Un Incontro Con Il Poeta Coreano Ko Un - La Repubblica 25.06.2013

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* 49 MARTEDÌ 25 GIUGNO 2013 l l l a a a   R R R e e e p p p u u u b b b b b b l l l i i i c c c a a a CULTURA K o Un è stato monaco bud- dista, vagò per la Corea co- me il più povero tra i pove- ri. Conobbe la disperazio- ne e fu a un passo dal per- dersi in quella resa all’alcol che gli tolse la speranza e il rispetto di sé. Ko Un è un grande poeta, tradotto in una quindici- na di lingue, più volte vicino al Nobel. I suoi versi sembrano ali spezzate di uc- celli, voci di montagne inscalabili, sus- surridallaprofonditàdei boschi.Hanno il nitore e l’asprezza della natura; la biz- zarria e l’ironia dell’umano. A volte sono enigmi,altre–comenotòAllenGinsberg che lo conobbe – scoppi mentali. È nato nella regione del Cholla a Sud della Corea, da una famiglia di contadi- ni. Lo incontro a Venezia a Ca’ Foscari dove è ospite da un paio di settimane. Fa delle letture di poesie. A Roma sarà ospi- te,fraduesere,delFestival Letteraturedi Massenzio. Una sua raccolta edita da Nottetempo esce sia in e-book che in cartaceo (Cos’è? , pagg. 134, 10 euro, tra- duzione di Vincenza D’Urso). Ko Un di- mostramenodeisuoiottant’anni.Èma- gro, elegante, essenziale. Per tutta la conversazione calcherà un Borsalino di colore azzurro. Gli chiedo se lo indossa per un forma di civetteria. Non sa cosa la parola voglia dire. Un cappello è un det- taglio, come la scarpa al piede, un orolo- gio al polso, un foulard al collo. Poi c’è il tutto. Sorride. Orientale, penso. Ma no, mi dico, cerchiamo di evitare i luoghi co- muni. In fondo se la poesia ha un lin- guaggio universale è da lì che occorre partire. «La mia poesia non è costretta in uno spazio né delimitata in un tempo. La ri- trovo ovunque: sui monti sotto forma di neve, o nel mare quando diventa onda. Di sera la mia poesia è una stella. E quan- doentranellastoriasi trasformaineven- to. Nell’oscurità essa prende il posto del sole. È la mia piccola sorgente di luce». C’è molta natura nel modo che Ko Un ha di rappresentare il proprio mondo poetico. Ma è solo un aspetto, dice; l’al- tro riguarda l’anima, il suo sé. Nulla esi- steseparatamente,spiega.Miincuriosi- sce la soave determinazione di que- st’uomo dalle molte vite e dalle tante ri- nascite. Così si racconta. «Sono nato sotto la dominazione giapponese. È stato un duro apprendi- stato. Mi fu proibita la lingua madre. Nonpotevonésapevoopporre resisten- za. Frequentavo le scuole primarie e un giorno il preside mi chiese cosa avrei de- sideratofaredagrande.Risposichesarei voluto diventare imperatore del Giap- pone. Mi punì severamente per l’inaudi- ta arroganza di quel desiderio. Dovevo inchinarmi tutte le mattine al potere im- periale. Ma la sera, in cuor mio, venera- vo i miei antenati». Poi il paese si liberò dalla morsa giap- ponese. Era il 1945. Le potenze, uscite vincitrici dalla Seconda Guerra, si spar- tirono le zone di influenza. All’altezza del trentottesimo parallelo furono crea- te due Coree. Due mondi contrapposti, due civiltà: «Era assurdo che un paese subisse una lacerazione così drammati- ca. Gli eventi incontrollati ci spinsero a una guerra fratricida. Era il 1950. Per tre anni ci combattemmo. Alla fine con- tammo tre milioni di morti. Ero un so- pravvissuto. Vagavo disperato tra le ma- cerie di città distrutte. Anche le monta- gne,aforza dibombardamenti,avevano mutato forma. Non c’erano più alberi. Non c’era più gioia. L’essere umano non aveva più nulla di umano. O si uccideva o si era uccisi. Sentivo crescere in me le rovine. Vagavo per il paese che aveva eletto la morte a proprio emblema. Era unapercezioneossessivachenonmiab- bandonava mai. La vita, pensavo, non aveva più valore». Mi chiedo se non sia questa la vera es- senza della poesia, quale che sia il lin- guaggio che adotti. Spesso l’opera, quando è grande, risponde a uno scac- co. Alla disperazione che diventa a volte intenzion e letteraria. Cosa turba la per- sona che ho di fronte? Cos’è che ci com- muove nelle parole che pronuncia? Questa resa che non è resa. Questo nulla che non è nulla. «Fu durante quei terribili momenti che incontrai per caso un monaco che era sceso dai monti. Provai un senso di attrazione. Lo seguii senza sapere bene perché. Lui, senza parlarmi, mi condus- se da un famoso maestro. Si chiamava Hyo Bong. Nella vita civile era stato un giudice che dopo aver decretato una condannaamortesentìilproprioanimo sconvolgersi al punto che abbandon ò la professionerifugiandosinel buddismo. Mi lasciava libero durante il giorno e io vagavo chiedendo l’elemosina. La sera mi faceva studiare in modo