnato il programma SHSE. Una nuova iniziati-va del Ministero del lavoro, della sanità e della so-cialità infonde una certa speranza. «OvercomingHomelessness» è il titolo di un documento in cuisi esige che in tutto il Paese siano costruiti alloggispeciali per i senzatetto. «Approfitteremo dell’oc-casione per integrare nell’agenda politica naziona-le il nostro programma per l’edilizia sociale», anti-cipa Tsivtsivadze. Se il ministro approverà e soster-rà questo progetto, ciò sarebbe un successo enormeper l’edilizia sociale in Georgia e darebbe la ga-ranzia che l’impegno della Svizzera produrrà un ef-fetto anche sul lungo termine. Esattamente comein Serbia, dove grazie al progetto SHSE della DSC,le case popolari stanno spuntando come funghi intutto il Paese. ■

(Traduzione dal tedesco)

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Franck Guiziou

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is.fr/laif

Dietro le quinte della DSC

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luppo in modo più efficace.Con un contributo annuo di 60milioni di franchi, la Svizzera èfra i dieci principali finanziatoridi questa organizzazione, i cuiobiettivi principali coincidonocon le priorità di sviluppo dellaConfederazione. Un esempiodi cooperazione efficace traDSC e PNUD è la costruzionedi sistemi di contenimentodelle piene e la formazione di2000 esperti di prevenzionedelle catastrofi naturali inNicaragua, quali misure di ridu-zione delle conseguenze deicambiamenti climatici.Durata del progetto: 2015-2017Volume: 180 milioni di CHF

Biodiversità acquatica(bm) In Myanmar, la transizioneverso un’economia di mercatoe un sistema più democraticooffre nuove prospettive.Questa evoluzione ha peròcreato delle tensioni tra citta-dini, governo e settore privatointorno al controllo e alla ge-stione delle risorse naturali. Acausa di problemi legati all’ap-plicazione dei regolamenti sullapesca, le acque pescose delgolfo di Martaban sono sfrut-tate in maniera eccessiva daipiù ricchi. Per proteggere labiodiversità dal sovrasfrutta-mento, la DSC sostiene unprogetto che intende favorirel’utilizzo sostenibile delle ri-sorse acquatiche del golfo daparte delle comunità locali. Ilmiglioramento della gestionedella pesca, ma anche l’ac-cesso ad altre attività econo-

miche rientrano nel piano dimisure previste. L’obiettivo è la riduzione della povertà dellepopolazioni rurali. Le donnesono tra i principali beneficiaridel progetto.Durata del progetto: 2015-2018Volume: 4,6 milioni di CHF

Diaspora e sviluppo (dey) La Moldavia è caratteriz-zata da una forte migrazione.Nel corso degli ultimi dieci annicirca un terzo della popola-zione attiva è emigrato, tempo-raneamente o definitivamente.Un progetto, sostenuto dallaDSC, intende promuovere con-dizioni quadro che permettanodi cogliere le opportunità deri-vanti dalla migrazione in ter-mini di sviluppo e di beneficisocioeconomici. L’iniziativa sostiene, tra l’altro, le autoritàmoldave nell’elaborazione diuna legislazione che migliori ilcoinvolgimento dei membridella diaspora nello sviluppodelle comunità da cui proven-gono. Questo nuovo ordina-mento consentirà ai migranti diinvestire nell’edificazione di in-frastrutture. Il progetto incorag-gia anche il settore privato asviluppare prodotti utili ai mi-granti e alle loro famiglie rima-ste in patria.Durata del progetto: 2014-2018Volume: 7 milioni di CHF

Trattamento delle acque(ung) All’inizio del 2015 le auto-rità sanitarie della città ucrainadi Donetsk hanno rilevato unaumento importante dei casi diepatite, causato essenzial-mente dall’acqua insalubre.Alcuni mesi più tardi, l’Aiutoumanitario della Confedera-zione ha organizzato tre con-vogli con 1200 tonnellate diprodotti chimici destinati altrattamento delle acque in

Albergheria in Laos (bm) Nel 2013, il turismo ha generato il 18 per cento delProdotto nazionale lordo inLaos. Il numero di persone cheha trascorso un periodo di va-canze nel Paese del Sud-estasiatico è aumentato media-mente del 20 per cento all’anno negli ultimi due de-cenni. Per offrire la possibilitàai giovani di acquisire le neces-sarie competenze, in partico-lare nel ramo alberghiero, laSvizzera ha deciso, in collabo-razione con il Lussemburgo, disostenere la riforma della for-mazione professionale. Il con-tributo della DSC si concentrasui giovani più svantaggiati, inparticolare su quelli apparte-nenti a minoranze etniche, esulle donne. Il progetto pre-vede l’assegnazione di borsedi studio che dovrebbero facili-tare l’accesso ai più poveri auna formazione adeguata.Entro il 2020 circa 5000 giovanisaranno sostenuti nell’ambitodi questo progetto; entro il2025 saranno 20000.Durata del progetto: 2015-2020Volume: 9,75 milioni di CHF

