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Un approccio intuitivo alle geometrie non euclidee
Giorgio Pidello
Liceo Scientifico “Marie Curie”, Grugliasco (To); SIS Piemonte
Sommario. Le geometrie non euclidee vengono presentate a partire da una serie di
attività concrete sul concetto di geodetica e su due modelli di superfici, la sfera e la
pseudosfera. Successivamente viene introdotto il concetto di curvatura che permette,
tra l’altro, di caratterizzare le superfici a curvatura costante.
Nella seconda parte si delinea il percorso storico che ha portato alla scoperta delle
geometrie non euclidee e si prende in esame un modello completo di geometria
iperbolica, il disco di Poincaré
1. Introduzione
La scoperta delle geometrie non euclidee costituisce, nella storia della matematica, il
momento di rottura epistemologica di un paradigma geometrico universalmente
accettato per più di duemila anni. Sino a quel momento infatti la geometria euclidea
era ritenuta l’unica geometria possibile ed era di conseguenza stata posta alla base
della fisica newtoniana e della teoria della percezione di Kant. La scoperta di “altre
geometrie” mise in crisi numerose certezze e preparò il terreno per futuri sviluppi in
molti campi del sapere.
In questa conferenza presento un percorso didattico che permette di avvicinare gli
studenti del quarto o del quinto anno di scuola secondaria superiore alla comprensione
delle geometrie non euclidee.
Le caratteristiche fondamentali del percorso sono le seguenti:
- privilegiare l’esperienza manipolativa diretta dei modelli di geometria non euclidea
(in particolare la sfera e la pseudosfera);
- anteporre le attività concrete sui modelli alla riflessione teorica ed all’approccio
storico;
- utilizzare un approccio sperimentale che non richieda il calcolo differenziale.
L’obiettivo è quello di trasmettere alcuni concetti di base delle geometrie non euclidee
e della geometria differenziale mediante un apprendimento percettivo-motorio che
solo in un secondo momento diventi apprendimento simbolico-ricostruttivo.
Per realizzare tale obiettivo si effettuano senza dubbio approssimazioni e
semplificazioni didattiche che non alterano tuttavia la correttezza di fondo dei concetti
matematici affrontati.
Il percorso didattico è stato sviluppato nell’ambito delle attività per le classi quarte
svolte allo Stage di Matematica a partire dall’anno 2000 ed è stato messo a punto in
occasione della Settimana della Cultura Scientifica del Liceo “Marie Curie” di
Grugliasco.
La proposta presentata è frutto del lavoro in gruppo degli insegnanti dello Stage di
Matematica, di miei contributi originali (in particolare l’approccio al concetto di
curvatura) e di conversazioni con il prof. F.Arzarello dell’Università di Torino.
2. Richiami di geometria euclidea
All’inizio del percorso è opportuno richiamare brevemente come prerequisiti alcuni
concetti fondamentali di geometria euclidea:
- la definizione di rette parallele;
- il quinto postulato di Euclide;
- il teorema relativo alla somma degli angoli interni di un triangolo;
- la definizione di triangoli simili.
Per quanto riguarda il quinto postulato di Euclide, utilizzeremo in questa fase la
versione “moderna” riportata in tutti i libri di testo,
nota anche come postulato di Playfair.
Dati in un piano una retta r ed un punto P esterno
ad essa, esiste un’unica retta parallela ad r
passante per P.
3. Il concetto di geodetica come linea più breve.
Se nel piano scegliamo due punti e tendiamo tra di essi un pezzo di elastico, l’elastico
si dispone lungo il segmento di retta che li congiunge. L’elastico assume infatti
spontaneamente la configurazione in cui è meno teso e ci aiuta, almeno localmente, ad
individuare il percorso di minima distanza.
Le linee più brevi che congiungono due punti di una superficie sono dette geodetiche
della superficie.
Le rette sono dunque le geodetiche del piano.
Per determinare le geodetiche della sfera, prendiamo un mappamondo e ci chiediamo
quale rotta seguirà un aereo per andare da Milano a San Francisco, due città che si
trovano circa alla stessa latitudine. (Gli aerei seguono ovviamente le rotte più brevi per
risparmiare tempo e carburante).
