Un modo particolare di fare volontariato

71

description

Associazione IACA di Assisi

Transcript of Un modo particolare di fare volontariato

Page 1: Un modo particolare di fare volontariato
Page 2: Un modo particolare di fare volontariato

Quaderni del volontariato

8

Page 3: Un modo particolare di fare volontariato

Un modoparticolare di fare volontariato

Massimo Coppo

Page 4: Un modo particolare di fare volontariato

Coordinamento editorialeChiara Gagliano

© 2007 CESVOL2007 EFFE Fabrizio Fabbri Editore srl

ISBN: 978-88-89298-55-8

Progetto grafico e videoimpaginazioneStudio Fabbri, Perugia

StampaGraphic Masters, Perugia

Foto diEmmanuela Ciai

Seconda ristampadicembre 2007

Cesvol Centro Servizi Volontariato della Provincia di Perugia

Via Sandro Penna, 104/106Sant’Andrea delle Fratte06132 Perugiatel. 075/5271976 fax: 075/[email protected]@pgcesvol.net

Pubblicazione a cura di

Con il Patrocinio della Regione Umbria

Page 5: Un modo particolare di fare volontariato

Il CESVOL, centro servizi volontariato per la Provincia di Perugia, nell’am-bito delle proprie attività istituzionali, ha definito un piano specifico nell’a-rea della pubblicistica del volontariato.

L’obiettivo è quello di fornire proposte ed idee coerenti rispetto ai temi diinteresse e di competenza del settore, di valorizzare il patrimonio di espe-rienze e di contenuti già esistenti nell’ambito del volontariato organizzatoed inoltre di favorire e promuovere la circolazione e diffusione di argomentie questioni che possono ritenersi coerenti rispetto a quelli presenti al cen-tro della riflessione regionale o nazionale sulle tematiche sociali.

La collana I quaderni del volontariato presenta una serie di produzionipubblicistiche selezionate attraverso un invito periodico rivolto alle asso-ciazioni, al fine di realizzare con il tempo una vera e propria collana edito-riale dedicata alle tematiche sociali, ma anche ai contenuti ed alle azioniportate avanti dall’associazionismo provinciale.

I quaderni del volontariato, inoltre, rappresentano un utile supporto perchiunque volesse approfondire i temi inerenti il sociale per motivi di studioed approfondimento.

I quaderni del volontariato:un viaggio attraverso un libro nel mondo del sociale

5

Page 6: Un modo particolare di fare volontariato

Perché i popoli dovrebbero dire: “Dov’è il loro Dio?”Il nostro Dio è nei cieli,Egli opera tutto ciò che vuole.

(Salmo 113b, 2-3)

A Daniel Ciai, il “Rampollo”

Page 7: Un modo particolare di fare volontariato
Page 8: Un modo particolare di fare volontariato

Premessa

Le RadiciCapitolo Primo

Il seme

Capitolo SecondoUn consiglio da amico

Capitolo TerzoIl codice semitico

Capitolo QuartoGenesi di una comunità

Capitolo QuintoA Viole

Capitolo SestoAmore e Pace

Capitolo SettimoVestivamo alla… centoniana

Capitolo OttavoIrregolari

Capitolo NonoUna regola, anzi due, per gli irregolari

Capitolo DecimoOra et labora

Capitolo UndicesimoA Rocca Sant’Angelo

Capitolo DodicesimoCol Sacco

Capitolo TredicesimoEretici ad Assisi

Capitolo QuattordicesimoGuido Ceronetti, e le fumanti profezie di Marcello

Capitolo QuindicesimoA Gaiche

Capitolo SedicesimoSpatentato

Capitolo DiciassettesimoIn Televisione

14

1917

21

22

24

25

27

26

28

30

31

34

36

39

41

43

45

38

Indice

Page 9: Un modo particolare di fare volontariato

Capitolo DiciottesimoSull’Enciclopedia delle Religioni

Capitolo DiciannovesimoChiesa. Insieme. Finalmente!

Capitolo VentesimoIn discoteca

Capitolo VentunesimoIl Rampollo

Capitolo VentiduesimoE ora?

La IACACapitolo Ventitreesimo

Nascita di un’associazione

Capitolo VentiquattresimoOspitalità

Capitolo VenticinquesimoIn missione: quando la terra trema

Capitolo VentiseiesimoIn missione: quando la terra frana

Capitolo VentisettesimoIn missione: quando la terra brucia

Capitolo VentottesimoUn modo particolare di… spegnere un incendio

Capitolo VentinovesimoInternet, nuova frontiera di missione

Capitolo TrentesimoIacaonpaper

Capitolo TrentunesimoProgetti e Sogni

ACKNOWLEDGEMENTS

10

47

49

50

53

55

57

61

59

63

64

65

66

67

68

69

71

Page 10: Un modo particolare di fare volontariato

“Questa è l’opera del Signore:una meravigliaai nostri occhi”

(Salmo 117, 23)

Page 11: Un modo particolare di fare volontariato

remessaP

Page 12: Un modo particolare di fare volontariato

Emmanuela Ciai

Page 13: Un modo particolare di fare volontariato

LEGGI BENE QUESTA PREMESSA

Un’associazione che pretende di qualificarsi come “cristiana” dovrebbeessere indenne da quel “mal sottile” di sentirsi qualcosa di più e di megliodelle altre, se davvero trae la sua ultima ispirazione da quel Cristo cheammoniva i suoi a sentirsi “servi inutili”, quando avevano compiuto tutto illoro dovere.La Iaca, per giunta, è sorta ad Assisi, nella terra dove il grande Santo“umile, povero e disprezzato” – come amava definirsi Francesco – insegnò,innanzitutto col suo esempio, che si può veramente servire e beneficare ilprossimo solo a “colpi di umiltà”; tant’è che verso la fine del suo lumino-sissimo apostolato, esortava i confratelli a rimboccarsi le maniche e a rico-minciare da capo, perché fino ad allora si era fatto poco…

Perché dunque questo titolo: “un modo particolare di fare volontariato”? La Iaca, fondata nel 1991 da Marcello Ciai, opera insieme a tante personeche credono profondamente nei valori umani e cristiani, in un mondo dovequesti valori vengono meno e gli eventi ci sconvolgono. Ogni attività del-l’associazione è basata sull’amore e la pace di Dio, da portare tra la gente,nelle famiglie e nella natura. Il volontariato della Iaca non è rivolto soltantoad aiutare le persone a star meglio in questa terra, ma anche a vedere tuttoalla luce dell’eternità.

Il volontariato è anche rischio, e noi abbiamo sentito di rischiare, non solocon il titolo, ma soprattutto con quanto andremo a raccontare in questolibro.

Lo staff della redazione della IACA

15

Page 14: Un modo particolare di fare volontariato

Assisi, veduta aerea

Page 15: Un modo particolare di fare volontariato

e radiciL

Page 16: Un modo particolare di fare volontariato
Page 17: Un modo particolare di fare volontariato

IL SEME

Ogni opera, associazione, movimento, nasce da qualche “cosa” di partico-lare: un’intuizione, una convinzione, un incontro. Le origini della Iaca sonocostituite da un evento, del tutto eccezionale, verificatosi più di quarant’an-ni fa sulle sponde del lago Trasimeno. Un uomo tutto intento a cacciarebeccaccini, all’improvviso vide “qualcosa”. Fu solo molto tempo dopo, inconvalescenza da una grave malattia, che l’uomo – di nome Marcello –condivise appieno questa sua non comune esperienza. La vicenda venneriportata nel “prologo” di una pubblicazione edita in pochi esemplari dallaIaca nel 1995, dal titolo “Il sacchetto con 10 covoni” (la motivazione diquesto titolo, certo di non immediata “lettura”, richiederebbe una trattazio-ne a parte).

Guido Ceronetti riprese “l’incipit” di questo racconto in un articolo cheuscì sulla pagina “Società e Cultura” de La Stampa di Torino il 6 marzo del1998: “Mentre stava cacciando sul padule del lago Trasimeno nei pressidel vecchio aeroporto di Castiglione del Lago, un uomo della terra d’Assisi,Marcello Ciai, nel ventinovesimo giorno dell’undicesimo mese dell’annomillenovecentosessantasette, ebbe una visione che lasciò un solco profondonella sua vita, convertendola a Dio”.

Il resoconto di quella visione incute un senso di misterioso, sacro timore:“All’improvviso fui attratto irresistibilmente verso l’alto. Guardai in su,verso oriente ed ecco… una lunga, fantastica, perfetta formazione come digrosse lenti per ingrandire. Avevano il colore grigio del fumo e procedeva-no due a due andando dritte davanti a se stesse. Ad un tratto quattro diqueste forme opalescenti si staccarono dalle altre, per calarsi giù pianopiano fin sul canneto davanti a me. Ebbi la chiara percezione che le formefossero animate. Prima ancora che riuscissi a muovere qualche passo, levidi lanciarsi fulmineamente verso l’alto, per ricongiungersi alle altre chestavano scomparendo attraverso la volta nuvolosa”.

Dai dossier sugli avvistamenti ufologici che la Francia – primo paese afarlo – ha deciso di rendere pubblici, risulta che uno dei primi casi segna-lati fu un grosso oggetto volante proprio a forma di “lente”, visto dai pas-seggeri di un aereo di linea.

19

Capitolo Primo

Page 18: Un modo particolare di fare volontariato

Ma in realtà nell’episodio del Trasimeno c’è molto di più profondo di quan-to si può leggere a riguardo delle “normali” apparizioni di “oggetti nonidentificati”, come pure l’esito di questa non comune vicenda non fu unimmediato sensazionalismo. Marcello ne parlò solo anni dopo, perché, silegge nello scritto, “in seguito a questa visione si sentì male per tre giorni;e ne rimase turbato per lungo tempo. Ma da allora cominciò a guardare inalto, ad aprirsi alle realtà celesti e invisibili, a cercare quel che trascendela mente e la scienza umana, a pensare al soprannaturale, a Dio”.

Francesco d’Assisi aveva scelto il Trasimeno come uno dei suoi luoghi diritiro. Forse, al termine di una di quelle quaresime che vi passava digiu-nando, pregando e soffrendo per gli altri, vi avrà lasciato una particolarepreghiera e benedizione: un seme che secoli dopo sarebbe germogliatosulla sponda del lago, a beneficio di un suo conterraneo e di tanti altri conlui. Chissà…

20

Page 19: Un modo particolare di fare volontariato

Quello che Marcello aveva cercato fino ad allora, erano i soldi, il successo,le donne...come tanti. La felicità, insomma. Come tanti la immaginano. E inmateria di “affari” terreni si era destreggiato con un certo successo, invarie attività commerciali e industriali. Per il desiderio di migliorare la suavita, si era anche interessato a conoscere ciò che è nell’uomo, i poteri dellamente umana, il linguaggio dei sogni...Ma ora il senso del divino, del trascendente lo muoveva a balbettare: “Se tusei Dio e Padre, e sei amore, fa che io ti possa conoscere”. Piuttosto diffi-dente nei confronti dell’istituzione religiosa, chiedeva però aiuto spiritualea chi riteneva vivesse una vera esperienza di fede.Aveva, tra i suoi amici, un “credente” ormai in rotta con la sua carrieraprofessionale e l’ambiente benestante da cui veniva. Irresistibilmente voca-to a vivere fianco a fianco con giovani e meno giovani bisognosi non solo enon tanto di un “centro di assistenza”, quanto di qualcuno che li amasse esoffrisse con loro fino in fondo. Questo “buon amico” seppe dare aMarcello un consiglio “illuminato”: “Ogni notte, prima di coricarti, volgitiverso oriente, e leggi questo salmo...”. Marcello, da diligente “apprendi-sta”, seguì alla lettera e fedelmente questa indicazione; e tutte le sere,prima di andare a letto, leggeva ad alta voce: “Tu che abiti al riparodell’Altissimo e dimori all’ombra dell’Onnipotente, dì al Signore: mio rifu-gio e mia fortezza, mio Dio in cui confido...”. Ci sarebbe da scrivere un trattato a parte sulla “portata” di questo salmomessianico (il n° 90 del Salterio): doveva essere molto caro a nostroSignore, se Satana nel deserto glielo citò – in modo fuorviante, ovviamen-te – per indurlo a fare un ingresso trionfale a Gerusalemme non a dorsod’asino, ma volando giù dal pinnacolo del tempio...Fatto sta che Marcello, con questa particolare “devozione”, cominciò a farsua la “Parola di Dio”, a pregare con le “Parole di Dio”: e qui cominciò ilbello...