severo. Fu la mia cura. Cominciai a cancellare, alme- no in parte, i ricordi dolorosi che la guer- ra aveva provocato». Ko Un aveva vent’anni quando diven- ne monaco buddista. Con la meditazio- ne Zen si riconciliò alla vita. Venne così la prima salvezza. Poi arrivò la letteratu- ra. In mezzo ancora disperazione. Pote- va la vita artistica sostituire quella reli- giosa? «Mi misi nuovamente in cammi- no. Su di un’isola, a sud della costa co- reana, diressi una scuola di beneficien- za. Ma tornavano antichi fantasmi. Sof- frivo di insonnia. Mi ubriacavo pesantemente. Fu a quel tempo, erava- mo alla metà degli anni Sessanta che scrissi un lungo poema che intitolai  Nir- vana». Poi vennero raccolte di poesie e rac- conti. E una nuova depressi one e con es- sa un tentativo di suicidio: «Ingerii del veleno,mirisvegliaidalcomain ospeda- le. I miei scritti cominciavano ad essere famosi. Divenni un attivista indipen- dente per la difesa dei diritti umani. Fui arrestato e torturato. Infine liberato quando il regime cadde. Era il 1982». Ko Un parla di sé come il vento parle- rebbe alle montagne o ai mari. Le parole si gonfiano e volano sotto la spinta dei ri- cordi. Dice che ha scritto tantissimo e per questo lo chiamano “Kobong”, che è la vetta della montagna, che egli ha rag- giunto un libro dopo l’altro. Debuttare nellascenaletterarianonglifu facile.Av- venne dopo un digiuno di un mese per protestacontroilregimedittatoriale.Poi salì su un monte e si raccolse in medita- zione. Doveva decidere se continuare la vita monastica o intraprendere quella artistica: «Quando scelsi la poesia, fu co- me uscire nuovamente dall’utero». Ora sta lavorando a un dizionario di lingua coreana che raccoglie le parole del Nord e del Sud della Corea. Gli chie- do un giudizio sulla divisione di un pae- se permanentemente in fibrillazione: «Le nostre lingue hanno un’origine co- mune;mailsistemapoliticoleha resedi- verse e ostili. Rischiano di allontanarsi sempre di più. Riconciliare questi due mondi non è un problema di oggi ma di domani. Nel domani si annida la spe- ranza che le cose cambino. Nell’oggi c’è la pena del presente». Un detto del Budda recita: siamo ciò che pensiamo e tutto ciò che pensiamo è prodotto dalla nostra mente. Quella di Ko Un è fervida e chiara. Sembrano lon- tani gli anni della disperazione, dell’al- colismo, dei suicidi tentati. Ha sposato una donna che ora siede silenziosa ac- canto a noi. Ha una figlia. Gli chiedo in- fine quanto del buddismo che ha prati- cato si ritrova nella sua poesia: «Il buddi- smo esige che il suo nome stesso a un certo punto venga cancellato. Se al ter- mine del suo cammino il buddismo des- se di sé una forma avrebbe fallito il suo compito.Lastatuariabuddistachesisvi- luppònellaregionedel Gandhararisentì dell’influenza di Alessandro il Grande e quindi della Grecia. È lì che è nata la for- ma. Ma il Budda storico, poco prima del- la morte si raccomandò ai suoi discepo- li di non ricordarlo per la sua immagine ma per le sue parole. L’opera perfetta è quella che non lascia tracce». È questa la bellezza? Ko Un sospende le mani nel- l’aria: «La bellezza – conclude – vince su tutte le cose. E ogni cosa perde di fronte alla bellezza. Non è nessuno dei valori di questa terra, nessuna delle forme che conosciamo. Il mistero la inghiotte. Ed è bene che in questo mondo alcuni miste- ri o segreti non vengano rivelati. Se pre- tendessimo di spiegare tutto più nulla nascerebbe». “Il mio maestro di giorno ci lasciava liberi: chiedevo l’elemosina. La sera, studio severo” “Sono nato sotto ladominazione giapponese La lingua madre ci era proibita” LOZEN E L’ARTE DELLA POESIA L’alcolismo, la scoperta del buddismo, la militanza civile incontro con uno dei più grandi scrittori coreani © RIPRODUZIONE RISERVATA  K o U n: “ N e l l e pa r o l e ho trovato la forza  p er s o p ravv i vere   ANTONIO GNOLI L’incontro PIÙ LIBRI A SCUOLA L’APPELLO A BRAY ROMA — Promuovere la lettura nelle scuole tramite biblioteche e librerie di qualità, a difesa del- l’ecosistema digitale della lettu- ra. Sono questi alcuni temi del- l’incontro organiz- zato dall’Associa- zione Forum del Libroeprevistoper domani alle ore 16, a Roma, in via dei Prefetti 22. Saran- no presenti il mini- stro dei Beni Cul- turali, Massimo Bray, il sottosegre- tario Ilaria Borletti Buitoni e altri politici che hanno sottoscritto una lettera aperta sul tema. Tra gli altri ospiti, anche Andrea Ca- randini, Tullio De Mauro, Gian  Arturo Ferrari e Lucio Villari. Massenzio Ko Un, considerato il massimo poeta coreano vivente,parteciperà a Letterature-Festival internazionale di Roma, alle 21 di giovedì 27 alla Basilica di Massenzio