Cooperazione vincente(hsf) Il Programma di sviluppodelle Nazioni Unite (PNUD) èuna delle istituzioni partner piùimportanti della DSC. Il PNUDha il mandato di ridurre in ma-niera concreta la povertà, ledisuguaglianze e l’emargina-zione nei Paesi in via di svi-luppo. Inoltre, il PNUD sostienei Paesi poveri affinché possanoattuare le loro strategie di svi-

Ucraina orientale. La Svizzeraè stata l’unico attore governa-tivo che ha potuto superare ilconfine che separa le parti inconflitto con un convoglioumanitario. Circa tre milioni dipersone su entrambi i lati della«linea di contatto» hanno po-tuto beneficiare di questa ope-razione. Inoltre, la DSC ha con-segnato quattro sistemi Wata.Questi ultimi permettono diprodurre una soluzione cloratacon cui rendere potabile l’ac-qua. In futuro è previsto l’inviodi altri sistemi Wata.Durata del progetto: 2015-2016Volume: 1 milione di CHF

Nuova piattaforma(sauya) Nel mese di novembre2015, la DSC ha lanciato la«Piattaforma della società ci-vile svizzera sulla migrazione esullo sviluppo» (www.mdplat-form.ch). La piattaforma ha loscopo di intensificare il dibat-tito sul contributo dei migrantiallo sviluppo, rafforzare la posi-zione delle ONG svizzere a li-vello internazionale e sostenerela coerenza delle politiche.Concretamente si tratta di in-coraggiare gli scambi tra imembri della piattaforma, coin-volgendo le autorità svizzere ealtri partner stranieri. Gestitacongiuntamente da Caritas eHelvetas, la piattaforma si è di-mostrata utile per sviluppareposizioni comuni in occasionedell’ultimo Forum mondiale sumigrazione e sviluppo, tenuto a Istanbul nell’ottobre 2015.Durata del progetto: 2015-2018Volume: 900000 franchiLi

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Carlos Litulo/Red

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Metà turista, metà salvatoreIl fenomeno del «volonturismo» sta avendo un successo tra-volgente. Un numero sempre maggiore di operatori proponeviaggi nei Paesi del Sud che combinano volontariato e turismo.Questo tipo di vacanza è spesso presentato come un aiuto allosviluppo. Non è proprio così. Di Jane-Lise Schneeberger.

Il volontariato internazionale vanta una lunga tra-dizione nella cooperazione allo sviluppo. Da oltrecinquant’anni ONG, opere missionarie o agenzie dicooperazione inviano volontari nei Paesi del Sud,di solito per missioni di lunga durata.Da circa dodici anni si sta affermando un nuovo fe-nomeno. Stanchi di essere sempre e solo dei sem-plici turisti, gli abitanti dei Paesi industrializzati han-no voglia di vivere esperienze di viaggio diverse. Du-rante le vacanze desiderano impegnarsi in qualcosadi sensato e utile, adoperarsi per una causa umani-taria o ambientale. L’enorme richiesta ha trasformatol’offerta per dare a tutti la possibilità di vivere unasimile esperienza. Si parla di «volontariato flessibi-le». Si tratta di una proposta che permette alla per-sona interessata di aiutare sul posto per un breve periodo e quando meglio le conviene. Può scavarepozzi in Ghana, costruire una scuola in Vietnam oproteggere le tartarughe marine in Messico. Le agen-zie di viaggio hanno individuato queste nicchie dimercato molto redditizie e hanno inventato un nuo-

vo prodotto: il «volonturismo». È una nuova formulache integra volontariato e turismo.Per Christine Plüss, direttrice dell’Arbeitskreis Ent-wicklung und Tourismus (akte), con sede a Basilea,questa evoluzione rischia di far scomparire i veri va-lori del volontariato. «Il volonturismo può essereun’opportunità per sensibilizzare i viaggiatori sullerealtà del Sud. Purtroppo, però, le offerte si orien-tano maggiormente ai bisogni dei turisti che alle esi-genze delle popolazioni locali», indica Plüss. È unasituazione che porta a situazioni paradossali, conti-nua la direttrice di akte: «In Sri Lanka vi sono scuo-le che vengono ripitturate ogni mese dal gruppo dituristi di turno».

«Viaggiare e aiutare» In questo nuovo settore, dove la differenza fra ope-ratori commerciali e non commerciali non è sem-pre netta, abbondano offerte e proposte di ogni tiposu internet. Di regola non sono richieste compe-tenze particolari per vivere una simile avventura. Vi

Una volontaria in un quartiere periferico di Maputo, in Mozambico. Un numero crescente di occidentali vuole trascorrereparte delle vacanze aiutando in un progetto umanitario o ambientale.