Tendendo sul mappamondo un elastico tra
le due città osserviamo che il percorso di
minima distanza differisce notevolmente
da un parallelo: sale verso Nord e arriva a
passare sulla Groenlandia.
Ripetendo l’esperimento con diverse
coppie di città ci rendiamo conto che
nessun parallelo, tranne l’equatore, è una
geodetica, mentre tutti i meridiani sono
geodetiche.
In generale, le geodetiche della sfera sono
le circonferenze massime, ossia le circonferenze il cui centro coincide con il centro
della sfera.
4. Il concetto di geodetica come linea diritta.
Un altro modo per individuare le geodetiche di una superficie è quello di appoggiare
una strisciolina di cartoncino sulla superficie stessa. La strisciolina infatti, pur
riuscendo ad aderire perfettamente alla superficie, ci obbliga ad andare diritto senza
curvare.
Nel piano le linee diritte sono ovviamente le rette. Per realizzare fisicamente una
strisciolina si taglia un foglio di cartoncino lungo due rette parallele. La strisciolina
permette dunque di trasferire l’idea intuitiva di andare diritto dal piano del cartoncino
ad una qualunque superficie.
Effettuando l’esperimento su di una sfera scopriamo che le linee diritte sulla sfera sono
sempre le circonferenze massime.
Il circolo polare non è invece una linea diritta poiché la strisciolina non aderisce alla
superficie. Lo stesso si verifica per tutti gli altri paralleli ad eccezione dell’equatore.
La ricerca delle linee più brevi con l’elastico e la ricerca delle linee diritte con le
strisce di cartoncino possono essere effettuate anche su altre superfici e portano alla
conclusione che, perlomeno a livello locale, i due concetti coincidono. Si tratta in
effetti della verifica sperimentale di un importante teorema di geometria differenziale.
Per determinare le geodetiche di una superficie abbiamo quindi a disposizione due
metodi diversi, l’elastico e la strisciolina, che incorporano ciascuno un’idea differente.
L’idea di minima distanza incorporata nell’elastico è di natura più locale. In effetti,
lavorando ad esempio con un pezzo di elastico sulla sfera, si trovano solo archi di
circonferenza massima e non circonferenze intere (al più si ottiene mezza
circonferenza).
L’idea di andare diritto incorporata invece nella strisciolina nasce come concetto
prettamente locale (“vado diritto in ogni punto”), ma si estende senza difficoltà a tutta
la superficie. Appoggiando sulla sfera una strisciolina sufficientemente lunga si
ottengono infatti senza problemi le circonferenze massime.
Il metodo dell’elastico per la ricerca delle geodetiche ha inoltre un altro limite: non è
utilizzabile per le superfici concave poiché in alcuni casi una parte dell’elastico
rimane nell’aria senza aderire alla superficie.
Per questo insieme di motivi d’ora in avanti utilizzeremo preferibilmente le strisce di
cartoncino per individuare le geodetiche di una superficie.
5. Esperienze sulla sfera.
Esaminiamo ora come si traducono sulla superficie sferica alcuni concetti
fondamentali di geometria euclidea.
D’ora in poi il termine retta assumerà ovviamente il significato di geodetica.
A) Il quinto postulato di Euclide sulla sfera.
Individuiamo con una strisciolina una retta r ed un punto P esterno ad essa.
Quante rette esistono che passano per P senza intersecare r?
Utilizzando una seconda strisciolina ci si accorge facilmente che, in qualunque
direzione si parta dal punto P, si arriva comunque a intersecare r. Tutte le rette per P
passano infatti necessariamente anche per il punto antipodale P’ e intersecano quindi
due volte la retta r.
Abbiamo così scoperto che non esiste nessuna parallela a r passante per P.
Sulla sfera il quinto postulato di Euclide non vale.
La superficie sferica è quindi un esempio di geometria non euclidea.
B) La somma degli angoli interni di un triangolo.
Costruiamo un triangolo equilatero sulla superficie
sferica attaccando tre striscioline con lo scotch.
Per misurare l’ampiezza degli angoli, stacchiamo il
triangolo dalla superficie sferica risvoltando con cura lo
scotch al di sotto di ciascun angolo senza modificarne
l’ampiezza.