21

UN CONSIGLIO DA AMICO

Capitolo Secondo

Page 20: Un modo particolare di fare volontariato

Conobbi Marcello due anno dopo la sua conversione. Io ero pieno di certez-ze dottrinali e di incoerenze morali – dirigevo allora un Centro BiblicoUniversitario a Perugia –; ma quell’uomo mi parlava del Signore Gesùcome se lo conoscesse davvero...ed era proprio così, perchè l’aveva vera-mente “visto”. Ero allora molto scettico e cauto sui fenomeni di misticismo: ne avevo vistotanti di fasulli. Ma quello che iniziai a conoscere sull’esperienze spiritualidi Marcello, e quello di cui sono stato poi testimone per molti anni, non miha fatto mai dubitare sulla realtà di ciò che quest’uomo ha avuto da Dio.

Ricordo una delle prime volte che l’andai a trovare nella casa dove abitava,alle pendici del Subasio, era il 1980 .Viveva lì, ormai modestamente, maaveva altre “ricchezze” da mostrare. Aprendo un volume dell’enciclopediaTreccani, mi indicò, in una tavola comparativa degli alfabeti antichi, trelettere dell’alfabeto semitico meridionale: le aveva “viste” – e annotate suun brogliaccio, al risveglio – nella visione notturna che due anni primaaveva cambiato definitivamente la sua vita. Del racconto – anche questo,come tante sue altre esperienze spirituali, condiviso pienamente e pubbli-cato solo nel 1995 – ne riportiamo qui almeno una parte: quanto basta pergustare “quant’è buono il Signore”, e quanto insondabile e affascinante e ilsuo modo di agire con noi umani, solo che veda in noi un po’ di buonavolontà. “Mentre dormivo, fui rapito fino in Paradiso. Nel luogo dove giunsi, sede-vano attorno ad una lunga tavola degli uomini che stavano pregando, sottola guida di colui che chiamavano “Maestro”: una figura maestosa che spic-cava in mezzo a loro, con una lunga barba e lunghi capelli, dal volto imper-scrutabile.Per me non c’era posto intorno alla tavola; vidi però una pietra invitante lìper terra e mi ci misi seduto, proprio di fronte a colui che era il SignoreGesù...

...Il Maestro mi porse con la sua destra una specie di cartella e mi disse:“Ora leggi tu”. Capii che dovevo leggere proprio io, da solo presi la cartellatimidamente, temendo di non saper accontentare il Maestro. Il momentoera duro e difficile per me. Iniziai a leggere il primo foglio, ma la mia lettu-

22

IL “CODICE SEMITICO”

Capitolo Terzo

Page 21: Un modo particolare di fare volontariato

ra non era scorrevole, perché io non capivo bene. Il maestro però insistetteaffinché io leggessi meglio, e così ricominciai da capo e lessi correttamen-te. Ad un tratto mi trovai in mano come una pergamena celeste, lucida, su cuinon erano più scritte delle parole, ma segni squadrati a rilievo a me scono-sciuti, come impressi sulla pelle stessa. Questi segni io li potevo vederecon i miei propri occhi e sentire con i polpastrelli delle mie dita, ma nonpotevo decifrarli e tantomeno leggere.Mi fermai quindi non sapendo più andare avanti; provavo rammarico pernon saper portare a termine quanto richiestomi dal Maestro. Ma alcunidegli uomini di prima, voltatisi verso di me, mi dissero: “Ti aiuteremo noi,stai tranquillo”.

Fu soltanto dopo sette mesi che con stupore rividi quei caratteri su unatavola degli alfabeti antichi, in un enciclopedia da poco arrivatami a casa.Riconobbi tra i caratteri semitici meridionali le lettere “BET”, “HE”,“HET”. E scoprii che indicavano altrettante strofe del salmo centodiciotto.Un salmo unico nel suo genere, in cui, in una costante tensione di amore etimore, il servo del Signore chiede e ottiene che Dio gli riveli direttamente,nell’intimo del cuore, i suoi insegnamenti. Quel salmo divenne così miapreghiera fervida e costante”.

23

Page 22: Un modo particolare di fare volontariato

A sentirlo parlare della sua conversione, più che di aver cercato Dio,Marcello si era sentito “cercato” da Dio. Ora, che Dio cerchi tutti noi, èuna benedetta e sacrosanta verità, espressa da molti inequivocabili passidelle Sacre Scritture (ad esempio l’Apostolo Paolo scrive a Timoteo che“Dio…vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenzadella verità”, I Lettera 2,3-4); una verità sancita dalle parole stesse di Gesù“il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”(Vangelo di San Luca 19,10). Ma è pur vero che, nella sua imperscrutabile benevolenza, Iddio irrompe inmodo del tutto particolare nella vita di alcuni. Solo che questi “privilegiati”in realtà sono chiamati a testimoniare e a soffrire per il bene di tanti.

Fatto sta che la vita di Marcello fu totalmente orientata a cercare di piacerea quel Gesù dal quale si era sentito cercato e dal quale era rimasto affasci-nato. Si era innamorato di Cristo e voleva perciò seguire la sua Parola: nonc’è forse una migliore esemplificazione di cosa veramente significhi “esse-re cristiani”. Quell’Amore lo portava a fare penitenza per i peccati che ora vedeva nellasua vita passata, per il male che riconosceva di aver fatto agli altri; e a cer-care fratelli da amare e con cui condividere i pesi, ed essere di “un cuorsolo e un’anima sola”: proprio come leggeva che facevano i credenti delleprime comunità cristiane descritte negli Atti degli Apostoli.

In risposta alle sue preghiere, nel 1981 cominciò a raccogliersi intorno aMarcello e alla sua famiglia nella casa a Viole di Assisi una piccola e sin-golare comunità, composta da persone di diversi paesi e di diverse culture,accomunate dal desiderio di realizzare l’amore verso Dio e il prossimo,unite nella condivisione effettiva di beni materiali, talenti, capacità, gioie edolori...

24

GENESI DI UNA COMUNITA’

Capitolo Quarto

Page 23: Un modo particolare di fare volontariato

Viole è un piccolo paese a qualche chilometro da Assisi, andando versoFoligno.La casa dove abitammo i primi anni, era un vecchio casolare ristrutturato,su due piani, situato al di sopra di quel paesino. All’intorno oliveti, suquella sassosa “terra rossa” ottima per gli olivi, un po’ meno per impiantar-ci un orto. Eppure l’orto eravamo riusciti a farlo e i prodotti che ne ricava-vamo sorprendevano tutti. C’era pure un pollaio, e anche una papera chegirava libera ma che Marcello era riuscito ad addomesticare: bisognavascovare dove poneva le sue uova, riempivano cesti interi...

Marcello abitava là ormai da diverso tempo prima che sorgesse la comu-nità, e già vi era avvenuto qualcosa di non comune: come quando la donnache aiutava nelle faccende domestiche, riferì che la sera prima dalla suacasa ubicata più in alto sul monte aveva visto un fuoco che ardeva sul tettodella casa. E proprio la sera avanti Marcello si era trovato a pregare lì incasa con degli amici credenti.

In paese si cominciarono a vedere i componenti della comunità, vestiti dituniche colorate, che salutavano dicendo “amore e pace”; quando nonandavano vestiti col sacco e a piedi scalzi, magari battendosi il petto... Cosesu cui torneremo. Ma intanto questa presenza intimoriva la gente, cheavvertiva nella comunità un qualcosa di profondo, serio e un po’ misterioso.

Poco al disopra della casa, una stradina di campagna si snodava fiancheg-giando la pendice del Subasio, per poi salire verso una cappellina dedicataa Sant’Antonio Abate. In quei paraggi Marcello si ritirava in preghiera epenitenza, dormendo in un tugurio di pietra costruito sopra una vecchiacava abbandonata; e fin lì si recava a volte tutta la comunità, partendoall’alba dalle Viole, per arrivare in tempo alla messa che vi officiava unsingolare padre francescano, tedesco. Marcello l’aveva incontrato lì duranteun suo ritiro, una risposta alle sue preghiere.

25

A VIOLE

Capitolo Quinto

Page 24: Un modo particolare di fare volontariato

“In quei tempi” scrisse Marcello nella memoria che doveva servire comebase di una regola da presentare al Vescovo “proposi di salutare e di salu-tarci con “Amore e Pace”, convinto che solo dall’amore di Dio può venirela vera pace. Questo saluto non è qualcosa di convenzionale o originale, madeve essere sentito dal profondo del cuore...” Eh sì, era un saluto impegna-tivo per noi che lo porgevamo, e se non veniva “dal profondo del cuore”strideva alle orecchie della gente, e anche alle nostre.

Eppure convogliava un vero “messaggio” per tutti, in quella terra di Assisidove si sono moltiplicate nel tempo così tante manifestazioni per la pace.La pace ha un nome e un volto: quello di Gesù Cristo. Perché è solo in Luiche possiamo attingere al perdono e all’amore di Dio, per poi perdonare eamare chi ci è attorno, amici e nemici. E solo così potremo vivere nellapace, riconciliati con Dio, con chi ci possa aver fatto del male, con levicende stesse della nostra vita.

Padre Pietro Giorgi, anziano francescano del convento di San Damiano, cichiese se poteva adottare questo nostro saluto nella sua corrispondenza.Acconsentimmo di buon grado: sentivamo il suo paterno affetto per lanostra comunità, si considerava “uno di noi”, una volta venne a trovarci,anche noi andammo qualche volta da lui al Convento dove era tra l’altroresponsabile della sala convegni. Aveva colto, al di là di ogni “abusivismosemantico” che si possa fare di tali termini, il significato più profondo el’intima connessione tra queste due parole, dette o scritte in quell’ordine:“amore e pace”.

AMORE E PACE

Capitolo Sesto

26

Page 25: Un modo particolare di fare volontariato

In uno “speciale” dell’aprile – maggio 2006 del mensile “Focus”, dedicatoa 2000 anni di Cristianesimo, a proposito di gruppi e movimento cristianisorti nel XX secolo, si leggeva tra l’altro: – Negli anni Ottanta, i “centonia-ni” si chiamavano così perché si vestivano di stracci (“centoni”) –. Li por-tavamo noi, i centoni. Erano tuniche e mezze tuniche che realizzavamo incomunità cucendo insieme pezzi di stoffa di vari colori. Apparivanosenz’altro “stravaganti” ai più: e anche al Vescovo, per ossequio al quale,infatti, dovemmo a un certo punto dismetterli. Ma in realtà trasmettevanoun messaggio profondo, per noi stessi innanzitutto che li indossavamo: per-ché le toppe di vari colori le avevamo ottenute facendo a pezzi i vestiti piùeleganti che possedevamo, come segno di un taglio netto con la vanità e l’a-giatezza del mondo. La varietà dei colori voleva invece esaltare la fantasti-ca creatività di Dio, e la bellezza della natura da Lui creata. Di recente hosentito raccontare che San Francesco si faceva regalare pezzi di stoffa colo-rata, e li rattoppava sul suo saio: ma guarda!

Conserviamo una fotografia che ritrae la comunità mentre, in questi vario-pinti abiti e a piedi nudi, animava una liturgia a San Rufino. Marcello – cheprima della sua conversione si serviva da un importante sarto di Peru-gia – portava un “centone” fatto di pezze tagliate da vecchi lenzuoli. Un belmodo di umiliarsi davanti a tutti, e anche di ricordarsi di non essere un“sepolcro imbiancato” (così gli aveva detto il Signore).

Fu in una di queste liturgie a San Rufino che incontrammo padre AlessioMaglione, attuale provinciale del Terzo Ordine Regolare: aveva con sé unachitarra, s’instaurò subito una vera empatia. Si mise a suonare qualcosa pernoi (“c’erano due angeli...”); divenne poi il confessore di Marcello, un verodono della Provvidenza per Marcello e la sua “stravagante” comunità...

27

VESTIVAMO ALLA... CENTONIANA

Capitolo Settimo

Page 26: Un modo particolare di fare volontariato

IRREGOLARI

Capitolo Ottavo

28

Dei componenti della comunità, la maggior parte eravamo “irregolari”. A cominciare da Marcello: con la separazione in corso dalla prima moglie,che pure tanto aveva amato e con la quale aveva avuto due figli maschi; eunito ad una donna bellissima, olandese, di origine indonesiana: SylviaConstance, “la delizia degli occhi suoi”. La sua situazione matrimoniale sisarebbe poi regolarizzata con l’annullamento del primo matrimonio – unmonsignore si offrì di curargli gratuitamente la pratica presso il tribunaleecclesiastico di Perugia – per cui Marcello poté poi risposarsi in Chiesa,nella cattedrale di San Rufino, con l’attuale moglie dalla quale ebbe poiotto figli – quattro maschi e quattro femmine –.

Ma allora Marcello era un “irregolare” e per il suo caso, prima dell’annul-lamento, tanti religiosi a cui si rivolgeva dicevano che “non c’era nulla dafare”.