Un volonturismo più responsabile Le regole dello svilupposostenibile e della tuteladei minori sono rispettatesolo in rari casi dai volon-turisti. È questa la conclu-sione a cui giunge un re-cente studio, pubblicatoda tre ONG (una svizzera edue tedesche). Nel docu-mento sono presentate 44offerte di 23 operatori nel-l’area germanofona.L’indagine, dal titolo «VomFreiwilligendienst zumVoluntourismus» (Dal servi-zio volontario al volonturi-smo), evidenzia che lamaggior parte dei fornitoridi servizi non svolge alcuntipo di selezione dei volon-tari. Non sono richiesti nécurriculum vitae, né letteredi motivazione, né unestratto del casellario giu-diziale e non ci si informasulle conoscenze linguisti-che o sull’esperienza pro-fessionale dei clienti. Il rap-porto invita le agenzie adar prova di maggior re-sponsabilità, riducendo i rischi, in particolare per iminori.www.fairunterwegs.org/voluntourismus

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Juerge

n Escher/laif

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sono dei «volonturisti» che impartiscono lezioni diinglese, anche se non hanno mai insegnato. Altri, al-trettanto sprovvisti di esperienza, costruiscono murie strutture in legno. «Eseguiti da dilettanti, questi la-vori possono essere pericolosi, in particolare negliospedali, dove si vedono turisti che distribuisconomedicinali o curano le piaghe dei pazienti», spiegaPierre de Hanscutter, direttore di Service volontai-re international con sede a Bruxelles. Spesso, le agenzie presentano queste missioni comeun contributo allo sviluppo. Il loro slogan pubblici-tario «viaggiare e aiutare» fa intendere ai turisti checon il loro intervento possono migliorare le condi-zioni di vita della popolazione locale, aiutare la gen-te a uscire dal circolo vizioso della povertà o favo-rire la risocializzazione dei ragazzi di strada. «È undiscorso che sa di colonialismo. Si fa credere ai tu-risti che possono salvare il mondo perché proven-gono da Paesi industrializzati», commenta Christi-ne Plüss. Secondo la direttrice di akte, nessuno do-vrebbe accettare di svolgere in un Paese del Sudun’attività che non è autorizzato a fare a casa.Per l’agenzia viaggi STA Travel sono critiche ingiu-stificate. «I nostri volontari sono accompagnati sulposto da un professionista e da un coordinatore delprogetto. Nelle scuole i nostri clienti assistono l’in-segnante di ruolo, in particolare tenendo i corsi diinglese», spiega Caroline Bleiker, direttrice della suc-cursale svizzera. A titolo di esempio ci parla di unprogetto nella città cambogiana di Siem Reap, aqualche chilometro di distanza dai templi di Ang-

kor. I clienti dell’agenzia lavorano per New HopeCambodia. L’associazione offre agli abitanti di unquartiere disagiato vari tipi di corsi, compresa unaformazione professionale nel settore della ristora-zione. «Senza il nostro progetto, queste persone nonpotrebbero mai imparare l’inglese e non acquisi-rebbero le esperienze e le competenze necessarie»,sostiene Caroline Bleiker.

Concorrenza per la manodopera locale Come New Hope, anche altre istituzioni nei Paesidel Sud contano sul lavoro dei volontari. Le Mis-sionarie della carità, congregazione fondata da Ma-dre Teresa, accogono ogni anno a Calcutta centinaiadi occidentali, giunti in India per aiutarle. Questa manodopera gratuita, soprattutto se pocoqualificata, può essere una concorrenza sleale per ilavoratori indigeni. «In certi Paesi, il volonturismoè una piaga per la forza lavoro locale», fa notare Pier-re de Hanscutter. «I piccoli artigiani o gli insegnan-ti, che già ricevono un salario molto modesto, ve-dono arrivare dei turisti che hanno pagato – e cer-te volte anche parecchio – per svolgere il lorolavoro». Caroline Bleiker ribadisce però che la suaagenzia segue un approccio diverso: «I nostri vo-lontari non sostituiscono in alcun caso la manodo-pera locale; lavorano per progetti che senza la no-stra agenzia non esisterebbero».Le organizzazioni che promuovono un turismoequo raccomandano di informarsi in modo detta-gliato in merito alle offerte. Il cliente dovrebbe sem-

Di solito, le agenzie che promuovono il volonturismo non richiedono alcuna competenza specifica ai clienti. I lavori svoltida amatori possono essere pericolosi, sia per i turisti sia per la popolazione locale. Nell’immagine un villaggio in Nepal.

Volontari qualificati L’associazione mantelloUnité, costituita nel 1964,raggruppa 22 ONG sviz-zere che praticano «la co-operazione attraverso l’in-terscambio di personale»,in altre parole il volonta-riato. Nel 2014, circa 700persone delle varie ONG si sono recate sul campoper aiutare. Circa il 90 percento sono degli espertiche svolgono una missionedi breve o lunga durata. Ilrestante 10 per cento sononeodiplomati che fannouna prima esperienza lavo-rativa all’estero, e giovaninon qualificati che parteci-pano a uno stage di sensi-bilizzazione. La DSC cofi-nanzia Unité e diverseorganizzazioni associate.Sostiene soprattutto l’im-piego sul posto di profes-sionisti qualificati, integratiin progetti di sviluppo e lacui presenza risponde aun’esigenza concreta. www.unite-ch.org

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Vilhelm Stokstad/Kon

tinent/laif

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pre chiedersi quali sono le reali esigenze sul posto,se è qualificato per svolgere un certo di tipo di at-tività e perché il progetto in questione non ricorreai lavoratori indigeni.Queste organizzazioni mettono in guardia anche dairischi legati al turismo degli orfanotrofi. Siccome leattività per e con i bambini sono quelle che vannoper la maggiore, molte offerte includono anche de-gli stage in questi istituti. In molti Paesi, la forte do-manda ha contribuito alla proliferazione di falsi or-fanotrofi. I proprietari si procurano bambini da ge-nitori che sono poveri, ma ancora vivi e vegeti.Inoltre, il costante andirivieni di volontari fa soffri-re i bambini che hanno invece bisogno di stabilitàaffettiva, situazione che può generare in loro dei di-sturbi psicologici. Infine vi è un elevato rischio diabusi sessuali in quegli orfanotrofi che spalancano leporte agli sconosciuti.