Appoggiando il triangolo su di un piano ci accorgiamo
che il triangolo non aderisce completamente al piano
perché ha conservato la curvatura della sfera.
Tagliamo ora a metà un lato del triangolo.
Il triangolo “si apre” e aderisce perfettamente al piano.
Ora è possibile misurare l’ampiezza degli angoli con un
goniometro, ma già a colpo d’occhio ci rendiamo conto
che la somma degli angoli interni è maggiore di 180°.
C) Triangoli simili
Costruendo su di una stessa sfera triangoli equilateri di lato diverso, scopriamo che al
crescere del lato aumenta anche la misura degli angoli.
Se consideriamo ad esempio i triangoli che si ottengono intersecando la sfera con tre
piani perpendicolari tra loro e passanti per il centro della sfera, troviamo che ciascun
angolo interno misura 90° e la loro somma 270°.
Quando invece il triangolo equilatero è molto piccolo, la somma degli angoli interni è
leggermente maggiore di 180° e il triangolo differisce di poco da un normale triangolo
euclideo.
Di conseguenza, triangoli equilateri di dimensioni diverse non sono simili perché
hanno angoli di differente ampiezza.
In generale nella geometria sferica due triangoli sono simili solo se sono uguali; il
concetto di similitudine coincide pertanto con quello di isometria.
La somma degli angoli interni di un triangolo inoltre è sempre maggiore di 180°, ma
non è certo un invariante.
6. La pseudosfera.
La pseudosfera è una superficie di rotazione inventata dal
matematico italiano Eugenio Beltrami (1835-1900). Per
ottenerla si parte dalla curva trattrice, di equazione
2222
log xrx
xrrry , e la si ruota di un giro
completo intorno all’asse y.
La costante positiva r è il “raggio” della pseudosfera. L’asse di
rotazione è un asintoto.
La circonferenza di base è un bordo che non può essere
oltrepassato. La pseudosfera è quindi una superficie con bordo.
Utilizzando una strisciolina di cartoncino scopriamo che forma hanno le geodetiche
della pseudosfera.
Tutte le geodetiche terminano sul bordo.
Le geodetiche che rimangono nella parte più bassa della pseudosfera non presentano
problemi particolari.
Le geodetiche che salgono più in alto sul “collo” della pseudosfera hanno invece una o
più autointersezioni e assomigliano vagamente ad una cravatta annodata.
7. Esperienze sulla pseudosfera.
Realizziamo ora sulla pseudosfera le stesse esperienze effettuate sulla superficie
sferica.
A) Il quinto postulato di Euclide sulla pseudosfera.
Individuiamo con una strisciolina una retta r ed un punto P esterno ad essa.
Quante rette esistono che passano per P senza intersecare r?
In questo caso ci si accorge facilmente che vi sono infinite rette parallele a r passanti
per P. Nella figura ne sono visualizzate due
Anche sulla pseudosfera il quinto postulato di Euclide non vale, ma in un modo
diverso che sulla sfera.
La pseudosfera è quindi un altro esempio di geometria non euclidea.
B) La somma degli angoli interni di un triangolo.
Prendendo in esame la somma degli angoli interni di un triangolo sulla pseudosfera, si
ottiene una situazione diversa rispetto alla sfera.
Il triangolo tagliato si chiude verso l’interno e la somma degli angoli interni è
evidentemente minore di 180°.
C) Triangoli simili
Costruendo sulla pseudosfera triangoli equilateri di lato diverso, si osserva che al
crescere del lato diminuisce la misura degli angoli.
Anche in questo caso due triangoli sono simili solo se sono uguali.
La somma degli angoli interni di un triangolo è sempre minore di 180°, ma non è un
invariante.
8. Il concetto di curvatura.
Abbiamo constatato mediante semplici esperimenti che le geometrie del piano, della
sfera e della pseudosfera differiscono profondamente tra loro. Il concetto di curvatura
di una superficie permette di capire meglio le differenze tra le varie geometrie.
Introduciamo tale concetto per passi successivi.
A) La curvatura di una circonferenza.
Immaginiamo di percorrere in bicicletta tre circonferenze di raggio diverso.