Era pure “irregolare” Angela Groesser, austriaca: in quel tempo l’Austrianon era nell’Unione Europea e il padre – un “pezzo grosso” a Vienna, inge-gnere capo del Genio Civile col titolo di “Senatore” – riuscì a farla estrada-re dall’Italia, allo scadere del suo permesso di soggiorno. Con la motivazio-ne – assolutamente pretestuosa – che non aveva validi motivi né mezzi disostentamento per stare in Italia. Fu addirittura internata in un ospedalepsichiatrico a Vienna, dal quale fuggì rocambolescamente. Angela si senti-va ormai chiamata a vivere nella piccola comunità delle Viole di Assisi.Istruttrice di sci – oltre che professoressa di lingue – valicava con disinvol-tura le Alpi sfuggendo ai controlli di frontiera, per tornare ad Assisi, doveanche la comunità – e soprattutto Marcello – erano stati messi sotto tirocon una campagna diffamatoria scatenata dall’influente senatore Groesser esua moglie. Per ben due volte fu reclusa nel carcere femminile SantaScolastica di Perugia per contravvenzione al foglio di via con cui era stataestradata. Ma infine la spuntò ed ottenne un regolare permesso per stare adAssisi (Angela è poi diventata Presidente della Iaca: si è conquistata i“galloni” sul campo!).

Ma irregolari eravamo anche diversi di noi perché di provenienza evangeli-ca: un vero rompicapo per la gerarchia ecclesiastica. Ricordo la prima

Page 27: Un modo particolare di fare volontariato

volta che, alle Viole di Assisi, l’anziano Don Lamberto venne da noi a cele-brare la messa e a darci l’eucarestia: portò anche un foglio, da parte delVescovo, che quanti erano stati “protestanti” dovevano sottoscrivere: era unaformale abiura della loro passata fede evangelica. ”Prima le abiure” – insi-steva Don Lamberto – “poi l’eucarestia”. Marcello tuonò: il Corpo di Cristonon si “contratta!”

Allora prendemmo prima l’eucarestia...

29

Page 28: Un modo particolare di fare volontariato

Ci pensò il Signore a dare una regola alla nostra comunità così “irregolare”: efu la regola benedettina. In tanti, quando sentono di una comunità di ispira-zione benedettina sorta nella francescanissima Assisi, mi chiedono: “Comemai?” Rispondo: “Perché Dio ha voluto così”; e non come modo di dire.

Delle tante preziose rivelazioni che hanno contrassegnato il percorso spiri-tuale di Marcello e della comunità con lui, questa è quella che raccontocon più piacere, perchè mi sembra di una grande valenza spirituale, eanche perché vi sono stato coinvolto direttamente. Marcello mi disse ungiorno che il Signore gli aveva mostrato un libro da leggere, scritto da un“certo San Gregorio”: un libro che aveva avuto una grande fortuna in tutti isecoli (insomma: un “best-seller!”). Non finisco mai di sorprendermi percome Iddio sembra a volte che quasi “giochi” con le anime che si affidanoin semplicità a Lui: come stava facendo Marcello, che cercava la sapienzadi Dio per essere di aiuto a quanti si erano uniti a lui in quella fortunosaavventura spirituale. San Gregorio Magno! Il “grande” (“magno”) Papa benedettino vissuto sulloscorcio del VI secolo, il quarto e ultimo padre della Chiesa d’Occidente. Lavisione avuta a riguardo, era stata molto profonda e densa di significato spiri-tuale (la si può anche leggere integralmente in internet dove abbiamo sentitodi pubblicarla insieme ad altre “perle” spirituali). Sta di fatto che Marcellomi mandò alla libreria religiosa “Fonteviva” di Assisi, a cercare questoimportante libro. Gestiva quella libreria Don Aldo Brunacci, decano deisacerdoti della cattedrale, poi insignito dal Presidente della Repubblica diun’importante onorificenza per quanto si era prodigato, nell’ultima guerra,per salvare gli ebrei perseguitati. “ Come sta il vostro profeta?” mi chiedevabenevolmente. Quando gli parlai dell’indicazione avuta da Marcello, mi detteda portargli la “Regola Pastorale” di San Gregorio: il suo libro più noto,destinato ai vescovi e risultato nei secoli una vera fortuna per papi, re, prin-cipi e quanti avevano posizioni di governo. Un importantissimo “manuale”per la conduzione delle anime. Dalla “Regola Pastorale” Marcello passò poia leggere la “Regola di San Benedetto” che San Gregorio ci ha trasmesso nelsecondo libro dei suoi “Dialoghi”. Fu così che la comunità si modellò sullaregola benedettina: “Ora et Labora”.

30

UNA REGOLA, ANZI DUE, PER GLI “IRREGOLARI”

Capitolo Nono

Page 29: Un modo particolare di fare volontariato

31

Quella casa dove abitava Marcello sopra il piccolo paese di Viole di Assisi,immersa nella quiete degli oliveti, cominciò a risuonare della salmodiaprevista dalla regola benedettina. Le facevamo tutte le “ore” di preghiera: acominciare dal “notturno”; ci si alzava nel cuore della notte e ci si immer-geva in un lungo “ufficio” di salmi, letture bibliche e dei Padri dellaChiesa. Poi all’alba “l’ora prima”; poi ancora l’ora terza; l’ora sesta, amezzo giorno; la nona, i vespri , la compieta... Cantavamo tutti i 150 salmidel salterio, nel corso di una settimana, e in più avevamo fatto un raccoltadi inni e canti composti da noi. La “Parola di Dio” – letta, ascoltata o sal-modiata – e gli scritti dei Santi Padri echeggiavano nelle nostre menti e neinostri cuori, anche quando poi si passava alle attività lavorative. La regoladi San Benedetto modellava tutti gli aspetti della vita comunitaria. I pasti,ad esempio: in certi giorni o periodi dell’anno noi adulti ne facevamo unoal giorno, in altri periodi due. A mensa, c’era sempre il lettore di turno, chemangiava alla fine. La campanella suonava periodicamente nella giornataper chiamare agli incontri di preghiera: si lasciavano in sicurezza gli attrez-zi di lavoro e ci si affrettava a ritrovarsi coi fratelli attorno alla Parola diDio; e se qualcuno arrivava tardi, stava prostrato a terra. Sì perché la cam-pana era la voce di Dio, che chiamava a distaccarci dalle cose terrene perpensare alle cose celesti: un giorno dovremo lasciare tutto...

Per gli adulti il vitto era piuttosto frugale. In certi periodi di bisogno, sicoglieva l’erba dei campi o si saliva sul Subasio a cogliere le bacche com-mestibili, ma poi la Provvidenza tornava sempre a bussare al portone dellacasa. Proprio come avveniva ai tempi di San Benedetto, quando, esauritaogni scorta alimentare, i monaci trovavano al mattino sacchi di farinalasciati anonimamente alla porta del monastero.

Avevamo lasciato tutti il nostro lavoro “secolare”, e messo in comune quan-to avevamo: per questo la benestante famiglia viennese di Angela, avevapensato bene di “diseredarla”: e lei, contenta, aveva firmato la rinuncia allasua parte di eredità. La “comunione dei beni” – questa forma di “comunismo cristiano” – sem-brava per tanti che ci guardavano dall’esterno un’operazione troppo impra-ticabile (“cose che andavano bene ai tempi dei primi cristiani”): alcuni dal

ORA ET LABORA

Capitolo Decimo

Page 30: Un modo particolare di fare volontariato

di fuori pronosticavano non più di tre anni di durata per questa pazzaavventura comunitaria. Eppure così leggevamo che vivevano le primecomunità cristiane, e così ritenevamo che si potesse vivere anche noi:“Tutti coloro che erano diventati credenti – scrive San Luca negli Atti degliApostoli – stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune… La moltitudi-ne di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuor solo e un’anima sola,e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva…” (Atti2,44;4,32). Mettere insieme i beni – cosa tutto sommato fattibile, e in fondoliberatoria – come via per raggiungere una più impegnativa, vera comunio-ne dei cuori nell’amore di Cristo: il che è il carattere fondante e imprescin-dibile di ogni vera comunità cristiana.

È difficile condividere il “clima” spirituale che si viveva in quegli anni.Avevamo preso sul serio la Parola di Dio; e avevamo preso sul serio laregola benedettina che Iddio ci aveva messo tra le mani. Sentivamo diavere a che fare con Dio stesso, non con un progetto umano, né con unuomo con un indubbio carisma e tanta buona volontà qual’era Marcello.Respiravamo quel santo “timore” che aleggiava nelle prime comunità: “unsenso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degliApostoli…” (Atti 2,42). E “segni e prodigi” avvenivano per davvero: meri-terebbero un libro a parte. Uno almeno lo voglio raccontare...

Austin era un giovane studente nigeriano che avevo conosciuto all’Istitutoper Geometri di Terni, dove avevo insegnato per qualche anno. Stava sem-pre male, accusava forti dolori alla testa, fino ad avere dei black-out; si eragià sottoposto ad un intervento chirurgico ma senza alcun risultato Lo invi-tai a venire ad Assisi, presso la comunità, dove poté incontrarsi conMarcello, il quale cominciò a pregare per lui, finché ricevette dal Signorela rivelazione che quel ragazzo era posseduto da ...spiriti maligni! Austinconfermò di essere stato oggetto di un maleficio nella difficile realtà fami-gliare e culturale da cui proveniva, a causa della rivalità esistente tra ledue mogli del padre. E Marcello, ignaro di quelle norme canoniche cheriservano la pratica dell’esorcismo soltanto a sacerdoti che “si distinguanoper pietà, scienza, prudenza e integrità di vita” – trovò la fede e la forzadell’amore per pregare su di lui imponendo le mani e liberandolo da quegli

32

Page 31: Un modo particolare di fare volontariato

spiriti che tormentavano la sua anima e facevano star male il suo corpo. Miè difficile dimenticare come Austin si contorcesse, sbavando e urlando. Mainfine vedemmo il suo volto, che prima dell’esorcismo era aggrottato e rico-perto di bolle, ora dopo la preghiera sano e con la pelle liscia e vellutata. Illancinante mal di testa era sparito, e lui testimoniava di sentire una pacemai provata prima...

Ma come dice Gesù nel Vangelo, se chi è liberato dal maligno non si con-verte poi veramente, la sua condizione finale può diventare peggiore... Fucosì che durante una preghiera comunitaria, Marcello ebbe per Austin, cheora chiedeva di far parte della comunità, una visione niente affatto incorag-giante, e la condivise così come l’aveva avuta: Austin era un... rapace checontrabbandava oro! Al che lui si inginocchiò, tutto tremante, e confessòche, con un suo cugino, stava trafficando lingotti d’oro dalla Nigeria...

33

Page 32: Un modo particolare di fare volontariato

Rocca Sant’Angelo è un piccolo paese collinare al margine settentrionaledel Comune di Assisi. Al di sopra del paese, un convento: Santa Maria in Arce. Con una comunitàreligiosa femminile fondata e retta dal parroco del paese, padre AugustoDrago. Ancor più su un casolare antico, il “Casone”, di interesse storico-architettonico, e alcune case rurali più piccole, circondate da oliveti, qual-che campo a seminativo, boschi. È la sede comunitaria della AssociazioneIACA, che proprio qui fu costituita, nel 1991. Nella parte della schedaassociativa che rimane a chi aderisce, si possono vedere, in una foto aerea,le quattro case della Comunità, ognuna con un suo nome e una sua storia: il“Fienile”; il “Casone”, appunto; la “Casetta”e la “Casa sulla Roccia”.Riuscimmo a entrare in possesso di questo fondo rustico nel 1981.Avevamo bisogno di un luogo dove realizzare il nostro “ora et labora” (nellacasa alle Viole di Assisi non c’entravamo più) e anche di una casetta su unpiano per un fratello impedito di camminare. Il trasferimento dalle Viole fugraduale, in pratica ci stanziammo lì definitivamente nel 1985.

Ma intanto vi avvenne qualcosa di determinante per Marcello e tutta lacomunità, perché nell’estate del 1981 Marcello sentì di fare una “quaresi-ma” di preghiera e digiuno isolandosi nel piano superiore del “Fienile”,che era allora privo di ogni arredo e confort. Solo una tavola per letto, untavolinetto, una sedia. Si alimentava con lo stesso vitto che, 25 secoliprima, Iddio aveva prescritto al profeta Ezechiele: tre etti di pane, fatto conla farina di alcuni cereali e legumi, e un litro d’acqua al giorno. La compa-gnia di una gallinella bantam – “Fiocco di neve” – e un coltellino per inta-gliare un bastone di legno. E la Sacra Bibbia, naturalmente.

Ma ecco cosa Marcello scrisse poi di quel ritiro, in una “memoria” che glifu sollecitata da alcuni sacerdoti, e che lui sottopose innanzitutto al suoconfessore (questi volle che fosse intitolata: “Frammenti di una storia pro-fetica che il Signore sta compiendo nella terra di Assisi”): “Il 15 Agosto del1981, il giorno dell’Assunzione, mi ritirai come in un deserto per quarantagiorni nell’ex fienile di una casa colonica a Rocca Sant’Angelo…Volevoimitare Gesù, Mosè e San Francesco. Ero certo che sarei uscito da questotempo quaresimale edificato e con tante cose buone da dare ai fratelli.