Rischio di confusione Il boom del volonturismo suscita inquietudine trale ONG svizzere specializzate nel volontariato. Se-condo Raji Sultan, responsabile della comunicazio-ne presso l’associazione ombrello Unité, certe offerteapprofittano della confusione: «Questi viaggi sonopromossi come se fossero dei contributi all’aiuto allosviluppo. In realtà servono solo a soddisfare la vogliadi avventura. Quest’ambiguità può mettere in cat-tiva luce le ONG che svolgono un lavoro di co-operazione vero ed effettivo, inviando sul posto pro-fessionisti qualificati».

I volonturisti amano molto le attività con i bambini: nell’immagine in Tanzania. Le organizzazioni che promuovono il turismo sostenibile mettono in guardia sui pericoli legati al «turismo degli orfanotrofi».

Detto questo, aggiunge Raji Sultan, il volonturismopresenta anche inconfutabili vantaggi, in particola-re per i viaggiatori, soprattutto per quelli giovani.Permette loro di conoscere altre culture, di amplia-re il proprio orizzonte e di capire le principali sfidedello sviluppo. «In realtà sono stage di sensibilizza-zione e dovrebbero essere pubblicizzati per ciò chesono davvero».Alcune organizzazioni lo fanno, per esempio, l’a-genzia Globotrek. Quest’ultima si è associata a Hel-vetas per proporre viaggi che includono anche lascoperta di un progetto agricolo realizzato dallaONG. «Il nostro obiettivo è di sensibilizzare i turi-sti sulla vita dei piccoli contadini e di mostrare loroun progetto di sviluppo», spiega Franziska Kristen-sen, responsabile di questo partenariato presso Hel-vetas. Per due o tre giorni, i turisti condividono leattività quotidiane di una famiglia contadina. In Kir-ghizistan possono partecipare alla raccolta del coto-ne e in Bolivia a quella del cacao. Questi soggiornisono di brevissima durata per evitare che faccianoconcorrenza alla manodopera indigena. Inoltre tut-ti i viaggi sono organizzati dopo aver ottenuto l’av-vallo della comunità locale. «Durante una riunionedi preparazione spieghiamo ai partecipanti che nonsi tratta di un aiuto, bensì di uno scambio fra pari»,conclude Kristensen. ■

(Traduzione dal francese)

Pensionati, una minieradi competenze Il volontariato si pratica aogni età. Numerosi pensio-nati mettono le loro com-petenze e la loro espe-rienza al servizio di progettidi sviluppo. Il Senior ExpertsCorps (SEC) conta più di700 esperti svizzeri, lamaggior parte in età com-presa fra i 60 e i 75 anni,disposti a partire per mis-sioni della durata di duefino a dodici settimane.Questo gruppo è statocreato da Swisscontact nel 1979. Risponde alledomande provenienti so-prattutto da PMI e scuoleprofessionali nei Paesipartner della ONG. I mem-bri del SEC non si recanosul posto per lavorare, maper dare consigli o inse-gnare. Due terzi delle ri-chieste riguardano il set-tore alimentare (maestricioccolatieri, formaggiai,cuochi), il turismo (alberga-tori) e la gestione aziendale(specialisti di marketing,economisti aziendali).www.swisscontact.org(chiave di ricerca: SEC)

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Xavier Pop

y/rea/laif

Cercare un lato luminoso negliavvenimenti sanguinosi del no-vembre 2015 a Parigi può sem-brare irriverente e amorale. Inqueste situazioni ci rimane sol-tanto la possibilità di scegliere trala speranza e la disperazione. Equest’ultima porta all’odio e allavendetta.

Come milioni di altre personeho trascorso la mattina successivaagli attacchi terroristici davantialla televisione e al computer. Econ mia figlia intenta a disegnarela Torre Eiffel avvolta da rossefiamme di fuoco. Mi ha chiestoche cosa significasse «Pray forParis». Aveva il compito di dise-gnare un manifesto per la Gior-nata internazionale della tolle-ranza. Per questo motivo volevasapere se si potesse definire «tol-leranza» tutto ciò che succedevain internet: la valanga di torriEiffel e le persone che pitturavanoil profilo Facebook con il trico-lore francese. Le ho risposto di no.Tutto ciò era qualcos’altro. «Checos’è dunque?» «È la guerra».