Mentre percorriamo la più piccola abbiamo la sensazione fisica di curvare di più.
Volendo definire la curvatura di una circonferenza, desideriamo che le circonferenze
più curve risultino avere curvatura più elevata e quelle meno curve curvatura più
bassa. Il raggio non è quindi una buona misura della curvatura di una circonferenza.
Si definisce allora curvatura di una circonferenza il reciproco del suo raggio.
RK
1
B) La curvatura di una linea piana.
In generale, la curvatura di una linea piana non è costante, ma dipende dal punto che si
sta considerando. Un’ellisse ad esempio è più curva negli estremi dell’asse maggiore e
meno curva negli estremi dell’asse minore.
Per misurare la curvatura di una linea piana in un punto bisogna considerare la
circonferenza oscuratrice, ossia la circonferenza che meglio approssima la curva in
quel punto.
L'analisi matematica permette di calcolare in modo esatto la circonferenza osculatrice,
il suo raggio e la curvatura.
A livello intuitivo possiamo invece costruire graficamente la circonferenza osculatrice
partendo da tre punti: il punto P e altri due punti della linea molto vicini a P.
La curvatura della linea piana nel punto P è ovviamente il reciproco del raggio della
circonferenza oscuratrice: R
K1
.
La curvatura di una linea retta è nulla poiché il raggio è infinito.
C) Sezioni normali di una superficie.
Passiamo ora dagli oggetti ad una dimensione (le linee) agli oggetti a due dimensioni
(le superfici).
Per misurare la curvatura di una superficie in un punto si considerano innanzitutto le
sezioni normali della superficie, ossia le curve piane che si ottengono tagliando la
superficie con un piano che contiene la normale esterna alla superficie.
Per individuare il piano tangente e la normale esterna in
un punto di una superficie ho inventato uno strumento che
ho chiamato, un po' scherzosamente, normalometro.
Per utilizzare il normalometro basta appoggiare il punto
centrale del normalometro nel punto prescelto della
superficie.
La base del normalometro individua il piano tangente in
quel punto. Il bastoncino verticale individua la normale
esterna
Il normalometro permette inoltre di tracciare una sezione
normale inserendo semplicemente una matita nella
scanalatura.
Le sezioni normali di una superficie in un punto sono linee piane delle quali è
possibile calcolare la curvatura.
Appoggiando il normalometro in un punto di
un cilindro o di un ellissoide e ruotandolo
attorno alla normale ci rendiamo conto che in
genere le sezioni normali non hanno tutte la
stessa curvatura.
In ogni punto della superficie vi saranno una
sezione normale a curvatura minima ed una
sezione normale a curvatura massima.
Osserviamo tra l’altro che tali sezioni
appartengono a due piani perpendicolari.
D) La curvatura gaussiana di una superficie.
Per misurare con un unico numero la curvatura di una superficie in un punto, si
moltiplicano tra loro la curvatura massima e la curvatura minima delle sezioni normali.
Il risultato si chiama curvatura gaussiana della superficie in quel punto.
Per calcolare la curvatura gaussiana K di una superficie in un punto P bisogna quindi:
- individuare la sezione normale a curvatura minima e la sezione normale a
curvatura massima nel punto P; - calcolare separatamente le curvature delle due sezioni: Kmin e Kmax;
- moltiplicare tra loro le due curvature: K = Kmin · Kmax
A questo punto possiamo calcolare la curvatura gaussiana di alcune superfici.
Per la sfera di raggio R si trova Kmin = R
1,
Kmax = R
1 e quindi
2
1
RK per tutti i punti
della sfera.
Nel caso del cilindro di raggio R si trova
invece Kmin = 0, Kmax = R
1, 0K .
Anche per il cono la curvatura gaussiana è nulla in ogni punto poiché Kmin = 0.
La curvatura del piano è ovviamente nulla in quanto Kmin = Kmax = 0.
La curvatura dell’ellissoide è invece sempre positiva e varia a seconda del punto in cui
la si calcola.