34

A ROCCA SANT’ANGELO

Capitolo Undicesimo

Page 33: Un modo particolare di fare volontariato

Il parroco P. Augusto Drago con il quale avevamo instaurato un ottimo rap-porto (il Signore mi aveva dato una visione in cui mi fece vedere P. Augustoancora prima di conoscerlo: nella visione toglieva dalla mia strada unagrossa pietra che mi impediva il cammino), per l’occasione celebrò la SantaMessa dandomi l’Eucaristia e la sua benedizione per questa mia quaresi-ma...Fu per me un’esperienza mistica indescrivibile; il Signore mi ispiròanche a scrivere una parola profetica, che subito sottoposi al discernimentodi P. Augusto, professore tra l’altro di Patristica e Sacre Scritture...Lui dopoaverla letta c’era stato male, fino a non poterci dormire. Affermò che questascrittura non poteva che essere dal Signore. Lo disse anche pubblicamente,celebrando la Santa Messa, subito dopo la fine del mio ritiro. Incoraggiatodalle affermazioni di P. Augusto, diffusi questo messaggio profetico in par-ticolare a Roma...”.

Questa “profezia” – la prima e più grande avuta da Marcello; ne ebbe altrequattro nel 1995, all’indomani di un gravissimo infarto – io stesso la sotto-posi al discernimento di un Arcivescovo – ora Cardinale, personalità dav-vero eminente della Chiesa – che la lesse sotto i miei occhi, non riscon-trandovi nulla di contrario alla Fede Cattolica.Ma era anche l’inizio di molte tribolazioni per Marcello e tutta la comunità;soprattutto quando la profezia si comincio a diffonderla ad Assisi...

35

Page 34: Un modo particolare di fare volontariato

A Santa Luciola di Foligno, dove facemmo una breve – e difficile – espe-rienza di vita parrocchiale, ci chiamavano “quelli de lu saccu”. E ancoraqualche tempo fa, uscendo da un ufficio postale di una frazione di Assisi,sentivo l’impiegata che con un pizzico di ironia diceva ai presenti: “Maquello non andava in giro con la balla?...”.

Eh già, perché prendevamo proprio le balle di iuta – quelle delle patate – eci facevamo questi “sacchi” che portavamo scalzi, per fare penitenza, ocome segno di penitenza.

La gente “leggeva” questo messaggio in chiave francescana; ma quando,camminando col sacco da Rocca Sant’Angelo ad Assisi , si sentiva qualchepia donna che diceva al nipotino “guarda San Francesco!”, uno si vergo-gnava come un cane. Dentro quel sacco non c’era un fervente devoto delsanto; c’era un disgraziato “apprendista” cristiano che aveva bisogno disentire un po’ di freddo e qualche spina sotto i piedi, per rompere la super-bia e la durezza del cuore...A volte si andava in quella veste ad Assisi,davanti alla Basilica di San Francesco, in occasione della visita di qualchepolitico o per qualche altro evento ufficiale che riempiva la piazza dellabasilica di belle macchine e personaggi importanti, a ricordare che il vero“spirito di Assisi”, lo spirito di San Francesco, era un’altra cosa: era unospirito di innamoramento per Cristo e i suoi poveri, di penitenza per il pro-prio e l’altrui peccato, e di brama di salvezza da quella “morte seconda”,quella morte che non muore mai, l’inferno eterno insomma, di cui il santoparla anche nel suo bellissimo Cantico delle Creature.

La parola profetica avuta da Marcello risuonò abbondantemente in Assisi:“Guai a voi, preti e frati che pascete voi stessi, voi siete i maggiori respon-sabili...”“Quanto eri bella, sposa mia, madre dei miei figli, delizia degli occhi miei,splendore per tutte le genti. Ora non sei che un frutto marcio! Ricerchi glo-ria nelle alleanze politiche e religiose; parli di ecumenismo...”.

E sempre col sacco, partecipavamo anche alle marce della pace da Perugiaad Assisi, ma come segno di contraddizione. Un passaggio della profezia

36

COL SACCO

Capitolo Dodicesimo

Page 35: Un modo particolare di fare volontariato

che proclamavamo spesso in quell’occasione, era: “Si parla di pace, sicerca la pace, ma gli uomini non sanno più neppure cosa sia “pace”. Lapace solo Io posso darla, dice il Signore...”; e gridavamo anche le sconcer-tanti parole di Gesù: “Non crediate che Io sia venuto a portare pace sullaterra…” (come nel Vangelo di San Matteo 10,34).

La scomunica vescovile che ci cadde addosso nel 1994 – una vera bolla dieresia, rimossa solo agli inizi del 2006 – era in qualche modo da mettere inconto. Ce la saremo anche in parte meritata – saremo stati forse troppoaccusatori e poco pietosi. Ma quella “parola profetica” ci era venuta daDio, e quella “parola” dovevamo dire; e non la rinneghiamo.

37

Page 36: Un modo particolare di fare volontariato

“Ma guarda, allora ancora esistono gli eretici?!” esclamava qualcuno tra ilsorpreso e il divertito, a sentire che eravamo stati bollati con quella pesan-tissima notifica vescovile.C’era poco da scherzare: furono dodici anni di una severa emarginazioneecclesiale con sconcertanti implicazioni anche nella sfera dei diritti civilidei singoli componenti della comunità: ci fu addirittura un’interpellanzaparlamentare al riguardo. Venimmo a conoscenza di quella “Bolla” daibambini della comunità: lamentavano che i loro compagnetti di scuola li“portavano in giro” additandoli come “eretici”: “E che significa?” chiede-vano. Quando, dietro la richiesta di chiarimenti presso la Curia Vescovile,ci pervenne una lettera con cui il Vicario confermava quanto, senza alcunpreavviso, era stato pubblicato a nostro riguardo sul mensile diocesano“Chiesa Insieme”(!) ed esposto sulle bacheche all’ingresso delle varie chie-se della Diocesi, Marcello rimase un po’ assorto a lisciarsi i baffi con ledita, come fa nelle situazioni più impegnative. Ma poi lo vidi illuminarsi,con quella sua carica di indefettibile positività: “È una laurea honoriscausa”, commentò.

Ma in realtà furono anni difficili.Chi veniva a cercarci e chiedeva informazioni al sottostante convento o alpaese, veniva scoraggiato a proseguire fin su da noi... Quasi una “ghettizza-zione” fisica che accompagnava l’esclusione – ancor più dolorosa – dallacomunione ecclesiale e dai sacramenti, che ebbe non pochi effetti negativisulla vita e sullo sviluppo della comunità. Ci fu però chi volle vederci più chiaro in tutta questa storia, nonostante ilmuro di prevenzione e diffidenza che avevamo attorno: uno di essi fu loscrittore e giornalista Guido Ceronetti, che chiese di incontrarsi conMarcello e venne a Rocca Sant’Angelo accompagnato dalla ricercatriceCecilia Gattotrocchi, esperta di sette e gruppi esoterici vari...

38

ERETICI AD ASSISI

Capitolo Tredicesimo

Page 37: Un modo particolare di fare volontariato

Nel già citato, ampio servizio di Guido Ceronetti su Marcello e la sua co-munità, pubblicato nel 1998 su “La Stampa”, si leggeva tra l’altro: “Orien-te fumante” fu il primo nome che si diede la comunità raccolta – numero-sa – intorno a Marcello, ed era bello, intimoriva, ma l’hanno abbandonatoper il più tranquillo Famiglie di Betlem e una sigla che indica in ingleseuna generica Christian Action... Il vescovo di Assisi, dopo uscite e rientri,ha finito per escluderli dalla comunione: la rottura tra il profetismo e ilsacerdozio è inevitabile sempre. Tuttavia, sfogliando le fumanti profezie diMarcello (oggi, sulla sessantina, barba candida, calore umano), si leggeche il primo maggio dell’Ottantuno ebbe la visione del Papa gravementemalato, in piedi “dietro un piccolo tavolo bianco di ospedale”. Tredicigiorni dopo ci fu l’attentato di Agca, ed è vero che il Papa rimase, pur feri-to, “in piedi”.

L’articolo merita un paio di annotazioni: innanzitutto sulla predizione del-l’attentato al Papa in piazza San Pietro. Alla vigilia dell’attentato eravamo acena nella casa di Marcello, a Viole di Assisi. Ci disse di pregare per ilPapa, perché l’aveva “visto” gravemente malato. Dio solo sa perché loSpirito Santo abbia voluto anticipargli quel tragico evento; ma non è certosenza significato l’atmosfera di profonda riverenza verso quel grande Papa,che trapela nell’annotazione finale del racconto che di quella visione fecepoi Marcello: “Anch’io stavo in piedi davanti a lui, in silenzio, come unallievo dinanzi al suo maestro”.

C’è poi d’aggiungere qualcosa anche a riguardo del nome che la comunitàaveva all’inizio: “Oriente fumante”. “Era bello, intimoriva” scrisseCeronetti. Anche a noi quel nome era ed è stato sempre molto caro, perchéce l’aveva dato un umile agricoltore della piana di Assisi, di nome Isidoro,che aveva accolto con semplicità il carisma di Marcello, e andava spessonella sua casa a pregare.

Lo andai a trovare una volta che era malato; mi raccontò che aveva sognatodi incontrare Marcello, e di avergli chiesto: “Ma tu da dove vieni?” e unavoce gli aveva risposto in sogno: “Viene dall’Oriente fumante”. Isidoropoteva capire “Oriente”, ma non quel “fumante”. Anche noi, all’inizio non

39

GUIDO CERONETTI, E LE FUMANTI PROFEZIE DI MARCELLO

Capitolo Quattordicesimo

Page 38: Un modo particolare di fare volontariato

lo capivamo, quando ne parlammo poi in comunità. Ma poi trovammo unatale abbondanza di riferimenti biblici sulle “teofanie” – le manifestazionidi Dio – nel fuoco e nel fumo, che ne rimanemmo sorpresi, e con il giocosostupore dei bambini decidemmo di chiamarci proprio così, “Oriente fuman-te”.

Quel senso di meraviglia crebbe ancora, quando leggemmo che Dante,nella sua Divina Commedia, scrive che “Assisi” in realtà dovrebbe chia-marsi “Oriente” (Paradiso XI, 52-54). Ma già da molto tempo avevamodovuto abbandonare quel nome, perché a giudizio del Vescovo sapeva di...“massoneria”.

40

Page 39: Un modo particolare di fare volontariato

Gaiche è un piccolo, antico borgo medievale a una trentina di chilometri daPerugia, con una sua storia particolare, perché sette secoli fa era una pic-cola “repubblica” con un proprio statuto Molti lo conoscono per qualchemotivo e ne parlano con simpatiaQuando cominciammo a stanziarci anche lì – nel 1986 – il “Castello diGaiche” era allora in rovina; venne poi restaurata l’antica cinta muraria, eristrutturato il castello e le case del vecchio nucleo abitativo all’interno. Ma ecco come Marcello, nella sua già citata breve memoria scritta nel1989 – “I Frammenti di un’opera profetica…” – ricorda come pervenimmoin questa bella e appartata nicchia montana della Verde Umbria:“Nel Luglio del 1986 una certa eredità mi cascò addosso. Quasi contempo-raneamente ci fu offerta a condizioni incredibili, tanto da vederci la manodi Dio, una proprietà agricola a Gaiche di Piegaro. Vi erano una casa colo-nica da restaurare, un grande capannone che sembrava quasi un tempio euna sorgente di acqua denominata “del Beato Lepoldo”, al dire della genteprodigiosa. Comunitariamente credemmo fosse la volontà di Dio e ne deci-demmo l’acquisto. Questo consentiva, se non altro, di trasferire intanto mecon la mia famiglia. Cominciando così a toglierci dal ghetto in cui...ci sta-vano murando”.Voleva essere l’inizio di una missione di largo respiro, volta a portare unatestimonianza di amore e di pace nel mondo.