Le ho sparato la risposta come sefossi stato il papa o FrançoisHollande. Per fortuna non avevoalcun aereo bombardiere e alcunatruppa di terra, altrimenti li avreiinviati in Siria per una spedizionepunitiva. Oggi, con le emozioni

La grande emergenza

Marius Ivaškevicius appar-tiene all’ultima generazione discrittori lituani ed è uno degliautori contemporanei più im-portanti del suo Paese. Delleotto opere narrative finora pub-blicate, alcune sono state tra-dotte in altre lingue, tra cui initaliano «Madagascar. Pièce intre atti», edito nel 2012 daTitivillus. 42 anni, MariusIvaškevicius è giornalista, dram-maturgo, autore di prosa e disceneggiature, regista e docu-mentarista. Nel 2014, il suo ul-timo film «Santa», per il qualeha scritto la sceneggiatura ecurato la regia, è stato proiet-tato nei cinema. Quando non èin viaggio, Marius Ivaškeviciusvive e lavora a Vilnius.

sotto controllo voglio correggereil mio errore e rivedere la rispo-sta che ho dato a mia figlia. Ciòche è avvenuto quella mattina suInstagram, Facebook e nei cuoridelle persone si chiama «solida-rietà». Ed esser solidali significa:Stare accanto all’altro in una si-tuazione difficile, fargli sentireche la sua sofferenza è anche latua sofferenza, che sei disposto acondividere il suo fardello in unmomento di difficoltà.

E proprio qui si apre uno spira-glio luminoso su questa tragedia.Parigi non è più una città lon-tana e straniera, così come losono state Londra nel 2005 eMadrid nel 2004. E non si trattadi una vicinanza geografica. No,la nostra consapevolezza è sem-plicemente cambiata in manieranetta: l’Europa fa parte di «noi».Ora siamo una squadra e ci famale se qualcuno del nostro teamviene picchiato. Personalmentemi veniva un groppo alla golaquando in quei giorni sentivo«La Marseillaise»; era come seudissi il mio inno. È una sensa-zione che probabilmente hannoprovato milioni di non-francesiin tutta l’Europa.

Il barlume si spegne però già qui.A livello emozionale siamo soli-dali. E a quello pratico? Certo

che no. Ci sentiamo vicini aifrancesi, ma non possiamo peròaiutarli veramente. Loro hannobisogno del nostro sostegno inun’altra emergenza, ma è untema che nessuno affronta: la ri-partizione solidale dei flussi mi-gratori. Gli Stati dell’Est sono uc-celli di bosco. Ungheria, Cechia,Slovacchia e Polonia si rifiutanodi accoglierli. I Paesi baltici sonosì d’accordo, ma quando uno deinostri «esploratori» torna da uncampo profughi, dice che nes-suno vuole venire da noi; un an-nuncio che la maggior parte dellapopolazione accoglie in cuor suocon sollievo. O mio Dio, com’èbello essere poco attrattivi, cosìripugnanti, che nel nostro Paesepiova e nevichi spesso e che ilnostro cielo sia talmente copertodi nuvole, tanto da non essernequasi mai privo.

Noi sfuggiamo alla responsabilitàe al bisogno. Per prima cosa dob-biamo prenderci cura delle per-sone che raggiungono il nostrocontinente in cerca d’aiuto. Soloin un secondo tempo delle ne-cessità di tutti gli Stati europei.Dalla nostra adesione all’UE,questa è la prima emergenza checonosce l’Europa. Ed è la primavolta che quest’ultima ci chiedeaiuto. Non è nemmeno una ri-chiesta reale; è simbolica. È un

atto di solidarietà. Le poche mi-gliaia di persone che Bruxelles ciha assegnato sono una goccia separagonate all’ondata di profughi.Certo, tutti sarebbero stati piùtranquilli se in Siria non fossescoppiata la guerra, se lo Stato islamico non avesse fatto la suacomparsa e se questa gente fosserimasta a casa propria, invece ditrasformarsi in profughi. Ma la situazione è diversa.

La fiumana di gente non si arre-sterà, non sprofonderà sotto terrae non continuerà a vagabondaresenza meta sulle autostrade euro-pee. Qualcuno deve accoglierequeste persone, dar loro da man-giare e un tetto sotto cui ripa-rarsi. Sono convinto che l’Europasaprà superare questa crisi. Con osenza di noi. Ma questa situa-zione mette alla prova la co-esione. Questa grande crisi sapràrinsaldarci o dividerci definitiva-mente. ■

(Traduzione dal lituano)

Carta bianca

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A caccia di nuove identitàIl fotografo svizzero Dominic Nahr documenta e diffonde la realtà, i sogni e lesperanze di giovani africani attraverso le immagini catturate con il suo obietti-vo. Scorcio di un mondo in rapidissima mutazione.