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MARTEDÌ 25 GIUGNO 2013

llaa   RReeppuubbbblliiccaa CULTURA

K o Un è stato monaco bud-dista, vagò per la Corea co-me il più povero tra i pove-ri. Conobbe la disperazio-ne e fu a un passo dal per-

dersi in quella resa all’alcol che gli tolsela speranza e il rispetto di sé. Ko Un è ungrande poeta, tradotto in una quindici-na di lingue, più volte vicino al Nobel. Isuoi versi sembrano ali spezzate di uc-celli, voci di montagne inscalabili, sus-surri dalla profondità dei boschi. Hannoil nitore e l’asprezza della natura; la biz-zarria e l’ironia dell’umano. A volte sonoenigmi, altre – come notò Allen Ginsberg

che lo conobbe – scoppi mentali.È nato nella regione del Cholla a Suddella Corea, da una famiglia di contadi-ni. Lo incontro a Venezia a Ca’ Foscaridove è ospite da un paio di settimane. Fadelle letture di poesie. A Roma sarà ospi-te, fra due sere, del Festival Letterature diMassenzio. Una sua raccolta edita daNottetempo esce sia in e-book che incartaceo (Cos’è? , pagg. 134, 10 euro, tra-duzione di Vincenza D’Urso). Ko Un di-mostra meno dei suoi ottant’anni. È ma-gro, elegante, essenziale. Per tutta laconversazione calcherà un Borsalino dicolore azzurro. Gli chiedo se lo indossaper un forma di civetteria. Non sa cosa laparola voglia dire. Un cappello è un det-taglio, come la scarpa al piede, un orolo-gio al polso, un foulard al collo. Poi c’è iltutto. Sorride. Orientale, penso. Ma no,mi dico, cerchiamo di evitare i luoghi co-muni. In fondo se la poesia ha un lin-

guaggio universale è da lì che occorrepartire.

«La mia poesia non è costretta in unospazio né delimitata in un tempo. La ri-trovo ovunque: sui monti sotto forma dineve, o nel mare quando diventa onda.Di sera la mia poesia è una stella. E quan-do entra nella storia si trasforma in even-to. Nell’oscurità essa prende il posto delsole. È la mia piccola sorgente di luce».