Ci spostavamo da Rocca Sant’Angelo a Gaiche con un vecchio furgone ria-dattato a camper, “l’archetta”. A volte c’impantanavamo su quella stradache con diversi tornanti saliva dal paesino fin su alla casa: che era som-mersa da rogaie fino all’altezza del piano superiore. Non c’era elettricità, lasera “appicciavamo” le lampade a cherosene, all’angolo esterno della casamettemmo una grossa “lampara a gas” come quelle dei pescatori. Avevamoun piccolo frigorifero a gas, niente telefono (non c’erano allora i telefonini,successivamente cominciammo ad attrezzarci con dei “baracchini”). Eravamo entusiasti di quel luogo, anche se richiedeva tanto lavoro, quasida pionieri.La gente del posto, ci guardava con curiosità, un po’ di diffidenza, un pizzi-co di simpatia – ci chiamavano “quelli di amore e pace” –.Vivemmo cosìsenza luce e senza telefono per circa tre anni. Marcello si ritirava a pregare

41

A GAICHE

Capitolo Quindicesimo

Page 40: Un modo particolare di fare volontariato

o nella diroccata cappellina di Sant’Antonio Abate, distante qualche chilo-metro e seminascosta nella vegetazione, o in un’area un po’ appartata emolto suggestiva della proprietà, che avevamo chiamato “zona paradiso”. I primi interventi li facemmo sulla viabilità: raccogliemmo una lista diquelli che chiamavamo gli “amici della sorgente”, persone che venivanopiù o meno regolarmente a prendere l’acqua della sorgente del BeatoLeopoldo. Il Comune ci fornì qualche camionata di breccia, e questi“amici” collaborarono a stenderla sulla strada e a sistemare le scoline. Poi era urgentissima, in quella zona già colpita da diversi incendi in passa-to, la necessità di ripristinare la viabilità interna: un’opera molto impegna-tiva, data la grandezza di quel fondo montano (una sessantina di ettari).Prendemmo degli accordi in tal senso con la Comunità Montana, che ancheci aiutò con i suoi mezzi a rimettere a coltura campi abbandonati. Poi pas-sammo a ripulire e a mettere “a turno” i boschi circostanti abbandonati edegradati.

Tutti questi interventi li facemmo con estrema cura e attenzione di quel-l’ambiente che ogni tanto ci svelava “segni” della passata attività umana:ora un “terrazzamento” fatto con muretti a secco, ora delle “lunette” fattesempre con pietre giustapposte intorno al ciocco degli olivi. Oppure vec-chie piante di vite ancora abbarbicate – “maritate” – all’acero. Ci sarebbemolto da aggiungere sulla preziosità di questi “segni” lasciati lì da genera-zioni di semplici, spesso poveri agricoltori; come anche sulla varietà dellaflora e della fauna locale. Crediamo che, se Dio vorrà, ci sorgerà in futurouna bella oasi, di cui molti potranno godere.

42

Page 41: Un modo particolare di fare volontariato

Il 1998 fu l’anno in cui cominciò a rompersi il velo di silenzio che si eracreato attorno alla nostra comunità, da quattro anni ormai “al confino” conla paradossale bollatura di “eretica” in una terra di marcato spirito ecume-nico e interreligioso qual’è Assisi. Se il primo a rompere quella congiuradel silenzio era stato Ceronetti col suo articolo uscito su “La Stampa” amarzo di quell’anno, a fine ottobre successe un fatto che suscitò un grandeinteresse da parte della stampa, della televisione, e di vari esponenti delmondo politico e culturale.Al Vaticano, si teneva un simposio internazionale sull’eresia. Si avvicinavail Giubileo del 2000 e la Chiesa sentiva il bisogno di purificare la memoriadalle colpe commesse in passato nel trattare casi ereticali, quali quello delSavonarola, o di Giordano Bruno. Ci poteva essere speranza anche per noi,piccola eretica comunità di famiglie...Andammo a Roma, col sacco e a piedi scalzi, per cercare di commuoverequalche alto prelato che partecipava a quel simposio. Ma sotto il porticatodi San Pietro fui arrestato: mi portarono al vicino commissariato, poi allaquestura di Piazza Cavour; là mi “schedarono” prendendo le impronte digi-tali, e poi mi misero in mano un foglio di via da Roma per un anno perché“persona pericolosa per la sicurezza pubblica” che “poteva commettereazioni delittuose”.

Ma la cosa non era finita. Dopo qualche mese – nel febbraio del 1999 –ricevetti una sorta di “avviso di garanzia” (capita a molti, al giorno d’og-gi...): la Prefettura di Perugia mi fece sapere che era in corso il ritiro dellamia patente di guida. Uno pensa subito a quale madornale infrazione alcodice della strada possa aver commesso (chi è senza peccato...) Macchè:in quanto destinatario di un foglio di via, la legge mi proibiva di guidareveicoli a motore: non ne avevo i “requisiti morali”.Quell’episodio fece sorridere molti, soprattutto quando, sul Messaggero,comparve la vignetta in cui dialogando con un “arancione”, io – vestito disacco – gli dicevo: “Beato te, io non ho più manco il foglio “rosa”. L’articolo di Italo Carmignani che commentava l’accaduto nella prima pagi-na di quel giornale – del 15 aprile 1999 – terminava così: “se il suo gruppoè considerato eretico cosa può riservare la burocrazia ai seguaci diSatana?”. Ci fu anche un’interrogazione che un senatore, Luigi Manconi,

43

SPATENTATO…

Capitolo Sedicesimo

Page 42: Un modo particolare di fare volontariato

rivolse al Ministero dell’Interno e a quello di Grazia e Giustizia, “per sape-re: se i ministri in indirizzo non intendono verificare la validità dei motiviper cui sia stato deciso di limitare la libertà di movimento, di espressione,e di opinione di un cittadino italiano che semplicemente attuava una formadi protesta”.

Per due anni mi spostai con un piccolo scooter, con cui coprivo – anched’inverno – i 50 chilometri che separano i due centri dell’Associazione.Finché al commissariato di Assisi mi fu resa la patente di guida: non come“grazia” giubilare (era il dicembre del 2000), ma perché in quello stessoanno la Corte Costituzionale aveva dichiarato illegittima tutta la normativache aveva motivato quella revoca. Si, insomma, si erano sbagliati…o forseno. Perché anni prima il Signore aveva dato a Marcello una visione nottur-na, che in un suo scritto Marcello così raccontò:” Una falce e una candelami venivano addosso dall’alto. La candela stava al posto del martello. Sì,proprio una grande “falce e candela” stava per schiacciarmi quando unamiriade di stelle la deviarono da me, ed una croce grandiosa apparve sopradi me. Dal potere politico e religioso mi aspettavo quindi oppressioni edafflizioni, ma la croce mi avrebbe comunque sempre salvato”. Intanto e comunque, però, quell’episodio era servito a muovere le acqueintorno al nostro “caso comunitario”, la mia patente di guida aveva funzio-nato come un sasso gettato nello stagno...

44

Page 43: Un modo particolare di fare volontariato

...sono stati fatti diversi servizi, il primo sulla trasmissione “Italia Sera” diRAI 1, un po’ di anni fa: riguardava un aspetto un po’ marginale ma curio-so e simpatico delle nostre attività nel campo naturalistico, e cioè un pic-colo allevamento amatoriale di Cincillà da compagnia. L’aveva intentatouna giovane della comunità, l’attributo “da compagnia” era tutto un pro-gramma. Abbiamo portato più volte questi graziosi ed enigmatici roditori,dalla pregiatissima pelliccia, ad esposizioni sull’agricoltura, fiere e sagreestive. La gente passa davanti sbirciando, poi fatto qualche passo tornaindietro e chiede: “Ma che sono?”. Pochissimi li conoscono, ci divertiamoa farli indovinare: vengono fuori i nomi più strani...

Finché anche la televisione finì per interessarsi a questa nostra iniziativa,una piccola troupe venne a Gaiche, fecero un bel servizio con dei simpati-cissimi primi piani dei nostri “pet”, e un divertente sottofondo musicaletra cui non poteva mancare “Oh cincillà, oh cincillà” dell’omonima ope-retta.

Più impegnativo, il servizio televisivo che fu trasmesso dal settimanale“Terra” di TG5 il 13 Gennaio 2001. Il tema era “Espulsioni”. Uno degliargomenti, era quello degli immigrati clandestini espulsi dall’Italia, mapoi la puntata parlava anche di noi, espulsi da...Assisi.

Venne su a Rocca Sant’Angelo la giornalista Cristina Bianchino, insieme adue operatori televisivi: non sapevamo che erano stati già ad Assisi, doveavevano intervistato la gente comune e anche il vicario del Vescovo, perraccogliere le varie opinioni sulla nostra comunità. Eravamo al settimoanno dalla scomunica, ne dovevano passare altri sei prima di essere riam-messi nella comunione ecclesiale: ma chissà come e quanto abbia potutoaiutare anche questo servizio, trasmesso da una rete nazionale. Abbiamoavvertito e apprezzato in Cristina Bianchino il rispetto, la discrezione e unsincero desiderio di voler “comprendere” la nostra situazione, prima diraccontarla al grande pubblico. Davvero un buon giornalismo televisivo,come anche quello con cui Tony Capuozzo ha presentato su “Terra” ilnostro “caso”.

45

IN TELEVISIONE …

Capitolo Diciassettesimo

Page 44: Un modo particolare di fare volontariato

Tra gli altri servizi televisivi, uno è andato in onda su Rai Tre nello spaziomattutino dedicato al Volontariato, promosso proprio dal Cesvol. Le ripre-se furono fatte presso il Centro Comunitario di Rocca Sant’Angelo, conbelle inquadrature della zona e un buon “reportage” sulle attività che visvolgiamo.

Ma ormai eravamo finiti addirittura in un’enciclopedia: proprio così...

46

Page 45: Un modo particolare di fare volontariato

Nella seconda edizione della Enciclopedia delle Religioni pubblicata dalCESNUR di Torino nell’ottobre del 2006 – la prima edizione è del 2001 –risultiamo ancora tra i “Gruppi Cattolici di frangia”.In realtà, già dagli inizi di quello stesso anno era sopraggiunta la notificazio-ne vescovile di riammissione e riconoscimento ecclesiale della comunità; maper ragioni e tempi del lavoro tipografico, la scheda relativa alla nostra“Comunità Famiglie di Betlemme” è rimasta dov’era prima, nel ponderosovolume del CESNUR. Di primo acchito, non fummo molto entusiasti di essere stati definiti “cattoli-ci di frangia”; ma poi Marcello ci fece notare che le frange possono pur esse-re una cosa bella e che abbellisce. Addirittura, al suo popolo eletto Dio avevaprescritto che ogni Israelita doveva portarle ai bordi del mantello.Dal professore Massimo Introvigne e da Pier Luigi Zoccatelli che hannocurato l’articolo sulla nostra comunità, ci siamo sentiti non solo “studiati”,ma anche in qualche modo “capiti”, con una non comune, quasi premurosaattenzione, nell’evoluzione della nostra situazione ecclesiale.

Parlando del CESNUR di Torino e dell’immagine che ha dato di noinell’Enciclopedia, non possiamo non parlare di un’“altra” immagine: quellaimpressa nel sudario che avvolse il corpo di Gesù nella tomba: la SacraSindone conservata a Torino.Le immagini che noi – o altri per noi – diamo di noi stessi (e oggi viviamonella cultura dell’immagine, tra l’“essere” e “l’apparire”), sono più o menovolutamente “truccate” o quantomeno “ritoccate” rispetto alla realtà che Diosolo conosce.E anche quanto abbiamo scritto sulla nostra storia e quanto altri hanno dettodi noi non sfugge a questa impietosa verità. Con l’avvento delle macchinefotografiche digitali o i telefonini... è dilagata la mania di fotografare e foto-grafarsi: sempre sorridenti ...s’ intende. Ma la fotografia che il Signore Gesùha lasciato di sé è di altro genere: è la fotografia del vero Amore con la “A”maiuscola, che soffre e che si offre agli altri, sempre.Nella visione che cambiò la sua vita, Marcello non vide un Gesù dall’espres-sione sorridente e accattivante, ma “una figura maestosa...con una lungabarba e lunghi capelli, dal volto imperscrutabile”. Tempo dopo, rivide e rico-nobbe quel volto in una mostra itinerante sulla Sindone, allestita da

47

SULL’ENCICLOPEDIA DELLE RELIGIONI

Capitolo Diciottesimo

Page 46: Un modo particolare di fare volontariato

Monsignor Ceccobelli – attuale Vescovo di Gubbio – alla periferia di Perugia.Per inciso: in occasione della visita a quella mostra, tra Monsignor MarioCeccobelli e Marcello con la sua comunità s’instaurò un rapporto di cordialecomunione e frequentazione. In una lettera scritta anni dopo alla comunità,l’allora parroco di Ponte Felcino così ricordava quell’incontro e quel tempodi fraternità:“Fratelli nel Signore, ci siamo conosciuti nell’ottobre del 1981 in occasionedella mostra sulla Sindone nella mia parrocchia. È nata subito una bella ami-cizia. Sono stato colpito dalla radicalità delle vostre scelte. Trovavo in voi lafreschezza evangelica che fu già di San Francesco. Vi ho accolto con totaledisponibilità. È iniziata una fase di conoscenza con vari incontri soprattuttocon Marcello. Sono venuto anch’io più volte sia alla Rocca che a Gaiche. Miavete chiesto di aiutarvi a capire la Volontà di Dio. Vi ho sollecitato a scriverela vostra esperienza, ne è nato un piccolo scritto dal titolo “Frammenti di un’o-pera del Signore Gesù…”.Una “fotografia”, anche questa: del clima spirituale che la comunità vivevain quei primi anni, nel fervore del suo primo amore per “l’uomo dellaSindone”.