E) Curvatura negativa
Se si prova ad utilizzare il normalometro su di
una superficie concava, come ad esempio la
pseudosfera o una superficie a sella, ci si rende
conto che non si riesce ad appoggiare lo
strumento sulla superficie nel punto desiderato
perché il piano tangente interseca la superficie
Osserviamo che in questo caso le sezioni
normali stanno in parte al di sopra e in parte al
di sotto del piano tangente.
Si conviene allora di considerare negative le
curvature delle sezioni normali che si trovano al di sopra del piano tangente e positive
le altre.
La curvatura gaussiana della superficie risulta di conseguenza negativa: K = Kmin · Kmax < 0.
In sintesi, la curvatura gaussiana K di una superficie in un suo punto P
- è positiva quando la superficie si trova tutta da una stessa parte del piano
tangente e lo tocca solo in P
- è nulla quando il piano tangente è tangente alla superficie lungo una linea che
contiene P.
- è negativa quando la superficie si trova da entrambe le parti del piano tangente.
Molte superfici, come ad esempio il toro, contengono punti a curvatura positiva, punti
a curvatura negativa e punti a curvatura nulla.
9. Superfici a curvatura costante.
Le superfici a curvatura costante hanno le stesse caratteristiche geometriche in ogni
punto e sono le uniche nelle quali è possibile considerare il moto dei corpi rigidi.
Tali superfici corrispondono al concetto di spazio isotropo utilizzato in fisica.
Parlando dello spazio, i fisici dicono che è isotropo, ossia si comporta allo stesso modo
in tutte le direzioni: non esistono direzioni privilegiate rispetto ai fenomeni osservati.
La sfera è l’unica superficie a curvatura costante positiva.
La pseudosfera è l’unica superficie a curvatura costante negativa
Per verificare sperimentalmente che la pseudosfera è una superficie a curvatura
costante si può costruire un triangolo con le strisce di cartoncino e spostarlo in un’altra
posizione a piacere; il triangolo continuerà ad aderire perfettamente alla superficie.
Il piano, il cilindro e il cono sono invece le uniche superfici a curvatura costante nulla.
Diventa ora chiaro perché abbiamo dedicato particolare attenzione a queste superfici.
La geometria della sfera è infatti un modello di geometria bidimensionale diversa da
quella euclidea del piano. Questa geometria viene chiamata geometria non euclidea di
tipo ellittico.
La geometria della pseudosfera è un modello differente di geometria non euclidea che
viene detta geometria non euclidea di tipo iperbolico.
10. Il teorema di Gauss-Bonnet. Il teorema di Gauss-Bonnet, scoperto in una prima versione da Gauss e pubblicato per
la prima volta da Pierre Bonnet nel 1848, mette in relazione la somma degli angoli
interni di un triangolo con la curvatura della superficie su cui è tracciato il triangolo
stesso.
L’enunciato generale del teorema è il seguente
A
KdA
dove α, β, γ sono le ampiezze dei tre angoli del triangolo espresse in radianti, K è la
curvatura e A è il triangolo.
Per le superfici a curvatura costante, il teorema di Gauss-Bonnet può essere riscritto in
modo più semplice:
KArea
dove Area è l'area del triangolo del triangolo.
Questa versione del teorema può essere presentata senza difficoltà anche a studenti di
liceo.
Non è difficile verificare la validità del teorema considerando qualche triangolo
particolare sulla sfera, come ad esempio il triangolo equilatero con tre angoli retti o
quello con tre angoli piatti.
Per le superfici a curvatura positiva il teorema di Gauss-Bonnet significa, in sostanza,
che la somma degli angoli interni di un triangolo aumenta al crescere dell’area e quindi
al crescere della curvatura contenuta all’interno del triangolo, come abbiamo verificato
sperimentalmente in precedenza.
Nelle superfici a curvatura negativa, invece, la somma degli angoli interni diminuisce
man mano che l’area del triangolo aumenta.
11. Il percorso storico.
A questo punto, avendo conoscenza diretta di due differenti modelli di geometrie non
euclidee, possiamo esaminare per sommi capi il percorso storico che ha portato alla
loro scoperta.
A) Euclide di Alessandria (325-265 a.C. circa)
Euclide vive e lavora ad Alessandria d’Egitto, capitale culturale del mondo ellenistico.