C’è molta natura nel modo che Ko Unha di rappresentare il proprio mondopoetico. Ma è solo un aspetto, dice; l’al-tro riguarda l’anima, il suo sé. Nulla esi-ste separatamente, spiega. Mi incuriosi-sce la soave determinazione di que-st’uomo dalle molte vite e dalle tante ri-nascite. Così si racconta.

«Sono nato sotto la dominazionegiapponese. È stato un duro apprendi-stato. Mi fu proibita la lingua madre.Non potevo né sapevo opporre resisten-za. Frequentavo le scuole primarie e un

giorno il preside mi chiese cosa avrei de-siderato fare da grande. Risposi che sareivoluto diventare imperatore del Giap-pone. Mi punì severamente per l’inaudi-ta arroganza di quel desiderio. Dovevoinchinarmi tutte le mattine al potere im-periale. Ma la sera, in cuor mio, venera-vo i miei antenati».

Poi il paese si liberò dalla morsa giap-ponese. Era il 1945. Le potenze, uscitevincitrici dalla Seconda Guerra, si spar-tirono le zone di influenza. All’altezzadel trentottesimo parallelo furono crea-te due Coree. Due mondi contrapposti,due civiltà: «Era assurdo che un paese

subisse una lacerazione così drammati-ca. Gli eventi incontrollati ci spinsero auna guerra fratricida. Era il 1950. Per treanni ci combattemmo. Alla fine con-tammo tre milioni di morti. Ero un so-pravvissuto. Vagavo disperato tra le ma-cerie di città distrutte. Anche le monta-gne, a forza di bombardamenti, avevanomutato forma. Non c’erano più alberi.Non c’era più gioia. L’essere umano nonaveva più nulla di umano. O si uccidevao si era uccisi. Sentivo crescere in me lerovine. Vagavo per il paese che avevaeletto la morte a proprio emblema. Erauna percezione ossessiva che non mi ab-bandonava mai. La vita, pensavo, nonaveva più valore».

Mi chiedo se non sia questa la vera es-senza della poesia, quale che sia il lin-guaggio che adotti. Spesso l’opera,quando è grande, risponde a uno scac-co. Alla disperazione che diventa a volteintenzione letteraria. Cosa turba la per-sona che ho di fronte? Cos’è che ci com-muove nelle parole che pronuncia?Questa resa che non è resa. Questo nullache non è nulla.

«Fu durante quei terribili momentiche incontrai per caso un monaco cheera sceso dai monti. Provai un senso diattrazione. Lo seguii senza sapere beneperché. Lui, senza parlarmi, mi condus-

se da un famoso maestro. Si chiamavaHyo Bong. Nella vita civile era stato ungiudice che dopo aver decretato unacondanna a morte sentì il proprio animosconvolgersi al punto che abbandonò laprofessione rifugiandosi nel buddismo.Mi lasciava libero durante il giorno e iovagavo chiedendo l’elemosina. La serami faceva studiare in modo severo. Fu lamia cura. Cominciai a cancellare, alme-no in parte, i ricordi dolorosi che la guer-ra aveva provocato».

Ko Un aveva vent’anni quando diven-ne monaco buddista. Con la meditazio-

ne Zen si riconciliò alla vita. Venne cosìla prima salvezza. Poi arrivò la letteratu-ra. In mezzo ancora disperazione. Pote-va la vita artistica sostituire quella reli-giosa? «Mi misi nuovamente in cammi-no. Su di un’isola, a sud della costa co-reana, diressi una scuola di beneficien-za. Ma tornavano antichi fantasmi. Sof-frivo di insonnia. Mi ubriacavopesantemente. Fu a quel tempo, erava-mo alla metà degli anni Sessanta chescrissi un lungo poema che intitolai Nir-

vana».Poi vennero raccolte di poesie e rac-

conti. E una nuova depressi one e con es-

sa un tentativo di suicidio: «Ingerii delveleno, mi risvegliai dal coma in ospeda-le. I miei scritti cominciavano ad esserefamosi. Divenni un attivista indipen-dente per la difesa dei diritti umani. Fuiarrestato e torturato. Infine liberatoquando il regime cadde. Era il 1982».