Ci recammo diverse volte a Torino, in occasione dell’Ostensione dellaSindone del 2000; e portammo questa testimonianza all’allora CardinaleSaldarini: “La nostra comunità è nata da un uomo che ha visto Gesù, e l’havisto con le esatte sembianze del volto della Sindone”. Il Cardinale era indaf-farato, ma ebbe il tempo di esclamare: “Beato quell’uomo!”

48

Page 47: Un modo particolare di fare volontariato

Come era stata pubblicata, sul mensile diocesano “Chiesa Insieme” delFebbraio 1994, la notificazione vescovile di eresia per la ComunitàFamiglie di Betlemme, così sullo stesso periodico, nel numero di Marzo-Aprile del 2006, venne riportata la notifica della sua riammissione nellacomunione ecclesiale. A emetterla, fu proprio lo stesso Vescovo – Mons.Sergio Gorietti – sotto il cui magistero la comunità aveva vissuto quellungo, “penitenziale” percorso da “eretica”. E pensare che sulla Cattedradi San Rufino, ad Assisi, era stato già nominato a succedergli l’ArcivescovoDomenico Sorrentino, autore tra l’altro di una coraggiosa “ipotesi assoluto-ria” su Giordano Bruno, il grande eretico del XVI secolo. Fu un vero sollievo per la Comunità, e in particolare per Marcello, che seanche aveva “incassato” la bolla di eresia come una laurea “honoris causa”– singolare quanto sofferta autenticazione della sua vocazione e delle pro-fezie ricevute –; e pur consapevole, come ben aveva evidenziato Ceronettinel suo articolo sulla Stampa, che “la rottura tra profetismo e sacerdozio èinevitabile, sempre”: non aveva però mai sottovalutato la gravità di unsimile pronunciamento della Chiesa Diocesana.

Per un vero “cattolico”, il “legare” e lo “sciogliere” della Chiesa è unacosa estremamente seria, perché avallata dalla parola stessa di Gesù (“inverità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato anche incielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche incielo”, Vangelo di San Matteo 18,18). Per questo Marcello aveva più volte cercato – con “coraggiosi tentativi di ri-conciliazione”, come riportato dall’Enciclopedia delle Religioni, e grazie al-l’assistenza e alla mediazione del suo confessore Padre Alessio Maglione – ilproscioglimento da quel difficile “status” canonico ed ecclesiale; non tantoper sé stesso, quanto per il timore che al momento della sua dipartita daquesto mondo i suoi figli e gli altri componenti della comunità potesserorestare sguarniti dell’abbraccio e della protezione di “madre Chiesa”. Ed ora la comunità può continuare il suo cammino sotto la sicura, paterna eilluminata guida del nuovo Arcivescovo-Vescovo di Assisi, DomenicoSorrentino, pienamente inserita nel corpo ecclesiale quale “associazioneprivata” (è una definizione del Codice di Diritto Canonico; tutt’altra cosada ciò che per sua natura e finalità è l’Associazione IACA, che pure nellacomunità di Assisi ha le sue “radici”).

49

CHIESA. INSIEME. FINALMENTE!

Capitolo Diciannovesimo

Page 48: Un modo particolare di fare volontariato

“Buona notte, papà”. Finita la “Compieta” – l’ultima preghiera comunitariadella giornata, dopo la cena serale – i giovani salutano e si ritirano. Aletto? No, in... discoteca. Ma il padre non lo sa; la mamma sì, e anche alcu-ni membri della comunità, tutti complici nell’ipocrisia, quell’ipocrisia sem-pre tanto detestata da Marcello (e condannata così recisamente da Gesù,che nella sua Parola anticipa inequivocabilmente quale sarà “la sorte chegli ipocriti si meritano”: “pianto e stridor di denti” – Vangelo di San Matteo24,52 –). Poi, come sempre, la verità viene a galla. Dolorosa.

Ma come ?! Tanti anni spesi per inculcare alla famiglia e alla comunità laverità, l’amore e il timore del Signore, o quanto meno i fondamentali valoriumani, quali la lealtà, il coraggio ...e i figli che ti vanno di nascosto indiscoteca. Ma che è successo?! No, il problema è un altro: che cosa “non”è successo? Non si è acceso nei cuori quel “fuoco” che Gesù ha detto diessere venuto a portare sulla terra (così nel Vangelo di San Luca 12,49): laforza vitale dell’amore di Dio, l’amore per le realtà celesti, l’amore pronto atutto per il bene e la salvezza di chi ci sta accanto, amico o nemico chesia...Uno può predicare tutta una vita – insegnano i Padri della Chiesa –ma se lo Spirito di Dio non apre i cuori, è tutto inutile. Rimane un vuotoformalismo religioso, il rito, la liturgia. Ma il cuore sta...in discoteca. Eognuno ha la sua...“Si addormentano sugli altari, dove tutto si riduce a un culto formale edesteriore...”, stigmatizzavano quelle parole avute da Marcello nella prima,grande profezia del 1981. Ora lo viveva tra i suoi... Ma, doveva succedere.

Chi ha questo tipo di vocazione, è chiamato a vivere nella sua carne, nellasua esperienza personale e in quella di chi lo circonda, il messaggio cheDio gli ha consegnato. “Và, prenditi in moglie una prostituta e abbi figli diprostituzione, perché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dalSignore”: e il profeta Osea obbedì (Osea 1, 2-3). A Marcello Il Signoreaveva detto, fin dall’inizio: “E tu figliolo sarai così un simbolo perchéanche tu non puoi avere Sylvia, la delizia degli occhi tuoi...”.

Doveva accadere, che la moglie si disamorasse di lui, e che i figli si alleas-

50

IN DISCOTECA

Capitolo Ventesimo

Page 49: Un modo particolare di fare volontariato

sero con la madre per poter vivere finalmente una vita “normale”, cometutti gli altri, senza tante preghiere, tante letture della Parola di Dio, tanteesortazioni... E quanti, tra quelli che nel tempo hanno fatto parte dellacomunità, hanno “lasciato”, defilandosi spesso alla chetichella, o addirittu-ra rendendo male per bene!...Accadde così anche a Giobbe. Pure lui aveva dei figli che se la spassavanoin festini ricorrenti, ed era un po’ preoccupato di quell’andazzo; e anche lasua moglie si era dissociata da lui e dalle sue sofferenze fisiche e spirituali(Giobbe 1, 4-5; 2,9).

Disfacimento di una famiglia cristiana? Sì, ma un disfacimento “fisiologico”,connaturato ad ogni autentica opera di Dio. Insomma, non c’è da disperare:doveva succedere. “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimanesolo; se invece muore, produce molto frutto” (Vangelo di San Giovanni 12,24): è un passaggio obbligato. Così avvenne per il Signore Gesù: dopo treanni di un ministerio glorioso, accompagnato da segni e prodigi, i suoi scap-parono da tutte le parti, chi lo tradì, chi lo rinnegò...restò solo. Così fu per ilmartirio spirituale che sperimentò San Francesco nel constatare che l’Amore– Gesù Cristo, il Vero Amore – non era “amato”, nemmeno da tanti suoi con-fratelli…diventò quasi cieco per quanto ci piangeva.

Ma intanto... • Se la Comunità sta in questa fase, l’Associazione IACA che ne è proma-nata nel 1991 è invece cresciuta come numero di associati – attualmentepiù di tremila – e come iniziative portate avanti a beneficio di tanti: ma diquesto parleremo nella seconda sezione del libro.• I figli di Marcello, anche se non hanno tenuto dietro alla sua spiritualità,si comportano correttamente, lavorano o studiano con impegno; e se vannoin discoteca ...non si drogano. E continuano ad avere più che mai stima edaffetto per il padre.• E c’è pur sempre qualcuno, in comunità, che Marcello continua a con-durre sulla via della verità e dell’amore, che solo in Cristo si possono trova-re, e nella preghiera, che Marcello chiama “il respiro dell’anima”. • E da ultimo, qualcosa di reale, di spiritualmente “vero” è comunqueavvenuto nei ventisette anni di questa vicenda comunitaria.

51

Page 50: Un modo particolare di fare volontariato

All’interno della comunità, lo Spirito di santificazione ha davvero operatocon segni prodigiosi e rivelazioni che difficilmente si potrebbero rendereper iscritto, vere “perle” spirituali, gocce di rugiada che sortito il lorobenefico effetto non si vedono più, ma rimangono indelebilmente impressenei cuori e nelle coscienze di quanti di noi ne siamo stati testimoni... All’esterno, una testimonianza è stata resa, in Assisi e per la Chiesa tutta.Delle profezie sono state scritte, e proclamate nelle piazze (“quello cheascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti...” dice il Signore nel Vangelo).Marcello, che le ha avute in preghiera e cordoglio, non le difende né lesbandiera. Non sono “cosa sua”.

Sono datate, leggibili, e confrontabili con quanto si sta verificando intornoa noi...

Personalmente, io che pure ho tenuto dietro così male e con così tante con-traddizioni a questo impervio ed esaltante cammino spirituale, non hoperso lo stupore di fronte alle tante cose preziose che un uomo indotto diteologia come Marcello ha avuto la grazia di ricevere dall’alto. E almenodue mi piace di rimarcare. La prima: San Gregorio Magno, e quindi SanBenedetto. Le “Radici Cristiane” di un Europa acristiana.C’è da riflettercisopra.E poi, un monito che ricorre già nella prima profezia del 1981: “il grandegiorno è vicino!”. Ma ci sarebbe troppo da dire a riguardo...

Perché poi, a chiusura di questa prima parte del libro, dobbiamo parlare diqualcosa, o meglio di qualcuno, di molto importante e...simpatico: Dany, ilRampollo.

52

Page 51: Un modo particolare di fare volontariato

Marcello ha un rampollo di nome Dany, nato nel 2000: gli dedica moltotempo, ci conta molto – e anche noi in comunità – perché è un bambinofranco, determinato, di veri sentimenti, insomma ha “carattere”. Un giornopotrebbe essere lui a portare avanti l’opera che il nonno ha iniziato. Unnonno che Dany chiama papà, nonostante gli sia stato spiegato più voltecome stanno le cose, perché suo padre ha lasciato lui e la mamma e se ne èandato. Ma Dany ha trovato in Marcello un altro padre, che vale più diquello naturale, perché “padre di cuore”. C’è un rapporto speciale, unabenedetta intesa tra i due, un “feeling” del tutto particolare: eppure Danyne fa di tutti i colori...Quando era in prima elementare gli fecero fare una pagella di valutazionedel “papà”; un voto – da uno a dieci – per ognuna di queste caratteristiche:paziente, simpatico, severo, giocoso, coccolone, brontolone. Su alcune diqueste valutazioni (severo: 3; brontolone: 7, paziente: 9) Dany ha poi dettodi essersi sbagliato...per difetto: dovevano essere più alte. Per il “coccolo-ne” invece era sicuro fin dall’inizio: dieci!

“È troppo viziato a casa questo figlio” – ha però detto il maestro della pale-stra di arti marziali – “per questo, qui è un po’ distratto, sconcentrato...”Marcello, allora ne ha parlato seriamente con lui: “Dany, dovrò smettere dicoccolarti...”. “No, papà” – ha reagito Dany – “tu continua a coccolarmi,che io mi impegno a cambiare”. E così ha fatto, Anche a scuola, le maestredicono che ora è molto più diligente: ha imparato la lezione che conta,quella dell’amore!

Dany è l’ultimo dei bambini nati nella “Comunità Famiglie di Betlemme”.Anche la sua mamma – figlia primogenita di Marcello – ha una storia tuttasua.A ventiquattro anni se ne andò via da quella comunità di vita religiosa ispi-rata a San Benedetto, e da quel padre esigente sulla fede e sui valori dellavita: non è mica facile vivere accanto a un genitore del genere, anche se glivuoi un bene dell’anima, perché sai che se lo merita.

Ma poi, fuori dal nido, scopri che non è tutto oro quello che luccica inquesto mondo fatto di tanta vanità, tanta apparenza, tanto egoistico edoni-

53

IL RAMPOLLO

Capitolo Ventunesimo

Page 52: Un modo particolare di fare volontariato

smo. E allora ripensi a quella vita famigliare e comunitaria, molto più sem-plice ma anche molto più vera: “andrò da mio padre...” si legge nel raccon-to del figliol prodigo. Ma c’è anche la “figliola prodiga”, che fa ritorno a casa; e che poi allieteràil babbo, e tutti in comunità, con quel dono di Dio che è Dany, il rampollo.

54

Page 53: Un modo particolare di fare volontariato

“La sabbia scorre veloce nella clessidra della mia vita”, dice a volte Mar-cello: senza una vena di tristezza o malinconia, semmai con amorevolepreoccupazione per le persone a cui verrà a mancare, a cominciare dalnipotino Dany, il suo rampollo.Per il resto, sa che “di là” verrà a stare con quel Cristo che si è degnato dimostrargli il suo volto, e che da quel momento lui non ha mai smesso diamare. “Nessuno mi strapperà dalle sue mani”, ripete spesso.