I suoi Elementi presentano in maniera organica le principali conoscenze matematiche
dell’epoca, secondo un rigoroso (per l’epoca) metodo ipotetico-deduttivo.
All’inizio dell’opera, Euclide fornisce alcune definizioni ed elenca cinque postulati
che pone alla base della geometria, dopodiché inizia a dimostrare i teoremi. Il primo
libro degli Elementi si conclude con la dimostrazione del teorema di Pitagora e del suo
inverso.
I primi quattro postulati di Euclide hanno una formulazione molto semplice e sono
facili da accettare. La formulazione originale del quinto postulato è invece piuttosto
lunga e complicata:
Risulti postulato che se una retta, venendo a
cadere su due rette, forma gli angoli interni
e dalla stessa parte minori di due retti,
allora le due rette prolungate
illimitatamente verranno ad incontrarsi da
quella parte in cui gli angoli sono minori di
due retti.
Sin dall’antichità il quinto postulato di
Euclide attirò l’attenzione degli studiosi. Alcuni ritenevano che l’enunciato fosse
troppo complesso e cercarono di proporre formulazioni equivalenti, ma più semplici.
Altri avevano invece il dubbio che il quinto postulato non fosse in verità un postulato,
bensì una conseguenza logica dei primi quattro, e si dedicarono alla ricerca di una
dimostrazione.
Tra le molte formulazioni alternative del quinto postulato proposte nel corso dei secoli
ricordiamo le seguenti.
- La somma degli angoli interni di un triangolo è un angolo piatto.
- Due rette che si intersecano non possono essere entrambe parallele ad una terza.
(Joseph Fenn, 1769)
- Da un punto esterno ad una retta si può condurre un’unica parallela alla retta data.
(John Playfair, 1795)
Il postulato di Playfair è la versione normalmente utilizzata nei testi moderni.
B) Gerolamo Saccheri (1667- 1733)
Tra i numerosi tentativi di dimostrazione del quinto postulato di Euclide, consideriamo
il più significativo, dovuto a Gerolamo Saccheri, un gesuita che fu professore
all’università di Pavia.
Saccheri inizia la sua dimostrazione costruendo un particolare quadrilatero: considera
un segmento AB e traccia, dalla stessa parte di AB, due segmenti AD e BC uguali tra
loro e perpendicolari ad AB; congiunge poi C con D.
Si prova immediatamente che gli angoli C e D sono uguali tra loro.
A questo punto si presentano tre possibilità:
- gli angoli C e D sono ottusi (ipotesi dell’angolo ottuso);
- gli angoli C e D sono acuti (ipotesi dell’angolo acuto);
- gli angoli C e D sono retti (ipotesi dell’angolo retto);
Per dimostrare che gli angoli C e D sono retti, Saccheri procede per esclusione.
Egli inizia ad esaminare l’ipotesi dell’angolo ottuso. In breve si rende conto che,
accettando l’ipotesi dell’angolo ottuso, le rette devono necessariamente avere
lunghezza finita e questo per Saccheri va escluso.
Passa quindi alla seconda possibilità. Suppone che l’ipotesi dell’angolo acuto sia
valida e inizia a sviluppare le conseguenze di tale ipotesi, costruendo in un certo senso
un embrione di geometria iperbolica. Dopo molte pagine di lavoro, si trova in una
situazione ai suoi occhi talmente strana da fargliela ritenere assurda. Convinto
(erroneamente) di avere trovato una contraddizione, esclude anche l’ipotesi
dell’angolo acuto. Conclude quindi che gli angoli C e D sono necessariamente retti, il
che equivale al quinto postulato di Euclide.
Nel 1733 Saccheri pubblica la sua “dimostrazione” in un libro intitolato Euclides ab
omni naevo vindicatus (Euclide liberato da ogni imperfezione)
La presentazione del ragionamento di Saccheri può essere utilmente supportata dalla
costruzione del quadrilatero di Saccheri, oltre che sul piano, anche sulla sfera e sulla
pseudosfera, individuando in ciascun caso quale delle tre ipotesi sia verificata.
Il docente avrà comunque cura di precisare che Saccheri non aveva in mente i modelli,
ma ragionava in astratto sul suo foglio di carta.