Ko Un parla di sé come il vento parle-rebbe alle montagne o ai mari. Le parolesi gonfiano e volano sotto la spinta dei ri-cordi. Dice che ha scritto tantissimo eper questo lo chiamano “Kobong”, che èla vetta della montagna, che egli ha rag-giunto un libro dopo l’altro. Debuttarenella scena letteraria non gli fu facile. Av-venne dopo un digiuno di un mese perprotesta contro il regime dittatoriale. Poisalì su un monte e si raccolse in medita-zione. Doveva decidere se continuare lavita monastica o intraprendere quellaartistica: «Quando scelsi la poesia, fu co-me uscire nuovamente dall’utero».

Ora sta lavorando a un dizionario dilingua coreana che raccoglie le paroledel Nord e del Sud della Corea. Gli chie-do un giudizio sulla divisione di un pae-se permanentemente in fibrillazione:«Le nostre lingue hanno un’origine co-mune; ma il sistema politico le ha rese di-verse e ostili. Rischiano di allontanarsisempre di più. Riconciliare questi duemondi non è un problema di oggi ma di

domani. Nel domani si annida la spe-ranza che le cose cambino. Nell’oggi c’èla pena del presente».

Un detto del Budda recita: siamo ciòche pensiamo e tutto ciò che pensiamoè prodotto dalla nostra mente. Quella diKo Un è fervida e chiara. Sembrano lon-tani gli anni della disperazione, dell’al-colismo, dei suicidi tentati. Ha sposatouna donna che ora siede silenziosa ac-canto a noi. Ha una figlia. Gli chiedo in-fine quanto del buddismo che ha prati-cato si ritrova nella sua poesia: «Il buddi-smo esige che il suo nome stesso a un

certo punto venga cancellato. Se al ter-mine del suo cammino il buddismo des-se di sé una forma avrebbe fallito il suocompito. La statuaria buddista che si svi-luppò nella regione del Gandhara risentìdell’influenza di Alessandro il Grande equindi della Grecia. È lì che è nata la for-ma. Ma il Budda storico, poco prima del-la morte si raccomandò ai suoi discepo-li di non ricordarlo per la sua immaginema per le sue parole. L’opera perfetta èquella che non lascia tracce». È questa labellezza? Ko Un sospende le mani nel-l’aria: «La bellezza – conclude – vince sututte le cose. E ogni cosa perde di frontealla bellezza. Non è nessuno dei valori diquesta terra, nessuna delle forme checonosciamo. Il mistero la inghiotte. Ed èbene che in questo mondo alcuni miste-ri o segreti non vengano rivelati. Se pre-tendessimo di spiegare tutto più nullanascerebbe».

“Il mio maestrodi giorno ci lasciavaliberi: chiedevol’elemosina. La sera,studio severo”

“Sono nato sottola dominazionegiapponeseLa lingua madreci era proibita”

LOZEN E L’ARTEDELLAPOESIA

L’alcolismo, la scoperta del buddismo, la militanza civileincontro con uno dei più grandi scrittori coreani

© RIPRODUZIONE RISERVATA 

 Ko Un: “Nelle paroleho trovato la forza

 per sopravvivere” 

 ANTONIO GNOLI

L’incontro

PIÙ LIBRI A SCUOLAL’APPELLO A BRAY

ROMA — Promuovere la letturanelle scuole tramite bibliotechee librerie di qualità, a difesa del-l’ecosistema digitale della lettu-ra. Sono questi alcuni temi del-

l’incontro organiz-zato dall’Associa-zione Forum delLibro e previsto perdomani alle ore 16,a Roma, in via deiPrefetti 22. Saran-no presenti il mini-stro dei Beni Cul-turali, MassimoBray, il sottosegre-

tario Ilaria Borletti Buitoni e altripolitici che hanno sottoscrittouna lettera aperta sul tema. Tragli altri ospiti, anche Andrea Ca-randini, Tullio De Mauro, Gian Arturo Ferrari e Lucio Villari.

Massenzio

Ko Un, considerato

il massimo poeta coreanovivente, parteciperàa Letterature-Festivalinternazionale di Roma,alle 21 di giovedì 27alla Basilica di Massenzio