La sua salute è precaria. Agli inizi del 1995 ebbe un gran brutto infarto;disperavamo della sua vita. Ma lui la sua vita l’aveva rimessa nelle mani diDio; era appesa a un tenue filo, ma chi reggeva quel filo era l’Onnipoten-te...Non volle sottoporsi ad alcun intervento chirurgico. Ce la fece. Di quel-la tribolata degenza al “Silvestrini” di Perugia, è rimasto un “canto”, omeglio una “elegia” che compose in quei giorni.

Passò un periodo di convalescenza sulla sponda di quel Lago Trasimenoche era stato così tanto importante nella sua vita: a Sant’Arcangelo. E dav-vero ci fu un l’intervento di qualche angelo, perché, a seguito di una peri-colosa ricaduta del suo male, “vide” un medico che veniva a curarlo, conuna particolare forma di terapia. Mandò a Perugia a cercare quel dottore, che poi “riconobbe” quando fuaccanto al suo letto: un luminare della Omeopatia, Giampiero Ascani. Tra idue nacque – e permane – una reciproca comprensione, un’intesa, da cuiun gran beneficio ha avuto Marcello per la cura delle sue non poche e nonleggere malattie...

55

E ORA?

Capitolo Ventiduesimo

Page 54: Un modo particolare di fare volontariato

Assisi, veduta aerea

Page 55: Un modo particolare di fare volontariato

a IACAL

Page 56: Un modo particolare di fare volontariato
Page 57: Un modo particolare di fare volontariato

Nel 1991, in uno dei suoi ritiri, questa volta fatto presso il monastero fem-minile delle Sorelle di Betlemme nell’Abbazia di Monte Corona, traPerugia e Umbertide, Marcello sentì che doveva sorgere un’associazioneche condividesse a tanti i profondi valori di fede e di servizio pratico vissu-ti – e anche sofferti – in più di un decennio di vita comunitaria. D’altrondeper quanti, tra i membri della comunità e i suoi stessi figli, avevano trovatotroppo difficile quel cammino di preghiera e santificazione, si poteva pro-spettare l’opportunità di continuare a stare e operare insieme come associa-ti, magari con minori pretese spirituali, ma pur sempre a beneficio delprossimo.

Avevamo due bei luoghi in Umbria dove realizzare quella missione sentitanel profondo, volta a portare “nel nome del Signore Gesù Cristo l’amore ela pace tra la gente, nella famiglia e nella natura” (questo il primo degliscopi associativi che poi indicammo all’articolo 1 dello statuto). L’associazione fu costituita ad Assisi il 24 aprile di quell’anno 1991.Il nome “International Association for Christian Action” non voleva esserepretenzioso: quell’“international” e la dicitura in inglese sottintendono laportata universale del messaggio e dei destinatari a cui è rivolto. D’altrondegià tra i primi associati ce n’erano di varie nazionalità; attualmente sonouna sessantina i paesi rappresentati dai più di tremila associati dellaIACA. L’inglese poi sarebbe stata la lingua d’obbligo per comunicare contutto il mondo in internet, questo prezioso strumento che l’associazioneadottò a partire dal 2000.

Come “logo” dell’associazione scegliemmo un leone, costituito da unmosaico di pietre. Simbolo di Cristo “leone della tribù di Giuda”, comeviene definito nel libro dell’Apocalisse (5,5); segno di forza e regalità.Le pietre che compongono questo mosaico, rimandano a quanto scrivenella sua Prima Lettera (2,4-5) San Pietro, “prima pietra”: “Stringendovi aLui, pietra viva rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio,anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edifi-cio spirituale...”Una curiosità sul nostro “logo” – riportato in copertina –: il muso non èproprio quello di un leone. In effetti è il muso dei “chow-chow”, di cui

59

NASCITA DI UN’ASSOCIAZIONE

Capitolo Ventitreesimo

Page 58: Un modo particolare di fare volontariato

abbiamo un piccolo allevamento. È una razza di cani “primitiva”: anchequesto vuol dire qualcosa.

Infine, sulla nostra scheda associativa e sulla copertina del nostro periodi-co è riportata una frase tratta dagli scritti di un altro “leone”, Leone (Lev)Tolstoj: “Quando i malvagi fanno lega tra loro per costituire una forza ènecessario che gli onesti facciano altrettanto”. Questo “motto” è general-mente molto apprezzato da quanti lo leggono: segno dei tempi...

60

Page 59: Un modo particolare di fare volontariato

Nel centro comunitario di Rocca Sant’Angelo, si sono accolte persone dellepiù disparate provenienze e situazioni umane: da chi cercava un po’ dipace, a chi aveva bisogno di un letto e un piatto caldo, da chi stava rincor-rendo un suo sogno, a chi stava... scappando. Proprio così: un caso del genere, singolare certo ma anche drammatico, siverificò quando arrivò un giorno a Rocca Sant’Angelo un uomo che dicevadi cercare una comunità cristiana: aveva visto il nostro nome sull’elencotelefonico, e chiedeva di stare un po’ di tempo con noi. Tutto qui, o quasi.Il “quasi” vene fuori quando, dopo aver parlato con me – me la danno abere in molti – parlò poi con Marcello: che lo convinse a costituirsi pressoil locale comando dei carabinieri, con una Bibbia in mano e con la promes-sa che lo si sarebbe assistito in futuro. Quell’uomo infatti stava scappandoper tutta la penisola, dopo aver commesso un grave reato: Marcello era riu-scito a farsì confidare la sua reale condizione di “ricercato”. Lo andò a trovare più volte, successivamente, nel carcere psichiatrico dovestava scontando la sua pena. Dopo qualche anno, questi tornò a salutareMarcello: si era “riabilitato”, e ora lavorava – aveva imparato un mestierein carcere – e si era fatto anche una famiglia, con due figlie.

Ma ci furono storie molto diverse: come quella di una ragazza, vestita conun bianco lenzuolo, che invece stava facendo il mitico viaggio in Oriente.Capitò verso sera in comunità, andava cercando suo fratello che, anche lui,si era imbarcato in quell’avventura. Si fermò quella notte, poi un’altraancora, poi una buona dozzina di anni. Aveva trovato l’Oriente ad Assisi,proprio come dice Dante...

Ma se a Rocca Sant’Angelo l’ospitalità che si poteva offrire era condiziona-ta dai limitati spazi abitativi, a Gaiche avevamo un bel casolare, tutto daristrutturare, che si sarebbe potuto prestare ad ospitare più persone. E così,nel 1998, ci decidemmo ad affrontare quel lavoro. Fu un’avventura che citenne occupati per circa quattro anni, gran parte del lavoro fu svolto davolontari: vennero ad aiutarci anche due giovani dalla Polonia, che avevanoconosciuto la IACA tramite internet. In questa casa abbiamo potuto accogliere, nel tempo, famiglie e personesingole, per periodi più o meno lunghi. L’ambiente è molto salutare: oltre

61

OSPITALITA’

Capitolo Ventiquattresimo

Page 60: Un modo particolare di fare volontariato

all’acqua che sgorga lì vicino – la casa era stata concepita per la cura idro-pinica –, si possono fare passeggiate all’intorno, respirando l’aria fragrantedei boschi di conifere, e spaziando sul bellissimo panorama della ValNestore, con il laghetto della centrale di Pietrafitta che sembra anticipare ilnon lontano Trasimeno, e quei due colossali “reattori” della centrale (anchela modernità ha il suo “bello”) che contribuiscono a creare un’atmosferache ha del surreale. Poco piu lontano si vede Perugia, e sullo sfondo i i beimonti dell’Umbria... Abbiamo riportato, sulla copertina di questo libro, unafoto panoramica del luogo, scattata agli inizi della primavera (lo si vede daiboschi di Cerri e Roverelle in primo piano, ancoro spogli): vale più di ognialtro commento a far risaltare la bellezza di qusto lembo della VerdeUmbria…

Ma dalla contemplazione, è tempo di passare all’azione: parleremo ora dimissioni...

62

Page 61: Un modo particolare di fare volontariato

Non finiva mai di tremare la terra, ad Assisi e inun’ampia fascia dell’Appennino Umbro-Marchi-giano, in quel lunghissimo evento sismico comin-ciato il 26 settembre del 1997. Il “terremoto diAssisi”: che proprio all’interno della Basilica di San Francesco fece quattromorti, due erano frati.

“Tremerà, fenderà la tua terra ...”: come potevamo non pensare alla profe-zia su Assisi avuta da Marcello due anni prima quando, convalescente dauna grave malattia, in ritiro sui monti del Trasimeno, aveva ricevuto dalSignore questa e altre tre “profezie”? “Tremerà, fenderà la tua terra”: pro-prio come profetizzato da Marcello, una fenditura si aprì nella piazza infe-riore della Basilica di San Francesco, da cima a fondo. Due anni dopo: sin-golare analogia con il divario cronologico con cui uno dei più antichi profe-ti del Vecchio Testamento – Amos – profetizzò, con due anni di anticipo, diun grande terremoto che rimase impresso nella memoria storica di Israele.

Che potevamo fare, in quei giorni di lutto e di sconcertamento, se non pas-sare notti di veglia sotto i portici di quella piazza, mentre fervevano le atti-vità dei vigili del fuoco, delle forze dell’ordine, della protezione civile, divolontari venuti da ogni parte?. Eravamo là anche noi, con una preghiera,una parola di solidarietà; come facemmo anche nei campi di accoglienzadei terremotati allestiti prima con tende, poi con container. Alcuni deinostri giovani collaborarono attivamente presso la base logistica di Foligno.Cercavamo di entrare con discrezione nel dolore e nello smarrimento di chimagari si era visto crollare in un momento quella casa che ci aveva messouna vita a tirare su, con tanti sacrifici. Offrivamo, per quanto ci era possibi-le, un aiuto pratico, e anche una parola di fede. Fede in un Dio che la terranon solo l’ha creata, ma anche ne governa le sorti pur attraverso eventiinsondabili. Un Dio che rimane pur sempre “Padre” per quanti a lui si affi-dano...

63

IN MISSIONE: QUANDO LA TERRA TREMA

Capitolo Venticinquesimo

Page 62: Un modo particolare di fare volontariato

Camminavamo per le strade piene di fango, a Sarno, in uno scenario spet-trale; ci sconsigliavano di salire più in alto nel paese; si sentiva odore dimorte.Parlavamo con giovani e meno giovani; ci invitavano nelle case, dove por-tavano la testimonianza di quello che avevamo vissuto ad Assisi. Condividevamo le parole di un profeta – Abacuc – che sembrava avesseparlato proprio di quella catastrofe: “Le montagne eterne si infrangono... faierompere la terra in torrenti” e così pregava: “nello sdegno ricordati diavere clemenza…” (Abacuc 3, 2.6.9).Parlare di Dio Padre, Creatore e Signore del cielo e della terra: ci volevadel coraggio, quando quella “terra” si era messa a scoscendere verso ilpaese, inghiottendo non solo le tue cose, ma anche i tuoi cari.

Ma “Avviene forse nella città una sventura, che non sia causata dalSignore?”: questo leggevamo nella “Parola di Dio”, questo ci aveva ricor-dato quel libro profetico di Amos che si era imposto alla nostra attenzionedopo il “terremoto di Assisi” (Amos 3,6). Sì, per quanto sconvolgenti sianogli eventi in cui ci troviamo a vivere, c’è il Signore dietro tutto questo, nonsiamo in balia di una “Natura” bizzarra, ora madre ora matrigna, e neppuredella crudeltà a cui può arrivare il cuore dell’uomo.Un discorso difficile. Come d’altronde potevano suonare “dure”, difficili adaccettare, le parole dette da Gesù quando gli riferirono delle vittime mortesotto le macerie di una torre crollata a Gerusalemme, o della spietatezzacon cui Pilato aveva fatto strage di pii galilei che stavano offrendo sacrificial tempio: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Vangelo diSan Luca 13,1-5), Ma cosa significa “convertirsi” se non far ritorno a DioPadre, e confidare nel suo imperscrutabile amore? Abbiamo visto più volteche si rasserenava il volto e l’anima di quanti accoglievano queste parole...

64

IN MISSIONE: QUANDO LA TERRA FRANA

Capitolo Ventiseiesimo

Page 63: Un modo particolare di fare volontariato

Nei due centri dell’associazione, abbiamo fatto da sempre vigilanza antin-cendio nei mesi estivi, monitorando costantemente il territorio, di giorno edi notte. Successivamente e per alcuni anni ci siamo raccordati con le dueComunità Montane del Subasio e dei Monti del Trasimeno per l’avvista-mento degli incendi, alcuni di noi hanno anche seguito dei corsi di forma-zione a riguardo. Ci ha sostenuto in questa attività di salvaguardia ambien-tale, l’amore per questa nostra terra umbra, e la consapevolezza del deva-stante effetto che gli incendi hanno su flora, fauna, assetto idrogeologico einquinamento atmosferico.