C) Carl Friedrich Gauss (1777-1855), Nikolai Lobačevskij (1793-1856),
János Bolyai (1802-1860)
L’opera di Saccheri venne attentamente studiata nei decenni successivi da numerosi
studiosi (Lambert, Schweikart, Taurinus) i quali si resero conto che Saccheri non
aveva in verità trovato una contraddizione e approfondirono lo studio delle geometrie
corrispondenti alle ipotesi dell’angolo ottuso e dell’angolo acuto.
Il grande matematico tedesco Carl Friedrich Gauss studiò a fondo la geometria
dell’angolo acuto, che si ottiene postulando l’esistenza di infinite parallele; si rese
conto che era perfettamente coerente e che avrebbe anche potuto essere usata per
descrivere lo spazio fisico al posto della geometria euclidea.
Gauss tuttavia non pubblicò i risultati di queste sue ricerche poiché temeva che
creassero scandalo senza essere capiti.
Il russo Nikolai Lobačevskij, professore all’università di Kazan (una cittadina vicino
agli Urali), giunse indipendentemente alle stesse conclusioni di Gauss: se si sostituisce
il quinto postulato di Euclide con l’esistenza di infinite parallele, si ottiene una
geometria diversa da quella euclidea, ma altrettanto valida.
Lobačevskij nel 1826 espose ai colleghi di università le proprie scoperte sulle
geometrie non euclidee leggendo una memoria andata perduta. Nel 1829-30 pubblicò,
in una rivista in russo di Kazan, un primo articolo intitolato Sui fondamenti della
geometria a cui ne seguirono altri. Lobačevskij rimase profondamente amareggiato per
lo scarso interesse suscitato dalle sue ricerche; ciononostante proseguì i propri studi e
scrisse due libri in tedesco (uno nel 1840, l’altro nel 1855) nei quali esponeva in modo
sistematico i presupposti e le caratteristiche della geometria dell’angolo acuto, o
iperbolica.
All’incirca negli stessi anni un giovane ufficiale ungherese, János Bolyai, figlio di un
matematico si stava anch’egli occupando del postulato delle parallele e si rese conto
che la geometria dell’angolo acuto non era contradditoria. Bolyai pubblicò nel 1832-
33, come appendice ad un libro del padre, un lavoro intitolato La scienza della spazio
assoluto in cui perveniva a conclusioni sostanzialmente identiche a quelle di
Lobačevskij.
I tempi erano ormai maturi perché menti profonde e coraggiose guardassero il
problema delle parallele da una nuova prospettiva e giungessero, anche
indipendentemente, agli stessi risultati. In ogni caso bisogna considerare che il padre di
Bolyai, Wolfgang, ed il maestro di Lobačevskij, Johann Martin Bartels, avevano
trascorso entrambi un periodo di studi a Göttingen, dove avevano conosciuto
l’ambiente culturale tedesco e frequentato personalmente Gauss.
Per Gauss, Bolyai e Lobačevskij la geometria
iperbolica era comunque una pura speculazione.
L’esistenza di infinite parallele ad una retta
data, ad esempio, non era vista in concreto sulla
pseudosfera, ma veniva rappresentata su carta
da figure analoghe a quella a fianco.
Rimaneva ancora aperto il problema della coerenza: fino a quando non si fosse trovato
un modello, c’era il rischio che un bel giorno arrivasse un nuovo Saccheri a dimostrare
che la geometria di Lobačevskij era contraddittoria.
D) Bernhard Riemann (1826-1866)
Il primo a risolvere il problema della non contraddittorietà della geometria non
euclidea fu il tedesco Bernhard Riemann, allievo di Gauss e grande studioso di
geometria differenziale.
Nel corso delle sue ricerche sulla teoria delle superfici, Riemann si rese conto che, a
patto di considerare come rette le geodetiche, la sfera poteva essere presa come
modello di una geometria non euclidea diversa da quella di Gauss, Bolyai e
Lobačevskij. Nella geometria della sfera infatti non esiste nessuna parallela e le rette
hanno lunghezza finita. Avendo trovato un modello, Riemann risolse dunque il
problema della coerenza per la geometria ellittica.