«Sono affascinato dai giovaniche vivono nelle differenti re-gioni del continente africano. A loro presto grande attenzione.Nonostante le loro capacità,molti di loro non riescono aprogredire e sfruttare il loro po-

«C’è una profusione di sogni easpirazioni più vivi e reali chemai. L’accesso a tecnologie più abuon mercato consente ai gio-vani africani di cogliere e cono-scere meglio il mondo esterno.Perfino chi è venuto al mondo

in un campo profughi ha lapossibilità di immaginare unavita diversa e di ambire a un’e-sistenza migliore. Negli occhi dimolti giovani donne e uominiche fotografo vedo bruciarequesto fuoco».

tenziale a causa dei continuiconflitti, della povertà o dellamancanza di istruzione. L’Africasta cambiando a grande velocità.E in mezzo ci stanno i giovani,alla ricerca di una nuova identitàin una nuova Africa».

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«Eventi come il concorso di bel-lezza nel campo profughi diKakuma, in Kenya, permettonoloro di dimenticare per un po’ ladura realtà. Il momento più emo-zionante per me è stato quando lanuova reginetta della Giornatamondiale del rifugiato è stata lan-ciata in aria e ho scattato un’im-magine che non ha nulla a chevedere con quello che solita-mente si associa ai profughi».

«Tutti nutrono grandi speranze.Soprattutto i giovani che hannocompiuto da poco i vent’anni.Ovviamente si intravvedono an-che frustrazione e talvolta col-lera. Loro sanno molto benecome funzionano il mondo tra-dizionale e quello nuovo. Hannouna grande fiducia nel cambia-mento. Ciò che più mi sor-prende è la loro flessibilità e pazienza».

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Dominic Nahr è nato inSvizzera ed è cresciuto a HongKong. Il 32enne fotografo ma-tura le sue prime esperienzecome fotoreporter presso laSouth China Morning Post. Inseguito prosegue gli studi difotografia presso l’Università diToronto. Dal 2008 realizza re-portage fotografici in Africa.Dal 2009 vive a Nairobi. I suoiscatti sulla carestia in Somalia,sulla guerra nella Repubblicademocratica del Congo o sullaPrimavera araba sono statipubblicati sul Time Magazine,settimanale americano per cuilavora, ma anche su NationalGeographic, Wall StreetJournal, Wired o GQ.www.dominicnahr.com

«La violenza è una triste realtàcon cui molte persone sono costrette a convivere. Sono cosìtanti i fattori che creano condi-zioni di instabilità e spingono gliindividui a commettere gli attipiù atroci. Molti di questi con-flitti durano da decine di anni,con qualche breve momento ditregua. La popolazione non haabbastanza tempo per ricaricarele batterie e per avere l’energianecessaria per affrontare l’orrore

e ricostruirsi un’esistenza.Processi del genere richiedonotempo. Le cose non cambie-ranno mai davvero senza un am-biente stabile in cui le personepossano ritrovare la forza inte-riore per dare vita a idee e sogni».

(Testimonianza raccolta da GabrielaNeuhaus; traduzione dall’inglese)

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Marco

van Duyvend

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Un solo mondo n.1 / Febbraio 2016

ServizioLibri

Musica

straordinario progetto di CD«Luys i Luso» (Luce dalla luce),il pianista armeno sprigiona, neitoni più dolci e potenti, richie-ste sacrali di remissione dei pec-cati, inni, canti liturgici e coralidal 5° al 9° secolo. TigranHamasyan è tra i migliori piani-sti al mondo e con immaginisonore uniche nel loro genere edalle sfaccettature delicate regalaaffascinanti e commoventi mo-menti di ascolto che si apronosul ricco patrimonio culturalearmeno. Egli ricorda anche icentomila cittadini armeni (secondo alcune fonti fino a 1,5 milioni) del regno otto-mano (oggi Turchia) deportati e massacrati cento anni fa.Tigran Hamasyan, The YerevanState Chamber Choir: «Luys iLuso» (ECM)

Cosmo lusofono tra moder-nità e tradizione(er) I suoi fan hanno dovutoaspettare cinque anni. Con il se-sto album, Mariza, diva porto-ghese del fado, ci invita ora ascoprire il mondo. In «Mundo»,la cantante 42enne dalla voceinconfondibile, appassionante edespressiva entra in un cosmomusicale lusofono che abbracciale isole di Capo Verde, laSpagna, l’Argentina e il

Un’analisi precisa ed essenziale (gn) Il piccolo volume dal titolo«Zur Unübersichtlichkeit derWelt» (La complessità delmondo) descrive il contesto attuale e propone un’analisi difacile lettura per comprenderegli sviluppi attuali della politicamondiale. Da una prospettivachiaramente focalizzata sulla po-litica dello sviluppo, la pubblica-zione edita da Alliance Sud dàinformazioni di approfondi-mento su temi quali la crisi fi-nanziaria, la politica ambientaleo climatica e sulle questioni re-lative ai gruppi multinazionali eai diritti umani. Il libro riprendei dibattiti attuali, tra i quali ri-cordiamo quelli incentrati sul-l’attuazione degli Obiettivi disviluppo sostenibile (OSS) o

sulla perdita di potere dei «vec-chi» donatori nella coopera-zione allo sviluppo. Illustra an-che le preoccupanti evoluzioniin alcuni Paesi, per esempio, lariduzione dello spazio di mano-vra delle organizzazioni dellasocietà civile. Gli autori non silimitano a descrivere l’odiernasituazione, ma presentano anchestrategie e dichiarazioni di in-tenti per l’elaborazione di mi-sure volte a correggere sviluppierrati e a creare più trasparenzae giustizia nel mondo.«Zur Unübersichtlichkeit derWelt», Alliance Sud (editore),Berna 2015