Più di una volta siamo intervenuti anche direttamente a fronteggiare gliincendi.A Rocca Sant’Angelo, un incendio notturno proveniente dal lato sud – versoAssisi – avanzava velocemente in un’area piena di arbusti, soprattutto gine-stre, infiammabilissime. I pompieri ci sconsigliavano di affrontare quelfronte di fiamme, troppo alte e violente. Sentimmo però che potevamo far-cela, con l’aiuto di Dio, e così fu. Nella notte, illuminate da quel bagliore sistagliavano le sagome di alcuni della comunità e di Marcello con loro acontrastare l’avanzata delle fiamme, battendo con frasche il terreno e but-tando secchi d’acqua. Qualcuno al paese ancora la racconta...

Anche presso il centro montano di Gaiche abbiamo concorso allo spegni-mento di diversi incendi. Uno era stato causato da un fulmine, fummo iprimi a segnalarlo. Ma l’incendio che scoppiò proprio sulla cima di Mon-talvino – sulle cui pendici si trova la nostra casa di accoglienza – meritauna trattazione a parte...

65

IN MISSIONE: QUANDO LA TERRA BRUCIA

Capitolo Ventisettesimo

Page 64: Un modo particolare di fare volontariato

Al centro comunitario di Rocca Sant’Angelo arrivò l’allarme dalla sedemontana dell’Associazione a Gaiche: un incendio divampato sulla cima diMontalvino, si spingeva minaccioso verso la casa di accoglienza, alimenta-to da un forte vento che soffiava in quella direzione.

Il tempo di cercare qualche attrezzo idoneo per l’emergenza, e via di grancorsa per giungere prima possibile sul posto. Marcello, che in quel temposi trovava in ritiro su quei monti, era già salito verso la cima, mentresopraggiungevano mezzi della forestale, un’autobotte della ComunitàMontana, un canader che sorvolava la zona lanciando schiumogeni. Maquando anche noi arrivammo sul posto, la situazione era ormai sotto con-trollo: il vento aveva virato di 180 gradi, e ora spirava facendo retrocederele fiamme verso l’area già bruciata: un vero prodigio.

La cosa aveva sorpreso tutti. Un maresciallo della forestale riferì al suocomandante di come Marcello era stato lì, sul fronte dell’incendio, a prega-re che il Signore facesse voltare indietro il vento, quando sembrava non cifosse ormai nulla da fare. Il superiore – un colonnello – ebbe però qualcosada ridire: non era stata quella una preghiera egoistica, volta soltanto a sal-vare i boschi e la casa dell’associazione? Macché: Marcello aveva pregato Iddio che il fuoco fosse domato e si spe-gnesse, non facendo più danni a nessuno; e proprio questo era avvenuto,grazie all’improvvisa inversione di direzione del vento. Davvero un modoparticolare di spegnere incendi; anche se, a ben guardare, tutto è andatocome da... statuto. Eh sì, perché nello statuto della IACA è scritto che peril conseguimento dei suoi scopi l’associazione “prega Dio perché guidi ognicosa e accompagni l’opera con segni e prodigi della potenza del Suoamore” (art. 2 a.1). Proprio così.

66

UN MODO PARTICOLARE DI... SPEGNERE UN INCENDIO

Capitolo Ventottesimo

Page 65: Un modo particolare di fare volontariato

“Internet, nuovo profeta per la Parola di Dio”: questa definizione è diGiovanni Paolo II: ma guarda un po’, San Pietro – il primo “Papa” – lasciòle reti da pescatore perché chiamato da Gesù a diventare “pescatore d’uo-mini”; questo grande Papa “comunicatore” ha detto che è tempo di pescarecon un’ altra “rete”…nel web.

Noi già dal 2000, dopo molta ponderazione e preghiera, sentimmo di farnostra questa “missione”. “La sapienza grida per le strade, nelle piazze faudire la voce” – si legge all’inizio del Libro dei Proverbi (1,20) –: e in inter-net si è andata creando una nuova “piazza” planetaria in cui far risuonarela sapienza del Vangelo, e “gridare” le cose udite all’orecchio (Vangelo diSan Matteo 10,27).Il numero dei siti è andato man mano crescendo – e così l’impegno che viabbiamo profuso, lavorandoci giorno e notte.Ed è andato crescendo il numero dei “visitatori”, che in questi siti trovanonon solo una panoramica a tutto campo su quello che è e fa la nostra asso-ciazione, sui luoghi dove opera, sulle vicende della testimonianza resa inAssisi... ma anche una sottolineatura “profetica” di tanti eventi in cuisiamo tutti coinvolti (Gesù rimproverava ai suoi contemporanei che eranomaestri nelle “previsioni” del tempo – proprio come noi oggi – ma nonsapevano distinguere “i segni dei tempi”: Vangelo di San Luca 16, 1-4).

In diversi casi abbiamo messo in risalto qualcosa che poi è diventato didrammatica attualità: per esempio, nel Settembre 2002 rilanciammo la fotodi una conferenza di estremisti islamici tenutasi a Londra, con lo slogan“Islam will dominate the world” (l’Islam dominerà il mondo). Nel Lugliodel 2005, proprio a Londra ci fu un grande attentato terroristico di matriceislamica...

67

INTERNET, NUOVA FRONTIERA DI MISSIONE

Capitolo Ventinovesimo

Page 66: Un modo particolare di fare volontariato

Ce lo chiamò “magazine” una garbatissima conduttrice di una trasmissionetelevisiva sulle associazioni di volontariato curata dal Cesvol di Perugia,nella puntata dedicata alla IACA. Beh, in realtà il nostro “magazine” ha soloquattro pagine – per ora! –: però sono dense di contenuti, e poi... senza pub-blicità; e senza alcun contributo pubblico.Meno pretenziosamente lo abbiamo definito “Periodico”; la periodicità è piùo meno trimestrale. Va in tutto il mondo: sia perché lo distribuiamo – gratuitamente – in luoghi diafflusso internazionale, quali sono Assisi o Perugia; sia perché lo pubblichia-mo – almeno in parte – anche in internet. Si chiama IACAONPAPER – tutto attaccato – perchè in realtà il grosso delnostro impegno editoriale è “on line”, in internet. La copertina e la secondapagina sono dedicati a temi di rovente attualità: la foto di copertina illustra eanticipa l’articolo all’interno. Gli argomenti che abbiamo trattato man manoin questi anni, hanno spaziato dalla crisi dell’ecosistema al terrorismo, daigrandi eventi della Chiesa ai roventi dibattiti di etica e costume, passandoper Darwin, i Gay Pride, l’occultismo…Abbiamo sempre cercato un confronto schietto tra la cronaca e storia contem-poranea, e la “Parola di Dio”: senza iper-moralismi nè facili futurologie, maal tempo stesso prendendo “sul serio” ciò che le Sacre Scritture dicono –epredicono – a proposito di eventi che spesso ci lasciano sconvolti o quantomeno smarriti Un’operazione che senz’altro presta il fianco a fraintendimentie critiche: ma, scriveva San Paolo, “io non mi vergogno del Vangelo…”(Lettera ai Romani 1,16).La terza pagina offre una panoramica delle principali attività e dei progettiche stiamo portando avanti nei nostri due centri umbri; è un po’ “statica”,insomma non cambia molto da un numero all’altro di Iacaonpaper, ma prestola movimenteremo con due mega-progetti che ci impegneranno per parte delTerzo Millennio...Dio volendo! Ma questo sarà l’oggetto del prossimo capito-lo.Infine, nella quarta – e ultima pagina – si offre ai lettori di buona volontà unampio ventaglio di possibili modi per interagire con la nostra associazione.

68

IACAONPAPER

Capitolo Trentesimo

Page 67: Un modo particolare di fare volontariato

Una serie di casette – per famiglie o persone singole – incastonate tra duelingue di bosco, in una pendice rocciosa poco distante dalle case rurali delCentro comunitario di Rocca Sant’Angelo; più in basso, una piazzetta cir-condata da portici e locali adibiti a laboratori, magazzini, rimesse attrezzi,con una Cappellina per incontri di preghiera. Un grande salone per conve-gni ed eventi vari...e molto più ancora: è il progetto di un “borgo” su cui stalavorando un architetto, nostro associato, docente universitario alla“Sapienza” di Roma. Già la bozza di progetto è stata elaborata, e in asso-ciazione ne siamo stati tutti entusiasti. Dopo tanti anni di “ristrettezze” abi-tative in cui è vissuta la comunità di famiglie e gli ospiti che man mano sisono accolti, finalmente si respirerà alla grande. Sì, un piccolo borgo aldisopra del paesino di Rocca Sant’Angelo. Un progetto coraggioso, chedovrà superare molti ostacoli, a cominciare dai limitativi vincoli edilizi invigore sul territorio di Assisi. E poi si dovranno reperire i fondi necessari...Ma già ci siamo fatti le ossa nella riqualificazione di quel vecchio casolareabbandonato, nei pressi della sorgente di Gaiche, che abbiamo trasformatocon largo apporto di volontari nell’attuale casa di accoglienza. Senz’altroben poca cosa, nei confronti del “borgo” di Assisi. Ma siamo convinti cheanche in questa nuova avventura gusteremo la grazia del Signore e... laliberalità di qualche benefattore che, chissà, ci sta leggendo proprio ora.

Per la sede principale della IACA, c’è un progetto non meno impegnativo:un’“oasi”! La parola evoca frescura, quiete, acqua, animali, silenzio, cam-minate nel verde. C’è tutto questo, e tant’altro, negli oltre sessanta ettariche l’associazione gestisce a Gaiche. In una zona che tra l’altro vedrà uncrescendo di visitatori, per il vicino importantissimo Museo Paleontologicodi Pietrafitta, e le tante iniziative ambientali, culturali e folcloristiche dellavivace Val Nestore. C’è solo da iniziare...

E in fine, un “sogno”: un centro di ricerca e di assistenza per malati delmorbo di Alzheimer, in onore della madre di Marcello Ciai, afflitta negliultimi 15 anni della sua vita da questa impietosa malattia.

69

PROGETTI E SOGNI

Capitolo Trentunesimo

Così ne ha scritto Marcello:Veniva improvvisamente colta dall’ossessione di non trovarsi a casa sua e cercava di fuggire per andare – come diceva lei – nella propria abitazione.

Page 68: Un modo particolare di fare volontariato

Dimenticava spesso di aver mangiato e chiedeva in continuazione del cibo. Confondeva il suo piatto con la scodella del cane.

Si coricava la sera a letto completamente vestita, scarpe comprese, e rifiutava violentemente qualunque intervento, sia dal marito che dalla domestica.

Questi ed altri episodi sintomatici hanno riguardato la malattia di mia madre.

Pregai ed ottenni di averla nella mia comunità (le Famiglie di Betlemme) e qui con l’aiuto di Dio lei non cercava più di fuggire o di scambiare il suo piatto con la scodella del cane e si faceva spogliare per andare a letto.

A me solo riconosceva e mi parlava.

Mi mancavano però i suoi abbracci, i suoi baci, le sue carezze.

Ricordo ancora quando da bambino, dopo una mia ennesima birichinata, mi correva dietro con la scopa per darmele e quanto era bello poi chiederle perdono nei suoi ginocchi, fra le sue braccia piene d’ amore. I suoi baci erano allora tutta la mia gioia!

Per questo ho lanciato questa iniziativa di un centrodi accoglienza e studi per malati del morbo di Alzheimer.

Prima di morire spero di potermene riabbracciare ancora qualcuno.

70

Page 69: Un modo particolare di fare volontariato

“Acknowledgements”: ringraziamenti, riconoscenza... Un parolone. Messolì un po’ per scherzo, per alleggerire la profondità con cui sentiamo di esse-re riconoscenti e perciò di voler ringraziare:

- Il CESVOL di Perugia, nella persona del suo Presidente, avvocato LuigiLanna, e del suo direttore Dott. Salvatore Fabrizio, a cui ci lega una sinceraamicizia; e di tutto lo “staff”, a cominciare da Chiara Gagliano, la redattri-ce.

- Gli oltre tremila Associati della IACA, che hanno detto “si” con la loroadesione a questo nostro “modo particolare” di fare volontariato. Insieme aloro ci sentiamo forti, “insieme come pietre”, un mosaico che regge all’urtodei tempi...

- Le tante persone che ci hanno sostenuto e ci sostengono con un contribu-to, una parola di incoraggiamento, un consiglio, una preghiera...

71

ACKNOWLEDGEMENTS

Page 70: Un modo particolare di fare volontariato

ottobre 2007

Page 71: Un modo particolare di fare volontariato