E) Eugenio Beltrami (1835-1900)
Il matematico italiano Eugenio Beltrami, professore alle università di Bologna, Pisa e
Roma, si accorse che le superfici a curvatura costante diversa da zero sono spazi non
euclidei e che in particolare la pseudosfera è l’unica superficie a curvatura costante
negativa immersa nello spazio euclideo tridimensionale. La pseudosfera è quindi un
modello di una porzione limitata del piano iperbolico.
F) Felix Klein (1849-1925), Henry Poincaré (1854-1912)
Il tedesco Felix Klein ed il francese Henry Poincaré inventarono due modelli completi
di piano iperbolico e risolsero dunque definitivamente il problema della coerenza per
la geometria iperbolica. I due modelli sono abbastanza simili.
Il modello di Poincaré è descritto nel paragrafo successivo.
12. Il modello di Poincaré. Il modello di Poincaré è costruito a partire da una circonferenza che possiamo
chiamare orizzonte. I punti sono i punti interni all’orizzonte. Le rette sono i diametri
privati degli estremi o gli archi di circonferenza ortogonali
all’orizzonte. Gli angoli sono i normali angoli euclidei.
La distanza tra due punti A e B è fornita dalla formula
NB
NAMB
MA
BAd ln),( ,
dove M ed N sono gli estremi dell’arco su cui giacciono A e B.
Questa particolare nozione di distanza fa sì che le rette abbiano lunghezza infinita e
che un segmento diventi ai nostri occhi sempre più piccolo man mano che si avvicina
all’orizzonte. Rimanendo invece all’interno del disco, l’orizzonte non può mai essere
raggiunto perché bisognerebbe percorrere una distanza infinita.
Si constata facilmente che nel modello di Poincaré esistono infinite parallele passanti
per un punto esterno ad una retta data e che la somma degli angoli interni di un
triangolo è sempre minore di 180°.
Il disco di Poincaré è un modello completo di piano iperbolico.
La figura seguente mostra quale porzione del piano di Poincaré corrisponde ad una
pseudosfera.
La pseudosfera è stata tagliata lungo una generatrice, aperta e distesa sul piano di
Poincaré. Il punto sull’orizzonte corrisponde all’asintoto della pseudosfera.
Se aggiungiamo, accanto a questa figura, altre copie della pseudosfera otteniamo, al
limite, un cerchio tangente internamente all’orizzonte.
Le geodetiche della pseudosfera, se fanno più di un giro della pseudosfera stessa,
hanno una o più autointersezioni ed appartengono quindi a copie differenti della
pseudosfera stessa
Nel momento in cui si passa dalla pseudosfera al disco di Poincaré le autointersezioni
spariscono.
Il pittore e litografo olandese Maurits Cornelis Escher (1898-1972) si è ispirato in
numerose opere al modello di Poincaré per rendere, in uno spazio finito, l’idea di
“fuga verso l’infinito”.
Le litografie qui rappresentatate si intitolano Limite del cerchio 3 e Limite del cerchio
4, e sono datate rispettivamente 1959 e 1960.
Bibliografia
AA.VV. (2000-2006), Viaggio nel mondo delle geometrie, Dispense degli Stage di
Matematica “Math 2000” - “Math 2006”, Torino, Associazione Subalpina Mathesis
sezione Bettazzi.
Dunham, William (1992), Viaggio attraverso il genio, Bologna, Zanichelli.
Kline, Morris (1992), Storia del pensiero matematico, Torino, Einaudi.
Kuhn, Thomas (1969), La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Torino, Einaudi.
Lepetit, Jean Pierre (1985), Geometricon, Bari, Dedalo.
Odifreddi, Piergiorgio (2003), Divertimento geometrico, Torino, Bollati Boringhieri.
Trudeau, Richard (1991), La rivoluzione non euclidea, Torino, Bollati Boringhieri.
Ivrea, 3 marzo 2006 Per gentile concessione di Kim Williams Books. Pubblicato in Associazione Subalpina MATHESIS, Seminario di Storia delle matematiche “Tullio Viola”, Conferenze e Seminari 2005-06, 2006, Torino, Kim Williams Books