Sguardi rivolti al futuro (gn) Come si presenterà la co-operazione allo sviluppo nel2030? Nell’ultima edizione di

«Almanach Entwicklungspoli-tik» (Almanacco della politica di sviluppo), 24 autrici e autoridanno risposte molto diverse:spaziano da un appello per ilmiglioramento e il manteni-mento dell’impegno per i piùpoveri fino all’analisi secondocui la cooperazione allo svi-luppo farebbe più male chebene. Il giornalista tedescoRené Zeyer, per esempio, èmolto critico nei confronti del-l’aiuto prestato finora e chiedeche solo i Paesi sicuri e unica-mente il settore della forma-zione goda del sostegno degliStati donatori. MuhammadIbrahim, fondatore e direttore diuna ONG in Bangladesh, invitaa una maggiore condivisionedel sapere su strategie, prodottie mercati, per preparare la po-polazione del suo Paese allaconcorrenza globale. L’econo-mista Markus Mugglin ricordail vecchio principio della poli-tica economica, secondo cui lacosa più importante non è daredi più, bensì prendere di meno: «Si tratta di una nuova imposta-zione di tutti i rapporti fra gliStati; dal commercio alle finanzee ai flussi di capitale, dalla mi-grazione, all’ambiente fino allapromozione della pace».«Almanach Entwicklungspolitik»di Iwona Swietlik (editore),Caritas-Verlag, Lucerna 2015

Intreccio tra jazz e canti liturgici(er) Rieccheggiano cristallinisuoni di pianoforte mentre dalbasso si levano sonore e pro-fonde voci maschili, in un motodi oscillazioni continue. Vocifemminili limpide e chiare ri-mangono sospese in aria. Il poliedrico 28enne TigranHamasyan crea passaggi dipiano jazz quasi ornamentaliche si intrecciano in manieramagistrale con il canto polifo-nico dei 20 cantanti del coroYerevan State Chamber. Nel suo

Infanzia solitaria inMoldavia(gn) «Ma è vero che lì, neiPaesi molto ricchi e indu-strializzati, i bambini nonaiutano i genitori, non si occupano dei fratelli minori,non sono capaci di prepa-rarsi da mangiare e di mun-gere le capre?», chiede la12enne Cristina. La ragazzavive con due fratelli in unvillaggio moldavo. Da sola.

La madre fa la bambinaia in Italia, il padre lavora inRussia. Anche la nonna, ormai demente, non le è più dialcun aiuto. Nell’appassionante romanzo «Der ersteHorizont meines Lebens» (Il primo orizzonte della miavita), la scrittrice moldava Liliana Corobca dà una voceai figli rimasti a casa delle lavoratrici e dei lavoratori mi-granti del suo Paese. Viene voglia di stringere Cristinafra le braccia quando racconta della sua quotidianità.Con assennato pragmatismo fa di tutto per riuscire asbarcare il lunario in modo dignitoso e a sostenere lapiccola famiglia. Cristina è forte e coraggiosa. A volte èorgogliosa di sé, quando riesce in ciò che le sembravaimpossibile, a volte è disperata, quando la nostalgiadella madre diventa insopportabile.«Der erste Horizont meines Lebens» di Liliana Corobca,Paul Zsolnay Verlag, Vienna 2015

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Impressum:«Un solo mondo» esce quattro volte l’anno in italiano, tedesco e francese.

Editrice:Direzione dello sviluppo e della cooperazione(DSC) del Dipartimento federale degli affari esteri(DFAE)

Comitato di redazione:Manuel Sager (responsabile) Catherine Vuffray(coordinazione globale) Marie-Noëlle Bossel,Sarah Jaquiéry, Pierre Maurer, GabrielaNeuhaus, Christina Stucky, Özgür Ünal

Redazione:Gabriela Neuhaus (gn – produzione), Beat Felber (bf), Luca Beti (lb), Fabian Urech (fu)

Jane-Lise Schneeberger (jls), Ernst Rieben (er),Samuel Schumacher (sas)

Progetto grafico: Laurent Cocchi, Losanna

Litografia e Stampa:Vogt-Schild Druck AG, Derendingen

Riproduzione di articoli:La riproduzione degli articoli è consentita previaconsultazione della redazione e citazione dellafonte. Si prega di inviare una copia alla redazione.

Abbonamenti:La rivista è ottenibile gratuitamente (solo in Svizzera) presso: DFAE, Servizio informazioni, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna

E-mail: [email protected]. 058 462 44 12Fax 058 464 90 47www.dsc.admin.ch

860215346

Stampato su carta sbiancata senza cloro per la protezione dell’ambiente

Tiratura totale: 51200

Copertina: In cammino verso un futuro incerto a Nuova Dehli, in India; GeraldHaenel/laif

ISSN 1661-1683

Nota d’autore

Al di là delle frontiere

La 25enne artista svizzera AnjaRüegsegger ha occupato con il suo collettivo un giardino ur-bano abbandonato a Varsavia.

Trascorrere del tempo lontana dacasa fa parte della mia vita di arti-sta. Sono cresciuta in una fattoriaa Basilea Campagna e in questomomento vivo a Varsavia in uncollettivo. Il posto sembra fattoapposta per sperimentare e dareforma alla mia arte. Come artist in residence presso il Centre forContemporary Art UjazdowskiCastle voglio indicare degli ap-procci che ci permettano di libe-rarci dalla dipendenza delle grandimultinazionali e di condurre unavita autodeterminata. Di recenteho gestito alcuni atelier «fai da te»per illustrare alternative alla nostracultura consumistica. In questomomento sto progettando una casetta costruita con rifiuti, pagliae argilla, completa di bagno all’a-perto e un forno per la pizza. Perme lavorare con materiali riciclati è importante, così come lo è il confronto critico con le strutturedel potere capitalista. Il progettoBblackboxx mette l’accento su un altro tema. Accanto al carceredi espulsione e al centro di acco-glienza di Basilea, un gruppo dipersone esprime con creatività ilproprio rifiuto nei confronti di unapolitica delle frontiere che si defini-sce attraverso la repressione.

(Testimonianza raccolta da Samuel Schumacher)

Film

Portogallo. Ballate e fado inportoghese, creolo o spagnolo,avvolti da piacevoli insiemi dichitarra, musica morna capover-diana, tango e ninne nanne;sono melodie che sentiamo vicinissime e allo stesso tempo distanti e inafferrabili. Semprepresente e percepibile è anche lasaudade, il blues portoghese conla sua indescrivibile aria di tri-stezza e disperazione: è musicaintrisa di nostalgia, melanconiae dolore di vivere. L’artista, natain Mozambico e cresciuta aLisbona, coniuga con passione e maestria la sua moderna aper-tura al mondo con le sue radicitradizionali. Mariza: «Mundo» (Warner Music)

Favole etiopi per capire lapolitica dello sviluppo(gn) Il film di esordio del registaetiope Yared Zeleke vive delleimmagini di paesaggi maestosi e dell’affettuoso legame tra unragazzino solo e la sua pecoraChuni. «Lamb» è una parabolache parla di nostalgia, del sen-tirsi a casa, del diventare adulti.Sullo sfondo c’è una realtà se-

gnata da siccità, povertà, fame. Il protagonista è Ephraim, unbambino etiope di nove anni, lacui madre è morta a causa dellamancanza di precipitazioni,come scopriremo nel film. Ilpadre porta il ragazzo da parentilontani e si reca in città per cer-care lavoro. Gli rimane un’unicaamica: Chuni. Quando i parentidecidono di sacrificare la pecoraper il pranzo della prossima fe-sta, Ephraim scappa. Sviluppatocon criteri didattici, il film af-fronta vari argomenti dibattutinell’ambito della politica dellosviluppo e che caratterizzanol’opera di Zeleke. Sono, peresempio, la problematica dellafame e della siccità o la convi-venza di diverse religioni o an-cora i ruoli della donna e del-l’uomo nella società tradizionaledell’Etiopia. Nel 2015 «Lamb» èstato il primo film etiope a es-sere proiettato nel concorso in-ternazionale del Festival del filmdi Cannes.«Lamb» di Yared Zeleke, lungome-traggio 2015 - 94 minuti.www.trigon-film.org

Ambite offerte di lavoro( jpk) I posti di lavoro nel settoredella cooperazione internazio-nale sono molto ambiti. La ri-chiesta supera spesso l’offerta,come indica il rapporto sulmercato svizzero del lavoro nell’ambito della cooperazioneinternazionale 2013/2014 dicinfo. Quando sono chiamate ad

assumere nuovi collaboratori, leorganizzazioni possono scegliereda una rosa di candidati semprepiù specializzati. Questa evolu-zione è dovuta, fra l’altro, all’au-mento dei corsi di formazioneincentrati sulla cooperazione in-ternazionale. Se nel 2005 l’of-ferta in quest’ambito compren-deva otto cicli formativi, nel2011 i corsi erano già 23. Diconseguenza anche il numero dititoli di studio rilasciati si è piùche sestuplicato, raggiungendoquota 726. Per le persone incerca di impiego ciò significadar prova di maggior flessibilitàe non limitarsi solo a un settoreparziale della cooperazione in-ternazionale, quali l’aiuto uma-nitario o la cooperazione allosviluppo. Rapporto sul mercato del lavorodella cooperazione internazionale2013/2014www.cinfo.ch (download IZA-Arbeitsmarkt)

Rapporto

Jiro Ose, R

edux/laif

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«La sfida futura sarà colmare il divariotra le nostre regole del gioco e l’im-patto del nostro agire a livello globale».Peter Messerli, pagina 11

«Per me non c’è futuro senza il coin-volgimento delle donne nel processodecisionale a livello nazionale». Mariam Diallo Dramé, pagina 19

«Senza l’appartamento e senza il sostegno vicendevole che regna inquesta casa, la nostra vita sarebbe terribile».Gocha Khufatsaria, pagina 25